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IL SOGNO NELLA SCIENZA Il sonno viene come l`avanzare della

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IL SOGNO NELLA SCIENZA Il sonno viene come l`avanzare della
IL SOGNO NELLA SCIENZA
Il sonno viene come l’avanzare della marea. Opporsi è impossibile. È un sonno
così profondo che né lo squillo del telefono né il rumore delle auto che passano fuori mi
arrivano all’orecchio. Nessun dolore, nessuna tristezza laggiù: solo il mondo del sonno
dove precipito con un tonfo.
Banana Yoshimoto, Sonno profondo
Il sonno, imperativo biologico necessario per sostenere la vita, è uno stato di
riposo contrapposto alla veglia. La distinzione principale tra il sonno e la veglia consiste
in una barriera percettiva eretta tra mondo cosciente e mondo esterno, nel primo stato,
sebbene uno stimolo sensoriale di un certo livello, ad esempio un rumore forte, può
superare questa barriera e svegliare il dormiente. Sospensione dello stato di coscienza,
durante la quale l'organismo recupera energia, interrompendo, completamente o
parzialmente, la volontà, rallentando le funzioni neurovegetative, arrestando in modo
parziale i rapporti sensomotori con l'ambiente, il sonno è una operazione indispensabile
per il ristoro dell'organismo. Nonostante l’apparente stato di quiete, dormire è un processo
fisiologico attivo, che coinvolge l'interazione di componenti multiple del sistema nervoso
centrale ed autonomo. A livello cerebrale avvengono complessi cambiamenti: alcune
cellule encefaliche, in alcune fasi del sonno, hanno una attività 5-10 volte maggiore
rispetto a quella che hanno in veglia1.
Le tre misure principali usate per definire la fisiologia del sonno sono:
1
V. Sbrescia, “Il sogno e i dal punto di vista scientifico. Psico-Pratika” [Online]. N° 79. Disponibile
all’indirizzo: www.humantrainer.com (Consultato in data 28/06/2015).
1
- l'elettroencefalogramma (EEG), che traduce l’attività cerebrale in onde elettriche;
- l'elettrooculogramma (EOG), che registra i movimenti oculari e li traduce in onde
elettriche;
- l'elettromiogramma (EMG), che registra l'attività muscolare.
La misurazione può includere altri parametri come la pressione arteriosa, la ph-metria
esofagea, la temperatura corporea.
Nel 1953 Aserinsky e Kleitman scoprirono la presenza dei movimenti oculari
rapidi (REM) durante il sonno2. Questa osservazione permise di differenziare il sonno in
una fase REM e in una fase non-REM (nREM), fasi che si alternano ciclicamente, dando
vita a notevoli variazioni elettroencefalografiche. I due studiosi scoprirono che,
svegliando soggetti dormienti nel momento in cui avvenivano questi caratteristici
movimenti rapidi degli occhi, essi riferivano che stavano sognando.
Nel
1968 Rechtschaffen e Kales, basandosi
sull'analisi
dei
parametri
elettroencefalografici, elettromiografici ed elettrooculografici classificarono il sonno in 5
stadi: 4 stadi non-REM (stadio 1; stadio 2; stadio 3; stadio 4) ed uno stadio REM.
Il sonno presenta un'alternanza regolare di fasi non-REM, sonno lento e sincronizzato,
detto sonno ortodosso, e REM, sonno rapido, desincronizzato, detto sonno paradosso.
Dopo l'addormentamento il soggetto passa progressivamente dallo stadio 1 del sonno
non-REM allo stadio 4, per poi ritornare allo stadio 3 e allo stadio 2 e quindi passare alla
prima fase di sonno REM. Ciò significa che, tra i 70 e i 90 minuti dopo
l'addormentamento, si verifica la prima fase di sonno REM, della durata di 15 minuti
circa, al termine del quale il primo ciclo di sonno si conclude. Ne susseguono poi altri di
2
E. Aserinsky; N. Kleitman, “Regularly occurring periods of eye motility, and concomitant phenomena,
during sleep”. Science, New Series, n. 3062, vol. 118, 1953, pp. 273-274.
2
durata piuttosto costante, dove il sonno REM tende, però, ad aumentare in durata, a
scapito del sonno non-REM, ed in particolare degli stadi 3 e 4 (sonno profondo), che si
fanno più brevi. Durante la notte, il sonno REM costituisce circa il 25% della durata totale
del sonno. È possibile che tra i vari cicli vi siano momenti di veglia.
Durante la veglia, l'EEG alterna fondamentalmente due pattern:
1- pattern di attivazione, caratterizzato da onde di basso voltaggio (10-30 microvolt)
ed alta frequenza (16-25 Hz), presente quando la persona è in stato
di attenzione ad occhi aperti; i movimenti oculari sono sia rapidi, sia lenti e il tono
muscolare è medio-alto;
2- pattern di attività alfa, caratterizzato da onde sinusoidali di 8-12 Hz, attività
tipicamente presente ed abbondante quando il soggetto è rilassato ad occhi chiusi.
Durante lo stadio 1, fase di addormentamento, l'attività alfa diminuisce, il pattern
di attivazione è scarso, l'EEG è costituito principalmente da onde di basso voltaggio di
frequenza mista tra i 3-7 Hz, i movimenti degli occhi sono ancora presenti ma lenti, rotanti
e oscillatori, l'EMG mostra una attività tonica persistente, benché di intensità inferiore
rispetto alla veglia. Trattasi di uno stato crepuscolare, fra veglia e sonno leggero.
Nello stadio 2, fase di sonno leggero, è presente una attività di fondo di voltaggio
relativamente basso, con frequenza variabile ma vicina alle onde theta (3-7 Hz). Tale
stadio è caratterizzato dalla presenza di due componenti: i complessi K3 e i fusi del
3
Forme d'onda di alto voltaggio rilevabili in un elettroencefalogramma (EEG). Sono stati definiti il "più
grande evento nell'elettroencefalogramma di un uomo sano". Questi complessi sono più frequenti nei primi
cicli di sonno. Si ritiene che i complessi K assolvano ad almeno due funzioni: in primo luogo, sembra
determinano la soppressione dell'eccitazione corticale in risposta a stimoli che il cervello addormentato non
ritiene debbano essere valutati come pericolosi, e la seconda, favoriscono il consolidamento della memoria
basata sul sonno. Il complesso K è stato scoperto nell'anno 1937 nei laboratori privati di Alfred Lee Loomis.
3
sonno (o spindles)4; i movimenti degli occhi sono lenti, l'EMG si riduce ulteriormente, la
coscienza è sopita, i muscoli si rilassano lentamente.
