Nuovo protocollo di riabilitazione dell`Aprassia Ideomotoria:
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Nuovo protocollo di riabilitazione dell`Aprassia Ideomotoria:
Università degli studi di Milano-Bicocca Dipartimento di Psicologia Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica, dello Sviluppo e Neuropsicologia Nuovo protocollo di riabilitazione dell’Aprassia Ideomotoria: lavorare sulla rappresentazione del corpo attraverso la Mirror Box Therapy per migliorare la programmazione motoria. Relatore: Dott. Angelo Maravita Correlatore : Dott. Claudio Luzzatti Tesi di Mattiocco Michela, 737117 Anno Accademico 2014 - 2015 INDICE CAPITOLO 1: INTRODUZIONE 1.1. NEUROANATOMIA DELL’AZIONE MOTORIA: IMITAZIONE, PANTOMIMA E MANIPOLAZIONE DI OGGETTI 1.2. APRASSIA 1.2.1 TASSONOMIA 1.2.2 MODELLI COGNITIVI 1.2.3 RIABILITAZIONE 1.3 IPOTESI SPERIMENTALE CAPITOLO 2: MATERIALI E METODI 2.1. PAZIENTI 2.2. VALUTAZIONE APRASSIA IDEOMOTORIA 2.3. RIABILITAZIONE TRAMITE MIRROR BOX: METODI 2.3.1 RISULTATI 2.3.1.1 CASI SINGOLI 2.3.1.2 ANALISI DI GRUPPO CAPITOLO 3: DISCUSSIONE E CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA 1 Abstract Ideomotor Apraxia (IMA) is a higher-order motor disorder, characterized by spatiotemporal errors in pantomiming object use and in imitating gestures, for which effective rehabilitation strategies are still needed. Here, we tested whether IMA may improve through online visual feedback provided by a modified version of the Mirror Box (MB). We suppose that the visual feedback, provided by the moving experimenter’s hand reflection in the mirror, would be incorporated into the patient’s body representation (Body Schema), thus triggering the planning and execution of correct motor actions. In 5 patients with IMA, this novel strategy produced an improvement of motor performance after two weeks of treatment: in particular, 3 patients had a full recovery from IMA. We also find a generalization of training effects from trained to non-trained gestures and from visual to verbal input. 2 3 Riassunto L’aprassia ideomotoria (IMA) è un deficit cognitivo-motorio dell’esecuzione intenzionale di un movimento finalizzato, per la quale mancano strategie di riabilitazione clinicamente e statisticamente validate e universalmente condivise. Nel presente lavoro, cinque pazienti con IMA sono sottoposti ad un intervento specifico di training utilizzando la Mirror Box (MBT). I risultati, sia dei singoli casi che dell’analisi di gruppo, attestano l’efficacia della MB come strumento riabilitativo dell’IMA. Infatti, dopo due settimane di trattamento i cinque pazienti hanno ottenuto punteggi significativamente migliori nei test standard di valutazione dell’IMA (De Renzi, 1980; Spinnler & Tognoni, 1987). Il recupero spontaneo non può essere considerato il principale fautore del miglioramento in quanto non sono state rilevate differenze significative nella settimana interposta tra la prima valutazione (T0) e l’inizio del trattamento (T1). Inoltre, i risultati indicano una generalizzazione dell’effetto della terapia dai movimenti usati per il trattamento a movimenti diversi (gesti dei test standard per l’IMA), e dall’input visivo (costituito dal riflesso della MB) a quello verbale (versione modificata del test dei gesti significativi di Spinnler & Tognoni, 1987). Si ipotizza che il processo di incorporazione (embodiment) sia il meccanismo responsabile dell’effetto di questa procedura sull’IMA. Le proprietà sensorimotorie della mano dello sperimentatore riflessa nello specchio, attraverso un fenomeno di cattura visiva, verrebbero incorporate nella rappresentazione della mano affetta del paziente. Si potrebbe ipotizzare che la MB svolga un’opera di ripristino della rappresentazione motoria del corpo, fornendo un corretto feedback visivo dell’esecuzione motoria. La rappresentazione multisensoriale e dinamica delle parti del corpo (Body Schema) trarrebbe giovamento dalla ritrovata congruenza tra intenzione motoria e feedback visivo, riflettendo una migliore capacità di esecuzione e controllo motorio. 4 5 Capitolo 1: Introduzione 1.1 Neuroanatomia dell’azione motoria: imitazione, pantomima e manipolazione di oggetti Il sistema motorio non esiste solamente per tradurre pensieri, emozioni e sentimenti in movimenti, come classicamente sostenuto. Obiettivo primario è la generazione di rappresentazioni interne, funzionali alla realizzazione di diversi obiettivi motori: riproduzione di movimenti, pantomima, imitazione e manipolazione degli oggetti, in termini di programmazione, implementazione e controllo. Tuttavia, il sistema neurale multicomponenziale della prassia, responsabile della produzione di tali rappresentazioni, non è ancora completamente conosciuto. Le ricerche condotte sugli animali e sugli esseri umani hanno enfatizzato il ruolo della corteccia parietale e frontale in una varietà di funzioni cognitivo-motorie, compreso l’immagazzinamento e il recupero delle rappresentazioni che specificano “come” un movimento deve essere eseguito. Multipli e paralleli circuiti parietofrontali sono ritenuti in grado di supportare i processi funzionali necessari alla traduzione di un obiettivo interno motorio in un reale movimento, integrando l’input sensoriale con rappresentazioni motorie in precedenza apprese. In aggiunta, a livello sottocorticale, è stato indagato il ruolo giocato dai gangli della base nel controllo motorio. Generazione di sequenze, realizzazione di movimenti fini, scelta tra programmi motori in competizione, esecuzione di movimenti automatici e sovra-appresi, sono alcune delle funzioni associate a queste strutture. Di seguito sono descritti nel dettaglio i processi cognitivi e i substrati neurali studiati nei compiti di imitazione, pantomima ed uso reale di oggetti, deficitari in uno dei più studiati disturbi cognitivomotori: l’aprassia. Uso di oggetti: L’uso inappropriato di strumenti ed oggetti è riconosciuto come manifestazione tipica dell’aprassia ideomotoria ed è tipicamente riferito a lesione del lobo parietale (Morlaas, 1928; Poeck, 1983; De Renzi & Lucchelli, 1988; Daprati & Sirigu, 2006; Lewis, 2006; Frey, 2007). Tuttavia, recenti studi sperimentali hanno dimostrato la multicomponenzialità del network cognitivo e neurale sottostante a tale abilità motoria. 6 Un’importante distinzione è stata fatta tra il sistema di rappresentazione delle caratteristiche semantiche degli oggetti e la capacità cognitiva di inferire la funzione degli oggetti familiari e non familiari dall’analisi delle proprietà strutturali (Rothi et al., 1997; Goldenberg & Hagmann, 1998; Hodges et al., 2000; Buxbaum, 2001; Spatt et al., 2002; Hartmann et al., 2005; Daprati & Sirigu, 2006; Osiurak et al., 2009). Riguardo alla componente rappresentativa, è stato ipotizzato che le rappresentazioni dell’obiettivo e del destinatario dell’azione da eseguire siano parte di una memoria generale, mentre l’informazione riguardante la configurazione che le mani devono assumere per interagire efficacemente con un oggetto siano immagazzinate separatamente, nelle regioni parietali inferiori (Sirigu et al., 1995; Chao & Martin, 2000; Buxbaum, 2001; Kellenbach et al., 2003; Boronat et al., 2005; Lewis, 2006; Canessa et al., 2008). Una spiegazione alternativa suggerisce che la conoscenza riguardo la manipolazione degli oggetti sia segregata nel lobo temporale, e che la corteccia parietale inferiore serva per integrare queste rappresentazioni con il canale visuomotorio (Tranel et al., 2003; Frey, 2007). Tale conoscenza riguarda esclusivamente l’uso prototipico di un oggetto, ma risulta di scarsa utilità nell’identificazione dell’impiego di oggetti non familiari o di modi alternativi di usare oggetti comuni. Per fare ciò, un requisito fondamentale è la capacità di riconoscere le proprietà funzionali dall’analisi della struttura dell’oggetto, ricavandone informazioni sui limiti e le possibilità di interazione meccanica con altri oggetti. La comprensione di tali interazioni è stata concettualizzata come ragionamento meccanico (Osiurak et al., 2009) o mechanical problem solving (Goldenberg and Hagmann, 1998). Nel suo studio, Goldenberg et al. (2009) indaga il ruolo svolto dalla corteccia parietale nell’uso di oggetti. Il contributo di tale regione riguarderebbe principi generali piuttosto che conoscenze prototipiche sull’uso di oggetti, e servirebbe per la comprensione delle interazioni meccaniche dello strumento piuttosto che per la selezione della postura manuale necessaria alla presa. Una diversa rappresentazione corticale è suggerita dal recente studio di connettività funzionale (Ramayya et al., 2010), che trova una connessione tra quattro regioni coinvolte nell’esecuzione di azioni in relazione ad oggetti: (i) corteccia temporale posteriore (connessa alle rappresentazioni semantiche), (ii) corteccia parietale inferiore posteriore (responsabile della codifica delle relazioni spaziali tra parti del corpo e tra corpo ed oggetto), (iii) corteccia parietale inferiore anteriore (zona di integrazione 7 delle informazioni semantiche e spaziali), (iv) corteccia premotoria ventrale e frontale inferiore posteriore (responsabile dell’implementazione del piano motorio). Infine, Buxbaum et al. (2014) trova una zona comune sottostante alle diverse manifestazioni dell’ IMA localizzata, al contrario dei modelli classici, nel lobo temporale. In particolare, i risultati mostrano che i compiti relativi all’uso di oggetti sono associati al lobo temporale posteriore, attivazione che si estende fino alla corteccia extra-striata e al giro angolare. Imitazione: L’imitazione è un comportamento istintivo. L’abilità di riprodurre gesti in seguito alla visione di un modello esterno è uno dei pilastri della comunicazione sociale e può avere un ruolo importante nell’apprendimento motorio. I primi studi neuropsicologici indicano che il sistema imitativo non è un fenomeno unitario, come attestato dalle dissociazioni osservate nei pazienti. Sono stati descritti casi di pazienti con difficoltà nell’imitazione dei movimenti senza significato, nel risparmio dei gesti significativi (Tessari et al., 2007; Bartolo et al., 2001; Goldenberg & Hagmann, 1997; Peigneux et al., 2000), e pattern di compromissione inversa (Tessari et al., 2007; Bartolo et al., 2001). Inoltre, una doppia dissociazione è stata osservata tra pazienti capaci di imitare la posizione della mano ma non la configurazione delle dita, e pazienti che esibivano il deficit opposto. Un primo modello cognitivo ideato per rendere conto della dissociazioni è stato presentato da Rothi et al., (1991), ed in seguito modificato da diversi autori (Goldenberg & Hagmann, 1997; Buxbaum, 2001; Cubelli et al., 2000; Rumiati & Tessari, 2002). Il modello distingue tra una via semantica, costituita dalle rappresentazioni semantiche e dai lessici d’azione, ed una via diretta, meccanismo di conversione dell’input di entrata in programma motorio. L’ osservazione di pazienti con lesione cerebrale unilaterale (Goldenberg & Hagmann, 1997; Peigneux et al., 2000; Buxbaum, 2001; Cubelli et al., 2000), così come studi comportamentali e di neuroimmagine funzionale condotti su soggetti sani (Rumiati et al., 2009; Tessari & Rumiati, 2004; Peigneux et al., 2004), supportano l’esistenza di due sistema neurali distinti per l’imitazione di gesti significativi e non significativi, ma i risultati non trovano consenso sulle strutture anatomiche coinvolte (soprattutto riguardo la localizzazione emisferica). Da un lato, lesioni a carico della corteccia parietale, soprattutto nel giro angolare, sono state messe in relazione al deficit selettivo dell’imitazione di gesti 8 significativi, in cerebrolesi sinistri (Tessari et al., 2007). Dall’altro lato, Peigneux et al. (2000) descrivovo il caso di un paziente, con lesione della corteccia parieto-occipitale sinistra, capace di imitare meglio i gesti significativi rispetto a quelli non significativi. Inoltre, Tessari et al. (2007) descrivono due pazienti cerebrolesi destri, con lesione del globo pallido, putamen, e della capsula interna, che presentano una maggiore difficoltà nell’imitazione dei gesti senza significato. Nello stesso lavoro, Tessari et al. (2007) presentano un paziente cerebroleso sinistro con la stessa difficoltà, questa volta associate a lesione del giro temporale superiore. Negli studi PET, l’imitazione dei gesti significativi è stata messa in relazione all’attivazione del giro angolare e frontale sinistro, del giro sopramarginale destro e del lobulo parietale inferiore sinistro (Peigneux et al., 2004), così come al giro paraippocampale, angolare e temporale inferiore dell’emisfero sinistro (Rumiati et al., 2005). Le giunzioni parieto-occipitali ed occipito-temporali destre, il giro temporale superiore sinistro, e la corteccia parietale superiore bilaterale, esibiscono un incremento dell’attivazione durante l’imitazione di gesti non significativi (Rumiati et al., 2005). Hoeren et al. (2014), nel modello a due vie percettivo-motorio, propongono che l’imitazione sia a carico del canale dorso-dorsale (solco intraparietale e lobulo parietale superiore), responsabile della conversione visuo-motoria e del controllo on-line. In opposizione ai dati appena riportati, in un recente lavoro, Buxbaum et al. (2014) trovano un coinvolgimento delle aree temporale posteriore, motoria, premotoria, somatosensoriale e parietale inferiore durante il compito imitativo. Pantomima: La maggior parte degli studiosi considera la pantomima dell’uso di un oggetto un processo di esecuzione di un movimento transitivo significativo. Tuttavia, per Bartolo (2001) la pantomima costituisce una classe speciale di gesti. Basandosi sullo studio di un paziente con lesioni ai gangli della base e alla capsula interna, è arrivato a sostenere che sebbene i movimenti eseguiti durante l’imitazione dell’uso degli oggetti sono associati ad uno specifico referente, e quindi sono significativi, la pantomima di per se non è considerabile un atto fisico quotidianamente eseguibile, essendo perciò un gesto non familiare (Mantovani et al., 2010). La pantomima può essere innescata da un input visivo (immagine oggetto) o verbale (nome oggetto). Il prerequisito fondamentale per mimare l’uso di un oggetto è l’attivazione di uno schema motorio, che rispetti le 9 caratteristiche e possibilità fisiche dello stesso. Una seconda capacità necessaria è la corretta implementazione dello schema motorio, in assenza dell’oggetto di riferimento. Mentre durante la manipolazione reale alcuni parametri motori sono suggeriti dalle proprietà strutturali dell’oggetto, nella pantomima queste caratteristiche motorie devono essere generate internamente. Quindi, l’iniziazione e la corretta esecuzione di uno schema motorio sono i due aspetti principali della pantomima, la cui prestazione risulta particolarmente disturbata in pazienti con lesione sinistra ed aprassia (Goldenberg et al., 2007; Weiss et al., 2008). Durante la realizzazione della pantomima, le caratteristiche semantiche relative alla funzione degli oggetti, immagazzinate nel sistema semantico, e i programmi motori finalizzati al suo uso, immagazzinati nel lessico di azione in uscita, dovrebbero essere integrati ed usati per pianificare un atto motorio. L’intero processo è sostenuto dalla memoria di lavoro. In aggiunta ai processi cognitivi coinvolti, diversi studi di immagine funzionale e strutturale hanno indagato le basi neurali sottostanti al compito di pantomima. I risultati hanno aperto ampie controversie sull’individuazione delle strutture cerebrali responsabili. Tuttavia, la meta-analisi condotta da Niessen et al. (2014) ha trovato un principale coinvolgimento del network fronto-parietale sinistro. Il circuito sarebbe composto dal lobulo parietale inferiore (IPL), dal giro inferiore frontale e, in minor grado, dalle regioni frontali mediane e temporali inferiori. All’interno di questo network, la corteccia parietale gioca un ruolo chiave: 11 su 12 studi di immagine funzionale riportano un’attivazione di tale regione durante il compito di pantomima. IPL non sarebbe solo responsabile dell’immagazzinamento degli schemi motori (Heilman et al., 1982; Rumiati et al., 2004; Vingerhoets et al., 2012), ma ospiterebbe anche il meccanismo per la loro attivazione (Hermsdörfer et al., 2007;Imazu et al., 2007). Infatti, Rumiati et al. (2004) hanno evidenziato una dissociazione tra l’area ventrale (deposito) e dorsale (attivazione interna) dell’IPL. Un recente studio di immagine funzionale che riporta una predominante attivazione della corteccia parietale (IPL e giro post-centrale), mette a confronto la pantomima dell’uso di oggetti familiari e non familiari (Vingerhoets et al., 2011). Dato che gli oggetti non familiari non possono attivare rappresentazioni semantiche, il confronto tra le attivazioni nei due compiti dovrebbe rivelare le strutture responsabili dell’immagazzinamento semantico. I risultati riportano un’attivazione bilaterale temporo-occipitale e fronto-parietale nella fase di pianificazione, con aggiunta 10 dell’area frontale e somatosensoriale durante l’esecuzione del movimento. Un confronto diretto rileva solo piccole differenze nel cuneo sinistro (che riflette una maggiore elaborazione visiva per gli oggetti non familiari) e nell’IPL (in relazione ad oggetti familiari). Viene così evidenziato un pattern di preparazione alla risposta univoco, che poggia tanto sulla semantica quanto sui processi di mechanical problem solving, che si differenzia durante la fase esecutiva; l’IPL è considerato il magazzino degli schemi motori. Diversi studi hanno riportato un coinvolgimento della corteccia frontale, soprattutto nella fasi di esecuzione della pantomima. Niessen et al. (2014) ritengono che queste regioni non siano specificatamente coinvolte nella pantomima, ma piuttosto riflettano una disfunzione generale motoria. La meta-analisi riporta un numero di attivazioni parietali (15) che eccedono i numeri di attivazioni frontali (8), temporali (3), occipitali (1) ed insulari (1). Se il coinvolgimento parietale è stato associato agli schemi motori, e quello frontale all’implementazione del gesto, la regione temporo-occipitale sarebbe funzionale all’identificazione visiva degli oggetti entro un contesto d’azione (Johnson-Frey, 2004; Lewis, 2006). Due recenti studi hanno ulteriormente indagato i correlati neurali sottostanti alla pantomima. Nel modello a due vie (Milner & Goodale, 2008) , Hoeren et al. (2014) ritengono che la pantomima coinvolga entrambe i canali, dorsale e ventrale. In particolare, nella via dorso-dorsale sarebbero coinvolti il solco intraparietale ed il lobulo parietale superiore, e nella via ventro-dorsale si attiverebbero il lobulo parietale inferiore anteriore ed il giro temporale posteriore (Weiller et al., 2011; Rijntjes et al., 2012; Vry et al., 2012; Hoeren et al., 2013). Invece, il lavoro della Buxbaum et al. (2014) trova nel compito di pantomima la sola attivazione temporale. 