...

Cap. 3 – L`uccisione del maresciallo dei R. Carabinieri

by user

on
Category: Documents
28

views

Report

Comments

Transcript

Cap. 3 – L`uccisione del maresciallo dei R. Carabinieri
Cap. 3 – L’uccisione del maresciallo dei R. Carabinieri
Barbagallo (29 aprile 1945)
I giorni successivi alla Liberazione
Come abbiamo visto nel capitolo precedente, la settimana
successiva al 25 aprile 1945 era stata particolarmente difficile. A
Savona le prime pattuglie del 473° reggimento della 92a divisione
di fanteria “Buffalo” (Quinta Armata USA) arrivarono il 30 aprile,
seguiti una settimana dopo dal 76° reggimento della divisione
“Mantova” dell’Esercito Italiano. L’interregno partigiano a Savona
durato cinque giorni, fu il più lungo registrato in Liguria. Tra il 25
ed il 30 aprile è accertato che persero la vita non meno di 215
persone (ma probabilmente di più) sulle 316 uccise in totale
all’interno della Seconda Zona fino al 30 giugno. L’uccisione del
ex maresciallo dei CC.RR. Andrea Barbagallo, avvenuta ad
Albissola Marina il 29 aprile, rientra in quei casi.
Il 1° maggio 1945 alle ore 16 nei locali della Prefettura di Savona
si incontrarono il maggiore britannico Vivian R. Johnston55 del
Comando Alleato col com. Augusto Migliorini e i membri del
Comitato di Liberazione Provinciale: Emilio Lagorio (Partito
Comunista), Erodiade Polano (Partito d’Azione), Leopoldo Fabretti
(Partito Democristiano), Ercole Luciano (Partito Liberale), Arnaldo
Pessano (Partito Repubblicano), Giovanni Clerico (Partito Socialista).
Erano presenti: Antonio Zauli, segretario del Comitato ed il Rag.
Francesco Bruzzone, Prefetto della Provincia nominato dal Comitato.
Dopo aver rivolto parole di saluto ai rappresentanti del Comando
Alleato, l’Avv. Arnaldo Pessano a nome del Comitato di Liberazione
diede le consegne dei poteri militari ed amministrativi della Provincia
di Savona al Magg. Johnston, assicurandolo che il Comitato di
Liberazione non mancherà di dare tutta la sua collaborazione perché
l’opera degli Alleati si svolgesse nel modo più efficiente nell’interesse
della popolazione di Savona e provincia. Il Magg. Johnston dopo aver
ringraziato i rappresentanti dei vari Partiti in seno al Comitato per
55
Sul maggiore Johnston dello Special Operations Executive e la sua
missione nella provincia di Savona: A. MARTINO, La missione alleata
"Indelible" nella II Zona operativa savonese in Storia e Memoria dell'Istituto
Ligure per la storia della Resistenza e dell'Età contemporanea di Genova,
Vol. 1/2011, pp. 53-106.
119
l’opera svolta durante il periodo cospirativo e durante la giornata
dell’insurrezione invitò tutti a fare il possibile perché l’ordine tornasse
a regnare tra la popolazione ed assicurò nel contempo che il Comando
Alleato non avrebbe mancato di mettere in opera tutti i suoi mezzi per
alleviare le difficoltà che angustiano la popolazione.
Alle ore 18 la seduta venne tolta.56
Il fascicolo57 relativo all’omicidio del maresciallo CC.RR.
Andrea Barbagallo inizia con la segnalazione58 sul conto dello
spedizioniere marittimo Tullio Sguerso59, che il capitano CC.RR.
Francesco Risica, comandante la compagnia di Savona, inviò il 16
novembre 1945 alla Procura del Regno e ai vari enti interessati tra i
quali la Public Safety Division dell’A.M.G. di Savona.
Quindici corrente, Arma Savona, in seguito a ordine di cattura,
procedeva arresto di Sguerso Tullio di Vincenzo, di anni 26,
impiegato privato, del luogo, perché responsabile di delazione
commessa durante il pseudo governo repubblicano fascista ai danni
dei capi partigiani della Divisione “Fumagalli” presso la quale era
arruolato.
