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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI DIRITTO PRIVATO E CRITICA DEL DIRITTO
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE E AZIENDALI
"M. FANNO"
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN
ECONOMIA E DIRITTO
TESI DI LAUREA
“DINAMICA DEGLI SPREAD SUI TITOLI DEL DEBITO PUBBLICO
NELL’EUROZONA: IL RUOLO DELL’INCERTEZZA
ECONOMICO-POLITICA”
RELATORE:
CH.MO PROF. GIOVANNI CAGGIANO
LAUREANDO: ALESSANDRO CALGARO
MATRICOLA N. 1017222
ANNO ACCADEMICO 2013 – 2014
-2-
A tutti coloro con i quali
ho condiviso gli anni universitari
-3-
-4-
INDICE
INTRODUZIONE………….……………………………………………………………..….7
1 DALLA CRISI FINANZIARIA ALLA CRISI DEL DEBITO SOVRANO……………9
1.1 Spread e rischio default………………………………………………..………………....9
1.2 Dalla crisi finanziaria del 2008 alla crisi del debito sovrano………………..………...18
1.3 Crisi del debito in Europa………………………………………………………………21
2 REVIEW LETTERARIA SUL MOVIMENTO DEGLI SPREAD ………….………..23
2.1 Le determinanti dello spread…………………………………………………………...23
2.2 Letteratura e modelli empirici sugli spread…………………………………………...27
3 L’INCERTEZZA ……………………………..…………………………………………..33
3.1 Cos’è l’incertezza economico politica…………………………………………………..33
3.2 Indice EPU…………………………...…………………………………………………..42
4 IL MODELLO EMPIRICO….…………………………………………………………...49
4.1 Specificazione del modello………………………………………………………………49
4.2 Dataset……………………………………………………………………………………53
4.3 Evidenza empirica……………………………………………………………………….56
4.4 Limiti del modello……………………………………………………………………….65
4.5 Conclusioni………………………………………………………………………………66
5 BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………………..69
5.1 Indice delle opere citate…………………………………………………………………69
5.2 Indice dei siti web citati…………………………………………………………………72
-5-
-6-
INTRODUZIONE
Lo spread di un dato paese dell’Eurozona è dato dalla differenza tra il rendimento del titolo di
stato del suddetto paese ed il rendimento dell’omologo titolo tedesco, essendo considerato il
bund tedesco, a livello europeo, il titolo di stato più sicuro.
Negli ultimi anni ha assunto una notevole rilevanza l’andamento dello spread del rendimento
dei titoli di stato decennali dei paesi dell’Eurozona nei confronti degli omologhi titoli
tedeschi. Questa rilevanza nasce dal fatto che a cavallo della nascita dell’unione monetaria
europea (1999), si è registrato un periodo di relativa convergenza dei titoli di stato
dell’eurozona verso rendimenti bassi e relativamente costanti nel tempo. Il motivo di tutto ciò,
essendo il rendimento dei bond funzione del rischio del titolo, ed avendo i Paesi
dell’Eurozona profonde differenze dal punto di vista strutturale, può essere ricercato nella
relativa sicurezza data ai mercati dall’unione monetaria. Questo periodo di rendimenti
contenuti ha avuto termine in contemporanea con quella che viene ricordata come la crisi
finanziaria del 2008, la quale ha riportato, alla luce di una aumentata sensibilità degli
investitori al rischio, l’attenzione degli investitori sulle differenze strutturali tra i vari paesi
dell’Eurozona.
La letteratura rileva una correlazione tra l’andamento di tali indici e tre distinte categorie di
rischio, due specifiche per ogni nazione: il rischio di credito, cioè la possibilità che un
creditore si riveli insolvente per tutti o parte dei propri debiti, il rischio di liquidità, cioè il
rischio che le condizioni di mercato (profondità e ampiezza), non consentano un agevole
scambio del titolo; ed una comune, cioè l’avversione internazionale al rischio, intesa come la
propensione degli investitori ad assumersi un rischio. La letteratura riconosce unanimemente
che la variabile più significativa nella determinazione degli spread è quella comune, cioè
l’avversione internazionale al rischio. Sembrerebbe quindi che sia stata una mutazione nei
fattori di rischio internazionali a scatenare l’esplosione degli spread dell’Eurozona, poiché
precedentemente alla crisi del debito sovrano i rendimenti sui titoli dei singoli Stati non
risentivano delle differenze strutturali.
Questo elaborato si chiede se, oltre a questi fattori di rischio non vi sia da aggiungere
all’analisi un ulteriore fattore di rischio comune, riconosciuto dalla letteratura come incertezza
economico-politica.
L’incertezza, che in letteratura viene citata come proxy della volatilità, risulta essere
particolarmente sensibile a shock economico-politici come possono essere la crisi finanziaria
del 2008 o la crisi europea del debito sovrano. Questa caratteristica sembra mettere in
-7-
relazione l’incertezza con il movimento avuto di recente dai rendimenti sui bond sovrani
dell’Eurozona, poiché si è registrata la loro esplosione in seguito agli shock politici
rappresentati dalle due crisi occorse tra il 2008 ed il 2011.
Non essendo l’incertezza direttamente osservabile non è semplice ricavare un indice che ne
approssimi fedelmente il movimento. In questo elaborato utilizzeremo un indice sviluppato da
Baker, Bloom e Davis (2013) basandosi sull’analisi di articoli di giornale correlati
all’incertezza, oltre che su misure macroeconomiche che secondo l’autore ne approssimano
l’andamento. Sarà questo indice che entrerà nel modello di regressione che proporrò al fine di
studiare la relazione tra incertezza e rendimenti dei titoli sovrani. È proprio l’inserimento
dell’indice di incertezza il contenuto innovativo rappresentato dal presente elaborato.
Per approfondire tale questione questo elaborato, nella prima sezione fornisce una panoramica
sui fatti stilizzati riguardanti l’andamento degli spread, in seguito fornisce una panoramica su
quelle che sono state, secondo la letteratura, le cause scatenanti della crisi finanziaria del 2008
e della crisi del debito pubblico dell’Eurozona.
Nella seconda sezione l’elaborato analizza i risultati raggiunti dalla letteratura empirica che in
passato si sono occupati di andamenti dei rendimenti sui titoli di stato. In particolare fornisce
una panoramica su quali sono le variabili che la letteratura riconosce come più significative al
fine di tale analisi, quali le proxy più ricorrenti per misurare i rischi sottostanti l’andamento
degli spread e quali sono i modelli e le rilevazioni empiriche degli autori in questione.
Nella terza sezione il paper fornisce una review letteraria riguardante l’incertezza ed i metodi
utilizzati per approssimarla.
Nella quarta sezione, l’elaborato presenta il modello realizzato, con le relative evidenze
empiriche osservate. Il modello in questione è l’evoluzione di un modello già presente in
letteratura, che quindi mette in relazione lo spread con le proxy delle variabili di rischio, al
quale viene aggiunta una proxy per l’incertezza economico-politica.
-8-
1 DALLA CRISI FINANZIARIA ALLA CRISI DEL DEBITO SOVRANO
1.1 Spread e rischio default
Lo spread di un dato paese dell’Eurozona è dato dalla differenza tra il rendimento del titolo di
stato del suddetto paese ed il rendimento dell’omologo titolo tedesco, essendo considerato il
bund tedesco, a livello europeo, il titolo di stato più sicuro.
Rappresentando il rendimento di un titolo la remunerazione del rischio di investire nel
suddetto1, ci aspetteremmo di trovare una significativa correlazione tra il movimento dei
rendimenti sui titoli e il rapporto Debito/PIL, essendo questo un importante indice della
solidità finanziaria ed economica di uno Stato. Ciò secondo la letteratura2 sorta recentemente
in merito non risulta vero, poiché le variabili sottostanti al movimento degli spread sovrani
sono classificabili in tre gruppi: rischio di credito, rischio di liquidità e avversione
internazionale al rischio.
Lo spread sui titoli del debito sovrano dunque si calcola come differenza tra i rendimenti a
scadenza sui titoli di stato decennali di un dato paese e degli omologhi tedeschi, presi come
benchmark poiché la Germania è considerato il paese dai titoli di stato più sicuri.
Il rendimento di un titolo di Stato dipende dal suo livello di rischio. In altre parole, se il
rendimento è alto, si alza anche il pericolo che, alla scadenza, l’emittente non rimborsi il
capitale. Se lo spread aumenta, significa che il rendimento dei titoli di Stato sta aumentando,
mentre il Bund è un’obbligazione ritenuta sicura. Il tutto influisce sul mercato che vede con
occhio diverso il titolo di Stato, alla luce del fatto che si configura come meno sicuro rispetto
a quello tedesco.
Tutto ciò pesa sul giudizio che i mercati hanno del Paese che, quindi, potrebbe rischiare un
default. Inoltre, quando lo spread aumenta, i titoli di Stato perdono prezzo e, quindi, i mercati
li percepiscono come pericolosi e non li acquistano.
Ci sono quindi tre ordini di ragioni per le quali l’aumento dello spread ha una grande
importanza:
1
BLANCHARD, O., 2006, Scoprire la macroeconomia, p. 85
ATTINASI, M.G., et.al., 2009, What explains the surge in euro-area sovereign spreads during the financial crisis
of 2007-2009?
BARRIOS, S., et.al., 2009, Determinants of intra-euro area government bond spreads during the financial crisis
CAGGIANO, G., GRECO, L., 2012, Sovereign Risk in the Euro Area: Is it Mostly Fiscal or Financial?
CODOGNO, L., et.al., 2003, Yield spreads on EMU government bonds
GERLACH, S., et.al., 2009, Banking and sovereign risk in the euro area
MANGANELLI, S., WOLWIJK, G., 2009, What drives spreads in the euro area government bond market?
2
-9-
La prima ragione è che se lo Stato spende di più per interessi, dovrà aumentare il deficit
oppure ridurre altre spese o aumentare le imposte, manovre che non godono di grande
popolarità.
La seconda ragione è che se lo Stato paga più interessi dello Stato tedesco di conseguenza
anche le imprese del suddetto Stato pagheranno tassi più alti rispetto alle imprese tedesche
nell’accesso al credito, trovandosi svantaggiate rispetto alle rispettive tedesche, ne risente
quindi la concorrenzialità dell’economia del Paese.
La terza ragione è che se i risparmiatori che sottoscrivono i titoli pubblici perdono fiducia nel
debitore-Stato. Dato che il Paese ha un consistente debito pubblico e tanti titoli emessi in
passato scadono ogni mese, per i risparmiatori è facile esprimere la loro sfiducia. Non è
necessario sottoscrivere nuovi titoli: basta non rinnovare quelli che scadono. Se il mercato
non rinnova i titoli lo Stato fallisce, la fiducia di imprese e famiglie crolla, l'economia affonda
e si scatena una crisi gravissima, con ripercussioni internazionali.
Ora che abbiamo una panoramica su che cos’è lo spread e da cosa dipende, è importante
approfondire perché in questo elaborato ho deciso di concentrarmi sull’andamento degli
spread dei bond sovrani dei paesi dell’Eurozona.
Ci si aspetterebbe che il rendimento di un titolo di stato, essendo una misura del rischio
connesso al rimborso di tale titolo, sia in forte relazione con l’andamento delle variabili
macroeconomiche del Paese. Ciò non sembra però essere vero per quanto riguarda determinati
paesi dell’area dell’Euro, poiché i rendimenti sembrano nel tempo muoversi in una misura
non correlata all’andamento delle rispettive variabili economiche.
Per dare evidenza di ciò presento una serie di grafici che fotografano in determinati periodi
temporali, con cadenza triennale, la relazione tra l’andamento dei rendimenti sui titoli di Stato
decennali e il rispettivo rapporto debito/PIL, per un campione di otto paesi dell’Eurozona
(Italia, Spagna, Francia, Grecia, Portogallo, Austria, Belgio, Germania)3.
Tale osservazione è interessante poiché le fotografie riguardano gli anni 2003, 2006, 2009 e
2012, il che permette di osservare gli effetti causati su tale relazione della crisi finanziaria del
2008 e dalla crisi del debito sovrano del 2011 (prendendo a riferimento periodi
prossimamente successivi a tali accadimenti).
3
Fonte dei dati: Datastream, Essendo le osservazioni di D/PIL trimestrali e le osservazioni degli yield mensili,
prendo come campione per ogni serie il dato relativo al mese di giugno dell’anno di riferimento.
- 10 -
Figura 1 Yield e Debito/PIL anno 2003
Come si può osservare dal grafico relativo al 2003, nonostante sussistano significative
differenze nella posizione fiscale dei Paesi campione, visto che il Debito/pil, preso come
proxy va dal 55% della Spagna al 120% della Grecia, i rendimenti sui titoli di Stato non
sembrano risentire di tali differenze. Infatti per la maggior parte dei Paesi tali rendimenti si
attestano attorno al 3%, l’unica eccezione sembra essere il Portogallo, con un rendimento
prossimo al 6,5%, che seppur sensibilmente più elevato, non sembra attestarsi su livelli critici.
La ragione di tale evidenza, secondo la letteratura4 è la fiducia data dai mercati ai Paesi
facenti parte dell’Unione Europea, i cui meccanismi di integrazione sembrano fungere da
garanzia alla solvibilità di tali Paesi.
4
ATTINASI, M.G., et.al., 2009, What explains the surge in euro-area sovereign spreads during the financial crisis
of 2007-2009?
- 11 -
Figura 2 Yield e Debito/PIL anno 2006
Osservando l’istantanea relativa al 2006 (figura soprastante), si può notare come, rispetto a tre
anni prima, non ci siano stati significativi mutamenti nella considerazione dei mercati, i
rendimenti sui titoli si assestano su livelli prossimi a quelli del 2003, nonostante si noti un
significativo aumento nel rapporto Debito/pil per Portogallo e Grecia ed una significativa
diminuzione in tale rapporto per il Belgio.
L’evidenza portata dall’ultimo grafico è che in mancanza di significative emergenze
finanziarie a livello internazionale nel periodo trascorso, la fiducia dei mercati rispetto alla
solvibilità dei paesi campione è rimasta immutata, sembra, anche secondo la letteratura5, che
siano quindi le variabili sovranazionali (avversione internazionale al rischio e incertezza
economico-politica), i principali driver dell’andamento dei rendimenti sui titoli di stato.
5
ATTINASI, M.G., et.al., 2009, What explains the surge in euro-area sovereign spreads during the financial crisis
of 2007-2009?
- 12 -
Figura 3 Yield e Debito/PIL anno 2009
L’istantanea relativa al 2009 si riferisce al periodo direttamente successivo alla crisi
finanziaria del 2008.
Il grafico mostra come, in seguito all’emergenza finanziaria del 2008 le posizioni fiscali di
molti dei paesi presi a campione si sono aggravate (rapporto Debito/pil in aumento
significativo per Grecia, Italia, Belgio e Francia), ciò è la conseguenza degli aiuti di Stato alle
banche in difficoltà, infatti molti stati si sono dovuti fare carico, attraverso pacchetti di
salvataggio, dei debiti ai quali molte delle principali istituzioni finanziarie, non erano in grado
di far fronte.
A fronte di tale aggravamento delle posizioni fiscali ci si aspetterebbe un significativo
aumento dei rendimenti sui bond, ciò non appare però dal grafico, considerato che tale
aumento nei rendimenti non supera per nessun Paese campione il mezzo punto percentuale.
Ciò è conseguenza del fatto che le variabili di rischio comuni (propensione internazionale al
rischio e incertezza) non sembrano risentire di tale momento di crisi e quindi i mercati
ritengono ancora sicuri i bond Sovrani.
- 13 -
Figura 4 Yield e Debito/PIL anno 2012
Il grafico che fotografa la situazione relativa al rapporto tra tassi di interesse e Debito/pil del
2012 mostra delle evidenze significativamente in disaccordo con quanto osservato negli anni
precedenti.
Osservando il grafico si può notare come le posizioni fiscali di alcuni dei paesi dell’Eurozona
siano sensibilmente peggiorate (mi riferisco ai cosiddetti PIGS, cioè Italia, Spagna, Portogallo
e Grecia) alcune in modo molto sensibile (il rapporto Debito/pil greco peggiora di quasi
quaranta punti percentuali nell’arco di soli tre anni), questo in conseguenza dei
precedentemente citati piani di salvataggio alle banche.
Differentemente rispetto alle istantanee precedenti, nel 2012, l’aggravio nella posizione
fiscale coincide con un rispettivo innalzamento dei rendimenti a scadenza dei titoli di Stato,
per quanto riguarda i PIGS, con un picco allarmante per la Grecia, che vede quasi decuplicati
i rendimenti rispetto a tre anni prima.
