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paesaggio 150 - Aracne editrice
PAESAGGIO 150 Sguardi sul paesaggio italiano tra conservazione, trasformazione e progetto in 150 anni di storia a cura di Alessandro Villlari, Marina A. Arena OASI Dipartimento di progettazione per la città, il paesaggio e il territorio Sommario 11PREFAZIONE Alessandro Villari, Marina A. Arena Saluti Francesca Fatta Carmelo Bonfiglio Emanuela Bruni Annamaria Maggiore Roberto Banchini Cesare Oliva, Anna Carulli Paolo Malara Giuseppe Falzea Luigi Longhitano 1. INTRODUZIONE 31 37 41 44 PAESAGGIO 150 Alessandro Villari LA CARTA DELLO STRETTO DI MESSINA. QUANDO IL LUOGO NON È INDIFFERENTE Marina A. Arena CARTA DELLO STRETTO DI MESSINA PAESAGGIO SENTIMENTO DEL MONDO. UN CONTRIBUTO SUI TEMI DELLA CARTA DELLO STRETTO DI MESSINA Pier Paolo Balbo di Vinadio 49PRESENTAZIONE Gianpiero Donin 52 THE EUROPEAN LANDSCAPE CONVENTION: EXPERIENCES AND CHALLENGES Maguelonne Déjeant-Pons 2. IL PUNTO SUL PAESAGGIO 65 Lectio Magistralis ETEROTOPIE: LE VEDUTE DELL’ALTROVE Paolo Fabbri Relazioni 75 78 84 91 97 102 108 114 118 122 130 136 PAESAGGIO CENTOCINQUANTA: LE RAGIONI DI UN CONVEGNO Maria Maddalena Alessandro IL PAESAGGIO ITALIANO, 150 ANNI DOPO Franco Zagari DISEGNO DI UN PAESAGGIO FUTURO Vittorio Amadio QUALE FUTURO E QUALE TUTELA PER IL PAESAGGIO ITALIANO? Roberto Banchini PAESAGGIO E TERRITORIO: LE RAGIONI DI UN’ALLEANZA Luisa Bonesio RIFLESSIONI SULL’EVOLVERE DI CONCEZIONI, TENDENZE E PROBLEMI CONNESSI CON LA “QUESTIONE PAESISTICA” Annalisa Calcagno UN PAESAGGIO DELL’UNITÀ. IL PARCO (LIQUIDO) DELLO STRETTO Daniela Colafranceschi EFFETTIVITÀ ED EFFICACIA DELLA PIANIFICAZIONE PAESAGGISTICA: ELEMENTI PER IL PUNTO DELLE SITUAZIONI Francesco Karrer LA “COSTRUZIONE” DEL PAESAGGIO Bruno Messina RIFLESSIONI SUL PAESAGGIO: DALL’INAFFERRABILE PERCEPITO ALL’OPERATIVITÀ TECNICA E PROGETTUALE DEL PIANO PAESAGGISTICO E DELLA VALUTAZIONE DEL PAESAGGIO Francesca Moraci IL PAESAGGIO NEGLI STRUMENTI DI PIANO. TRA TUTELA E VALORIZZAZIONE Maria Cristina Treu CENTOCINQUANT’ANNI DOPO. NOTE SUL PAESAGGIO ITALIANO Laura Thermes 3. I TEMI 143 151 156 161 168 173 176 180 185 190 195 200 204 209 212 219 224 231 237 243 249 254 259 265 270 274 279 284 290 PAESAGGIO, RIFLESSIONI E INTENZIONI PROGETTUALI Marcella Aprile T.1 L’identità nazionale e il ruolo unificante del paesaggio UN INCONTRO DI STORIE. MILLE PAESAGGI PER L’ITALIA Marina A. Arena GLI ITALIANI AMANO IL PAESAGGIO? Orazio Micali PAESAGGI DI CARTA Marinella Arena ITINERARI CULTURALI DEL CONSIGLIO D’EUROPA IN ITALIA: TRA PAESAGGIO E RICERCA DI IDENTITÀ Eleonora Berti PAESAGGIO E LETTERATURA. L’INVENZIONE DEL PAESAGGIO LETTERARIO CALABRESE Giuseppe Caridi DIFESA, AVVISTAMENTO E ACCOGLIENZA. UN PROGETTO PER I PORTI E FARI DELL’ITALIA UNITA Francesca Fatta L’USO DEGLI INDICATORI PER LA VALUTAZIONE DEL PAESAGGIO ITALIANO. ASSUNTI METODOLOGICI Celestina Fazia L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO GIURIDICO DI PAESAGGIO TRA CONTAMINAZIONI DISCIPLINARI. PRESUPPOSTI FUTURI Maria Ferrara IL GOVERNO DEL TERRITORIO TRA PAESAGGIO E URBANISTICA IN ITALIA E FRANCIA: PROFILI COMPARATI E PRIMI ORIENTAMENTI Sergio Florio LA COSTRUZIONE DI PAESAGGI SOLIDALI. UN PROGETTO POSSIBILE? Francesca Mazzino “UN ALTISSIMO INTERESSE MORALE E ARTISTICO”. LA DIFESA DEL PAESAGGIO NEI PRIMI ANNI DEL NOVECENTO Caterina Musolino UNO SGUARDO SUL PAESAGGIO DELL’UNITÀ D’ITALIA ATTRAVERSO L’ARTE E LA LETTERATURA Antonella Piras COS’È IL PAESAGGIO ITALIANO. UN’INTRODUZIONE TEORICA Ettore Rocca UNO SGUARDO GEOFILOSOFICO SUL PAESAGGIO Francesca Saffioti T.2 L’armatura storica e geografica dei paesaggi italiani BIOGRAFIE DEL PAESAGGIO “UNITARIO” Enrica Campus PER RI-VEDERE UNA PIANIFICAZIONE PAESAGGISTICA SOSTENIBILE Maurizio Spina VISIONI DEL PAESAGGIO ETNEO Giuseppe Arcidiacono VERSO LA DEFINIZIONE DI PAESAGGIO VULCANICO URBANO. DALLA CITTÀ DI CATANIA ALLE CITTÀ DELL’ETNA Simona Calvagna BIOGRAFIA DI UN PAESAGGIO URBANO TRA STORIA E NATURA. IL CASO DEL CENTRO STORICO DI SCICLI Teresa Cannarozzo SULLA DIMENSIONE NATURALISTICA DEL PAESAGGIO E L’ETICA. RIFLESSIONI ATTRAVERSO IL DISEGNO Gabriella Curti SENSITIVE CITY. NOTE PER LA COSTRUZIONE DI UN PAESAGGIO ANTROPOLOGICO TRA IDENTITÀ E RAPPRESENTAZIONE DEL TERRITORIO Miriam De Rosa CARBONAIE, LUOGHI DEL LAVORO E VALORIZZAZIONE TURISTICA DEL PAESAGGIO FORESTALE NEL COMPRENSORIO DI SERRA SAN BRUNO Salvatore Di Fazio, Giuseppe Modica NUOVA VITA AI PAESAGGI DI MINERVA Concetta Fallanca De Blasio IL SIGNIFICATO DI UN ITINERARIO CULTURALE: TRA CONSAPEVOLEZZA DEL PASSATO E ASPIRAZIONI DI SVILUPPO Maria Teresa Idone IMMAGINARI E POLITICHE DEL PERIURBANO Mariavaleria Mininni, Michele Cera, Francesco Marocco, Giorgia Lubisco PAESAGGI DI ROVINE. TRASFORMAZIONE, CONSERVAZIONE E VALORIZZAZIONE DI UN PATRIMONIO A RISCHIO Emanuele Romeo UN VIAGGIO NEL CENTRO ITALIA. LEGGERE I PAESAGGI DELLA VIA LAURETANA, PER INTERPRETARNE LA STORIA E PROGETTARNE LE TRASFORMAZIONI Chiara Serenelli NOTAZIONI SUL PAESAGGIO A MARGINE, FRA STORIA E CONTEMPORANEITÀ Maria Piera Sette 299 301 308 314 320 326 330 336 342 348 354 360 T.3 Il paesaggio e le grandi trasformazioni PAESAGGIO DI IDENTITÀ Valerio Morabito PAESAGGIO E GRANDI TRASFORMAZIONI. UN’INTRODUZIONE Michelangelo Savino UN PAESAGGIO IN TRAS-FORMAZIONE. LA CALABRIA E LE CATASTROFI Ottavio Amaro PAESAGGIO CHE RACCONTA, PAESAGGIO RACCONTATO: FOTOGRAFIE, GEOGRAFIE, TERRITORI 1948-1984 Paolo Barbaro LA SECONDA RESIDENZA IN SARDEGNA E LA TRASFORMAZIONE DEL LITORALE Iván Alvarez León, Alessandra Cappai LA RIFORMA AGRARIA TRA CONTINUITÀ E INNOVAZIONE Alessandra Casu VISIONI DAL CRINALE-36: L’ARCHITETTURA RURALE, IL PAESAGGIO ITALIANO, LO SGUARDO DI PAGANO E GLI ALTRI Salvatore Di Fazio TIPI DA SPIAGGIA: LA COSTRUZIONE DEL PAESAGGIO BALNEARE E DELL’IMMAGINE TURISTICA DELLA SICILIA Isabella Fera “… IL NEMICO VIEN DAL MAR”. LA II GUERRA MONDIALE IN SICILIA. LINEE DI COSTA E LINEE DI FRONTIERA. AZIONI MILITARI E GEOGRAFIA NELLA COSTRUZIONE DEL PAESAGGIO SICILIANO Giuseppe Marsala LE TRASFORMAZIONI DEL PAESAGGIO RURALE CONTEMPORANEO IN CONTESTI DI BONIFICA Paola Marzorati SOTTRAZIONI DI PAESAGGIO. 50 ANNI DI CONVERSIONE URBANA DEI SUOLI IN ITALIA Bernardino Romano, Francesco Zullo RI-SEGNIFICAZIONE DEL PAESAGGIO E SOSTENIBILITÀ Maria Gabriella Trovato 367 369 375 379 384 391 396 402 409 415 421 425 429 T.4 Nuove prospettive per il futuro del paesaggio italiano LA TRANSIZIONE DEL PAESAGGIO ITALIANO Gianni Celestini PAESAGGI IN TRASFORMAZIONE. NUOVE PROSPETTIVE PER IL FUTURO DEL PAESAGGIO ITALIANO Mariavaleria Mininni EDGE SPACES - ABITARE GLI SPAZI DEI MARGINI Mariella Annese LA VALUTAZIONE NON MONETARIA DEL PAESAGGIO RURALE MEDITERRANEO ATTRAVERSO UN APPROCCIO PARTECIPATIVO DI TIPO VISIVO-PERCETTIVO Massimo Baldari, Donatella Di Gregorio, Bruno Francesco Nicolò SCENARI FUTURI PER IL PAESAGGIO URBANO IN ITALIA Paolo Colarossi “NUOVI LUOGHI” NELLA BASILICATA DEL PRIMO NOVECENTO. IL PAESAGGIO DELLA RIFORMA E LA RICOSTRUZIONE DEL PAESE Antonio Conte, Antonio Bixio, Maria Onorina Panza IMPLEMENTAZIONE DI UN MODELLO PER IL DISEGNO DI RETI ECOLOGICHE ORIENTATO ALLA GESTIONE FUNZIONALE DEL PAESAGGIO Carmelo Riccardo Fichera, Luigi Laudari, Giuseppe Modica LA SCALA INTERMEDIA PER IL PROGETTO DEL PAESAGGIO ITALIANO Francesco Riccardo Ghio, Annalisa Metta, Luca Montuori UNITÀ E PLURIVOCITÀ. IDENTITÀ ITALIANE ATTRAVERSO LE IMMAGINI DEL PAESAGGIO Federico Giordano LA STRUTTURA VISIVO PERCETTIVA DEL PAESAGGIO COME STRUMENTO REGOLATIVO DELLA PIANIFICAZIONE. UN CASO STUDIO PUGLIESE Luigi Guastamacchia, Silvana Milella, Marianna Simone NUOVI PARCHI URBANI IN ITALIA Giovanni Laganà LO SGUARDO INDIFFERENTE. PAESAGGI E PASSAGGI DI MARE NELL’ITALIA DEL III MILLENNIO Sebastiano Nucifora CONTENUTI FORMATIVI DEL PAESAGGIO NEL PROGETTO DELLA CITTÀ Gianfranco Sanna, Silvia Serreli Poster 439 UN VIAGGIO NELLE “ΕἸΚΏΝ” DEL PAESAGGIO ITALIANO Antonella Sarlo, Eleonora Cacopardo Poster T1 Giorgio Cacciaguerra, Maria Paola Gatti, Cinzia Slongo, Giovanbattista D’Ambros Irene Chiara D’Antone Riccardo Rudiero Serena Savelli Poster T2 Francesca Fatta Lara Riguccio, Patrizia Russo, Laura Carullo, Giovanna Tomaselli Poster T3 Alessandra Maniaci Mariangela Niglio Silvia Serra Poster T4 Alessio Battistella, Franco Sala, Matteo Jucker Riva Anna Rosa Candurra, Orio De Paoli Serena D’Ambrogi Maria Francesca Faro, Alba Guerrera, Abla Jouni Sara Gangemi Emanuela Panarello Mara Scalvini, Sonia Pettinari Federica Pedà, Daniela Giuffré Antonio Santoro, Pietro Fabio Scibilia, Giuseppina Paternò Letizia Schiavone Giorgio Skoff 449 SIAMO ANCORA IL “BEL PAESE”? NOTE A MARGINE Alessandro Villari 4. CONTRIBUTI (DVD) 459 463 471 475 480 485 489 494 500 506 512 521 527 531 T.1 L’identità nazionale e il ruolo unificante del paesaggio I PAESAGGI CULTURALI PATRIMONIO DIFFUSO PER IL PROGETTO DI IDENTITÀ Natalina Carrà LUOGHI FISICI E PAESAGGI EMOZIONALI. NOTE DI GEOGRAFIE RITRATTE Paola Raffa T.2 L’armatura storica e geografica dei paesaggi italiani TERRE COLTIVATE IN ATTESA DI UNO SGUARDO Graziella Arazzi EVOLUZIONE DEL PAESAGGIO URBANO DI “MARINA DI GIOIA TAURO” (RC) Laura Battaglia, Pietro Ferro LE STRUTTURE STORICHE DEL PAESAGGIO RURALE IN SARDEGNA TRA PERMANENZE E TRASFORMAZIONI Adriano Dessì MATERA. UN LABORATORIO URBANO ALL’APERTO Cristina Dicillo, Mariavaleria Mininni LINEA DI COSTA. FORMA, IMMAGINE E METAMORFOSI DEL PAESAGGIO COSTIERO DELLA CALABRIA Gaetano Ginex UN NUOVO PARCO PER UN PAESAGGIO ANTICO. STORIA E CRONACA DI UN PAESAGGIO DELLA CAMPAGNA URBANA DI PALERMO Manfredi Leone, Giuseppe Barbera, Gaetano Brucoli IL PAESAGGIO DELLE AREE PERIURBANE TRA TRASFORMAZIONI E IDENTITÀ. IL CASO DI AGRIGENTO Marilena Orlando STORIA DI UN VIAGGIO NEL PAESAGGIO METAFORICO DEL FUMETTO ITALIANO D’AUTORE Agostino Urso FIGURE DEL MARGINE NELLA BASSA E MEDIA MONTAGNA. APPROCCIO METODOLOGICO E SCENARI FUTURI PER IL TRENTINO Luca Zecchin, Claudia Battaino T.3 Il paesaggio e le grandi trasformazioni AGRIGENTO: IDENTITA’ E TRASFORMAZIONI DEL PAESAGGIO TRA RISORSE E DEGRADO Giuseppe Abbate TRASFORMAZIONI DEL PAESAGGIO URBANO GENOVESE: LE GRANDI EMERGENZE Maura Boffito PAESAGGIO COME METODO PER RI-DEFINIRE LA STRUTTURA DELLA CITTÁ Chiara Camaioni 536 542 548 554 557 562 567 572 577 582 587 591 598 604 607 613 618 623 628 632 637 642 649 652 656 660 666 670 675 680 683 689 694 IL PROGETTO DI PAESAGGIO LUNGO I TRACCIATI DI MATRICE STORICA: POSSIBILI DECLINAZIONI NELLA CITTÀ IN ESTENSIONE Marco Cillis ASPETTI E FORME DEL PAESAGGIO GENOVESE: I PERCORSI DI CREÙZA Luisa Cogorno INTORNO PAESAGGIO Rosario Andrea Cristelli ARCHITETTURE IN VIA DI ESTINZIONE Angelo Di Chio TRASFORMAZIONI DI PAESAGGI URBANI: GLI INTERVENTI “LINEARI”. IL CASO DI GENOVA Maria Linda Falcidieno PAESAGGI DEL NEGATIVO Giovanni Fiamingo LA DEQUALIFICAZIONE AMBIENTALE NEL PROCESSO DI ANTROPIZZAZIONE E TRASFORMAZIONE DELLE AREE COSTIERE SICILIANE Tiziana Firrone, Carmelo Bustinto EVOLUZIONE D’USO AGRICOLO DEL SUOLO NELLA PIANURA PIACENTINA Ermes Frazzi, Massimo Vincini, Ferdinando Calegari LA PIANA DI ASSISI : ANALISI DELLE TRASFORMAZIONI DEL PASAGGIO AGRARIO DALLA MEZZADRIA AGLI SCENARI FUTURI Giulia Giacchè, Biancamaria Torquati L’AUTOSTRADA DA SIMBOLO DI MODERNITA’ A FERITA NEL PAESAGGIO: UN CAMBIAMENTO CULTURALE PER UNA FILOSOFIA DI PROGETTO Elisabetta Maino LA VIA ANTICA ROMANA DI LEVANTE: STUDIO DI UN PERCORSO COME RAPPRESENTAZIONE DELL’EVOLUZIONE DEL PAESAGGIO GENOVESE Massimo Malagugini STRUTTURA ED EVOLUZIONE DI UNO SPAZIO COLLETTIVO. L’INVENZIONE DELLA SPIAGGIA TRA ICONOGRAFIA E IDENTITA’ Davide Mattighello IL DISEGNO DEL FRONTE MARE: L’ESPANSIONE DI GENOVA VERSO LEVANTE Michela Mazzucchelli I LUOGHI DELL’IDENTITÀ Francesco Messina IL PAESAGGIO MANTOVANO DALL’UNITÀ ALLA FINE DEL XX SECOLO. EVOLUZIONE DELLE INFRASTRUTTURE E FORME DEGLI INSEDIAMENTI Carlo Peraboni L’EVOLUZIONE DELLE INFRASTRUTTURE NEL PAESAGGIO. APPROFONDIMENTI NEL NORD OVEST D’ITALIA Francesca Pirlone