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La spiritualità che trasforma

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La spiritualità che trasforma
La spiritualità che trasforma
Intervista a Laura Boggio Gilot
1) Nell’Istituto Integrale dell’Associazione Italiana di Psicologia
Transpersonale Lei coltiva l’insegnamento della pratica meditativa Yoga
Vedanta, come mezzo di sviluppo della coscienza e di risanamento della
mente disfunzionale. Qual è lo stato dell’arte della Psicologia
Transpersonale, e in particolare dell’approccio integrale, in relazione alla
spiritualità?
Nell'ambito della psicologia occidentale, la Psicologia Transpersonale si è interessata
particolarmente alle potenzialità umane inesplorate, alla salute mentale e al benessere
ottimale, agli stati superiori della coscienza, alle qualità eccezionali di intelligenza
connesse alla creatività e alla spiritualità. I risultati della ricerca sottolineano che, sia
per lo sviluppo della coscienza e dell'identità che per la conoscenza-realizzazione delle
potenzialità superiori del Sé, è necessaria l'arte di una spiritualità che trasformi.
A differenza della religione, la spiritualità è un'esperienza intima e soggettiva della
sacra essenza dell'Anima e della sua comunione con la Realtà Suprema che richiede
la trascendenza dall' "io" inteso nell'accezione di identità narcisistica, limitata e
distorta.
L'esplorazione spirituale in Occidente appare spesso pervasa da una riduttiva
superficialità e la traduzione della saggezza e della tradizione mistica nella psicologia
e nella cultura ha perso il significato di trasformazione e autotrascendenza insito nella
tradizione spirituale, diventando spesso una fuga e un modo sottile e sofisticato di
nutrire l'io, piuttosto che trascenderlo. Inoltre, alcune pratiche della tradizione
meditativa, usate senza discriminazione, invece di essere nuovi modi di curare la
sofferenza mentale sono diventate dei ponti verso gravi psicopatologie. Le idee di Ken
Wilber sulla spiritualità che trasforma appaiono di fondamentale importanza per la
ricerca
in
questo
campo.
2) Sempre più spesso si parla del bisogno di spiritualità per il nostro
tempo; anche Lei, in linea con il pensiero integrale, afferma l'urgenza di
coltivare una spiritualità che trasformi. Cos'è una spiritualità che
trasforma?
La spiritualità che trasforma non cerca emozioni e consolazioni, né esperienze
mistiche, ma si riferisce a una disciplina meditativa di studio e pratiche interiori che
entra profondamente nella vita del meditante e che ha un proposito di trasformazione
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volto a sviluppare qualità spirituali e dissolvere i fattori di sofferenza e illusione che
separano l'io dalla propria Essenza e paralizzano il cammino dello sviluppo. Questa
spiritualità è funzionale alla conoscenza integrale di sé stessi e alla scoperta del senso
e del compito della vita, nonché allo sviluppo di maturità e saggezza.
3) Quali sono gli elementi che operano la trasformazione?
Il primo elemento trasformatorio da coltivare nella pratica meditativa è l'attenzione al
qui e ora: attenzione che porta a vivere nel presente con più centralità e
consapevolezza, e che svela il ritmo meccanico e le abitudini disordinate dell'io
ordinario. L'attenzione introduce all'autosservazione che svela le disfunzioni del
pensiero e i conflitti della mente. Un'altra pratica fondamentale è l'etica applicata al
pensiero e al comportamento, che è un mezzo di trasformazione di fattori di sofferenza
e di coltivazione di fattori di salute, e infine lo studio dei testi sacri che illuminano il
pensiero e dettano la mappa della saggezza.
4) Se esiste una spiritualità che non trasforma, c'è da immaginare che la
sua diffusione abbia degli effetti a livello individuale e collettivo.
Purtroppo la spiritualità che non trasforma è molto diffusa ed è un grosso bagaglio
negativo della New Age che ha enfatizzato e coltivato la ricerca di esperienze
piacevoli, sviluppando materialismo spirituale che si basa sulla ricerca di importanza
personale e di compensazione a frustrazioni nella vita sociale e affettiva. In pratica la
spiritualità che non trasforma è caratterizzata dal fatto che non porta consapevolezza,
non sviluppa qualità della vita, ma coltiva solo narcisismo, e spesso degenera nel
fondamentalismo.
5) Come mai l'uomo è così attratto dalla spiritualità che non trasforma?
Chi è attratto dalla spiritualità che non trasforma è l'io narcisistico, che cerca la fuga
dalla responsabilità, la compensazione alle frustrazioni della vita e motivi per
sviluppare
la
sua
importanza
personale
e
la
sua
potenza.
6) Molte persone, pur seriamente animate da un'autentica spinta spirituale,
avvertono l'esigenza di fare il cammino meditativo da soli, sostenendo di
non avere bisogno di una guida spirituale. Come è possibile questo? Cosa
si nasconde dietro a questa motivazione?