- 14 -
Questa situazione è, secondo letteratura6, conseguenza di una mutazione nell’avversione
internazionale al rischio dei mercati, conseguente alla comunicazione delle irregolarità del
governo greco nella contabilità di bilancio, i rendimenti greci sono aumentati inesorabilmente,
seguiti da quelli di Irlanda e Portogallo. Dal luglio 2011 gli altri paesi (in particolare Spagna e
Italia) hanno registrato un marcato aumento dei loro spread rispetto alla Germania. Rimane
dunque la sensazione che siano le variabili internazionali quelle più significative nella
formazione delle aspettative dei mercati, ma è giusto appuntare che i Paesi che hanno
sperimentato i maggiori innalzamenti nei rendimenti dei titoli sono quelli che nel triennio in
questione hanno visto peggiorare più significativamente le variabili fiscali (fattore interno).
L’evidenza sembra essere dunque di una maggior sensibilizzazione dei mercati rispetto alle
variabili interne, portata da un peggioramento nelle variabili esterne.
Detto dell’evidenza portata dalle istantanee riporto ora una enumerazione dei fatti principali
accaduti nel triennio 2009-2012 a livello europeo, in modo da fare chiarezza sugli
accadimenti che hanno portato alla situazione fotografata dall’ultimo grafico.
Dalla fine del 2009, i timori di una crisi del debito sovrano hanno sviluppato il panico tra gli
investitori a causa dei crescenti livelli di debito privato e pubblico di tutto il mondo insieme
ad una ondata di declassamento del debito pubblico in alcuni Stati europei. Le cause
dell’aumento dei debiti pubblici variano da paese a paese. In diversi paesi, i debiti privati
derivanti da una bolla immobiliare sono stati trasferiti al debito sovrano a seguito di
salvataggi del sistema bancario.
La struttura della zona euro in cui si rileva una unione monetaria senza unione fiscale hanno
contribuito alla crisi e danneggiato la capacità dei leader europei di rispondere, essendoci un
debito, con rispettivo bond e rendimento diversi per ciascuno degli stati membri. Le banche
europee detengono una notevole quantità di debito sovrano, il che aumenta nei mercati le
preoccupazioni per quanto riguarda la solvibilità dei sistemi bancari.
La crisi del debito sovrano europeo è stata determinata da una combinazione di fattori, tra cui
la globalizzazione della finanza, le condizioni di credito facile durante il periodo 2002-2008,
che ha incoraggiato l’erogazione di prestiti ad alto, la crisi finanziaria globale 2007-2012, gli
squilibri commerciali internazionali, bolle immobiliari che hanno dato il via alla crisi
finanziaria del 2008, scelte di politica fiscale errate, e gli approcci utilizzati dalle nazioni per
6
GIORDANO, L., LINCIANO, N., SOCCORSO, P., 2012, The determinants of government yield spreads in the euro
area
- 15 -
salvare le industrie bancarie in difficoltà e gli obbligazionisti privati, assumendo gli oneri del
debito privato o socializzare le perdite.
Concentrandoci sui singoli Paesi maggiormente colpiti dalla crisi del debito pubblico (i
PIGS), vediamo come per la Spagna l’aumento del rapporto Debito/pil è conseguenza di una
bolla immobiliare precedente la crisi finanziaria del 2008, che ha fatto in seguito svalutare i
valori degli immobili rendendo insoluti molti dei prestiti concessi ai privati dalle banche, il
che ha reso necessari pesanti aiuti di Stato, con conseguente aggravio del rapporto di
indebitamento pubblico.
In Grecia il governo aveva nascosto un buco di bilancio nei conti, sconosciuto alle autorità
europee. Gli effetti della scoperta di tali irregolarità si sono concretizzati nel declassamento
dell'affidabilità finanziaria della Grecia da parte delle maggiori agenzie di rating, suscitando
forti preoccupazioni circa la possibilità di default della Grecia7.
In Portogallo nel 2010 le banche danno l'annuncio di non essere in grado di acquistare in asta
i titoli del debito pubblico, destando la sorpresa del mercato. Il Portogallo stava scontando
tassi di crescita economica molto bassi, dovuti all'erosione continua della competitività, a
salari troppo alti rispetto alla produttività, a infrastrutture inadeguate o insufficienti, istruzione
inadeguata e scarsa razionalizzazione della spesa pubblica. L'assenza di sviluppo si combinò
con un gettito fiscale insufficiente, fattori che inseriti nel contesto di una crisi di fiducia degli
investitori condussero rapidamente il Portogallo ad essere incapace di rifinanziarsi sul
mercato e di onorare il debito già contratto8.
In Italia La crisi del debito fu scatenata da tre ragioni: l'alto livello del rapporto Debito/pil
(che subì una forte crescita a partire dal 2008, in coincidenza con la crisi), la scarsa o assente
crescita economica, la scarsa credibilità dei governi e del sistema politico, spesso apparso agli
osservatori internazionali come privo di decisione o tardivo nell'affrontare le emergenze del
paese. L'indebitamento estero, l'impossibilità di ricorrere alla svalutazione della moneta per
stimolare la competitività delle esportazioni, il forte deficit della bilancia commerciale, cui va
aggiunto il dato dell'enorme quantità di debito pubblico pregresso, indussero molti investitori,
soprattutto esteri, a nutrire sfiducia verso la capacità dell'Italia di essere solvibile, provocando
un deflusso di investimenti e un ritiro improvviso dei capitali9.
7
Tesoro.it, 2009, Relazione Generale sulla Situazione Economica del Paese vol. I pp. 20-21
Ilsole24ore.com, 2011, Il colpo di grazia dall'asta «anomala» sui titoli di Stato
9
Linkiesta.it, 2011, Il debito pubblico italiano, quando e chi lo ha formato
8
- 16 -
Ciò che si può evincere dunque dall’analisi appena effettuata è che differenti tra loro sono le
cause dell’aumento dei rapporti di indebitamento pubblici dei PIGS in seguito alla crisi del
2008, ma sembra essere comune la causa dell’innalzamento dei rendimenti richiesti dai
mercati sui titoli di Stato, cioè sembra essere maturata una maggiore sfiducia nella possibilità
di questi stati di adempiere alle proprie obbligazioni, aumenta quindi secondo gli investitori la
probabilità di default.
Questo mutamento nelle aspettative degli investitori, comune per tutti i PIGS, appare dunque
come causato dalla riduzione della propensione di tali investitori al rischio, questo in
conseguenza della lezione subita con la crisi finanziaria del 2008.
Mentre il precedente fattore è unanimemente riconosciuto dalla letteratura come fattore
influenzante l’andamento degli spread sovrani, un altro fattore chiave, poco approfondito
nella letteratura, sembra essere l’incertezza economico-politica, la quale causa un aumento
della volatilità dei mercati. L’obiettivo dell’elaborato è di verificare empiricamente come
l’incertezza si ponga in relazione con l’andamento degli spread.
- 17 -
1.2 Dalla crisi finanziaria del 2008 alla crisi del debito sovrano
La crisi finanziaria del 2008, culminata con il fallimento della banca d’investimento Lehman
Brothers del settembre 2008, che come vedremo si sostanzia anche come punto di svolta per i
modelli valutativi degli spread sovrani, si è rivelata la più grande crisi dalla grande
depressione. Le conseguenze sono state sotto gli occhi di tutti: bolla immobiliare con le
banche che si sono ritrovate con miliardi di dollari di sofferenze, causate dall’insolvenza dei
mutuatari.
Brunnermeier (2009)10 si è occupato di analizzare le cause di tale crisi ed ha rilevato come
tassi troppo bassi hanno portato ad una eccessiva facilità di credito, il che ha portato molti
consumatori a sovraindebitarsi e le banche a concedere più credito di quello che
effettivamente potessero sostenere, poiché sottocapitalizzate. Lo stimolo a tale meccanismo è
stato dato anche dalla troppa facilità di cartolarizzazione dei mutui, che essendo poi
reimmessi in mercati secondari tramite titoli derivati, davano alle banche uno stimolo
maggiore a concedere mutui, non rispettando le regole di prudenza.
La conseguenza di tale meccanismo è stato il raggiungimento di un punto in cui tale eccesso
di indebitamento non è stato più sostenibile da parte dei mutuatari, rendendo i crediti delle
banche insoluti ed annullando il valore dei derivati su tali crediti.
Questo fenomeno è coinciso ed è infatti correlato con l’esplosione della bolla immobiliare
americana con il forte aumento dei prezzi delle abitazioni e la successiva espansione degli
investimenti nel settore11. Tale bolla speculativa si espanse di pari passo col costante
apprezzamento delle case. Essa tendeva a raggiungere, attraverso l'aumento costante della
destinazione di risorse nel settore, l'espansione permanente del mercato. L'indebitamento delle
famiglie americane provocò nel 2006 l'esplosione dei prezzi delle attività, e in particolare di
quelli immobiliari; l'indebitamento aumentava via via che cresceva il valore delle proprietà
immobiliari. La caduta dei prezzi nel 2007 provocò l'esplosione del valore dei mutui a livelli
superiori alla consistenza stessa del valore delle abitazioni. Le famiglie più fortemente
indebitate avevano scommesso sul protrarsi della crescita, ignorando il rischio di un
rovesciamento del mercato. L'esplosione della bolla dei mutui fu amplificata dal fatto che le
banche statunitensi, al fine di ridurre l'esposizione rispetto a questi prodotti finanziari
altamente rischiosi, vendevano a terzi i mutui stessi attraverso diversi strumenti finanziari,
parcellizzandoli e riassemblandoli con altri prodotti (CDO, CMO, CLO, ABS). In questo
10
11
BRUNNERMEIER, M. K., Deciphering the Liquidity and Credit Crunch 2007–2008
Lavoce.info, 2008, Subprime, rischiare coi soldi altrui
- 18 -
modo le banche scaricavano su altri soggetti (inizialmente investitori istituzionali, ma poi
anche banche e risparmiatori) i rischi corsi concedendo tali finanziamenti. La
cartolarizzazione dei mutui subprime (ovvero la creazione di titoli garantiti dai mutui
ipotecari), sempre più diffusa, moltiplicava spesso i rendimenti in quanto chiedeva un
ulteriore rendimento ai soggetti a cui si rivendevano i derivati dei mutui secondari. Tali
processi hanno reso infetto l'intero sistema finanziario mondiale di questi titoli, a un certo
punto della crisi conosciuti come tossici. La cartolarizzazione e il successivo
impacchettamento dei titoli in sempre nuovi prodotti nei quali doveva essere assemblato,
assieme a una parte di titoli garantiti, un certo quantitativo di titoli tossici, aveva lo scopo di
fare alzare il giudizio di affidabilità delle agenzie, cosicché a un rapporto maggiore di titoli
sani rispetto a quelli tossici nello stesso "pacchetto" sarebbe corrisposta una qualità del rating
superiore. La forte svalutazione di questi strumenti innescò difficoltà gravissime in alcuni fra i
più grandi istituti di credito americani. Bear Sterns, Lehman Brothers e AIG vennero ridotti al
collasso e poi messi in sicurezza dall'intervento del Tesoro statunitense di concerto con la
FED. Anche banche europee, come la britannica Northern Rock e grossi istituti finanziari
furono investiti dalla svalutazione dei titoli immobiliari, venendo successivamente o
nazionalizzati o costretti a ricapitalizzarsi. Dopo diversi mesi di debolezza e perdita di
impieghi, il fenomeno è collassato tra il 2007 e il 2008 causando la bancarotta di banche ed
entità finanziarie e determinando una forte riduzione dei valori borsistici e della capacità di
consumo e risparmio della popolazione (con effetti immediatamente recessivi sull'economia).
Chiarite le dinamiche che hanno causato la crisi finanziaria del 2008 e quali siano state le
conseguenze a livello bancario, resta da chiedersi come questa crisi bancaria nel giro di poco
tempo si sia trasformata in una crisi del debito sovrano.
In aiuto ci viene un autore12, il quale analizzando la serie storica del debito pubblico dal 1800
e confrontando dati relativi a crisi più e meno moderne, ha tracciato una analisi dei cicli di
base di debito e crisi bancarie.
Le prove confermano un forte legame tra crisi bancarie e di default sovrano in tutta la storia
economica di molti paesi avanzati ed emergenti. In primo luogo, i picchi di debito privato
antecedono ricorrentemente le crisi bancarie, i governi piuttosto contribuiscono a questa fase
del boom di prestiti.
In secondo luogo, le crisi bancarie (sia quelle nazionali che quelle causate dai centri finanziari
internazionali) spesso precedono o accompagnano le crisi del debito sovrano.
12
REINHART, C. M., ROGOFF, K. S., 2010, From Financial Crash to Debt Crisis
- 19 -
In terzo luogo, l'indebitamento pubblico accelera nettamente davanti a una crisi del debito
sovrano, poichè i governi hanno spesso "debiti nascosti" che superano di gran lunga i livelli
documentati di debito estero. Questi debiti nascosti sono in maggioranza debiti pubblici
nazionali, includono debito pubblico interno e il debito privato che diventa pubblico.
Le crisi bancarie più spesso precedono o coincidono con le crisi del debito sovrano. La
ragione di questa sequenza temporale può essere ricercata nell’abitudine dei governi ad
assumere enormi debiti delle banche private in crisi, minando in tal modo la propria
solvibilità.
In conclusione si può sostenere che le crisi del debito pubblico sono naturale conseguenza
delle crisi finanziarie, poiché tramite gli aiuti statali agli istituti di credito in difficoltà fanno sì
che ci sia un trasferimento del debito.
- 20 -
1.3 Crisi del debito in Europa
Le evidenze presentate nel precedente capitolo riguardano il mercato statunitense. Per quanto
riguarda l’Unione Europea, la letteratura13 sembra attribuirle tre crisi: una bancaria, una del
debito sovrano ed una crisi nella crescita.
Secondo Shambaugh (2009) la crisi bancaria nasce dal fatto che le banche hanno passività di
breve termine (tipicamente i depositi), e asset illiquidi di lungo periodo (tipicamente i mutui),
se troppi correntisti chiedono di ritirare liquidità dai depositi, anche una banca sana può
andare in difficoltà finanziaria. Nel 2007 si è visto esplodere questo problema di liquidità
come abbiamo visto a causa dell’insolvenza dei debitori di lungo periodo della banca
(mutuatari). Le banche europee e statunitensi hanno quindi subito grosse perdite e visto
crescere l’incertezza sulla qualità dei loro asset. In seguito a tali accadimenti le banche
centrali si sono adoperate per risolvere i problemi di liquidità delle banche. In primo luogo le
banche centrali hanno tagliato i tassi di interesse dei prestiti interbancari, in secondo luogo
hanno acquisito numerosi degli asset tossici che facevano parte del patrimonio delle banche in
difficoltà, in ultima istanza hanno emesso dei titoli di tale banche, in modo da iniettare
liquidità.
Per quanto riguarda la crisi del debito sovrano l’autore rileva che questa ha subito molteplici
fasi acute quando gli yield dei bond sovrani sono esplosi in seguito alla crisi finanziaria del
2008.
Per spiegare la natura di tale crisi del debito, secondo Shambaugh (2009), è utile rifarsi
all’equazione della sostenibilità del debito:
∆Dt=(Rt-gt)xDt-1+primary
Dove: D rappresenta debito su PIL, R è il tasso di interesse nominale, g è il tasso di crescita
nominale e primary rappresenta il saldo primario di bilancio. L'intuizione è che se il debito su
PIL di quest'anno è lo stesso più interessi dello scorso anno più eventuali nuovi prestiti al di là
degli interessi maturati, meno il grado in cui il PIL cresce a compensare aumenti del debito.
Se il tasso di interesse pagato sul debito supera il tasso di crescita dell'economia, quindi anche
se il bilancio primario è in equilibrio, il debito in percentuale del PIL crescerà. Anche un
paese con un deficit di bilancio primario del 2 per cento del PIL, potrebbe avere un rapporto
debito PIL che si riduce, se il tasso di crescita dell'economia è superiore al tasso di interesse.
Un paese con un grande debito (ad esempio, il 100 per cento del PIL) che taglia la spesa
13
SHAMBAUGH, J.C., 2012 The Euro’s three crises
- 21 -
pubblica dovrà affrontare un crescente rapporto debito-PIL l'anno successivo se il
moltiplicatore della spesa pubblica è almeno 1. Un moltiplicatore superiore (o un rapporto
debito PIL più alto), genererà un effetto ancora maggiore. In questo senso una crisi del debito
sovrano può agire molto similmente ad una crisi bancaria. Un paese che può finanziarsi con
bassi tassi di interesse può essere solvente, ma lo stesso paese costretto a pagare un tasso di
interesse più elevato può improvvisamente rischiare di essere insolvente, anche se il suo
bilancio primario è in equilibrio.
