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La mitigazione del rischio idraulico

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La mitigazione del rischio idraulico
No. 4 , Maggio 2009
La mitigazione del rischio idraulico
L. UBERTINI
2 Presentazione (F.C. Wezel)
ARTICOLO
4
5
11
13
17
20
25
29
31
33
43
Premessa
Generalità sul rischio idraulico e sulla protezione idraulica del territorio
Il Rischio alluvionale
L’identificazione del rischio
La valutazione del rischio
Progetto VAPI, Valutazione della Piene in Italia
Redazione delle Carta delle aree inondabili
Strategie di Mitigazione
Nuove Prospettive
Il Tevere a Roma: un caso paradigmatico
Per chi vuole approfondire
Quaderno a cura di Forese Wezel. Messa in rete a cura di Alessandro Zuccari.
Sito web della SGI: http://www. socgeol. it
Gli Autori sono i soli responsabili delle opinioni, osservazioni e idee espresse in questo Quaderno.
© 2009 Società Geologica Italiana
PRESENTAZIONE
Cambiamento globale e fattore umano
Viviamo in un pianeta dinamico, caratterizzato da una elevata variabilità naturale che dà
luogo a vaste trasformazioni dell’ambiente. Tale mutamento ambientale continuo – in
termini scientifici definito “global change”- interagisce con l’attività umana.
Il problema fondamentale, per capire il ruolo reale che effetivamente gioca il fattore
umano che viene designato come “antropogenic forcing”, è quello di riuscire a separare la
variabilità naturale dell’ambiente, dovuta alla dinamica del sistema Terra, dalla parte di
cambiamento indotto dalle crescenti e importanti modificazioni prodotte dalle attività
dell’uomo nel territorio.
Senza procedere alla separazione del ruolo giocato nel cambiamento da ciascuna di
queste due componenti non è possibile sviluppare modelli realisticamente validi per una
previsione del futuro dell’ambiente globale nei prossimi decenni.
La domanda essenziale per il nostro comune futuro di umani è quella di capire in che
misura i cambiamenti naturali che stanno avvenendo nel sistema terrestre siano realmente
influenzati dalle azioni del Homo sapiens alla scala temporale dei decenni o dei secoli.
Nei precedenti Quaderni della SGI abbiamo cercato prima di tutto di documentare la
variabilità naturale di differenti processi dinamici terrestri in grado di provocare catastrofi
naturali nel territorio nazionale.
Sia i cambiamenti ambientali naturali che le risposte del territorio a tali modificazioni
sono testimoniati negli “archivi” geologici”, che racchiudono gli unici documenti
disponibili sulla variabilità ambientale a lungo, medio e corto termine del nostro pianeta.
Questi documenti geologici mostrano che le modificazioni ambientali costituiscono una
parte integrante del sistema Terra che ha sempre esibito una variabilità ciclica continua a
tutte le scale temporali, con una ampiezza che è stata talora superiore a quella dimostrata
dai dati strumentali recenti. La dinamica terrestre è inoltre caratterizzata dalla presenza di
soglie critiche, al di sopra delle quali si innescano cambiamenti che possono avere
conseguenze catastrofiche per la loro rapidità.
In che modo dunque i continui cambiamenti indotti dall’uomo del territorio sono in
grado di interagire con i cicli naturali della variabilità terrestre?
Se prendiamo in considerazione le inondazioni fluviali (alluvioni), l’interferenza umana
è principalmente rappresentata dalle modificazioni del territorio, dovute ad una
urbanizzazione caotica, che hanno portato ad un sensibile incremento percentuale della
superficie impermeabile, con conseguente diminuzione dell’acqua infiltrata nel suolo verso
le falde profonde e formazione di un ruscellamento superficiale incontrollato di grandi
proporzioni. La componente naturale del cambiamento è costituita dal mutamento del
regime di precipitazioni, caratterizzato da un aumento delle piogge a maggiore intensità
che avvengono in periodi più brevi, tipico degli eventi meteorologici “estremi”. Le alluvioni
si verificano perché i fiumi non sono più in grado di smaltire nei canali naturali di deflusso
l’eccesso d’acqua superficiale che viene così a prodursi. In tal modo si possono causare
maggiori disastri con effetti devastanti per la società (perdite di vite, danni alle
infrastrutture, distruzione di centri abitati, fabbriche, terreni coltivati ecc.).
Questo nuovo Quaderno SGI, che per l’appunto tratta delle alluvioni in Italia è stato
scritto da un autorevole esperto come il Prof. Lucio Ubertini, Presidente del Gruppo
Nazionale per la Difesa delle Catastrofi Idrogeologiche del CNR (GNDCI). Egli descrive in
maniera chiara e comprensibile il rischio, la pericolosità, le strategie di mitigazione e
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La mitigazione del rischio idraulico in Italia
l’enorme impatto socio-economico delle alluvioni disastrose, facendo riferimento ai
progetti svolti negli ultimi anni dal GNDCI che hanno consentito la realizzazione di mappe
delle aree inondabili relative all’intero territorio nazionale. Sono anche presentati gli studi
effettuati sul bacino del Tevere al fine di quantificare il rischio idraulico residuo nella città
di Roma.
Dai dati riportati emerge che pur essendo la situazione migliorata rispetto al passato, ci
sono più di mille comuni italiani che vivono sotto la minaccia di alluvioni. Gli eventi di
piena e i fenomeni franosi avvenuti negli ultimi 25 anni ci sono costati intorno a 25
miliardi di euro.
Anche a nome della Società Geologica Italiana ringrazio sentitamente il Prof. Ubertini
per il suo incisivo contributo.
Forese Carlo Wezel
Quad. SGI 4 (2009): 3
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
Lucio Ubertini*
* Sapienza, Università di Roma – Dip. Idraulica, Trasporti e Strade, (DITS)
Professore Ordinario di Costruzioni Idrauliche, Marittime ed Idrologia
Presidente del Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche del CNR
Già Direttore dell’Istituto di Protezione Idrogeologica del CNR
Via Eudossiana, 18 – 00184 Roma Italia [email protected]
1. Premessa
Al primo posto nella tragica classifica delle catastrofi che devastano il nostro Paese
troviamo le alluvioni e le frane, segno dell'estrema fragilità del territorio nazionale dal punto
di vista idrogeologico e della scarsa efficienza del sistema di implementazione di politiche
territoriali di previsione e prevenzione.
Nel periodo tra il 1986 ed il 2003, nell’ambito dei programmi del Gruppo Nazionale
Difesa Catastrofi Idrogeologiche del Consiglio Nazionale delle Ricerche (GNDCI – CNR), la
Comunità scientifica degli idraulici e idrologi italiani, nonché dei geologi, si è fortemente
impegnata a studiare in modo approfondito il problema della valutazione e della gestione
del rischio idraulico e geologico allo scopo di proporre adeguate strategie d’intervento
strutturale e non strutturale e di determinare le tecniche migliori per prevenire e limitare gli
effetti delle inondazioni e delle frane sul territorio nazionale.
Gran parte di queste note trova conforto sui dati, sulle conoscenze e sulle
constatazioni raccolte in tutto il Paese dai ricercatori delle Università e dei Centri del CNR
preposti alle ricerche per la protezione idraulica e geologica del territorio nazionale.
A tutti quei ricercatori l’autore vuole qui rivolgere il proprio personale ringraziamento
e rinnovare la propria stima.
Tale quaderno di carattere divulgativo è strutturato nel seguente modo, una prima
parte di inquadramento generale sul rischio idraulico e sulla protezione idraulica del
territorio, una seconda dedicata al rischio alluvionale tramite le fasi di identificazione, e di
valutazione del rischio, nonché ai metodi di valutazione della pericolosità idrologica e
idraulica sul territorio.
Una descrizione sommaria dei progetti realizzati negli ultimi anni dal Gruppo
Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche del CNR: il progetto AVI (Aree
Vulnerate Italiane) e progetto VAPI (Valutazione della Piene in Italia ) che hanno
consentito tecnicamente la realizzazione su tutto il territorio nazionale delle carte delle
aree inondabili .
Un cenno sulle strategie di mitigazione del rischio in atto nel Paese e alcune nuove
prospettive verso cui si dovrebbe investire in ricerca su questo tema.
Infine, sono presentati, in quanto ritenuti paradigmatici, gli studi effettuati sul bacino
del Tevere al fine di quantificare il rischio idraulico residuo in Roma.
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La mitigazione del rischio idraulico in Italia
2. Generalità sul rischio idraulico e sulla protezione idraulica del territorio
L’estrema vulnerabilità del nostro Paese alle calamità naturali è testimoniata dal numero
elevato di catastrofi che hanno provocato, negli ultimi decenni, migliaia di vittime e ingenti
danni sia agli insediamenti umani, sia alle attività produttive.
Infatti, è ampiamente noto che l’Italia è un paese fortemente esposto ai rischi di natura
idrologica e idraulica, che si manifestano sul territorio con modalità differenti in funzione
dell’assetto geomorfologico dei luoghi: frane e trasporto solido lungo i conoidi nelle zone
montane e collinari, esondazioni e sprofondamenti nelle zone collinari e di pianura.
Fig. 1- Mappe dei comuni colpiti da frane ed inondazioni nel periodo 1918-1994. La tonalità di colore crescente
indica una maggiore concentrazione di eventi.
Questi fenomeni risultano rilevanti sia in termini di danni alle abitazioni, alle industrie e alle
infrastrutture, sia, soprattutto in termini di vite umane. Anche considerando solamente le
alluvioni disastrose verificatesi dal dopoguerra alla fine del secolo scorso, il bilancio si
dimostra preoccupante:
− 22 ottobre 1951, un'alluvione colpisce la Calabria meridionale, provocando 100
morti;
− 14 novembre 1951, il Po rompe gli argini e allaga due terzi della provincia di Rovigo
(Polesine), causando 89 morti;
− 26 ottobre 1954: un'alluvione colpisce Salerno e molti centri della costiera
amalfitana e della provincia, causando 300 morti;
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Fig. 2 – Alluvione Polesine del (1951).
− 9 ottobre 1963, una frana precipita nell’invaso artificiale della diga del Vajont,
provocando un’onda che cancella il paese di Longarone (Belluno) uccidendo 1800
persone;
Fig. 3 – La tragedia del Vajont (1963).
− 4 novembre 1966, l’Arno, in seguito ad intense piogge rompe gli argini in diversi
punti, invadendo la città di Firenze e causando 35 vittime;
Fig. 4 – Alluvione di Firenze (1966).