Nello stadio 3, fase di sonno profondo, l’EEG mostra onde delta di
grande ampiezza (>75 microvolt) e bassa frequenza (circa 0,5 - 4 Hz); il tono muscolare
è lievemente ridotto ed i movimenti degli occhi praticamente assenti; i fusi del sonno
possono presentarsi oppure no, mentre sono presenti i complessi K, sebbene spesso siano
difficilmente distinguibili dalle onde delta. In questa fase il sonno comincia a diventare
profondo.
Lo stadio 4, fase di sonno profondo effettivo, è caratterizzato dalla presenza di
onde delta, che qui raggiungono la massima ampiezza e la minima frequenza; i fusi
possono essere assenti o presenti, mentre i complessi K sono presenti, ma pressoché
irriconoscibili dal ritmo delta di fondo; i movimenti degli occhi non sono presenti, mentre
persiste uno stato di attivazione muscolare tonica molto basso. In questa fase l'attività
metabolica del cervello è ridotta, cosicché vi è un minor consumo di ossigeno e glucosio.
Con esclusione dello stadio 1, transitorio, gli stadi del sonno più profondi (3 e 4) sono
caratterizzati da una maggiore difficoltà di risveglio, tanto che se ci si sveglia nella fase
4 si può rimanere particolarmente confusi per qualche minuto.
Lo stadio REM è caratterizzato da un EEG a basso voltaggio con frequenze miste,
che ricorda molto quello dello stadio 1, se non per le scariche di onde con la morfologia
a “dente di sega”, tipiche di questa fase. Compaiono le onde PGO (ponto-genicolooccipitali); l'attività dell'ippocampo si fa sincronizzata con la comparsa di onde theta. Lo
stadio prende il nome dai movimenti oculari rapidi (rapid eye movements). Caratteristica
4
Treni di onde con frequenza di 12-16 Hz e della durata di 0,5-1,5 secondi, che inibiscono l'elaborazione
di informazioni non necessarie, evitando così l'interruzione dello stadio 2.
4
dello stadio REM è la paralisi dei muscoli, per evitare di mimare i sogni. Il cervello
consuma ossigeno e glucosio come se il soggetto fosse sveglio e stesse svolgendo
un'attività intellettuale. Se ci si sveglia in questa fase si è perfettamente orientati. Vi è un
controllo più impreciso delle funzioni vegetative dell'organismo: la pressione arteriosa
aumenta e subisce sbalzi; la frequenza cardiaca aumenta e possono comparire extrasistoli;
la frequenza respiratoria aumenta, facendosi più irregolare; la termoregolazione è in parte
compromessa. Si possono verificare erezione del pene nell'uomo e modificazioni genitali
nella donna. Il sonno REM raggiunge un picco all'età di 1 anno, tende a ridursi con
l'avanzare dell'età e diminuire in favore del sonno non-REM. Il termine “sonno
paradosso” deriva dal fatto che l'elevata attività celebrale e i rapidi movimenti oculari
presenti sono in contrasto con il grado di generale rilassamento muscolare.
Nel corso della notte diminuiscono progressivamente le fasi di sonno profondo e
aumentano di durata e di intensità le fasi REM. Un giovane adulto arriva al sonno REM
più o meno 90 minuti dopo l'addormentamento; questa fase, che si ripete all'incirca ogni
2 ore, dura sempre un po' di più fino ad arrivare al momento più lungo che precede il
risveglio. Se una persona è disturbata in fase REM o nel momento di sonno profondo,
facilmente presenta sintomi di stress e di nervosismo.
Durante il sonno sono attivi il tegmento pontino, la circonvoluzione
paraippocampale, l'amigdala, l'ippocampo, la corteccia del cingolo anteriore, aree
corticali temporo-occipitali, aree limbiche, alcuni nuclei del talamo e parte del
prosecefalo basale. Sono invece deattivati la corteccia prefrontale dorsolaterale, la
corteccia del cingolo posteriore e la corteccia parietale.
Gli aspetti emozionali dei sogni sembrano avere origine nelle aree limbiche e
paralimbiche, nell'amigdala e nella corteccia anteriore del cingolo, mentre la
5
deattivazione della corteccia prefrontale comporta probabilmente la difficoltà nel
ricordare i sogni nello stato di veglia.
Un primo sistema che controlla e mantiene lo stato di veglia è rappresentato dai
nuclei
aminergici
del
tronco
encefalico,
in
particolare
dai
neuroni noradrenergici del locus coeruleus e dai neuroni serotoninergici dei nuclei del
rafe; si presume che abbiano un ruolo anche i neuroni dopaminergici della sostanza nera.
Questi neuroni proiettano diffusamente alla corteccia, al talamo, all'ipotalamo e
all'ippocampo. Quando il soggetto è vigile, la frequenza di scarica dei neuroni di questi
sistemi è massima, mentre si riduce notevolmente durante il sonno non-REM e quasi del
tutto durante il sonno REM. Questi neuroni possono anche andare incontro a fenomeni di
auto-inibizione, che favoriscono il sonno. Condizioni che ne stimolano l'attività
promuovono, invece, la veglia.
Se la stimolazione del sistema noradrenergico sembra stimoli e mantenga la veglia,
la serotonina, pur stimolando anch'essa la veglia, favorisce, nel tempo, il rilascio di
sostanze che promuovono il sonno ed inibisce i neuroni colinergici del prosencefalo
basale, coinvolti nel mantenimento della veglia, svolgendo quindi un ruolo ambiguo.
Un
secondo
sistema
che
promuove
la
veglia
è
costituito
dai
neuroni colinergici del prosencefalo basale. Questi neuroni proiettano alla corteccia,
attivandola, all'ippocampo e all'amigdala e, oltre che durante la veglia, sono attivi durante
la fase REM, mentre sono poco attivi in quella non-REM. Sono inibiti da terminazioni
serotoninergiche provenienti dai nuclei del rafe. I nuclei colinergici del tronco encefalico
contengono una prima popolazione di neuroni attivi durante il sonno REM, che scaricano
a bassissima frequenza durante la veglia e il sonno non-REM, ed una seconda popolazione
6
costituita da neuroni la cui frequenza di scarica è massima durante la veglia e durante il
sonno REM e che proiettano al talamo e all'ipotalamo, attivandoli.
Il nucleo tubero-mammillare contiene i neuroni istaminergici ipotalamici che proiettano
diffusamente a quasi tutto il sistema nervoso centrale, promuovendo il mantenimento
della veglia. L'inibizione di questi neuroni con antistaminici induce sonnolenza.