Poiché le indagini precedentemente svolte dall’Arma di Savona e
di Albisola il predetto risultava autore dell’uccisione per esecuzione
sommaria, del maresciallo capo dell’Arma Barbagallo Andrea, veniva
56
ARCHIVIO DELL’ISTITUTO LIGURE PER LA STORIA DELLA RESISTENZA E
DELL’ETÀ CONTEMPORANEA, fondo CLN, CLNP Savona – Comando Alleato,
b. 246, fasc. 4. doc. 1, prot. 405 del 4.5.45 “Missione Militare Britannica”.
57
ASS, Tribunale di Savona, Ufficio Istruzione, busta 31, fasc. 1630/45 G.I.,
389/45 P.M. Procedimento penale contro Sguerso Tullio imputato
dell’omicidio in danno di Barbagallo Andrea: reato di cui all’art. 575 C.P. per
aver cagionato volontariamente la morte, esplodendogli contro colpi di arma
da fuoco, in Albissola Marina il 29.4.1945. E. SCARONE, I caduti della R.S.I.
– Savona e provincia, Pinerolo 2000, p. 25.
58
Segnalazione n. 304/3: Uccisione del maresciallo capo Barbagallo Andrea.
Gli enti in indirizzo sono: Ministero dell’Interno, Roma; Comando Generale
Arma CC.RR., Roma; Comando Militare Territoriale, Genova; Comando 1°
Div. CC.RR. “Pastrengo”, Milano; Comando 1°Brigata CC.RR., Torino; R.
Procura del Regno, Savona; R. Prefettura, Savona; Comando Legione
CC.RR., Genova; R. Questura, Savona; Comando Gruppo CC.RR., Savona.
59
Sguerso Tullio di Vincenzo e di Scandolara Vittoria, nato il 18 gennaio
1919 a Vicenza, res. a Savona, via Tagliata 10/6, coniugato con un figlio,
spedizioniere marittimo, condizioni economiche modeste, istruzione media.
Informazioni chieste dal P.M. al Comune di Savona il 1 giugno 1948.
120
sottoposto ad interrogatorio durante il quale ammetteva di avere
effettivamente ucciso il sottufficiale.
Segnalazione completa.
Fig.15. Il maresciallo Andrea Barbagallo.
121
Fig.16. Municipio di Albissola Marina, 25 aprile 1945.
A seguito delle ammissioni dell’arrestato Tullio Sguerso,
vennero svolte le prime indagini, redatto il rapporto giudiziario dal
brigadiere Giuseppe La Spina, comandante la stazione CC.RR. di
Quiliano, ed inviato al Procuratore del Re il 30 novembre.
Lo scrivente in seguito ad ordine del superiore comando, cui la
presente è diretta per conoscenza, espletava indagini al fine di
conoscere il movente ed identificare l’autore dell’uccisione del
defunto maresciallo Barbagallo.
Il defunto maresciallo Barbagallo Andrea, dopo l’8 settembre
1943, per il suo attaccamento al dovere, specie per quanto riguardava
la repressione del mercato nero e la consegna delle armi da parte dei
civili, ricevette tre o quattro anonimi con i quali lo si invitava a
desistere da tale sua attività, poiché in caso contrario avrebbe pagato
con la sua vita il suo zelo.
Il sottufficiale, che aveva già cercato di sganciarsi dal servizio alle
dipendenze del pseudo governo repubblicano fascista, il 22 gennaio
1944, ottenne il ricovero all’ospedale militare di Loano ed il 22 aprile
stesso anno, dimesso e collocato in pensione.
Si stabilì, quale civile, in Albissola Marina con la famiglia, ove
condusse vita di stenti e di gravi disagi economici, data l’esiguità della
pensione liquidatagli, tanto che per far fronte alle esigenze più urgenti
della famiglia fu costretto a dedicarsi ad una limitata attività di
venditore ambulante.
Si giunse così al giorno della liberazione, epoca in cui il Barbagallo
fu prelevato dalla propria abitazione da due armati di mitra e condotto
122
in una villa di Albisola Superiore, dove fu accusato di collaborazione
coi nazi-fascisti, venne sottoposto a stretto interrogatorio ed a sevizie.