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− 2 novembre 1968, il Tanaro sommerge la periferia di Asti e distrugge interi fabbricati
a Biella, provocando la morte di 72 persone;
− 19 luglio 1985 una diga cede in Val di Fiemme e oltre 300.000 metri cubici di acqua
inghiottono i comuni di Stava e Prestavel con un bilancio di 360 morti;
− 18 luglio 1987, dopo 3 giorni di pioggia, l'Adda travolge 60 comuni. Morignone e
S.Antonio vengono cancellati dalla frana del monte Coppetto: circa 1500 i
senzatetto e 53 morti;
Fig. 5 – Frana di monte Coppetto (1987).
− 6 novembre 1994 i fiumi Tanaro, Covetta, Bovina (Piemonte) fuoriescono dai loro
argini, trascinando un’enorme quantità di detriti, causando 70 vittime;
Fig. 6 – Alluvione Piemonte (1994).
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− 19 giugno 1996, in Versilia dopo oltre 150 mm di pioggia in 1 ora, ed oltre 450 mm
di pioggia in 4 ore, si verificano 13 morti e centinaia di senzatetto, con la distruzione
del paese di Cardoso e del Ponte Stazzemese;
Fig. 7 - Versilia, 19 giugno 1996 (Foto: Corpo Nazionale
dei Vigili del Fuoco).
− 5 maggio 1997, in seguito ad intense piogge una colata di fango investe i paesi di
Sarno e Quindici (Campania), provocando 147 morti;
Fig. 8 - Sarno, 5 maggio 1998 (Foto: Corpo Nazionale
dei Vigili del Fuoco).
− 10 Settembre 2000, il torrente Beltrame straripa a Soverato (Calabria), provocando
la morte di 12 persone.
Oltre alle frane e inondazioni sono comprese nella problematica più generale del rischio
idrogeologico anche gli eventi antropici o naturali che provochino il degrado delle risorse
idriche ed altri eventi naturali più peculiari (valanghe, nevicate intense, trombe d’aria,
mareggiate, subsidenza e sink-holes, siccità, etc.).
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La mitigazione del rischio idraulico in Italia
Fig. 9 - valanghe, mareggiate, subsidenza e sink-holes, siccità.
Naturalmente c’è una sostanziale differenza, dettata dalle scale spaziali e temporali dei
processi fisici coinvolti, nell’approccio scientifico finalizzato alla previsione ed alla
prevenzione di frane e inondazioni:
• le frane sono un fenomeno tipicamente puntuale, capillarmente diffuso sul territorio,
provocate da condizioni peculiari di instabilità locale del terreno, i cui precursori di
evento non sono facilmente identificabili se non da monitoraggi onerosi in sito;
• le inondazioni sono ben definite nello spazio, potendo avvenire solo in corrispondenza
di corsi d’acqua di specifiche caratteristiche, sono provocate dal mutuo interagire dei,
più o meno complessi, fenomeni di formazione e concentrazione dei deflussi all’interno
di una rete fluviale, in funzione dell’estensione dei bacini coinvolti è possibile
individuare dei precursori di evento.
A testimonianza dell’enorme impatto socio economico del rischio idrogeologico bastano
pochi numeri: in Italia negli ultimi 100 anni ci sono state oltre 7.000 alluvioni e 17.000
frane, e costi stimabili intorno ai 25 miliardi di euro solo negli ultimi 25 anni.
Il continuo ricorrere di fenomeni di dissesto idrogeologico negli ultimi anni dipende solo in
parte da fattori naturali, come il clima pluviometrico, la conformazione geologica e
geomorfologia del nostro territorio.
Mentre, relativamente agli eventi più intensi, quali quelli elencati precedentemente, la
forzante idrologica gioca un ruolo assolutamente di rilievo, per gli altri eventi che
contribuiscono alla notevole entità dei fenomeni di dissesto che si verificano annualmente,
il condizionamento maggiore deriva dalle azioni dell’uomo, dallo sfruttamento intensivo e
poco programmato del territorio, che, da un lato, incrementa la possibilità di accadimento
dei fenomeni, e, dall’altro aumenta la presenza di beni e persone nelle zone a rischio.
L’abbandono dei terreni montani, l’abusivismo edilizio, il continuo disboscamento, l’uso di
tecniche agricole poco rispettose dell’ambiente, l’apertura di cave di prestito, l’occupazione
di zone di pertinenza fluviale, l’estrazione incontrollata di fluidi (acqua e gas) dal
sottosuolo, il prelievo abusivo di inerti dagli alvei fluviali, la mancata manutenzione dei
versanti e dei corsi d’acqua hanno sicuramente aggravato il dissesto e messo
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ulteriormente in evidenza la fragilità del territorio italiano. Accanto a questi fattori anche
l’urbanizzazione diffusa e caotica ha causato una forzata canalizzazione e
artificializzazione dei corsi d’acqua, con conseguente incremento dei massimi di piena e
diminuzione della ricarica delle falde. Tali mutamenti portano ad una riduzione dei tempi di
scorrimento delle acque, non più trattenute dal suolo ormai privo di vegetazione e
impermeabilizzato dall'asfalto, e ad un numero sempre più frequente di alluvioni.
In generale la situazione è migliorata rispetto al passato, almeno dal punto di vista
dell’identificazione dei rischi attraverso una mappa nazionale redatta nel 2000. Rimangono
comunque più di mille comuni italiani che vivono sotto la minaccia di alluvioni. Una
situazione che richiede interventi di prevenzione, manutenzione degli alvei dei fiumi e la
preparazione di adeguati piani di emergenza.
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3.
Il Rischio alluvionale
Per rischio alluvionale si intende il rischio legato alle esondazioni torrentizie e fluviali; a
tal proposito si può operare la distinzione tra:
• rischio idrologico intrinseco, inerente al transito delle piene in una rete idrografica,
quale effetto, naturale o forzato, del ciclo idrologico;
• rischio idraulico estrinseco, inerente al transito delle piene in aree antropizzate.
Le fenomenologie da studiare sono complesse, sia in funzione della scala spaziale, che
varia da pochi ettari (quartieri urbani soggetti ad inondazione per insufficienza delle reti
pluviali) a migliaia di chilometri quadrati (dimensione caratteristica di un bacino sotteso da
un corso d’acqua), sia in funzione della scala temporale, che dipende dalla scala spaziale
ma anche dalle scale caratteristiche dei fenomeni meteorologici e climatici.
Per comprendere al meglio fenomeni dinamici e complessi come le piene fluviali, e per
valutarne l’impatto, è necessario, quindi, operare una sintesi tra le varie componenti del
problema (climatiche, meteorologiche, idrologiche, geomorfologiche e urbanistiche) e
ampliare la base fisica su cui fondare la descrizione e previsione degli stessi.
Con gli strumenti a disposizione, il processo con cui si affronta il rischio alluvionale è
articolato in quattro momenti:
1. Percezione: è la capacità di osservare i dati e prendere coscienza del verificarsi
ineluttabile dei nubifragi e delle loro conseguenze al suolo, in una visione
complessiva della rete idrografica e dei suoi ambiti territoriali.
2. Previsione: è volta a valutare la vulnerabilità idrologica del territorio, tramite una
valutazione dinamica del rischio, in grado di fornire indicazioni sulla risposta del
sistema agli interventi strutturali, che si possono operare non soltanto sul reticolo
locale, ma anche sull’intero complesso della rete idrografica; la valutazione
comprende anche la risposta del sistema alle modificazioni di uso del suolo, sia a
scala locale sia a scala di bacino. Si distinguono:
− Modelli di natura combinata, che tengono in considerazione le problematiche
legate al fattore meteorico (frequenza e intensità degli eventi estremi) e al
fattore geomorfologico (propensione del terreno a favorire il ruscellamento,
morfologia degli alvei).
− Modelli puramente statistici, legati alla validità delle ipotesi di ergodicità e
stazionarietà del sistema necessarie a risolvere i problemi inferenziali, meno
adatti a risolvere un problema di natura dinamica, anche senza considerare le
incertezze indotte dalla scarsa consistenza dei dati idrometrici disponibili.
3. Prevenzione: consiste nell’elaborazione di interventi volti a mitigare l’esposizione al
rischio. La prevenzione si attua con:
− misure di natura strutturale, od opere idrauliche, che comportano una
modificazione del reticolo idrografico e dei versanti;
− misure di natura non strutturale, che abbracciano un ampio ventaglio di opzioni,
volte a mitigare il rischio residuale.
4. Preannuncio: consiste nel complesso di attività che consente di stabilire con un
certo margine di anticipo il rischio legato al verificarsi di certe condizioni. In passato
questo è stato l’aspetto più trascurato, anche per la difficoltà di comunicare
rapidamente le informazioni e per la scarsa organizzazione sociale che sarebbe
dovuta essere la base per un efficace intervento di emergenza. Anche oggi, al
ridursi delle dimensioni del bacino, la difficoltà del preannuncio cresce in maniera
esponenziale, visto che deve farsi via via più tempestivo. E se le metodologie
legate al preannuncio di una piena sono ormai assestate e le tecnologie di
teletrasmissione abbastanza consolidate, il preannuncio quantitativo degli eventi di
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pioggia intensa, a partire dalle osservazioni di precipitazione a terra, dal
monitoraggio radar e dalle immagini satellitari, è ancora molto limitato soprattutto
per la grande variabilità delle precipitazioni nel tempo e nello spazio.
La legge 225/1992 fornisce alcune definizioni dei termini più correntemente utilizzati negli
studi e nelle azioni di Protezione Civile. Tuttavia alcuni termini che fanno ormai parte del
lessico comune sono talvolta utilizzati con intendimenti diversi e possono produrre qualche
incertezza e qualche confusione. Pertanto si riportano alcune definizioni per i termini più
usati col fine di evitare equivoci sempre possibili.
Le aree potenzialmente interessate da fenomeni di tipo idraulico e geologico che
potrebbero arrecare danno alle persone ed ai beni (inondazioni, frane, mareggiate, etc.)
costituiscono le aree vulnerabili.
Ogni singola manifestazione del fenomeno temuto costituisce un evento.
In un'area vulnerabile possono essere identificati gli elementi a rischio, cioè le persone ed
i beni che possono subire danni quando si verifica un evento.
La grandezza E definisce l'entità degli elementi a rischio, misurandoli in modo diverso a
seconda della loro natura. Ad esempio E può esprimere il numero di persone a rischio o
l'ammontare del valore economico dei beni monetizzabili presenti nell'area vulnerabile. Nel
caso di beni ambientali, storici o culturali di rilevante interesse per i quali non è accettabile
la monetizzazione, E può indicare il numero di beni che appartengono a categorie da
identificare caso per caso. Il valore di E corrisponde al danno che si subisce in caso di
perdita completa del bene.