L'ipotalamo postero-laterale comprende un piccolo gruppo di neuroni orexinergici, che
proiettano diffusamente alle strutture coinvolte nella regolazione del ciclo sonno-veglia e
sono coinvolti anche nella regolazione dell'assunzione di cibo.
Il nucleo preottico ventrolaterale dell'ipotalamo anteriore, altre aree ipotalamiche e del
prosencefalo basale contengono neuroni GABAergici e neuroni rilascianti galanina, che
proiettano alle strutture coinvolte nel mantenimento della veglia e la inibiscono,
favorendo il sonno.
Il rilascio di adenosina da parte del metabolismo cerebrale si accompagna ai periodi di
veglia. Questa sostanza, interagendo con i suoi recettori, inibisce i circuiti che
promuovono la veglia ed attiva quelli che promuovono il sonno, principalmente
disinibendo i neuroni GABAergici del nucleo preottico ventrolaterale dell'ipotalamo
anteriore. La caffeina e stimolanti correlati, invece, contrastano l'effetto dell'adenosina,
perché le impediscono il legame ai suoi recettori. Le citochine possono promuovere il
sonno in condizioni fisiologiche o patologiche.
Diverse sono le teorie circa la funzione del sonno nel nostro organismo.
Secondo la “teoria del recupero”, il sonno avrebbe il compito di ristorare
l'organismo durante le fasi non-REM, mentre durante la fase REM avrebbe una mansione
di recupero, svolgendo un ruolo di riprogrammazione genetica dei comportamenti innati,
7
e di fissazione della memoria, facilitando l'incorporazione di nuovi comportamenti
appresi in veglia.
Solitamente, si consiglia di dormire almeno 8 o 9 ore. Se un individuo è sottoposto a più
di queste ore di base sarà pervaso da uno stato di tranquillità e di stanchezza, poiché il
nostro organismo tende a conservare lo stato di massima rilassatezza.
La National Sleep Foundation degli Stati Uniti, in collaborazione con l'American
Geriatrics Society e con l'American Academy of Pediatric ha approfondito il numero di
ore congrue di sonno secondo l’età dell’individuo5. Per ogni fascia di età non si dovrebbe
superare il limite massimo stabilito, sebbene non si tratti di regole ferree ma solo di
consigli:
- Da 0 a 3 mesi: la durata ideale del sonno va dalle 14 alle 17 ore.
- Da 4 a 11 mesi: le ore di sonno raccomandate sono 12-15, ma il range è più ampio, 1018.
- Da 1 a 2 anni: 11-14 ore al giorno, ma il range da mantenere è entro le 9-16 ore.
- Da 3 a 5 anni: da 10 a 13 ore, non più di 14 ore e non meno di 8.
- Da 6 a 13 anni: da 9 a 11 ore, non meno di 7 e non più di 12.
- Da 14 a 17 anni: da 8 a 10 ore, non più di 11 e non meno di 7.
- Dai 18 ai 25 anni: da 7 a 9 ore, non meno di 6 e non più di 11.
- Dai 26 ai 64 anni: da 7 a 9 ore, non meno di 6 e non più di 10.
- Dai 65 anni in poi: 7 o 8 ore, non meno di 5 e non più di 9.
5
M. Albè, “Ecco quante ore dormire ad ogni età” [Online], 2015. Disponibile all’indirizzo:
http://www.greenme.it/vivere/salute-e-benessere/15635-tabella-giusto-sogno-eta
27/06/2015).
8
(Consultato
in
data
Lo studio citato dimostra che il sonno è preminente nella prima fase della vita, va man
mano a ridursi con lo sviluppo, resta costante durante l'adolescenza per poi diminuire
nella vita adulta. Nel neonato il sonno ha un ritmo polifasico: ritmico, ritmico ad onde
lente, lento, alternante. Con lo sviluppo il sonno diventa bifasico. L'anziano dorme circa
6-7 ore per notte, ma la qualità del sonno è assai diversa da quella del giovane, in quanto
è più frammentato da momenti di veglia ed è a volte più suscettibile ai possibili disturbi
ambientali.
Il sonno, secondo la “Teoria evolutiva”, si sarebbe sviluppato in relazione alle
influenze dell’ambiente, in virtù del rapporto preda-predatori: durante il sonno le
prede attraggono meno l'attenzione dei predatori, ma sono anche più vulnerabili in quanto
meno sensibili agli stimoli. Gli animali erbivori dormono per periodi brevi in modo da
avere il tempo di procacciarsi il cibo e vigilare contro i predatori. Gli animali carnivori,
essendo meno in pericolo e procurandosi più velocemente il cibo, possono dormire più a
lungo. Il gatto domestico, l'animale meno a rischio ambientale, presenta la quantità di
sonno REM maggiore (circa 200 minuti).
La “Teoria della conservazione dell'energia” si fonda sull'osservazione secondo
la quale durante il sonno si assiste ad una riduzione dell'attività metabolica del 10% e
della diminuzione della temperatura del corpo. Questo dato assume grande significato dal
punto di vista evolutivo: gli animali omeotermici, come i mammiferi e gli uccelli, hanno
bisogno di un notevole dispendio di energia per mantenere costante la temperatura
interna. Per questo motivo la riduzione di temperatura, che si verifica soprattutto durante
le prime fasi del sonno, avrebbe il significato di preservare energia. Questo processo è lo
stesso che permette a molti animali di iniziare il processo di letargo.
9
La “Teoria dell'apprendimento” sostiene che il sonno, e soprattutto il sonno
REM, avrebbe un ruolo determinante per la maturazione del sistema nervoso centrale,
infatti, durante la fase REM, si assiste ad un incremento dell'attività cerebrale. In studi
sperimentali, uomini sottoposti a sessioni intensive di apprendimento presentavano un
aumento significativo del sonno REM, espressione del processo di fissazione dei dati
appresi nella memoria a lungo termine. I neonati presentano una percentuale maggiore di
sonno REM rispetto agli adulti ed agli anziani, parallelamente alla maggiore capacità di
apprendere.