Fu poi condotto a Savona presso il Comitato di Liberazione che lo
rilasciò in libertà dopo averlo interrogato. Il giorno successivo fu
nuovamente ripreso dalla propria abitazione e condotto sul piazzale
del municipio di Albisola Superiore da dove, dopo essere stato
barbaramente malmenato, fu condotto in Albissola Marina e fatto
girare per tutte le fabbriche. Gli operai ed il popolo accorso furono
invitati a pronunciarsi circa le sanzioni da applicargli. La popolazione,
ch’era in quei giorni assetata di vendetta e gioiosa per l’avvenuta
liberazione, si pronunciò per l’uccisione del sottufficiale.
Il Barbagallo venne quindi condotto sul piazzale del municipio di
Albissola Marina, tutto sanguinante ed accasciato. Nessuno dei
presenti ebbe il coraggio di mettere in atto l’insano proposito ed i più
scalmanati sfogarono la loro ira, tirandogli i peli della barba. Mentre si
svolgeva questa scena pietosa, giungeva da Savona tale Sguerso
Tullio, abitante in via Torteroli 2/3, il quale rivolgendosi alla
popolazione, si esprimeva in questi termini: “Cosa aspettate per
finirlo? Avete paura? Allora lo uccido io!” ed imbracciato il mitra gli
esplose contro una scarica, uccidendolo.
Risulta che lo Sguerso ebbe un fratello [Furio] 60, ex allievo
ufficiale dell’Aviazione prima e tenente dei partigiani poi, ucciso in
Savona da elementi delle brigate nere; si ritiene pertanto che egli abbia
agito contro il Barbagallo per bravata sanguinaria.
Presso l’ufficio stralcio della divisione partigiani “Fumagalli” di
questa città, risulta che lo Sguerso nel 1944 faceva parte di questa ma
che successivamente abbandonò i compagni di fede, incorporandosi
nelle file delle brigate nere. In quest’ultimo periodo ed in
collaborazione con tale (Napoli) Ricciardi Antonio61 di Ruggero e di
Sapè Rosa, nato a Pozzuoli, il 20.3.1917, denunziò alla Questura
repubblicana di Savona, i suoi ex comandanti partigiani e
60
G. MALANDRA, I caduti savonesi per la lotta di Liberazione, cit., pp. 40,
312-316. Sguerso Furio “Sergio”, nato il 18 gennaio 1920 a Savona, res. a
Savona, partigiano dal 1.6.1944, già ufficiale dell’Aeronautica, vice
comandante della 1° Brigata Savona – Voarino. Caduto in uno scontro con
militi della GNR il 26 ottobre 1944 a Savona, allo Zerbino. Nel libro di
MALANDRA, I volontari della libertà non è presente Sguerso Tullio, ma un
altro fratello Sergio, nato il 12 gennaio 1928 a Savona.
61
G. MALANDRA, I caduti savonesi per la lotta di Liberazione, cit., p. 279.
Ricciardi Antonio, nato il 20 marzo 1917 a Pozzuoli (Na), res. a Savona,
milite della GNR nell’UPI.
123
precisamente il comandante Bacchetta62 [Dotta Giuseppe] ed il suo
capo di stato maggiore Drommi Carlo63, tuttora in servizio presso il
predetto ufficio stralcio, i quali furono condannati dai nazi-fascisti a
morte in contumacia, sotto l’imputazione di appartenenza al comitato
segreto di Liberazione.
Gli atti relativi alla delazione dello Sguerso, si trovano presso il
Pubblico Ministero della Corte d’Assise Straordinaria di Savona.
Il Barbagallo, oltre alla famiglia acquisita, composta dalla moglie e
di due figli, aveva a carico anche la famiglia di altro suo fratello,
prigioniero di guerra in Germania, fin dall’8 settembre 1943,
composta dalla cognata e di due nipoti, sfollati in Albissola fin dal
1942, dalla Calabria a causa degli eventi bellici.
La popolazione di Albissola, nella sua maggioranza, rimase molto
spiacente per la misera fine toccata al Barbagallo, ma nessuno della
stessa ha osato rivelare il nome ufficiale dell’uccisore, per timore di
future rappresaglie, ma avendo l’Arma di Savona proceduto all’arresto
dello Sguerso, per ordine di cattura, emesso dalla Corte d’Assise
Straordinaria, per il reato di delazione, veniva sottoposto ad
interrogatorio dal Maresciallo dei CC.RR. Dessi Giovanni e
dall’appuntato Valente Mauro, della stazione CC.RR. Letimbro,
ammetteva di avere effettivamente fucilato il Barbagallo, ma in
seguito ad ordine del comando della divisione partigiana “Gin
Bevilacqua” quale divisione aveva condannato a morte il maresciallo
Barbagallo, vedasi la dichiarazione dello Sguerso, allegato I.