11 1.2 Aprassia Col termine Aprassia s’intende un deficit primitivo dell’attività motoria che compare specificatamente durante l’esecuzione intenzionale di un movimento finalizzato. Sotto la stessa etichetta può essere raggruppata un’ampia varietà di disordini motori di alto livello, associati a lesioni cerebrali acquisite. Le lesioni risultano tali da compromettere le capacità di movimento in precedenza sviluppate. Il network delle strutture del cervello che si suppongono essere associate al disturbo includerebbe il lobo parietale, frontale, gangli della base e i fasci di sostanza bianca contenenti le connessioni tra queste aree. Generalmente il disturbo è bilaterale, a fronte di una lesione tipicamente sinistra: ciò significa che i movimenti intenzionali di entrambe le braccia e delle mani, delle gambe e dei piedi, nonché i movimenti assiali possono essere disturbati. De Renzi et al. hanno trovato un’incidenza dell’Aprassia del 50% tra i pazienti cerebrolesi sinistri post ictus. I risultati ottenuti hanno convalidato le ipotesi di Liepmann, che riteneva l’emisfero sinistro decisivo nella programmazione dei movimenti (Liepmann, 1920; De Renzi et al., 1980). Un recente studio ha stimato una percentuale inferiore (25%) nella correlazione aprassia/danno cerebrale sinistro: al 13% dei pazienti è stato infatti riscontrato un “deficit severo”; al 12% un “deficit moderato” (Vanbellingen et al., 2010). Tuttavia, il disturbo aprassico è stato anche rilevato in seguito a lesioni coinvolgenti l’emisfero destro e porzioni sottocorticali più profonde, anche se di minore severità e frequenza (Vanbellingen, 2010; Hanna-Pladdy, 2001; Leiguarda, 2001). Nonostante sia comune in pazienti colpiti da ictus, l’aprassia può presentarsi anche nella demenza e in altri disturbi neurodegenerativi (Corea di Huntington, demenza da Alzheimer, morbo di Parkinson, Degenerazione Corticobasale e Paralisi Sopranucleare Progressiva). Operativamente, il disturbo è stato definito da De Renzi e colleghi (De Renzi et al., 1982) e da Geschwind e Damasio (Geschwind & Damasio, 1985) come (i) fallimento nella corretta produzione di un movimento in risposta ad un comando verbale, o (ii) inadeguatezza nella riproduzione su imitazione di un’azione eseguita dall’ esaminatore, o (iii) fallimento nell’esecuzione di un movimento in risposta alla visione di un oggetto, o (iv) incapacità di maneggiare adeguatamente uno strumento. Il deficit nell’esecuzione di gesti si dice aprassico se non è attribuibile a un deficit di input (sensoriale: sordità o disturbi di comprensione, cecità o agnosia visiva, anestesia tattile e stato-cinestesica, 12 agnosia tattile), né a un deficit di output (motorio primario: paresi, tremore, atassia, ipocinesia o ipercinesia). L’aprassia, inoltre, non è secondaria a deficit di orientamento spaziale o della rappresentazione del corpo, né a inerzia motoria di tipo frontale (Vallar & Papagno, 2011). Per definizione, il disordine non può essere dovuto agli effetti di un deficit neurologico elementare come debolezza, deafferentazione, problemi di postura o di tono muscolare; né a deficit cognitivi come deterioramento intellettuale, difficoltà di attenzione o di comprensione; né infine alla mancanza di cooperazione da parte del paziente (Heilman & Rothi, 1993). L’aprassia è quindi definita negativamente, in termini di quello che non è. Questa definizione implica che ci sono situazioni in cui i movimenti sono eseguiti senza difficoltà. Infatti, sorprendenti e distintivi aspetti dell’aprassia sono la dissociazione automatico-volotaria e la dipendenza dal contesto. Il paziente può non essere in grado di eseguire un movimento in una condizione artificiale come, ad esempio, quando l’esaminatore richiede la realizzazione di un’azione durante la valutazione clinica. Tuttavia, lo stesso paziente può eseguire correttamente la medesima azione spontaneamente, in un contesto naturale, in risposta a sollecitazioni provenienti dal contesto o per un’esigenza interiore. De Renzi suggerisce che le caratteristiche che specificano il deficit aprassico risiedono non tanto nella natura del gesto (coinvolgimento dita/mano, gesto simbolico/non simbolico eccetera) quanto nella circostanza in cui esso è evocato: è cruciale la capacità di organizzare un programma motorio sequenziale, senza che questo sia indicato da informazioni contestuali o motivazioni/bisogni interni. Secondo l’autore, nell’aprassia i pattern motori esisterebbero, ma non sarebbero accessibili in assenza di suggerimenti contestuali (De Renzi et al., 1980). L’influenza dell’artificialità della situazione di testing spiegherebbe anche i risultati trovati da Schnider e colleghi (1997): le modalità di comando usate per invocare l’azione nel paziente che trasmettono minime informazioni circa il movimento richiesto (comando verbale e visivo) sono associate ad una prestazione maggiormente compromessa rispetto a quelle che veicolano più informazioni circa il movimento da eseguire (imitazione) o di quelle che limitano la scelta di gesti possibili per manovrare uno strumento (manipolazione tattile e uso dell’oggetto); queste ultime più vicine al contesto naturale. In essenza, il deficit aprassico colpisce i livelli superiori dell’organizzazione del gesto, quelli in cui è ideato e selezionato lo schema motorio congruente con le intenzioni dell’individuo e adeguato al contesto. 13 Diversi autori concordano sul fatto che sebbene l’Aprassia sia facile da dimostrare, risulti però difficile da capire. La letteratura sul tema annovera terminologia contrastante, risultati contradditori e dubbi che meritano di essere risolti. Le incongruenze trovate nei diversi studi possono essere spiegate dall’adozione di differenti approcci statistici e metodologici per la valutazione del disturbo (dal tipo di gesti ai criteri per determinare i punteggi), dalla cronicità, dall’eziologia e dalla localizzazione della lesione cerebrale presa di volta in volta in considerazione, ma soprattutto dall’eterogenea natura del sistema cognitivo e neurale della prassia umana (Haaland et al., 2000; Petreska, 2007). L’Aprassia non può che essere influenzata dall’ampia complessità e variabilità delle funzioni associate al sistema prassico, venendo, in primis, classificata in base alla funzione (Aprassia ideativa, ideomotoria, dell’abbigliamento) e/o distretto corporeo colpito (Aprassia bucco-facciale, del tronco, degli arti). Inoltre, l’esecuzione deficitaria del movimento differisce in relazione al tipo di gesto richiesto (transitivo/intransitivo, simbolico/non simbolico, familiare/nuovo), alla modalità di performance (pantomima, imitazione, uso reale dell’oggetto, riconoscimento), e al tipo di input presentato per promuovere l’azione (tattile, visivo, acustico). Emergono poi differenze quantitative e qualitative nei tipi di errori mostrati durante la realizzazione del gesto (spaziali, temporali, di contenuto). Infine, forti dissociazioni emergono in relazione all’emisfero cerebrale coinvolto, nonché alla localizzazione della lesione (corticale /sottocorticale). La multicomponenzialità del sistema e la variabilità dei parametri coinvolti può spiegare la mancanza di una sistematicità nella valutazione, diagnosi e trattamento del disturbo, oltre che nella terminologia utilizzata. Nel dettaglio, le dissociazioni funzionali possono essere così elencate: Tipo di azione: Il disturbo aprassico può essere valutato tramite l’impiego di diversi compiti: la richiesta di esecuzione dell’azione su comando verbale differisce dall’imitazione del gesto, immediata o differita, dalla pantomima, dalla manipolazione di un oggetto e dal riconoscimento di un movimento. Diversi processi cognitivi e diversi meccanismi neurali sottostanti giustificano l’ampio elenco delle dissociazioni presenti in letteratura. Il modello di Rothi (1997), revisionato in seguito da Cubelli (2000) e Buxbaum (2000), è nato proprio per giustificare tali disparità. Le capacità di mimare l’uso di un 14 oggetto e di imitare un’azione appaiono spesso contemporaneamente disturbate, ma numerosi sono gli studi che hanno attestato una loro dissociazione (Heath, 2001; Ochipa et al., 1994; De Renzi, 1982; Roy et al., 1998; Westwood et al., 2001). De Renzi, riporta che nel 15% dei pazienti con danno cerebrale sinistro l’imitazione dei gesti risulta più compromessa della pantomima dell’uso di oggetti, ma attribuisce questa dissociazione alla diversa difficoltà dei due compiti e ai diversi criteri utilizzati per assegnare i punteggi. Ochipa (1994), descrive un paziente con lesione a carico dell’emisfero sinistro trovato a commettere più errori nell’imitazione di gesti non significativi rispetto a quando eseguiva la stessa azione su comando verbale (aprassia di conduzione). I pazienti dello studio condotto da Stamenova et al. (2010) risultano più compromessi nell’imitazione rispetto alla pantomima rispetto ai controlli; questo risulta particolarmente vero per lesioni sinistre. Anche Goldenberg (2015) trova una dissociazione tra imitazione e pantomima, la prima associata ad una compromissione del linguaggio e a lesione temporale anteriore e la seconda in concomitanza con bassi punteggi al Token Test e danno a carico del lobo parietale. Infine, in linea con questi risultati sono le conclusioni presentate nel lavoro di Hoeren et al. (2014) che, evidenziandone i correlati neurali, dissociano tra i due compiti. L’imitazione dipenderebbe dalla via dorso-dorsale responsabile del meccanismo di conversione visivo-motorio e del controllo on-line del gesto; la pantomima dell’uso di oggetti richiederebbe l’intervento della via vetro-dorsale, deposito delle rappresentazioni delle azioni e responsabile del recupero delle relazioni d’uso tra movimento e oggetto. Quando il problema riguarda entrambe le capacità, potrebbe essere messo in relazione ad un deficit negli stadi finali del controllo motorio. Riguardo la performance in relazione ad un oggetto, è stato ampiamente documentato il miglioramento della prestazione quando i pazienti hanno la possibilità di tenere realmente in mano l’oggetto (Graham, 1999). L’aggiunta di indizi visivi e tattili potrebbe aiutare alcuni aspetti del movimento aprassico, in quanto forniscono limitazioni meccaniche e informazioni supplementari che faciliterebbero la selezione dell’adeguato pattern motorio (Hermsdorfer et al., 2006). Tuttavia, è stato descritto un caso di un paziente che mostra una prestazione nettamente peggiore quando manipola l’oggetto di quando la realizza sotto comando verbale (Merians et al., 1999). Goldenberg (2014) considera l’incapacità nell’uso degli oggetti, 15 insieme alla difficoltà nell’imitazione dei gesti non significativi, come espressione centrale della lesione a carico dell’emisfero sinistro, dissociabile dall’abilità nella pantomima. Natura del gesto: L’associazione ad un contenuto semantico è l’aspetto discriminativo tra gesti significativi e non significativi. Il diverso impatto che la natura del gesto dimostra avere nel disturbo aprassico ha portato alla definizione del modello di Rothi (1991), il quale distingue una via diretta-non semantica da una indiretta-semantica. La nozione dell’esistenza di due strade separate è supportata dallo studio di Moll et al. che dimostra, tramite immagini funzionali MRI, un’attivazione specifica di una parte del lobo parietale durante la manipolazione degli oggetti, assente nell’imitazione di gesti non significativi. Nel quadro dell’aprassia visuo-imitativa, una compromissione nel compito di imitazione di gesti non significativi contrasta con una preservata capacità di imitare (Goldenberg and Hagmann, 1997; Haaland, 2000; Weiss, 2001; Salter, 2004) e di produrre su comando verbale gesti significativi (Mehler, 1987; Bartolo, 2001). Sarà Ochipa (1994) a descrivere per primo il quadro opposto. Presenta il caso di un paziente con lesioni al lobo parietale sinistro che, capace di eseguire un’azione su ordine verbale, commette numerosi errori durante l’imitazione dello stesso gesto significativo. Un altro studio recente (Tessari, 2007) descrive un paziente con intatta capacità di imitare gesti non significativi e difficoltà nella pantomima dell’uso di un oggetto. Viene indagata una possibile differenza tra i substrati neurali sottostanti all’imitazione dei gesti dotati o meno di significato. Alcuni autori riportano che, nei pazienti con lesione a carico dell’emisfero sinistro, non si manifestano dissociazioni quando i diversi tipi di gesti sono valutati insieme (Basso et al.,1985; De Renzi et al., 1983), ma emergono quando sono testati in blocchi e tempi separati. Il disturbo nell’imitazione dei gesti non significativi è associato a lesioni del giro angolare e del giro temporale superiore; il deficit nell’imitazione di gesti significativi emerge in relazione a lesioni del lobo temporale inferiore e dell’ippocampo. Inoltre, l’ipotesi che lesioni parietali disturbino in modo selettivo l’imitazione dei gesti senza significato, risparmiando quella dei gesti significativi, è sostenuta dalla descrizione dei pazienti in cui lesioni selettive parietali causano un quadro di aprassia visuo-imitativa. Mentre è facile associare la difficoltà limitata ai gesti non significativi ad una compromissione della via diretta, più difficile risulta spiegare il danno selettivo ai gesti 16 significati. La letteratura distingue tra due diverse tipologie di movimenti significativi: gesti transitivi (realizzati in relazione ad oggetti) ed intransitivi (eseguiti in assenza di un oggetto). Mentre i movimenti transitivi sono vincolati dalla forma e dalla funzione dell’oggetto, i movimenti intransitivi dipendono dal contesto socioculturale (Cubelli, 2000; Heath, 2001). Il disturbo isolato dei movimenti transitivi riguardante l’uso, riconoscimento ed interazione con un oggetto, in presenza di adeguati movimenti intransitivi, è chiamata aprassia tattile ed appare spesso nella mano controlaterale alla lesione (Watson, 1986; Binkofski, 2001). Stamenova (2010), ha indagato la relazione tra tipo di gesto (transitivo/intransitivo) e lesione emisferica (destra/sinistra) in un compito di imitazione. Dall’analisi è emerso che i deficit selettivi nel compito imitativo risultano più frequenti nei cerebrolesi sinistri per i gesti intransitivi e nei cerebrolesi destri per quelli transitivi. Diversi sono anche i pattern di ripresa associati ai movimenti: se ai gesti transitivi è associato un calo del numero spontaneo di errori di produzioni non identificabili, ai gesti intransitivi segue un calo spontaneo nel numero di errori di contenuto (Vanbelling, 2010). Mentre è noto il coinvolgimento dell’emisfero sinistro nel controllo dei movimenti transitivi, il controllo dei gesti non significativi e intransitivi necessita di ulteriori indagini. Tipo di input: La letteratura annovera diversi casi di deficit a carico del sistema prassico esibiti da pazienti che commettono errori esclusivamente, o prevalentemente, quando il movimento è evocato da una specifica modalità sensoriale. Nel dettaglio, la compromissione nell’esecuzione di un movimento che si manifesta solo sotto comando verbale, è attribuita ad una lesione dell’emisfero sinistro, probabilmente a carico del lobo parietale (Heilmann, 1973; De Renzi, 1982) o del corpo calloso (Geschwin e Kaplan, 1962; Gazzaniga, 1967). I pazienti che danno prova di una scarsa capacità di performance alla vista degli oggetti, con preservata abilità di pantomima su comando verbale, esibiscono lesioni che interrompono il flusso di informazioni dirette al lobo parietale (De Renzi, 1982; Pilgrim e Humphreys, 1991). Inoltre, sono stati presentati specifici deficit limitati alla modalità tattile (De Renzi, 1982). Queste dissociazione hanno portato Rothi et al. (1991) a distinguere nel modello da loro ideato diverse vie di elaborazione dell’informazione, anche in relazione alla modalità sensoriale che agisce da input per l’esecuzione richiesta. 17 Effettori colpiti: Le aprassie si possono distinguere in base al distretto corporeo interessato, per cui si parla di aprassia buccofacciale (ABF), aprassia del tronco e aprassia degli arti. L’ABF interessa i muscoli dell’apparato oro-glosso-faringo-laringeo e si manifesta come difficoltà a protrudere la lingua, fischiare, dare un bacio e, talvolta, deglutire. Si manifesta spesso in concomitanza con l’aprassia articolatoria, per contiguità anatomica dei centri nervosi coinvolti. Tuttavia, le funzioni sottostanti sono indipendenti, come attestato da casi di doppia dissociazione. Consegue a lesioni della corteccia premotoria e della parte anteriore dell’insula dell’emisfero sinistro. Passando ad un altro distretto corporeo, Geschwind per primo ha suggerito una possibile dissociazione tra i movimenti degli arti e i movimenti eseguiti con la muscolatura assiale, confermata da successivi studi in compiti su comando verbale. Deficit dei movimenti del tronco sono stati osservati nell’ambito della sindrome associata a lesioni frontali bilaterali, che può includere anche l’aprassia della stazione eretta e della marcia. Tuttavia, la forma più comune di disturbo aprassico riguarda la compromissione del gesto finalizzato di ambedue gli arti, di cui è possibile distinguere una componente ideativa da una ideomotoria. Rimanendo nel distretto corporeo dell’arto, diversi studi hanno indagato la relazione esistente tra rappresentazione della mano e rappresentazione delle dita. Nonostante uno studio riporti una dissociazione fronto-parietale nel compito di imitazione della posizione della mano e delle dita (Goldenberg & Karnath, 2006), recenti indagini hanno accertato nelle due prestazioni un analogo coinvolgimento delle regioni cerebrali implicate nella via dorso-dorsale (Buxbaum e Kalenine, 2010; Binkofsky e Buxbaum, 2013; Hoeren, 2014). La marcata correlazione travata per l’imitazione della postura delle dita e della mani con il lobo parietale superiore e il lobo parietale inferiore, rispettivamente, sono in linea con lo studio PET di Hermsdorfer (2001). Dipendenza dal contesto e dissociazione automatico/volontario: I pazienti aprassici possono eseguire spontaneamente e correttamente un’azione che si rivela di difficile esecuzione se associata a comando verbale. De Renzi (1986) ritiene che nel contesto naturale le caratteristiche aprassiche risultano meno salienti, in quanto influenzate da un processo di facilitazione contestuale. Lo studio di Trojano et al. (2007) è stato ideato al fine di valutare la dissociazione automatico/volontaria (AVD) in quattro pazienti affetti da 18 aprassia. L’AVD è stata osservata in tutti i tipi di gesti valutati, anche se in grado differente nei singoli pazienti. I risultati hanno così dimostrato che il contesto naturale fornisce un segnale bottom-up di facilitazione per il recupero dei programmi motori, mentre la situazione artificiale di valutazione impone un ulteriore carico cognitivo che aggrava la prestazione motoria. La difficoltà aggiunta consisterebbe in un aumento della complessità spazio-temporale dei movimenti richiesti (Schnider,1997). Esiste una distinzione nella performance esibita nei due contesti, ma non bisogna dimenticare che l’aprassia è un disturbo stabile con un forte impatto negativo sull’indipendenza funzionale