Secondo la “Teoria della pulizia”, il cervello avrebbe una sorta di sistema addetto
alla “pulizia”, come lo è il sistema linfatico per il resto del corpo. Da recenti studi sui
topi, effettuati dall’Università di Rochester (USA) e dell'Università di Copenaghen, è
emerso che, mentre si dorme, il cervello ha un sofisticato sistema di autopulizia, che
sfrutta l’espansione in volume di una rete di canali tra i neuroni, permettendo al liquido
cerebrospinale di scorrervi in misura maggiore. Questo processo permette di smaltire
prodotti di scarto del metabolismo, come le proteine beta-amiloidi, e lavora con maggiore
efficienza durante il sonno. L'effetto ristoratore del sonno sembrerebbe essere legato,
almeno in parte, a questo meccanismo di smaltimento, da cui forse anche la ragione del
torpore, della stanchezza e dell’annebbiamento di cui si soffre per la deprivazione di
sonno. La durata del sonno è inversamente proporzionale alla grandezza del cervello, per
cui un cervello più grande impiegherà meno tempo a ripulirsi rispetto ad uno più piccolo,
essendo le cellule già predisposte all’attività di drenaggio del liquido cerebrospinale: un
elefante dorme in media tre ore al giorno, un uomo circa otto e un gatto dodici o più. Il
cervello ha un’energia limitata a sua disposizione e il lavoro di pulizia richiede un grosso
10
sforzo, tale per cui il cervello non può sostenere contemporaneamente tutti gli altri
compiti svolti durante il periodo di veglia.
Manifestazione singolare all’interno dello stato di sonno, il sogno è un
fenomeno psichico che a lungo si è legato solo alla fase REM, teoria oggi messa in parte
in discussione. Nel 1957 Dement scoprì che la fase di sonno REM poteva verificarsi in
qualsiasi parte delle notte e una altissima percentuale di individui risvegliati durante o
alla fine di un episodio di sonno REM era in grado di esporre una esperienza onirica
fortemente connotata emotivamente, da cui si ipotizzò che l’esperienza del sogno si
verificasse solo in questa fase (ipotesi Aserinsky - Dement - Kleitmann).
Jouvet, grazie agli studi di neurobiologia sugli stati di vigilanza, apprese, invece,
che i contenuti onirici sono presenti in tutti gli stadi del sonno, nonché nella fase di veglia
(rêverie, flash onirici o sogni ad occhi aperti). Indubbiamente vi sono alcune differenze
tra i sogni in fase REM e non-REM: nella fase REM, la strutturazione spaziale e il livello
di partecipazione al sogno, il numero delle parole usate per narrarlo e la caratteristica di
bizzarria emergono in modo più netto; l’attivazione corticale del sonno non-REM è
minore e comporta la produzione di sogni con una elaborazione ridotta delle esperienze
memorizzate e una minore capacità narrativa.6
Molte le domande aperte circa i sogni. Ci si chiede se il sogno sia un effetto
secondario di qualche funzione espletata dal sonno, se sia un automatismo biologico o un
processo conoscitivo, se abbia lo scopo di respingere qualcosa di tossico accumulato
durante il giorno, se sia utile per il giorno successivo, ed altro ancora. E’ certamente
ancora un meccanismo piuttosto misterioso. Caratterizzato dalla percezione di immagini
e suoni riconosciuti come apparentemente reali dal sognante, e solo più raramente
6
M. Jouvet, Il Sonno e il Sogno, Milano, Guanda, 1993.
11
accompagnati dalla consapevolezza della loro irrealtà, nel sogno governano le leggi
dell'affettività, che prescindono dalle norme logiche e sociali. Lo spazio e il tempo sono
irreali, ovvero il soggetto può essere contemporaneamente in posti diversi, essere attore
e spettatore della medesima scena; la persona sognata può essere vissuta dal sognatore
come due diverse persone contemporaneamente e senza contraddizione. Naturalmente
tali caratteristiche rendono assai complicata l’operazione di traduzione dei simboli
nell'esperienza diurna.
Non esiste una visione unica circa il significato dei sogni; diverse le teorie
proposte, sebbene nessuna goda di pieno consenso. Un uomo in media sogna circa due
ore per notte. Quando il corpo avverte la necessità di dormire, i neuroni situati nelle
vicinanze degli occhi iniziano a mandare segnali per cui le palpebre si fanno “pesanti".
Negli studi del 1975, Jovanović, psicologo, propose una distinzione tra le
allucinazioni ipnagogiche e i sogni veri e propri7: le prime sono "esperienze fantastiche",
la cui caratteristica principale consiste nella sensazione di piena veridicità che conferisce
loro la percezione di poter essere toccate; i secondi emergono al culmine della curva del
sonno, vengono dimenticati prima del risveglio e i loro contenuti sono tanto più arcaici
quanto più profondo è il sonno. L'ipotesi è che al risveglio non si ricordi il sogno, ma
l'esperienza allucinatoria, perché essa conserva un certo legame con la coscienza, proprio
perché si verifica in una fase transitoria del sonno. I sonnambuli, per esempio, evento che
Jovanović interpreta come una forma onirica motoria, primitiva e meno psichica, si alzano
un paio di minuti prima o dopo le fasi oniriche, scordandosi poi l’episodio. Lo stesso
avviene per il fenomeno di gridare nel sonno, altra forma che si verifica un paio di minuti
prima della fase onirica classica.
7
U.J. Jovanovic, Il sonno e il sogno, tr. it. Ernesto Cipollini, Roma: Il Pensiero Scientifico editore, 1975.
12
Jovanović osservò che le fasi oniriche durano in media 112,2 minuti a notte. I rapidi
movimenti oculari si dimostrano diversi da persona a persona e differenti, per la stessa
persona, all'interno dell'episodio di sonno. Nella formazione di un sogno intenso si può
arrivare ad una sincronizzazione di questi processi biologici con le scene del sogno; ma
se il sogno non ha per il sognatore un grosso significato emotivo, il roteare degli occhi
non è particolarmente connesso con il contenuto del sogno.
Osservando le onde cerebrali durante la fase REM, il sogno risulta amministrato da parti
del cervello più altamente organizzate rispetto a quelle che regolano il sonno non-REM,
ma, al tempo stesso, da regioni cerebrali funzionalmente più basse rispetto alla veglia.
Jovanovic osservò che i movimenti della mano sinistra in soggetti destrimani durante le
fasi REM sono più frequenti di quelli della destra, deducendo che nel sogno i destrimani
appaiono mancini, mentre i veri mancini diventano destri.
Nel 1977, Hobson e McCarley proposero la “teoria di attivazione di sintesi”8,
suggerendo che il sogno è sviluppato, specie nella fase REM, dalle onde ponto-genicolooccipitale che, stimolando la parte alta del mesencefalo e del prosencefalo, causano i
movimenti rapidi degli occhi. Il prosencefalo e il sistema limbico, così attivati,
consentono un recupero della memoria, la costruzione di una trama e la partecipazione
emotiva al sogno, inibendo selettivamente altre strutture cerebrali da cui dipendono la
consapevolezza autoriflessiva e il ragionamento logico. Tale ipotesi si basa sul concetto
che l’attività onirica è funzionale al consolidamento dell’apprendimento cerebrale,
attraverso la formazione di “organizzazioni cerebrali interne”, che evolvono
automaticamente mentre dormiamo.