L’EVOLUZIONE DEL PAESAGGIO DELLA SARDEGNA SUD-OCCIDENTALE ATTRAVERSO TRE LETTURE Manuela Porceddu IL PAESAGGIO COSTIERO CALABRESE TRA PIANIFICAZIONE, TRAME NARRATIVE E FORME DI ANTROPIZZAZIONE DI IERI E DI OGGI Giuliana Quattrone IL DISEGNO DEL NUOVO FRONTE MARE A GENOVA: IL PROGETTO DI LUIGI DANERI Maria Elisabetta Ruggiero AREE INDUSTRIALI DISMESSE IN CALABRIA. APPARIZIONI (A SCALA) DI PAESAGGIO Antonello Russo BORGO CASCINO A ENNA: UNA CITTÀ DAL DUCE NEL CUORE DEL LATIFONDO SICILIANO Vincenzo Sapienza PAESAGGI DELLA PERIURBANITÀ Angela Katiuscia Sferrazza T.4 Nuove prospettive per il futuro del paesaggio italiano ASCOLTARE I PAESAGGI Cecilia Alemagna LA NARRAZIONE DEL PAESAGGIO APPENNINICO TRA PROGETTO, STORIA ED IDENTITÀ Federica Arman LA VALORIZZAZIONE TURISTICA DEL PAESAGGIO PER UNO SVILUPPO SOSTENIBILE DEL TERRITORIO Alessandra Barresi PAESAGGI DI GUERRA IN TRENTINO RE-INVENZIONE DI UNA RETE INFRASTRUTTURALE Claudia Battaino, Luca Zecchin IL CANALE CAVOUR: DALL’ANALISI DEI CANTIERI DI COSTRUZIONE ALLE PROPOSTE DI PIANO Noela Besenval IL PAESAGGIO SARDO QUALE UNICUM TRA ABITATO E NATURA. LE TRASFORMAZIONI E LE INIZIATIVE ATTE A REGOLAMENTARLE Bruno Billeci, Maria Dessì L’INTEGRAZIONE FRA CHIUSURE VERTICALI E VEGETAZIONE COME MATRICE MORFOTECNICA PER L’ARCHITETTURA DEL PAESAGGIO URBANO Edoardo Bit LAND SHAPE Vinicio Bonometto UN PROGETTO DI PAESAGGIO, IN CAMMINO, PER L’ASPROMONTE: IL SENTIERO ITALIA Maria Grazia Buffon RETE DI PAESAGGI COSTIERI. UNA BLUE WAY PER PORTO VENERE Patrizia Burlando GLI OSSERVATORI DEL PAESAGGIO Letteria Calvo 700 705 709 714 719 724 730 736 741 745 750 755 759 763 766 770 774 778 785 789 794 799 802 806 812 817 822 828 833 836 840 846 ITINERARI CULTURALI. SALVAGUARDIA, GESTIONE E PIANIFICAZIONE DEI PAESAGGI Alessandro Ciliberto RICERCHE E SPERIMENTAZIONI PER UNA METODOLOGIA DI VALUTAZIONE DELLE QUALITA’ DEL PAESAGGIO Susanna Curioni UN PROGETTO DI PAESAGGIO NEL TERRITORIO DEL MEDIOADRIATICO: LA COSTA E LE COLLINE DEL BORSACCHIO Rosalba D’Onofrio PAESAGGI SEGNATI TRA QUALITÀ E PROCESSI DI TRASFORMAZIONE Michele Ercolini NUOVI SCENARI PER ROMA: L’AZIONE INTERNA AI MARGINI DELLA CITTÀ Serena Forastiere, Monica Preziuso INTERPRETAZIONE DEL LINGUAGGIO DECODIFICATO DALLE PREESISTENZE PER LA COSTRUZIONE DI UN METODO PROGETTUALE INNOVATIVO Giuseppina Foti, Dario Iacono PROGETTO DI PAESAGGIO, ARTE E CITTA’: UNA NUOVA FORMA DI PROCESSO PROGETTUALE Serena Francini LE TRASFORMAZIONI DEL PAESAGGIO AGRARIO DEL PIEMONTE MERIDIONALE: DALLA COLTURA PROMISCUA ALL’AGRICOLTURA SPECIALIZZATA Paola Gullino, Federica Larcher, Marco Devecchi PIANIFICARE LE TRASFORMAZIONI DEL PAESAGGIO Loredana Imbesi, Domenico Palamara LA COPIANIFICAZIONE PAESAGGISTICA TRA CRITICITÀ E “LENTI” STATI D’AVANZAMENTO Teresa Labate IL DISEGNO: STRUMENTO DI CONOSCENZA E ANALISI DEL PAESAGGIO RUPESTRE NELL’ITALIA MERIDIONALE Giuseppe Mazzacuva LA NUOVA OSSERVAZIONE DEL PAESAGGIO, TRA CONTEMPLAZIONE PASSIVA ED ESPLORAZIONE ATTIVA Giaime Meloni IL SENSO DELLE PERMANENZE E DELLE TRASFORMAZIONI NELLA GESTIONE DEL PAESAGGIO: GLI ALTIPIANI PLESTINI Silvia Minichino ITALIA: TERRITORIO MISCELLANEA. LOGICHE DISPOSITIVE COME NUOVI REGISTRI D’INTEPRETAZIONE E AZIONE Emanuela Nan TRASFORMAZIONI E DEGENERAZIONE DEL PAESAGGIO ALLA SCALA LOCALE Francesca Oggiano RI-ORGANIZZARE. STRATEGIE DI PROGETTO PER IL PAESAGGIO ITALIANO DEL FUTURO Andrea Oldani VERSO LA “VISIBILITÀ IMMATERIALE” DEL PAESAGGIO. UNA PROSPETTIVA PRESENTE Luigi Oliva IL RESTAURO DEL PAESAGGIO CALABRESE. LE FIUMARE COME INFRASTRUTTURE TERRITORIALI: DALLA SALVAGUARDIA AL PROGETTO Renato Partenope SAUDADE E FUTURO DEL PAESAGGIO. DURATA E TRASFORMAZIONE DI UN PAESAGGIO, COME CONDIZIONI STORICHE “NON CONFUSE E NON DIVISE” Isidoro Pennisi I PAESAGGI CULTURALI NELLA CONVENZIONE UNESCO SUL PATRIMONIO MONDIALE DELL’UMANITÁ Giacomo Pettenati IL RECUPERO E LA CONSERVAZIONE DEI PAESAGGI A VALENZA STORICO-INSEDIATIVA IN PUGLIA Claudia Piscitelli, Francesco Selicato PAESAGGI SOSPESI. UN PROGETTO DI MOBILITÀ DOLCE PER RIATTIVARE I “NUOVI PAESAGGI DEL NOVECENTO”: I BACINI IDRICI Michelangelo Pugliese TURISMO E QUALITÀ PAESAGGISTICA, UN BINOMIO INSCINDIBILE PER NUOVI SCENARI DI SVILUPPO SOSTENIBILE IN CALABRIA Gabriella Pultrone ANALISI VISIVA DEL PAESAGGIO: UN’APPLICAZIONE NELL’AMBITO DI UN COMUNE ETNEO Patrizia Russo, Lara Riguccio, Laura Carullo, Giovanna Tomaselli NUOVE CENTRALITÀ PER IL PROGETTO DI PAESAGGIO Giuseppe Sarleti UNA NUOVA CENTRALITÀ URBANA A CALTAGIRONE. IL SISTEMA DELLE VILLE E DEI GIARDINI: IL PROGETTO DEL PARCO URBANO DI PORTOSALVO Marco Scarpinato RIFORMA AGRARIA VS RIFORMA TURISTICA IN SARDEGNA: CASTIADAS, EVOLUZIONI SOSTENIBILI DI UN PAESAGGIO IDENTITARIO… Cesarina Siddi IL PAESAGGIO COME STRUMENTO DI RIQUALIFICAZIONE DELLE FRANGE PERIURBANE. IL CASO DELLA PUGLIA Egle Staiti STRATEGIE DI RICOMPOSIZIONE DELLA COSTA URBANA CALABRESE Antonio Taccone TETTONICA E STRATIGRAFICA: LE FIUMARE COME FORMA DELLA SOTTRAZIONE Marina Tornatora PIANO, PROGETTO, PAESAGGIO. GESTIRE LE TRASFORMAZIONI PAESAGGISTICHE . TEMI E STRUMENTI PER LA QUALITÀ Lorenzo Vallerini IL RESTAURO NEI PAESAGGI DI LIMITE Maria Vitiello Prefazione Alessandro Villari, Marina A. Arena Partendo dalla ricorrenza fortemente simbolica dell’anniversario della nostra unità nazionale, il convegno Paesaggio 150. Sguardi sul paesaggio italiano tra conservazione, trasformazione e progetto in 150 anni di storia1 – 5, 6, 7 ottobre 2011, Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria – ha inteso rivolgersi agli studiosi, agli amministratori pubblici e a quanti operano nel campo della conservazione e trasformazione del paesaggio italiano, dando vita ad una grande riflessione corale. Partendo dall’assunto generale, e ormai ampiamente condiviso, che il Paesaggio italiano è il nostro patrimonio collettivo per eccellenza, principio costituzionale e testimonianza dell’identità culturale locale e nazionale, si è inteso proporre un percorso tra storia, pianificazione e progetti per il futuro, descritto da architetti, paesaggisti, urbanisti, geografi, semiologi, antropologi, sociologi, fotografi, artisti ed altri che hanno tentato di spiegarne il cambiamento e suggerire modi di intervento. L’evento è stato organizzato dal Dipartimento di Progettazione per la città, il paesaggio e il territorio - OASI, dell’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, si è svolto col patrocinio e la partecipazione attiva del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ed è rientrato, inoltre, nel calendario ufficiale nazionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri per le celebrazioni del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia. Il convegno ha voluto proporre uno sguardo sugli ultimi centocinquant’anni nel tentativo di restituire gli esiti dell’incessante azione di trasformazione avvenuta, che parla di paesaggio e nuovi paesaggi ai quali dovremmo ormai rapportarci con una consapevolezza pervasiva come suggerisce in modo inequivocabile la Convenzione europea del paesaggio (sebbene ancora non sostenuta da idonee iniziative nel settore della formazione, del governo e della pratica). La riflessione sviluppatasi ha voluto superare i limiti del resoconto storico-disciplinare, nel tentativo di fornire una lettura lucida dei fenomeni che hanno determinato l’attuale forma del paesaggio italiano, ponendosi l’obiettivo di promuovere un atteggiamento più consapevole nei confronti del paesaggio nella sua essenza di valore comune di importanza prioritaria, e verso una visione graduale di sviluppo attenta e sensibile in grado di coglierne anche la rilevanza economica e sociale, oltre che etica ed estetica. L’interesse che riscuote il tema del paesaggio in questo momento storico in Italia è testimoniato dalla risposta “quantitativa” alla call del convegno e dalla collocazione geografica dei contributi: quasi duecento a coprire l’intero territorio nazionale e molteplici aree disciplinari. Il coinvolgimento emotivo e la partecipazione corale sono stati il leitmotiv dei tre giorni di lavori, insieme allo scambio propositivo tra istituzioni, università e competenze professionali. Il documento di sintesi finale del convegno denominato Carta dello Stretto di Messina, scritto con la supervisione dell’arch. Maria Maddalena Alessandro per il MiBAC e della dott.ssa Maguelonne Dèjeant-Pons per il Consiglio d’Europa, rappresenta la traccia concreta delle idee maturate dai convenuti e firmatari della proposta. I lavori svolti durante il convegno hanno visto sviluppare il tema in maniera trasversale tra varie competenze disciplinari all’interno delle sessioni plenarie − dove il prof. Franco Zagari ha ricordato la pregnanza della scelta del luogo del convegno “non a caso svolto qui in Calabria, perché crediamo che proprio qui e ora si possa e si debba fare qualcosa per la rinascita del paesaggio, in una regione da noi amata che vive forse le contraddizioni più forti…” – e delle quattro sessioni parallele, con i 48 contributi selezionati dai referee attraverso il call for paper tra i circa 200 pervenuti. Prefazione 11 Lo sviluppo del dibattito è stato indirizzato all'interno dei seguenti principali temi: T1. L’identità nazionale e il ruolo unificante del paesaggio intendeva incentrare la discussione principalmente sulla formazione di un’identità nazionale che sembra aver trovato nel paesaggio un solido fondamento, così come si evince dalle tracce evidenti già nella letteratura e nelle opere dei grandi artisti italiani molti secoli prima del 1861, ma che viene sancita ed espressa in modo chiaro nelle prime opere post-unitarie, non solo figurative, nelle quali al paesaggio viene riconosciuto il ruolo di portatore di valori culturali e costituzionali. Ma partendo da questa rilettura storica, in realtà la discussione all’interno della sessione si è sviluppata attorno ad altre e più sentite questioni: nel continuo contrasto tra unità della Nazione e desideri di nuovo federalismo regionale, il paesaggio può ancora essere il testimone dell’unità del paese? I principi costituzionali affermati nell’art. 9 della Costituzione, insieme all’enorme bagaglio di norme per la protezione dell’ambiente, sono adeguati a garantire la persistenza dell’identità del paesaggio italiano? La dimensione totalizzante del paesaggio è ancora utile a interpretare il rapporto tra le popolazioni e il proprio territorio? Difficile risolvere la questione con risposte dirimenti, ciò che è emerso afferma l’esistenza di una varietà di situazioni alle quali corrispondono necessariamente ampie pluralità di paesaggi possibili. Se di unità intendiamo parlare, essa va rintracciata in una visione del paesaggio come bene comune indirizzato alla molteplicità. T.2 L’armatura storica e geografica dei paesaggi italiani si proponeva di analizzare come il paesaggio rurale, che dall’800 si era progressivamente modificato in un rapporto di simbiosi uomo-natura, venga sconvolto rapidamente in conseguenza delle grandi innovazioni tecnologiche. Sebbene l’industrializzazione abbia profondamente modificato il paesaggio, persiste un’impronta geografica rintracciabile nella composizione dei segni che distinguono un territorio dall’altro. Anche in questo caso, il dibattito ha fatto emergere più domande che risposte, mostrando tutta la problematica che oggi la riflessione sul paesaggio comporta, interrogandosi sul complesso di biografie territoriali e di identità geografiche e sulla loro capacità di disegnare ancora il paesaggio italiano. Quantunque sottoposto ad una continua aggressione possiamo affermare che il paesaggio mantiene la struttura del suo impianto narrativo? Si sono sviluppate altre trame che specificano l’identità del paesaggio? Il paesaggio, nelle sue molteplici forme e nella sua capacità di determinare la qualità della vita dei suoi abitanti, va interpretato tra consapevolezza storica e intuizione di nuove configurazioni spaziali, va interrogato per capire le sequenze di senso