L’autore rilevando che la crescita a livello europeo è ripartita dopo la crisi del 2008, pone
l’accento sulla distribuzione di tale crescita all’interno dell’Eurozona. La crescita, che ha
come driver il sentiment economico, si è stoppata nel periodo di crisi, per poi rimbalzare dopo
un periodo di staticità nel 2009. L’autore rileva che questa crescita non si è diffusa
uniformemente, poiché c’è un netto differenziale (7% nel 2011) tra la media di crescita dei
cosiddetti PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) e quella della Germania. Le motivazioni
che l’autore dà a tale differenziale nella crescita, sono da ricercarsi nella mancata attuazione
da parte dei PIGS di politiche di riduzione del tasso di disoccupazione, di riduzione del
debito.
In conclusione è possibile affermare che come USA, i paesi dell’area euro hanno affrontato
due diverse crisi negli ultimi anni, una crisi finanziaria a livello bancario e una del debito
pubblico, la quale sembra essere conseguenza degli aiuti statali alle banche in difficoltà.
L’Europa sembrerebbe, in alcuni suoi componenti meno virtuosi, aver affrontato anche una
crisi di crescita.
- 22 -
2 REVIEW LETTERARIA SUL MOVIMENTO DEGLI SPREAD
2.1 Le determinanti dello spread
In seguito alla crisi finanziaria del 2008, ed alla seguente esplosione degli spread sovrani dei
paesi dell’Eurozona rispetto al bund tedesco, dopo anni di rendimenti bassi, apparentemente
non correlati alle rispettive posizioni fiscali, si è registrata una crescente letteratura volta ad
analizzare le determinanti dei movimenti di tali spread.
Come visto, il rendimento di un titolo è funzione del rischio connesso a tale titolo. Quasi tutti
gli autori che si sono occupati di tale questione sono concordi nel riconoscere che alla base
dei differenziali di rendimento dei bond sovrani ci siano tre distinte categorie di rischio: il
rischio di credito, il rischio di liquidità e l’avversione internazionale al rischio. Procediamo
ora ad una review della letteratura in merito, in modo da analizzare a che cosa si riferiscono
tali variabili e in che modo si possano ricavare degli indici che le approssimino, in modo da
poter stimare dei modelli econometrici.
Il rischio di credito riguarda la possibilità che un creditore (in questo caso il governo che
emette i bond) si riveli insolvente per la totalità o per parte dei bond emessi. Tale rischio è
approssimato dagli indicatori della posizione fiscale di ciascun paese.
Secondo Attinasi et. al. (2009)14 gli indicatori fiscali più idonei ad approssimare il rischio di
credito sono il debito pubblico totale e il deficit fiscale.
Bernoth et. al. (2004)15 usano come proxy del rischio di credito il totale degli interessi pagati
sui titoli di stato come percentuale rispetto al PIL, Manganelli e Wolwijk (2009)16 il rating di
un determinato paese, fornito dalle agenzie di rating.
Caggiano e Greco (2012)17 invece approssimano il rischio di credito con un set di indicatori
macroeconomici, fiscali e bancari, come debito su PIL, deficit fiscale, crescita attesa nel PIL e
tasso di cambio reale effettivo.
Barrios et. al. (2009)18 invece approssimano il rischio di credito calcolando lo spread tra i
rendimenti dei CDS del paese rispetto al benchmark (tedesco, poiché più sicuro e quindi con
rendimenti più bassi). Avendo tali titoli la caratteristica di trasferire il rischio di credito
14
ATTINASI, M.G., et.al., 2009, What explains the surge in euro-area sovereign spreads during the financial
crisis of 2007-2009?
15
BERNOTH, K., VON HAGEN, J., SCHUKNECHT, L., 2004, Sovereign risk premia in the European government
bond market
16
MANGANELLI, S., WOLWIJK, G., 2009, What drives spreads in the euro area government bond market?
17
CAGGIANO, G., GRECO,L., 2012, Sovereign Risk in the Euro Area: Is it Mostly Fiscal or Financial?
18
BARRIOS, S., et.al., 2009, Determinants of intra-euro area government bond spreads during the financial crisis
- 23 -
possono essere considerati una ottima proxy per tale variabile. Lo stesso autore individua tre
tipi di rischio di credito: il rischio di default, il rischio di spread creditizio ed il rischio di
downgrade nel rating. Il rischio di default è la probabilità che l'emittente non rispetti gli
obblighi sul pagamento di cedole o il rimborso del capitale a scadenza. Il rischio di spread
creditizio è il rischio basato sulla performance dell'obbligazione e viene definito dalla
probabilità che il valore di mercato del titolo diminuirà più del valore di altri titoli di qualità
comparabile. Il rischio di downgrade è invece il rischio che una società di rating diminuisca il
rating dell’emittente. Risulta chiaro a questo punto perché tale autore utilizzi come proxy del
rischio di credito il tasso di rendimento dei CDS, infatti tali titoli nel loro rendimento
riassumono tutte le tipologie di rischio appena elencate, cosa che le variabili fiscali
difficilmente fanno, approssimando semplicemente il rischio di default. L’autore riporta che
tutte le tre tipologie di rischio sono state investite dalla crisi finanziaria del 2008. Si è
registrato infatti un deterioramento delle posizioni di bilancio a causa del costo elevato di
pacchetti di salvataggio finanziario e il funzionamento degli stabilizzatori automatici ha
sollevato interrogativi circa la sostenibilità delle finanze pubbliche. Oltre ai consueti
indicatori del debito pubblico, il deficit delle partite correnti elevate in diversi paesi dell'area
dell'euro ha accresciuto la percezione di probabilità di default dei mercati. Si è percepito
inoltre come certi paesi siano stati considerati particolarmente vulnerabili alle inversioni nei
flussi internazionali di finanziamento. Inoltre, le agenzie di rating hanno declassato i bond di
alcuni emittenti sovrani dell'area dell'euro. Questo può aver avuto un impatto diretto sul
portafoglio di allocazione decisioni degli investitori istituzionali, come molti gestori hanno
dei limiti sugli investimenti a seconda del rating.
Il rischio di liquidità riguarda invece la dimensione e la profondità del mercato dei titoli di
stato, questo significa che ci deve essere un volume sufficiente di acquisto e di vendita
(profondità di mercato) e che le operazioni di grandi dimensioni non influenzano
sensibilmente i prezzi (ampiezza del mercato)19. Un mercato liquido è dunque un mercato in
cui i detentori dei titoli possono scambiare il proprio titolo in qualunque momento senza
perdite significative. I fattori che determinano la liquidità includono il volume di emissione e
la politica nazionale di emissione, nonché l'esistenza di un mercato sufficientemente liquido
dei futures, che offrano agli investitori le possibilità di copertura. Il mercato obbligazionario
tedesco è l'unico in Europa che ha un mercato dei futures liquido, e questo aumenta la
domanda per i Bund tedeschi anche sul lato della liquidità rispetto ad altri titoli governativi
dell'area euro.
19
BARRIOS, S., et.al., 2009, Determinants of intra-euro area government bond spreads during the financial crisis
- 24 -
Attinasi et. al. (2009)20 riportano che una elevata liquidità è di solito associata con rendimenti
inferiori in equilibrio, quindi le obbligazioni più liquide possono essere scambiate con
maggiore facilità, portando così i costi di transazione più bassi. Le condizioni di liquidità
possono variare attraverso emissioni sovrane a seconda dei volumi di scambio, gli importi
delle obbligazioni in circolazione, l'attività di negoziazione di market maker e l'efficienza del
mercato secondario.
La proxy più utilizzata in letteratura21 per il rischio di liquidità è il differenziale bid/ask cioè
la differenza tra il prezzo più basso a cui un venditore è disposto a vendere un titolo (ask) e il
prezzo più alto che un compratore è disposto ad offrire per quel titolo (bid).
Altre misure per la liquidità emerse dalla letteratura sono: dimensione del mercato dei bond di
un singolo paese in percentuale sul totale europeo22 ed il volume di trading dei bond di un
paese23.
L’avversione internazionale al rischio è intesa come la propensione degli investitori ad
assumersi un rischio. Gli investitori modificano continuamente la loro funzione di preferenza
di rischio-rendimento. Di conseguenza, anche se il rischio, incorporato in un titolo rimane
invariato, il premio per il rischio richiesto può variare a seconda del prezzo del rischio.
In tempi di incertezza finanziaria, gli investitori spostano le loro preferenze verso titoli meno
rischiosi. In linea di principio, questo dovrebbe avvantaggiare tutti i titoli di Stato in quanto
sono in genere considerati meno rischiosi di altri titoli come obbligazioni societarie o titoli
azionari. Tuttavia, tra gli emittenti sovrani dell’Eurozona, il Bund tedesco è percepito come il
titolo
più
sicuro,
sia
in
termini
di
qualità
del
credito
che
di
liquidità.
Pertanto, in tempi di forte avversione al rischio, la richiesta di titoli di stato tedeschi
aumenterà24. L’avversione internazionale al rischio, a differenza dei fattori precedentemente
descritti, i quali sono country specific, è un fattore esogeno, cioè è una variabile esterna al
paese preso in esame, ed ha un comportamento comune per tutti i paesi, essendo collegata alle
preferenze degli investitori internazionali.
20
ATTINASI, M.G., et.al., 2009, What explains the surge in euro-area sovereign spreads during the financial
crisis of 2007-2009?
21
BARRIOS, S., et.al., 2009, Determinants of intra-euro area government bond spreads during the financial crisis
GERLACH, S., et.al., 2009, Banking and sovereign risk in the euro area
22
ATTINASI, M.G., et.al., 2009, What explains the surge in euro-area sovereign spreads during the financial
crisis of 2007-2009?
23
CODOGNO, L., et.al., 2003, Yield spreads on EMU government bonds
24
BARRIOS, S., et.al., 2009, Determinants of intra-euro area government bond spreads during the financial crisis
- 25 -
Una proxy frequentemente usata in letteratura25 per l’avversione internazionale al rischio è il
differenziale tra rendimenti dei titoli corporate americani di rating AAA e rendimento dei
titoli governativi USA a 10 anni.
Dopo aver delineato quali sono le principali variabili sottostanti ai movimenti degli spread
sovrani, e quali le proxy più utilizzate in letteratura per stimare dei modelli econometrici che
li studino, passerò ad effettuare una review sui principali metodi utilizzati, elencando le
principali evidenze empiriche emerse.
25
CODOGNO, L., et.al., 2003, Yield spreads on EMU government bonds
ATTINASI, M.G., et.al., 2009, What explains the surge in euro-area sovereign spreads during the financial crisis
of 2007-2009?
MANGANELLI, S., WOLWIJK, G., 2009, What drives spreads in the euro area government bond market?
BARRIOS, S., et.al., 2009, Determinants of intra-euro area government bond spreads during the financial crisis
- 26 -
2.2 Letteratura e modelli empirici sugli spread
Come appena visto la letteratura riguardante i movimenti dei rendimenti dei titoli di stato
sovrani è incentrata sullo studio dell’interazione tra spread e rischio di credito, di liquidità e
avversione internazionale al rischio. I primi due sono fattori di rischio endogeni, cioè
derivanti dalle caratteristiche strutturali dei singoli paesi, mentre la terza variabile è esogena,
cioè fuori dal controllo del singolo paese.
Studiando la letteratura che si è occupata di stimare la relazione tra gli spread sui titoli di
Stato e le variabili elencate nel paragrafo precedente, si possono rilevare due principali tipi di
approccio.
Il primo approccio consiste nella realizzazione di modelli dinamici, i quali presentano sul lato
destro dell’equazione valori ritardati delle variabili indipendenti e/o della variabile
dipendente. Un secondo approccio consiste invece nell’utilizzare modelli statici, cioè un
modello che fa ricorso solamente al valore al tempo t delle variabili.
Codogno et. al. (2003)26 hanno utilizzato un modello dinamico, occupandosi di tale tematica
ben prima della crisi finanziaria del 2008, rilevando che il movimento degli spread
dell’Eurozona è guidato prevalentemente dai fattori di rischio internazionali, poiché cambiano
la percezione del rischio collegata al singolo bond, secondo l’autore i fattori di liquidità
giocano un ruolo secondario.
Attinasi et. al. (2009)27, più recentemente, per spiegare le determinanti dell’ampiamento nel
rendimento dei titoli sovrani di alcuni paesi dell’area euro vs. i bond tedeschi nel periodo
intercorso tra luglio 2007 e marzo 2009, hanno utilizzato un modello panel dinamico. Le
variabili inserite nel modello di regressione panel dinamica sono fondamentali fiscali ed
annunci governativi di pacchetti di salvataggio alle banche. Il paper rileva che a deficit di
bilancio attesi superiori a quelli tedeschi conseguono maggiori differenziali nei rendimenti dei
bond nel corso del periodo in analisi. Gli annunci di salvataggio governativi delle banche
invece hanno ulteriormente incrementato i differenziali degli spread, visto che presuppongono
un trasferimento dei debiti bancari al bilancio governativo. Il paper, in linea con le variabili
proposte nel paragrafo precedente rileva che i differenziali di rendimento dei titoli dell'area
dell'euro riflettono le preoccupazioni circa il rischio di credito e di liquidità di un paese e
maggiore avversione al rischio internazionale. Maggiori deficit di bilancio attesi e/o maggiore
26
CODOGNO, L., et.al., 2003, Yield spreads on EMU government bonds
ATTINASI, M.G., et.al., 2009, What explains the surge in euro-area sovereign spreads during the financial
crisis of 2007-2009?
27
- 27 -
debito pubblico previsto rispetto alla Germania hanno contribuito a più alti differenziali di
rendimento dei titoli di stato nell'area dell'euro nel corso del periodo di analisi. Sulla base del
coefficiente stimato dal modello di base, l’autore scopre che le variabili esplicative hanno
contribuito, in media, per il cambiamento giornaliero degli spread dei titoli sovrani nelle
seguenti proporzioni: 56% l'avversione al rischio internazionale, il 21% fondamentali fiscali
(saldo di bilancio previsto e il debito), il 14% il proxy della liquidità, e il 9% l'annuncio di
piani di salvataggio delle banche. La grande importanza dell’avversione al rischio
internazionale nel guidare i cambiamenti in differenziali di rendimento delle obbligazioni
sovrane è riconducibile alla straordinaria severità della crisi finanziaria durante il periodo
della nostra analisi. L'evidenza empirica presentata dall’autore indica che i governi con
posizioni di bilancio attese (deficit e debito) relativamente più favorevoli possono beneficiare
di bassi costi di indebitamento (yields) relativi in tempi di crisi. Questo dà loro più spazio di
manovra nel sopportare i costi aggiuntivi derivanti da operazioni di salvataggio delle banche
che sono state critiche nel salvaguardare la fiducia e la stabilità del sistema finanziario.
Arghyrou e Kontonikas (2011)28 più recentemente hanno utilizzato un modello panel
dinamico, potendo quindi rilevare anche gli effetti della crisi del debito pubblico
dell’Eurozona, ha sempre rilevato una maggior influenza dei fattori internazionali di rischio
sull’andamento degli spread, i quali sembrano sempre aggravare l’influenza dei fattori interni
sui rendimenti dei titoli.
Caggiano e Greco (2012)29, tramite un modello panel statico, hanno rilevato come dopo una
prima fase di forte convergenza nei primi anni dell'European monetary union, le differenze tra
gli spread sovrani erano abbastanza stabili fino alla scoppio della crisi finanziaria (agosto
2007). Si sono ampliate notevolmente nella seconda fase della crisi globale, dopo il settembre
2008. Caggiano e Greco (2012) hanno rilevato inoltre che il driver di lungo periodo del
rischio sovrano è la sostenibilità di bilancio, cioè la combinazione tra orientamento della
politica fiscale e le prospettive di crescita di ogni paese nella zona, in modo da garantire gli
avanzi primari necessari per bilanciare le passività pubbliche. Sebbene la solvibilità fiscale ha
un carattere strutturale, la credibilità dell’orientamento della politica fiscale nel breve/medio
termine è necessaria per realizzarla: una improvvisa perdita di credibilità si traduce
rapidamente in un maggiore premio al rischio sovrano incorporato nei rendimenti
obbligazionari. Gli autori, nell’effettuare tale analisi, considerano un insieme ricco di
potenziali indicatori di squilibrio macroeconomico e fiscale: il debito pubblico, la quota di
28
ARGHYROU, M.G., KONTONIKAS, A., 2011, The EMU sovereign-debt crisis: Fundamentals, expectations and
contagion
29
CAGGIANO, G., GRECO, L., 2012, Sovereign Risk in the Euro Area: Is it Mostly Fiscal or Financial?