8
J. A Hobson, R.W. Mccarley, “The brain as a dream state generator: an activationsynthesis hypothesis of
the dream process”, American Journal of Psychiatry, 1977, n. 134.
13
Hobson, nei suoi libri “La fabbrica dei sogni” (1986) e “Sognare” (2011), arriva ad
ipotizzare che l’attività onirica sia solo funzionale ai bisogni fisiologici del corpo e che
sia una sorta di atto casuale con cui la mente elimina i prodotti inutili dell’attività
catabolica. Il sogno sarebbe costituito da meccanismi cerebrali di riscaldamento,
determinati da casuali reazioni sensoriali, al di là della storia personale, affettiva ed
emozionale del sognatore. Al tempo stesso, Hobson non crede che i sogni siano privi di
valore, descrivendoli piuttosto come “il nostro stato di coscienza più creativa, quella in
cui dal caos degli elementi conoscitivi vengono prodotte nuove configurazioni di
informazioni, tanto che il tempo speso per sognare non è sprecato.
L’ipotesi “Reverse Learning” di Crick e Mitchison, pubblicata sulla rivista
scientifica “Nature” nel 19839, propone il paragone tra il processo del sogno e un
computer “off-line”. Il cervello, nella fase REM, setaccia informazioni apprese durante il
giorno, eliminando il materiale neuronale residuo non utile a quello già immagazzinato
nella memoria. Il sogno, attività dei centri sottocorticali, avrebbe, dunque, la funzione di
far dimenticare o meglio disimparare, stimolando una sorta di “apprendimento inverso”,
grazie al quale vengono eliminate le tracce mnesiche in esubero, innescando un
“processamento di selezione-silenziamento” automatico. La corteccia, infatti, non
potrebbe far fronte alla grande quantità di informazioni ricevute durante la giornata senza
sviluppare pensieri "parassiti", che andrebbero a disturbare l'organizzazione efficiente
della memoria. Durante il sonno REM, le connessioni indesiderate all’interno delle reti
corticali sono presumibilmente spazzate via da un meccanismo di impulsi, che
bombardano la corteccia delle zone sub-corticali.
9
F. Crick; G. Mitchison, “We dream to forget. The function of dream sleep”, Nature n. 304, 1983, pp. 111-
114.
14
Gli studi di Solms10 e Kaplan (2000) mettono in discussione l'ipotesi di Hobson
secondo la quale sia il tronco encefalico la fonte dei segnali che vengono interpretati come
sogni. Solms sostiene l'idea del sogno come funzione complessa di strutture cerebrali. Il
sonno REM e l’attività onirica apparterrebbero a strutture anatomiche differenti11: le
strutture del tronco encefalico regolerebbero i meccanismi fisiologici del sonno REM,
mentre il meccanismo del sogno sarebbe generato nelle aree del cervello anteriore ed in
particolare nella parte inferiore dei lobi parietali e di quella medio-basale dei lobi frontali.
Le strutture anatomiche del cervello anteriore interessate al fenomeno della costruzione
del sogno sarebbero quelle impegnate nelle funzioni delle emozioni e della memoria (il
sistema limbico, comprese le componenti limbiche delle aree frontali e temporali, cioè la
giunzione occipito-temporo-parietale e il sistema delle aree visive).
Solms verifica le sue ipotesi studiando alcuni pazienti con vari danni al cervello: coloro
che presentavano danni alle aree associative parieto-temporo-occipitale avevano smesso
di sognare, mentre i pazienti affetti da lesioni del tronco encefalico continuavano a
sognare (G. Marzi, 2005). Inoltre, se la lesione riguardava solo la corteccia associativa
temporo-occipitale, i sogni perdevano la loro componente allucinatoria ma non
scomparivano, mentre negli individui in cui erano compromesse le strutture associative
10
Mark Solms è sia neuroscienziato che psicoanalista; docente di neuro-psicoanalisi presso il Dipartimento
di Psicologia dell’Università di Città del Capo, ha ottenuto numerosi premi per il suo pionieristico lavoro
in neuro-psicoanalisi, incluso l’International Psychiatrist Award dal the American Psychiatric Association
and Best Science Writing Awards. Fondatore della “International Neuro-Psychoanalysis Society” il cui
organo di stampa è la rivista Neuro-Psychoanalysis (disponibile online all’indirizzo http://www.neuropsa.org.uk/npsa/).
11
M. Solms, “Dreaming and REM sleep are controlled by different brain mechanisms”, Behavioral and
Brain Sciences, Cambridge Journals n. 23, 2000, pp. 793-1121.
15
limbiche non vi era più la capacità di distinguere i sogni dalla realtà, trovandosi, così, a
vivere in una situazione continua di sogno.
Solms, le cui teorie vengono riprese da Foulkes (1985), Abe, Ogawa, Nittono, Hori (2008)
e Domhoff (2010), sostanzialmente riduce la visione analitica classica del sogno come
struttura difensiva, pur confermando l’esistenza di un inconscio, che definisce “un
fenomeno biologico utile al funzionamento cognitivo, conscio ed inconscio.” (Rivista
Mente & Cervello 2003).
Combinando le ricerche di Hobson e Solms, la “Teoria di continualactivation”12, presentata da Zhang, parte dal presupposto che sogno e fase REM siano
controllati da meccanismi cerebrali differenti. Il ricercatore spiega i sogni come il risultato
di una “attivazione cerebrale e di un lavoro di sintesi”. La funzione del sonno sarebbe
quella di trasferire le informazioni dalla memoria a breve termine a quella a lungo
termine, sebbene la teoria del “consolidamento” della memoria non trovi una conferma.
Il sonno non-REM tratterebbe la memoria consapevole esplicita (memoria dichiarativa),
mentre il sonno REM si occuperebbe della memoria implicita, inconsapevole (memoria
procedurale). Zhang immagina che, durante la fase REM, la parte inconscia del cervello
sia occupata a processare la memoria procedurale, mentre la parte consapevole del
cervello sia “disconnessa”. Un meccanismo di attivazione continua genera un fiume di
dati nella memoria immagazzinata dalla parte consapevole del cervello. Attraverso il
12
J. Zhang, “Continual-Activation Theory of Dreaming”. Dynamical Psychology [Online]. 2005.
Disponibile all’indirizzo: http://www.goertzel.org/dynapsyc/2005/ZhangDreams.htm (Consultato in data
01/07/2015).