laddove sono interpretabili, riletto e reinventato in una visione progressiva di cambiamento. Il coinvolgimento delle comunità diventa l’elemento di consapevolezza in grado di fornire i codici interpretativi dei nuovi paesaggi. T.3 Il paesaggio e le grandi trasformazioni era una riflessione che non sarebbe potuta mancare in una valutazione critica del periodo intercorso dall’Unità ad oggi, e che ha visto il territorio nazionale mutare profondamente per diversi processi di carattere economico e sociale che hanno contribuito a definire il volto del nostro Paese. L’avvio del nuovo secolo è contrassegnato da una moltitudine di azioni sul territorio: i disboscamenti, le bonifiche dei territori impaludati, le migrazioni interne e il conseguente abbandono delle campagne, le urbanizzazioni nuove, la diffusione delle infrastrutture, il governo del patrimonio culturale, erano tutti processi che stavano preparando il futuro. L’industrializzazione, lo sviluppo residenziale e l’avvio del turismo, interno, di massa stimolano un nuova configurazione del territorio. A quali esiti hanno condotto le grandi azioni di bonifica del territorio e come hanno influito sulla struttura del paesaggio? La “motorizzazione di massa” dà avvio alla rottura definitiva delle dicotomie città/campagna e urbano/rurale? L’aggressione dei litorali, a seguito del grande turismo di massa, in che modo ha profondamente modificato l’immagine del paesaggio costiero? La riflessione sulle trasformazioni del nostro territorio in realtà conduce ad una lettura, ad un riconoscimento critico di quelli che molti hanno voluto chiamare “i paesaggi del contemporaneo”, 12 pur non sciogliendo il dubbio se questi possano essere definiti o meno paesaggi e ne abbiano gli stessi valori. T.4 Nuove prospettive per il futuro del paesaggio italiano era il logico punto d'arrivo di questo percorso di indagine. Nonostante la Convenzione europea del paesaggio abbia identificato con chiarezza la dimensione attuale del paesaggio quale spazio di condivisione e fruizione di medesimi valori culturali, materiali e di sviluppo di una società, e nonostante ci sia una nuova sensibilità istituzionale in materia, restano spesso confusi gli strumenti atti a sostenere una politica priva di contraddizioni volta alla salvaguardia e alla trasformazione del paesaggio. Come immaginare nuove azioni di sviluppo per un progetto e per una gestione equilibrata del paesaggio? Ė possibile avviare nuovi modelli interpretativi e progettuali capaci di trasmettere la portata del paesaggio in quanto bene comune? Tra indirizzi di conservazione e processi di trasformazione esiste una alternativa per immaginare nuovi e più moderni registri formali? Molti dei quesiti proposti sono rimasti insoluti e dovranno essere oggetto di riflessioni future, soprattutto in qualità di nuove questioni che il dibattito sul paesaggio dovrà affrontare. Il convegno si era posto un ambizioso obiettivo che è stato raggiunto soprattutto nell’ultima giornata del convegno, ossia la redazione e sottoscrizione della Carta dello Stretto di Messina. Il filo conduttore è stato un percorso condiviso che ha condotto alla costruzione di nuove linee programmatiche raccolte nel documento di sintesi e di indirizzo, orientato verso ulteriori modalità di conservazione attiva e forme di intervento possibile e sostenibile sul paesaggio italiano. Il documento è stato presentato a chiusura dei lavori, dopo la tavola rotonda “Carta dello Stretto: nuove azioni per il paesaggio italiano”, come espressione sintetica e corale delle centinaia di contributi giunti dall’intero territorio nazionale e discussi nelle sessioni plenarie e parallele. La Carta dello Stretto di Messina già subito dopo il convegno è stata presentata in occasioni istituzionali anche all’estero, ponendosi come documento di indirizzo nella prospettiva di possibili azioni future all’interno di una maturazione condivisa di politiche attuative in favore del paesaggio. Note 1 I lavori sono stati aperti dal rettore della Mediterranea Massimo Giovannini e dal preside della facoltà di architettura Francesca Fatta, con i saluti delle autorità tra cui il sindaco di Reggio Calabria Demetrio Arena, il soprintendente BAP di Reggio Calabria e Vibo Valentia Roberto Banchini, il coordinatore dell’INBAR-Area sud, i presidenti degli ordini degli architetti di Catania, Messina, Reggio Calabria e il direttore per la Comunicazione e le relazioni esterne del comitato per le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia Maria Emanuela Bruni, che ha ben inquadrato l’avvenimento nella sua caratura simbolica. Gianpiero Donin, a nome del dipartimento OASI, ha presentato il convegno e Alessandro Villari ha aperto i lavori insieme a Maguelonne Déjeant-Pons, direttore del Patrimonio culturale, il paesaggio e la pianificazione del territorio del Consiglio d’Europa. Nei tre giorni si sono alternate le sessioni plenarie – coordinate da Maria Maddalena Alessandro (MiBAC) e costruite con l’obiettivo di mantenere la più grande apertura disciplinare possibile (I sessione: Franco Zagari, Jordi Bellmunt, Franco Farinelli, Luisa Bonesio, Laura Thermes; II sessione: Annalisa Maniglio Calcagno, Vittorio Amadio, Bruno Messina, Daniela Colafranceschi, Mauro Agnoletti, Maria Cristina Treu) – e le sessioni parallele con la supervisione di Marcella Aprile, direttore del dipartimento di architettura dell’Università degli studi di Palermo. I dialoghi notturni nel paesaggio di Isabella Pezzini con Aldo Cibic e di Claudio Bertorelli con Costanza Pera hanno chiuso le giornate di lavoro in un clima di confronto e convivialità. La giornata conclusiva ha visto la grande performance di Paolo Fabbri nella sua Lectio magistralis ‘Eterotopie: le vedute dell’altrove’ e la tavola rotonda ‘Carta dello Stretto: nuove azioni per il paesaggio italiano’ coordinata da Francesca Moraci con la lettura finale della ‘Carta’. Prefazione 13 Saluti Francesca Fatta Carmelo Bonfiglio Emanuela Bruni Annamaria Maggiore Roberto Banchini Cesare Oliva - Anna Carulli Paolo Malara Giuseppe Falzea Luigi Longhitano Francesca Fatta Preside della Facoltà di Architettura L’ITALIA, SI DICE… L’Italia, si dice, che prima del 1861 non avesse neanche un nome! Eppure anche le parole contano. L’Italia, si dice, che nel 1847, in una nota inviata da Metternich al conte Dietrichstein, fu definita “un’espressione geografica”. Tale frase, interpretata dagli storici in modo controverso, riconosceva come l’Italia fosse all’epoca “composta da Stati sovrani, reciprocamente indipendenti” (così proseguiva la nota), tale come lo era all’epoca la Germania. L’Italia, si dice, sia sempre stata la terra dei “cento campanili”, definendo così, con la componente più svettante di un paese, il rimando ad una chiesa o ad una piazza, centro di un luogo, formato dalle sue case, dai suoi monumenti, dalla memoria del suo passato, del suo linguaggio e dalla sua gente. Questo detto segna quindi da sempre la presenza di differenze culturali che conferiscono risorse e ricchezza alla realtà italiana. L’Italia, si dice, sia comunque “il paese delle cento città”, anche se in realtà le città italiane possono essere ben più di cento, oppure qualcuna in meno: dipende dal criterio che vogliamo usare per definire una città. Fernand Braudel vedeva nella “ricchezza e densità di città” della realtà italiana il segno della sua “insigne debolezza”. Quel che rendeva insigne l’Italia, ovvero la pluralità di tradizioni, culture, linguaggi, ha costituito secondo lo storico mediterraneista, nello stesso tempo un elemento di debolezza rispetto a quel “collante sociale” che ha caratterizzato la storia di altre grandi nazioni europee. L’Italia, si dice, sia il paese europeo più segnato dalle migrazioni, sia interne che esterne. Ma oggi, quando la globalizzazione genera interdipendenze e commistioni inedite, grazie ai flussi che la attraversano, è interessante notare che le storiche differenze culturali italiane vengono rivitalizzate in un quadro nuovo. Sarà possibile superare gli aspetti negativi dell’Italia dei “cento campanili”, facendo in modo che le diversità culturali ritornino ad essere valori di scambio e si incrocino in una compresenza civile? Sarà possibile pensare ad un’Italia unita e insieme plurale, con differenze che arricchiscano e non dividano? Questo risultato non potrà essere solo il frutto di un processo spontaneo, ma è legato al progetto politico e culturale di classi dirigenti rinnovate capaci di porsi su questo piano di confronto. La Facoltà di Architettura di Reggio Calabria per questo è onorata di ospitare una manifestazione di tale portata sul tema del Paesaggio italiano, organizzata con grande cura dal Dipartimento di Progettazione per la città, il paesaggio e il territorio, OASI, in occasione delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Sono certa che in questi tre giorni si racconterà, si discuterà e si progetterà il paesaggio italiano, fatto di cento campanili che rimandano ad altrettante città, chiese, piazze, case, monumenti, memorie, linguaggi, e alla sua gente. Tutto questo è Paesaggio, non soltanto una espressione geografica. Per la cronaca, il palazzo di Metternich a Vienna oggi è la sede dell’Ambasciata italiana, a memoria di una espressione non solo geografica, ma anche politica e culturale. I 150 anni stanno per concludersi e questa felice parentesi celebrativa spero segni uno slancio per proiettarci idealmente verso il paesaggio dei prossimi 150 che certamente non potrà prescindere dai presupposti dai quali questo Convegno è partito. Un ringraziamento a tutti gli organizzatori, ai patrocinatori, agli illustri ospiti e agli studenti che hanno contribuito alla realizzazione di tutto questo. Saluti 17 Carmelo Bonfiglio Contrammiraglio, Aiutante di Bandiera e Capo Ufficio Cerimoniale del Ministro della Difesa LE FORZE ARMATE E LA DIFESA DEL PAESAGGIO Forze Armate e difesa del paesaggio. A prima vista il tema sembra antitetico, quando si parla di eserciti, soldati etc… infatti, si pensa ad altro. Prevalentemente all’offesa che spesso è stata fatta ai nostri territori, la mente va ai bombardamenti che hanno violato popolazioni e paesaggi urbani. I danni al paesaggio ci colpiscono tutti, come individui e come collettività. Ferendo gravemente non solo la nostra incolumità ma anche la memoria storica. La diffidenza dell’opinione pubblica è quindi una questione fondamentale quando si affrontano questi temi. Eppure, a ben guardare, la mission principale dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica e dei Carabinieri va nel senso opposto. La funzione delle Forze Armate, infatti, è quella di: “assicurare, in conformità al giuramento prestato ed in obbedienza agli ordini ricevuti, la difesa della Patria e concorrere alla salvaguardia delle libere istituzioni e al bene della collettività nazionale nei casi di pubbliche calamità” come sancisce l’Articolo 1 della Legge 382/1978. Con le leggi successive la tutela dell’ambiente e in qualche modo anche del paesaggio si è andata vieppiù affinando. Così ad esempio nel 1997 il D.lgs. 464 conferì alle Forze Armate il compito di fornire il proprio concorso nel campo della pubblica utilità e della tutela ambientale. In questa prospettiva si inserisce il tema del paesaggio, e l’impegno militare proprio nella tutela dell’ambiente trova le sue ragioni più profonde. Sia in tempo di pace che nella più traumatica crisi di guerra. In queste occasioni le operazioni militari sono sempre pianificate tenendo presente che, ove possibile, la missione ricevuta deve evitare danni collaterali all’ambiente. In quest’ottica si affrontano anche l’addestramento e le esercitazioni. Il rischio di alterazioni del sistema ecologico ed ambientale è ormai un problema reale, che ha assunto un’importanza in tutti i Paesi alleati per una migliore convivenza dell’umanità. Del resto la stessa Costituzione italiana prevede principi che riguardano l’ambiente e sancisce: la