Quando si verifica un evento, ciascun elemento a rischio può riportare un danno maggiore
o minore in base alla propria capacità di sopportare tale evento. La vulnerabilità V esprime
l’attitudine dell’elemento a rischio a subire danni per effetto dell'evento e più precisamente
indica l’aliquota dell'elemento a rischio che viene danneggiata. V oscilla tra 0 (nessun
danno) ed 1 (distruzione, perdita totale) ed è adimensionale.
Ad un determinato elemento a rischio possono competere, in funzione delle caratteristiche
dell'evento, valori diversi sia di E che di V. In una inondazione, ad esempio, può variare la
superficie dell'area interessata, e quindi l'effettivo numero di persone e la quantità dei beni
colpiti, ovvero a seconda della dinamica del fenomeno può risultare più o meno agevole
proteggere gli elementi a rischio.
E' evidente inoltre che a parità di condizioni sia E che V possono assumere valori numerici
diversi in base a fattori puramente casuali, quali ad esempio il periodo dell'anno, il giorno
della settimana e l'ora in cui l'evento si verifica.
Pertanto E e V possono essere trattate come variabili casuali.
In corrispondenza di ciascun evento per il singolo elemento può porsi
(1)
D = EV
dove D rappresenta il danno espresso nelle stesse unità di misura di E.
In un periodo di t anni possono verificarsi Nt eventi e quindi il danno totale relativo a tale
periodo è:
N
N
Dt = ∑i =t1 Di = ∑i =t1 EiVi
(2)
essendo Di = EiVi il danno prodotto dall'i-esimo evento.
Nt è una variabile casuale definita per un assegnato periodo t.
Si indica come rischio Rt, relativo ad un determinato elemento a rischio e ad un prefissato
valore di t, il valore atteso di Dt
R = E [Dt ]
(3)
ossia il danno che mediamente può subire l'elemento considerato in più anni. E' da notare
che nella (3) il simbolo E[ ] rappresenta il valore atteso, o media.
Sotto particolari ipotesi, accettabili in molti casi pratici, si può dimostrare che:
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La mitigazione del rischio idraulico in Italia
Rt = EV H t
(4)
dove V è il valore medio della vulnerabilità dell'elemento a rischio ed Ht rappresenta la
pericolosità, e cioè la probabilità di avere nel periodo t almeno un evento calamitoso.
La pericolosità Ht è strettamente connessa al periodo di ritorno T, che esprime l’intervallo
di tempo nel quale l’evento si verifica in media una volta. Vale infatti la relazione:
1⎞
⎛
H t = 1 − ⎜1 − ⎟
⎝ T⎠
t
(5)
La (4), che può essere considerata come l'equazione del rischio, consente di inquadrare in
uno schema razionale le azioni di protezione civile volte alla difesa dal rischio
idrogeologico, ed in particolare di comprendere meglio il significato delle azioni di
previsione e prevenzione.
La previsione risulta infatti finalizzata ad individuare, per una assegnata tipologia di rischio,
le aree vulnerabili, e, all'interno di queste, gli elementi a rischio e la loro vulnerabilità in
modo da pervenire, nota che sia la pericolosità dell'evento, ad una stima del rischio su un
prefissato orizzonte temporale.
La previsione è quindi una azione di tipo conoscitivo che deve fornire un quadro accurato
e preciso delle aree vulnerabili e del rischio al quale sono sottoposte le persone ed i beni
in esse presenti.
Le misure di prevenzione invece sono indirizzate alla riduzione del rischio nelle aree
vulnerabili, e si concretizzano attraverso interventi strutturali per ridurre la probabilità che
accada un evento, ed interventi non strutturali per ridurre il danno.
L'inondazione di un territorio posto ai lati di un corso d'acqua infatti, comporta
sostanzialmente questa serie di effetti:
• rottura o semplicemente indebolimento delle sponde, fatto che rende sempre
problematico il contenimento delle piene successive;
• distruzione di raccolti (l'eccessiva quantità d'acqua provoca l'asfissia radicale);
• distruzione di infrastrutture di trasporto e di servizio;
• danni alle abitazioni e alle attività produttive, con grave rischio per l'incolumità degli
abitanti;
• modifica della natura del suolo in seguito al deposito di materiale solido e di materiali
spesso inquinanti.
Scopo di un'adeguata conoscenza del rischio di inondazione, è quello di poter pianificare i
diversi tipi di interventi strutturali e non strutturali (previsti nel piano di bacino o nel
programma di previsione e prevenzione) nelle zone dove questo risulti maggiore, e di
attuare le misure di salvaguardia dove esso potrebbe insorgere o aumentare.
3.1
L’identificazione del rischio
Una delle maggiori fonti di informazione sulla presenza e sull’estensione del rischio
idrologico-idraulico è costituita dalla documentazione sugli eventi del passato, presente in
molte fonti storico-culturali europee. L’assimilazione di questo tipo di dati, generalmente
non quantitativi, pone le basi per un’indicazione preliminare di fondamentale importanza.
Infatti, la documentazione in traccia delle alluvioni storiche aiuta nell’identificazione
preliminare delle aree suscettibili al rischio, data l’elevata la ripetitività di questi fenomeni
anche in presenza di interventi di salvaguardia. A questo fine, il catalogo dei dati messi a
disposizione nel “Censimento delle aree italiane storicamente colpite da frane e da
inondazioni” (CNR-GNDCI, 1998) può essere una base di partenza molto utile.
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La mitigazione del rischio idraulico in Italia
Nel 1989 il Dipartimento della Protezione Civile commissionò al Gruppo Nazionale per la
Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche (GNDCI) del Consiglio Nazionale delle Ricerche, il
censimento delle aree del paese colpite da frane e da inondazioni per il periodo 19181990. Il censimento, condotto fra il 1991 ed il 1992, venne realizzato da 17 gruppi di
ricerca distribuiti su tutto il territorio nazionale che coinvolsero oltre 300 fra esperti,
ricercatori ed operatori tecnici ed hanno portato all’esecuzione del progetto AVI (Aree
Vulnerate Italiane). Successivamente si è provveduto ad estendere il censimento al
periodo 1991-1994. Tutte le notizie censite sono andate a costituire un archivio digitale
contenente oltre 17.000 informazioni relative a frane ed oltre 7000 informazioni relative ad
inondazioni. Nel 1996 venne pubblicata una prima carta sinottica delle principali località
colpite da movimenti franosi e da inondazioni. Da allora, si è provveduto a localizzare,
come punti ed a scala 1:100.000, tutte le località note per essere state colpite da frane od
inondazioni. Le notizie per le quali non è stato possibile individuare con ragionevole
certezza la località colpita sono state cartografate in corrispondenza del capoluogo
comunale. Ad ogni località è stato anche assegnato il grado di certezza nella
localizzazione. La carta, pur non essendo una mappa del rischio o della pericolosità
idrogeologica, consente di avere una visione sinottica, la più accurata ed aggiornata ad
oggi possibile, della distribuzione delle catastrofi idrogeologiche avvenute nel nostro
paese.
Nonostante le numerose limitazioni, dovute alla complessità del territorio italiano, alla
diversa sensibilità e conoscenza sia attuale che storica dell'impatto che le frane e le
inondazioni hanno sul territorio, ed alle risorse limitate, il censimento rappresenta il più
completo ed aggiornato archivio di notizie su frane ed inondazioni avvenute in Italia.
A titolo di esempio si riportano alcuni prodotti di sintesi ricavabili da tale banca dati
informativa (cfr. figura seguente in cui è riportata la distribuzione storica degli eventi di
frana in Italia che hanno prodotto vittime o dispersi nel periodo compreso fra il 1410 ed il
1999).
Gli eventi catastrofici possono comunque colpire anche zone che storicamente non
vengono considerate suscettibili.
Ciò può dipendere da due ordini di fattori:
• dalle modificazioni di uso del suolo, sia di tipo locale sia di tipo diffuso, dovute a
modifiche delle pratiche agricole o ad un’urbanizzazione incontrollata dell’area del
bacino;
• dalle opere di ingegneria che, nel corso degli anni, hanno asservito la rete idrografica
in ragione della necessità di provvedere alle reti infrastrutturali, all’uso urbano e
industriale del territorio e all’utilizzo delle risorse idriche. Questi interventi tendono a
modificare in modo sostanziale sia l’officiosità degli alvei naturali, restringendone la
sezione utile di smaltimento, trasformandoli in canalizzazioni coperte o deviandone il
corso, o il regime di piena, a causa di opere di sbarramento che assorbono quasi
completamente le piene con periodo di ritorno modesto, ma che inducono negli
insediamenti di valle un falso senso di sicurezza che viene poi drammaticamente
confutato dagli eventi estremi.
•
Un ruolo importante hanno le opere di smaltimento delle acque pluviali, in quanto
modificano sia la ripartizione tra infiltrazione e ruscellamento, sia la distribuzione
temporale con cui le acque vengono trasportate ai corpi idrici recipienti. In particolare può
accadere che nelle aree rurali, dapprima caratterizzate da assorbimento significativo e
risposta idrologica “lenta”, l’urbanizzazione e la conseguente dotazione di sistemi di
fognatura dinamica aumenti notevolmente l’effetto di rifiuto delle acque pluviali, che
vengono convogliate molto più rapidamente al ricettore tramite le canalizzazione artificiale.
Quad. SGI 4 (2009): 14
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
Questo effetto può aumentare di molto la suscettibilità alluvionale delle aree vallive,
sempre più vulnerabili per la continua intensificazione d’uso del territorio. Un aspetto
altrettanto importante riguarda la manutenzione del bacino idrografico e, in particolare,
quella della rete idrografica.
Fig. 10 - Distribuzione storica degli eventi di frana in Italia che hanno prodotto vittime o dispersi nel
periodo compreso fra il 1410 ed il 1999.
È evidente la complessità del contesto urbano dei siti ritenuti soggetti ad inondazioni; in
tutti i casi in cui i corsi d’acqua sono stati utilizzati come sede di infrastrutture di trasporto,
quali condotte interrate e sospese, e sono stati prestati ad attraversamenti di ogni tipo, gli
interventi necessari alla mitigazione del rischio devono fronteggiare una molteplicità di
aspetti tecnici, operativi e burocratici di difficile approccio. Gli interessi in gioco sono, a
volte, multiformi e sfaccettati e le responsabilità, a parte quelle di ordine penale, non sono
sempre individuabili con chiarezza. Altre volte il problema del rischio idrologico-idraulico si
inserisce in particolari situazioni di rischio ambientale, venendo a gravare su aree
industrializzate o adibite a particolari servizi, dove l’alluvione può provocare non solo
estesi danni locali, ma innescare processi a catena di catastrofe ambientale. In questo
caso, anche se l’identificazione del rischio non è difficile, possono insorgere notevoli
difficoltà nella sua valutazione quantitativa e nelle misure che possono essere intraprese
per mitigarlo.