dell’individuo (Ochipa & Rothi, 2000). Infatti, diversi studi supportano l’esistenza di una correlazione significativa tra aprassia e perdita dell’autonomia nelle attività quotidiane, basati su interviste dei pazienti (Sundet et al., 1988) o dei loro familiari (Hanna-Pladdy, 2003) Lateralizzazione emisferica: Nonostante la maggior parte degli studi mostri una dominanza dell’emisfero sinistro delle funzioni prassiche, numerose sono le prove a sostegno di un coinvolgimento dell’emisfero destro. La lesione a carico dell’emisfero sinistro interessa entrambe le mani, mentre un danno cerebrale destro affligge solamente la mano sinistra. Non solo l’emisfero sinistro è del tutto competente nell’elaborazione dei concetti riguardo i movimenti, ma contribuisce anche alla generazione delle azioni nell’emisfero destro. Nel suo studio, De Renzi (1980) valuta come aprassici quasi il 10% dei pazienti con lesione cerebrale destra, ipotizzando l’esistenza di rappresentazioni bilaterali delle azioni. Ipotesi supportata dalla dimostrazione di un reclutamento di aree dell’emisfero destro, per il controllo di movimenti complessi, in seguito a lesioni sinistre. L’emisfero sinistro conterrebbe le rappresentazioni spaziotemporali e concettuali dei movimenti appresi, controllerebbe la traiettoria dell’azione e la posizione della mano, sarebbe implicato nella pianificazione e nel controllo delle sequenze, nella selezione della risposta e nello spostamento dell’attenzione motoria. Infine, immagazzinerebbe la conoscenza concettuale riguardo la struttura del corpo umano (Goldenberg, 1996) . L’emisfero destro, nel dominio motorio, sarebbe coinvolto nella rappresentazione delle coordinate esterne e del timing dei programmi motori (Hanna-Pladdy, 2001), nella stabilizzazione della posizione dell’arto per attivazione di un meccanismo di controllo dell’ostacolo (Mani et al., 2013), nel controllo on-line, nell’analisi visiva del gesto, nella 19 programmazione di azioni sovra-apprese e familiari e nella rappresentazione della posizione delle dita. Inoltre, le lesioni dell’emisfero destro sono spesso accompagnate da aprassia buccofacciale severa (Bizzozero et al., 2000). Diversi studi riportano uno stesso pattern di compromissione legato al danno cerebrale sinistro o destro, suggerendo l’esistenza di rappresentazioni bilaterali (Haaland & Flaherty, 1984; Kertesz & Ferro, 1984; Roy et al., 1992, 2000; Heath et al., 2001). Inoltre, il coinvolgimento di entrambi gli emisferi nelle funzioni prassiche dipende dal tipo di movimento e dal contesto in cui è eseguito (Gross et al., 2008). Perciò, un modello delle funzioni prassiche diffuse e distribuite in entrambi gli emisferi sarebbe più appropriato rispetto all’unico sistema lateralizzato a sinistra ipotizzato in precedenza. Pattern di errori: La necessità di frammentare i gesti complessi nelle sue parti costituenti (dimensione spaziale, temporale, cinematica, eccetera) nasce dall’esigenza di comprendere la vera natura del disturbo aprassico. Infatti, una completa valutazione dei pazienti deve tenere in considerazione tanto l’accuratezza del gesto, quanto gli errori commessi. I pazienti con aprassia ideativa mostrano errori nelle sequenza; l’aprassia concettuale è generalmente associata ad errori di contenuto; l’aprassia ideomotoria si manifesta attraverso difetti delle caratteristiche spazio-temporali; nell’aprassia melocinetica, frammentazione, grossolanità e lentezza sono i tratti distintivi dell’esecuzione. Gli errori caratteristici del disturbo aprassico sono generalmente classificati in un numero ristretto di categorie: errori temporali, spaziali, di contenuto, di sostituzione, di accrescimento, di frammentazione, di perseverazione, associativi, paraprassici (corretta esecuzione di un movimento sbagliato), errore nella scelta del distretto corporeo (usare, ad esempio, la testa al posto della mano) ed uso erroneo di una parte del corpo come se fosse un oggetto (body-part-as-tool) (Lehmkuhl et al., 1983; Poeck, 1983; De Renzi & Lucchelli, 1988; Platz & Mauritz, 1995; Lausberg et al., 1999, 2003; Halsband et al., 2001; Weiss et al., 2001). Nel suo studio, Hanna-Pladdy (2001) presenta una dissociazione tra errori commessi in pazienti con lesione cerebrale destra e sinistra. Gli errori spazio-temporali e concettuali a carico dell’emisfero sinistro differiscono statisticamente dalla compromissione nel timing e nella velocità esibiti in associazione all’emisfero destro. Mentre gli errori spaziali sarebbero maggiormente 20 associati a lesioni posteriori, gli errori di rappresentazione interna della mano risultano associato sia a lesioni anteriori che posteriori. Un interessante studio (Manuel et al., 2012) ha di recente confermato il coinvolgimento di un esteso network fronto-parietale sinistro come correlato neurale della capacità di pantomima. Lesioni a parti di esso, indurrebbero specifici tipi di errori. In particolare, gli errori spaziali-configurazionali sono associati all’area temporo-parietale sinistra, mentre gli errori body-part-as-tool riflettono la disfunzione dell’area inferiore frontale sinistra. Anche Hoeren (2014) conduce un’indagine sui correlati neurali associati agli errori. Mentre trova un coinvolgimento del lobo temporale anteriore per gli errori di contenuto, non rileva nessuna specifica associazione tra errori di movimento e sito di lesione. Un significativo passo avanti nello studio degli errori è stato fatto con l’impiego dell’analisi quantitativa del moto cinematico in 3D. Questa tecnica permette di evidenziare le anormalità cinematiche dei movimenti aprassici come: problemi di accuratezza spaziale, irregolare profilo di velocità, riduzione del picco massimo di velocità, riduzione dell’ampiezza, erroneo orientamento del movimento nello spazio e/o deficit di coordinazione dell’articolazione (Poizner et al., 1990, 1995, 1997; Clark et al., 1994; Platz &Mauritz, 1995; Rapcsak et al., 1995; Merians et al., 1997, 1999; Haaland et al., 1999; Binkofski et al., 2001; Hermsdorfer et al., 2006). Ad esempio, sulla base degli studi sulla cinematica, è possibile considerare l’aprassia ideomotoria come un disturbo dell’implementazione ma non nella pre-programmazione del movimento (Haaland et al., 1999), che emerge dal disaccoppiamento delle caratteristiche spaziali e temporali dello stesso (Poizner et al., 1990, 1995). Tuttavia, alcuni autori hanno messo in discussione la possibilità di poter predire, da un’anormale cinematica del movimento, errori aprassici. Per esempio, non è stata trovata nessuna correlazione tra i problemi di cinematica e gli errori aprassici nello studio di Hermsdorfer et al. (1996). Inoltre, movimenti con un’alterata cinematica frequentemente raggiungono una corretta posizione finale, mentre, all’opposto, movimenti cinematicamente perfetti spesso conducono ad errori aprassici (Goldenberg et al., 1996; Hermsdorfer et al., 1996). Un profilo cinematico alterato potrebbe derivare dall’attivazione di strategie compensatorie (eccessiva dipendenza dal controllo on-line, ad esempio) che il paziente userebbe per affrontare le difficoltà del deficit aprassico. 21 1.2.1 Tassonomia Le revisioni contemporanee sulla tassonomia del disturbo individuano più di 30 differenti tipologie di deficit aprassico (ideativa, concettuale, ideomotoria, costruttiva, melocinetica, disprassia evolutiva, di conduzione, visuo-imitativa, visuo-motoria, tattile, buccofacciale, orale, assiale, della marcia, dell’abbigliamento, callosale, mista) (Petreska et al., 2007). Tuttavia, la natura ideativa o ideomotoria definisce la distinzione principale attraverso cui classificare il disturbo. Aprassia Ideativa: L’aprassia ideativa (AI) comporta una riduzione della capacità di utilizzare gli oggetti, sia presi singolarmente, che utilizzati in una sequenza complessa. Sono state suggerite diverse possibili cause del deficit ideativo. Pick per primo descrisse pazienti che commettevano errori grossolani nell’utilizzare oggetti che erano però in grado di identificare. In seguito, si sono affermate le ipotesi che il deficit ideativo sia dovuto a un mancato riconoscimento degli oggetti e, in particolare, del modo in cui essi dovrebbero essere usati: agnosia d’uso (Morlaas et al., 1928) oppure che rifletta la disintegrazione dell’organizzazione della sequenza delle azioni richieste per il loro uso (Poeck et al., 1982). Secondo quest’ultimo punto di vista, i pazienti dovrebbero cadere ai compiti che attivano la rappresentazione dell’organizzazione delle azioni, ma non quando usano oggetti presi singolarmente. In contrasto con l’ipotesi di Poeck, De Renzi e Lucchelli (1988) hanno osservato una correlazione forte tra la prestazione nell’uso di oggetti usati singolarmente e quella nell’uso di diversi oggetti collegati tra loro. Essi hanno suggerito che alla base del deficit ideativo vi sia un’amnesia d’uso, che impedisce ai pazienti di accedere adeguatamente al repertorio semantico delle caratteristiche funzionali degli oggetti. Oltre a ciò, commettono errori di contenuto nella dimostrazione dell’uso di un oggetto, nella selezione tra distrattori e nell’impiego alternativo di uno strumento. Pazienti con deficit aprassico ideativo hanno lesioni prevalentemente posteriori dell’emisfero sinistro (cortecce temporale, parietale e occipitale). Gli studi di neuroimmagine suggeriscono che la regione parietale posteriore sia un’area chiave per l’uso di oggetti (Rumiati et al., 2004). L’AI è causata soprattutto da lesioni focali, spesso ad 22 eziologia vascolare, ma può manifestarsi anche nelle demenze (Vallar & Papagno, 2011). Aprassia Ideomotoria: L’aprassia ideomotoria (IMA) si manifesta come marcata compromissione della capacità di imitazione e pantomima dell’uso di un oggetto, in seguito a lesione dell’emisfero sinistro. I pazienti sanno quello che devono fare, ma non sanno come farlo. Se l’idea o il piano d’azione sono preservati risulta deficitario il meccanismo di traduzione della rappresentazione interna nel comando motorio appropriato, come indicato dai numerosi errori spaziali (orientamento della mano e degli oggetti nello spazio, configurazione della posizione della mano, utilizzo di parti del corpo come se fossero oggetti) e temporali (velocità irregolare, sequenziamento). Infatti, la forte compromissione degli aspetti spaziali/configurazionali e temporali/sequenziali dell’azione, ha portato ad ipotizzare uno scollamento nella rappresentazione interna di tali caratteristiche (Haaland et al., 1999; Poizner et al., 1995). La severità dell’IMA dipende tanto dal tipo di movimento (significativo, transitivo o intransitivo; non significativo) e comando (imitazione, pantomima, manipolazione oggetto), quanto dal contesto di valutazione (naturale, artificiale). Ad esempio, i gesti transitivi vengono eseguiti con maggiore difficoltà degli intransitivi nel compito di pantomima su comando verbale. La stessa pantomima risulta più compromessa a confronto con la manipolazione reale di un oggetto, anche se i movimenti di utilizzo mostrano spesso anormalità. Il miglioramento osservato quando i pazienti hanno in mano un oggetto può essere spiegato dalla facilitazione indotta dai cue visivi e tattili, oltre che dal minor carico cognitivo imposto all’emisfero sinistro durante l’esecuzione di azioni in un contesto naturale. L’accuratezza dei movimenti esibiti nei vari compiti risulta funzionale alla valutazione del disturbo, valutazione che tiene in forte considerazione anche gli errori commessi dai pazienti. L’analisi tridimensionale della cinematica del movimento sembra essere un modo adeguata per catturare la natura di questi ultimi, anche se i meccanismi sottostanti al profilo cinematico continuano ad essere oggetto di discussione. Uno studio sulla cinematica del movimento (Hermsdörfer et al., 1996), mette a 23 confronto le prestazioni esibite da pazienti con e senza aprassia. Pur trovando un maggior numero di errori cinematici commessi dai cerebrolesi sinistri, rispetto ai destri, le anormalità non risultano associate agli errori aprassici. Si è concluso che l’IMA deriva da un problema di rappresentazione della posizione bersaglio, piuttosto che da una complicazione di natura cinematica. La dimostrazione di una doppia dissociazione tra anormalità cinematiche ed errori aprassici (raggiungimento della corretta posizione finale con cinematica del movimento caratterizzata da velocità e tempistiche anormali; esecuzione cinematica adeguata di un movimento alternativo/sbagliato) ha portato anche Goldenberg et al. (1996) a considerare l’IMA un problema di elaborazione delle rappresentazioni spaziali, e non di esecuzione motoria. Tuttavia, una compromissione dell’implementazione della risposta, con errori spaziali della cinematica del movimento, viene suggerita dallo studio di Haaland et al. (1999). Il contrasto tra i risultati nasce probabilmente dalla scelta delle variabili cinematiche prese di volta in volta in considerazione: ad esempio, Hermsdörfer non considera l’accuratezza spaziale del movimento, trovata da Haaland essere l’unico fattore in grado di discriminare tra aprassia e non aprassia. Oltre alla precisione del movimento, e alla sua realizzazione cinematica, altri due aspetti devono essere tenuti in considerazione per valutare correttamente il disturbo. Per prima cosa, l’artificialità della situazione di valutazione può influenzare la prestazione (De Renzi et al., 1980, Schnider et al., 1997). Secondariamente, i pazienti con IMA fanno maggiore affidamento sul feedback visivo durante la realizzazione di un movimento (Haaland et al., 1999; Ietswaart et al., 2006). Ad esempio, i risultati dello studio di Haaland suggeriscono che la rimozione delle informazioni visive relative alla posizione bersaglio, ma soprattutto alla posizione della mano, ha un effetto invalidante nella performance dei pazienti. L’IMA nasce dalla compromissione della capacità di rappresentarsi le caratteristiche extrapersonali (posizione spaziale) ed intrapersonali (posizione della mano) del movimento. Infatti, la prestazione risulta normale sotto controllo visivo. Da un punto di vista cognitivo, le teorie sviluppate per descrivere la natura del disturbo possono essere raggruppate in due categorie: teorie rappresentazionali e 24 teorie spaziali/posturali. In alcuni casi, la mancata capacità di distinzione tra azioni errate e corrette suggerisce un danno di natura rappresentativa: perdita o difficoltà di accesso alle rappresentazioni mentali associate ad azioni specifiche (engrammi visuo-cinetici per Heilman et al, 1991; formule motorie o time-spaceform picture per Liempmann, 1900). Heilman (1991) dimostrò che il riconoscimento dei gesti può essere compromesso in pazienti con danno posteriore, e non per lesione anteriore, suggerendo che tali rappresentazioni possono essere localizzate nel lobulo parietale inferiore. Tuttavia, la teoria rappresentazionale non è in grado di spiegare le difficoltà incontrate dai pazienti con IMA nei compiti di imitazione di gesti non significativi o nella manipolazioni di oggetti non familiari, che non necessitano del richiamo a memorie motorie. La cooccorrenza delle difficoltà è stata giustificata come risultato della prossimità anatomica di aree sottostanti a diverse funzioni (Buxbaum et al, 2007). Sarà Rothi et al, (1991) ad integrare queste considerazioni in un modello cognitivo a due vie. La via indiretta, responsabile dell’elaborazione semantica, viene distinta dalla via diretta, sottostante ai compiti non significativi. Quest’ultima rappresenta una comunicazione diretta tra il lessico motorio di input e di output, evitando l’accesso alla memoria semantica delle azioni. Una spiegazione alternativa scaturisce dai lavori di Goldenberg et al, (1999, 2009): il problema comune ai compiti di imitazione di gesti non significativi e di manipolazione degli oggetti, nascerebbe dalla difficoltà di concettualizzazione delle relazioni spaziali tra parti del corpo e tra mano ed oggetto, rispettivamente. Un’interpretazione in linea con la teoria spaziale/posturale viene anche dai lavori di Buxbaum et al, (2000) e Sunderland et al, (2000). In particolare, Buxbaum aggiunge lo schema corporeo (body schema, BS, rappresentazione intrinseca della posizione dinamica delle parti del corpo) nel modello a due vie, considerandolo un substrato comune per entrambe le caratteristiche familiari (semantiche) e on-line (non semantiche) del gesto. Ricerche recenti suggeriscono che alcuni pazienti mostrano uno specifico deficit nella formazione dell’appropriata configurazione posturale delle mani finalizzate all’uso di oggetti (Sirigu et al, 1995; Buxbaum et al, 2003). Tuttavia, l’integrità nel posizionare la mano in risposta alla struttura di oggetti non familiari, 25 si accompagna al degrado nello svolgere lo stesso compito con oggetti familiari, per inaccessibilità alle informazioni funzionali depositate in memoria (Sunderland et al., 2000). Il deficit sembra essere selettivo per l’uso di oggetti, non per l’analisi spazio-temporale che la manipolazione comporta: l’interpretazione spaziale non può giustificare tale risultato. Se isolate le due posizioni (rappresentativa e spaziale/posturale) non riescono a rendere conto della complessità della sintomatologia dell’ IMA, una convincente teoria integrativa nasce considerando il disturbo all’interno del modello a due vie del controllo percettivo-motorio (Milner & Goodale, 2008): le rappresentazioni bilaterali del sistema dorsale spiegano la preservata capacità di eseguire azioni sotto il controllo visivo, mentre il deficit contemporaneo dell’uso di oggetti e di imitazione di gesti non significativi nasce dalla mancata modulazione dell’input rivolto al sistema dorsale ad opera del sistema delle rappresentazioni semantiche del lobo temporale sinistro (Sunderland et al., 2013). In altre parole, la conoscenza riguardo agli oggetti è immagazzinata nel lobo temporale e l’area parietale inferiore serve per integrare questa informazione all’interno del sistema dorsale, responsabile del controllo motorio: l’IMA risulta dalla compromissione a qualche livello di questo processo. L’aprassia ideomotoria è stata anche associata ad un problema di pianificazione delle caratteristiche intrapersonali del movimento (Jax et al., 2006), ad una difficoltà dei meccanismi di trasformazione visuo-motoria (Mutha et al., 2010), ad un deficit delle abilità motorie di basso livello (Ietwaart et al., 2006). Da un punto di vista anatomico, diversi studi non sono stati in grado di mostrare una relazione significativa tra la severità del disturbo e il luogo della lesione (Alexander et al., 1992; Petreska et al., 2007). La difficoltà nel trovare una specifica lesione associata al deficit, suggerisce che il sistema prassico sia mediato da un network modulare distribuito cerebralmente. Nonostante ciò, diversi lavori suggeriscono che lesioni della materia bianca e grigia della rete fronto-parietale siano responsabili della comparsa di IMA (Haaland et al., 2000; Peigneux et al., 2004; Wheaton & Hallett 2007). Infatti, numerose ricerche hanno attestato un