tutela del paesaggio, del patrimonio storico artistico e ambientale. Nel 1986 la legge 349 ha riconosciuto l’ambiente quale diritto fondamentale della persona e interesse fondamentale della collettività (C.Cost.210/87), la cui protezione è imposta da precetti costituzionali – Artt. 2 e 32 Cost. – per cui assurge a valore primario ed assoluto (C.Cost. 641/87). La Corte Costituzionale ha emesso numerose sentenze (tra cui ricordiamo 151,152,153/86) estendendo di fatto il concetto di paesaggio a quello di natura, affermando che l’ambiente ha un valore primario, superiore, cioè, a tutti gli altri interessi pubblici. Con questo obbiettivo è stato adottato il testo della “Politica ambientale del Ministero della Difesa” che riflette le consuetudini adottate a livello NATO per agire a livello internazionale con mezzi efficaci ma che abbiano il minor impatto ambientale possibile. Lo scorso anno, infine il Codice dell’ordinamento militare (Dlgs 15 marzo 2010, n. 66) è stato adottato e inserito l’articolo 355 in cui: Il Ministero della difesa, nel rispetto del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, allo scopo di soddisfare le proprie esigenze energetiche, nonché per conseguire significative misure di contenimento degli oneri connessi e delle spese per la gestione delle aree interessate, può, fatti salvi i diritti dei terzi, affidare in concessione o in locazione, o utilizzare direttamente, in tutto o in parte, i siti militari, le infrastrutture e i beni del demanio militare o a qualunque titolo in uso o in dotazione all’Esercito italiano, alla Marina militare, all’Aeronautica militare e all’Arma dei carabinieri, con la finalità di installare impianti energetici destinati al miglioramento del quadro di approvvigionamento strategico dell’energia, della sicurezza e dell’affidabilità del sistema, nonché della flessibilità e della diversificazione dell’offerta, nel quadro degli obiettivi comunitari in materia di energia e ambiente. Resta ferma l’appartenenza al demanio dello Stato. Dopo questa carrellata di leggi e norme una riflessione sul territorio e su alcuni paesaggi che si sono salvati dallo tsunami cementizio del litorale del basso Lazio proprio grazie al fatto che sono aree militari: Torre Astura con il suo patrimonio archeologico e settecentesco e i luoghi virgiliani tutelati dalla base di Pratica di Mare. Paesaggi che pur essendo soggetti a molte restrizioni possono essere goduti nella loro integrità. Territori salvaguardati, ma non solo: anche paesaggi tramandati. A Centocinquant’anni dall’Unità d’Italia possiamo ricostruire alcune parti di città come Roma grazie alle fotografie scattate dai primi bersaglieri entrati a Porta Pia o alle foto scattate nelle battaglie garibaldine al Gianicolo di Stefano Lecchi. 18 Emanuela Bruni Direttore per la Comunicazione e le Relazioni Esterne Comitato per le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia CENTOCINQUANT’ANNI DI CAMBIAMENTI L’arte del paesaggio come quinta musa, un’arte a sé che coinvolge e amplifica, esteriorizza un microcosmo di cultura e di sentimenti, scenario ideale in cui le fantasie prendono forma per soddisfare tutti i sensi: la vista, il gusto, l’udito, l’olfatto, il tatto. È in questi luoghi pieni di emozioni e stimoli che idealmente passeggiano gli artisti: il poeta, il pittore e lo scrittore. I paesaggi parlano, informano, conducono una conversazione. Nei boschi e nella campagna, ormai scarsa, si intravedono luoghi in cui il mito si manifesta ancora mettendo in evidenza desideri e bisogni dell’uomo, diventando espressione identitaria di una comunità. Affiorano le nostalgie, i ricordi, le memorie, il gusto ed il modo di vita della tradizione. Il paesaggio è una creazione ben più complessa di una opera d’arte: l’artista crea un quadro o una scultura, ma è un’intera popolazione che crea il “paesaggio” di quel determinato territorio, così come è un’intera società che ad un certo punto lo può distruggere in nome dello sviluppo e degli interessi di pochi. Il paesaggio è natura trasformata dall’uomo nel corso della sua storia, ma la produzione umana su un determinato territorio si presenta in un duplice aspetto: per un verso espressione del gusto nell’assetto dei luoghi, per un altro è espressione delle attività economiche tradizionali. Da qui nasce il conflitto moderno fra bello ed utile ed oggi fra conservazione ambientale e sviluppo sostenibile. Il paesaggio è, dunque, un palinsesto di memoria, e perdere il ricordo dei luoghi vuol dire perdere la memoria della bellezza che è connaturata allo spirito di una città, di un territorio, di un luogo. Dall’unità d’Italia a oggi, i mutamenti del paesaggio italiano sono stati radicali. La matrice di tali processi, significando un passaggio da un’economia rurale a una basata sull’industria, è protesa verso la terziarizzazione. Per iniziare dovremmo analizzare soprattutto il sistema dei trasporti terrestri, ci si dovrebbe probabilmente fermare a due grandi riforme: quella della razionalizzazione del sistema stradale, che condusse a una precisa assegnazione dei compiti di costruzione, manutenzione delle carreggiate e dei tracciati a diverse amministrazioni e l’istituzione del libero trasporto di persone e di merci. Nel primo ambito ricordiamo ad esempio che nel 1816 il Piemonte sabaudo emanò una regolamentazione tesa a dividere le strade in regie, provinciali, comunali, secondo il modello già applicato durante il dominio napoleonico; la stessa scelta fu poi seguita da Parma, Toscana e Sicilia. In Toscana, inoltre, nel 1825 fu istituito un corpo di ingegneri addetti alla manutenzione e progettazione di strade, nonché alla gestione delle comunicazioni lungo i corsi d’acqua navigabili. Ma a cambiare radicalmente il paesaggio italiano sarà lo sviluppo della rete ferroviaria. Non solo sviluppando e rimodellando le aree di percorrenza dei treni ma, dando anche una forte accelerazione al vissuto interiore di ciascun abitante del proprio territorio; l’aveva ben compreso Cavour che in gioventù aveva dedicato, studi risorse e mezzi alla nuova e affascinante macchina a vapore. Lo sapevano i Borboni che a Napoli avevano concentrato i loro sforzi sulla Napoli-Portici. I viaggi in treno dei primi re d’Italia contribuiranno al senso di allargamento del paese, gettando le basi di un nuovo paesaggio interno di ciascun cittadino che vedeva così allargare i propri orizzonti di movimento. L’unificazione del Paese stimolando un processo di ridistribuzione della popolazione vide incrementi sostenuti in prossimità delle città che si andavano espandendo e cali demografici significativi lungo tutto l’arco alpino e la dorsale appenninica. L’esodo rurale, a cui abbiamo assistito soprattutto nella seconda metà del XIX secolo, coinvolgendo le fasce più giovani e attive, ha condannato l’entroterra montano e collinare a una “marginalità” che ancora oggi caratterizza estese parti del Paese; mentre i poli urbani si sono imposti sempre più come “aree trainanti”, dello sviluppo. L’esplosione del turismo balneare incrementando in modo sostenuto, anzi direi quasi insostenibile, la trama edilizia ha depauperato lo skyline costiero e biotopi di rilievo caratterizzati dalla macchia mediterranea. Saluti 19 Così il territorio italiano ha via via perso la sua armonica fusione e interazione tra componenti naturali e antropiche. “Ad esempio, nelle prime carte topografiche d’Italia, prodotte alla fine dell’Ottocento dall’Istituto geografico militare, Milano si mostrava ancora come una ‘città compatta’, in cui era possibile riconoscere l’imprinting delle molteplici stratificazioni storiche e culturali”. Tuttavia, già nelle carte degli anni Trenta, la città si sviluppa in tempi così ristretti da far parlare di “espansione a macchia d’olio” del tessuto edilizio che va a fagocitare, la campagna circostante. Tale dinamica segnerà l’evoluzione di molte città in “agglomerati” discontinui non solo per le sue caratteristiche intrinseche ma per qualità e valori sociali. Però anche l’auspicato ritorno verso aree rurali e centri minori, a partire dagli anni Ottanta, non è stato meno insidioso per il paesaggio italiano e i territori rimasti marginali, che hanno conservato integro il loro paesaggio, sembrano svuotarsi di significati. Tra il 1965 e il 1968 il Cnr realizza i 26 fogli della “Carta dell’utilizzazione del suolo d’Italia”, fotografando l’assetto colturale dell’Italia prima che i fenomeni dell’urbanizzazione diffusa e dell’industrializzazione lo stravolgessero. Il paesaggio italiano che descrissero i viaggiatori dell’Ottocento è sparito, morto, eliminato. Non è nostalgia romantica per il mondo che fu, non è il rimpianto per una visione arcadica e romantica del mondo e delle cose, sono constatazioni, letture nuove che oggi hanno anche un nuovo risvolto di possibilità di sviluppo economico ecosotenibile. Nostalgia forse ma non solo. Il paesaggio, inteso come realtà in divenire ma colto nel suo vissuto, rimane intellegibile all’uomo dotato degli strumenti cognitivi adeguati per rivisitarlo con un nuovo metodo. Oggi i paesaggi nella loro essenza, troppo spesso devastata, presentano una difficile lettura delle interrelazioni tra uomo e ambiente; tali relazioni ci indicano il modo in cui, in un dato contesto geografico, la cultura, in senso lato, abbia determinato un insieme di segni sulla natura a seconda del tipo di organizzazione che una società si è data in uno specifico contesto su cui, nel tempo, l’opera dell’uomo ha realizzato fabbriche e infrastrutture. Se non tutti hanno letto i libri di viaggio dell’Ottocento, senz’altro l’idea di paesaggio più diffusa è quella ricavata dai paesaggi incorniciati sulle pareti dei musei o sulle fotografie all’albumina che i primi fotografi e pittori-fotografi ci hanno lasciato insieme ad un importante libro intitolato Il Belpaese di Antonio Stoppani. Riecheggiando i versi di Petrarca “il bel paese ch’Appennin parte, e ‘l mar circonda et l’Alpe” con cui il poeta richiama l’immagine dell’Italia. 20 Annamaria Maggiore Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, che ha inteso patrocinare l’iniziativa “Paesaggio 150”, nel ringraziare l’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria e il Ministero per i beni e le attività culturali per l’invito a questi tre giorni di lavori dedicati al Paesaggio attraverso questo breve saluto vuole esprimere il più vivo apprezzamento per il valore di questa iniziativa, auspicando, su un tema così complesso e così importante per l’immagine del nostro paese, la massima collaborazione fra le istituzioni che sono preposte alla sua tutela e valorizzazione. Attualmente si riconosce il paesaggio come bene culturale a carattere identitario, frutto della percezione della popolazione. Da questo punto di vista il paesaggio è un prodotto sociale e non rappresenta un bene statico, ma dinamico. In base a queste caratteristiche il paesaggio è sempre relazionato all’azione dell’uomo. Questo concetto costituisce la base della definizione contenuta nella Convenzione europea del paesaggio, che lo riconosce indipendentemente dal suo valore eccezionale poiché tutte le sue forme concorrono a definire la qualità dell’ambiente di vita delle popolazioni locali e per questo meritano di essere prese in considerazione dalle politiche del paesaggio. Pur avendo già trovato spazio, il concetto di paesaggio, nei principi fondamentali della Repubblica, è con il «Codice dei beni culturali e del paesaggio» che la normativa introduce questa interpretazione. Lo stesso Codice assegna al Ministero dell’ambiente un ruolo nella pianificazione paesaggistica, in collaborazione con le Regioni e con il Ministero per i beni e le attività culturali, cui resta la responsabilità per le prescrizioni di uso dei beni paesaggistici. Nell’attività del Ministero dell’Ambiente, ed in particolare della Direzione Protezione della Natura e del Mare, con sempre più frequenza emerge il tema della relazione tra biodiversità e