16
sogno, la memoria recente sarebbe assemblata con il materiale già presente, in modo da
essere compatibile con quella già contenuta nel cervello13.
Tarnow suggerisce che sognare aiuta a consolidare i ricordi immagazzinati nella
memoria a breve termine in quella a lungo termine: la fase REM serve proprio ad
organizzare i ricordi, mettendoli in relazione con altri passati, associandoli e
catalogandoli. I ricordi sarebbero memorizzati nella memoria a lungo termine, secondo
ciò che in essa è già presente. Studi recenti dimostrano che uno stato di privazione da fase
REM provoca problemi di memoria, irritabilità, difficoltà di attenzione, rendendo la teoria
di Tarnow particolarmente calzante14.
Ernest Hartmann15, direttore dello Sleep Disorders Center di Boston, insieme ad
altri collaboratori ha elaborato la “Teoria Contemporanea del sogno”16, secondo la quale
i sogni permettono al sognante di integrare “cose e pensieri” che, altrimenti, verrebbero
dissociati nella fase conscia. Questo può avvenire perché il cervello sembra produca e
distrugga in continuazione connessioni neurali, fondamento delle nostre attività mentali.
Durante questa attività è possibile cogliere un continuum lungo il quale le connessioni si
13
J. Zhang, “Memory precess and the function of sleep”. Journal of Theoretics [Online]. 2004, Vol. 6-6.
Disponibile all’indirizzo: http://journaloftheoretics.com/Articles/6-6/Zhang.pdf (Consultato in data
02/07/2015).
14
E. Tarnow, “How Dreams And Memory May Be Related”. Neuro-Psychoanalysis [Online]. 2003, vol.
5, n. 2. Disponibile all’indirizzo: http://cogprints.org/2068/1/DreamsAndMemoryTarnow.pdf (Consultato
in data 07/07/2015).
15
Membro della Boston Psychoanalytic Society, Past President della International Association for the Study
of Dreams (IASD), primo Editor-inChief della rivista della IASD “Dreaming”, Professore di Psichiatria
alla Tufts University School of Medicine ed ex-Direttore dello Sleep Disorders Center al Newton-Wellesley
Hospital.
16
E. Hartmann,
“Dreaming, the contemporary theory”
[Online]. Disponibile all’indirizzo:
http://web.me.com/ernesthartmann/ERNEST_HARTMANN_MD/HOME_files/Dreaming%20The%20Co
ntemporary%20 Theory%202010%20Powerpoint.ppt (Consultato in data 05/07/2015).
17
fanno sempre più diradate ed imprecise: da un lato ci sono le connessioni della veglia,
che lungo il procedimento si fanno più vaghe, tanto che le attività mentali diventano più
approssimative; dal lato opposto ci sono i sogni, guidati dalle emozioni del sognante. Più
questi è pervaso da un’emozione forte, più individuabile sarà il senso dei suoi sogni. Il
sogno sarebbe un’interconnessione di ricordi legati ad altri, capace di rendere blanda
l’azione disturbante dell’emozione e funzionare come un “cancellino”: chi vive un trauma
nei primi giorni torna a riviverlo nei sogni in maniera altrettanto forte, ma, con il passare
del tempo, inizia a sognare eventi diversi, seppur traumatici, che possono richiamare
anche altri eventi spiacevoli del passato, come se i sogni inglobassero e si connettessero
con altro materiale più neutro, presente nella memoria del soggetto, perdendo il
collegamento esplicito con l’evento traumatico vissuto.
Griffin e Tyrrell17 sostengono che il sogno sia di vitale importanza per la salute
mentale, anche se ricordarlo non lo è. Tale teoria, detta "Teoria di adempimento
dell'aspettazione di sognare"18, suggerisce che, sognando metaforicamente si completano
modelli di aspettazione emotiva e, di conseguenza, si abbassano i livelli di stress, da cui
deriva la diminuzione della produzione del cortisolo19.
Per Foulkes e Antrobus, il sogno è un processo mentale complesso che svolge una
essenziale funzione adattiva e l’inconscio è un livello della cognizione riferito allo stato
di consapevolezza, anziché essere uno spazio energetico pulsionale che preme per
emergere. Esperimenti neuroelettrofisiologici (Rodolfo Llinàs, Mircea Steriade, Denis
17
Joe Griffin è ricercatore psicologo, psicoterapeuta, co-autore con Ivan Tyrrell di Human Givens; Ivan
Tyrrell è scrittore, psicoterapeuta e direttore del Mindfields College nel Regno Unito.
18
J. Griffin, L. Tyrrell, Dreaming Reality: How Dreaming Keeps Us Sane, or Can Drive Us Mad, Human
Givens Publishing, 2004..
19
J. Griffin, “The Origin of Dreams: How and why we evolved to dream”, in The Therapist, vol IV n. 3,
1997.
18
Parè) affermano che la plasticità neuronale e le reti di interconnessioni (connectivity
patterns) del cervello creano con il sogno un’esperienza mentale simile a quella di veglia
e poi la integrano all’interno della struttura di personalità, decodificando la parte rimasta
non consapevole e definibile inconscia.
L’articolo di Wamsley20 offre una panoramica riassuntiva delle teorie ad oggi più
quotate, ponendo l’accento su alcuni concetti chiave a lui cari. Secondo l’autore, i sogni
e lo stato di coscienza attivo durante la veglia non sono necessariamente generati da
meccanismi distinti, contrariamente alle credenze più classiche: “Anche quando non
stiamo apparentemente facendo nulla, come durante gli stati di riposo, di sonno, nelle
fantasticherie, il cervello continua a elaborare informazioni: durante la veglia la mente
genera pensieri, progetti per il futuro e immagina scenari fittizi; durante il sonno, quando
gli input sensoriali sono ridotti, la mente si rivolge a pensieri e immagini che chiamiamo
“sognare”. Lungi dall'essere una distrazione senza senso, il contenuto di queste esperienze
soggettive fornisce una fonte importante di informazioni sulle attività della mente e del
cervello a riposo. Sia nella veglia che nel sonno ha luogo un'esperienza spontanea che
combina in nuovi scenari frammenti di memoria recente e remota. Tali esperienze
coscienti possono rappresentare il consolidamento della memoria recente in forme di
stoccaggio a lungo termine, un processo adattivo che serve ad estrarre conoscenze
generali sul mondo e rispondere in modo adattivo ad eventi futuri21. Lo studioso prosegue
20
Erin J. Wamsley lavora al Department of Psychiatry, Center for Sleep and Cognition, Harvard Medical
School and Beth Israel Deaconess Medical Center, Boston, Ma, Usa.