coinvolgimento del giro angolare e supramarginale (aree 39 e 40 di Broadmann) del lobo parietale inferiore nel disturbo (Haaland et al., 1999; Buxbaum et al., 26 2003), così come nella difficoltà nei compiti di imitazione (Goldenberg et al., 2001). Altre, presentano il lobo parietale superiore come responsabile dei processi di integrazione delle informazioni visive/esterne e somatosensoriali/interne, necessarie per l’esecuzione motoria (Heilman et al., 1986; Haaland et al., 1999). Altri studi, ancora, mettono in relazione il disturbo con lesioni all’area frontale e premotoria (Watson et al., 1986; Halsband et al., 2001). Per la similarità della sintomatologia associata, è difficile distinguere tra lesioni anteriori e posteriori, se non per il maggiore significato esecutivo e semantico, rispettivamente, delle difficoltà presentate. Ad esempio, gli errori spaziali emergono prevalentemente per danno anteriore (Haaland et al., 2000; Halsband et al., 2001; Schwartz et al., 2002), mentre compromissioni nelle capacità di riconoscere e discriminare i gesti sono tipiche delle lesioni posteriori (Buxbaum et al., 2005). Errori nella rappresentazione interna della postura delle mani sono messi in relazione ad entrambi i tipi di lesione, anteriore e posteriore. Infine, l’IMA può verificarsi in conseguenza ad un danno sottocorticale, in particolare ai gangli della base (Pramstaller & Marsden, 1996; Graham et al., 1999; Jacobs et al., 1999; Merians et al., 1999; Hanna-Pladdy et al., 2001). Queste strutture sarebbero responsabili del controllo delle sequenze, della selezione dell’appropriato programma motorio e dell’esecuzione di azioni sovra-apprese. Tuttavia, non è ancora chiaro se il danno possa essere provocato da una lesione isolata ai gangli della base, fortemente connessi al lobo parietale superiore e all’area supplementare motoria, o coinvolga i fasci di sostanza bianca paraventricolari intorno ad essi. Se numerosi sono gli studi finalizzati all’individuazione dei meccanismi neurali sottostanti al disturbo, poche sono le ricerche che hanno indagato le possibilità di recupero dall’IMA. La scarsa attenzione sull’argomento può essere imputata alla copresenza di altri disturbi neuropsicologici, che mettono in ombra il decorso dell’aprassia, e alla buona prestazione esibita dai pazienti in contesti naturali. In uno studio, Basso et al. (2000) confermano che la maggior parte dei pazienti recuperano dall’IMA: attestano un miglioramento nel 57% dei soggetti, valore che scende al 34% se non vengono inclusi nelle analisi i pazienti considerati borderline al test di De Renzi (1980). Nella maggior parte dei casi, il recupero avviene entro 27 un mese dall’ictus, raggiungendo in seguito una situazione di plateau. Mentre l’effetto di gruppo è chiaro (recupero entro il primo mese e stabilizzazione), sembra che la variabilità individuale giochi un importante ruolo nel recupero spontaneo. Al contrario degli studi precedenti (Basso et al., 1987; Foundas et al., 1993), i pazienti con lesioni anteriori hanno prestazioni più scarse alla prima valutazione a confronto con i soggetti con danno posteriore, anche se il grado di recupero finale non risulta diverso nei due gruppi. Infatti, in precedenza, lo stesso gruppo di lavoro aveva suggerito che i pazienti con cattiva prognosi fossero quelli con lesioni all’area temporale posteriore e alla giunzione parieto-occipitale, anche se non esisteva nessuna lesione che impediva il recupero di per se. Lo stesso lavoro ha permesso di accertare che la presenza di una seconda lesione a carico dell’emisfero destro non fosse determinante sul recupero dell’aprassia (Basso et al., 1987). Tuttavia, il recupero spontaneo non alleggerisce l’impatto che il disturbo comporta nella quotidianità del paziente. Sundet et al. (1988) trova una forte correlazione tra il punteggio di aprassia e il livello di dipendenza stimato dai parenti; inoltre, dal suo studio emerge che dopo sei mesi dall’ictus, i pazienti richiedano maggiore assistenza nelle attività della vita quotidiana (activity of daily living o ADL,). Borod et al. (1989) riporta un effetto negativo della presenza di aprassia sull’uso dei gesti comunicativi. I pazienti appaiono meno organizzati, usano meno oggetti e compiono meno azioni con gli stessi oggetti: Foundas et al. (1995) accerta una relazione fra gravità dell’aprassia e numero di errori motori commessi. Hanna- Pladdy et al. (2003), Goldenberg & Hagmann (1998) e Walker et al. (2004) giungono a simili conclusioni riguardo l’impatto che il deficit può avere sulle ADL . Nell’insieme, questi risultati enfatizzano l’impatto ecologico dell’aprassia e la necessità di riabilitare, dopo un ictus, l’esecuzione e l’efficienza di specifici movimenti. 28 29 1.2.2 Modelli cognitivi L’inizio della ricerca sistematica sull’aprassia è solitamente identificato negli scritti del neurologo tedesco Hugo Liepmann (1863-1925), nella prima decade del ventesimo secolo, ma i disturbi del controllo motorio volontario erano già stati oggetto d’osservazione e di teorizzazione clinica prima di Liepmann. La letteratura del tardo diciannovesimo secolo riconosce tre sindromi contraddistinte da azioni errate o goffe, con risparmio della forza e della coordinazione motoria: Paralisi cerebrale (Mind-palsy), Asimbolia ed Aprassia. Se nella Paralisi il disturbo era generato da una riduzione del funzionamento dei processi mentali, per distruzione o disconnessione tra le aree corticali deposito delle tracce motorie e quelle controllanti i muscoli per la loro implementazione, nell’Asimbolia i deficit esprimono un disturbo della comunicazione causato da un riconoscimento inadeguato dell’azione (Goldenberg, 2013). Il termine aprassia è stato usato per la prima volta nel 1871 dal filosofo e filologo tedesco Heymann Steinthal (18231899), per descrivere la condizione di un paziente afasico che era stato visto afferrare la penna dall’estremità opposta e manipolare coltello e forchetta come se non li avesse mai usati prima. Secondo Steinthal, il deficit aprassico non riguarda il controllo motorio elementare delle estremità, quanto piuttosto la relazione tra i movimenti e gli oggetti da manipolare. L’idea contemporanea sull’aprassia emerge dai classici lavori di Liepmann (Liepmann 1900, 1905, 1908, 1920), il quale ha messo a punto un vero e proprio modello neurofisiologico dell’organizzazione dell’azione volontaria e dei possibili deficit. Ipotizzò l’esistenza di programmi motori, idee dell’azione o “movement formulae”, basati su un’immagine spazio-temporale e depositati nel lobo parietale sinistro. Al fine di promuovere un’azione intenzionale, la formula motoria definita spazio-temporalmente deve essere recuperata e associata, attraverso le connessioni corticali, ai pattern innervatori immagazzinati nel distretto sensomotorio dell’emisfero sinistro (giro precentrale e postcentrale e piedi della circonvoluzione frontale superiore, mediana ed inferiore), il quale comunica le informazioni delle formule alla corteccia motoria primaria sinistra. Quando il movimento deve essere eseguito con la mano sinistra, l’informazione viene trasmessa al sensomotorio destro attraverso il corpo calloso per attivare la corteccia motoria destra. Nell’aprassia Ideativa deficitaria è la formulazione dei 30 programmi motori, o la loro giusta attivazione, rendendo impossibile strutturare l’idea dell’azione. L’aprassia Ideomotoria corrisponde alla difficoltà di trasformare il programma motorio nelle innervazioni adeguate, considerate come memorie cinestesiche. Quando una lesione dell’emisfero sinistro interrompe le connessioni che congiungono le regioni retro-rolandiche al sensomotorio, dove tali memorie sono immagazzinate, il programma motorio non riesce ad attivare l’innervazione adeguata. Il paziente sa quello che deve fare, ma non sa come farlo. L’aprassia Melocinetica appare in relazione alla perdita delle innervazioni cinestesiche, interferendo con la selezione e l’attivazione del muscolo opportuno all’esecuzione della specifica azione. L’aprassia Ideomotoria e Melocinetica frequentemente co-esistono, e sono considerate da Liepmann disturbi dell’esecuzione motoria (Goldenberg, 2013). Il contributo più significativo dopo quello di Liepmann è stato quello del neurologo americano Norman Geschwind (1926-1984), il quale ha proposto una spiegazione anatomica dell’aprassia come sindrome da disconnessione. Al contrario di Liepmann, Geschwind riteneva che la stazione finale degli ordine che guidano il gesto fosse la corteccia premotoria e non il sensomotorio. Prendendo l’esempio dell’esecuzione di un gesto su ordine verbale, l’ordine, elaborato dall’area di Wernicke nell’emisfero sinistro, raggiunge attraverso il fascicolo arcuato l’area premotoria omolaterale. L’area premotoria di sinistra proietta sia all’area motoria omolaterale che all’area premotoria controlaterale. Lesioni cortico-sottocorticali posteriori dell’emisfero sinistro possono interrompere il passaggio dell’informazione uditiva in senso postero-anteriore, perché disconnettono l’area di Wernicke (centro linguistico) dalla corteccia premotoria (centro motorio). Tuttavia il modello non è in grado di spiegare le difficoltà nel compito di imitazione e nella manipolazione degli oggetti riscontrate nella pratica clinica, in quanto questi compiti non richiedono un comando verbale (Rothi et al., 1991). L’idea di aprassia che si ricava dai modelli classici è che si tratti di un deficit che può interessare l’idea del gesto, la sua implementazione, o essere solo motorio. Un superamento di questa dicotomia è rappresentato dal modello di Rothi, Ochipa e Heilman (1991), analogo a quello della produzione linguistica, il quale comprende: lessici, un sistema semantico e più “vie” per la produzione dei gesti. L’osservazione di dissociazioni e doppie dissociazioni tra pazienti ha permesso di confermare molte delle ipotesi fatte dal 31 modello, dimostrando che il deficit aprassico non è dovuto al danno di un solo meccanismo. Più precisamente, si è visto che comprensione, produzione e denominazione di gesti sono influenzati dalle diverse modalità in cui l’azione può venire richiesta (visivo/verbale), dal tipo di stimolo (azione/oggetto) e dal tipo di azione invocata (nuova/familiare). Il modello distingue una via semantico-lessicale (indiretta), utilizzata per l’imitazione di gesti appresi, e una via sublessicale (diretta) per i gesti nuovi, ma anche quelli appresi. La via semantico-lessicale comprende diversi stadi di elaborazione, che includono i lessici d’azione in entrata e in uscita e il sistema semantico, mentre la via sublessicale converte ogni gesto visto in un output motorio. Da un lato, sono stati osservati pazienti in grado di imitare i gesti appresi in modo più accurato di quelli nuovi; questo deficit, noto anche come “aprassia visuo-imitativa”, risulta da un danno alla via sublessicale. Dall’altro, ci sono pazienti che hanno fornito prestazioni migliori nell’imitazione di gesti nuovi rispetto a quelli appresi: in questo caso si tratta di un danno alla via semantico-lessicale. La possibilità di un danno selettivo a carico delle due vie suggerisce che le stesse potrebbe essere, almeno in parte, indipendenti l’una dall’altra. In altre parole, il modello suggerisce l’esistenza di una componente anteriore di produzioneesecuzione (aspetti sensori-motori dell’azione) e una componente posteriore concettuale-rappresentazionale (contenente tre tipi di informazioni: funzione degli oggetti, consapevolezza dei movimenti indipendentemente dall’oggetto, conoscenza dell’organizzazione di singole azioni in sequenze). Ipotizza che la conoscenza e le rappresentazioni degli oggetti e delle azioni siano immagazzinate nel lobo parietale sinistro (compreso il giro angolare e sopramarginale) e in seguito trasformate in un segnale dalla corteccia premotoria (soprattutto dall’area motoria supplementare), usato in seguito dalla corteccia motoria per eseguire l’azione (Gross, 2008). Successivamente, Roy and Square (1985) e Roy (1997) hanno proposto un modello a tre sistemi per rendere conto dell’esecuzione di movimenti finalizzati e dei deficit esibiti dai pazienti aprassici: sistema sensoriale-percettivo, concettuale ed esecutivo. Il sistema sensoriale-percettivo gestisce le informazioni proveniente dall’esterno, di natura visiva, uditiva o tattile. Il sistema concettuale immagazzina il sapere riguardo oggetti, azioni e sequenze motorie. Il sistema esecutivo è responsabile della selezione dell’appropriato pattern motorio e della trasformazione delle informazioni sensoriali e concettuali in un 32 codice che il sistema motorio userà per controllare il movimento. Roy (1997) descrive otto pattern deficitari che emergono dalla disfunzione selettiva delle varie componenti del modello, di un solo elemento o della combinazione tra essi. Al fine di valutare la compromissione del paziente, è richiesta la somministrazione di quattro compiti: pantomima, imitazione immediata, imitazione ritardata e un compito che accerta la funzionalità del sistema semantico. Inizialmente, Roy suggerisce che un danno selettivo a carico del sistema sensoriale-percettivo comporta difficoltà nell’imitazione e nella capacità di riconoscimento dei gesti (Pattern 1). Il secondo quadro deficitario emerge dal danneggiamento del sistema concettuale (Pattern 2) . Il mancato accesso al magazzino semantico si accompagna a deficit di pantomima e riconoscimento gestuale, a fronte di una preservata capacità di imitazione. Questa forma di aprassia è stata definita “Aprassia concettuale” (Heilman, Maher, Greenwald, & Rothi, 1997). Il modello predice l’esistenza di diverse componenti all’interno del sistema esecutivo: selezione della risposta, generazione di una rappresentazione, memoria di lavoro, codifica/recupero ed organizzazione e controllo della realizzazione del gesto. Altrettanti sono i pattern deficitari associati. Nel primo, il paziente presenta un’incapacità selettiva nella pantomima, con preservata capacità imitativa e di riconoscimento (Pattern 3), suggerendo un problema nel processo di trasformazione dell’informazione semantica in un codice motorio. Questo quadro veniva definito in passato come aprassia Ideomotoria (Heilman, 1993). Una compromissione selettiva nell’imitare, in assenza di problemi di riconoscimento e di pantomima, indica una disconnessione tra i centri responsabili dell’analisi visiva dell’input e quelli responsabili della produzione del gesto (Pattern 4). Per questa regione, il deficit è stato definito da molto autori aprassia di conduzione (Ochipa, Rothi, & Heilman, 1994). Il terzo e il quarto deficit dell’area esecutiva riguardano un problema a carico della memoria di lavoro. Una disfunzione al processo di codifica nella memoria di lavoro comporta un danno selettivo nell’imitazione ritardata (Pattern 5). Un danno più generale a carico della memoria di lavoro è invece accompagnato da difficoltà nell’imitazione differita e alla pantomima (Pattern 6). L’ultimo danno esecutivo è associato a problemi nella pantomima e nell’imitazione, con risparmio della capacità di riconoscimento (Pattern 7), e alla disfunzione dei processi responsabili dell’organizzazione e del controllo dei movimenti. La letteratura passata si è riferita a questo quadro di 33 compromissioni con il termine di aprassia Ideomotoria (Heilman, Rothi, & Valenstein, 1982). L’ultimo pattern (Pattern 8) emerge come inefficienza riscontrata a più livelli del modello, con difficoltà nella performance in tutti e quattro i compiti e lesioni cerebrali diffuse. Nella disputa tra aspetti cognitivi e aspetti motori, nel 1995 Goldenberg conduce uno studio finalizzato ad indagare il ruolo che la rappresentazione generale sulla posizione e configurazione del corpo umano assume nel disturbo aprassico. Il lobo parietale sarebbe responsabile dell’apprendimento categoriale delle relazioni spaziali tra più oggetti e tra le multiple parti che costituiscono uno stesso oggetto. Per l’imitazione dei gesti, deficitaria nell’aprassia, questo apprendimento categoriale si traduce in un processo di codifica della relazione spaziale tra le singole parti del corpo (body-part coding). Il body-part coding riduce il carico visivo dell’azione dimostrata a semplici relazioni spaziali tra un ridotto numero di parti corporee separate e produce delle equivalenze tra la dimostrazione e l’imitazione, attivando una medesima rappresentazione corporea (body structural description), indipendente dalla modalità di presentazione/realizzazione dell’azione e dalla prospettiva visiva assunta. Nella teoria “spaziale-posturale”, Goldenberg ipotizza che il lobo parietale sinistro, centro di elaborazione delle relazioni spaziali piuttosto che contenitore delle rappresentazioni motorie, raffiguri il corpo umano come un oggetto multicomponenziale, codificando i movimenti in termini di rapporti spazio-temporali tra singoli distretti corporei. Una spiegazione simile viene avanzata anche per rendere conto dei problemi che i pazienti aprassici incontrano nella manipolazione degli oggetti. L’uso finalizzato di un oggetto dipenderebbe da un’abilità generale di problem solving, definita come capacità nell’inferire le proprietà funzionali dalla struttura degli oggetti. Attraverso questo meccanismo, sarebbe garantita la possibilità di usare oggetti non conosciuti e manipolare in modo alternativo oggetti familiari. Goldenberg e Spatt (2009) hanno accertato una dissociazione tra pazienti con lesioni alla corteccia temporale e deficit selettivo nel recupero della conoscenza funzionale degli oggetti, e pazienti con danno cerebrale parietale con danno specifico nelle capacità di problem solving. Tuttavia, hanno trovato pazienti che esibivano difficoltà in entrambi i compiti. Goldenberg ha concluso che, al fine di usare in modo efficiente gli oggetti, sia la conoscenza relativa alle funzioni che le abilità di problem solving dovrebbero essere intatte, anche se un danno all’ultima 34 provoca una maggiore compromissione nella prestazione. L’imitazione dei movimenti e la manipolazione degli oggetti risultano quindi deficitarie per l’impossibilità di rappresentare le relazioni spaziali tra le parti del corpo, tra le componenti degli oggetti, e tra corpo ed oggetto (Goldenberg, 1995; 1997; 2009). In aggiunta, al fine di indagare la natura cognitiva del disturbo e il coinvolgimento dell’emisfero sinistro, Goldenberg, Hermsdörfer and Spatt hanno condotto uno studio indagando la cinematica della traiettoria dell’azione, in un compito di imitazione di gesti non significativi. L’obiettivo era valutare la componente di pre-programmazione interna del movimento di entrambe le mani. La maggior parte dei soggetti con lesione a carico dell’emisfero sinistro esibiva movenze non fluenti ed esitanti, e dipendenza dal meccanismo di feedback visivo per una corretta esecuzione. Inoltre, all’interno del gruppo sono state trovate dissociazioni: alcuni pazienti, nonostante presentassero un incorretto posizionamento finale della mano, mostravano un profilo cinematico normale. Gli autori conclusero che il disturbo