- 28 -
debito pubblico a breve termine, il debito pubblico estero, l'esposizione bancaria verso
debitori esteri e nazionali, la struttura patrimoniale del settore bancario, l'indebitamento netto
di diversi settori dell'economia, finanziamenti a breve termine ha bisogno per settore. Inoltre
considera le principali determinanti finanziarie dello spread, come il rischio di liquidità.
L’evidenza empirica portata è di una interazione tra fattori di rischio e fondamentali
macroeconomici, i cui effetti sugli spread sembrano essere amplificati da eventuali aumenti
nel rischio percepito dai mercati.
Un modello su cui vale la pena soffermarsi, poiché sarà la base di partenza per l’analisi
empirica proposta in questo elaborato è quello proposto da Barrios et.al (2009)30, il quale
sviluppa un modello statico sulle storiche degli spread (vs bund tedeschi) nei rendimenti dei
titoli di stato di 7 paesi europei (Italia, Francia, Spagna, Grecia, Portogallo, Austria e Belgio)
attraverso una stima tramite OLS di un modello di regressione lineare multipla, separatamente
per ogni singolo paese. Anche Barrios nella sua analisi inserisce proxy per il rischio di credito
(differenziali nei rendimenti dei CDS a 5 anni vs omologo tedesco), per il rischio di liquidità
(differenziali nello spread bid-ask) e per l’avversione internazionale al rischio (spread tra
rendimenti dei corporate bond USA AAA rated e rendimento a 10 anni dei bond USA,
valevole per tutti i paesi, essendo una variabile esogena), a queste variabili aggiunge una
dummy che assume valore 1 nei periodi di crisi finanziaria e 0 nel resto della serie. La
variabile dipendente è lo spread nei rendimenti tra i titoli di stato dei 7 paesi indagati e il bund
tedesco. Nell’analisi di Barrios i regressori, tranne la dummy ovviamente e la variabile
dipendente entrano nel modello come variazioni nel tempo dell’indice, per mantenere
stazionarie le serie storiche, le osservazioni sono settimanali. L’analisi di Barrios copre un
orizzonte temporale che va dal marzo 2003 all’aprile 2009 e per vedere se la crisi ha portato
differenze significative nell’influenza dei regressori sui movimenti degli spread stima il
modello sia per il periodo antecedente alla crisi finanziaria (2003-2007), poi per il periodo di
crisi (2007-2009). L’analisi individua come variabili fondamentali i fattori internazionali,
principalmente la percezione del rischio generale. I fattori domestici hanno invece un valore
esplicativo minore rispetto all’esplosione degli spread. L’impatto di questi ultimi fattori è
però cresciuto durante la crisi, quando gli investitori internazionali hanno iniziato a
discriminare maggiormente tra i paesi.
Anche Manganelli e Wolwijk (2009)31, che sviluppano un modello panel statico, sono
concordi nel legare l’andamento degli spread a rischio di credito e rischio di liquidità, oltre ad
30
31
BARRIOS, S., et.al., 2009, Determinants of intra-euro area government bond spreads during the financial crisis
MANGANELLI, S., WOLWIJK, G., 2009, What drives spreads in the euro area government bond market?
- 29 -
un fattore comune, cioè l’avversione internazionale al rischio. Tali autori rilevano come
l’avversione internazionale al rischio sia correlata al livello dei tassi di interesse di breve
periodo, quindi agli spread sui rendimenti dei bond sovrani. Inoltre gli autori decompongono
lo spread dei paesi dell’Eurozona in premio al rischio di credito e premio al rischio di
liquidità. Il premio al rischio di credito sarebbe collegato al livello di disciplina del mercato
cioè un alto premio al rischio di credito starebbe a indicare maggiore prudenza da parte del
mercato nell’acquisire titoli rischiosi. Il premio rischio di liquidità invece si sostanzierebbe
come un premio al rischio di della perdita di valore del titolo acquistato (infatti una minore
liquidità del mercato riduce il valore del titolo.
Anche Gerlach et. al. (2009)32, tramite un modello panel statico, pongono l’accento sulla
distinzione tra variabili internazionali influenzanti lo spread (tipicamente l’avversione
internazionale al rischio) e variabili domestiche, e tramite una analisi del componente
principale rilevano che la variabile più significativa è l’avversione internazionale al rischio.
Più recentemente Giordano et. al. (2012)33, sempre utilizzando un modello panel statico,
fanno una distinzione tra paesi core e paesi periferici dell’area Euro (i cosiddetti PIGS),
rilevando come le variabili di rischio internazionali abbiano una maggiore influenza sui paesi
periferici, rispetto ai core. Secondo tali autori i paesi core nel periodo della crisi del debito
pubblico, sembrano, invece, aver beneficiato di un effetto fligh-to-quality in quanto ritenuti
più sicuri dagli investitori. I paesi periferici, che a seguito dell’adesione all’Unione Europea
hanno beneficiato di un miglioramento nella percezione del loro rischio di credito, subiscono
a partire dal 2009 una repentina revisione delle aspettative degli investitori sperimentando
livelli di spread significativamente superiori a quanto spiegato dai fondamentali.
In conclusione si può affermare che le variabili riconosciute come influenzanti gli spread,
dalla letteratura, sono rischio di credito e rischio di liquidità (variabili domestiche) e
avversione internazionale al rischio (variabile esogena). Risulta inoltre che gli autori che si
sono occupati della determinazione di tale relazione hanno utilizzato una serie di approcci
differenti (dati panel, regressioni su serie storiche, modelli dinamici, modelli statici), ma la
rilevanza di queste variabili risulta essere sempre confermata.
L’evidenza che sembra dunque sorgere in letteratura è di una maggior significatività delle
variabili di rischio internazionali (international risk aversion), quindi comuni per tutti i paesi,
nella determinazione dei livelli di rendimento sui titoli di stato, tali variabili in periodi di crisi
32
GERLACH, S., et.al., 2009, Banking and sovereign risk in the euro area
GIORDANO, L., LINCIANO, N., SOCCORSO, P., 2012, The determinants of government yield spreads in the euro
area
33
- 30 -
sembrano aumentare i livelli di rendimento dei titoli di paesi con posizioni fiscali più
deficitarie.
- 31 -
- 32 -
3 L’INCERTEZZA
3.1 Cos’è l’incertezza economico politica
Il problema dell’incertezza e del relativo influsso sulle variabili economiche strutturali è stato
per la prima volta formalizzato nel 198334, rilevando come l’incertezza, incrementando il
valore dell’opzione di attesa ritarda, a livello di impresa lo stimolo ad investire.
Recentemente, conseguentemente alla crisi finanziaria del 2008, la letteratura35 ha cominciato
ad approfondire tale tematica, occupandosi degli effetti causati dall’incertezza economicopolitica alle variabili economiche strutturali. In particolare tale letteratura rileva che in seguito
a shock politici ed economici la volatilità del mercato azionario, la quale è una proxy
dell’incertezza aumenta sensibilmente, ciò starebbe ad indicare che l’aumento dell’incertezza
sarebbe una naturale conseguenza di un momento di crisi. Lo stesso Bloom cerca di fornire
una spiegazione tramite un modello empirico all’aumento dell’incertezza, introducendo in un
modello aziendale standard (formato da un mix di lavoro e capitale) un momento d’inerzia
variabile nel tempo (causato dallo shock). Il modello produce una regione centrale di inerzia
nelle assunzioni e negli investimenti a causa di costi di aggiustamento non convessi. Le
aziende assumono e investono solo quando le condizioni di business sono sufficientemente
buone, e licenziano e disinvestono solo quando sono sufficientemente cattive. Quando
l'incertezza è maggiore, questa regione di inerzia si dilata e le imprese diventano più caute nel
rispondere alle condizioni di business, per le imprese l’opzione di non investire diventa la più
conveniente. Questo modello viene usato per simulare l'impatto di un grande shock di
incertezza temporanea e scopre che genera un rapido calo, risalita, e superamento dei limiti
precedenti di occupazione, produzione e crescita della produttività. Le assunzioni di personale
e i tassi di investimento crollano drammaticamente nei 4 mesi dopo lo shock, perché la
maggiore incertezza aumenta il valore reale dell’opzione di attesa, le imprese ridimensionano
i loro piani. Una volta che l'incertezza si è placata, l’attività rimbalza velocemente ai livelli
precedenti in quanto le imprese cercano di soddisfare la loro domanda di lavoro e capitale
repressa. Anche la crescita della produttività aggregata cala drasticamente dopo lo shock,
perché il calo delle assunzioni e degli investimenti riduce il tasso di redistribuzione da
imprese a bassa produttività verso quelle a alta produttività, che guida la maggior parte della
crescita della produttività nel modello, come nell'economia reale. Nel medio termine la
maggiore volatilità derivante dallo shock di incertezza genera un "picco di volatilità." La
ragione è che la maggior parte delle imprese si trovano vicino alla loro soglia di assunzione e
34
35
BERNANKE, B, 1983, Irreversibility, uncertainty and cyclical investment
BLOOM, N., 2009, The impact of uncertainty shocks
- 33 -
di investimento, oltre la quale assumere/investire e sotto la quale hanno una zona di inazione.
L'aumento della volatilità nella crescita delle condizioni di business dopo uno shock del
momento d’inerzia conduce quindi a una crescita nel medio termine di lavoro e capitale. In
sintesi, questi effetti del momento d’inerzia generano un rapido rallentamento e rimbalzo
dell'attività economica, del tutto coerente con l'evidenza empirica. Questo è molto diverso dal
rallentamento molto più persistente che si verifica tipicamente nel primo momento in risposta
al tipo di shock di produttività e/o domanda.
Figura 5 Maggiori shock economico-politici e deviazione standard mercato azionario USA36
Nella figura soprastante, tratta dal paper di Bloom, la quale monitora la volatilità del mercato
azionario nel tempo, si nota come conseguentemente a importanti shock politico-economici, si
hanno picchi di volatilità nei rendimenti azionari (la volatilità è approssimata dall’indice
VIX), il che secondo l’autore mostra graficamente l’impatto di tali shock sull’incertezza.
Lo stesso autore37 propone un indice (di cui parleremo più approfonditamente in seguito)
indice costruito sull’analisi degli articoli dei principali quotidiani statunitensi monitorandone i
riferimenti ad argomenti che possano avere un impatto sull’incertezza economica: tasse, spesa
pubblica, politica monetaria e di regolamentazione.
36
37
BLOOM, N., 2009, The impact of uncertainty shocks
BAKER, S.R., BLOOM, N., DAVIS, S.J., 2013, Measuring Economic Policy Uncertainty
- 34 -
Questo stesso indice viene utilizzato da Antonakakis et. al. (2012)38 per cercare una
correlazione tra la serie storica del rendimento del mercato azionario e incertezza. L’evidenza
empirica trovata è che si ha una correlazione negativa tra rendimenti azionari e incertezza,
quindi la conseguenza dell’aumento della volatilità nei mercati e quindi dell’incertezza,
sembra essere un abbassamento dei rendimenti dei titoli quotati (L’autore ha utilizzato come
proxy l’indice S&P 500).
Gilchrist et. al. (2009)39 collegano l’incertezza all’andamento dei bond spread rilevano
empiricamente come aumenti di incertezza portino ad un aumento del costo del capitale
attraverso un aumento dei rendimenti sui bond, seguito da un calo dell'attività di investimento
dovuta ad una maggiore difficoltà nell’accesso al credito. A conclusioni simili arriva Arellano
et. al. (2010)40 sviluppando un modello che mette in evidenza come la fluttuazione della
volatilità conseguente agli shock politico-economici sia collegata ad una riduzione negli
output. Il modello mostra che aumenti dell'incertezza portano a ridimensionamenti dei
progetti di investimento firm level per evitare il default.
Alla opinione comune che l’aumento nell’incertezza sia una naturale conseguenza di un
momento di shock, si pongono in contrasto Bachmann et.al. (2010)41, i quali non trovano
evidenza dell’effetto di attesa ipotizzato da Bloom. Gli autori sostengono che l’aumento
dell’incertezza sia un semplice fenomeno secondario connesso al momento di crisi, con un
poco significativo impatto sull’attività firm level.
L’opinione più comune in letteratura rimane comunque nel solco di quanto detto da Bloom,
cioè rileva che aumenti nell’incertezza abbiano un effetto negativo sui mercati. Così Detzel e
Brogaard (2013)42, che usando l’indice EPU, rilevano come un aumento dell’1% di tale indice
sia correlato ad un contemporaneo abbassamento del 5,5% nei rendimenti dei mercati azionari
e ad un aumento del costo del capitale di 85 punti base (il costo del capitale è logicamente una
funzione inversa del rischio). Gli autori attribuiscono il declino nei rendimenti di mercato a
shock dei tassi di sconto, suggerendo che l’incertezza è un grosso fattore di rischio per i
portafogli azionari.
38
ANTONAKAKIS, N., CHATZIANTONIOU, I., FILIS, G., 2012, Dynamic Co-movements between Stock Market
Returns and Policy Uncertainty
39
GILCHRIST, S., SIM, J., ZAKRAJSEK, E., 2009, Uncertainty, Financial Frictions, and Investment Dynamics
40
ARELLANO, C., et.al, 2010, Financial Markets and Fluctuations in Uncertainty
41
BACHMANN, R., ELSTNER, S., SIMS, E.R., 2010 Uncertainty and economic activity: evidence from business
survey data
42
BROGAARD, A., DETZEL, J., 2013, The Asset Pricing Implications of Government Economic Policy Uncertainty
- 35 -
A simili conclusioni arrivano Gulen e Ion (2013)43, indagando sulla relazione tra l’incertezza
(approssimata dall’indice EPU) e l’investimento in capitale delle imprese. Essi rilevano come
l’aumento dell’incertezza politico-economica è correlata negativamente agli investimenti firm
level, infatti secondo l’analisi il 32% della riduzione di tali investimenti nel periodo di crisi
finanziaria (2007-2009) è dovuto all’aumento dell’incertezza conseguente allo shock causato
dalla crisi finanziaria. Gli autori inoltre rilevano come l’incertezza abbia un impatto maggiore
sugli investimenti ad alto grado di irreversibilità, sulle imprese che fanno un maggior ricorso
ai finanziamenti e su imprese che competono in mercati meno competitivi, questo fatto è
spiegabile, ricollegandosi a Bloom, poiché per queste imprese l’opzione di attesa sembrerebbe
essere più conveniente in momenti di crisi, essendo i tassi di interesse particolarmente alti, ed
essendo quindi gli investimenti più onerosi da sostenere.
La relazione tra incertezza e volatilità nei mercati azionari è invece indagata da Sum e Fanta
(2013)44, che analizzando la relazione tra l’indice EPU (USA) e la volatilità del mercato
azionario statunitense nel periodo 1985-2011, hanno rilevato una relazione positiva tra i due
indicatori. Nello specifico hanno rilevato come l’incertezza politico-economica causi un
aumento nella volatilità azionaria.
Alle medesime conclusioni arrivano Krag e Rangel (2012)45, sempre indagando sulla
relazione tra indice EPU (relativo agli USA) e volatilità (misurata come aumento della
varianza nelle quotazioni dell’indice S&P 500), e rilevando come tra i due indici ci sia una
alta correlazione, correlazione che aumenta con la maturity, infatti la correlazione tra EPU e
volatilità aumenta fino al 40% considerando la varianza dei titoli sui 10 anni, rispetto alla
varianza su base mensile. Lo stesso autore rileva che l’impatto dell’incertezza è aumentato nel
periodo post crisi finanziaria.
Sum (2012)46 si è invece occupato di indagare sulla relazione tra il movimento dell’incertezza
a livello statunitense ed europeo, rilevando una significativa cointegrazione tra l’incertezza
delle due economie e dimostrando una certa interconnessione tra economia statunitense ed
europea. Quindi un cambio di indirizzo politico di una nazione può avere un effetto diretto
nelle economie di altri paesi, effetto che si avverte ovviamente più sensibilmente nel caso il
cambio di indirizzo provenga da una economia di primaria importanza come quella
statunitense.