21
E. Wamsley, “Dreaming, waking conscious experience, and the resting brain: report of subjective
experience as a tool in the cognitive neurosciences”. Frontiers in psychology [Online]. 2013. Disponibile
all’indirizzo: http://journal.frontiersin.org/article/10.3389/fpsyg.2013.00637/full (Consultato in data
05/07/2015).
19
elencando prove emergenti a sostegno di quanto affermato. Le esperienze coscienti
durante il sonno (vale a dire, i sogni), classicamente ritenute un fenomeno del tutto
distinto dal pensiero spontaneo e dalle immagini della veglia, possono essere meglio
concettualizzate come una estensione naturale della coscienza vigile (Wamsley e
Stickgold, 2010; Domhoff, 2011; Horikawa, 2013). Nella fase di dormiveglia, come nel
sonno, la mente è al lavoro, elaborando le situazioni e le preoccupazioni della giornata,
consolidandole nella memoria (Plihal e Born, 1997; Mednick, 2002; Tucker, 2006) ed
integrando le nuove informazioni con le conoscenze esistenti (Tamminen, 2010; Lewis e
Durrant, 2011), mescolandole con esperienze passate, al fine di pianificare al meglio il
futuro (Wilhelm, 2011). Lo studio sistematico di queste esperienze soggettive, in tutti gli
stati di coscienza, potrebbe rivelarsi fondamentale per una più ampia comprensione del
funzionamento del cervello durante gli stati “offline”.
Nonostante la proliferazione di dizionari sul simbolismo onirico, Wamsley sottolinea che
non c'è stato alcun riscontro empirico di una particolare decodifica di tali simboli.
La validità della teoria neurobiologia di Hobson, secondo la quale il sogno è prodotto
all’interno del tronco cerebrale pontino nella fase REM è stata negata dai nuovi studi della
comunità scientifica, che hanno evidenziato come i sogni avvengono anche al di fuori
della fase REM, incluse le fasi più profonde del sonno. Teorie più recenti (Cicogna e
Bosinelli, 2001; Nir e Tononi, 2010; Wamsley e Stickgold, 2010; Perogamvros e
Schwartz, 2012), suggeriscono che la coscienza del sogno è generata dallo stesso
substrato neurale di base che supporta l'esperienza soggettiva spontanea durante gli stati
“offline”, ovvero nei momenti di “resting wakefulness” (dormiveglia, quiescenza).
Una ragione per cui il fenomeno del sogno è stato a lungo trattato separatamente dalla
esperienza cosciente della veglia è che lo si è sempre considerato un avvenimento
20
bizzarro, allucinatorio, cognitivamente carente. Certamente, l'esperienza cambia mentre
ci si muove attraverso i diversi stati di coscienza, ma forse i cambiamenti più notevoli
durante il sogno sono un aumento della vividezza delle immagini, insieme ad una
consapevolezza attenuata del mondo esterno (Hobson, 2000). Vi sono, altresì, drastici
cambiamenti di neuro-modulazione, elettrofisiologia e attivazione cerebrale regionale.
Tuttavia, non ci sono prove che suggeriscano la presenza di un meccanismo
fondamentalmente diverso tra esperienza cosciente durante il sogno ed esperienza
cosciente durante la veglia. Al contrario, insiste Wamsley, i dati disponibili indicano che
la forma e il contenuto dell'esperienza cosciente di veglia offline e di sonno creano
rapporti di sovrapposizione così simili da essere indistinguibili: immagini vivide e anche
allucinatorie, per esempio, sono a volte riportate anche in racconti di sogni ad occhi aperti
(Foulkes e Scott, 1973; Foulkes e Fleisher, 1975); i sogni nel sonno non sono
necessariamente più bizzarri rispetto alle fantasie ad occhi aperti: quest’ultime possono
essere altrettanto stravaganti e ricche di improvvisi cambiamenti discontinui di argomento
(Wollman e Antrobus, 1986; Reinsel 1992). La cognizione durante il sonno può essere
sorprendentemente logica e coerente, incluse le auto-riflessioni, le pianificazioni,
l’attenzione focalizzata (Kahan, 1997; Kahan e Laberge, 2011). Nel sonno REM, le
esperienze oniriche sono spesso più lunghe, più vivide, più dettagliate e più bizzarre
rispetto a quelle negli stadi non-REM, ma, al tempo stesso, è possibile teorizzare una
sovrapposizione tra le due esperienze (Foulkes, 1962, 1967; Antrobus, 1995; Cicogna,
1998; Smith, 2004. Wamsley, 2007). Studi di neuroimaging dopo il 1950 (EEG, PPET,
fMRI) hanno evidenziato che il cervello e la mente non sono completamente spenti
durante il sonno: l’attività cerebrale nel sonno REM assomiglia a quella dell’attività
cerebrale della veglia; le fasi più profonde del sonno non-REM mostrano che l'attività
21
metabolica regionale è mantenuta in regioni selezionate (Nofzinger, 2002; Peigneux,
2004); aree cerebrali attive durante i periodi di veglia in condizione di riposo, ovvero
quando le persone non sono intente a processare stimoli esterni, rimangono relativamente
attive anche durante il sonno, sia REM che non-REM, comprese l'area medio-frontale e
l'area medio-temporale coinvolte nella elaborazione della memoria (Buckner, 2008)
(Domhoff, 2011). Durante la veglia è attiva una rete di default, associata con la
generazione del pensiero cosciente e delle immagini (Mason, 2007; Andrews-Hanna,
2010; Andrews-Hanna, 2012), che risulta attiva anche in condizioni di controllo
sensoriale ridotto, aumentando pensieri stimolo indipendenti (Andrews-Hanna, 2010).
Individui che hanno riportato pensieri irrilevanti del passato e del futuro nel corso di una
condizione di riposo hanno mostrato un aumento della connettività funzionale tra le
strutture del lobo temporale mediale e di altre componenti della rete di default di cui sopra
(Andrews-Hanna, 2010). Infine, l'attivazione della suddetta rete è maggiore negli
individui con una forte propensione verso i sogni ad occhi aperti (Mason, 2007), a
dimostrazione di una comunanza strutturale e funzionale tra la “modalità standard” di
veglia in condizioni di riposo e un pattern di attivazione funzionale durante il sonno. La
relazione dell’attività di rete default con lo stato del sogno durante il sonno non è ancora
stata testata direttamente, ma ci sono prove preliminari del fatto che alcune regioni di
questa rete contribuiscano alla formazione dei sogni, a dimostrazione della presenza di
una rete condivisa per la generazione di esperienze soggettive spontanee e altri stati di
coscienza. Nella veglia e nel sonno, l’esperienza spontanea cosciente riflette memorie del
passato e pianificazioni per il futuro. L'ipotesi è che una funzione del cervello durante il
riposo sia quella di utilizzare ricordi del passato per costruire simulazioni di future
esperienze possibili, così da rafforzare la preparazione agli eventi futuri (Schacter, 2007).