aprassico è prevalentemente associato alla presenza di un danno cerebrale sinistro ed a un fallimento nella determinazione della posizione target, piuttosto che ad un deficit di esecuzione motoria. Il meccanismo di feedback risulta essere una strategia compensatoria piuttosto che l’origine degli errori aprassici. Il modello di Cubelli et al. (2000) nasce dall’esigenza di indagare esclusivamente gli aspetti cognitivi del deficit aprassico. Prendendo le mosse dal modello cognitivo di Rothi et al. (1991), introduce un meccanismo di conversione visuomotoria, funzionale alla trasformazione dell’informazione visiva nell’appropriato comando motorio. Un’ulteriore differenza rispetto al modello originale consiste nella soppressione delle via che unisce i due lessici delle azioni. L’eliminazione di un collegamento diretto è stato giustificato dalla mancanza di evidenza empirica dell’esistenza di pazienti in grado di eseguire azioni familiari con significati incomprensibili, ma non gesti non familiari. In aggiunta, il modello predice che le due vie, semantica e non semantica, convergano in un magazzino a breve termine (buffer) motorio, capace di mantenere attiva la rappresentazione il tempo necessario per la sua implementazione. Il ruolo del buffer motorio sarà in seguito discusso e validato da Bartolo et al. (2000) e da Rumiati & Tessari (2002). Il modello predice l’esistenza di cinque diversi quadri clinici: (1) deficit del lessico d’azione in entrata, che produce agnosia nella pantomima; (2) deficit della memoria semantica motoria, che 35 comporta aprassia concettuale in assenza di un disturbo ideomotorio; (3) deficit del lessico d’azione in uscita, associato ad aprassia concettuale con preservata capacità di associare ai gesti l’adeguato significato; (4) deficit del meccanismo di conversione visuomotorio, che comporta aprassia di conduzione (unico pattern deficitario non osservato sperimentalmente nello studio); (5) deficit a carico del buffer motorio, origine dell’aprassia ideomotoria ed ideativa. Buxbaum et al. (2000) descrissero il caso di un paziente, con IMA progressiva, che mostrava una compromissione non inquadrabile dai modelli cognitivi fino a quel momento elaborati. Il paziente, BG, mostrava difficoltà nell’esecuzione di gesti su comando verbale, su presentazione visiva degli oggetti e su imitazione, ma utilizzava normalmente gli oggetti tenuti in mano, con risparmio della capacità di riconoscimento delle azioni. Inoltre, il deficit risultava marcato nei compiti di imitazione di gesti non significativi e nei compiti che richiedevano una trasformazione spaziomotoria dell’informazione relativa alla posizione del corpo. Un simile pattern deficitario suggeriva che il disturbo traesse origine al di fuori del sistema semantico: risultavano compromessi i meccanismi responsabili della codifica della posizione dinamica delle parti del corpo, proprio ed altrui; in una parola, il Body Schema (BS). Buxbaum (2000) aggiunse il BS nel modello a due vie elaborato da Rothi (1991), definendolo un substrato comune per l’elaborazione delle caratteristiche familiari (semantiche) ed on-line (non semantiche) del gesto, e suggerendo la corteccia parietale posteriore (PPC) come possibile correlato neurale. Il lavoro descritto non è l’unico tentativo di associazione dell’IMA ad un disturbo della rappresentazione corporea. Schwoebel et al. (2005) hanno trovato un’associazione sorprendente: il 51% dei pazienti con aprassia post ictus considerati aveva difficoltà in almeno uno dei compiti somministrati per valutare la presenza di disturbi della rappresentazione corporea. La letteratura recente distingue tre diversi tipi di rappresentazione del corpo. La prima, definita Boby Schema (Pick, 1922; Head & Holmes, 1911; Von Bogaert, 1934; Lhermitte, 1937; Schilder, 1935), è una rappresentazione multisensoriale, dinamica, costantemente aggiornata nel tempo e nello spazio, della posizione delle diverse parti del corpo. Il BS interagisce con il sistema motorio nella generazione di azioni, essendo in parte responsabile dei processi di controllo on-line, dei meccanismi di imitazione e di 36 immaginazione corporea (Coslett et al., 1998, 2008; Schwoebel et al., 2001, 2002). Studi di neuroimmagine funzionale (Sirigu et al., 1995, 1996; Parsons et al., 1995; Jannerod et al., 2001; Grezes et al., 2001) suggeriscono che i movimenti realmente eseguiti e quelli mentalmente simulati si basano sul BS, e che la corteccia parietale posteriore giochi un ruolo chiave. La seconda rappresentazione, Body Structural Description (BSD), è una mappa topologica del corpo, visiva, responsabile della definizione dei confini e rapporti di contiguità tra le parti del corpo (Sirigu et al., 1991; Boxhaul & Coslett, 2001). L’autotopagnosia, incapacità di denominazione delle parti corporee, rappresenta un problema specifico del BSD (Pick et al., 1922; Ogden et al., 1985; Boxhaul & Coslett, 2001). Per ultima, la Body Image (BI) rappresenta la conoscenza semantica-lessicale, così come l’atteggiamento emotivo e le credenze, riguardo al corpo umano. Diverse sono le prove della loro dissociazione. Ma qual è il ruolo assunto dalle rappresentazioni all’interno del sistema prassico? Schwoebel et al. (2004) cercano di rispondere a questo interrogativo utilizzando il modello cognitivo di Rothi (1991) per avanzare previsioni riguardo al coinvolgimento specifico delle rappresentazioni corporee nella produzione ed imitazione di movimenti significativi e non significativi. L’analisi di regressione multipla svolta ha dimostrato che per i movimenti simbolici risultano significativi nei compiti associati al BI (allineato alla via semantica) e al BS (connesso alla via diretta), mentre il solo punteggio BS risulta predittivo della performance con i gesti non significativi. Lo studio non ha trovato nessun coinvolgimento del BSD, ma ha fornito prove della dissociazione tra le rappresentazioni e dell’esistenza di due vie nel modello. Lo stesso gruppo di lavoro ha successivamente indagato i correlati neurali sottostanti alle rappresentazioni (Schwoebel et al., 2005). Trovarono che, in linea con la dissociazione “what”/”how” (Goodale & Milner, 1992), lesioni del lobo temporale sinistro sembrano responsabili delle difficoltà nei compiti che valutavano informazioni sulla forma e sulle proprietà semantico-lessicali relative al corpo (BI E BSD), mentre lesioni frontali dorso laterali e parietali causerebbero problematiche nei compiti che richiedono la codifica online delle parti del corpo (BS). Goldenberg (1995, 1997) propose che all’origine delle difficoltà trovate nei pazienti aprassici ad imitare i gesti, sul proprio corpo così come su un manichino, ci fosse un problema alla BSD: disfunzione al processo di codifica delle relazioni spaziali tra parti corporee (Body Part Coding). I due pazienti descritti da 37 Goldenber & Hagmann (1997) mostravano deficit nella parte inferiore del giro angolare dell’emisfero destro. In alternativa alla proposta di Goldenberg, alcuni neuropsicologi hanno iniziato ad associare la difficoltà ad imitare ad un problema a carico del BS (Buxbaum et al., 2000; Schwoebel et al., 2004, 2005). Come riportato in precedenza, Buxbaum attribuì il quadro deficitario trovato nel paziente BG ad un danno all’insieme di procedure e rappresentazioni responsabili della codifica della posizione dinamica delle parti del corpo, proprio ed altrui (BS). In linea a questi risultati, Schwoebel riportò un diverso coinvolgimento delle rappresentazioni nei compiti di esecuzione ed imitazione di gesti significativi (coinvolti BI e BS) e non significativi (solo BS). In conclusione, anche se i disturbi della rappresentazione corporea sono considerati rari e hanno ricevuto poca attenzione, sembrano presentarsi con una frequenza comparabile a disordini neurologici come l’afasia e il neglect. Dato l’impatto delle difficoltà sulla vita di tutti i giorni, considerare l’aprassia sotto questa luce, può aprire importanti prospettive sia cliniche che riabilitative 38 39 1.2.3 Riabilitazione Nonostante l’alta incidenza dell’aprassia in seguito a lesione acquisita, la letteratura sul ricovero e sul trattamento del disturbo è molto limitata. Possono essere identificate diverse motivazioni per la mancanza di interesse sulle tematiche (Maher & Ochipa, 1997). In primo luogo, i pazienti non lamentano spesso i loro problemi, essendone relativamente poco consapevoli; secondariamente, il recupero spontaneo dei disturbi prassici è buono (50%); infine, la dissociazione automatico/volontaria rende il deficit di scarso impatto sulla vita quotidiana. Tuttavia, sempre più numerosi sono gli studi che dimostrano quanto l’aprassia interferisca con le attività di tutti i giorni. Ad esempio, Goldenberg et al., (2001) hanno trovato una maggiore compromissione nelle attività della vita quotidiana (ADL) in pazienti aprassici rispetto a cerebrolesi sinistri senza aprassia e al gruppo di controllo. Sundet et al., (1988) hanno dimostrato come i pazienti aprassici abbiano bisogno di maggiore assistenza rispetto ai pazienti che soffrono di altri disturbi neuropsicologici. In altri due lavoro sono stati trovati risultati simili: Hanna-Pladdy et al., (2003) accertano una relazione significativa tra severità dell’aprassia e dipendenza fisica. Walker et al., (2004) studiano l’impatto delle compromissioni cognitive sulla difficoltà nel vestirsi in pazienti aprassici in seguito ad ictus (Cappa et al., 2005). Inoltre, la presenza del disturbo aprassico rallenta il processo di riabilitazione in pazienti emiparetici e riduce la capacità di comunicare attraverso i gesti in pazienti con afasia severa. Considerati insieme, questi risultati suggeriscono che il trattamento dell’aprassia dovrebbe sempre essere parte di un generale programma riabilitativo dopo una lesione cerebrale. I trattamenti rivelatisi efficaci per riabilitare il disturbo aprassico possono essere distinti in due categorie: metodi restituivi e compensativi (Cantagallo et al., 2012). Mentre la riabilitazione di tipo restituivo tratta direttamente i processi danneggiati per recuperare il circuito funzionale usato prima della compromissione, quella di tipo compensativo sfrutta i sistemi cognitivi risparmiati dalla lesione per promuovere l’apprendimento di strategie alternative per compensare le difficoltà. Alla categoria restituiva appartengono il trattamento sull’esecuzione di gesti ideato da Smania et al. (2000, 2006) e l’addestramento direttivo ed esplorativo proposto da Goldenberg et al. (1998, 2001). La strategia di compensazione più ampiamente utilizzata è il trattamento strategico sviluppato dal gruppo olandese (Donkervoort et al., 2001; Geusgens et al., 2006; 40 Geusgens et al., 2007; van Heughten et al., 1998; van Heughten et al., 2000). La revisione sui trattamenti riabilitativi condotta da Buxbaum et al. (2008), presenta dieci tecniche efficaci per il recupero dell’IMA tra cui, per rigore metodologico e scelte statistiche e campionarie, risaltano le strategie restitutive e compensatorie sopra descritte. Nella riabilitazione dell’esecuzione gestuale, Smania et al. (2000) cercano di recuperare il funzionamento premorboso della produzione di gesti transitivi ed intransitivi. Il trattamento sperimentale è organizzato in tre sezioni (gesti transitivi, gesti intransitivi simbolici, gesti intransitivi non simbolici), le prime due delle quali sono suddivise in tre fasi (A, B, C), contenenti ognuna 20 item presentati in ordine fisso. Quando il paziente riesce ad eseguire correttamente l’85% degli item, si passa alla fase successiva. Il trattamento viene sostenuto tre volte a settimana per 50 minuti, per un totale di 10 settimane di lavoro. I pazienti sottoposti al protocollo sperimentale riportano un miglioramento nella valutazione dell’aprassia ideativa ed ideomotoria, a confronto con il gruppo di controllo; miglioramento che si estende anche ai gesti non trattati. Tuttavia, lo studio non verifica se questa generalizzazione dell’effetto influenzi anche l’abilità del paziente di eseguire le ADL. In uno studio successivo, Smania et al. (2006) conferma l’efficacia del trattamento in un campione di paziente più grande: sia immediatamente dopo l’intervento, sia due mesi dalla fine, il gruppo sperimentale dimostra un miglioramento significativo nel questionario ADL somministrato ai parenti, nei test standard per IMA e aprassia ideativa e nella capacità di comprensione dei gesti. Goldenberg et al. (1998, 2001) sviluppano il secondo metodo restituivo dimostratosi efficace per il recupero dell’aprassia. In un lavoro iniziale (Goldenberg & Hagmann, 1998) sono state somministrate tre prove ADL (mangiare, vestirsi e pettinarsi) a 35 pazienti con afasia, aprassia ed emiplegia destra. Gli errori commessi sono stati distinti in riparabili o fatali per il risultato dell’azione. Nel trattamento sperimentale sono state affiancate due diverse strategie: il completamento senza errori e l’addestramento sui dettagli dell’azione. Mentre il primo è finalizzato ad aiutare il paziente a completare l’intera attività quotidiana commettendo il minor numero di errori e fornendogli il supporto necessario ad ogni passaggio critico (direttivo), il secondo cerca di portare l’attenzione del paziente sul significato funzionale che le caratteristiche e i dettagli degli oggetti assumono in vista della pianificazione motoria (esplorativo). In altre parole, l’ultima strategia cerca 41 di recuperare la capacità di inferire la funzione dalla struttura degli oggetti e l’abilità del problem solving. La combinazione tra i due metodi porta ad un miglioramento nelle ADL trattate, ma non si ottiene una generalizzazione dell’effetto. Inoltre, il successo della terapia si attesta anche a sei mesi dalla fine dell’intervento solo nei pazienti che continuano le attività a casa. Un secondo studio (Goldenberg et al., 2001) venne ideato per accertare il contributo singolo delle due strategie, direttiva ed esplorativa. Gli autori hanno concluso che il trattamento direttivo riduce il numero degli errori e la necessità di assistenza, e che ha in generale un effetto più efficace e duraturo del metodo esplorativo. I trattamenti riabilitativi di tipo compensativo, per definizione, cercano di trovare i meccanismi che compensano ciò che è andato perso. Una strategia di questo tipo è stata per la prima volta descritta da Van Heugten et al.(1998). Con l’obiettivo di aiutare i pazienti ad essere più indipendenti nelle attività quotidiane, venivano insegnate strategie compensative esterne (immagini o appunti scritti) ed interne (facendo affidamento sulle funzioni cognitive rimaste) per migliorare l’esecuzione motoria. Il trattamento strategico prevede la distinzione di tre fasi (iniziazione, esecuzione e controllo), in cui possono essere presentati i vari suggerimenti. L’efficacia dell’intervento è stata valutata tramite test specifici dell’aprassia, prove sul funzionamento motorio, osservazione delle ADL, questionario sulle ADL somministrato al terapista occupazionale e l’indice Barthel. Lo studio riporta un miglioramento significativo in tutte le misure. Tuttavia, l’effetto è più marcato per il questionario delle ADL rispetto ai test sul funzionamento motorio, suggerendo che il trattamento incide di più sulle funzioni motorie di alto livello. I risultati di un lavoro successivo dello stesso gruppo (2000), dimostrano che l’intervento strategico non viene influenzato dalla comorbidità con altri deficit cognitivi, che l’effetto risulta maggiore nei pazienti più compromessi, e che nessuna variabile demografica è in grado di predire l’esito riabilitativo. Differentemente dallo studio di Van Heugten, privo del confronto con un trattamento alternativo, il gruppo di controllo del lavoro di Donkervoort et al. (2001) è stato coinvolto in una terapia occupazionale strandard. I 48 pazienti sottoposti al trattamento strategico migliorarono statisticamente di più dei 49 soggetti del gruppo di controllo, nell’osservazione delle ADL e nell’indice Barthel. Tuttavia, l’effetto non è duraturo: a cinque mesi di distanza dalla fine dell’intervento, non fu trovata nessuna differenza tra i due gruppi. L’ultimo studio (Geusgens et al., 2007) trova 42 che, nei 29 pazienti sottoposti al trattamento per otto settimane, l’acquisizione di strategie compensatorie può essere trasferita alle attività non trattate. Inoltre, il miglioramento viene mantenuto per cinque mesi dall’inizio dell’intervento. Nell’insieme, i trattamenti riabilitativi di tipo restituivo e compensativo risultano funzionali alla riduzione delle difficoltà aprassiche e al miglioramento delle attività di tutti i giorni, dimostrando però in rari casi un effetto duraturo nel tempo e generalizzabile ai movimenti non trattati. Da qui nasce l’esigenza di testare nuove strategie d’intervento. Un recente lavoro suggerisce che la tDCS possa essere una valida opzione terapeutica per l’aprassia degli arti (Bolognini et al., 2014). In modo alternativo, si può pensare ad un trattamento che lavori sulla tendenza spontanea dei pazienti aprassici a sovrastimare l’importanza del feedback visivo durante l’esecuzione ed il controllo del movimento, sfruttando questa modalità sensoriale per inviare informazioni corrette circa i movimenti da eseguire, in modo da sollecitare, e magari ripristinare, una corretta programmazione motoria. Lo strumento che risponde a questa esigenza, largamente impiegato anche per il recupero motorio, è la Mirror Box (MB). La Mirror Box Therapy (MBT) fu inizialmente ideata ed impiegata da Ramachandran (1996) come strategia di trattamento del fenomeno dell’arto fantasma. La MB consiste in uno specchio posto in corrispondenza della linea mediana ed allineato con il piano medio-saggitale del corpo del paziente. Il paziente è invitato a porre il braccio sano parallelamente allo specchio: in questo modo l’immagine riflessa del braccio integro corrisponderà all’immagine dell’arto amputato. Lo specchio permette di “vedere” che non c’è nulla che causa dolore nel braccio ora “risorto”; in altre parole contraddice l’esperienza dolorifica, che così si attenua. Secondo Ramachandran, è una questione di come i vari segnali sono pesati ed integrati nella costruzione della rappresentazione corporea e nell’attenuazione del dolore. La MB si è dimostrata un efficace strumento riabilitativo non solo per l’arto fantasma, ma anche per altre condizioni cliniche come l’emiplegia post ictus (Altschuler et al., 1999; Michielsen et al., 2011; Sathian et al., 2000; Yavuzer et al., 2008), paraparesi (Moseley, 2007), e il dolore cronico (Karmarkar & Lieberman, 2006; Tichelaar, et al., 2007; McCabe et al., 2003; Ramachandran & Seckel, 2010; Selles et al., 2008). Per quanto riguarda l’emiplegia, Altschuler et al. (1999) ritiene che la MB possa intervenire sulla plasticità maladattiva che consegue ad un ictus. La riorganizzazione cerebrale post-ictus, anche se funzionale da un 43 punto di vista anatomico, risulta disfunzionale da un punto di vista motorio, diventando causa della componente appresa della paralisi. La MB segnala nuovamente la presenza