La dichiarazione resa da Sguerso Tullio il 15 novembre 1945:
62
L’informazione è errata: “Bacchetta” era Dotta Giuseppe, era stato
arrestato il fratello Dotta Giovanni. Cfr. G. MALANDRA, I volontari della
libertà, cit., pp. 147-148. Dotta Giovanni “Gianni”, nato il 21 gennaio 1910 a
Napoli, impiegato, partigiano dal 1.10.1943, Comando Div. Fumagalli.
Arrestato da agenti di P.S. dell’UPI il 19 dicembre 1944 a Savona, detenuto
al carcere S.Agostino, rilasciato 22 febbraio 1945. Contrasse infermità
durante il giorno dell’arresto. Dotta Giuseppe “Bacchetta”, nato il 22 luglio
1914 a Savona, industriale, già ufficiale di Marina, partigiano dal 1.10.1943,
comandante della Divisione Fumagalli.
63
G. MALANDRA, I volontari della libertà, cit., p. 148. Drommi Carlo
“Dinamico”, nato il 14 gennaio 1893 a Villa S. Giovanni (RC), ragioniere,
partigiano dal 1.10.1943, Comando Div. Fumagalli. Arrestato da agenti di
P.S. dell’UPI il 19 dicembre 1944 a Savona, detenuto al carcere S. Agostino,
rilasciato 22 febbraio 1945. Invalido per aggravamento in carcere
dell’invalidità di guerra.
124
“Due giorni dopo l’insurrezione del 25 aprile 1945, dal comando
della 1° brigata partigiana “Val Bormida” della Divisione
“Fumagalli”, sono stato inviato ad Albissola Marina, quale
comandante di quel presidio di partigiani. In giorno imprecisato del
mese di aprile, che mi sembra il 29, verso le ore 10 antimeridiane, per
ordine del comando della divisione garibaldina “Gin Bevilacqua”
venne accompagnato nei pressi dell’albergo “Wanda” in Albissola
Marina, dove aveva sede il comando del presidio partigiani e delle
S.A.P. l’ex maresciallo dei carabinieri Barbagallo Andrea, per essere
giustiziato siccome condannato a morte dal tribunale della predetta
divisione “Gin Bevilacqua”, per tutti i misfatti da lui commessi in
Albissola durante il periodo repubblicano. Dopo essere stato chiamato
il prete ed aver fatto somministrare al Barbagallo i sacramenti,
siccome quelli della divisione “Gin Bevilacqua”, che lo avevano
accompagnato, mi dissero che il compito di giustiziarlo toccava a me,
avendo il fratello Furio ucciso dai fascisti della G.N.R. ed anche
perché la sera precedente ero stato fatto segno ad un colpo d’arma da
fuoco da parte di uno sconosciuto, mentre camminavo per una via
dell’abitato, perforandomi la falda della giacca, senza però ferirmi, io
procedetti alla fucilazione del Barbagallo. Soggiungo che il
Barbagallo, prima di essere fucilato, chiese perdono a tutti per il male
che egli aveva fatto. Soggiungo ancora che prima di procedere alla
fucilazione chiesi se fra gli astanti, che erano molti, vi fosse stato
qualcuno che avesse voluto o potuto dire qualcosa in favore del
condannato. Nessuno si fece avanti. Non ho altro da aggiungere e in
fede di quanto sopra ho detto mi sottoscrivo”.
Il 21 novembre venne acquisita dallo stato civile del comune di
Albissola Marina, la dichiarazione dell’unità partigiana che aveva
fucilato il Barbagallo.
Brigata F. Colombo
Comando distaccamento Tambuscio
Savona, 30 aprile 1945
Questo Comando il 29 corrente ha arrestato l’ex-Maresciallo dei
Carabinieri Barbagallo Andrea perché denunciato quale spia segreta
a favore del Commissario Prefettizio Licitra e favoreggiatore dei
nazi-fascisti.