A questi problemi specifici dell’identificazione del rischio idrologico-idraulico, si sommano
le incertezze che accompagnano il bagaglio conoscitivo dei processi idrologici, essendo
l’idrologia una scienza nata nell’ultima parte del XX secolo. Comunque le metodologie
innovative di monitoraggio, analisi e rappresentazione dei fenomeni idrologici, consentono
oggi di condurre analisi di dettaglio prima impossibili. Anche se l’identificazione del rischio
tramite metodi analitici richiede ancora uno sforzo di ricerca e sviluppo, le attuali iniziative
in questa direzione possono fornire una notevole base conoscitiva e, nello stesso tempo,
sono il sintomo di una nuova impostazione del problema. L’effettiva applicazione della
Legge 183/1989 che a più di quindici anni dalla sua entrata in vigore, inizia da qualche
anno a produrre i suoi effetti, può sensibilmente migliorare l’attitudine con cui il nostro
Paese ha finora affrontato il problema del rischio idrologico-idraulico.
Quad. SGI 4 (2009): 15
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
Fig. 11 - Il progetto AVI ( http://avi.gndci.cnr.it/).
Quad. SGI 4 (2009): 16
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
3.2
La valutazione del rischio
Il rischio idrologico-idraulico viene misurato, come detto in base alla (4), la sua valutazione
analitica richiederebbe quindi una complessa operazione di convoluzione, in base alla
distribuzione congiunta di probabilità delle tre variabili (pericolosità, esposizione e
vulnerabilità). Nelle applicazioni pratiche si procede spesso a una semplificazione del
problema, introducendo, in luogo dell’operatore di convoluzione nello spazio di probabilità,
formule empiriche di tipo moltiplicativo, dove alle tre variabili sono sostituiti tre fattori, a
rigore indipendenti tra loro.
L’impostazione attualmente accettata in Italia in materia di definizione del rischio è basata
sulla definizione di rischio riportata nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
(DPCM) del 29 settembre 1998 per l’attuazione del DPCM n°.180 del 11 giugno 1998,
successivamente convertito nella Legge n°.267/1998.
Per quanto riguarda il parametro R, viene quantificato secondo i quattro livelli riportati nella
tabella 1.
Tabella 1 - Caratterizzazione delle classi di rischio idrologico-idraulico.
Rischio idraulico totale
Descrizione degli effetti
Classe
Intensità
Valore
R1
Moderata
< 0.002
danni sociali, economici e al patrimonio ambientale
marginali
< 0.005
sono possibili danni minori agli edifici, alle
infrastrutture e al patrimonio ambientale che non
pregiudicano l’incolumità del personale, l’agibilità
degli edifici e la funzionalità delle attività economiche
< 0.01
sono possibili problemi per l’incolumità delle persone,
danni funzionali agli edifici e alle infrastrutture con
conseguente inagibilità degli stessi, l’interruzione di
funzionalità delle attività socio-economiche e danni
rilevanti al patrimonio ambientale
< 0.02
Sono possibili la perdita di vite umane e lesioni gravi
alle persone, danni gravi agli edifici, alle
infrastrutture e al patrimonio ambientale, la
distruzione delle attività socio-economiche
R2
R3
R4
Media
Elevata
Molto elevata
Il fattore H (cfr. eq. 5) misura la pericolosità o natural hazard, cioè la probabilità di inondazione in
un orizzonte temporale t, che, in accordo con il suddetto DPCM 29/09/1998, viene ripartita in
almeno tre livelli, legati al periodo di ritorno dell’inondazione stessa.
Le aree ad alta probabilità di inondazione sono quelle soggette a eventi indicativamente
con periodo di ritorno di 20-50 anni, le aree a moderata probabilità di inondazione sono
quelle soggette a eventi con periodo di ritorno indicativamente di 100-200 anni, le aree a
bassa probabilità di inondazione sono quelle soggette a periodo di ritorno indicativo di
300-500 anni.
Quad. SGI 4 (2009): 17
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
Il fattore E misura gli elementi a rischio, che sono costituiti da persone e cose suscettibili di
essere colpiti da eventi calamitosi. La loro classificazione è riportata nella tabella 2 nella
quale ad ogni classe viene attribuito un peso secondo una scala da 0 a 1.
Infine il fattore V misura la vulnerabilità, intesa come capacità a resistere alla
sollecitazione indotta dall’evento e quindi, dal grado di perdita degli elementi a rischio E in
caso si manifesti il fenomeno. Ogni volta si ritenga a rischio la vita umana la vulnerabilità
viene assunta unitaria; per quanto riguarda gli elementi di altro tipo occorre prevedere
analisi di dettaglio, che tengano conto di fattori tecnici, economici e sociali. Comunque in
assenza di informazioni utili, si tende ad attribuire anche a tali elementi un valore di
vulnerabilità unitario.
Nella Tabella 3 sono indicati gli interventi consentiti nelle aree individuate a rischio.
Tabella 2 - Classificazione degli elementi a rischio.
Classe
Elementi
Peso
E1
Aree libere da insediamenti ed aree improduttive; zona boschiva;
zona agricola non edificabile; demanio pubblico non edificato e/o
edificabile
0.25
E2
Aree con limitata presenza di persone; aree extraurbane, poco
abitate; edifici sparsi; zona agricola generica (con possibilità di
edificazione); zona di protezione ambientale, rispetto, verde
privato; Parchi, verde pubblico non edificato; infrastrutture
secondarie
0.50
E3
Nuclei urbani non densamente popolati; infrastrutture pubbliche
(strade statali, provinciali e comunali strategiche, ferrovie,
pipelines, oleodotti, elettrodotti, acquedotti); aree sedi di
significative attività produttive (insediamenti artigianali, industriali,
commerciali minori); zone per impianti tecnologici e discariche
RSU o inerti, zone a cava
0.75
E4
Centri urbani ed aree urbanizzate con continuità (densità abitativa
superiore al 20% della superficie fondiaria); nuclei rurali minori di
particolare pregio; zone di completamento; zone di espansione;
grandi insediamenti industriali e commerciali; servizi pubblici
prevalentemente con fabbricati di rilevante interesse sociale;
infrastrutture pubbliche (infrastrutture viarie principali strategiche);
zona discarica speciali o tossico nocivi; zona alberghiera, zona
campeggi e villaggi turistici; beni architettonici, storici e artistici
1.00
Quad. SGI 4 (2009): 18
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
Tabella 3: Misure di salvaguardia nelle aree a rischio idrologico-idraulico.
Classe di
Rischio
Unici interventi consentiti
R4
Molto
elevato
ƒ opere idrauliche di salvaguardia tali da incrementare
significativamente le condizioni di funzionalità idraulica, da non
aumentare il rischio di inondazione a valle e da non
pregiudicare l’attuazione di una sistemazione idraulica
definitiva;
ƒ demolizioni senza ricostruzione, manutenzione ordinaria e
straordinaria, restauro, risanamento conservativo senza
aumento di superficie o volume, e interventi volti a mitigare la
vulnerabilità dell’edificio;
ƒ manutenzione, ampliamento, o ristrutturazione di infrastrutture
pubbliche o di pubblico interesse riferite a servizi essenziali e
non delocalizzabili, purché non concorrano a incrementare il
carico insediativo e non precludano la possibilità di attenuare o
eliminare le cause della situazione di rischio;
R3
Elevato
ƒ ristrutturazione edilizia, a condizione che non aumenti il livello
di rischio e non comporti significativo ostacolo o riduzione
apprezzabile delle della capacità di invaso delle aree stesse
ovvero che le superfici destinate ad uso abitativo o
economicamente rilevanti siano realizzate a quote compatibili
con la piena di riferimento;
ƒ ampliamento di edifici esistenti per necessità di adeguamento
igienico-sanitario, purché compatibili con le condizioni di rischio
che gravano sull’area;
ƒ manufatti non qualificabili come volumi edilizi, purché
compatibili con le condizioni di rischio che gravano sull’area
Vincoli di
progetto
Studio di
compatibilità
idraulica
approvato
dall’Autorità
idraulica
competente
Studio di
compatibilità
idraulica
Quad. SGI 4 (2009): 19
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
4.
Progetto VAPI, Valutazione della Piene in Italia
Il Progetto VAPI sulla Valutazione delle Piene in Italia, a cura del Gruppo Nazionale per la
Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche, ha avuto come obiettivo la predisposizione di una
procedura uniforme sull'intero territorio nazionale per la valutazione delle portate di piena
naturali.
L’obiettivo principale è stato quello di fornire uno strumento ed una guida ai ricercatori ed
ai tecnici operanti sul territorio, per comprendere i fenomeni coinvolti nella produzione
delle portate di piena naturali e per effettuare previsioni sui valori futuri delle piene in una
sezione di un bacino idrografico non regolato con il minimo possibile di incertezza.
A tal fine, occorre tener presente che le principali fonti di incertezze derivano
essenzialmente da due fattori:
1. ci sono eventi estremamente intensi, con caratteristiche di rarità in ogni sito e di
aleatorietà per quel che riguarda il sito stesso ove esse potranno verificarsi nel futuro,
sicché il fatto che in un punto eventi straordinari di tale tipo non si siano verificati
storicamente, non è garanzia di sicurezza che non se ne verificheranno nel futuro; in
realtà occorre stimare qual è il rischio idrologico che si verifichi una piena estrema in
ogni punto del territorio;
2. i dati idrometrici diretti a disposizione sono pochi e sparsi, con bassa densità sul
territorio; essi mostrano una grande variabilità dei valori delle piene indice (solitamente
il valor medio) osservati da sito a sito. Sicché, in un punto qualsiasi del territorio, la
stima dei valori delle piene future si presenta incerta non solo per la valutazione del
rischio di un evento estremo, ma anche per la valutazione del valore indice.
La metodologia adottata nel progetto VAPI fa riferimento ad un approccio di tipo
probabilistico per la valutazione dei massimi annuali delle portate di piena, sicché non
esiste un valore massimo assoluto, ma ad ogni valore della portata di piena viene
associato una probabilità che si verifichino eventi di piena con valori superiori. Per ridurre
le incertezze legate alla presenza di eventi estremi molto rari in ogni singolo punto ed alla
variabilità da sito a sito del valore indice della piena, si adotta una metodologia di analisi
regionale che si avvale anche di modelli concettuali di formazione dei deflussi di piena a
partire dalle precipitazioni intense sul bacino. Tale approccio consente di utilizzare non
solo tutta l'informazione idrometrica ma anche tutta quella pluviometrica, posseduta su un
dato territorio.