22
A sostegno di questa ipotesi, va riportato che i pazienti con danno bilaterale
dell'ippocampo, struttura nel lobo temporale mediale essenziale per la formazione di
nuove memorie, mostrano non solo deficit di memoria, ma anche una compromissione
della capacità di immaginare scenari fittizi ed eventi futuri (Hassabis, 2007; Race, 2012).
Queste osservazioni suggeriscono, secondo Wamsley, che durante i periodi di riposo,
frammenti di esperienze passate vengono riattivati nella mente e combinati in nuovi
scenari immaginati, ricchi di possibili eventi futuri. Parecchie evidenze suggeriscono che
l'esperienza del sogno può similmente attivare l’elaborazione di memorie del passato, così
come utilizzare la memoria per simulare eventi nel futuro. Vi è oggi forte evidenza del
beneficio del sonno per il “consolidamento” delle informazioni di nuova acquisizione e
per le prestazioni della memoria procedurale e dichiarativa (Stickgold, 2000; Walker,
2002) (Plihal e Born, 1997; Ellenbogen, 2006; Tucker, 2006). L'elaborazione da parte
della memoria durante il sonno sembra riflettersi direttamente nell'esperienza cosciente
del sogno: anche se le esperienze passate sono raramente, se non mai, riprodotte nei sogni
nella loro forma completa e originale, la maggior parte dei resoconti di sogni contengono
almeno un elemento che può essere fatto risalire ad una memoria recente specifica (Fosse,
2003). Se è improbabile che il contenuto dei sogni possa essere determinato
esclusivamente da processi relativi alla memoria [per esempio, il sogno può anche essere
influenzato da sistemi motivazionali e di ricompensa (Pennartz, 2004; Perogamvros e
Schwartz, 2012)], appare chiaro il contributo del consolidamento della memoria durante
il sonno alla costruzione dell'esperienza vissuta all'interno del sogno. Nel loro insieme,
queste osservazioni, asserisce con forza Wamsley, suggeriscono l'ipotesi che sia le
immagini spontanee durante la veglia in condizioni di rilassamento, sia i sogni durante il
sonno possano essere influenzati dai medesimi processi cerebrali.
23
Il sogno rimane centro attrattore delle Psicoterapie, che lo considerano una fonte
importante da cui attingere per entrare meglio nelle dinamiche mentali del paziente.
Benelli, portavoce del pensiero psicoanalitico moderno, chiarisce che i sogni, più che
distorti impulsi nascosti, vanno considerati pensieri che riguardano avvenimenti della vita
da svegli, più che appagamento potrebbero essere completamento e ristrutturazione di
una organizzazione psicologica. Il sogno permette la comunicazione del mondo interno
del sognatore, che esprime anche tramite il sogno, il desiderio e l’angoscia di conoscere
se stesso22.
Scrive Sergio Lombardo: “L'interpretazione psicoanalitica classica dei sogni
come appagamento surrogato di desideri proibiti, non si adatta ai risultati sperimentali
ottenuti dalla fisiologia del sonno, non solo per quanto riguarda la mancanza dei caratteri
di malattia che quella interpretazione implicava, ma anche perché non si capirebbe la
necessità di un processo del sonno a cicli successivi allo scopo di appagare un desiderio
in forma allucinatoria, specialmente qualora si tratti di un desiderio covato fin
dall'infanzia e descrivibile in termini erotici infantili. Più che realizzare in surrogato
desideri infantili, il sogno sembra creare per tentativi qualcosa di assolutamente nuovo,
sembra affrontare con maggior successo un evento enigmatico, un problema senza
formalizzazione, una situazione imprevista. Il fatto che la fase REM non compare quando
l'organismo discende dalla veglia al sonno profondo, ma soltanto quando risale verso una
maggiore eccitazione, è in accordo con l'ipotesi proposta. La discesa verso il sonno è un
processo di disgregazione dell'Io, inteso come programma comportamentale generale,
ovvero come programma di utilizzazione del mondo. Disgregazione necessaria per far
affiorare le informazioni accumulate durante il giorno e accantonate nel preconscio
22
E. Benelli, Per una nuova interpretazione dei sogni, Bergamo: Moretti & Vitali, 2007.
24
perché inutilizzabili, non essendovi istruzioni adatte nel programma funzionale della
percezione cosciente. Nel risalire dal sonno passivo (SWS)23 al sonno attivo (REM)
durante il processo di ricostruzione dell'iniziativa di fronte al materiale sconosciuto
accumulato nel preconscio, poco prima della soglia di risveglio avviene la completa
caduta del tono muscolare e la comparsa delle allucinazioni oniriche. La caduta del tono
muscolare blocca il comportamento esterno e garantisce che il comportamento interno di
ristrutturazione dei programmi, rispetto alle modificazioni del mondo, non appaia sul
piano esecutivo.24
Concludendo, non si trova ad oggi una descrizione accettata su quale sia la zona
trigger che, stimolata, dia origine al sogno, né sulle vie nervose da esso utilizzate. I
risultati scientifici qui esposti non sono in grado di fornire una spiegazione esaustiva del
fenomeno sogno, ma sicuramente ne evidenziano la funzione evolutiva: fenomeno che
sembra permettere la messa in funzione della capacità di autoapprendimento, funzione
chiave per la sopravvivenza; manifestazione che sembra consentire una rielaborazione
continua dei contenuti, sia consci che inconsci, favorendo un equilibrio psico-emotivo;
processo mentale complesso che pare svolgere una funzione adattiva per la memoria,
l’apprendimento e le capacità cognitive di problem solving; meccanismo dal ruolo
primario nello sviluppo dell’organizzazione psicologica di personalità.
23
Il sonno senza sogni, N-REM, presenta durante gli stadi più profondi un particolare tipo di onde di grande
ampiezza, lente e sincronizzate (onde delta), che rivelano una fase contrapposta simmetricamente al sogno:
la fase SWS (Slow Waves Sleep) molto lunga nel primo periodo, progressivamente più corta nei successivi.
24
S. Lombardo, “Il sogno - una funzione biologica indicibile”, in Rivista di Psicologia dell'Arte, A. II, n.2,
giugno 1980, pp.15-29.
25
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