43
GULEN, H., ION, M., 2013, Policy Uncertainty and Corporate Investment
V., FANTA, F., SUM, 2013, Long-Run Relation and Speed of Adjustment of Economic Policy Uncertainty and
Excess Return Volatility
45
KRAG, G., RANGEL, J.G., 2012, Links between policy uncertainty and equity volatility
46
SUM, V., 2012, Economic Policy Uncertainty in the United States and Europe: A Cointegration Test
44
- 36 -
A rilevare l’effetto che ha l’incertezza economico-politica a livello europeo sui principali
indici di performance delle più importanti economie dell’Eurozona (Francia, Italia e
Germania), ci pensa Piano (2013)47, il quale rileva come shock economico-politici a livello
europeo portano ad un persistente declino nella produzione industriale dei paesi studiati, il che
sembra essere in linea con le medesime considerazioni fatte da altri autori a livello
statunitense.
Sum (2012)48 si è invece occupato di indagare, sempre a livello europeo, gli effetti
dell’incertezza sui rendimenti del mercato azionario, rilevando che, analogamente a quanto
evidenziato da altri autori per il mercato azionario statunitense, un aumento nell’incertezza
(sempre approssimata dall’indice EPU a livello europeo), è correlata ad una significativa
diminuzione nei rendimenti dei mercati azionari europei (approssimati da un indice
comprendente i mercati azionari dell’Eurozona).
In conclusione sembrerebbe quindi scontato affermare che l’incertezza economico-politica ha
una notevole influenza sulle variabili economiche strutturali.
Innanzitutto, l’incertezza è positivamente correlata alla volatilità dei mercati azionari, il che
indica che l’effetto di un importante shock economico-politico ha un effetto diretto sulle
quotazioni azionarie. Questo effetto è facilmente spiegabile rifacendosi alla letteratura, la
quale ha evidenziato come l’aumento dell’incertezza conseguente a tali shock aumenta
l’opzione a livello firm di attesa e quindi ritarda investimenti in capitale e assunzioni.
L’investimento in capitale è ritardato anche dall’aumento dei rendimenti richiesti sul credito
dovuto all’incertezza, poiché aumentando il rischio di investimento, aumenta anche lo yield
(dovendo questo in sostanza remunerare il rischio di investimento. L’incertezza si pone quindi
come determinante della volatilità dei mercati azionari, poiché come approfondito, ad aumenti
dell’incertezza, conseguenti a shock economico-politici, consegue un aumento della volatilità
dei mercati.
Dalla letteratura risulta inoltre che tali effetti sono trasversali, essendo stati evidenziati sia per
quanto riguarda l’economia statunitense, che per quella europea. In proposito si è anche
evidenziato come shock derivanti da economie molto importanti a livello globale, quale quella
statunitense, vanno a influire sulla volatilità di altri mercati, il che evidenzia un significativo
47
PIANO, S., 2013, The impact of European Economic Policy Uncertainty on the economic performance of the
Eurozone
48
SUM, V., 2012, The Impulse Response Function of Economic Policy Uncertainty and Stock Market Returns: A
Look at the Eurozone
- 37 -
effetto di contagio. Tale effetto è evidente per quanto riguarda l’accaduto in seguito alla crisi
finanziaria del 2008 in cui l’effetto contagio registrato è stato significativo.
Alla luce di tali evidenze sembra indispensabile, nella costruzione di un modello che stimi
l’andamento dei tassi di rendimento dei titoli sovrani, inserire l’incertezza, poiché come visto
l’influsso sui rendimenti di tale variabile è significativo.
Il modo in cui l’incertezza economico-politica si relaziona con le variabili fiscali e lo spread è
stato già parzialmente introdotto nella prima sezione. L’evidenza grafica mostra infatti come
pre-crisi del debito pubblico, a livelli di Debito/pil sensibilmente diversi tra loro, nei Paesi
presi a campione, corrispondessero rendimenti sui titoli di stato uniformi. Questo scenario è
radicalmente cambiato in seguito agli accadimenti che hanno investito i paesi dell’Eurozona,
portando i rendimenti sui titoli di Stato a differenziarsi sensibilmente in base alla fiducia data
dai mercati alla solvibilità dei rispettivi Paesi. Il mutamento di tale atteggiamento dei mercati,
stante la non eccessiva variazione nelle posizioni fiscali, sembra essere imputabili a fattori di
rischio esterni ai Presi in considerazione, quali avversione internazionale al rischio e
incertezza economico politica.
Come visto, alcuni autori49 si sono occupati di verificare empiricamente la correlazione tra
incertezza economico-politica e volatilità, il che permette di utilizzare come proxy
dell’incertezza economico politica le principali misure della volatilità azionaria.
Le principali misure della volatilità sono gli indici VSTOXX e VIX.
L'indice VSTOXX indica la volatilità dell'indice Dow Jones, mentre l’indice VIX indica la
volatilità del Chicago Board Options Echange, ovvero il più grande mercato dei derivati del
Mondo, si tratta di un indice che misura la volatilità implicita nel prezzo delle opzioni, ovvero
di un indicatore che misura il prezzo che gli operatori sono stati disposti a pagare per
assicurarsi la facoltà ma non l’obbligo di scommettere al rialzo e al ribasso sull’indice
S&P50050.
Vista la cointegrazione appurata dalla letteratura51 oggetto della precedente review, tali
indicatori vengono spesso utilizzati come proxy dell’incertezza anche per l’Eurozona.
49
FANTA, F., SUM, V., 2013, Long-Run Relation and Speed of Adjustment of Economic Policy Uncertainty and
Excess Return Volatility
KRAG, G., RANGEL, J.G., 2012, Links between policy uncertainty and equity volatility
50
Borsaitaliana.it, 2012, VIX, questo sconosciuto
51
SUM, V., 2012, Economic Policy Uncertainty in the United States and Europe: A Cointegration Test
- 38 -
Per verificare la bontà di tali indici come proxy per l’incertezza, ho 52 ricercato la correlazione
tra le serie storiche di VSTOXX e VIX (osservazioni su base mensile nell’orizzonte temporale
dicembre 2005-giugno 2013) e gli spread rilevati nel medesimo orizzonte temporale, con la
medesima frequenza di osservazioni, per i paesi oggetto dell’indagine (Italia, Francia, Spagna,
Grecia, Austria, Belgio, Portogallo)53.
Tabella 1 Correlazione tra spread e indici di volatilità
STATO
Italia
Francia
Spagna
Grecia
Portogallo
Austria
Belgio
VSTOXX
0,2005
0,4115
0,0751
0,0932
0,1592
0,6077
0,4349
VIX
0,0427
0,2733
0,0747
0,0691
0,0045
0,4973
0,2848
Dalle soprastanti tabelle riassuntive, si può notare come ci sia evidenza di una certa
correlazione tra gli indici di volatilità del mercato azionario (VSTOXX) e dei derivati (VIX)
statunitensi, almeno per la maggioranza dei paesi campione, correlazione che sembra più forte
rispetto all’indice VSTOXX. Non si può però certo dire che per Spagna e Grecia rispetto a
VSTOXX e per Italia, Spagna, Grecia e Portogallo rispetto a VIX, questa correlazione sia
forte, ho quindi cercato una spiegazione grafica a tale evidenza.
52
53
Utilizzando il software statistico GRETL
Tutti i dati sono estratti dal database Datastream
- 39 -
Figura 6 Andamento Spread e VSTOXX
40
70
35
60
30
50
25
20
40
15
30
10
20
5
10
spread ita
spread fra
spread gre
spread por
spread spa
spread aus
spread belgio
VSTOXX
apr-13
dic-12
ago-12
apr-12
dic-11
ago-11
apr-11
dic-10
ago-10
apr-10
dic-09
ago-09
apr-09
dic-08
ago-08
apr-08
dic-07
ago-07
apr-07
dic-06
ago-06
apr-06
-5
dic-05
0
0
Figura 7 Andamento Spread e VIX
40
80
35
70
30
60
25
50
20
40
15
30
10
20
5
10
spread ita
spread fra
spread gre
spread por
spread spa
spread aus
spread belgio
VIX
apr-13
dic-12
ago-12
apr-12
dic-11
ago-11
apr-11
dic-10
ago-10
apr-10
dic-09
ago-09
apr-09
dic-08
ago-08
apr-08
dic-07
ago-07
apr-07
dic-06
ago-06
apr-06
-5
dic-05
0
0
Disegnando graficamente l’andamento delle serie storiche di VSTOXX e VIX e degli spread
presi in considerazione per l’analisi appena effettuata, si può notare come ci siano dei picchi
per entrambi gli indici di volatilità contemporaneamente ai picchi rilevati negli spread nel
periodo dell’emergenza del debito pubblico, il che farebbe presumere che ci sia una forte
correlazione.
- 40 -
Ciò che però indebolisce tale evidenza è quello che succede all’andamento di entrambi gli
indici a cavallo della crisi del 2008, quando questi subiscono un picco improvviso.
Tale picco non si rileva nell’andamento degli spread degli Stati presi a campione, poiché,
come visto nella prima sezione, questi non hanno subito significativi aumenti nel periodo
della crisi finanziaria.
La motivazione di tale discrepanza va ricercata nell’origine di VSTOXX e VIX, i quali sono
indici di volatilità relativi al mercato statunitense e dunque mal si prestano ad approssimare la
volatilità relativa ai mercati europei.
Nella precedente review letteraria si specificava infatti che nelle rilevazioni empiriche di
correlazione tra tale indice e l’indice EPU, si era utilizzato l’indice EPU relativo agli Stati
Uniti.
Si pone dunque il problema di ricavare un indice che funga da proxy dell’incertezza
economico-politica dell’Eurozona, non essendo questa direttamente osservabile.
Per inserire l’incertezza nel modello empirico ho quindi necessità di un indicatore che si
riferisca all’Eurozona. L’indice che introdurrò nell’analisi empirica è l’indice EPU, proposto
da Bloom, di cui già accennato nella review letteraria appena conclusa, nel seguente paragrafo
andrò quindi ad approfondire i criteri di costruzione di tale indice, constatando se si può
rivelare come un indicatore utile al fine dell’analisi in corso.
- 41 -
3.2 Indice EPU
Come visto nel precedente paragrafo, negli ultimi anni ha assunto rilevanza la letteratura
relativa all’incertezza economico-politica, la quale risulta essere un significativo driver della
volatilità dei mercati azionari, nonché dei tassi di rendimento del credito. L’incertezza risulta
inoltre essere significativamente influenzata da shock politico-economici. Per tali motivi
sembra essere indispensabile introdurne una proxy in un modello di stima dell’andamento dei
rendimenti di titoli di stato, il problema è che l’incertezza risulta difficilmente osservabile,
non esistendo indici che ne monitorino l’andamento.
In aiuto ci viene un autore54 che si è occupato di sviluppare in indice che misura l’incertezza
economico politica e ne ha esaminato l’evoluzione dal 1985. L’indice riguardante gli USA
cattura tre aspetti dell’incertezza economico-politica, che entrano come componenti
nell’indicatore. La prima componente è la frequenza di riferimenti a incertezza economica e
politica in 10 principali quotidiani statunitensi (USA Today, Miami Herald, Chicago Tribune,
Washington Post, Los Angeles Times, Boston Globe, San Francisco Chronicle, Dallas
Morning News, New York Times, the Wall Street Journal). La seconda componente riguarda
numero e relativo impatto sui ricavi delle scadenze fiscali previste secondo le relazioni del
Congressional Budget Office (CBO). L’ultima componente è la dispersione tra le previsioni
dei singoli previsori sui livelli futuri del Consumer Price Index, le spese federali, e le spese
statali e locali (l’autore utilizza come fonte dati della Federal Reserve Bank di Philadelphia
Survey
of
Professional
Forecasters)
questo
per
inserire
nell’indice
le
variabili
macroeconomiche legate alla politica.
L'indice EPU risultante è sensibile, con picchi intorno elezioni presidenziali e in conseguenza
di grandi shock come le guerre del Golfo e l’attentato dell’11 settembre 2001. Recentemente,
è salito ai massimi storici dopo il fallimento di Lehman Brothers, le elezioni del 2010 e la
crisi della zona euro.
L’autore analizza questo indice in primis attraverso la lettura di 5000 articoli di giornale per
rilevare se effettivamente discutono di incertezza politica. Rileva il numero di volte che se ne
parla e le compara con l’indice EPU, trovando una buona correlazione. Trova poi una forte
correlazione tra l’indice EPU e il numero di scossoni di borsa innescato da notizie politiche.
L’indice EPU sembra quindi una buona proxy per l’incertezza politica. Dall’indagine
effettuata sugli articoli di giornale risulta che gli articoli che maggiormente incrementano
l’incertezza riguardano le tasse, la spesa, la politica monetaria e di regolamentazione. Tutti
54
BAKER, S.R., BLOOM, N., DAVIS, S.J., 2013, Measuring Economic Policy Uncertainty
- 42 -
assieme questi elementi di prova suggeriscono che nel periodo recessivo 2007-2009
l’incertezza politica è sensibilmente aumentata. Un incremento guidato maggiormente da
politiche fiscali, regolatorie e di spesa pubblica.
A questo punto l’autore stima l’impatto dell’EPU attraverso due distinti metodi: in primo
luogo, misura le differenze tra settori nella loro esposizione a un aspetto della politica del
governo per valutare l'impatto dei cambiamenti nella incertezza politica nelle imprese su
investimenti e occupazione. In particolare, alcuni settori come la difesa, la sanità e la
costruzione sono più dipendenti da contratti governativi rispetto ad altri settori, quindi
dovrebbero essere più sensibili ad aumenti dell’EPU. Utilizzando un database del Governo
federale delle società appaltanti, per costruire misure di esposizione di politica insieme ai dati
Compustat per misurare investimento e di occupazione, l’autore trova grandi e significativi
impatti negativi della crescente incertezza politica, come misurato dall’indice EPU. I dati
evidenziano un effetto causale negativo dell’incertezza politica in materia di investimenti e
assunzioni, non forniscono molte indicazioni sulle grandezze aggregate a causa della messa a
fuoco su un solo canale politico (i contratti di appalto governativi). Quindi, come indicazione
di massima per il potenziale effetto EPU, stima un modello autoregressivo vettoriale semplice
(VAR). I risultati della regressione suggeriscono che un'innovazione nell'incertezza politica
equivalente all'aumento reale 2006-2011 è seguita da un calo di circa il 2,5% della produzione
industriale e 2,3 milioni di posti di lavoro. Si tratta, naturalmente, non necessariamente di una
relazione, evidenzia che l'entità degli impatti deleteri di incertezza politica può essere
potenzialmente elevata.
Lo stesso autore poi si occupa di elaborare un analogo indice anche per l’Europa, solo che a
differenza che per gli USA tralascia nell’indicatore la componente riguardante le scadenze
fiscali, essendo un dato idiosincratico della sola realtà americana.
- 43 -
Figura 8 EPU USA e principali shocks politico economici55
L’indice EPU europeo dunque è ponderato al 50% sull’indice delle news riguardanti
l’incertezza e al 50% sugli scostamenti nelle previsioni dei livelli di spesa.
La componente basata sulle notizie riguardanti l’incertezza è ricavata dai riferimenti ricavati
nelle news di due quotidiani per ognuno dei paesi considerati nell’analisi (Handelsblatt e
Frankfurter All gemeine Zeitung per la Germania, El Pais e El Mundo per la Spagna, Corriere
della Sera e La Repubblica per l’Italia, Le Monde e Le Figaro per la Francia, Financial Times
e The Times of London per il Regno Unito). Come per l’omologo indice USA la metodologia
consiste nel contare il numero di articoli che fanno riferimento a una serie di termini i quali
hanno una relazione con l’incertezza. Ciascuna serie di articoli dei quotidiani è normalizzata
dividendo per la deviazione standard della serie e poi sommata alle altre. Le serie vengono
inoltre espresse in percentuale.
Per la componente riguardante gli scostamenti nelle previsioni di spesa l’autore si è basato sui
dati previsionali mensili riguardanti importanti variabili economiche come inflazione e bilanci
governativi forniti da Consensus Economics. Queste variabili vengono considerate, al pari che
per l’indice statunitense, poiché sono influenzate significativamente dalle politiche
governative monetarie e fiscali. Come per l’indice statunitense si considerano le differenze tra
le previsioni degli esperti. Effettuate le rilevazioni si normalizza l’indice dividendolo per la
deviazione standard e si sommano le rilevazioni riguardanti gli indici dei vari paesi
considerati, per ottenere un indice EPU a livello europeo.