Dietro questa motivazione a far da sé, c'è l'orgoglio di appartenere a sé stessi e,
coperto e spesso inconscio, il conflitto con l'autorità; c'è inoltre l'illusione di chi vuole
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evitare di incontrare l' "ombra", ovvero la parte negativa e debole di sé stessi che non
si accetta e fa paura. È bene sottolineare che chi fa da sé non sarà mai in grado di
realizzare quella famosa "discesa agli inferi", che in tutte le tradizioni è descritta come
indispensabile mezzo di purificazione ai fini della conoscenza integrale del Sé e la
liberazione dall'ignoranza. Nella pratica meditativa Vedanta la purificazione affronta i
klesa, cioè i fattori di afflizione (inconsapevolezza, egoismo, attrazione verso il piacere
e repulsione verso il dolore, forte attaccamento alla vita). Questi fattori formano il
narcisismo di base dell'io ordinario che impedisce il cammino verso la piena
realizzazione ed espressione delle potenzialità interiori, ponendosi come il terreno
fertile per l'attecchimento della psicopatologia ordinaria.
7) Siccome il cammino meditativo appare così impervio, spesso molti,
soprattutto i più giovani e i più deboli, si sentono sopraffatti dall'idea di
intraprenderlo e preferiscono abbandonare l'idea in partenza. Come si può
invogliare queste persone a intraprendere un tale cammino?
Invogliare le persone a intraprendere un cammino meditativo non è certo una cosa
facile: tante sono le resistenze dell'io a un qualsivoglia impegno e sacrificio.
Comunque, sarebbe bene spiegare che il cammino meditativo non è un cammino di
ricerca di perfezione ma di consapevolezza e trasformazione di sé stessi: questo
impegno può essere scoraggiante per tutte quelle persone afflitte da "super-io"
onnipotenti che pensano di poter raggiungere grandi mete senza faticare. È importante
che si abbiano idee chiare sul cammino meditativo, che richiede un modo di vivere in
maniera più attenta, sana, vera e creativa, e non soltanto una corsa verso
l'Illuminazione. Certo, è utile che si conoscano i possibili stati di Illuminazione, ma
molto pericoloso proporli ai neofiti come mete da raggiungere, perché sviluppano
volontà di potenza, materialismo spirituale, e successivamente frustrazione e
impotenza.
8) In che senso il discorso della crescita della persona è inerente al
cammino spirituale?
Lo sviluppo spirituale, quando è vero e stabile, appartiene a uno stadio maturo dello
sviluppo della personalità che è transegoico e transpersonale: corrisponde a uno
stadio che è molto al di là dell'io conosciuto nella psicologia e richiede un profondo
lavoro interiore. Nello stadio transpersonale dello sviluppo le linee evolutive
raggiungono il loro apogeo e questo in ogni caso è di tipo spirituale. Per esempio: - La
linea evolutiva affettiva raggiunge l'amore incondizionato. - La linea evolutiva cognitiva
raggiunge l'intuizione supercosciente. - La linea evolutiva motivazionale raggiunge la
volontà di autotrascendenza e la ricerca della Verità e Bontà, nonché l'unione con il
Principio Sacro del Tutto. - La linea evolutiva delle relazioni interpersonali raggiunge la
solidarietà e il servizio alla vita.
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9) Poiché si parla allora di un cammino evolutivo, di crescita, immagino
che esso sia fatto a gradini. Quali sono le tappe di questo cammino ?
La prima tappa è darsi un ritmo e un tempo per la disciplina meditativa. Occorre un
tempo per l'Anima sottratto all'agire egocentrico. Poi occorre coltivare la presenza
stabile nel gruppo di insegnamento meditativo ove c'è un istruttore e frequentare con
regolarità e sacralità, poi puntare alla consapevolezza di sé stessi che richiede l'umiltà
di accettare i limiti e le incompiutezze. Le tappe successive corrispondono a
progressivi sviluppi di qualità del pensiero, del sentimento e del comportamento, in cui
si attivano le virtù dell'amore, dell'intelligenza e della volontà di bene.
10) Quali sono le principali trappole sul sentiero e come le si può
affrontare e superare?
Le trappole del sentiero meditativo consistono nelle resistenze, ovvero le difese dell'io
alle discipline necessarie all'evoluzione della coscienza del meditante, attraverso
l'opus dell'autotrasformazione. Le più frequenti sono: la resistenza al cambiamento, la
paura dell' "ombra" e la pigrizia verso l'impegno. La resistenza al cambiamento si
verifica perché l'io è attaccato alle sue abitudini, seppure distruttive e inutili: la sua vita
è per lo più condizionata e avviene una naturale opposizione al decondizionamento
imposto dalla pratica meditativa. La paura dell'ombra è la paura degli aspetti di sé
negletti e rifiutati perché pongono l'io di fronte ai limiti della sua immagine ideale. La
pratica meditativa può essere ostacolata perché mette il meditante in contatto diretto
con i suoi limiti. La pigrizia verso l'impegno si pone come difficoltà a sottomettersi alla
"disciplina" meditativa. E, infine, gli attaccamenti che legano l'io al mondo e lo portano
lontano dal cammino interiore, che si pone come una modalità di essere con sé stesso
prediligendo il silenzio e la solitudine.
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