visiva dell’arto affetto, che richiede di essere rappresentato a livello cerebrale, minimizzando l’effetto del non-uso appreso. Diversi studi hanno accertato l’efficacia dello strumento riabilitativo sul recupero motorio, indagando in aggiunta i correlati neurali che rendono possibile l’effetto su pazienti post-ictus (Sutbeyaz et al., 2007; Yavuzer et al., 2008; Michielsen et al., 2011; Lee et al., 2012; Invernizzi et al., 2012; Ching-Yi Wu, 2013). La MB sembrerebbe provocare una maggiore attivazione delle aree responsabili dell’attenzione spaziale e della consapevolezze del sé (corteccia prefrontale dorsolaterale, cingolare posteriore, precuneo), nel sistema nei neuroni specchio (corteccia premotoria e giro temporale superiore) e nel circuito motorio ipsilaterale alla mano riflessa nello specchio (corteccia motoria) (Matthys et al., 2009; Michielsen et al., 2011; Ching-Yi Wu et al., 2013, Deconinck et al., 2014). Dato l’impatto su molteplici network corticali, la MB può servire come strumento versatile per il ricovero di diversi aspetti della compromissione motoria, anche se alcune indagini ne ridimensionano l’impatto, dimostrando l’efficacia dello strumento in un solo sottogruppo del campione considerato (Brodie et al., 2007), o l’equivalenza di risultati rispetto ad altre tecniche (Moseley et al., 2008). Al momento, la performance motoria sembrerebbe migliorare maggiormente se lo strumento viene impiegato in fase subacuta (Stevens et al., 2003; Dohle et al., 2009), e se coinvolte entrambe le mani. Ma qual è il meccanismo cognitivo responsabile dell’efficacia della MB? Una prima proposta viene dai lavori iniziali di trattamento del dolore dell’arto fantasma (Ramachandran et al., 1996): la MB fornirebbe un segnale visivo in accordo con l’intenzione motoria, generando una rappresentazione multisensoriale necessaria per la pianificazione e l’esecuzione del movimento, per la costruzione della rappresentazione corporea e per l’attenuazione del dolore. Oltre a ripristinare una congruenza visuomotoria, la MB riuscirebbe ad influenzare positivamente l’attività neurale, aiutando a correggere la plasticità maladattiva che consegue alle amputazioni o ai deficit motori e che sarebbe la causa di alcune esperienze riportate dai pazienti, quali il fenomeno dell’arto fantasma e il dolore cronico da amputazione (Altschuler et al., 1999; Flor et al., 1995). Nel caso dell’emiplegia, il movimento riflesso di una mano funzionante 44 lavorerebbe direttamente sui cambiamenti plastici responsabili della componente appresa della paralisi (learned non-use). Altri autori attribuiscono l’effetto della MB alla sola osservazione delle parti del corpo (Longo et al., 2009), anche senza l’esecuzione di movimenti volontari sincronizzati. L’effetto positivo della semplice osservazione del movimento è il fondamento logico di altre tecniche riabilitative, come l’immaginazione motoria, l’imitazione ed i paradigmi osservazione-azione, osservazione-esecuzione (Franceschini et al., 2010; Garrison et al., 2010; Munzert et al., 2009; Small et al., 2010). Il feedback visivo proveniente dallo specchio potrebbe esercitare il suo effetto in due diversi modi. Da un lato, l’informazione visiva attiverebbe il sistema dei neuroni specchio (Iacoboni et al., 2007; Small et al., 2010), consentendo una preattivazione motoria dell’arto compromesso nascosto dalla MB. L’ipotesi trova sostegno dalla dimostrazione dall’aumento dei potenziali motori-evocati (MEPs) della mano nella MB alla sola visione del riflesso dell’altro arto (Garry et al., 2005; Funase et al., 2007). Dall’altro lato, la MB promuoverebbe la modulazione della rappresentazione sensoriale della mano compromessa indotta dal riflesso visivo dello specchio (mirror visual feedback, MVF). L’effetto si manifesterebbe per la dominanza dell’input visivo sulle altre informazioni sensoriali. Tramite un processo di cattura visiva, il MVF influenzerebbe tutte le altre informazioni provenienti dai vari canali sensoriali come, per esempio, nell’illusione della mano di gomma, dove l’informazione visiva permette di “sentire” la stimolazione tattile come se fosse somministrata sulla mano aliena, e non sulla propria (Botvinick & Cohen, 1998). Tuttavia, un recente studio dimostra sperimentalmente come i meccanismi sopra descritti riescano a spiegare solo parte dell’effetto della MB (Romano et al., 2013). In quattro diversi esperimenti comportamentali, è stata effettuata una valutazione propriocettiva della mano nascosta nella MB in 48 soggetti durante l’osservazione dei movimenti riflessi nello specchio, eseguiti con la mano fuori dalla strumento. Dalla procedura sono emersi due effetti: riduzione della sensibilità cinestetica in relazione ai movimenti passivi e presenza di movimenti involontari e inconsapevoli nelle dita nascoste nella MB, suggerendo una riduzione della consapevolezza motoria. Il soggetto “sente”, in termini propriocettivi, nella mano nascosta quello che succede all’altro arto davanti allo specchio. L’illusione è inducibile anche passivamente e senza intenzionalità. Inoltre, dai risultati emerge che l’induzione di false sensazioni di movimento si osservano 45 nell’immediato. L’istantaneità dell’effetto è contraria alla spiegazione di riconversione della plasticità mal adattiva, per la quale sarebbe necessario un intervallo di tempo maggiore. Lo stesso effetto risulta persistente, somatotopicamente specifico e dipendente dal contesto: infatti, la sola osservazione del riflesso del dito, privato della cornice “mano”, non modifica la percezione propriocettiva. I neuroni specchio, invece, mostrano un effetto anche in assenza del contesto di riferimento. Secondo Romano et al., la MB permetterebbe l’incorporazione (embodiment) dell’immagine visiva dello specchio entro la propria rappresentazione corporea, influenzando la sensibilità cinestetica dell’arto nascosto dallo strumento. In altre parole, la sensibilità cinestesica risulta maggiore per l’arto riflesso, incorporato nel Body Schema (BS), rispetto alla mano reale nascosta dietro allo specchio. Per embodiment si intende il processo di attribuzione al proprio corpo di specifiche proprietà degli oggetti esterni (de Vignemont et al., 2011). Prove a sostegno del meccanismo di incorporazione provengono dagli studi condotti sulla riabilitazione della sensazione della mano aliena, noto disturbo della rappresentazione corporea (Takasugi et al., 2011; Romano et al., 2014). Come illustrato in precedenza, diversi autori hanno messo in relazione l’aprassia ideomotoria ad un problema della rappresentazione del corpo (Goldenberg et al., 1998; Buxbaum et al., 2000). La MB, intervenendo sul Body Schema, potrebbe facilitarne il processo di recupero. Da queste considerazioni nasce l’ipotesi sperimentale del presente lavoro. 46 47 1.3 Ipotesi sperimentale L’obiettivo principale del presente lavoro è testare la Mirror Box (MB) come strategia d’intervento riabilitativo per il recupero dell’aprassia ideomotoria (IMA). Attualmente, la MB è uno strumento utilizzato nel trattamento di sindromi dolorose (dolore cronico o esperienza dolorosa associata al fenomeno dell’arto fantasma) e nel recupero motorio (emiplegia, amputazioni). L’ipotesi di lavoro è che il riflesso nello specchio di un movimento corretto, verrebbe incorporato nella rappresentazione corporea, attraverso un meccanismo di embodiment, migliorando la programmazione motoria nei pazienti affetti da IMA. La rappresentazione multisensoriale e dinamica delle parti del corpo (Body Schema,BS) trarrebbe giovamento dalla ritrovata congruenza tra intenzione motoria e feedback visivo. La ridefinizione del Body Schema ad opera della MB dovrebbe beneficiare i diversi disturbi della rappresentazione corporea. Poiché diversi autori hanno definito l’IMA come disturbo nella rappresentazione delle parti del corpo, è interessante indagare l’effetto dello strumento nel recupero del disordine. Sono stati coinvolti nel disegno sperimentale 5 pazienti con diagnosi di IMA. Dopo una settimana dalla valutazione neuropsicologica iniziale, funzionale alla valutazione di un possibile effetto di recupero spontaneo, sono stati sottoposti alla Mirror Box Therapy per un periodo di due settimane. Il trattamento consisteva in incontri di 20 minuti da inserire all’interno del protocollo riabilitativo fisiatrico e neuropsicologico standard dell’ospedale di riferimento. Nei tre tempi definiti dal progetto (valutazione iniziale, inizio e fine dell’intervento riabilitativo) sono state somministrate due prove standardizzate di valutazione dell’IMA (test De Renzi, 1980; Spinler & Tognoni, 1987). Il confronto tra l’ultima valutazione alla fine dell’intervento e le somministrazioni precedenti ha permesso di misurare l’effetto della riabilitazione tramite MB. 48 49 Capitolo 2: Materiali e Metodi 2.1 Pazienti I cinque soggetti che hanno preso parte al progetto sono stati reclutati nel reparto di Medicina Fisica e Riabilitazione dell'Ospedale Bassini (Cinisello Balsamo, Milano), nell’Unità Operativa di Recupero e Rieducazione Funzionale e Degenza di Riabilitazione Specialistica con Day Hospital dell’Ospedale Angelo Bellini (Somma Lombardo, Varese) e nel Presidio Riabilitativo Multifunzionale Don Primo Mazzolari (Bozzolo, Mantova). Tutti ricoverati in seguito ad un ictus, sono stati a noi segnalati per la presenza di sintomi associabili ad Aprassia Ideomotoria (IMA), in seguito accertata mediante test neuropsicologici specifici (De Renzi et al., 1980; Spinnler & Tognoni, 1987). Precedentemente al loro coinvolgimento, il protocollo è stato letto e accettato dai pazienti e dai loro parenti. Paziente GB: Donna di 79 anni, destrimane, con 4 anni di scolarità. È stata ricoverata a causa di un ictus ischemico intracerebrale nella regione cortico-sottocorticale temporoparietale sinistra, come documentato dalla RM (Fig. 1). GB è stata valutata per il protocollo sperimentale un mese dopo l’evento ischemico. La paziente era orientata rispetto agli eventi spazio-temporali e autobiografici e mostrava consapevolezza della sua malattia e dei deficit neurologici e neuropsicologici associati. Nello specifico, GB si lamentava di non riuscire a muoversi come voleva e di trovare difficoltà nel recuperare le giuste parole quando parlava. Nonostante la comprensione verbale risultasse compromessa ai test, si è dimostrata sufficientemente buona per garantire un’ottimale comprensione ed esecuzione dei compiti sperimentali. La paziente ha mostrato alta motivazione e collaborazione sia durante la valutazione che durante l’intera permanenza nell’unità riabilitativa. La valutazione neuropsicologica (Tab. 1, in Appendice) ha evidenziato deficit multipli: anomia, aprassia e comprensione linguistica in particolare. Inoltre, l’esame neurologico standardizzato (Bisiach et al., 1986; Bisiach et al., 1983) ha mostrato ipostenia per la mano destra ed estinzione tattile. Paziente SP: Donna di 75 anni. Presenta una storia medica complessa, caratterizzata da tre ictus cerebrali. Le immagini funzionali al momento del ricovero mostrano un focolaio 50 emorragico parieto-occipitale destro; nella precedente RM si rilevano due pregresse ischemie sinistre. La paziente ha dimostrato uno scarso orientamento spazio-temporale, soprattutto rispetto agli eventi della propria vita. Consapevole della malattia e dei deficit associati, per quanto si riconosceva motivata nel percorso generale di riabilitazione, si mostrò poco collaborativa. In particolare, SP era spesso preoccupata del significato che i suoi deficit avrebbero assunto nella vita di tutti i giorni, si lamentava di non riuscire a muoversi come voleva e mostrava un atteggiamento rinunciatario. Nonostante i problemi di attenzione, di limitazione del campo visivo, e di comprensione linguistica rilevati, la paziente ha mostrato una comprensione del paradigma sperimentale sufficientemente buona per giustificare il suo coinvolgimento. La valutazione neuropsicologica (Tab. 2, in Appendice) ha evidenziato molteplici deficit: anomia, attenzione, negligenza spaziale unilaterale, comprensione linguistica e aprassia. SP ha avuto una prestazione molto deficitaria nei compiti di imitazione, con numerose ripetizioni di schemi motori attivati in precedenza e miglioramento della prestazione su comando verbale e su associazione gesti-stimoli acustici. La paziente, inoltre, non sempre selezionava le parole correttamente mostrando una predominanza di parafasie fonologiche rispetto a quelle semantiche. In conclusione, l’esame neurologico standardizzato ha rilevato estinzione tattile, ipostenia destra e riduzione del campo visivo, con scarsa capacità di riconoscimento dei movimenti distali. Paziente PP: Donna di 62 anni, destrimane, con 8 anni di scolarità. È stata ricoverata per deficit motorio lateralizzato all’emisoma destro ed impaccio del linguaggio a seguito di un’estesa lesione ischemica in sede fronto-parieto-temporale sinistra, come documentato dall’immagine funzionale (Fig. 2). PP è stata valutata per il protocollo sperimentale circa due mesi dopo al suo ricovero nel reparto di riabilitazione, finalizzato alla rieducazione motoria e alla terapia medica per emiparesi destra ed afasia globale. La storia medica della paziente annovera più episodi di depressione maggiore e un intervento di isterectomia per neoplasia. L’esame neurologico iniziale rileva una situazione normotipo, in buone condizioni. PP durante l’intera valutazione ha tenuto un comportamento parzialmente adeguato e collaborante, talvolta un po’ oppositivo (soprattutto all’inizio) ma sempre vigile e orientato spazio-temporalmente. Nonostante il 51 deficit di comprensione verbale e di attenzione rilevato ai test psicometrici, la sua capacità si è dimostrata sufficientemente buona per eseguire correttamente il paradigma sperimentale. La valutazione neuropsicologica (Tab. 3, in Appendice) ha evidenziato diversi deficit cognitivi: aprassia ideomotoria, difficoltà di ragionamento non verbale e linguistiche. Nello specifico, PP è risultata deficitaria al test di comprensione orale di frasi progressivamente strutturate (Token Test di De Renzi et al.,1962). La batteria ENPA (Capasso, Miceli, 2001) ha portato all’individuazione di un quadro di afasia non fluente, caratterizzata da gravissimi deficit di produzione orale ed eloquio contraddistinto dall’uso quasi sempre appropriato di SI/NO e di isolate singole parole. Il Test di AIM (De Renzi et al, 1980) ha mostrato un risultato ai limiti della norma, ma il punteggio al test dei movimenti significativi (Spinnler & Tognoni, 1987) ha rilevato una forte compromissione. Paziente PMP: Donna di 70 anni, destrimane, con 8 anni di scolarità. Ricoverata in seguito ad un evento emorragico sinistro. Il referto della Risonanza Magnetica evidenzia una lesione localizzata in sede cortico-sottocorticale frontale sinistra, responsabile di trazione dei solchi della convessità adiacente e dilatazione dell'atrio. All’ammissione nel reparto di riabilitazione la paziente presentava disturbi del linguaggio, afasia globale ed emiplegia destra. La risonanza magnetica (Fig. 3) rilevava anche una precedente lesione temporo-laterale destra. Le valutazioni riportate in seguito sono state effettuate 4 mesi e mezzo dopo il ricovero della paziente. PMP mostra alta consapevolezza delle difficoltà motorie e cognitive emerse in seguito all’emorragia. Infatti, l’esame neurologico standardizzato (Bisiach, 1986; Bisiach, 1983) ha evidenziato assenza di anosognosia. Dallo stesso è emersa solamente una moderata estinzione tattile. La paziente risulta orientata spazio-temporalmente: diversi sono stati i riferimenti al periodo dell’anno corrente e al paese di residenza, oltre alle indicazioni fornite utili alla localizzazione della sua stanza in reparto. Nella comunicazione, la paziente si mostra sufficientemente attenta e concentrata e manifesta le proprie emozioni e sensazioni (soprattutto di dolore) tramite la mimica facciale. La valutazione neuropsicologica (Tab. 4, In Appendice) ha evidenziato la presenza di una compromissione cognitiva globale di grado moderato, con particolare compromissione delle abilità di espressione linguistica e aprassia ideomotoria, cui si associa compromissione a livello delle funzioni esecutive (marcato rallentamento 52 psicomotorio, deficit di astrazione, pianificazione, controllo dell'inibizione). PMP mostra un’iniziale difficoltà nella comprensione della modalità di utilizzo della MB. Durante la fase di familiarizzazione con lo strumento, l’attenzione della paziente viene continuamente catturata dai movimenti della mano dello sperimentatore, non riuscendo a mantenere lo sguardo fisso sullo specchio. Pochi minuti di pratica sono serviti per superare questi inconvenienti, forse anche giustificati dalla perplessità della paziente riguardo all’efficacia e all’utilità della procedura per i suoi disturbi e alla sua affaticabilità. Successivamente, la paziente si mostra motivata nonostante si stanchi molto facilmente e abbia bisogno di un lavoro rallentato. Paziente FL: uomo di 74 anni, con 3 anni di scolarità. Ricoverato in reparto di riabilitazione con diagnosi di emisindrome facio-brachio-crurale destra, aprassia ideomotoria, disturbi cognitivi, emianopsia e deficit di eloquio, mostra alla TC encefalo un’area ischemica parieto-occipitale, più esiti ischemici frontali sinistri. Nella RM si evidenzia un infarcimento emorragico della lesione parieto-occipitale sinistra associato ad un quadro di encefalopatia vascolare cronica avanzata (Fig. 4). L’esame obiettivo all’ingresso rileva buone condizioni generali, rallentamento e deficit attentivo-aprassico. Le valutazioni neuropsicologiche in seguito riportate sono state effettuate un mese dopo il ricovero. Il paziente ha piena consapevolezza delle accertate difficoltà di linguaggio (batteria ENPA ; Capasso, Miceli, 2001). FL riferisce difficoltà ad esprimersi; asserisce di capire cosa gli altri dicono e di essere capito dagli altri. La consapevolezza permane anche in relazione agli eventi personali e spazio-temporali. Inoltre, dimostra di avere coscienza della disparità esistente tra i suoi movimenti e quelli esibiti dal neuropsicologo/terapista, ma non del motivo delle sue difficoltà. Giustifica ogni difficoltà come conseguenza del lavoro manuale logorante svolto nel corso della vita (meccanico) e dell’inusualità dei gesti usati sia in fase valutativa che riabilitativa, rispetto a quello abitualmente eseguiti. Non sembra collegare l’evento ischemico alle complicazioni cognitive emerse, né accettare interamente le difficoltà che emergono dalla valutazione neuropsicologica (Tab. 5, in Appendice). Ad esempio, dopo l’accertamento di problemi di scrittura, FL porta un foglio da casa, interamente firmato in corsivo , come prova del fatto che i problemi emersi in fase valutativa dipendessero dall’uso dello stampatello. E’ possibile differenziare un’alta 53 consapevolezza della prestazione deficitaria e una bassa consapevolezza delle ragioni sottostanti alla stessa in ogni funzione cognitiva testata. Problemi di comprensione e di attenzione rendono difficoltoso, solo in un primo momento, il lavoro tramite Mirror-Box. Queste difficoltà vengono interamente superate con la pratica dello strumento, il cui corretto impiego viene confermato dalla confusione sull’appartenenza dell’arto riflesso dalla Mirror-Box osservata durante la riabilitazione. ll paziente mostra perplessità riguardo alla scelta di impiegare uno specchio come mezzo di riabilitazione, ma si dimostra curioso e fiducioso dei possibili benefici, riconosciuti in prima persona al termine del trattamento. 