55
BAKER, S.R., BLOOM, N., DAVIS, S.J., 2013, Measuring Economic Policy Uncertainty
- 44 -
Analizzando i movimenti dell’indice si rilevano importanti movimenti in seguito ai medesimi
shock rilevati per quello americano, ma in aggiunta sembrano influenzare l’incertezza
avvenimenti come il salvataggio alla banca Northern Rock e la crisi del debito greca.
Figura 9 EPU europeo e principali shocks politico economici56
L’autore per l’Europa ha elaborato un indice per ciascuno dei paesi ricompresi nell’analisi,
utilizzando le news ed i forecast relativi ad ogni singolo paese ed un indice aggregato, che
sarà quello ricompreso nell’analisi empirica dell’elaborato, ipotizzando che sia l’incertezza a
livello comunitario ad agire come driver dello spread, agendo quindi come variabile esogena.
Come già visto nel precedente paragrafo esiste una consistente letteratura che utilizza l’EPU
(USA) in analisi econometriche come driver di variabili economiche strutturali, questo in
virtù del fatto che l’indice si pone anche come proxy della volatilità (correlazione positiva e
significativa tra EPU (USA) e VIX e VSTOXX).
Per saggiare questa correlazione tra indice EPU a livello europeo e volatilità dei mercati
azionari ho effettuato57 una analisi di correlazioni tra l’indice suddetto e gli indici VSTOXX e
VIX ricavati dal database Datastream. L’obiettivo è di verificare se la correlazione positiva
individuata dalla letteratura per quanto riguarda il mercato azionario americano con l’indice
EPU (USA) sussiste anche per quanto riguarda l’omologo europeo.
56
57
BAKER, S.R., BLOOM, N., DAVIS, S.J., 2013, Measuring Economic Policy Uncertainty
utilizzando il software GRETL
- 45 -
Gli indici di volatilità ricavati da Datastream sono costituiti da osservazioni giornaliere,
mentre EPU da osservazioni mensili, quindi il primo passo è di ricavare dagli indici di
volatilità delle osservazioni mensili. Le osservazioni partono da dicembre 2005 e terminano in
giugno 2013.
Il passo seguente è di stimare la correlazione tramite il comando “Matrice di correlazione” di
GRETL.
La correlazione risultante è descritta dalla seguente tabella:
Tabella 2 Correlazione tra indici di volatilità e EPU europeo
INDICE DI VOLATILITA’ COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE CON EPU (EU)
VSTOXX
0,5758
VIX
0,4643
Quindi anche per quanto riguarda il mercato europeo, si rileva una correlazione significativa,
oltre che positiva tra la serie storica dell’indice EPU e le serie storiche degli indici di volatilità
del mercato azionario statunitense, il che significa che aumentati livelli di incertezza sono
correlati ad aumentati livelli di volatilità azionaria.
Nelle figure sottostanti si può avere anche una evidenza grafica di tale correlazione.
Figura 10 Andamento VSTOXX e EPU europeo
70
250
60
200
50
150
40
30
100
20
50
10
VSTOXX
- 46 -
EPU
apr-13
dic-12
ago-12
apr-12
dic-11
ago-11
apr-11
dic-10
ago-10
apr-10
dic-09
ago-09
apr-09
dic-08
ago-08
apr-08
dic-07
ago-07
apr-07
dic-06
ago-06
apr-06
0
dic-05
0
Figura 11 Andamento VIX e EPU europeo
80
250
70
200
60
50
150
40
100
30
20
50
10
VIX
apr-13
dic-12
ago-12
apr-12
dic-11
ago-11
apr-11
dic-10
ago-10
apr-10
dic-09
ago-09
apr-09
dic-08
ago-08
apr-08
dic-07
ago-07
apr-07
dic-06
ago-06
apr-06
0
dic-05
0
EPU
Come si può notare graficamente, vi è una evidenza di significativi co-movimenti tra EPU ed
entrambi gli indici di volatilità dei mercati statunitensi, il che indicherebbe la bontà di tale
indice come proxy della volatilità.
Un’altra evidenza è data dal fatto che in corrispondenza del picco di VSTOXX e VIX del
2008 (crisi finanziaria), anche l’indice EPU presenta sensibili aumenti, ma il picco di tale
indice si presenta in contemporanea al periodo di maggiore emergenza nella crisi del debito
pubblico dell’Eurozona, il che sembra indicare che tale indice si pone effettivamente in
relazione con l’andamento degli spread sui titoli di stato dell’area Euro.
- 47 -
- 48 -
4 IL MODELLO EMPIRICO
4.1 Specificazione del modello
Come già introdotto, questo elaborato vuole studiare qual è l’impatto dell’incertezza
economico-politica sull’andamento degli spread e vuole farlo inserendo in un modello di
regressione già proposto dalla letteratura l’indice EPU proposto da Baker Bloom e Davis.
Il modello di partenza scelto per questa analisi è dunque il modello di Barrios et.al.(2009)58, il
quale conformandosi alla letteratura59 consolidatasi in seguito alla crisi finanziaria del 2008,
individua tre principali fattori influenzanti l’andamento degli spread: rischio di credito, rischio
di liquidità e avversione internazionale al rischio.
Il motivo che mi ha portato a scegliere di basarmi su questo modello, piuttosto che su uno dei
numerosi altri proposti dalla letteratura, è principalmente la strutturazione del modello, la
quale permette di rendere stazionarie le serie storiche dei regressori e della variabile
dipendente. Infatti in tale modello sia i valori assunti dalla variabile dipendente che dai
regressori entrano per differenziazione60, rendendo sia la media che la varianza delle serie
costanti nel tempo. Ciò è importante poiché una serie stazionaria non ha il problema della
dipendenza delle variazioni cicliche e stagionali dal livello della serie. Infatti, la stazionarietà
in media garantisce che il livello generale della serie è sempre lo stesso, mentre la
stazionarietà in varianza garantisce che le oscillazioni hanno sempre la medesima struttura di
fondo. Ciò implica che una serie stazionaria è complessivamente più facile da analizzare e che
le previsioni siano più facili e robuste.
Sulla base di queste premesse Barrios et. al. (2009) hanno sviluppato un modello di
regressione lineare multipla includendo nell’analisi 7 paesi UE: Francia, Italia, Belgio,
Austria, Spagna, Portogallo e Grecia, in cui la variabile dipendente è la variazione su base
settimanale (procedimento che rende le variabili stazionarie) dello spread nel rendimento dei
titoli di stato decennali di ogni paese (yield) nei confronti dell’omologo tedesco (preso come
benchmark poiché, su base europea, rappresenta il titolo che dà più garanzie, con conseguenti
rendimenti più bassi). Il regressore preso da Barrios et.al.(2009) come proxy per il rischio di
58
BARRIOS, S., et.al., 2009, Determinants of intra-euro area government bond spreads during the financial crisis
ATTINASI, M.G., et.al., 2009, What explains the surge in euro-area sovereign spreads during the financial
crisis of 2007-2009?
BARRIOS, S., et.al., 2009, Determinants of intra-euro area government bond spreads during the financial crisis
CAGGIANO, G., GRECO,L., 2012, Sovereign Risk in the Euro Area: Is it Mostly Fiscal or Financial?
CODOGNO, L., et.al., 2003, Yield spreads on EMU government bonds
GERLACH, S., et.al., 2009, Banking and sovereign risk in the euro area
MANGANELLI, S., WOLWIJK, G., 2009, What drives spreads in the euro area government bond market?
60
sottraendo al valore corrente il valore assunto dalla serie al tempo precedente
59
- 49 -
credito è lo spread tra il rendimento dei credit default swaps quinquennali di ogni singolo
stato e l’omologo tedesco (sempre in variazione su base settimanale), questo poiché il cds è
un titolo che ha la funzione di trasferire il rischio di credito. Nel modello di Barrios
et.al.(2009) la proxy per il rischio di liquidità è costituita dallo spread della differenza tra bid
e ask dei titoli di stato di ogni paese vs omologo tedesco (sempre in variazione), questo
poiché questa misura è influenzata dalla profondità del mercato. La proxy della avversione
internazionale al rischio è invece costruita come differenza tra rendimento dei titoli corporate
AAA statunitensi e rendimenti sui bond USA a 10 anni. Un altro regressore inserito nel
modello da Barrios et.al.(2009) è una dummy che assume valore 0 in periodo di “non crisi” e
1 in periodo di crisi. Barrios et.al.(2009) stima il modello (arco temporale marzo 2003, aprile
2009) tramite OLS separatamente per ogni paese preso in analisi.
Il primo passo è dunque di riprodurre il più fedelmente possibile tale modello, rispetto a
Barrios che effettua osservazioni su base settimanale a partire dal marzo 2003, i dati
disponibili su Datastream mi hanno consentito di fare partire le mie osservazioni solo dal
dicembre 2005. Un'altra differenza nell’impostazione riguarda la frequenza delle
osservazioni, per Barrios et.al.(2009) questa frequenza è su base settimanale, io ho dovuto
invece effettuare osservazioni mensili, questo poiché il passo successivo sarà di stimare il
modello con l’aggiunta dell’indice EPU, il quale è disponibile esclusivamente su base
mensile.
Il punto di partenza dell’analisi è dunque rappresentato dal seguente modello:
∆spreadit=α+β1∆cds_spreadit+β2∆bid/ask_spreadit+β3∆int_risk_avt+β4crisist+εit
dove:
spreadit=rit-rdt, cioè lo spread in un dato momento è dato dalla differenza tra il rendimento
del bond decennale di un dato paese con l’omologo tedesco;
cds_spreadit è la differenza di rendimento di un cds quinquennale di un dato paese con
l’omologo tedesco, misura del rischio di credito;
bid/ask_spreadit è dato dalla differenza tra un dato paese e la Germania nel differenziale tra
lo tra il prezzo più basso a cui un venditore è disposto a vendere un titolo e il prezzo più alto
che un compratore è disposto ad offrire per quel titolo, misura della liquidità;
int_risk_avt è dato dalla differenza tra i rendimenti dei corporate bond AAA rated statunitensi
e i rendimenti dei bond a 10 anni statunitensi, misura dell’avversione internazionale al rischio;
- 50 -
crisist è una dummy costruita da Barrios et.al.(2009) che assume valore 1 in un momento di
crisi finanziaria e 0 negli altri momenti, a differenza di Barrios et.al.(2009) che ha fatto
assumere valore 1 alla variabile solo nel periodo successivo alla crisi finanziaria del 2008,
essendo il paper in anticipo rispetto alla crisi del debito pubblico; mi sono premurato di far
assumere valore 1 alla dummy anche nel periodo della crisi del debito europea;
εit è il termine d’errore.
Come Barrios et.al.(2009), andrò a stimare il modello tramite OLS separatamente per ognuno
dei 7 paesi presi in considerazione, verificando61 che non ci siano evidenze di
eteroschedasticità ed autocorrelazione dei residui, oltre che di non linearità. Come si nota
facilmente, sia la variabile dipendente che i regressori (tranne la dummy) sono inseriti nel
modello in variazione mensile, questo per mantenere le serie stazionarie.
Lo step successivo è quello, una volta verificata l’esistenza di una correlazione tra incertezza
(approssimata dall’indice EPU) e movimento degli spread, di aggiungere al modello l’indice
EPU, mantenendo comunque la forma lineare per vedere qual’è nel modello stimato, tenendo
ferme le altre variabili, il contributo dell’incertezza all’esplicazione del movimento degli
spread. Il modello stimato sarà quindi il seguente:
∆spreadit=α+β1∆cds_spreadit+β2∆bid/ask_spreadit+β3∆int_risk_avt+β4crisist+β5∆EPUt+εit
Anche l’indice EPU viene inserito come variazione nel tempo, conformndosi agli altri dati del
modello, come si nota al pedice l’indice, analogamente alla variabile di avversione
internazionale al rischio, è comune per tutti i paesi presi in considerazione, poiché trattasi di
variabile esogena.
Successivamente, in caso il modello presenti evidenze di non linearità, sarà utile stimare
l’interazione dell’indice EPU con le altre vaiabili. Il modello stimato dovrebbe quindi
proporsi con la seguente forma:
∆spreadit=α+δEPUt(∆cds_spreadit+ ∆bid/ask_spreadit+ ∆int_risk_avt)+β4crisist+εit
L’idea che sta dietro a tale formulazione è di verificare se l’interazione con l’incertezza possa
in qualche modo aumentare la significatività di alcuni dei regressori proposti da Barrios
et.al.(2009). Crisis, in quanto dummy non viene interagita con l’incertezza.
L’ultimo passo previsto dall’analisi dell’impatto dell’incertezza sugli spread, una volta
rilevato l’effetto dell’interazione tra EPU e gli altri regressori, è quello di aggiungere al
61
tramite i test messi a disposizione da GRETL
- 51 -
modello con interazione, tutti i regressori del modello originario presi singolarmente, tranne
crisis. L’idea alla base dell’eliminazione della dummy è che, come abbiamo visto nel capito
dedicato, l’incertezza risulta essere molto sensibile agli shock politico-economici, tra questi
anche l’esplosione di crisi finanziaria e crisi del debito pubblico, come anche osservabile dal
grafico disponibile nel capitolo dedicato all’incertezza, quindi sembrerebbe essere l’indice
EPU, in interazione con gli altri regressori, una proxy più aderente alla realtà della dummy
proposta da Barrios et.al.(2009). Infatti secondo l’ipotesi sostenuta nell’elaborato, un aumento
nell’incertezza
economico-politica
dovrebbe
portare
ad
una
maggiore
sensibilità
dell’andamento degli spread alle differenze tra le variabili interne ai Paesi campione. Un’altra
evidenza che ci si aspetta di rilevare attraverso tale formulazione è di una comunanza di segno
tra δ ed i vari β dei regressori presi singolarmente, il che starebbe ad indicare che
l’introduzione di EPU ha l’effetto di sensibilizzare l’effetto che subisce la variabile
dipendente dalla variazione unitaria dei regressori. Il modello finale sarà dunque il seguente:
∆spreadit=α+δEPUt(∆cds_spreadit+ ∆bid/ask_spreadit+ ∆int_risk_avt)
+β1∆cds_spreadit+β2∆bid/ask_spreadit+β3∆int_risk_avt +εit
Tutti i modelli proposti verranno stimati tramite OLS separatamente per ognuno dei 7 paesi
presi in analisi dal modello (analogamente a quanto fatto da Barrios et.al.(2009)), verificando
quali siano le differenze in termini di significatività delle variabili e dello stesso modello, oltre
alle differenze in termini di valore esplicativo del modello. Sarà ovviamente mia premura
verificare che non ci siano evidenze di eteroschedasticità e autocorrelazione nei residui.
L’obiettivo finale sarà di decretare se si può, tramite l’utilizzo di EPU, costruire un modello di
regressione rispetto allo spread con un fit più elevato rispetto ai modelli già proposti in
letteratura e di valutare come l’incertezza interagisce con gli altri regressori del modello.
- 52 -
4.2 Dataset
In questa sezione mi occupo di descrivere la natura dei dati raccolti per costruire il modello di
regressione precedentemente descritto.
Il database utilizzato per estrarre le serie storiche con cui costruire variabile dipendenti e
regressori è Datastream.
Le serie storiche sono raccolte per ciascuno dei 7 paesi ricompresi nell’analisi (Italia, Francia,
Spagna, Grecia, Portogallo, Austria e Belgio), più la Germania, utilizzata come benchmark
per rilevare i differenziali degli indici, poiché i titoli tedeschi sono unanimemente riconosciuti
come i più sicuri.
La variabile dipendente è rappresentata dallo spread, calcolato come differenza tra i
rendimenti dei bond sovrani dei paesi considerati e gli omologhi tedeschi. Per ricavare tale
dato ho estratto da Datastream le serie dei bond yield decennali dei 7 stati considerati e della
Germania. Tale serie storica è costituita da osservazioni mensili il che la rende già idonea ad
essere inserita nel modello, il quale prevede una frequenza temporale mensile, visto che la
variabile studiata (EPU) viene osservata mensilmente.
Il regressore inserito nel modello come proxy del rischio di credito è il differenziale tra il
rendimento dei CDS (credit default swaps) dei paesi presi in esame e l’omologo del
benchmark tedesco. In linea con quanto fatto da Barrios ho estratto da datastream le serie
storiche dei rendimenti sui CDS dei titoli di stato, le quali presentano osservazioni giornaliere.