Avendo l’accusato confessato e riconosciute le accuse mossegli è
stato passato per le armi nel Comune di Albissola Marina, dove il
Barbagallo esplicava la sua losca attività.
Il Comandante (Rambo)
125
Il 18 novembre nelle Carceri di Savona Tullio Sguerso, che si
trovava detenuto per collaborazionismo, venne interrogato dal
Procuratore del Regno Dr. Ottavio Siccardi.
Non avendo
difensore, gli venne assegnato d’ufficio l’avv. Campanile.
Interrogato in merito all’imputazione ascrittagli rispose:
“Nei giorni immediatamente successivi alla Liberazione (mi pare il
28 o il 29 aprile) mi trovavo ad Albissola quale Caposquadra di un
nucleo di partigiani dipendenti dalla 1° brigata Valbormida della
Divisione Fumagalli.
A.d.r.: Ho fatto parte della Divisione Fumagalli (brigata Savona)
dall’agosto 1944 fino all’8 gennaio 1945 giorno in cui fui arrestato
dall’ufficio politico della G.N.R. di Savona. Durante il mio periodo di
detenzione io feci delle dichiarazioni a carico di Dotta Giovanni e
Drommi Carlo che già si trovavano detenuti. Feci tali dichiarazioni
perché intimidito. Rientrai nuovamente nelle formazioni partigiane il
23 aprile 1945 non avendolo potuto far prima perché sorvegliato dalla
polizia fascista. Il giorno 28 o 29 aprile portarono in Albissola il
maresciallo dei carabinieri Barbagallo. Venne portato da partigiani
della Divisione “Bevilacqua” i quali avevano anche la sentenza di
condanna alla pena capitale pronunciata dalla predetta divisione
contro il Barbagallo. L’esecuzione doveva aver luogo in Albissola, in
tale località il Barbagallo aveva commesso i reati addebitategli. Fui
scelto io quale esecutore della sentenza perché avevo avuto un fratello
ucciso dai fascisti. Il Barbagallo fu portato su una piazza del paese, gli
fu chiamato un sacerdote [Ferro Carlo] e cioè il parroco o curato di
Albissola che gli somministrò i conforti religiosi, fu poi chiesto alla
folla se aveva qualcosa da dire in favore del Barbagallo e poiché
nessuno si fece avanti io sparai contro il Barbagallo una raffica di
mitra colpendolo al torace. Il Barbagallo mentre veniva portato sul
luogo dell’esecuzione disse ad alta voce: “chiedo perdono a tutti per il
male che ho fatto”. Il Barbagallo non venne né percosso, né
seviziato.” Letto, confermato e sottoscritto [L.c.s.].
A questo punto le indagini della Procura terminarono, e Tullio
Sguerso venne assolto dalla Corte d’Assise Straordinaria con
formula piena il 23 giugno 1946.
Le indagini ripresero il 12 luglio 1947, quando il giudice
istruttore chiese l’atto di morte al Comune di Albissola Marina, il
quale inviò, il 17 luglio, l’originale del verbale della Brigata “F.
Colombo” del 30 aprile 1945, documento allegato al registro degli
126
atti di morte per l’anno 1945, il cui testo era già stato acquisito in
copia il 21 novembre 1945.
Il 16 luglio chiese al Comitato provinciale dell’A.N.P.I. di
Savona di “comunicare se l’esecuzione fu ordinata da un comando
partigiano, trasmettendo anche l’originale o copia autentica della
sentenza che condannava il Barbagallo o comunque dell’ordine
dato.” Il segretario dell’A.N.P.I. Tortarolo Vittorio (Cioccio)64
rispose il 20 agosto: “L’esecuzione del maresciallo dei CC
Barbagallo Andrea avvenuta ad Albissola Marina il 29 aprile 1945
è stata eseguita per ordine del Comando Divisione Gin Bevilacqua
in data 26.4.45”.
L’istruttoria sommaria
L’istruttoria sommaria iniziò nell’anno successivo, il 7 aprile
1948, quando il parroco Carlo Ferro65, che il 29 aprile 1945 diede
gli ultimi conforti religiosi al Barbagallo, venne interrogato dal
Giudice Istruttore Dr. Guardì Aldo.