In particolare, viene adottato un modello probabilistico a doppia componente (TCEV) che
interpreta gli eventi massimi annuali come il risultato di una miscela di due popolazioni
distinte: la prima produce gli eventi massimi ordinari, più frequenti ma meno intensi; la
seconda produce gli eventi massimi straordinari, meno frequenti ma spesso catastrofici.
Si è fatto riferimento ad una procedura di regionalizzazione gerarchica, in cui i diversi
parametri del modello probabilistico vengono valutati a scale regionali differenti, in
funzione dell'ordine statistico del parametro stesso. In particolare, per i parametri di ordine
più elevato (forma e scala), si analizzano ampie regioni che si suppongono omogenee nei
suoi confronti.
Le analisi svolte nel Progetto VAPI mostrano che, qualunque sia la durata delle
precipitazioni, da 5 min a 5 giorni, quasi ovunque tali parametri sono unici e non si può
rigettare l'ipotesi che le corrispondenti regioni siano omogenee a tale livello, per cui i
parametri di forma e di scala assumano valore unico non solo con le durate ma anche da
Quad. SGI 4 (2009): 20
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
sito a sito nella regione. Le stesse conclusioni valgono sia per i massimi annuali delle
portate al colmo, sia per i massimi annuali delle portate medie per durate comprese fra 0.5
ore e 5 giorni. Tali conclusioni portano a dire che il rapporto fra il valore con generico
rischio di una variabile ed il valore indice (o media), detto coefficiente probabilistico di
crescita, assume una legge di variazione con il rischio unica per l'intera regione.
L'ampia variabilità da sito a sito del valore indice necessariamente richiede la
considerazione dell'ipotesi che tale variabilità sia il risultato di fattori causali, differenti nei
siti. Per quanto riguarda le precipitazioni, usualmente si cerca di identificare delle aree
pluviometriche omogenee, in ognuna delle quali valga un'unica legge multiregressiva
(legge di probabilità pluviometrica) di variazione del massimo annuale dell'intensità di
pioggia con la durata e con altri parametri del bacino (ad es. la quota, la distanza dal
mare, ecc.).
Per la stima della piena media annua sono stati presi in considerazione i principali fattori
climatici, geomorfologici, idrogeologici e di uso del suolo del bacino. Sono state effettuate
analisi di correlazione di tipo empirico e sono stati presi in considerazione modelli
concettuali di trasformazione afflusso-deflusso. Tra quelli più usati si citano quello basato
sulla classica formulazione razionale e quello di tipo geomorfoclimatico che identifica la
risposta del bacino attraverso due parametri concettuali, il coefficiente di afflusso di piena,
che separa le precipitazioni totali negli afflussi efficaci alla piena, ed il tempo di ritardo del
bacino.
In alcuni casi è stata anche proposta una stima regionale dei due parametri: generalmente
essi dipendono da tre complessi omogenei: le aree permeabili con copertura boschiva,
praticamente non contribuenti alla piena, le aree permeabili senza copertura boschiva, con
basso contributo unitario e con deflusso lento, e le aree impermeabili, con più elevato
contributo unitario e deflusso più rapido.
E’ importante che sull'affidabilità di tali stime vengano effettuati diversi controlli: ad
esempio, su base puramente statistica si possono valutare gli errori standard per ogni
metodologia e per ogni parametro. In questo modo è stato mostrato che un modello di
regressione semplice della piena media annua con l'area del bacino ridotta delle
componenti permeabili con bosco ha elevate prestazioni statistiche, anche se alcuni suoi
parametri presentano un errore standard piuttosto elevato. I valori dei parametri dei
modelli concettuali sembrano, invece, più affidabili.
Fig. 12 - Mappa del territorio studiato (Italia Centrale settentrionale)
con le suddivisione in SZO con riferimento alle precipitazioni intense.
Quad. SGI 4 (2009): 21
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
Fig. 13 - Compartimento del Po: Suddivisione in sottozone pluviometriche omogenee.
Fig. 14 - Compartimento di Pisa e di Pescara: Suddivisione in sottozone pluviometriche omogenee.
In questa sede (cfr. figure precedenti), vengono presentati solo in maniera sintetica solo
alcuni risultati, i risultati ottenuti nelle diverse aree del territorio nazionale sono riportati,
con le sintesi dei relativi rapporti regionali e la guida alla loro applicazione, sul sito
http://www.idrologia.polito.it/~GNDCI/Vapi.htm.
Tuttavia, alcuni punti rimangono ancora aperti nella ricerca scientifica, suscettibili di
miglioramento, soprattutto per quel che riguarda la comprensione dei meccanismi che
regolano i diversi fenomeni che portano dalla massa d'aria umida all'evento di piena. In
particolare, si vogliono indicare tre campi di ricerca che sembrano di una certa importanza
per quanto riguarda un ulteriore apporto alla valutazione delle piene:
1. la presenza di eventi idrologici estremi straordinari influenza in maniera determinante le
stime dei parametri della distribuzione di probabilità delle piene, in particolare la coda
superiore di tale distribuzione, alla quale si fa riferimento nella progettazione di opere di
Quad. SGI 4 (2009): 22
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
particolare importanza. Tali eventi si presentano con una struttura di correlazione
spaziale e campionaria differente da quella dei eventi idrologici estremi ordinari. Il tener
conto o meno della presenza di una tale struttura può essere a volte determinante ai
fini della regionalizzazione delle piene.
2. la procedura di regionalizzazione consiste essenzialmente nella identificazione e
delimitazione delle diverse regioni omogenee, ai diversi livelli di regionalizzazione. Tale
procedura, che pure si è visto avere un fondamento climatico, produce un risultato
fisicamente inconsistente nelle zone di confine fra una regione e l'altra. In alternativa si
potrebbe far riferimento a procedure geostatistiche per la stima del parametro di scala
delle precipitazioni, in cui si tiene esplicitamente conto anche della struttura di
correlazione spaziale teorica fra i siti di misura. Le procedure di questo tipo fin'ora
sviluppate non tengono conto anche della presenza di errori di campionatura correlati
fra loro, cosa che succede nel caso dei massimi annuali delle precipitazioni o delle
piene in corrispondenza di eventi estremi: è necessario, perciò, sviluppare nuove
tecniche analitiche o ricorrere a procedimenti di simulazione numerica con analisi di
cross validation dei risultati;
3. per quanto riguarda il fattore di riduzione areale, va ricordato che non vi sono analisi
empiriche per durate inferiori al giorno nell'area in esame o in altre aree dell'Italia
Meridionale, climaticamente simili; inoltre, tutte le analisi empiriche sin'ora condotte
sono state svolte nell'ipotesi di campo isotropo, mentre la direzione dei venti umidi e
l'esposizione dei versanti potrebbero esercitare un'influenza non trascurabile;
4. il modello concettuale per la valutazione della piena media annua fa riferimento ad uno
schema a parametri globali, cioè medi per l'intero bacino, stimati tenendo conto dei tipi
idrogeomorfologici presenti, che vengono caratterizzati con i loro valori del coefficiente
di afflusso di piena e della celerità dell'onda di piena. L'informazione idrometrica a
disposizione è molto modesta: alcuni dei parametri sono stati stimati con sufficiente
attendibilità, ma altri risentono fortemente delle incertezze legate alla scarsa base dati.
Ad es., deve essere migliorata la comprensione del modello della variabilità spaziale
del modello di infiltrazione e della sua applicazione a tipi idrogeomorfologici differenti: è
questo un caso in cui lo schema a parametri globali può essere inadeguato e si
richiede la valutazione dei parametri della risposta idrologica per bacini parziali, cioè il
ricorso ad un approccio semidistribuito. Lo sviluppo tecnologico mette già oggi a
disposizione, e nel futuro ciò avverrà in maniera ancora più semplice e diffusa,
strumenti per la gestione informatizzata di elementi tematici cartografici ai quali si
possono abbinare modelli idraulici ed idrologici sempre più affinati, di tipo distribuito,
che consentano di utilizzare al meglio la sempre maggiore mole di informazioni che si
rendono disponibili sul territorio, soprattutto in vista della valutazione degli effetti che
l'antropizzazione produce sui valori delle massime piene annue.
Sembra doveroso ricordare, soprattutto ai fini di chi si propone di utilizzare praticamente i
risultati del progetto VAPI, che l'analisi è stata effettuata ad una scala regionale e, per ciò
stessa, essa tende a trascurare la presenza di eventuali anomalie locali, che vengono
trattate come disturbi spaziali locali. Viceversa, in analisi e studi locali, a scala di bacino,
l'analisi di tali anomalie può rivestire carattere essenziale ai fini della corretta valutazione
della distribuzione di probabilità dei massimi annuali delle portate di piena: in tutti questi
casi, la regionalizzazione VAPI si offre come utile strumento integrativo, ma non
sostitutivo, di indagini idrologiche ad hoc.
Si accenna alla metodologia probabilistica adottata nel progetto VAPI, rimandando alla
bibliografia per tutti gli aspetti teorici ed applicativi.
Quad. SGI 4 (2009): 23
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
L'analisi idrologica dei valori estremi delle precipitazioni e delle piene è stata effettuata
attraverso una metodologia di analisi regionale di tipo gerarchico, basata sull'uso della
distribuzione di probabilità del valore estremo a doppia componente, TCEV. Tale
procedura si basa sulla considerazione che esistono zone geografiche via via più ampie
che possono considerarsi omogenee nei confronti dei parametri statistici della
distribuzione, man mano che il loro ordine aumenta.
Indicando con X il massimo annuale di una delle grandezze idrologiche di interesse, come
le portate di piena al colmo Q o le altezze di pioggia di durata d, h(d), e con XT il valore
massimo di X corrispondente ad un prefissato periodo di ritorno T in anni, si può porre:
X T = K T m( X )
(6)
ove:
KT = fattore probabilistico di crescita, costante su ampie aree omogenee;
m(X) = media della distribuzione dei massimi annuali della variabile X.
Per una pratica utilizzazione della relazione (6) occorre, pertanto:
1. identificare una sottozona omogenea (SZO);
2. specificare la legge di variazione con il periodo di ritorno del coefficiente di crescita;
3. stimare il valor medio della distribuzione.