paesaggio, che viene tra l’altro espressamente richiamato, oltre che dalla Convenzione europea, nei testi giuridici esistenti a livello internazionale nei settori della salvaguardia e della gestione del patrimonio naturale e culturale e della pianificazione territoriale, recependo le istanze europee scientifiche e culturali più avanzate, provenienti dalle sollecitazioni mondiali, che negli ultimi venti anni si sono succedute in tema di valutazione, programmazione e pianificazione degli interventi in chiave sostenibile. Ed in questo senso, pone attenzione al tema del paesaggio anche la “Direttiva Habitat”, il cui scopo principale è quello di promuovere il mantenimento della biodiversità, tenendo conto, al tempo stesso, delle esigenze economiche, sociali, culturali e regionali, per contribuire all’obiettivo generale di uno sviluppo durevole. Essa, a conferma dell’importanza degli equilibri ecosistemici nella visione del paesaggio, stabilisce, tra l’altro, che “gli Stati membri si impegnano a promuovere la gestione di elementi del paesaggio che rivestono primaria importanza per la fauna e la flora selvatiche”. Tale concetto è richiamato anche nella Strategia Nazionale per la Biodiversità, adottata dalla Conferenza Stato Regioni nella seduta del 7 ottobre 2010, che dedica una specifica area di lavoro a “specie, habitat, paesaggio”, in cui si evidenzia come l’azione congiunta di Stato, regioni ed Enti territoriali deve riconoscere il valore intrinseco e l’importanza, anche economica, del complesso mosaico creato dagli ecosistemi, che garantisce servizi essenziali per noi e costituisce il nostro paesaggio, facendone una risorsa di rilievo nazionale. In occasione dei momenti di dibattito teorico sul paesaggio, come questo convegno, ci auspichiamo emergano contributi utili per il disegno delle future strategie d’indirizzo, che trovino nell’integrazione tra tutela del paesaggio e tutela ambientale, e nell’integrazione degli strumenti preposti a raggiungere tali obiettivi, una delle strade che è necessario esplorare. Avendo in considerazione la molteplicità di regole e strumenti, il Ministero dell’Ambiente nell’ambito dei compiti attribuiti in tema di copianificazione paesaggistica per l’anno 2012, ha come obiettivo la necessità di delineare un quadro di indirizzi e linee guida, oltre che avviare specifiche sperimentazioni, laddove ce ne sono le condizioni, in grado di conseguire livelli di pianificazione integrata che tengano conto nella sostanza e nelle finalità di tutte le esigenze per la corretta gestione e tutela del paesaggio. Il paesaggio, quindi, è inteso come elemento che per sua stessa definizione, non è possibile separare dalle risorse che lo compongono, prima fra tutte la biodiversità, e ciò in particolar modo in quelle parti di territorio in cui coniugare la conservazione della biodiversità con uno sviluppo durevole è obiettivo prioritario, come lo sono le aree protette. Saluti 21 Roberto Banchini Soprintendente per i Beni architettonici e paesaggistici per le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia Sono particolarmente lieto di rappresentare il MiBAC nel porgere i saluti e l’augurio di buon lavoro ai partecipanti a questa importante iniziativa dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, alla quale il Ministero ha voluto aderire non solo con la concessione del patrocinio, ma anche con una presenza attiva assicurata dalla Direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l’architettura e l’arte contemporane per il tramite del suo Servizio IV, espressamente dedicato alla “Tutela e qualità del paesaggio”, e dalla Soprintendenza da me diretta: la quale, come è noto, è di istituzione recente, sicchè ritengo ulteriormente significativo il fatto che il convegno veda la partecipazione dell’organo territoriale del Ministero, competente in materia di paesaggio, che da circa due anni ha sede proprio a Reggio Calabria; ed anche, consentitemi di ricordarlo, in considerazione del fatto che presso questa Università mi occupo da tempo di tematiche del paesaggio grazie agli incarichi di docenza che in essa ho il piacere e l’onore di svolgere ormai da diversi anni. Porgo naturalmente anche i saluti del Direttore regionale per i Beni culturali e paesaggistici della Calabria, arch. Francesco Prosperetti, il quale annovera, tra i molteplici compiti istituzionali, quello di coordinare l’attività di tutti gli Istituti del MiBAC presenti sul territorio regionale, ed è il diretto interlocutore della nostra Amministrazione, nei confronti della Regione, in materia di pianificazione paesaggistica. In virtù dell’osservatorio forse privilegiato costituito dal ruolo istituzionale che ricopro – ma chiunque abbia a cuore le sorti del nostro territorio e ne segua le trasformazioni in atto credo possa convenire con me – non posso esimermi dall’esprimere, proprio in apertura di un momento di dibattito e di riflessione così ampio e significativo, una forte preoccupazione per le sorti del paesaggio italiano e, segnatamente, calabrese. Infatti, a fronte di ricerche ed elaborazioni culturali ormai pluridecennali e molto affinate attorno al concetto di paesaggio e alle modalità di lettura dei molteplici valori e significati che esso sottende, elaborazioni sostanzialmente recepite dalla Convenzione europea del Paesaggio (della quale l’Italia è stata, come noto, tra i primi sottoscrittori) e dal nostro Codice dei Beni culturali e del paesaggio (il quale peraltro, a ben guardare e a volerle applicare, offre tutta una gamma di efficaci strumentazioni di tutela e accorta valorizzazione utilizzabili in sede di pianificazione paesaggistica), e dunque a fronte di una più che adeguata consapevolezza di quali siano i valori – culturali, identitari, storici, estetici ed anche economici – che nel nostro paesaggio si inverano, le prassi di gestione territoriale in atto nel paese, ivi compresa ovviamente la Calabria e le sue due province più meridionali, seguono, di sovente, logiche che quei valori rischiano di disperdere e compromettere irrimediabilmente. Le cause di tale discrasia sono sicuramente complesse, ma il nodo della questione è anche (se non soprattutto) culturale, e risiede nel diffuso quanto infondato atteggiamento mentale che non riconosce nella tutela del paesaggio ciò che essa è, ovvero un insieme di norme, e di buone prassi soprattutto, volte ad assicurare la qualità delle trasformazioni territoriali (non a impedirle aprioristicamente), ma vede in essa – con una buona dose di grossolanità, diciamolo – un insieme di “lacci” antitetici allo “sviluppo”. E così vorrei proseguire in questo indirizzo di saluto evidenziando come tra gli impegni prioritari dell’Amministrazione preposta alla tutela, ma anche del mondo della cultura e della ricerca, debba inscriversi la messa in campo di azioni tese a diffondere quella sensibilità ai valori ambientali, storico-culturali e paesaggistici del nostro territorio che, oltre ad essere compromessa dalla piaga purtroppo diffusa dell’abusivismo edilizio, è anche non di rado assente, purtroppo, nelle scelte generali di pianificazione e nella realizzazione dell’edilizia “legale”: azioni che, dunque, non possono che essere volte a promuovere il più possibile – nel dialogo costante con gli Enti locali e con quanti, a vario titolo, sono coinvolti nelle trasformazioni territoriali (cittadini, imprese, professionisti) – un salto di qualità, sul piano appunto culturale, e poi metodologico e operativo, nell’approccio alla progettazione, in sintonia, mi preme sottolinearlo, con le Linee guida per la realizzazione di interventi adeguatamente inseriti nei contesti paesaggistici contenute in quel prezioso strumento – troppo spesso ignorato, o superficialmente recepito e applicato – che il Ministero per i Beni e le attività Culturali ha messo a punto nell’allegato tecnico (“Relazione paesaggistica”) al DPCM 12.12.2005. Si tratta, in altri termini, di raggiungere un’ampia condivisione dell’assunto secondo il quale il territorio del nostro Paese si pone, ovunque, come territorio storico-culturale: esito cioè di quella secolare interazione fra dato naturale e azione umana che vi ha depositato, con straordinaria ricchezza, le sue tracce stratificate, e che ha originato quella altrettanto straordinaria corale opera figurativa che è ancora, nonostante le tante devastazioni subite, il paesaggio italiano; e che dunque, operando sul e nel paesaggio, si interviene su di un bene 22 primario del Patrimonio culturale della Nazione (espressamente protetto – è particolarmente significativo ribadirlo in una occasione che si lega alle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia – dalla Carta Costituzionale, art. 9), anzi sul bene che ne costituisce il fondamento identitario, e che tutti gli altri beni culturali “contiene” e riassume, offrendo loro quella trama complessa di relazioni (non solo in senso fisico) senza la quale essi perderebbero, almeno in parte, di significato. Ciò non si traduce – non mi stanco di ribadirlo – nel propugnare un generalizzato fermo delle trasformazioni del territorio (il che, del resto, sarebbe antistorico quanto irrealistico, stante l’ampiezza e la dinamica dei processi socio-economici che sul territorio hanno sede), ma nel richiamare alla necessità di una attenta consapevolezza, nel progettare appunto tali trasformazioni, dei “valori” espressi dal contesto in cui si opera, in base ai quali calibrare e modulare gli interventi da porre in atto. L’auspicio – e questo convegno indubbiamente si muove in tale direzione – è insomma che sia sempre più viva e diffusa la consapevolezza della responsabilità che noi tutti portiamo della trasmissione al futuro di un patrimonio di bellezza la cui degradazione – tenendo presente che la qualità del paesaggio è anche volano di sviluppo economico (è più che scontato, credo, il richiamo alle attività turistiche, tanto più per le regioni meridionali e la Calabria in particolare) – altro non è che lo sperpero, miope e inconsulto, di una risorsa preziosa e non facilmente riproducibile. Saluti 23 Cesare Oliva*, Anna Carulli** INBAR - Istituto Nazionale di BioArchitettura - Area Sud * Coordinatore Area Sud **Presidente Sezione INBAR Messina e Coordinatore INBAR SICILIA L’Istituto Nazionale di Bioarchitettura© fondato nel 1990 dall’arch Ugo Sasso ha da sempre esercitato una costante attività volta al dialogo inerente la Bioarchitettura® – che si concretizza nella procedura progettuale e costruttiva che permette di produrre abitazioni capaci di dare benessere psico fisico all’abitante – e le problematiche derivanti dagli strumenti che regolano il territorio ed il suo uso (PRG, Piani Paesaggistici, PAI) nella logica tesa alla conoscenza da parte dell’“uomo” del vivere sociale nel rispetto dell’ambiente, tendente al riequilibrio del rapporto fra uomo e costruito, senza comprimere e svilire l’interesse economico della collettività. La Bioarchitettura si pone dunque quale obiettivo la tutela dell’ambiente e la riduzione dei consumi energetici e lo fa attraverso lo studio, la progettazione e la realizzazione di edifici che soddisfino le esigenze fisiche, biologiche e spirituali di chi vi abita: l’approccio progettuale dovrà essere rispettoso dell’equilibrato rapporto tra ambiente (risorse disponibili) - salute (modo di abitare) - architettura (modalità progettuali e costruttive). La Convenzione Europea del paesaggio ha introdotto in Europa un nuovo modo di considerare e gestire la dimensione paesaggistica del territorio che rappresenta un elemento chiave del benessere individuale e sociale e la sua salvaguardia, la sua gestione e la sua progettazione comportano diritti e responsabilità per ciascun individuo. Il paesaggio configura la forma del Paese, creata dall’azione cosciente e sistematica della comunità umana che vi è insediata in modo intensivo o estensivo, nella città o nella campagna, che agisce sul suolo e che produce i segni della sua cultura. Il