Per essere inserito nel modello quindi è necessario estrarre da tale serie storica delle
osservazioni mensili, il che viene effettuato estraendo l’osservazione mediana per ciascun
mese osservato dal modello (il dato più prossimo al 15 del mese). Le serie storiche sui CDS
estratte da Datastream definiscono inoltre il punto di partenza della nostra analisi, non
essendo disponibili per date anteriori al dicembre 2005. Successivamente si procede a
calcolare il differenziale tra rendimento di ogni stato osservato e rendimento del CDS tedesco.
Il regressore inserito come proxy del rischio di liquidità è lo spread tra il differenziale bid/ask
dei paesi interessari dall’analisie l’omologo tedesco. Non essendo disponibili tali dati su
Datastream, ma essendo disponibile il dato di bid dei singoli bond, ho ritenuto di poter
approssimare la liquidità del mercato attraverso tale indicatore, considerando che il prezzo più
altro che il compratore è disposto a offrire (bid) rappresenti una buona proxy per tale rischio.
Le serie storiche dei bid sui bond sovrani hanno osservazioni giornaliere, quindi
analogamente a quanto fatto per l’indice riguardante i CDS, ho estratto delle osservazioni
- 53 -
mensili su tale serie, estraendo per ogni mese l’osservazione più vicina al giorno mediano (15
di ogni mese). Successivamente ne ho calcolato i differenziali rispetto al benchmark tedesco.
L’ultimo regressore che mutuo dal modello proposto da Barrios et.al.(2009) è costituito da
una dummy cui viene assegnato valore 1 in momenti di crisi e valore zero in momenti di
stabilità. L’assegnazione di tali valori è ovviamente a discrezione dell’autore, il quale si basa
sui picchi di spead determinati graficamente. Barrios et.al.(2009), essendo stato il suo modello
sviluppato in un periodo precedente la crisi del debito sovrano europeo, ma successivamente
alla crisi finanziaria, ha assegnato valore 1 al periodo compreso tra settembre 2008 e marzo
2009, coincidente con il momento di maggiore emergenza finanziaria a livello globale (con
rispettivi movimenti verso l’alto degli spread). Per rendere la dummy più aderente alla mia
analisi, che va dal 2006 al 2013, ho assegnato valore 1 anche al periodo compreso tra marzo
2010 (periodo corrispondente all’esplosione della crisi greca, fatto scatenante della crisi del
debito europea) e giugno 2013 (ultima osservazione del modello), basandomi su una analisi
grafica del movimento degli spread (come si può vedere dal grafico sottostante l’esplosione
degli spread europei inizia a marzo 2010, con la Grecia che precede tutti gli altri stati).
Figura 12 Andamento spread Eurozona
40
35
30
25
20
15
10
5
spread ita
spread fra
spread gre
spread spa
spread aus
spread belgio
apr-13
dic-12
ago-12
apr-12
dic-11
ago-11
apr-11
dic-10
ago-10
apr-10
dic-09
ago-09
apr-09
dic-08
ago-08
apr-08
dic-07
ago-07
apr-07
dic-06
ago-06
apr-06
-5
dic-05
0
spread por
Il regressore che vado ad aggiungere al modello di Barrios et.al.(2009), e che, messo in
relazione con gli spread sovrani, rappresenta il contributo innovativo di tale elaborato è
l’indice EPU, indice proposto da Baker, Bloom e Davis, che agisce come proxy
- 54 -
dell’incertezza economico-politica. L’indice EPU europeo viene osservato con cadenza
mensile a partire da gennaio 1997, quindi risulta idoneo ad essere ricompreso nell’indagine.
La variabile dipendente e tutti i regressori, tranne la dummy relativa alla crisi, vengono
inseriti nel modello in variazione nel tempo (mensile nel caso in questione), al pari di quanto
fatto da Barrios et.al.(2009), in modo da rendere le serie storiche stazionarie.
- 55 -
4.3 Evidenza empirica
Dopo aver raccolto i dati ed esplicitato il modello ho proceduto alla stima. Il primo modello
stimato è la riproduzione di quello proposto da Barrios et.al.(2009), l’orizzonte temporale è
però diverso, poiché Barrios et.al.(2009) inserisce nel modello osservazioni che vanno da
marzo 2003 ad aprile 2009, con i dati a mia disposizione riesco invece a costruire un modello
che si occupi di un orizzonte temporale che va da dicembre 2005 a giugno 2013. Nella
sottostante tabella presento i risultati della stima tramite OLS di tale modello di regressione
lineare.
Tabella 3 Modello 1
costante
bid-ask
cds
risk av
crisis
adj R2
p-value F
ITALIA
Coeff
-0,0066
0,5492**
0,0024*
0,0938
0,0177
FRANCIA
Coeff
0,0076
0,2766**
-0,0001
-0,4300*
0,0024
0,5747
0,2761
6,1800E- 2,1800E16
06
DW
2,1931
2,6135
Linearità 0,1160
0,1112
Oss.
90
90
** p-value (t)<0,05 * p-value (t)<0,1
SPAGNA
Coeff
-0,0060
-0,0511
0,0041*
-0,2123
0,0529
GRECIA
Coeff
0,0163
0,3043**
0,0017**
0,4806
-0,4440
PORTOGALLO
Coeff
-0,0264
0,1705
-0,0015
0,0508
0,0366
BELGIO
Coeff
-0,0021
0,3162*
0,0002
0,3937**
0,0198
AUSTRIA
Coeff
-0,0011
0,0295
0,0013
-0,3911*
0,0155
0,0577
0,0595
0,1713
4,7600E04
2,8042
0,8043
90
0,0335
0,8906
0,1706
4,9300E04
2,3767
0,0056
90
0,1982
1,3000E04
2,5598
0,3531
90
2,2559
0,0627
90
2,0160
0,0288
90
Il modello regredito da evidenza per la quasi totalità dei Paesi campione, di avere un buon
valore esplicativo, poiché tranne che per Portogallo e Spagna il valore di R quadrato corretto
(coefficiente che indica la bontà della curva di regressione), supera abbondantemente lo 0,10
con significativi picchi per l’Italia (0,57) e Francia (0,28). Per quanto riguarda il Portogallo si
nota inoltre che il valore di p-value (F) (che testa la significatività del modello) è molto
elevato, quindi non sembra potersi rigettare in questo caso l’ipotesi di non significatività del
modello per tale paese. Difficile è invece fare una comparazione con i risultati ottenuti da
Barrios et.al.(2009), vista la differenza di arco temporale e di frequenza delle osservazioni, ma
se c’è una evidenza che accomuna i due modelli, questa è rappresentata dall’alta
significatività che sembra avere la variabile esogena di avversione internazionale al rischio in
una moltitudine di paesi (p value (t) prossimo o inferiore a 0,01), cioè Francia, Belgio e
Austria, mentre per la Spagna, pur non essendo altamente significativo, è pur sempre il
regressore con p-value (t) più basso. Sembra invece non potersi rilevare la stessa evidenza per
qualsivoglia variabile endogena del modello. Le proxy di rischio di credito e rischio di
- 56 -
liquidità sembrano essere significative solo nei casi di Italia (CDS e bid/ask spread), Francia
(bid/ask spread), Grecia (cds e bid/ask spread) e Spagna (cds). La variabile con minore
significatività in assoluto sembra essere la dummy “crisis”, poiché non raggiunge in nessun
caso un p-value(t) inferiore a 0,4 con picchi prossimi all’unità in Francia Portogallo e Italia.
Ai test di eteroschedasticità e autocorrelazione tale modello ha risposto negativamente,
mentre per quanto riguarda il test di non linearità non sembra potersi dire altrettanto, poiché i
p-value rilevati non permettono di rigettare l’ipotesi di non linearità in tutti i casi, tranne che
per Portogallo (il quale presenta però scarsa significatività del modello) e Spagna.
Tali risultati confermano, come rilevato dalla letteratura sugli spread, in accordo anche con i
risultati di Barrios et.al. (2009), che, nonostante tutte le variabili prese in considerazione dal
modello contribuiscano a spiegare l’andamento degli spread sovrani, il principale driver è la
variabile esogena di avversione internazionale al rischio. Tale evidenza risulta però piuttosto
debole alla luce dei nostri risultati, il che farebbe presumere che sia possibile migliorare il
modello.
Alla luce dei risultati e della premessa teorica, secondo la quale uno dei driver degli spread è
il fattore di rischio comune rappresentato dall’incertezza economico-politica, ritengo utile
quindi introdurre nell’analisi una misura di tale fattore, rappresentata dall’indice EPU. Il
primo modo in cui introduco tale misura è come quinto regressore, indipendentemente dai
regressori di Barrios et.al.(2009), per testare l’effetto diretto dell’incertezza sugli spread
(effetto spiegato dal coefficiente di regressione β).
Prima di effettuare tale regressione costruisco una matrice di correlazione tra indice EPU e
spread per ciascun paese.
Tabella 4 Correlazione tra Spread e EPU europeo
PAESE
Italia
Francia
Spagna
Grecia
Portogallo
Austria
Belgio
COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE CON EPU
0,7547
0,7303
0,6531
0,6585
0,6278
0,7371
0,7395
Come si può notare dalla tabella riassuntiva di tale correlazione, vi è una significativa
correlazione tra l’andamento dell’indice EPU e quello di tutte le serie storiche degli spread dei
paesi analizzati. Come si può notare dal grafico sottostante infatti l’esplosione degli spread
coincide con un innalzamento della curva dell’indice EPU (dovuto probabilmente ad un
- 57 -
aumento dei riferimenti giornalistici a crisi e incertezza). Nel grafico si nota facilmente come
ci sia un trend nell’esplosione degli spread nella prima metà del 2010, trend molto evidente
per Grecia e Portogallo, ma significativo anche per quanto riguarda Italia e Spagna.
Figura 13 Andamento Spread e EPU europeo
40
250
35
200
30
25
150
20
15
100
10
5
50
spread ita
spread fra
spread gre
spread por
spread spa
spread aus
spread belgio
EPU
apr-13
dic-12
ago-12
apr-12
dic-11
ago-11
apr-11
dic-10
ago-10
apr-10
dic-09
ago-09
apr-09
dic-08
ago-08
apr-08
dic-07
ago-07
apr-07
dic-06
ago-06
apr-06
-5
dic-05
0
0
Una volta saggiata la correlazione tra spread sovrani e incertezza, introduco quindi l’indice
nel modello di Barrios et.al.(2009), come precedentemente descritto.
Tabella 5 Modello 2
costante
bid-ask
cds
risk av
crisis
EPU
adj R2
p-value F
ITALIA
Coeff
-0,0070
0,4986 **
0,0025*
0,0817
0,0176
0,0022
FRANCIA
Coeff
0,0069
0,1942
0,0001
-0,4376**
0,0016
0,0020*
0,5787
0,2898
1,5400E- 2,1900E15
06
DW
2,2390
2,6313
Linearità 0,1166
0,1377
Oss.
90
90
** p-value (t)<0,05 * p-value (t)<0,1
SPAGNA
Coeff
-0,0056
-0,0241
0,0040*
-0,2095
0,0526
-0,0010
GRECIA
Coeff
0,0178
0,3153**
0,0017**
0,5005
-0,4276
-0,0092
PORTOGALLO
Coeff
-0,0265
0,1851
-0,0016
0,0475
0,0317
0,0030
BELGIO
Coeff
-0,0023
0,2658*
0,0004
-0,3975**
0,0190
0,0012
AUSTRIA
Coeff
-0,0016
-0,0046
0,0014
-0,3961*
0,0154
0,0008
0,0480
0,1034
0,1646
0,0011
0,0423
0,9242
2,2569
0,1174
90
2,8145
0,8497
90
2,0359
0,0288
90
0,1660
1,0250E03
2,3895
0,0104
90
0,1919
3,1700E04
2,5689
0,4411
90
I risultati non si discostano significativamente da quelli del modello precedentemente stimato,
poiché, dal punto di vista del valore esplicativo, R quadrato corretto non sembra in nessun
- 58 -
caso subire un significativo scostamento dai valori riscontrati utilizzando il modello di Barrios
et.al.(2009) semplice. Il modello resta oltretutto scarsamente significativo per il Portogallo (pvalue (F) prossimo allo 0,9), inoltre a parte che per Portogallo e Belgio sembra non potersi
ulteriormente rigettare l’ipotesi di non linearità del modello. Per quanto riguarda il
comportamento di EPU nel modello, sembra, a parte il caso di Italia e Francia, essere
scarsamente significativo nella determinazione del modello, il che si può notare, oltre che dai
bassi valori di p-value (t) che si registrano nella quasi totalità dei casi, anche dai bassi valori
dei coefficienti β attribuiti dalla regressione a EPU (il coefficiente β indica l’azione che ha
sulla variabile dipendente l’aumento di un punto del regressore, tenendo fermi gli altri). Se
andiamo a guardare invece il comportamento degli altri regressori notiamo che l’avversione
internazionale al rischio rimane altamente significativa nei casi di Francia, belgio ed austria,
mentre perde di significatività negli altri casi, la dummy si conferma la variabile più
scarsamente significativa ai fini della nostra analisi, mentre CDS e bid/ask spread non
registrano significative variazioni di significatività.
Tali risultati, oltre a confermare che l’avversione internazionale al rischio, cioè il fattore
esogeno, si presenta, tra le variabili riconosciute in letteratura, come principale driver
dell’andamento degli spread, fanno pensare che l’indicatore di incertezza non debba essere
inserito nel modello indipendentemente dagli altri regressori, vista la scarsa significatività
evidenziata per tale regressore e le evidenze di non linearità del modello.
Non potendosi rigettare l’ipotesi di non linearità nella quasi totalità dei casi, procedo quindi a
stimare tramite OLS un modello in cui l’incertezza interagisce con tutte le altre variabili,
mentre la dummy resta indipendente.
Tabella 6 Modello 3
costante
crisis
EPU*b-a
EPU*cds
EPU*risk
adj R2
p-value F
ITALIA
Coeff
-0,0103
-0,0303
0,0149
0,0001
0,0068
FRANCIA
Coeff
-0,0018
-0,0175
0,0047
0,0006**
0,0105**
0,2719
0,3497
4,1200E- 2,4000E06
05
DW
2,0008
2,2301
Linearità 90
90
Oss.
0,2719
0,3497
** p-value (t)<0,05 * p-value (t)<0,1
SPAGNA
Coeff
-0,0011
0,0401
-0,0083
0,0003**
-0,0093
GRECIA
Coeff
0,0157
-0,0673
0,0084*
0,0000**
0,0680
PORTOGALLO
Coeff
-0,0338
-0,0117
-0,0134**
0,0002**
0,0099
BELGIO
Coeff
-0,0134
-0,0040
0,0199**
-0,0001
0,0117*
AUSTRIA
Coeff
-0,0162
0,0024
0,0159**
-0,0003*
0,0103**
0,0387
0,1200
0,0942
0,1986
0,0587
0,0328
0,0841
0,0384
2,0012
90
0,0387
1,9240
90
0,0942
2,0086
90
0,0587
2,0564
90
0,0841
0,2404
3,2560E03
2,1658
90
0,2404
- 59 -
Dalla regressione del modello effettuata tramite OLS, risulta che i modelli sono per lo più
altamente significativi al fine della determinazione degli spread (p-value (F) molto bassi,
tranne che per Grecia e Spagna, dove sono comunque prossimi a 0,1). Per quanto riguarda il
valore esplicativo del modello, salta subito all’occhio una significativa diminuzione nel valore
esplicativo per l’Italia (R quadrato corretto scende da 0,57 a 0,27, mantenendo comunque
significatività). Anche per Spagna, Grecia, Portogallo e Belgio, pur se meno
significativamente, sembra diminuire il valore esplicativo del modello, nonostante
mantengano un livello di significatività molto alto. Francia e Austria sono invece gli unici due
paesi analizzati per i quali si può registrare un aumento di valore esplicativo dovuto
all’interazione dell’incertezza con le altre variabili.
Parlando degli aumenti di significatività portati dall’interazione dei regressori con
l’incertezza, l’evidenza è che l’avversione internazionale al rischio risulta avere un beneficio
in termini di significatività dall’interazione con EPU in Italia, Grecia e Portogallo, i Paesi nei
quali nel precedente modello si rilevava una significatività minore di tale indice. Negli altri
paesi, dove nel precedente modello si registrava una maggiore significatività dell’avversione
internazionale al rischio al fine della determinazione degli spread, si ha un aumento del pvalue (t), il quale però non pregiudica la significatività di tale variabile, poiché tale indicatore
rimane comunque sotto i livelli di soglia precedenti (0,05 e 0,1).