In particolare, per la specificazione della legge di variazione di KT con il periodo di ritorno
T, si è fatto riferimento alla espressione della distribuzione di probabilità del valore
estremo a doppia componente (TCEV), che nel passato si è dimostrata particolarmente
adatta all’interpretazione statistica dell’occorrenza e della magnitudine degli eventi estremi
eccezionali.
L’identificazione delle SZO viene effettuata, in genere, facendo riferimento all’informazione
idrologica più diffusamente disponibile sul territorio italiano, in termini di densità spaziale di
stazioni di misura e di numerosità campionaria delle serie storiche, le altezze di
precipitazione giornaliere, rilevate alle stazioni pluviometriche.
Per la stima del valor medio:
•
dal punto di vista pluviometrico, si ricostruiscono le curve di probabilità
pluviometriche, che esprimono la variabilità della media del massimo annuale
dell’altezza di precipitazione in diversa durata d, m[h(d)], con la durata stessa;
•
dal punto di vista idrometrico, si stimano le relazioni tra la piena media annua, m(Q)
e le caratteristiche idrogeomorfologiche e climatiche del bacino.
Il risultato complessivo raggiunto sembra indicare che l'uso della metodologia di
regionalizzazione VAPI permette di ottenere stime delle portate di piena di assegnata
frequenza sufficientemente attendibili per scopi di progettazione e pianificazione del
territorio in Italia.
Quad. SGI 4 (2009): 24
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
5.
Redazione delle Carta delle aree inondabili
Per quanto concerne la carta delle aree inondabili, in generale essa è composta di una
corografia generale, nella quale sono segnati i limiti dei diversi bacini , quelli amministrativi
con l'ubicazione dei vari strumenti di misura e di una carta di base.
Quest'ultima, relativamente al territorio di interesse, in scala da 1:2000 a 1:10000, in base
al livello di elaborazione della mappatura, potrà contenere:
- La localizzazione degli insediamenti civili ed industriali e delle infrastrutture di
trasporto e di servizio;
- Il reticolo idrografico;
- La localizzazione delle reti pluviometriche, idrografiche e mareografiche;
- La localizzazione delle opere idrauliche maggiori, inclusi gli invasi;
- Gli attraversamenti dei corsi d'acqua a rischio di sormonto da parte della corrente o
comunque in situazioni di pericolo;
- Le ostruzioni in alveo, di qualunque natura esse siano;
- Le chiaviche di attraversamento degli argini;
- Le connessioni idrauliche nel caso delle aree di cui al prossimo punto a)
- Le strutture poste esternamente all'alveo di piena ma a rischio di erosione o di
alluvionamento;
- La delimitazione, secondo le specifiche che verranno chiarite, delle aree inondabili.
La rappresentazione delle aree inondabili infatti potrà comprendere:
A) le aree direttamente inondabili in quanto limitrofe ai corsi d'acqua o ad essi direttamente
connesse da fornici di ponti o da dreni o fognature; possono essere evidenziate non solo
le aree occupate direttamente dalla corrente, ma anche quelle di naturale espansione che
esercitano un effetto di laminazione;
B) le aree inondabili da correnti esondate provenienti da monte;
Per questo tipo di aree vanno riportati i valori dei tiranti di sommersione.
C) le aree protette da arginature senza franco di sicurezza e quindi passibili di sormonto.
Come si è già accennato, peraltro con lievi differenze tra i vari strumenti di pianificazione
del territorio (piani stralcio di difesa dalle alluvioni oppure programmi di previsione e
prevenzione), la delimitazione delle aree inondabili avviene per diversi valori della portata
al colmo di piena.
Nel caso di un programma di previsione e prevenzione si potranno così distinguere le
aree:
ƒ A probabilità (o pericolosità) molto alta di inondazione, che possono essere sommerse
anche in occasione di piene frequenti aventi un periodo di ritorno t<=t1;
ƒ Ad alta probabilità di inondazione, con valori di t compresi tra t1 e t2 anni;
ƒ A moderata probabilità di inondazione, con valori di t compresi tra t2 e t3 anni.
Qualora fosse necessario, per le particolari caratteristiche delle località considerate,
possono essere delimitate anche le aree inondabili con estrema rarità caratterizzate da
valori di t compresi tra t3 e t4 anni.
La valutazione delle portate di piena corrispondenti ai diversi valori di t, riferite a tronchi
d'alveo lungo i quali è ipotizzabile un comportamento omogeneo, può essere effettuata in
base ai risultati e alle procedure messe a punto dal GNDCI nell'ambito del progetto VAPI,
come visto in precedenza.
La metodologia proposta è di tipo statistico ed è stata applicata in gran parte del territorio
nazionale, dove è quindi possibile associare direttamente, con semplici operazioni, un
valore delle portate ad un fissato valore del periodo di ritorno T.
Nelle zone in cui il progetto VAPI non è ancora concluso, si potrà procedere :
Quad. SGI 4 (2009): 25
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
-
-
all'individuazione di studi di regionalizzazione attraverso i quali è possibile
associare direttamente, con semplici operazioni, un valore delle portate ad un
fissato valore del tempo di ritorno;
al reperimento di valutazioni relative all'area di interesse eseguite nell'ambito di altri
studi o attività;
all'eventuale completamento dell'informazione con studi idrologici specifici.
Chiaramente, la mappa delle aree inondabili va periodicamente revisionata ed
aggiornata ed in ogni caso non può avere una durata superiore a dieci anni.
La gestione delle fasi di emergenza, successive a quella di valutazione del rischio, risulta
più efficace se si è in grado di prevedere oltre alla localizzazione delle aree inondabili,
anche le modalità attraverso le quali il fenomeno evolve nel tempo.
Questo può essere fatto costruendo, almeno per le situazioni per cui il danno temuto può
essere più rilevante, scenari di evento capaci di prefigurare la successione delle varie
fasi della inondazione di una particolare area inondabile.
Fig. 15 – Esempio di carta delle aree inondabili.
Quad. SGI 4 (2009): 26
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
Questi scenari, rappresentati su carte di sintesi che facciano riferimento alle mappe delle
aree inondabili, devono individuare:
• le possibili modalità di inondazione e quelle porzioni delle aree dichiarate inondabili che
in ciascuno scenario possono essere sommerse;
• gli indicatori (livelli idrometrici, altezze di pioggia) che possono fornire informazioni utili
circa l'approssimarsi dell'evento e circa la sua evoluzione;
• i punti di controllo in cui debbono essere rilevati gli indicatori;
• i punti critici dove l'esondazione può avere inizio e dove quindi è necessario
provvedere ad una adeguata sorveglianza nella fase dell'emergenza.
La delimitazione delle aree inondabili per diversi valori del periodo di ritorno costituisce
solo la prima fase nella previsione del rischio.
Come già accennato, infatti, il danno subito per ogni evento critico risulta infatti legato
all'uso del territorio e cioè agli elementi a rischio su di esso presenti e alla loro
vulnerabilità.
Per compilare un carta del danno occorre pertanto:
1. procedere ad una ricognizione degli insediamenti civili (urbani, commerciali, industriali,
agricoli) e dei vari tipi di infrastrutture (di trasporto, di servizio) presenti nelle aree
inondabili;
2. procedere ad una valutazione di massima della loro vulnerabilità.
Attraverso queste analisi ,suddividendo le aree inondabili in classi di diverso danno, si
perviene alla carta del danno, strumento di fondamentale importanza non solo per
programmare interventi di difesa di tipo strutturale, ma anche per gestire le azioni nella
fase dell'emergenza, quella cioè che precede l'evento.
Per quanto concerne la suddetta divisione in classi di danno si potrà avere:
ƒ danno temuto molto alto;
ƒ danno temuto alto;
ƒ danno temuto moderato;
ƒ danno temuto basso o nullo.
Naturalmente gli elementi a rischio saranno identificati in maniera opportuna su mappe
tematiche (che andranno a costituire la carta del danno) alla stessa scala delle carte delle
aree inondabili.
Quando le aree vulnerabili sono molto estese e densamente antropizzate, come avviene
nel caso delle aree inondabili di pianura, la costruzione di un catalogo dettagliato dei vari
elementi a rischio, accompagnato da una valutazione, sia pure approssimata della loro
vulnerabilità, può risultare eccessivamente complessa ed onerosa.
In tal caso, come già accennato in precedenza, è possibile procedere ad un'analisi
semplificata degli elementi a rischio classificando schematicamente le aree in base alle
caratteristiche essenziali di urbanizzazione e di uso del suolo.
A tal fine, si possono individuare le seguenti categorie:
ƒ danno molto alto: comprende i centri urbani, ossia le aree urbanizzate ed edificate
con continuità, con una densità abitativa elevata, con un indice di copertura molto alto,
superiore al 15-20% della superficie fondiaria;
ƒ Danno alto: comprende i nuclei urbani, cioè gli insediamenti meno densamente
popolati rispetto ai precedenti, le aree attraversate da linee di comunicazione e da
servizi di rilevante interesse, le aree sede di importanti attività produttive.in queste aree
si possono avere problemi per la incolumità delle persone e per la funzionalità del
sistema economico;
Quad. SGI 4 (2009): 27
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
ƒ
ƒ
Danno moderato: comprende le aree extraurbane, poco abitate, sede di edifici sparsi,
di infrastrutture secondarie, di attività produttive minori, destinate sostanzialmente ad
attività agricole o a verde pubblico. In queste aree è la presenza di persone è limitata e
sono limitati gli effetti negativi che possono derivare al tessuto socio-economico;
Danno basso o nullo: comprende le aree liber da insediamenti che consentono il
deflusso delle piene senza particolari problemi.
Per la valutazione quantitativa in una determinata area del rischio, è necessario disporre
dunque dei valori della pericolosità e del danno.
In realtà, nelle applicazioni pratiche, come detto alla fine dell'ultimo paragrafo, spesso ci si
deve limitare a definire classi di pericolosità e classi di danno da attribuire alle diverse aree
vulnerabili.
Pertanto anche nella stima del rischio si ricorre ad una suddivisione in classi, che può
essere fatta in base all’appartenenza dell’area ad una delle quattro classi di danno, e ad
una delle tre classi di pericolosità, tutte definite nei paragrafi precedenti.
Questa procedura può essere applicata solo al caso delle aree inondabili per le quali in
sede di mappatura sia possibile distinguere le diverse probabilità di inondazione
(moderata, alta, molto alta) e quindi solo nei casi in cui il livello della mappatura sia di
adeguato dettaglio.
Quad. SGI 4 (2009): 28
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
6.