paesaggio rappresenta dunque una delle componenti dell’ambiente e, segnatamente, come ha avuto modo di confermare più volte la Corte Costituzionale, la componente etico-culturale riferita anche alla forma del territorio. Abbandonata definitivamente la sintesi bellezze naturali-paesaggio si è spostato l’accento dalla dimensione solo estetica del paesaggio al più esteso concetto di beni ambientali come beni culturali che interessano vaste porzioni del territorio nazionale. Inteso in tal senso, il paesaggio è un bene che va riconosciuto e tutelato giuridicamente. Concretamente la tutela del paesaggio assurge a valore costituzionale primario cui deve sottostare qualsiasi altro interesse inferente e dovrebbe essere rivolta a conservarne e mantenerne gli aspetti significativi o caratteristici in funzione del suo valore patrimoniale derivante dalla sua configurazione naturale e dall’intervento umano. La tutela del territorio in generale, e della qualità del paesaggio in particolare, si realizza di solito ma non necessariamente, in ambito giuridico, attraverso strumenti suscettibili di limitare i diritti dei singoli attraverso l’apposizione di vincoli specifici, o con la previsione di autorizzazioni specifiche per modificare i beni su cui insistono detti vincoli. In coerenza con quanto precede e quanto già affermato dalla Corte Costituzionale rispetto alla nozione di tutela del paesaggio contenuta nell’art 9, comma secondo della nostra Costituzione essa dovrebbe essere oggi interpretata nel senso dell’insieme dei comportamenti pubblici da porre in essere al fine di prendersi cura della qualità del paesaggio con riferimento all’intero territorio nazionale e non già come l’espressione di attività finalizzate alla conservazione dello status quo in alcune aree o con riguardo a determinati beni materiali. Sul piano pratico sarebbe del resto poco rispondente alle evoluzioni socio-economiche del territorio interpretare il dettato costituzionale nel senso che le pubbliche autorità competenti debbano limitarsi ad attività di conservazione di una serie limitata di beni. La Bioarchitettura, nell’appellarsi da una parte alla concretezza dell’esperienza percettiva e dall’altra all’intuizione, richiama strumenti culturali dimostratisi nei secoli idonei per impostare e risolvere i problemi, ma espulsi dalla moderna e razionale visione del mondo, sa innestarsi in una più complessa dimensione sociale e culturale, in una parola “antropologica” del vivere. Il fotografo Oliviero Toscani, dal sito di Nuovo paesaggio italiano invita le persone a diventare “fotografi utili” proponendo un progetto, una ricerca che grazie al contributo di tutti possa diventare un archivio multimediale, un sito internet, un’esposizione collettiva in costante aggiornamento. Un contenitore culturale legato e applicato, non solo alla territorialità ma anche agli usi e ai costumi degli italiani: ognuno di noi, con i mezzi tecnologici a disposizione, con il telefonino per esempio, può documentare il degrado in cui viviamo e le infinite brutture, gli sbagli, gli scempi che hanno devastato e continuano a devastare l’Italia. Diventare delatori per migliorare il nostro ambiente! 24 Paolo Malara Presidente Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Reggio Calabria L’occasione della ricorrenza dei centocinquant’anni di unità nazionale ricordati con la riflessione sul Paesaggio Italiano da parte della comunità scientifica èsicuramente il modo migliore per rivolgere lo sguardo sulle trasformazioni e sulle politiche del paesaggio in Italia. Il Paesaggio può essere elemento in grado di svelare la complessità e la qualità dei luoghi, valore fondante ed identitario delle Comunità che li abitano, poiché è una componente del patrimonio culturale, che contribuisce al benessere e alla qualità della vita delle popolazioni, come evidenziato nella Convenzione europea del Paesaggio che lo definisce “Una parte di territorio così come è percepita dalle popolazioni il cui carattere risulta dalla azione di fattori naturali o umani e dalle loro interrelazioni”. L’evento organizzato dal Dipartimento OASI dell’UniversitàMediterranea di Reggio Calabria, aperto ad una articolata e qualificata presenza di relatori, portatori di diverse visioni e culture, potrà certamente porre l’attenzione sull’analisi dei processi e dei fattori che hanno generato le politiche del paesaggio in Italia o sulla loro non attuazione con uno sguardo interessato al Paesaggio dello Stretto. Partecipiamo con molto interesse, come Architetti di Reggio Calabria, a questo momento di riflessione convinti del fatto che il tema del Paesaggio dello Stretto, sia un tema fondamentale per la Comunità che vive questo territorio e che sia importante il contributo di tutti per mettere in piedi il grande cantiere delle idee per promuovere e per dare forza alla necessità non più rinviabile di azioni progettuali di salvaguardia, gestione e innovazione di questa porzione di territorio. Se le “due terre che stringono l’acqua libera del mare, portano ognuno per se la propria poesia”, la popolazione che abita queste terre dovrebbe essere l’onda che unisce le due sponde; invece circa mezzo milione di abitanti vive questa poesia senza slanci; tante piccole realtà incapaci di stabilire le giuste relazioni scientifiche, culturali, produttive e di ridisegnare con nuovi strumenti le parti di un “paesaggio unico”. Convinti che “il tutto è più della somma delle sue parti” mi auguro che da questo incontro si delineino non soluzioni, ma prima di ogni cosa immaginari e idee condivisibili che possano contaminare le Politiche del Paesaggio dello Stretto e che siano una precondizione fondamentale per intervenire consapevolmente sulla tutela, gestione e valorizzazione di un luogo che influenza a volte inconsapevolmente e a volte in modo sorprendente la vita di tutti noi abitanti dello Stretto. Saluti 25 Giuseppe Falzea Presidente Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Messina La Convenzione Europea del Paesaggio ha operato una svolta sia sul significato che sull’applicazione del concetto di paesaggio. L’innovazione principale è stata quella di fondare il proprio dettato normativo sull’idea che il paesaggio costituisca un “bene”, indipendentemente dal valore concretamente attribuitogli, rappresentando quindi una vera e propria rivoluzione concettuale con la quale viene superato l’approccio settoriale del paesaggio in funzione di una visione integrata e trasversale. Altro aspetto innovativo della Convenzione è la dimensione sociale e partecipata del paesaggio. Con l’introduzione del “fattore percettivo” la percezione della popolazione può legittimare il riconoscimento del paesaggio in quanto tale, introducendo così nuove scale di valori e di valutazione. La definizione del campo di applicazione espressa dalla Convenzione può definirsi anch’essa rivoluzionaria, in quanto guarda al paesaggio come ad una categoria concettuale che si riferisce all’”intero territorio” e non viene pertanto definita solo da una serie di eccellenze oggetto di tutela ma include anche i paesaggi della vita quotidiana e i paesaggi degradati. Il Convegno Paesaggio 150, al quale l’Ordine che mi onoro di rappresentare ha partecipato con grande interesse, è stato un momento importante di riflessione ed approfondimento sul tema inteso quale specchio delle trasformazioni dei nostri territori dall’Unità d’Italia ad oggi, ma anche un’occasione di confronto per studiosi, professionisti ed esperti del settore, sulle nuove esigenze manifestate dalla Convenzione che richiede a tutti i protagonisti con potere decisionale sul paesaggio di intervenire con atti e politiche che lo sostengano attraverso operazioni sia di salvaguardia ma anche, e specialmente, di gestione e pianificazione partecipata. Noi siamo architetti e come tali il paesaggio non vogliamo esclusivamente contemplarlo ma, come è emerso con chiarezza durante le interessanti fasi del convegno, modificarlo al fine di migliorare la qualità della vita delle popolazioni e rafforzare il rapporto dei cittadini con i loro territori, le loro città e pertanto con i loro paesaggi. Solo acquisendo tale coscienza sociale diventa possibile consolidare le identità e le diversità locali e regionali, ravvivando l’interesse per la partecipazione alle decisioni pubbliche. Oltre a conservare i paesaggi aventi eccezionale valore formale e di identità, nell’ambito del convegno è emersa la necessità di un impegno condiviso per guidare le trasformazioni negli altri paesaggi, quelli apparentemente privi di qualità, in modo da renderne leggibili ed accrescerne i valori spesso celati. Ed in questo gli architetti, paesaggisti, pianificatori e conservatori sapranno con coscienza svolgere il ruolo che, per formazione e capacità di comprensione delle specificità dei luoghi, dovrebbe essere di loro esclusiva competenza. L’Ordine che li rappresenta sosterrà sempre, con convinzione e conseguente impegno, le occasioni di riflessione ed approfondimento che le istituzioni e le università per prime vorranno promuovere per affinare le nuove politiche territoriali di trasformazione e valorizzazioni dei paesaggi italiani. 26 Luigi Longhitano Presidente Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Catania Il Convegno organizzato da OASI, Dipartimento di Progettazione per la città, il paesaggio e territorio dell’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, nell’ambito delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, rappresenta un efficace segnale per il rilancio del ruolo dell’architetto nella trasformazione del paesaggio italiano. L’evento della facoltà di Architettura, analizzando il ruolo unificante del paesaggio in relazione alla geografia e alla storia nazionale, prefigura una nuova identità della nazione verso prospettive per un nuovo rinascimento. L’iniziativa afferma che la valorizzazione del paesaggio italiano costituisce un valore culturale comune e l’intervento indipendente e responsabile degli architetti appare decisivo per assicurarne la qualità . La comunità degli architetti italiani, forte di valori condivisi e che si sono adeguati alle mutate condizioni sviluppatesi nel tempo, é certamente in grado più di qualunque altra di assicurare la trasformazione sostenibile del paesaggio italiano. L’architetto, nella progettazione dell’ambiente e del paesaggio a tutte le scale operative – dal progetto territoriale a quello d’architettura – è determinate per il futuro della nostra nazione. Il paesaggio oggi rappresenta un bene che va salvaguardato e affidato a capacità professionali non improvvisate. È infatti necessario tendere ad un uso del territorio coerente con le esigenze produttive e con quelle insediative, prevenendo ogni forma di scempio paesistico, armonizzando le risorse economiche con la vita sociale; quindi bisogna procedere al recupero progettuale della trasformazione del paesaggio antro-geografico secondo l’ottica dell’architettura. È importante distinguere le figure dell’ambientalista e del paesaggista, il primo si occupa per professione o per impegno civile-politico dei problemi dell’ambiente naturale, del suo equilibrio e della sua tutela e conservazione, il secondo di fatto é un mutante dell’ architetto dei giardini o di quella cultura storica del secolo XVIII e del XIX sec. che ha visto la sua massima espressione in Francia nel 700 nell’Ecole Nationale des Ponts el Chaussées, e che poi ha saputo evolversi nella figura dell’architetto contemporaneo attingendo alla storia e alla filosofia dell’etica. Riportare sia l’ambiente quanto il paesaggio nella disciplina architettonica costituisce l’unica garanzia per il genere umano di continuare a vivere in un mondo equilibrato dove la cerniera tra natura e uomo, come i greci hanno insegnato, é l’architettura. Saluti 27 1. INTRODUZIONE PAESAGGIO 150 Alessandro Villari Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, Dipartimento OASI 1. Remigio A. Legat, La