D.r. “Nel periodo dell’insurrezione io fui chiamato in canonica da
un casellante ferroviario il quale mi disse che il maresciallo
Barbagallo, anzi non mi precisò il nome, era stato catturato dai
partigiani, e mentre essi lo portarono ad Albissola aveva incontrato un
prete che era riuscito a confessarlo. Il prete aveva avvertito il
casellante ferroviario (che aveva la bicicletta) di informarmi
dell’accaduto e di recarmi immediatamente sulla piazza per
comunicare quella persona. Presi d’urgenza il Santissimo e mi recai
sulla piazza di Albissola. Ivi trovai un partigiano che mi disse trattarsi
del maresciallo Barbagallo, e mi indicò poco lontano il luogo ove si
trovava. Mi avvicinai e vidi che il Barbagallo era già al muro, poco
discosti stavano una dozzina di partigiani, ed innanzi ad essi andava su
e giù un partigiano. Vi era anche un gruppetto di donne e fanciulli un
po’ più distanti dal gruppo dei partigiani, che stavano a guardare in
perfetto silenzio.
D.r. Il Barbagallo mi sembrava sofferente, ma non ho notato che
fosse ferito o sanguinante.
D.r. Il partigiano che andava su e giù mi invitò a somministrare al
Barbagallo in fretta i sacramenti, ed io mi avvicinai al predetto,
64
G. MALANDRA, I volontari della libertà, cit., p. 29, Tortarolo Vittorio
“Cioccio”, nato il 26 maggio 1923 ad Altare, studente, partigiano dal
20.2.1944, Comando Div. Bevilacqua.
65
Ferro Carlo fu Salvatore di anni 67 da Celle Ligure, res. ad Albissola.
127
chiedendogli se si fosse confessato. Alla sua risposta affermativa
estrassi la particola e gliela misi tra le labbra. Poiché non riusciva ad
inghiottirla, mi feci portare un bicchiere d’acqua. Durante il mio
uffizio il partigiano, che poi fucilò il Barbagallo, si dimostrava
frettoloso, e a un certo punto mi chiese con impazienza se avessi
finito. Risposi di no. Appena inghiottita l’ostia, mi allontanai un
attimo per riportare il bicchiere al bar vicino (a 3-4 metri), ma non ero
ancora arrivato al Bar che udii una raffica di mitra, e voltandomi vidi
il Barbagallo a terra.
D.r. Non è vero che in mia presenza l’uccisore abbia interpellato la
folla chiedendo se vi fosse qualcuno tra essa che potesse parlare a
favore del Barbagallo. Né io intesi parlare il Barbagallo ai partigiani, o
comunque chiedere perdono di ciò che aveva fatto.
D.r. La morte del Barbagallo in Albissola produsse generale
disapprovazione. Per conto mio egli era una persona per bene, e non
mi risultava che aveva fatto male ad alcuno.
D.r. Non conosco l’uccisore, né i partigiani che erano presenti al
fatto.” L.c.s.
Il 12 aprile 1948 il giudice istruttore chiese al Comitato
provinciale dell’A.N.P.I. di Savona di “comunicare le precise
generalità e il recapito del partigiano avente nome di battaglia
“Rambo” già appartenente alla Brigata F. Colombo, comandante
del distaccamento “Tambuscio” che operò nella zona di Albissola.”
Il 14 maggio il segretario dell’A.N.P.I. Tortarolo rispose che “non
risulta il nome di battaglia “Rambo” nei ruolini degli appartenenti
alle ns. formazioni. Inoltre nella zona di Albissola non operava il
distaccamento Tambuscio, ma bensì la Brigata “Carlo Aschero”.”
Il 23 giugno venne inviato il mandato di comparizione
all’imputato Sguerso Tullio dovendo comparire il 18 agosto. La
notifica venne fatta il 28, mediante consegna fatta a suo padre.
Il 18 agosto lo Sguerso dinanzi al giudice istruttore, dr.
Santaniello Luigi, dichiarò di nominare suo difensore di fiducia
l’avv. Sanguinetti. Confermò quanto dichiarato nei precedenti
interrogatori. Precisò che non aveva mai fatto parte di reparti della
pseudo repubblica sociale, ma che era stato tra le fila dei partigiani
fin dal luglio 1944.