54 (Figura 1. Risonanza Magnetica del paziente GB. L’immagine rileva una lesione cortico-sottocorticale temporo-parietale sinistra). (Figura 2. Risonanza Magnetica del paziente PP. L’immagine dimostra un’estesa lesione ischemica in sede frontoparieto-temporale sinistra) 55 (Figura 3. Risonanza Magnetica del paziente PMP. L’immagine evidenzia una lesione cortico-sottocorticale frontale sinistra e precedente lesione temporo-laterale destra ) (Figura 4. Risonanza Magnetica del paziente FL. L’immagine evidenzia un’area ischemica parieto-occipitale, più esiti ischemici frontali sinistri). 56 57 2.2 Valutazione Aprassia Ideomotoria Abbiamo valutato la presenza di IMA durante il periodo di ospedalizzazione dei pazienti, attraverso l’impiego di diversi test diagnostici standardizzati. Le valutazioni sono state basate sui movimenti effettuati dai pazienti con la mano preservata da deficit motori (generalmente quella sinistra). Inizialmente, l’IMA è stata misurata utilizzando il protocollo designato da De Renzi (De Renzi, Motti, & Nichelli, 1980), costituito da 24 movimenti diversi, da riprodurre tramite imitazione: metà “simbolici” (ad esempio, il segno “OK”) e metà “non simbolici” (per esempio, “palmo sulla spalla opposta”); metà richiedenti movimenti delle sole dita (posizione fissa) e metà coinvolgenti la mano se non addirittura l’intero arto (sequenza motoria). L’esaminatore mostrava ogni gesto, uno alla volta, con la mano destra, alla stessa velocità di esecuzione. I pazienti avevano ricevuto istruzione di imitare i gesti usando la mano senza deficit motori di base (generalmente quella sinistra). La dimostrazione di ogni movimento da parte dell’esaminatore iniziava e finiva nella stessa posizione del tavolo. Il paziente aveva il compito di guardare l’intera esecuzione del gesto e di iniziare l’imitazione appena l’esaminatore, finita la presentazione, toccava di nuovo il tavolo. Se un gesto non veniva riprodotto correttamente in seguito alla prima dimostrazione, si proseguiva ad una seconda presentazione, fino ad un massimo di tre. I punteggi per ogni item variano da 0 a 3 punti (3= corretta riproduzione dopo il primo tentativo, 2= corretta imitazione al secondo tentativo, 1= corretta riproduzione dopo la terza dimostrazione, 0= incorretta imitazione dopo la terza presentazione del gesto). I punteggi totali variano da un minimo di 0 ad un massimo di 72 punti, con un punteggio di cut-off di 53 punti. Un risultato inferiore al 53 rappresenta quindi l’ indicatore della presenza di IMA, nonché criterio di inclusione al nostro paradigma sperimentale. Il test è stato somministrato in tre tempi differenti: durante la valutazione neuropsicologica generale effettuata al momento del ricovero del paziente (T0), dopo una settimana ma prima della terapia con Mirror Box (T1) e, per finire, dopo due settimane di riabilitazione specifica (T2). Successivamente, l’IMA è stata testata seguendo la procedura suggerita da Spinnler & Tognoni (Spinnler & Tognoni, 1987), costituita da 10 movimenti significativi, da eseguire su imitazione; lo stesso test è stato ripetuto usando la modalità di esecuzione del 58 movimento dopo comando verbale. I pazienti, sempre istruiti ad usare la mano dominante e ad iniziare l’esecuzione del movimento appena terminata la presentazione da parte dell’esaminatore, hanno ricevuto un punteggio compreso tra 0 e 20. Si assegnano 2 punti per la realizzazione corretta al primo tentativo, 1 punto per l’esecuzione corretta al secondo tentativo, 0 punti in caso di esecuzione errata o non completa anche al terzo tentativo. Un punteggio inferiore al 17 è considerato deficitario. Questo test è stato somministrato nei tre tempi già descritti (T0, T1, T2) per i pazienti PP, PMP e FL, invece per i pazienti GB e SP solo al tempo T 1 e T2. Negli ultimi due casi, la valutazione neuropsicologica iniziale (T0) è stata condotta in reparti ospedaieri nei quali il test di valutazione dei movimenti significativi ideato da Spinnler & Tognoni (1987) non viene abitualmente impiegato per la valutazione delle funzioni prassiche. La scelta di far passare una settimana tra la valutazione neuropsicologica e l’inizio della riabilitazione tramite MB risulta funzionale all’individuazione di un possibile recupero spontaneo: abbiamo ipotizzato che i cambiamenti verificati entro questo intervallo temporale potessero indicare l’esistenza di un recupero spontaneo delle capacità cognitivo-motorie del paziente. In assenza di un tale processo, ogni miglioramento evidenziato confrontando le valutazioni pre (T1) e post (T2) trattamento riabilitativo sono state condotte per indagare il possibile effetto restitutivo o compensativo della MB sulle funzioni prassiche. 59 2.3 Riabilitazione tramite Mirror Box: Metodi La Mirror Box utilizzata nel nostro protocollo sperimentale è stata costruita utilizzando uno specchio (30cm x 45cm) montato perpendicolarmente ad un supporto di legno (30cm x 60cm x 1cm). Il dispositivo era posto di fronte al paziente, seduto, in modo tale che lo specchio risultasse allineato al suo piano sagittale, al centro del campo visivo e d’azione. La distanza fissata dallo strumento, posto sopra ad un tavolo, era tale da consentire l’appoggio del braccio dei soggetti alla base di legno, tale da permetterne il suo completo riflesso nello specchio. L’obiettivo dell’impiego della MB è quello di investigare le potenzialità dello strumento in ambito riabilitativo, valutando la sua efficacia. Inoltre, si cerca di indagare la generalizzabilità degli effetti della procedura ad una situazione valutativa, che presenta caratteristiche differenti rispetto a quella allenata durante le sessioni riabilitative. I pazienti sono stati valutati, dopo aver seguito due settimane di trattamento riabilitativo con MB, attraverso valutazioni standard. Nello specifico, l’efficacia del trattamento è stata verificata mediante specifici test standardizzati per l’IMA (descritti nel dettaglio in precedenza) che richiedono l’imitazione di movimenti simbolici e non simbolici (De Renzi et al., 1980) e l’esecuzione di azioni significative sia attraverso imitazione che su comando verbale (Spinnler & Tognoni, 1987). Il programma specifico di riabilitazione iniziava una settimana dopo la valutazione preliminare neuropsicologica (T0). Consisteva in sessioni di 20 minuti da includere all’interno delle attività quotidiane di fisioterapia definite e impostate dalla struttura ospedaliera (entro i 120 minuti preposti di allenamento giornalieri, 5 giorni a settimana), per un totale di 10 sessioni di riabilitazione totali. Lo specchio veniva posizionato in corrispondenza della linea mediana e allineato con il piano medio-sagittale del corpo del paziente. I pazienti ricevevano l’istruzione di posizionare la mano sana (la stessa utilizzata per svolgere i compiti di imitazione nella fase valutativa, generalmente la sinistra) dietro allo specchio. L’altra mano, generalmente ipostenica, rimaneva ferma sotto il tavolo o comunque in posizione non visibile (nascosta, ad esempio, da un indumento). Per i pazienti che non mostravano segni di ipostenia né di emiplegia (2 pazienti), il disegno sperimentale prevedeva la riabilitazione di entrambi gli arti: 10 minuti di lavoro con la mano sinistra si alteravano a 10 minuti con la mano destra. Durante il training 60 riabilitativo, i pazienti avevano il compito di mantenere lo sguardo fisso sullo specchio. Contemporaneamente, il fisioterapista collocava una delle sue mani (opposta a quella del paziente) di fronte allo specchio, in modo tale da generare un riflesso che apparisse congruente alla mano nascosta (Fig. 5). In questa fase, fisioterapista e paziente eseguivano simultaneamente movimenti che coinvolgevano le dita o la mano, diversi da quelli utilizzati nei test. L’esecuzione dei gesti da parte dei soggetti era privata del feedback di controllo visivo della propria mano, ma poteva giovare del feedback visivo generato dal riflesso della mano del fisioterapista. Il programma di riabilitazione prevedeva di iniziare con movimenti semplici, per passare alle sequenze motorie e azioni più articolate solo in un secondo momento. Esempi di questi erano rotazione della mano, movimenti ritmici delle dita, segno di indicazione rivolto allo specchio, battere la superficie chiusa o aperta sula pannello di legno (Tab. 6, in Appendice). Il neuropsicologo che svolgeva la valutazione era sempre differente dal terapista che eseguiva la riabilitazione. (Figura 5. Rappresentazione schematica dell’organizzazione durante la MBT. Il paziente è chiamato ad imitare i movimenti con la mano sinistra nascosta dallo strumento mentre guarda nello specchio il riflesso della mano dell’esaminatore (anatomicamente congruente) eseguire un movimento). 61 62 (Figura 6. Insieme di fotografie raffiguranti la procedura di riabilitazione con MB. Il paziente è chiamato a riprodurre, con l’arto nascosto dallo strumento, i movimenti eseguiti dalla mano dell’esaminatore, riflessa nello specchio.) 63 2.3.1 Riabilitazione tramite Mirror Box: Risultati 2.3.1.1 Risultati dei casi singoli: analisi esplorativa In questa sezione si descrivono sommariamente i risultati ottenuti dai singoli pazienti nei test per valutare l’IMA. I valori riportati nel testo sono illustrati nelle figure 7, 8 e 9. GB: Dopo due settimane di riabilitazione tramite Mirror-Box, la paziente ottiene punteggi nella norma in tutte e tre le valutazioni finalizzate a valutare l’IMA. Nello specifico, nel test di De Renzi (De Renzi et al., 1980) la prestazione di GB si muove da un punteggio deficitario di 38 in T0 e 37 in T1 a un punteggio nella norma di 57 in T2. L’assenza di un recupero spontaneo (suggerita dalla mancanza di un marcato miglioramento tra T0 e T1), ci fa pensare che il cambiamento della prestazione possa essere associato all’unica variabile interveniente tra T1 e T2 : la riabilitazione tramite Mirror-Box. Nel test di valutazione dei movimenti significativi (Spinnler & Tognoni, 1987), il punteggio cambia da 9 (T1) a 17 (T2) nell’imitazione dei gesti e da 4 (T1) a 17 (T2) nella realizzazione del movimento su comando verbale. In questo caso è mancata la valutazione della prima baseline (T0), quindi non è stato possibile accertare il peso del recupero spontaneo nella normalizzazione del punteggio ottenuto. Tuttavia, l’intervento del processo riabilitativo, in base all’andamento clinico del quadro neuropsicologico noto all’ammissione in ospedale, sembra avere, per lo meno, accelerato il processo di recupero. SP: La paziente ottiene un leggero miglioramento nei tre test standardizzati specifici per l’IMA. In particolare, nel test di De Renzi (De Renzi et al., 1980), il punteggio peggiora di 6 punti durante la settimana senza trattamento ( T0 = 16; T1 = 10) , per migliorare in seguito alle due settimane di riabilitazione tramite Mirror-Box (T2 = 23). Supponendo la mancanza di recupero spontaneo, è pensabile associare il leggero miglioramento della prestazione all’intervento riabilitativo. Tuttavia, il punteggio finale di SP rimane lontano dal cut-off di normalità. La stessa ipotesi può essere avanzata per interpretare i punteggi del test di valutazione dei movimenti significativi (Spinnler & Tognoni, 1987): il punteggio migliora di 3 punti nella condizione di imitazione (T1 = 0; T2 = 3) e di un solo punto su comando verbale (T1 = 5 ; T2 = 6). Se confrontati con la paziente GB, i risultati ottenuti 64 lavorando con SP risultano avere minore portata, ma confermano il medesimo andamento nella prestazione in relazione all’intervento riabilitativo. PP: Dopo due settimane di riabilitazione con Mirror-Box, la paziente migliora in tutti e tre i test standard impiegati per valutare l’IMA, come risulta dal confronto tra le prestazioni tra T1 e T2. In due dei tre test, dimostra addirittura una prestazione nella norma. Andando nel dettaglio, nel test di De Renzi (De Renzi et al., 1980), il punteggio passa dall’essere al limite della patologia in T0 (52) e T1 (54), ad un valore pienamente nei limiti di norma in T2 (66). La differenza minima tra T0 e T1 supporta l’assenza o il ridotto recupero spontaneo, recupero che si manifesta, invece, in T2, in seguito a due settimane di trattamento riabilitativo. Nel test di valutazione dei movimenti simbolici (Spinnler & Tognoni, 1987), PP migliora in modo significativo quando chiamata ad imitare i gesti, con un punteggio nella normalità in T2 (20) rispetto a quelli deficitari ottenuti in T1 (8) e T0 (8). Su comando verbale, sebbene si attesti un miglioramento in seguito all’impiego della Mirror-Box (T0 = 2; T1 = 0; T2 = 8), il punteggio rimane al di sotto del cut-off di normalità. PMP: In tutte e tre le prove standardizzate per l’IMA, la paziente ha registrato un miglioramento della prestazione. In particolare, nel test di De Renzi (De Renzi et al., 1980), il punteggio cambia notevolmente da T1 (18) a T2 (33). Non è possibile associare l’avanzamento della performance ad un generale effetto di recupero spontaneo, considerando il marcato peggioramento registrato durante la settimana antecedente al trattamento riabilitativo (T0 = 26). Nel test di valutazione dei movimenti significativi (Spinnler & Tognoni, 1987), il punteggio cambia da 5 (T1) a 8 (T2) nell’imitazione dei gesti e da 5 (T1) a 13 (T2) nella realizzazione del movimento su comando verbale. L’irrisorio cambiamento accertato tra T0 (4, in entrambe le versioni) e T1 (5, in entrambe le versioni), supporta l’ipotesi della mancanza di recupero spontaneo. FL: Il paziente migliora in modo marcato nelle tre prove impiegate per valutare l’IMA, raggiungendo in un test un valore nei limiti della norma. Nelle restanti due prove il punteggio migliora e si avvicina sensibilmente al punteggio di cut-off. Guardando la prestazione nel dettaglio, nel test di De Renzi (De Renzi et al., 1980), il punteggio cambia 65 da T1 (42) a T2 (50). Al contrario dell’andamento dimostrato dagli altri pazienti in precedenza al trattamento Mirror-Box, FL ottiene un miglioramento della performance anche tra T0 (28) e T1 (42). L’ipotesi di un’azione simultanea tra recupero spontaneo e trattamento riabilitativo specifico sembra quella più convincente nel giustificare un simile evoluzione. Al contrario, nel test di valutazione dei movimenti significativi (Spinnler & Tognoni, 1987), FL si comporta in modo congruente agli altri pazienti. Il punteggio incrementa da 8 (T1) a 17 (T2) nell’imitazione dei gesti e da 10 (T1) a 16 (T2) nella realizzazione del movimento su comando verbale, mentre, in entrambi i tipi di compito, il miglioramento tra T0 e T1 è assente o trascurabile. Test De Renzi 70 60 50 40 30 20 10 0 T0 T1 T2 GB 38 37 57 SP 16 10 23 PP 52 54 66 PMP 26 18 33 FL 28 42 50 (Figura 7. È evidenziato l’andamento dei singoli pazienti nella prova di valutazione di De Renzi (asse verticale), nei tre tempi del protocollo (asse orizzontale). Tutti i pazienti ottengono punteggi marcatamente più alti in seguito al trattamento riabilitativo con MB. Al contrario, nessuna differenza significativa viene rilevata tra T0 e T1, ad eccezione del paziente FL). 66 Spinnler imitatione 25 20 15 10 5 0 T0 GB SP T1 T2 9 17 0 3 PP 8 8 20 PMP 4 5 8 FL 8 8 17 (Figura 8. Il grafico presenta l’andamento dei punteggi dei cinque pazienti nella prova di Spinnler & Tognoni, su imitazione. In tre casi, la valutazione rilevata in seguito al trattamento risulta essere migliore delle prestazioni precedenti). Spinnler verbale 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0 T0 T1 T2 GB 4 17 SP 5 6 PP 2 0 8 PMP 4 5 13 FL 8 10 16 (Figura 9. Il grafico mostra l’andamento dei punteggi dei cinque pazienti nella prova di Spinnler & Tognoni, nella versione ideata su comando verbale. I punteggi ottenuti dopo il trattamento con MB risultano essere rilevantemente più alti rispetto alle valutazioni precedenti, in tre pazienti). 67 2.3.2.2 Analisi di gruppo Abbiamo anche condotto un’analisi di gruppo sui dati di questi 5 pazienti per avere un’indicazione sul comportamento dell’efficacia nel gruppo del trattamento proposto. E’ importate sottolineare subito che la scarsa numerosità campionaria (N=5) suggerisce di interpretare con cautela i risultati di una statistica inferenziale di gruppo. I dati sono stati analizzati tramite il software IBM SPSS Statistics 22. Le medie delle prestazione dei soggetti nelle tre prove di valutazione dell’IMA (De Renzi, Spinnler_imitazione, Spinnler_verbale) sono state analizzate mediante un t-test per campioni dipendenti. I punteggi rilevati dopo due settimane di trattamento riabilitativo tramite Mirror-Box (T2) sono stati messi a confronto con le valutazioni condotte in precedenza (T0 e T1). L’effetto di un possibile recupero spontaneo nel controllo motorio volontario del gesto è stato indagato dal confronto tra T 0 e T1. Andando nel dettaglio, nel test di De Renzi (Fig. 10) risultano significativi i confronti tra T2 e T1 (t = 6,922 , p < 0,01) e tra T2 e T0 (t = 4,515, p = 0,01) con un punteggio in T2 (45,8(media) ± 7,857(St.Err.)) nettamente maggiore rispetto a T0 (32 ± 6,099) e T1 (32,2 ± 8,027). La differenza tra T1 e T0 (t = 0,051 , p = 0,96), invece, non è risultata significativa. Nel test di valutazione dei movimenti significativi (Spinnler & Tognoni, 1987), nella versione imitazione (Fig. 11), il confronto tra T2 e T1 (t = 3,975 , p = 0,01) è significativo, attestando una differenza tra il punteggio di T2 (13± 3,209) e T1 (6 ± 1,643). E’ solo marginalmente significativa la differenza tra T2 e T0 (t = 3,571, p = 0,07), con un punteggio tendenzialmente maggiore in T2 rispetto a T0 (6,7 ± 1,333). Il confronto tra T1 e T0 (t = 1, p = 0,42) è, invece, lontano dalla significatività. Infine, nel test di valutazione dei movimenti significativi (Spinnler & Tognoni, 1987) su comando verbale (Fig. 12), significativo è sia il confronto tra T2 e T1 (t = 3,723 , p = 0,02) che tra T2 e T0 (t = 8,693 , p = 0,01). Il punteggio medio è maggiore in T2 (12 ± 2,168) rispetto a T1 (4.8 ± 1,594) e T0 (4.7 ± 1,764). In linea con i risultati presentati nelle precedenti valutazioni, Il confronto tra T1 e T0 (t = 0,277 , p = 0,8) non ha raggiunto la significatività statistica. È da notare che nel test di valutazione dei movimenti significativi (Spinnler & Tognoni, 1987), sia su imitazione che su comando verbale, i casi considerati per T0, e per i relativi confronti, sono solo tre. 68 Test De Renzi 60,00 50,00 40,00 T0 30,00 T1 T2 20,00 10,00 32,00 32,20 45,80 0,00 (Figura 10. Analisi di gruppo nel Test di De Renzi. Nel grafico sono rappresentate le medie e l’errore standard associato. Il punteggio medio ottenuto alla fine del trattamento con MB (T2) risulta essere significativamente più alto delle medie ottenute nei tempi precedenti, i quali non differiscono tra loro). Spinler Imitazione 18,00 16,00 14,00 12,00 T0 10,00 T1 8,00 T2 6,00 4,00 2,00 6,67 6,00 13,00 0,00 (Figura 11. Analisi di gruppo nel Test di Spinler & Tognoni,su imitazione. Sono riportate le medie e l’errore standard associato. Il punteggio medio conseguito in T2 risulta essere significativamente maggiore delle valutazioni medie ottenute in T0 e T1. Il confronto diretto tra queste ultime due misurazioni non risulta essere significativo). 