battaglia di Calatafimi, 1860, Milano, Museo del Risorgimento Il paesaggio italiano è un patrimonio collettivo, testimone della nostra identità culturale e protetto dalla nostra Costituzione. In 150 anni di storia, lo stadio delle sue trasformazioni ha raggiunto livelli, anche se non sempre di qualità, di straordinaria importanza. In questo anno di iniziative per i festeggiamenti dell’Unità d’Italia ci sembra indispensabile fare il punto sulle peculiarità del paesaggio in cui viviamo, che tanta importanza riveste nelle nostre modalità di abitare il territorio nazionale. Il paesaggio è mutato attraverso una costante azione progettuale, nella maggior parte dei casi inconsapevole, ma in tanti altri programmata e pianificata. Leggi, norme e direttive hanno accompagnato questa lenta o veloce trasformazione, che ci restituisce oggi un paesaggio del quale siamo parte e artefici. Il convegno intende fare il punto sullo stato attuale del paesaggio italiano, sul suo passato tra narrazione e storia e sulle sue aspettative per il futuro. Attraverso questa riflessione, che non vuole essere un resoconto storico ma un’attenta analisi interpretativa dei fenomeni che ne hanno determinato l’attuale forma, l’obiettivo è provare ad elaborare, a partire da questo importante evento, nuove modalità di sviluppo, gestione e nuovi strumenti di progettazione. ... Qui o si fa l'Italia o si muore Giuseppe Garibaldi 15 maggio 1860 Le concitate parole pronunciate da Garibaldi in piena battaglia alle porte di Calatafimi preannunciano quel che, nel breve tempo di un anno, condusse all’Unità d’Italia. L’impeto dimostrato delle camicie rosse, guidate dal generale “dei due mondi”, è rappresentato ed espresso con chiarezza nel dipinto di Remigio Legat, sull’omonima battaglia svoltasi nel 1860. Tutta l’iconografia militare dell’epoca descrive con enfasi il momento storico, fatto di grandi cambiamenti e di nuove speranze per una nazione finalmente unita. Sullo sfondo di epiche battaglie la pittura di guerra celebra l’immensità incontaminata del paesaggio agro pastorale italiano, in contrappunto con gli aneliti di un eroismo moderno, quasi a testimoniare la dimensione operosa e produttiva della campagna. Ma è a Giovanni Fattori che si deve l’originale contributo nell’aver saputo rappresentare un’epoca divisa tra passioni rivoluzionarie e realtà agresti. Attraverso la rappresentazione dei paesaggi la nuova società scopre la bellezza del territorio della nazione come segno dell’identità nazionale. La pittura di paesaggio di Fattori, con assoluto “realismo”, ci consegna l’immagine del fertile paesaggio maremmano costruito con il sapiente, umile e quotidiano lavoro nei campi, a cui fa solenne contrappunto il dramma esistenziale dell’uomo del Novecento. Un epoca in pieno fermento culturale e ricca di contributi utili alla diffusione della conoscenza del territorio italiano. Tra questi il romanzo scientifico Il bel paese1 di Antonio Stoppani (1876) in cui vengono descritte le “bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica“ intrecciate con esplorazioni sugli usi e i costumi, il lavoro e l’economia di un’Italia unita, in cui si manifesta l’orgoglio di essere italiani, figli di un giovane paese. Con Stoppani la letteratura si metterà a servizio dell’auspicata unità sociale e culturale della nascente nazione con l’obiettivo di dilettare e istruire una popolazione ignara della reale composizione fisica del paese. Stoppani scrive a tal proposito: “ [...] in un tempo in cui le scienze naturali [...] ebbero tanto incremento al di fuori, siamo arrivati a tale che gl’italiani conoscono assai meglio la costituzione fisica dell’altrui che del proprio paese.” Sebbene l’entusiasmo della nuova nazione fosse foriero di innumerevoli iniziative culturali, il processo di riconoscimento di una identità nazionale richiese molti anni di intense attività in una Italia colma di problemi, speranze e meraviglie. Lo stato era fatto ma rimaneva il compito più difficile che era quello di formare una comunità coesa capace di riconoscersi sotto un’unica bandiera. “Pur troppo s’è fatta Introduzione 31 l’Italia, ma non si fanno gl’Italiani”2 con questa frase Massimo D’Azeglio manifesta la consapevolezza che bisognava formare la coscienza comune degli Italiani e che bisognava lavorare contro tutte le insidie che minavano il progetto irrinunciabile dell’unità appena conquistata. Nelle descrizioni iconografiche dell’Italia di quel tempo restano fuori i grandi processi di trasformazione in atto che stavano lentamente modificando l’immagine del paese e la struttura delle relazioni economiche e sociali. Prima di tutte l’espansione di una fitta rete infrastrutturale, che le ferrovie statali stavano realizzando per connettere tutto il territorio nazionale. Già nel 1861 la rete ferroviaria in esercizio si estendeva per 2.136 km e se ne prevedeva un’espansione per altri 1.933 km, che vennero realizzati nei decenni successivi. Emilio Sereni a tal proposito scrive “… nessuna invenzione, come questa della ferrovia […], ha tanto contribuito allo sviluppo delle forze produttive ed alla trasformazione del paesaggio agrario del nostro paese”3, testimoniando come lo sviluppo delle reti infrastrutturali avesse avviato un lungo ed efficace processo di modernizzazione del paese e una inevitabile azione di “rielaborazione e di […] ridistribuzione geografica delle forme del paesaggio stesso”4. Bisogna ammettere che nonostante questo processo di connessione veloce contribuisse alla crescita del sistema economico, allo stesso tempo, si avviava una irreversibile trasformazione del paesaggio agro-forestale. Lo sviluppo della rete infrastrutturale favorisce il decollo industriale del paese che troverà il suo completamento nei primi anni del ventesimo secolo. Si assiste ad un ribaltamento della struttura sociale. Le fabbriche offrono una risposta al fabbisogno di alloggi e di lavoro per tutta la mano d’opera, proveniente dal settore agricolo, che era in cerca di nuovi orizzonti e diversi modelli di vita. Lasciati i campi, la nascente classe operaia sarà impiegata per lo sviluppo dei settori siderurgico, metalmeccanico e tessile. Un articolato complesso di opifici e infrastrutture stava modificando il paesaggio italiano e il modello economico del paese. Elisa e Leonardo Travi (1979) scrivono a tal proposito: “È ovvio che tali infrastrutture abbiano modificato in modo profondo il territorio facendogli assumere una nuova ‘facies’ industriale in sostituzione di quella rurale, con le enormi conseguenze di tipo paesaggistico che gli artisti contemporanei in testa i futuristi, hanno immediatamente recepito”5. La lenta metamorfosi del paesaggio agrario, sintesi di un "finalismo senza la rappresentazione dello scopo"6, si dirige, così, verso un cambiamento che diventa inesorabile nel secolo successivo. Il rapporto uomo-natura per secoli si era mosso in un cammino di auto-perfezionamento, alla ricerca di una naturale specularità, attraverso processi graduali, sovvertiti rapidamente dalle grandi trasformazione avviate con le opere di bonifica, tra la fine dell’800 e il debutto del nuovo secolo, che determinano una vera rivoluzione del paesaggio agrario. Il capovolgimento dei rapporti sulla proprietà dei terreni, fenomeno esteso senza soluzione di continuità a tutto il territorio nazionale, dalle valli ferraresi alle fertili terre siciliane, modifica non solo l’assetto del paesaggio agrario ma anche la struttura sociale ed economica che aveva per secoli garantito il regime di equilibrio tra natura e azione antropica. Il processo di frantumazione dei latifondi e l’erosione delle proprietà nobiliari in piccoli campi recintati fissano una nuova immagine del paesaggio italiano. Sebbene per secoli il paesaggio sconfinato e multiforme avesse rappresentato un’icona per i viaggiatori del Grand Tour, la “rivoluzione agraria” e il continuo disboscamento delle foreste, per la produzione di legname, segna l’avvio della progressiva alterazione del paesaggio. Il processo di rielaborazione della struttura del territorio stava formando una diversa ma non meno affascinate immagine del paesaggio. La preoccupante condizione di degrado del paesaggio e delle bellezze naturali è sostenuta dal disegno di legge presentato da Benedetto Croce “Per la tutela della bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse Storico”7, che rappresenta in generale il primo efficace strumento, nella storia d’Italia, per la 32 difesa della natura e, in particolare, la premessa giuridica per l’istituzione dei primi parchi nazionali. Pochi anni dopo, nel 1922, Croce definisce il paesaggio come “la rappresentazione materiale e visibile della Patria”, che ben si colloca storicamente nella dimensione politica e sociale del periodo, nel tentativo di formulare una definizione utile a saldare l’identità nazionale e testimoniare il ruolo unificante del paesaggio. La successiva ruralizzazione del paese, avviata con la “Legge Mussolini” del 1928 e legittimata dallo slogan terre nuove e città nuove, trasforma radicalmente la forma dei territori paludosi italiani conferendo al paese una nuova e più strutturata immagine al paesaggio. La poderosa impresa mussoliniana convalida i fondamenti di una autarchia appannata che tenta di assicurare una logica di sviluppo economico e una prospettiva di benessere diffuso. Intanto il paesaggio istituzionalizzato, segnato da una radicale trasformazione, diventa l’immagine di una civiltà e di una storia culturale in antagonismo con la sua forma “naturale”. Così i processi di rinnovamento del territorio nazionale mostrano i primi segni di una discontinuità che, in contrapposizione con l’identità storica, si sovrappongono al tessuto agrario dando forma ad una nuova intelaiatura del paesaggio e ad un diverso assetto identitario. Alla bonifica del territorio consegue lo spostamento in massa di consistenti gruppi sociali, che dal Veneto e dal Friuli muovono verso i luoghi da risanare, in cerca di un lavoro sicuro, al fine di garantire una forza lavoro che, forte di una tradizione di dura attività in aree paludose e ostili, sia in grado di trasferire la propria esperienza e competenza nella organizzazione agricola dei nascenti territori. Questo fenomeno di migrazione interna impegna una consistente parte della popolazione italiana. Le dinamiche migratorie interessano agricoltori che si spostano da una regione all’altra, ma in modo più consistente, sono dovute al progressivo abbandono delle campagne verso i centri urbani. Il miraggio di un nuovo urbanesimo nazionale si avverte tra la popolazione e si manifesta con una forza dirompente. Le grandi città italiane accolgono una enorme quantità di nuovi cittadini con un aggravio della densità urbana. Questo fenomeno di forte pressione antropica avvia un rapido processo di espansione della città che, per far fronte a flussi di questa popolazione migrante, dovranno rivedere i loro assetti urbani e ipotecare parte del territorio verso nuovi e più adeguati sviluppi. Questo imprevisto modello di urbanesimo moderno e la crescente riflessione sul futuro della città storica aprono la strada verso nuovi apparati urbani che modificano radicalmente i caratteri della struttura ampiamente consolidata della polis, compromettendo anche parti dell’armatura storica del paesaggio. Immune alle derive di sviluppo, la struttura storica del paesaggio nazionale mantiene un ordine di coordinate non facili da sradicare dalla immagine policroma del territorio. A fronte di una enorme quantità di trasformazioni, continua a resistere un’impronta geografica del paesaggio rintracciabile nella composizione dei segni che distinguono un territorio dall’altro. Così un complesso di biografie territoriali e di identità geografiche disegna il paesaggio italiano che, sebbene sottoposto ad una continua aggressione, resiste e mantiene la struttura del suo impianto narrativo: una ricca semantica paesaggistica riconoscibile nella