“L’8 gennaio 1945, se ben ricordo la data, fui arrestato dall’Ufficio
Politico Investigativo della G.N.R., dal quale fui poi rilasciato dopo
otto giorni. Rimasi quindi un periodo di alcuni mesi a lavorare,
rimanendo però sempre sotto la sorveglianza dell’UPI. Non appena mi
128
si presentò l’occasione di ritornare tra le fila partigiane, eludendo la
sorveglianza a cui ero sottoposto, ne approfittai senza esitazione: ciò
avvenne il 23.4.1945.
D.r. Anche per quanto riguarda l’esecuzione di Barbagallo Andrea
riconfermo quanto ho già dichiarato. Chiarisco che io ricevetti l’ordine
orale dell’esecuzione, da parte della Divisione partigiana
“Bevilacqua”, e che poi tale ordine mi fu confermato per iscritto dal
Comando della stessa Divisione: di entrambi gli ordini mi fu data
comunicazione in Albissola. Non sono in possesso dell’ordine scritto,
che si trova evidentemente presso l’Ufficio Stralcio del C.L.N. di
Albissola Marina.
D.r. Confermo anche le modalità con cui l’esecuzione avvenne, e
di cui ho già parlato nei precedenti interrogatori.
D.r. Circa pretesa accusa di delazioni di partigiani da me fatte alle
autorità dell’ex repubblica [sociale], la luce è stata fatta
completamente dalla Corte d’Assise Straordinaria, che mi prosciolse
con formula piena il 23 giugno 1946.
Non ho altro da aggiungere.”
Il 23 agosto riprese l’interrogatorio.
D.r. “Facendo seguito ai precedenti interrogatori che confermo,
dichiaro di non aver conosciuto il partigiano rispondente al nome di
battaglia “Rambo” e di ignorare se costui esista e quindi quali siano le
sue vere generalità.
D.r. Ribadisco che sia l’ordine orale che quello scritto mi furono
dati in Albissola, all’Hotel Miramare66, sede del Comando di presidio
partigiano, da parte del Comando della Divisione partigiana
“Bevilacqua”. Gli ordini mi furono materialmente trasmessi dal
partigiano “Piombo” 67, che è lo stesso che morì in un incidente
automobilistico in cui lasciò la vita Pippo Rebagliati. Io presi visione
dell’ordine scritto che mi fu esibito dal Piombo, e che recava il timbro
della Divisione “Bevilacqua”.
D.r. Tra i partigiani che erano con me al momento dell’esecuzione
ricordo i seguenti, indicati col loro nome di battaglia: 1) Silvio; 2)
Pedro; 3) Giorgio, dei quali ignoro tuttavia le vere generalità.
66
Nome precedente dell’albergo Wanda.
G. MALANDRA, I volontari della libertà, cit., Piombo Aldo “Sparviero”,
nato il 30 marzo 1922 a Savona, autista, partigiano dal 9.4.1944, Brigata SAP
“Colombo, distaccamento “Tambuscio”. Piombo Aldo era l’autista di Pippo
Rebagliati, morì con lui l’11 giugno 1945 in un incidente automobilistico a
Montemoro. La notizia era stata pubblicata sul “Corriere Ligure” ved. Cap.1.,
p. 52.
67
129
D.r. Riconfermo ancora una volta che il Barbagallo, prima di
essere fucilato, chiese pubblicamente perdono del male fatto.
D.r. Il Barbagallo mi era stato consegnato tre o quattro giorni
prima insieme ad altri prigionieri, che furono tutti rinchiusi nei locali
della Caserma dei Carabinieri di Albisola. La consegna avvenne da
parte di partigiani del posto di cui ignoro il nome. Io allora inviai tutti
i prigionieri, sotto scorta, al Comando della Divisione Bevilacqua in
Savona, la quale mi rimandò solo il Barbagallo, il 29 aprile, con
l’ordine dell’esecuzione, che come ho già detto, mi venne trasmesso
dal Piombo.
Non ho altro da aggiungere.” L.c.s.
La ricerca dei partigiani “Piombo” e “Rambo”
Il 24 agosto il giudice istruttore chiese ai carabinieri di Albisola
Superiore di comunicare se “il Piombo, da identificare, sia stato
all’Albergo Miramare nel periodo” e di identificare il comandante
del distaccamento “Tambuscio” col nome di battaglia “Rambo”.