69 Spinler verbale 18,00 16,00 14,00 12,00 T0 10,00 T1 8,00 T2 6,00 4,00 2,00 4,67 4,80 12,00 0,00 (Figura 12. Analisi di gruppo nel Test di Spinler & Tognoni,su comando verbale. Vengono rappresentate le medie e l’errore standard associato. Il punteggio medio ottenuto alla fine del trattamento riabilitativo specifico con MB risulta essere significativamente più alto dei punteggi medi valutati nelle tempistiche precedenti. Il confronto tra queste ultime non ha raggiunto la significatività) 70 71 Capitolo 3: Discussione e conclusioni Il presente studio descrive il lavoro svolto insieme a cinque pazienti con aprassia ideomotoria (IMA), sottoposti ad un protocollo riabilitativo sperimentale basato sull’utilizzo della Mirrox Box. Il trattamento riabilitativo proposto, richiede l’impiego di una versione alternativa dello strumento. La MB consiste in uno specchio posto in corrispondenza della linea mediana ed allineato con il piano medio-saggitale del corpo del paziente. Il paziente aveva il compito di osservare la mano dell’esaminatore riflessa nello specchio mentre eseguiva specifici movimenti. Contemporaneamente, gli stessi movimenti dovevano essere eseguiti dal paziente con la mano nascosta dalla MB. Benché privato del feedback visivo della propria mano, il paziente poteva giovarsi del feedback visivo corretto proveniente dal riflesso della mano dell’esaminatore nello specchio. Togliere la possibilità di fare affidamento sul feedback visivo del proprio agire potrebbe risultare controproducente. In realtà, non essendo loro in grado di eseguire movimenti corretti, anche il feedback visivo prodotto potrebbe risultare scorretto: il vantaggio fornito dal feedback corretto generato dall’esaminatore risulta quindi molto più efficace di quello diretto. La procedura utilizzata in questo lavoro è stata ispirata all’ordinario impiego della Mirror Box come strumento riabilitativo, in cui i pazienti sono chiamati a prestare attenzione al riflesso nello specchio della propria mano sana, mentre mandano un comando motorio ad entrambi gli arti, incluso quello nascosto dietro lo specchio. In questi casi, la MB funziona in quanto restaura la sincronia tra informazione visiva (proveniente dal riflesso nello specchio) e propriocettiva (intenzione motoria). La Mirror Box Therapy (MBT) si è rivelata efficace nell’attenuazione delle sensazioni dolorifiche nel fenomeno dell’arto fantasma o nella sindrome di dolore cronico (MacLachlan, McDonald, & Waloch, 2004; Ramachandran & Altschuler, 2009; Ramachandran & RogersRamachandran, 1996; Ramachandran, Rogers-Ramachandran, & Cobb, 1995), così come nel recupero motorio in seguito ad ictus (Altschuler et al., 1999; Yavuzer et al., 2008; Romano, et al., 2014). La principale differenza tra la procedura classica e la versione alternativa riportata in questo lavoro, consiste nella diversa appartenenza della mano posizionata di fronte allo specchio. Mentre nel paradigma classico di MB la mano riflessa appartiene al paziente, 72 nel presente protocollo è l’esaminatore che colloca la mano davanti allo specchio, posizionata in modo tale che il riflesso produca un’immagine congruente con la mano del paziente nascosta oltre lo specchio. La scelta è giustificata dalla necessità di fornire al paziente un feedback visivo corretto dell’esecuzione del movimento, precisione che viene meno, per definizione, nel deficit aprassico di tipo ideomotorio, che può compromettere entrambe le mani del paziente. Volendo, invece, creare un protocollo riabilitativo in grado di essere applicato a tutti i pazienti aprassici, si è pensato di introdurre questo cambiamento al protocollo standard, in modo da poter assicurare ad ogni paziente un corretto feedback visivo del movimento da eseguire. I risultati, sia dei singoli casi sia dell’analisi di gruppo (sebbene, quest’ultima, preliminare), attestano l’efficacia della MB come strumento riabilitativo dell’IMA. Infatti, dopo due settimane di trattamento specifico, i cinque pazienti hanno ottenuto punteggi significativamente migliori nei test standard di valutazione dell’IMA (De Renzi, 1980; Spinnler & Tognoni, 1987). Il recupero spontaneo non può essere considerato il principale fautore del miglioramento in quanto non sono state rilevate differenze significative nella settimana interposta tra la prima valutazione (T0) e l’inizio del trattamento (T1). Inoltre, i risultati indicano un generalizzazione dell’effetto della terapia dai movimenti utilizzati durante il trattamento, generati appositamente, a quelli dei test standard per l’IMA, che sono stati accuratamente evitati durante il trattamento. Inoltre i risultati positivi ottenuti grazie all’uso del feedback visivo, sono stati verificati anche in occasione del compito su comando verbale (versione modificata del test dei gesti significativi di Spinnler & Tognoni, 1987). Andando nel dettaglio del comportamento mostrato dai singoli casi, 4 pazienti su 5 mostrano un andamento simile nel tempo, con stabilità o peggioramento durante la prima settimana, e un miglioramento significativo in seguito alle due settimane di riabilitazione tramite MB. Il paziente che mostra un comportamento diverso, (FL), migliora anche nella prima settimana senza trattamento, ma solo nel test di De Renzi (1980). Un simile risultato può essere giustificato dal recupero spontaneo che si verifica nei primi mesi dopo l’ictus. Infatti, FL è stato coinvolto precocemente nel lavoro sperimentale, ad un solo mese dall’evento ischemico. Il paziente migliora ulteriormente in seguito al trattamento MB: si può ritenere, quindi, che in questo singolo caso la riabilitazione possa aver accelerato o incrementato il processo di recupero spontaneo. 73 Inoltre, nel colloquio con la neuropsicologa di riferimento, è emerso che durante la settimana senza riabilitazione FL mostrava un andamento oscillatorio delle funzioni cognitive, variazione associata alla presenza di ipoglicemia. È possibile ipotizzare che tale diagnosi possa aver influenzato anche la valutazione delle funzioni prassiche prima dell’inizio del trattamento con MB. All’avviamento della riabilitazione, il paziente risultava stabilizzato da un’adeguata terapia farmacologica. In modo sorprendente, in tre pazienti (GB, PP, FL) non solo si assiste ad un miglioramento della performance nella valutazione del disturbo, ma si evidenzia un recupero totale dell’IMA. GB, PP e FL al termine del percorso riabilitativo tramite MirrorBox ottengono punteggi nella norma, nelle tre prove di valutazione standard utilizzate. Il minor recupero delle difficoltà esibite dalla paziente SP, potrebbe essere dovuto all’estensione e alla cronicità delle lesioni che le immagini funzionali riportano. Infatti, risulta probabile che il danno associato all’aprassia sia stato causato da un ictus precedente a quello responsabile dell’attuale ricovero di SP. Al contrario, GB è la paziente che ottiene il miglioramento più marcato. Per concludere, la Mirror-Box sembra essere efficace nella riabilitazione dell’aprassia ideomotoria, e nella generalizzazione dell’effetto a contesti (movimenti ed input) non direttamente trattati. In letteratura, diverse ipotesi teoriche sono state presentate per spiegare il meccanismo che rende possibile l’effetto della MB su diverse condizioni neuropsicologiche. Tra queste, Ramachandran et al. (1995) hanno proposto che lo strumento ricostruisce, tramite un processo bottom-up, la congruenza tra l’intenzione motoria e il feedback visivo necessaria per eseguire correttamente un’azione. Spiegazioni alternative propongono l’attivazione del sistema dei neuroni specchio nell’agevolazione motoria (Garry, Loftus & Summers, 1995), o l’intervento benefico nei confronti della plasticità maladattiva in seguito ad un ictus (Altschuler et al., 1999). Anche se questi meccanismi possano in parte spiegare l’efficacia dello strumento, Romano et al. (2013) hanno individuato il processo di incorporazione (embodiment) dell’esperienza visuomotoria vissuta durante la MB come meccanismo responsabile dell’effetto e del miglioramento accertato in diverse condizioni patologiche, sensoriali e motorie. Le informazione propriocettive della mano compromessa, nascosta, sarebbero catturate dal 74 feedback visivo dell’immagine riflessa nello specchio, e ad essa attribuite. In altre parole, le proprietà sensorimotorie della mano sana, attraverso un fenomeno di cattura visiva, verrebbero incorporate nella rappresentazione della mano affetta. Infatti, i pazienti riportano la sensazione che la mano osservata nello specchio sia in realtà la propria mano dietro alla superficie riflettente. Si potrebbe ipotizzare che la MB svolga un’opera di restauro del Body Schema, ristrutturando, per cosi’ dire, la parte di rappresentazione visuomotoria deficitaria attraverso un corretto feedback visivo dell’esecuzione motoria. A supporto di questa interpretazione, recenti indagini evidenziano che anche il riflesso della mano aliena nello specchio può produrre sensazioni di embodiment (Takasugi et al., 2011; Romano et al., 2014). L’ipotesi di embodiment tramite MB è il fondamento logico utile per giustificare l’impiego di tale strategia nel trattamento dei disturbi della rappresentazione corporea di alto livello cognitivo. Diversi autori hanno associato l’IMA a un disordine della rappresentazione corporea (Goldenberg et al., 1997; Buxbaum et al., 2001) . In particolare, Buxbaum et al. (2001) introduce il Body Schema all’interno del modello cognitivo a due vie di Rothi et al. (1991), come substrato comune per l’elaborazione delle caratteristiche familiari (semantiche) ed on-line (non semantiche) del movimento. Con il termine di Body Schema (BS) si fa riferimento alla rappresentazione sentorimotoria, dinamica, costantemente aggiornata in termini spaziali e temporali, della posizione reciproca tra le parti corporee. La difficoltà nell’aggiornamento della rappresentazione giustificherebbe la sintomatologia dei pazienti IMA, i quali agirebbero senza consapevolezza della posizione assunta dai diversi distretti corporei. In linea con queste considerazioni sperimentali e cognitive, il presente studio ipotizza che l’embodiment del riflesso della mano dello sperimentatore osservata nello specchio possa sostituire, o rinforzare, la rappresentazione della mano compromessa, influenzandone il controllo sensoriale e motorio (Garry et al., 2005; Romano et al., 2013). Da un punto di vista applicativo, la strategia presentata si dimostra adatta alla riabilitazione dei pazienti con IMA. Infatti, il protocollo sembra funzionare come un vero strumento riabilitativo in quanto permette un miglioramento delle abilità prassiche dei cinque pazienti fuori dal setting di trattamento. I risultati positivi ottenuti e la generalizzabilità dell’effetto permetterebbero di comparare la MB ad altri approcci che 75 sembrano richiedere periodi più lunghi di trattamento (Goldenberg & Hagmann, 1998; Goldenberg et al., 2001; Smania et al., 2006; Smania et al., 2000; per una revisione Cantagallo et al., 2012). Se il punto di forza del presente lavoro riguarda la generalizzabilità dell’effetto, diversi limiti possono essere individuati. Fra tutti, la scarsa numerosità del campione, la mancanza di un gruppo di controllo e della valutazione dell’effetto a lungo termine del trattamento di MB, di cui sarebbe utile indagare l’impatto sulle attività di vita quotidiana (ADL). In conclusione, l’effetto modulatorio della MB sull’esecuzione motoria dei cinque pazienti candida lo strumento come nuova e promettente strategia per la riabilitazione dell’IMA, e conferma l’efficacia della MB nel trattamento dei disturbi di alto livello della rappresentazione del corpo. 76 77 Bibliografia Alexander, M.P., Baker, E., Naeser, M.A., Kaplan, E. and Palumbo, C. (1992). Neuropsychological and neuroanatomical dimensions of ideomotor apraxia. Brain, 115: 87–107. Altschuler, E.L., Wisdom, S.B., Stone, L., Foster, C., Galasko, D., Llewellyn, D.M.E. and Ramachandran, V.S. (1999). 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Mirror therapy improves hand function in subacute stroke: a randomized controlled trial. Archives of Physical Medicine and Rehabilitation, 89(3), 393–8. 94 95 Appendice Tabella 1. Valutazione neuropsicologica del paziente GB. I test sono suddivisi in relazione alle funzioni cognitive coinvolte. Le prestazioni deficitarie sono evidenziate in grassetto con un asterisco. I punteggi riportati non sono corretti, N indica assenza di neglect, - indica un risultato nella norma. Test Mini Mental State Examination (Folstein, Folstein, & McHugh, 1975) Punteggio 14* Linguaggio Boston Naming Test (Kaplan, Goodglass, & Weintraub 2001) Token Test (De Renzi & Faglioni, 1978) Memoria verbale Digit span(Orsini et al., 1987) 8* 18.5* 2* Attenzione Attentional matrix (part I) 8 Ragionamento astrtto Colored Progressive Matrix PM 47 (Spinnler & Tognoni, 1987) 13 Weigl’s Sorting Test (Spinnler & Tognoni, 1987) 0* Funzioni percettivo-gnosiche Benton lines (Benton, Varney, & Hamsher, 1978) 48 Gainotti’s Picture Copy (Gainotti, Messerli, & Tissot, 1972) N- Albert cancellation test (Albert, 973) N- Funzioni prassiche Ideomotor Apraxia (De Renzi, Motti & Nichelli, 1980) 38* Rey Picture Copy (Carlesimo et al., 2002) 3.5* Valutazione neurologica (Bisiach, Vallar, Perani, Papagno & Berti, 1986; Bisiach, Cappa & Vallar, 1983) Motor Deficit Sensory deficit Visual Deficit 1*(Hyposthe nia) 1*(Extinction ) 0 Anosognosia for motor deficit - Anosognosia for sensory deficit - Anosognosia for visual deficit - Personal neglect 0 96 Tabella 2. Valutazione neuropsicologica del paziente SP. I punteggi grezzi presentati sono associati ai test in cui la paziente ha ottenuto una performance deficitaria (evidenziati in grassetto, con un asterisco). Test Mini Mental State Examination (Folstein, Folstein, & McHugh, 1975) Linguaggio Boston Naming Test (Kaplan, Goodglass, & Weintraub 2001) Punteggio 16* Token Test (De Renzi & Faglioni, 1978) 6* 19* Funzioni prassiche Ideomotor Apraxia (De Renzi, Motti & Nichelli, 1980) 16* Valutazione neuropsicologica (Bisiach, Vallar, Perani, Papagno & Berti, 1986; Bisiach, Cappa & Vallar, 1983) Motor Deficit Sensory deficit 1*(Hyposthenia) 3 Visual Deficit - Anosognosia for motor deficit - Anosognosia for sensory deficit - Anosognosia for visual deficit - Personal neglect 0 97 Tabella 3. Valutazione neuropsicologica del paziente PP. I test sono suddivisi in relazione alle funzioni cognitive coinvolte. Le prestazioni deficitarie sono evidenziate dai punteggi non corretti in grassetto e da un asterisco. Test Punteggio Linguaggio Token Test (De Renzi & Faglioni, 1978) 12* Single word comprehension battery (Laiacona, Barbarotto, Trivelli, & Capitani, 1993) Subtest 1 48 Subtest 2 53 ENPA Battery for language assessment (Capasso & Miceli, 2001) Repetition Words 4* Non-words 1* Sentences 0* Reading Words 3* Non-words 0* Sentences 2* Naming Objects 2* Actions 1* Colors 0* Verbal comprehension Words 11* Sentences 9* Written comprehension Words 11* Ragionamento astratto Colored Progressive Matrix PM 47 (Spinnler & Tognoni, 1987) 20 Funzioni prassiche Ideomotor Apraxia (De Renzi, Motti & Nichelli, 1980) 52* Ideomotor Apraxia – meaningful movements (Spinnler & Tognoni, 1987) 8* 98 Tabella 4. Valutazione neuropsicologica del paziente PMP. I test sono suddivisi in relazione alle funzioni cognitive coinvolte. Le prestazioni deficitarie sono evidenziate dai punteggi non corretti in grassetto e da un asterisco. Test Punteggio Memoria Digit Span (Monaco et al., 2013) Digit Span forward 4 Digit Span backward 2* Corsi Span (Monaco et al., 2013) Corsi Span forward 4 Corsi Span backward 2* SPART-10/36 Spatial Recall Test (BRBversA Amato et al., 2006) Rievoc. Imm. Rievoc. Diff. (20’-25’) 9* 3 Attenzione Digit Cancellation Test (Della sala et al., 1992) 9* Intelligenza, Astrazione Raven CPM 47 AAbB (Carlesimo et al., 1995) 9* Linguaggio Test dei gettoni (Spinler et l., 1987) 25,5* Funzioni prassiche Test di imitazione di gesti (De Renzi et al., 1980, 1986) 26* Valutazione neurologica (Bisiach, Vallar, Perani, Papagno & Berti, 1986; Bisiach, Cappa & Vallar, 1983) Motor Deficit 0*(Hyposthenia) Sensory deficit 1*(Extinction) 0 Visual Deficit Anosognosia for motor deficit - Anosognosia for sensory deficit - Anosognosia for visual deficit - Personal neglect 0 99 Tabella 5. . Valutazione neuropsicologica del paziente FL. I test sono suddivisi in relazione alle funzioni cognitive coinvolte. Le prestazioni deficitarie sono evidenziate dai punteggi non corretti in grassetto e da un asterisco. Test Punteggio Mini Mental State Examination (Folstein, Folstein, & McHugh, 1975) 16* Ragionamento astratto Raven CPM 47 AAbB (Carlesimo et al., 1995) 11* Attenzione Attentional matrix (Part 1) 12 Funzioni Esecutive Frontal Assessment Battery (Appollonio, Piamarta, Isella, Leone, 2004 Funzioni prassiche Ideomotor Apraxia (De Renzi, Motti & Nichelli, 1980) Ideomotor Apraxia – meaningful movements (Spinnler & Tognoni, 1987) 7* 28* 8* Limb Apraxia Battery (Bartolo, Drei, Cubelli, Della Sala, 2008) Naming-Intransitive Vision-Intransitive Imitation-Intransitive 8* 1* 11* Linguaggio ENPA Battery for language assessment (Capasso & Miceli, 2001) Repetition 3 Reading 0* Naming Objects 10 Actions 5* Written comprehension Words 0* 100 Tabella 6. Esempi di movimenti eseguiti durante la riabilitazione con Mirror Box. Mano aperta in avanti, dita divaricate Braccio alzato, mano a pugno verso l’alto Pollice esteso in alto, restanti dita flesse Pollice e mignolo divaricate Medio e pollice a cerchio, restanti dita verticali Pollice e indice estesi, altre dita flesse (segno delle pistola) Medio inarcato sul dorso dell’indice, altre dita flesse Indice esteso, altre dita flesse (segno di indicazione) Aprire e chiudere la mano (come ciao) La mano sagittale, dita in basso, fare pendolare tre volte (come segno di andar via) Ruotare il polso in senso orario, mano chiusa a pugno Picchiare la mano aperta sul tavolo di palmo e di dorso (3 volte) Picchiare la mano sul tavolo di pugno poi di taglio (3 volte) Sfregare il pollice tra indice e medio come il segno dei soldi (3 volte) Estendere il mignolo a scatto dalla falange distale del pollice (3 volte) Dorso della mano appoggiato sul tavolo, flettere in successione le dita laterali sul pollice, dall’indice al mignolo Imitare un uomo che cammina, avanzando alternativamente con indice e medio sul piano del tavolo Chiudere le dita a pugno partendo dal pollice 101