permanenza dei segni della viabilità storica, della centuriazione romana, delle colline toscane, delle terre arse siciliane, delle valli, delle pianure venete, delle fortificazioni medievali, dei luoghi sacri e dalla costellazione dei contesti urbani e archeologici. Questa immagine collettiva del territorio, fatta di segni, ci restituisce una sintesi tra struttura evolutiva della geografia del paesaggio italiano e della società che lo abita e lo ha trasformato. Con competenza riusciamo a decifrare i segni matrice dell’identità dei luoghi, con la propensione a comporre degli ipotetici cataloghi di paesaggio. In tema di classificazione, bisogna ricordare che la prima storica catalogazione del paesaggio italiano Introduzione 33 viene avviata intorno al 1913, con la prima indagine sul patrimonio naturale voluta dal Comitato della Difesa del Paesaggio e realizzata dal Touring Club Italiano a seguito della prima legge di tutela del paesaggio. È un’esigenza fare un censimento del territorio, che sia un utile chiarimento della sua consistenza e della sua diversità, al fine di elaborare concrete azioni di controllo e di avviare un processo identitario nazionale. Sebbene l’esito della catalogazione non sia stato di gran rilievo, l’esplorazione del territorio avvia un processo, nei termini di riconoscibilità del paesaggio (tra naturale e antropico), di studi e approfondimenti successivi: sul paesaggio e l’estetica, sulle letture geomorfologiche e quelle geografiche, tendenti ad una costruzione teoretica del paesaggio che esprima principi di lettura e anamnesi da applicare nelle politiche di sviluppo del territorio. “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Così recita l’art. 9 della Costituzione Italiana sull’onda di un preciso interesse per la salvaguardia del patrimonio nazionale. Le leggi che ne derivano, sono legate essenzialmente ad una sistematica opera di tutela delle ricchezze storiche, limitando a questa missione conservatrice dello Stato lo sviluppo di politiche coerenti ai processi di trasformazione che si susseguono nell’arco di tutto il Novecento. Ma i principi costituzionali affermati nell’art. 9, insieme all’enorme bagaglio di norme per la protezione dell’ambiente, non si dimostrano adeguati a garantire la persistenza delle peculiarità del paesaggio italiano. All’inizio degli anni quaranta è ancora possibile rintracciare le trame del paesaggio storico formato di immagini plurali che coesistono nello stesso territorio. Fino ad allora la popolazione rurale era stata custode della qualità e aveva difeso la diversità regionale. Le grandi trasformazioni si avviano dopo la seconda guerra mondiale, con il “progetto infrastrutturale” del paese utile a connettere i territori della nascente repubblica e avviare il primo processo di sviluppo di una Italia moderna. In questa direzione la “motorizzazione di massa” dà avvio alla rottura definitiva delle dicotomie tra città e campagna/tra urbano e rurale. Si assiste alla metamorfosi epocale del paesaggio e della città. Il processo di un urbanesimo veloce e inarrestabile, indotto da una società transumante dalle campagne verso le polis, trasforma rapidamente le città “cariche di storia”. L’assenza di una programmazione e la fulminea concentrazione della popolazione nelle aree urbane avvia un processo di espansione della città senza confronti. Senza sosta nascono nuove tessiture urbane che si sovrappongono a quelle storiche, alterando definitivamente i tratti fisiognomici di una cultura urbana che si è stratificata nell’arco di secoli, dando origine ad una esplosione straordinaria e incontenibile, incapace di fissare coordinate di minimo “equilibrio dinamico” tra città e campagna. Mentre la città naufraga verso una deriva senza orizzonti, la campagna indebolisce la sua funzione di elemento connettore del paesaggio nazionale. Il paesaggio dell’abitare urbano supera i confini storici, minaccia la campagna, generando città pulviscolari che senza soluzione di continuità si insinuano nelle aree rurali limitrofe. Il fenomeno della dispersione urbana (sprawl) rompe i confini della città tradizionale, inquinando la campagna e prefigurando l’ultimo paesaggio dell’epoca moderna. Le parole di Rosario Assunto “Lo spazio del paesaggio [...] contiene in sé la città: la quale confina con esso da ogni parte, è nata nel paesaggio” 8 spiegano in modo evidente come anche le trasformazioni urbane del secolo a pieno titolo afferiscano alla sfera del paesaggio nazionale. Il consumo di suolo è il segno più eloquente di questa modernità. Continuiamo a cementificare ed espandere le nostre città, favoriti dal trasporto individuale, con una accelerazione che a partire dagli anni sessanta ha radicalmente disarticolato il funzionamento fisiologico dell’ambiente. La progressiva impermeabilizzazione dei suoli non solo ha alterato gli equilibri eco-sistemici, ma continua a minacciare 34 la stabilità del territorio. L’aumento della superficie occupata dalle infrastrutture e dalle città riduce la quantità di suolo permeabile, diminuisce l’apporto di acqua nelle falde, ne altera il ciclo e aumenta a dismisura le aree di dissesto idrogeologico. Sebbene questa aggressione del territorio abbia sfigurato buona parte del paesaggio nazionale, la sua identità resiste nelle trame di molti topoi italiani che, tuttavia, continuano a mantenere una loro organizzazione strutturale e una loro immagine identitaria. Ma non tutti i luoghi si presentano coerenti verso un’ideale iconografia del paesaggio e a volte la moltitudine di forme dissonanti può costruire un labirinto di tracce, che non sempre riusciamo a decifrare, nelle quali con difficoltà individuiamo una unica immagine organica del paesaggio. Allora lo sguardo serve ad elaborare categorie di immagini, spesso senza significato, perché abbiamo bisogno di figure che confermino la nostra adesione al territorio e che attivino processi di identità e di appartenenza. Claude Raffestin scrive a proposito dello sguardo del paesaggio: “ … lo sguardo, prima d’essere di una intera comunità o società, è quello di un individuo e può diventare collettivo se riesce ad imporsi come nuovo e essenziale per osservare la realtà” 9. In tale senso, se il paesaggio è il prodotto della società, è necessario che gli individui che la costituiscono elaborino una pluralità di immagini, in grado di confermare il processo identitario fuori da qualunque lessico e lontano da visioni stereotipate. A volte siamo rassicurati davanti a rappresentazioni molto simili dei nostri paesaggi, dove il processo di omologazione e la perdita di esperienza dei luoghi hanno prodotto una filiera di paesaggi retorici, a volte fortemente degradati. Abbiamo imparato anche noi a confondere l’immagine con la realtà e spesso, troppo rassicurati, siamo incapaci di esprimere nuove coerenti azioni di trasformazione dei nostri paesaggi. Ormai lontani da un tempo in cui, nella sua accezione più elementare, il paesaggio aveva un significato uguale per tutti, emerge con sempre maggiore evidenza la propensione ad un continuo smarrimento degli strumenti in grado di promuovere azioni coerenti di salvaguardia e di trasformazione del paesaggio. Oggi i mutati comportamenti sociali e l’eccesso di sviluppo hanno radicalmente cambiato gli scenari. Accade sempre più di frequente, che davanti a paesaggi sempre più specializzati e spesso contrastanti emerga una progressiva incapacità di definirne le tracce semantiche. Le sovrapposizioni e stratificazione di segni restituisco un palinsesto disarticolato, anche se a volte affascinante. Ritrovare l’armonia è l’unica azione possibile per un paesaggio, sempre più locus horridus, che da troppo tempo ha perso il suo ruolo unificante della società. A fronte della crisi (economica, sociale e culturale) il paesaggio può imporsi come elemento di centralità nelle future prospettive di sviluppo della nazione. Con senso di responsabilità bisogna occuparci del futuro del paesaggio e con la stessa colpevolezza avviare processi di riattivazione e recupero di quelli sfigurati. Non c’è molto tempo per intraprendere, con senso di responsabilità, adeguati processi di trasformazione utili ad sostenere delle nuove prospettive per il paesaggio italiano. Non è un compito facile. È difficoltoso cogliere con un solo sguardo la complessità del paesaggio, e di conseguenza risulta arduo elaborare una soluzione capace di dare delle risposte globali alle sue diverse sfaccettature. Per fare ciò è preliminarmente necessario “diffondere una cultura del paesaggio, quindi […] diffondere nella popolazione una consapevolezza generale circa il valore e l’importanza di conservare vivo e semiologicamente integro il paesaggio della propria identità collettiva, sia alla scala locale che a quelle di più vaste dimensioni”10. In tal senso la Convenzione Europea del Paesaggio, a proposito delle popolazioni, pone come asse di interesse generale il tema dell’identità locale e della capacità dei popoli di identificarsi e di riconoscersi nei propri paesaggi. Questo assunto della CEP, sebbene molto puntuale Introduzione 35 nella dichiarazione, appare fortemente ambiguo se non si individuano con chiarezza quali sono le relazioni contemporanee tra comunità e paesaggio. È giusto considerare il paesaggio come lo spazio di convivenza delle popolazioni, che nella pluralità di interessi esercita una moltitudine di comportamenti certamente molto diversi oggi dal passato. Il paesaggio, più che oggetto di visioni romantiche e di tutela, è il supporto in cui gli individui vivono e condividono gli stessi valori culturali e materiali e nel quale si manifestano desideri di sviluppo. Il paesaggio è un bene comune, e per questo emerge la necessità di uno sviluppo che, in orizzonte temporale equilibrato, preveda processi di orientamento del nostro habitat in armonia con la complessa storia culturale della nazione e che siano “specchio” del nostro tempo. Di fronte all’emergere di nuove istanze di sviluppo è necessario agire con una capacità critica-operativa che elabori positivamente questioni molto complesse, e che davanti alla sovrabbondanza delle informazioni sia capace di individuare scenari che accedano a nuove modalità di sguardo sia fisico che simbolico. È arrivato il momento di pensare al progetto del paesaggio come un processo che ha bisogno di essere orientato attraverso ricerche che favoriscano la riattivazione di fronte all’innovazione, la continuità di fronte alla rottura, la misura di fronte al formalismo. Tutti siamo chiamati a conservare, trasformare e progettare il paesaggio in quanto testimone della nostra identità nazionale e locale, sostenuti da un comune proposito: la risoluzione delle dinamiche, più o meno consapevoli, di abbandono colpevole. Ci vuole tempo, sensibilità e responsabilità per ritrovare l’armonia tra terra e paesaggio come risultato di una manifestazione culturale condivisa. Ci vuole tempo per immaginare che il paesaggio è una necessità che impone una moralità condivisa. Note 1 Stoppani Antonio, Il bel paese. Conversazioni sulle bellezze naturali, Lorenzo Barbera Editore, Siena, 2012. 2 D’Azeglio Taparelli Massimo, I miei ricordi, Barbera, Firenze, 1891, p. 5. 3 Sereni Emilio, Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza, Roma-Bari 2007, p. 367. 4 Sereni Emilio, op cit, 2007, p. 366. 5 Travi Leonardo Mariani, Travi Elisa, Il paesaggio italiano della rivoluzione industriale: Crespi d’Adda e Schio, Dedalo Libri, Bari, 1979. 6 Kant Immanuel, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 2005. 7 Disegno Legge 204 ( 25 settembre 1920) presentato dal Benedetto Croce in qualità di Ministro dell’Istruzione Pubblica. 8 Assunto Rosario, Il paesaggio e l’estetica, Ed. Novecento, Palermo 1994. 9 Raffestin Claude, Dalla nostalgia del territorio al desiderio di paesaggio. Elementi per una teoria del paesaggio, Alinea, 2005. 10 Romani Valerio, Il paesaggio e futuro. Temi di responsabilità, Ri-Vista, Firenze 2009. 36