Strategie di Mitigazione
In Italia si è affermata nell’ultimo decennio una nuova politica per la mitigazione del rischio
di alluvione grazie all'azione di Enti ed organi istituzionali - in primo luogo del Dipartimento
di Protezione Civile - nell'ambito di una pianificazione delle risorse e di governo
idrogeologico del territorio, cui la comunità scientifica e principalmente il Consiglio
Nazionale delle Ricerche per tramite del Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi
Idrogeologiche (GNDCI) e degli Istituti di Ricerca per la Protezione Idrogeologica ha dato,
da oltre venti anni un supporto fondamentale.
La politica di mitigazione dell'impatto degli eventi naturali si basa, com'è noto, su due
azioni parallele coordinate: la programmazione degli interventi strutturali (argini, difese,
ridisegno delle opere e degli ambiti urbani) integrata con una nuova gestione delle fasce
fluviali e la programmazione degli interventi non strutturali, tra i quali i piani di protezione
civile che guidano la risposta sociale in condizioni di emergenza.
Per il successo della gestione della risposta sociale in condizioni di emergenza, si rivelano
sempre più indispensabili le nuove tecnologie dell'osservazione della terra e dell'atmosfera
e dell'affidabile previsione degli effetti al suolo delle condizioni atmosferiche estreme:
dall'acquisizione dei dati da sensore remoto (satelliti, radar meteorologici, reti di
monitoraggio a terra), alla trasmissione dei dati ed alla loro elaborazione tramite l'uso di
modellistica numerica finalizzata al preannuncio tempestivo degli eventi estremi di
carattere idrometeorologico.
In questa fase legata all'uso delle nuove tecnologie, diventa fondamentale, pertanto,
anche il ruolo della formazione avanzata del personale degli Enti e delle Istituzioni
coinvolte nelle strategie di mitigazione del rischio idrogeologico.
Le misure pluviometriche e idrometriche, nonché i dati da radar meteorologico, raccolti in
cooperazione dai Servizi regionali e nazionali, le conoscenze tecnico-scientifiche ed in
particolare le procedure predisposte dal CNR-GNDCI, consentono un’affidabile
valutazione probabilistica delle piene, una corretta simulazione dei livelli idrici negli alvei e
delle esondazioni nelle aree limitrofe.
Ma tutto questo ancora non basta: vi sono una serie di esigenze che andrebbero
soddisfatte, sia da parte della comunità scientifica, sia da parte delle istituzioni.
In primo luogo, la comunità scientifica dovrebbe intensificare il rapido ed efficace
trasferimento dei risultati delle ricerche nell'innovazione delle tecnologie utilizzate dagli
Enti operativi. Dovrebbe, altresì, rivolgere un'attenzione particolare agli studi finalizzati alla
previsione degli eventi di precipitazione straordinaria; al miglioramento della conoscenza
della risposta dei bacini idrografici. Dovrebbe, più in generale, migliorare le capacità di
osservazione della terra e dell'atmosfera, con reti affidabili di sensori a terra in telemisura,
radar meteorologici e sistemi da satellite, orientando tra l'altro gli investimenti nelle
missioni spaziali alla domanda di sicurezza delle popolazioni dei nostro Paese e delle
sponde del Mediterraneo.
Lo sviluppo delle ricerche e delle tecnologie per la mitigazione del rischio idrogeologico
consente di mettere a disposizione delle Amministrazioni pubbliche strumenti utili ed
efficaci per ottenere una effettiva riduzione dei rischio. Le difficoltà che emergono per una
piena utilizzazione degli strumenti a disposizione risiedono, fra l'altro, nella inadeguatezza
delle nostre reti di monitoraggio e di organizzazione dell'informazione idrogeologica e
territoriale e delle procedure di gestione delle emergenze.
Una delle principali difficoltà a migliorare concretamente le modalità di gestione del rischio
idrogeologico nel nostro Paese riguarda la non adeguata preparazione delle risorse
umane che dovrebbero essere preposte al compito. Contribuire a colmare questa lacuna,
Quad. SGI 4 (2009): 29
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
con riferimento alla formazione delle professionalità più elevate, è un compito
fondamentale delle Università, da svolgere, peraltro, in collaborazione con le istituzioni e le
imprese coinvolte, in una logica di formazione integrata.
Tale esigenza di formazione riguarda da un lato giovani tecnici da inserire nelle strutture
per la gestione dei rischio e, dall'altro, la riqualificazione professionale e la formazione
continua di adulti che già lavorano nelle istituzioni e nelle imprese. Per i giovani, le
Università sono già in grado o si stanno predisponendo a fornire una preparazione
adeguata. Le classi di laurea dell'ingegneria civile ed ambientale, dell'ingegneria dei
rilevamento e delle telecomunicazioni, della pianificazione territoriale, delle scienze della
terra, della geografia consentono, infatti, un arricchimento dell'offerta formativa per una
maggiore qualificazione nella gestione dei rischi ambientali in generale e di quello
idrogeologico in particolare.
Per gli adulti occupati, oltre alle difficoltà legate alla disponibilità di tempo per la
frequentazione dei corsi, si pone il problema del loro aggiornamento professionale, in una
logica di formazione continua. Il mancato aggiornamento degli operatori diventa un vero e
proprio ostacolo, a volte insuperabile, per una adeguata utilizzazione dei risultati della
ricerca e della tecnologia per la mitigazione dei rischio.
È necessario, perciò, immaginare percorsi formativi che si adattino alle esigenze concrete
degli studenti occupati, che riducano l'impiego delle metodologie formativi tradizionali e si
basino invece anche su nuove forme e meccanismi di apprendimento (e-learning,
formazione integrata, work based learning).
Quad. SGI 4 (2009): 30
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
7.
Nuove Prospettive
In materia di fenomeni legati all’assetto idrogeologico ed alle politiche di prevenzione, il
Ministero dell’Ambiente costituisce il soggetto di sintesi a scala nazionale di diversi ambiti
tecnici, per i quali sono spesso urgenti interventi tesi ad armonizzare tra le varie Regioni il
quadro conoscitivo e le basi tecnologiche necessarie per condurre efficacemente le varie
fasi di pianificazione e controllo del territorio.
Esistono ambiti di tipo conoscitivo (es. cartografie tecniche mai completale a scala
nazionale) che possono beneficiare grandemente delle sinergie tra le Regioni, se
efficacemente coordinati in relazione alle finalità di pianificazione e controllo prima citate.
Nel seguito si indicano, senza presunzione di completezza, alcuni ambiti di ricerca
applicata, che, nella fase attuale, si riferiscono essenzialmente al coordinamento, ed
eventualmente all’adeguamento ed alla revisione, dell’attività di valutazione della
pericolosità, e della vulnerabilità idrogeologica del territorio nelle diverse aree del Paese.
In particolare, questi obiettivi possono essere perseguiti con azioni di ricerca applicata e di
riorganizzazione e completamento dell’informazione esistente, di cui si tracciano di seguito
le linee principali e sinteticamente i principali obiettivi da perseguire.
Ambito di conoscenza territoriale
Obiettivo: ricomposizione del quadro nazionale della cartografia tecnica in formato digitale,
con definizione dei tematismi per i quali è possibile una piena omogeneizzazione a costi
sostenibili. Una base conoscitiva omogenea è fondamentale per la sperimentazione e la
successiva applicazione di metodi e tecniche legati alla valutazione del rischio
idrogeologico.
Ambito di conoscenza fenomenologico
Obiettivo: Definire un quadro conoscitivo omogeneo delle caratteristiche dei valori medi,
degli estremi e delle variabilità e tendenze delle grandezze climatiche legate a fenomeni di
piena e siccità, ai bilanci idrologici, all’innesco di fenomeni franosi, etc. Ciò richiede la
disponibilità ed il processamento di dati storici omogenei, per quanto riguarda le analisi
statistiche, ma determina anche un incoraggiamento alla gestione coordinata delle reti di
misura di grandezze climatiche disponibili presso le regioni.
Ambito di sperimentazione dei modelli per l’analisi degli eventi idrologici estremi
Obiettivo: riportare su vasta scala, ove possibile nazionale, il patrimonio di conoscenza dei
fenomeni idrologici estremi attraverso la costruzione e l’implementazione di modelli che si
basano su criteri di regionalizzazione dell’informazione idrologica. Questa attività si basa
in modo determinante sulla disponibilità di informazioni provenienti dagli ambiti precedenti
e tende a definire in modo omogeneo e ripetibile sulle diverse regioni metodi per la
previsione statistica delle piene e criteri per l’analisi e la previsione delle siccità. Per le
piene, la base di costruzione ed implementazione del Progetto VAPI, funge da punto di
partenza per un salto di qualità nella determinazione della Risposta Idrologica dei
Versanti, ai fini della valutazione delle piene in bacini non monitorati. Oltre all’ambito
cartografico e climatico, prima citati, il cui sviluppo può consentire di analizzare in modo
congruente fenomeni a scale molto diverse (da pochi km2 alle estensioni dei principali
bacini nazionali), un importante ambito è citato di seguito e si riferisce alla
sperimentazione di campo, nella quale la collaborazione tra le regioni ed i ricercatori della
comunità scientifica nazionale degli idrologi e dei costruttori idraulici può dar luogo ad
importati incrementi di conoscenza.
Quad. SGI 4 (2009): 31
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
Ambito di sperimentazione di campo
Obiettivo: raccogliere e sintetizzare in dati direttamente utilizzabili nei modelli per la
formazione delle piene dati relativi alle caratteristiche di risposta dei suoli ad eventi
pluviometrici. In questo ambito coesistono attività svolte in passato, ed ancora in essere, di
osservazione di dettaglio fenomeni idrologici su piccoli bacini opportunamente attrezzati, e
attività di osservazione ed analisi di fenomeni di piena in bacini monitorati dalle regioni per
scopi di protezione civile o di valutazione delle risorse idriche. In quest’ultimo caso,
potendosi anche disporre di dati in telemisura, l’effettuazione di campagne di rilievo
periodiche e la ricostruzione fine delle caratteristiche dei suoli può consentire preziose
tarature dei modelli di formazione delle piene.
Ambito di valutazione degli effetti di possibili cambiamenti climatici
Obiettivo: individuazione di massima dei sistemi territoriali potenzialmente vulnerabili agli
effetti dei possibili cambiamenti climatici sul ciclo idrologico. Coordinamento delle strategie
di osservazione degli indicatori di cambiamento climatico e di mitigazione dei potenziali
danni ad esso conseguenti, anche attraverso l’uso di sensori remoti. Coordinamento delle
paleoinformazioni e delle informazioni di epoca storica.