Il regressore CDS invece, si nota, che interagendo con l’incertezza, pur perdendo di
significatività nell’analisi riguardante l’Italia, per tutti gli altri Paesi acquista significatività (il
p-value (t) diminuisce), diventando altamente significativo nella quasi totalità dei casi, sembra
quindi che questo indicatore, in interazione con EPU, abbia un ottimo valore esplicativo per
gli spread.
Lo stesso regressore bid/ask, a parte che per Italia e Grecia sembra assumere significatività
dall’interazione con l’incertezza, poiché i corrispondenti p-value (t) diminuiscono
sensibilmente.
La variabile dummy invece continua ad essere scarsamente significativa al fine della
determinazione del modello, poiché i p-value (t) continuano a rimanere molto alti, si rende
necessario dunque eliminarla da tale modello.
Tali risultati confermano l’ipotesi secondo la quale la relazione tra l’andamento degli spread
ed i regressori non è lineare, poiché, se introdotti nel modello in interazione con l’indicatore
di incertezza, questi presentano un sensibile aumento di significatività. Ciò confermerebbe
anche l’ipotesi secondo la quale l’incertezza economico-politica si presenta come variabile in
- 60 -
grado di aumentare l’effetto portato dalle variabili riconosciute in letteratura all’andamento
degli spread, anche se per decifrare meglio tale fenomeno è necessario realizzare un modello
che permetta di indagare su quale sia l’apporto di EPU in interazione.
Il passo successivo è quindi di stimare tramite OLS un modello in cui tutti i regressori sono in
interazione con EPU, ed entrano nel modello anche presi singolarmente. La ratio
dell’eliminazione di “crisis” è da ricercarsi, oltre che nello scarso valore esplicativo portato
dalla dummy al modello, anche dalla stessa natura di EPU, il quale, come appurato nei
capitoli precedenti si presenta come molto sensibile a shock economico-politici, quali la crisi
finanziaria e la crisi del debito pubblico. Si può quindi ipotizzare che l’indice EPU sia in
grado di catturare, anche più fedelmente rispetto alla dummy, gli effetti diretti portati dalla
crisi all’andamento degli spread.
L’inserimento nel modello dei regressori sia singolarmente presi, che in interazione con EPU
risponde all’obiettivo di determinare in che modo l’incertezza si relaziona con l’andamento
degli spread, infatti una comunanza di segni tra i coefficienti dei regressori singolarmente
presi ed i coefficienti dei regressori in interazione con EPU, starebbe ad indicare che
l’introduzione di EPU ha l’effetto di sensibilizzare l’effetto che subisce la variabile
dipendente dalla variazione unitaria dei regressori, il che confermerebbe le ipotesi presentate
nelle precedenti sezioni dell’elaborato.
Tabella 7 Modello 4
costante
bid-ask
Cds
risk av
EPU*b-a
EPU*cds
EPU*risk
adj R2
p-value F
ITALIA
Coeff
-0,0118
0,5304**
0,0015
0,0770
0,0604*
0,0014*
0,0940*
FRANCIA
Coeff
-0,0036
0,2442**
-0,0022
0,4048
0,0060*
-0,0405**
0,0126**
0,5852
0,3952
2,7400E- 8,8900E15
09
DW
2,1706
2,2050
Oss.
90
90
** p-value (t)<0,05 * p-value (t)<0,1
SPAGNA
Coeff
0,0018
0,0012
0,0026
-0,0988
0,0027
0,0001
-0,1989**
GRECIA
Coeff
-0,1994
0,3430*
-0,0014
0,0060
0,2545*
-0,0245**
0,0671
PORTOGALLO
Coeff
-0,0350
0,0055
-0,0013
0,0451
0,0112
-0,0177**
0,0679*
BELGIO
Coeff
-0,0122
0,3395**
-0,0001
0,4022**
0,2294**
-0,0002
0,1094*
AUSTRIA
Coeff
-0,0101
0,0519
-0,0003
0,3712**
0,1616*
-0,0022*
0,1179*
0,0948
0,0709
0,2790
0,0009
0,0913
0,0147
2,2206
90
2,3278
90
2,0235
90
0,2773
8,4000E06
2,3759
90
0,3134
1,2000E06
2,1560
90
La prima evidenza che si rileva da tale modello è che, rispetto al precedente, per tutti i Paesi
presi in analisi si ha un aumento di significatività (p-value (F) diminuisce), il che sta ad
indicare che l’eliminazione della dummy non incide negativamente su tale indicatore, poiché
- 61 -
l’interazione di EPU con gli altri regressori assolve all’esigenza di evidenziare nel modello gli
effetti determinati dalla crisi. La motivazione di tale evidenza si può ricercare nella
costruzione della dummy, alla quale viene assegnato valore 1 anche nel periodo
corrispondente alla crisi finanziaria del 2008, che però abbiamo visto non incidere
significativamente sull’andamento degli spread. L’interazione tra EPU (indice che meglio
approssima quelli che sono stati gli effetti della crisi nell’Eurozona) e gli altri regressori, sta
ad indicare che in periodi una maggiore incertezza, la quale aumenta in seguito a shock
economico-politici, si ha un acutizzarsi degli effetti portati dalle altre variabili sottostanti il
movimento degli spread.
Parlando invece delle evidenze riguardanti il valore esplicativo di tale modello, si nota come
questo cresca, anche se non in egual proporzione, per la totalità dei Paesi oggetto dell’analisi,
con picchi significativi per Italia, Grecia e Belgio.
Per quanto riguarda la significatività delle variabili incluse nel modello, è possibile notare
come il numero di regressori con p-value (t) bassi sia in aumento, sia rispetto ai precedenti
modelli senza interazione, sia rispetto al modello con interazione precedente, ciò è indice del
fatto che tutte le variabili incluse nel modello sono significative ai fini della stime. Sempre sul
versante della significatività dei regressori, è possibile notare che, all’interno di quest’ultimo
modello, i regressori, in interazione con EPU, presentano un livello di significatività maggiore
rispetto a quando vengono inseriti singolarmente, il che conferma l’ipotesi secondo la quale
aumenti nell’incertezza acuiscono l’influsso delle variabili fiscali sugli spread sovrani. Dei
regressori riconosciuti dalla letteratura, sia singolarmente presi, che in interazione con
l’indicatore di incertezza, quello che evidenzia maggiore significatività risulta essere sempre
l’avversione internazionale al rischio, nonostante i maggiori aumenti in significatività si
possano ascrivere alle variabili endogene.
Ulteriori conferme sul ruolo dell’incertezza nella determinazione degli spread sovrani,
derivano da un’osservazione sui segni dei coefficienti dei regressori inclusi nel modello, si
nota infatti che i coefficienti dei regressori in interazione e i coefficienti dei regressori presi
singolarmente conservano lo stesso segno, il che da conferme di una correlazione positiva tra
spread sovrani e incertezza, la quale, come ipotizzato, in interazione aumenta la significatività
dei singoli regressori nella determinazione degli spread.
Tali evidenze, oltre a confermare, come riconosciuto in letteratura, che sono le variabili
esogene (avversione internazionale al rischio) i principali driver dell’andamento degli spread,
confermano quanto ipotizzato sul ruolo dell’incertezza nell’acuire gli effetti delle variabili
- 62 -
endogene ed esogene riconosciute in letteratura. Infatti la comunanza di segni tra i coefficienti
dei regressori presi singolarmente ed in interazione, oltre che l’aumento della significatività
degli stessi nel secondo caso, stanno ad indicare che l’incertezza agisce come elemento in
grado di sensibilizzare l’effetto sugli spread delle differenze strutturali tra i Paesi. Anche
l’aumento di significatività dei coefficienti delle variabili endogene inserite nel modello, in
seguito all’interazione con l’incertezza, si può leggere come un effetto della maggiore
attenzione portata dagli investitori internazionali alle differenze strutturali tra paesi in
momenti di maggiore incertezza, infatti a tale aumento di significatività, non corrisponde un
sensibile aumento di significatività del coefficiente della avversione internazionale al rischio.
Propongo ora una tabella riassuntiva dei cambiamenti occorsi in ogni paese a significatività e
valore esplicativo nel variare il modello.
Tabella 8 Fit e significatività dei modelli
modello 1
modello 2
modello 3
modello 4
ITALIA
FRANCIA
SPAGNA
GRECIA
PORTOGALLO
adj R sqr p-value (f) adj R sqr p-value (f) adj R sqr p-value (f) adj R sqr p-value (f) adj R sqr p-value (f)
0,5747
6,18E-16 0,2761 0,00000218 0,0577
0,0595 0,1713
0,0005 0,0335
0,8906
0,5787
6,18E-16 0,2898 0,00000219 0,0480
0,1034 0,1646
0,0011 0,0423
0,9242
0,2719 0,00000412 0,3497 2,4000E-05 0,0387
0,1200 0,094201
0,1986 0,0587
0,0328
0,5852 2,7400E-15 0,3952 8,8900E-09 0,0948
0,0709 0,2790
0,0009 0,0913
0,0147
AUSTRIA
BELGIO
adj R sqr p-value (f) adj R sqr p-value (f)
0,198241
0,0001 0,1706
0,0005
0,191858
0,0003 0,1660
0,0010
0,240403
0,0033 0,0841
0,0384
0,2773 8,4000E-06 0,3134 1,2000E-06
Come si può notare, ad esclusione di Grecia e Francia non si hanno significativi incrementi
nel valore esplicativo passando da un modello lineare semplice ad uno ad interazioni. La
variazione sensibile si ha invece sotto il profilo della significatività del modello, poiché
passando a modelli ad interazione con EPU notiamo come il p-value (F) di un paese come il
Portogallo, per il quale inizialmente il modello sembrava poco significativo, scenda, andando
ad affiancarsi a quello degli altri Paesi, che con questo passaggio non sembrano subire
sensibili perdite di significatività.
Un’altra importante evidenza emersa, da sottolineare è la maggior significatività di EPU
rispetto a crisis, come variabile proxy degli effetti della crisi, infatti si vede come passando
dal modello 3, in cui la variabile indipendente è crisis, al 4 in cui crisis è assente, ma il ruolo
di proxy degli effetti della crisi è assolto dall’interazione tra EPU e gli altri regressori, si ha un
aumento più o meno sensibile di valore esplicativo, oltre che di significatività del modello.
Detto questo è possibile affermare che, vista anche la matrice di correlazione proposta, vi è
una certa correlazione tra andamento degli spread e dell’incertezza, poiché in un modello ad
interazioni l’inserimento dell’indice EPU aumenta il valore esplicativo e la significatività del
modello. La relazione tra spread e le variabili che approssimano il rischio di credito, di
liquidità e l’avversione internazionale al rischio non sembra quindi essere lineare, poiché
come visto in precedenza, in entrambi i modelli di regressione lineare senza interazione
- 63 -
proposti non si poteva rigettare l’ipotesi di non linearità. Il modello più adatto a descrivere
quindi la relazione tra gli spread e le suddette variabili sembra essere quello in cui queste
entrano in interazione con l’incertezza, questo poiché, come abbiamo ipotizzato, l’incertezza
economico-politica, come variabile esterna agli Stati, aumenta la sensibilità dei mercati alle
differenze nelle variabili fiscali dei singoli Paesi. Differenze che in periodi di bassa incertezza
sembrano non pesare sull’andamento degli spread dei paesi dell’Eurozona.
- 64 -
4.4 Limiti del modello
Il problema che si può riscontrare in un modello di regressione stimato tramite OLS, nel quale
le osservazioni di variabile dipendente e regressori sono contemporanee, è la violazione
dell’ipotesi di esogeneità delle variabili esplicative.
L’ipotesi di esogeneità risulta particolarmente importante anche perché solo se risulta
assumibile si può pervenire a stime consistenti degli effetti parziali dei regressori.
Nel modello stimato l’endogenità potrebbe essere conseguenza della simultaneità delle
variabili, poiché una o più variabili esplicative potrebbero essere in parte funzioni della
variabile risposta62.
Detto questo, tramite stima OLS non è effettivamente possibile determinare se tutti i
regressori siano effettivamente esogeni rispetto al modello, quindi potrebbe sussistere la
possibilità che due regressori siano in relazione tra loro, oppure che uno dei regressori sia in
realtà variabile dipendente della variabile spread. Ciò sembra effettivamente una remota
possibilità per tutte le variabili comprese nel modello, visto il largo uso fatto in letteratura.
Ciò non vale però per l’indice EPU, che essendo stato per la prima volta messo in relazione
con i rendimenti sui titoli di stato dell’Eurozona, non può godere di tale evidenza.
62
STOCK, J.H., WATSON, M.W., 2005, Introduction to econometrics, p. 488
- 65 -
4.5 Conclusioni
Per procedere con l’analisi empirica appena terminata ho costruito un modello di regressione
lineare multipla, basato su un modello già esistente in letteratura. Il modello costruito, la cui
variabile dipendente è lo spread, ha come regressori tre variabili ampiamente riconosciute in
letteratura come proxy dei rischi alla base del rendimento dei bond governativi. Questi sono:
il rischio di credito, approssimato dal rendimento dei CDS, il rischio di liquidità,
approssimato dal differenziale bid/ask sui bond governativi e l’avversione internazionale al
rischio, approssimata dal differenziale di rendimento tra titoli corporate AAA USA e bond
governativi statunitensi. Un ennesimo regressore, aggiunto dall’autore al modello come proxy
degli effetti della crisi finanziaria è una variabile dummy che assume valore 1 in periodo di
crisi e 0 nei restanti mesi. Una volta raccolto tale dataset per tutti i 7 stati rientranti
nell’analisi, ho stimato tale modello tramite OLS, rilevando, come l’autore di cui ho mutuato
tale modello, una significativa relazione nella quasi totalità dei casi, tra andamenti degli
spread e tali regressori, con però significative evidenze di non linearità del modello.
L’obiettivo dell’elaborato era di stimare la relazione che intercorre tra incertezza e andamento
degli spread, quindi il passo successivo è stato di inserire nel modello l’incertezza economicopolitica, tramite un indicatore proposto dalla letteratura, cioè l’indice EPU di Baker, Bloom
Davis (2012).
Il passo successivo è stato, dopo aver saggiato, tramite matrice di correlazione, l’esistenza di
una correlazione tra gli spread sovrani di tutti i paesi considerati, di aggiungere l’indice EPU
al modello precedentemente stimato.
Tale indice è stato inserito nel modello prima come ennesimo regressore, indipendentemente
dalle altre variabili, poi in interazione con queste e, proprio in quest’ultima forma, il modello
ha fornito le risposte più interessanti.
Le evidenze interessanti fornite dal modello in cui l’incertezza è inserita in interazione con gli
altri regressori sono: una significatività sensibilmente maggiore rispetto ai modelli in cui
l’incertezza non entra o entra indipendentemente, ed una sensibilmente aumentata
significatività degli altri regressori, specialmente quelli che approssimano variabili endogene,
nel momento in cui vengono stimati in relazione con l’indice EPU. Ciò è importante perché
denota che l’incertezza aumenta la significatività dell’impatto di tali regressori
sull’andamento degli spread e aumenta la sensibilità degli investitori rispetto alle differenze
strutturali tra Paesi.
- 66 -
C’è una ulteriore evidenza che a favore dell’utilizzo dell’incertezza come regressore degli
spread: si può notare come, quando l’incertezza va a sostituire la dummy, il modello aumenti
di valore esplicativo, e come inoltre l’incertezza abbia una significatività sensibilmente
maggiore rispetto alla suddetta dummy. Ciò potrebbe essere indice del fatto che l’incertezza,
come la dummy risponde all’esigenza di inserire nel modello gli effetti diretti della crisi,
essendo questa sensibile a shock economico-politici. Tale evidenza indicherebbe anche che
l’incertezza si pone come variabile in grado di far emergere le differenze nei fondamentali
fiscali tra Stati nella determinazione dei rendimenti dei titoli sovrani, differenze che,
altrimenti, per l’area Euro sembrerebbero non essere significative.
Alla luce dei risultati appena elencati si può affermare che l’incertezza ha un significativo
impatto sull’andamento degli spread, non tanto come regressore diretto di tali indici (a parte il
caso dell’Italia presenta p-value (t) abbastanza elevati), ma piuttosto come variabile in grado
di amplificare gli effetti dei regressori più tradizionalmente riconosciuti come driver dei
rendimenti obbligazionari sovrani ed in grado di amplificare la risonanza delle differenze
strutturali tra Paesi, ciò si pone in accordo con quanto sostenuto dalla precedente letteratura,
la quale unanimemente attribuisce alle variabili esterne la maggiore rilevanza nella
determinazione dei rendimenti dei titoli di Stato.
- 67 -
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