Ambiti sensibili: arco alpino per quanto riguarda la modificazione della dinamica delle
trasformazioni pioggia-neve-ghiaccio-deflusso; Italia meridionale per problemi di siccità e
desertificazione.
Ambito di valutazione delle risorse idriche, della loro gestione e della loro protezione
Obiettivo: individuazione dei sistemi territoriali che possono fornire risorse idriche, in
particolare quelle sotterranee, ad integrazione di quelle in produzione, a sostegno di
periodi di siccità od in sostituzione di quelle vulnerate da inquinamento. Inventario delle
risorse idriche montane. Metodologie e modelli per la previsione e prevenzione
dell’inquinamento e del sovrasfruttamento. Finalizzazione delle forniture delle risorse
idriche.
Quad. SGI 4 (2009): 32
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
8.
Il Tevere a Roma: un caso paradigmatico
Il patrimonio storico artistico del nostro Paese è inestimabile e le inondazioni, come
l’alluvione di Firenze del novembre 1966 ha mostrato al mondo intero in tutta la sua
drammaticità, rappresentano una delle più importanti cause di danni.
Fig. 16 - Alluvione di Firenze nel novembre 1966
Molte città storiche sorgono in aree inondabili: Roma, che è stata in passato oggetto di
devastanti inondazioni, è tra queste. L’Urbe è stata oggetto di studi recenti finalizzati
alla valutazione del rischio idraulico residuo, che si sono articolati nel reperimento di
informazioni storiche, nella descrizione idrologico-statistica della frequenza di
accadimento -tramite l’individuazione probabilistica di possibili scenari di piena-, nella
simulazione delle onde di piena nel reticolo fluviale e dell’inondazione dell’area
metropolitana romana.
La capitale è stata frequentemente inondata nel passato dalle piene del Tevere come si
vede dalla Fig. 17, ove è riportato per ogni secolo il numero delle inondazioni negli
ultimi due millenni; si hanno notizie di 87 inondazioni dal 200 a.C. ad oggi, mentre per
due secoli (X e XI) non si hanno registrazioni o informazioni: la frequenza delle
inondazioni è stata pertanto di circa 4 inondazioni in un secolo.
A partire dall’anno 1000, le inondazioni sono documentate da targhe lapidee poste a
indicare i massimi livelli di piena (Figg. 18 e 19).
Quad. SGI 4 (2009): 33
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
10
9
8
7
6
5
4
3
2
1800
1600
1400
1200
1000
800
600
400
200
0
0
-200
1
Fig. 17 - Frequenza delle inondazioni del Tevere in Roma.
Fig. 18 - Principali inondazioni in Roma nel secondo millennio.
Quad. SGI 4 (2009): 34
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
Fig. 19 - Aree storicamente allagate in Roma.
Fig. 20 - Zona dell’idrometro di Ripetta.
L’ultima piena catastrofica avvenne nel 1870, quando tutto il centro monumentale fu
invaso dalle acque, come documentato in Fig. 21.
Quad. SGI 4 (2009): 35
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
Fig. 21 - Ricostruzione della aree allagate nella piena del 1870.
Il livello massimo raggiunto a Ripetta fu di 17,22 metri.
Considerato il contesto storico, con la recente annessione di Roma al Regno d’Italia, fu
deciso di risolvere il problema delle inondazioni in Roma in modo radicale e fu istituita
una commissione ad hoc con il compito di studiare e proporre i mezzi di rendere le
piene del Tevere innocue alla città. La Commissione, presieduta dall'ing. Possenti,
ancora oggi ricordato per i suoi studi e i suoi progetti sul Po e i suoi affluenti e sui grandi
laghi padani, era costituita da esperti di varia estrazione, alcuni dei quali erano di
particolare notorietà, quali il prof. Turazza e il prof. Batocchi e tra glia altri dall’ing.
Raffaello Canevari.. Furono esaminate numerose soluzioni progettuali (costruzione di
invasi sugli affluenti, scolmatori, rettifili a monte e a valle di Roma, sistemazione
dell’Isola Tiberina); dopo un aspro dibattito fu adottata la proposta dell’Ing. Canevari che
prevedeva la costruzione di un sistema di arginature, i “muraglioni”, che avrebbe avuto
ricadute anche nei riguardi delle condizioni igienico-sanitarie del fiume (con
l’alloggiamento di due grandi collettori fognari), della salvaguardia dei monumenti e dei
ponti storici e della grande viabilità di collegamento dei futuri quartieri periferici al centro
storico, da realizzarsi con i lungotevere. I muraglioni furono progettati per una piena di
progetto paragonabile a quella del 1870.
Quad. SGI 4 (2009): 36
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
Fig. 22 - Progetto del Canevari dei Muraglioni.
Tuttavia era chiaro a i tecnici dell’epoca che le inondazioni più pericolose avvenivano
per sormonto delle sponde del Tevere a ponte Milvio da dove partivano le correnti che,
mantenendosi più elevate del pelo libero del fiume, in sinistra, defluivano lungo la via
Flaminia e inondavano Roma da porta del Popolo, mentre sulla destra entravano nel
Borgo attraverso la porta Angelica, dopo avere allagato i Prati di Castello. Per
scongiurare questo pericolo, Possenti e altri proposero di fissare il fondo sotto ponte
Milvio con una soglia in muratura, per fare delle luci del ponte una bocca limitatrice della
portata, e di alzare degli argini per contenere il rigurgito, dal ponte fino ai sassi di S.
Giuliano, in sinistra, e a Tor di Quinto, in destra. Fu questa la soluzione adottata dalla
Commissione e ad essa si adeguò anche Canevari, il quale aveva precedentemente
chiesto di lasciare il fondo libero di affossarsi per erosione durante le piene e, se
necessario, di ampliare le luci di ponte Milvio per evitare in ogni modo che il sopralzo
del pelo libero a monte dell'ostacolo innescasse la tracimazione e la conseguente
inondazione per correnti. Canevari, inoltre, temendo le piene per correnti, aveva
proposto che si alzasse il piano della via Flaminia con un corto e modesto argine
trasversale, collegante l'inizio dei futuri muraglioni con il piede dei monti Parioli, e si
posizionasse la soglia di porta Ange-lica più in alto di qualche decimetro.
All'arrivo della piena dei primi di dicembre del 1900, il sistema di difesa idraulica di
Roma poteva dirsi completato anche se non erano più stati costruiti gli argini di difesa a
monte, non erano stati completati gli scarichi dei fognoni e non erano state realizzate le
banchine al piede dei muraglioni. Le acque esondarono dal fiume a ponte Milvio, le
zone basse del centro monumentale furono allagate per espansione, causando disagi
considerati sopportabili; impressionò invece il cedimento strutturale, dovuto allo scalzamento del piede, del muraglione del lungotevere degli Anguillara.
Nel 1937 vi verificò la piena più gravosa del secolo scorso: livellala piena fu contenuta
all’interno dei muraglioni in città ma la corrente esondò a monte di ponte Milvio che,
come si vede da una fotografia dell’epoca, rappresenta tuttora il punto più vulnerabile
della città.
Quad. SGI 4 (2009): 37
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
Fig. 23 - Inondazione in prossimità di Ponte Milvio nel 1937.
Proprio per valutare il rischio residuo in Roma, è stato sviluppato uno studio ad hoc
basato sulla caratterizzazione di scenari di evento. Il campione storico delle portate
osservate all’idrometro di Ripetta, infatti, è rappresentativa delle condizioni di deflusso
nel tratto urbano ma non delle portate al colmo di piena alla periferia nord della città in
quanto risente delle esondazione che si sono verificate a monte di ponte Milvio. La
stima della probabilità di inondazione di Roma non può pertanto essere effettuata
seguendo le tradizionali procedure della idrologia statistica ma dovrebbe dapprima,
ricostruire il campione storico delle portate di piena in una sezione del Tevere a monte
del punto di esondazione per ricavare da esso la legge di probabilità della portata di
piena del Tevere al suo ingresso in Roma. Successivamente, con l’analisi idraulica
locale del deflusso di un sufficiente numero di piene di assegnata portata al colmo e di
forma statisticamente rappresentativa, dovrebbe determinare gli scenari di inondazione
corrispondenti ai voluti tempi di ritorno.
Poiché questa procedura è indubbiamente debole dal punto di vista statistico per
mancanza di una adeguata base di informazioni, si è fatto ricorso alla procedura Monte
Carlo per risolvere il problema.
La procedura si basa su una serie di modelli che simulano in modo compiuto e dettagliato
il ciclo idrologico della piena partendo dal modello stocastico del fenomeno pluviometrico,
alla formazione dei deflussi nella rete idrografica, alla propagazione delle onde di piena nel
reticolo idrografico fino alla rappresentazione del processo di inondazione dell’area urbana
di Roma.
I risultati di tale complessa analisi idrologica e idraulica sono riportati di seguito dove si
evince che, sebbene, per tempi di ritorno superiori ai 200 anni permane in città un rischio
residuo.
Quad. SGI 4 (2009): 38
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
Fig. 24 - Inizio di una possibile inondazione in prossimità di Ponte Milvio. (Le aree rappresentate con la tonalità di
celeste più chiara sono allagate con tiranti inferiori al metro, le aree più scure con tiranti idrici compresi tra i 2 ed i 3
metri).
Fig. 25 - Presenza all’interno delle aree allagabili di importanti edifici storici. . (Le aree rappresentate con la tonalità di
celeste più chiara sono allagate con tiranti inferiori al metro, le aree più scure con tiranti idrici compresi tra i 2 ed i 3
metri).
Quad. SGI 4 (2009): 39
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
Fig. 26 - Ricostruzione della aree potenzialmente inondabili in Roma con tempi di ritorno
di 200 anni.
Quad. SGI 4 (2009): 40
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
Fig. 27 – Ricostruzione della aree potenzialmente inondabili in Roma con tempi di
ritorno di 500 anni.
Quad. SGI 4 (2009): 41
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
Fig. 28 - Corrispondenza tra le aree allagate nella piena del Tevere del 2005 e le simulazioni idrauliche.
Il modello idrologico di simulazione della formazione della piena e quello idraulico di
propagazione in alveo sono stati applicati anche per ricostruire alcune piene recenti del
Tevere. La Fig. 28 si riferisce alla simulazione della piena del novembre 2005 lungo il
medio a basso Tevere a monte di Roma. Nelle immagini l'estensione delle aree
effettivamente inondate è in buon accordo con quella risultante dal calcolo (delimitata dai
pallini gialli sulla sezione in rosso).
Quad. SGI 4 (2009): 42
La mitigazione del rischio idraulico in Italia
9.
Per chi vuole approfondire
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