Inoltre dovranno comunicare i nominativi dei comandanti
partigiani che presero alloggio presso l’albergo e infine l’attuale
residenza della vedova del Barbagallo.
Il 27 agosto il giudice chiese alla Squadra Polizia Giudiziaria
investigativa, presso il Gruppo Carabinieri di Savona, di accertare
la persona che durante il periodo partigiano portava il nome di
battaglia “Rambo”, che era comandante del distaccamento
“Tambuscio”, Brigata “F. Colombo”. Tre giorni dopo il
maresciallo maggiore Pugliese rispose che la persona “che portava
il nome di “Rombo”, e non “Rambo”, era Carlevarino Giovanni68
di Onorio e di Ferro Rosa, nato a Savona il 20.6.1915, e ivi
residente in via Roma 13/14. Lo stesso era comandante del
distaccamento Tambuscio”. Sempre il 27 agosto chiese allo Stato
Civile del Comune di Albissola Marina la copia dell’atto di morte
del Barbagallo. Nella copia dell’atto di morte troviamo che
Barbagallo Andrea, di anni 44, residente in Albissola Superiore, era
nato a San Giovanni di Giarre, dal fu Raffaele, coltivatore,
residente a San Giovanni di Giarre, e da Mangano Angela,
casalinga. Morì il 30 aprile 1945 alle ore 12,10 nella Piazza dei
Leuti di Albissola Marina, come da avviso ricevuto dalla Brigata
68
G. MALANDRA, I volontari della libertà, cit., p. 271. Carlevarino Giovanni
“Rombo”, nato il 20 giugno 1915 a Savona, saldatore elettrico, partigiano dal
1.10.1943, comandante del distaccamento “Tambuscio”.
130
“F. Colombo”, Distaccamento “Tambuscio” il 30 aprile. L’atto era
stato compilato erroneamente dal sindaco Giambattista Perata,
poichè il Barbagallo morì il 29 aprile.
Il 17 settembre il maresciallo maggiore Giuliano Gerardo,
comandante la stazione CC di Albisola, rispose alle richieste del
giudice istruttore.
Il partigiano “Piombo” non è stato possibile identificare né
accertare se sia stato o meno presso l’albergo Miramare (ora Nuovo
Wanda) di Albissola Marina all’epoca della Liberazione.
Da notizie confidenziali avute invece il partigiano “Rambo” si
identificherebbe per Carlevarino Giovanni, via Roma 13, Savona, il
quale apparteneva alla brigata [distaccamento] partigiana
“Tambuscio” della quale si vuole fosse anche il comandante.
Per quanto riguarda il Piombo sopra menzionato è stato riferito che
sarebbe deceduto mesi or sono in un incidente motociclistico
[automobilistico].
Si è potuto anche sapere che all’epoca della Liberazione e
precisamente nel periodo dell’uccisione del maresciallo Barbagallo,
nell’albergo Wanda aveva sede il distaccamento partigiano della
brigata “Aschero” il cui comandante era tale Ferro Gio. Batta di
Giuseppe e di Calcagno Nicoletta, nato il 2 luglio 1912 in Albissola
Marina, ivi domiciliato Piazza Leuti 1/9, soprannominato
“Gambalesta”.
La vedova del maresciallo Barbagallo risiederebbe attualmente nel
comune di Lentini (Sicilia).
La richiesta di rogatoria per la vedova del maresciallo
Avuto notizia che la vedova del maresciallo si troverebbe nel
comune siciliano, il 19 settembre 1948 il giudice istruttore scrisse
al pretore di Lentini (Siracusa). Sintetizzò i fatti che portarono
all’uccisione del Barbagallo, chiese di interrogare dettagliatamente
la vedova del Barbagallo, Sig.ra Papa Sebastiana, residente in
quella cittadina, circa la morte di suo marito, le ragioni per i quali
fu collocato in congedo, la vita condotta dallo stesso nel periodo
dal congedo alla Liberazione e sui rapporti che intercorrevano tra
lui ed il commissario prefettizio del Comune di Albissola Marina
Luigi Licitra. Dovrà anche far precisare alla vedova i nominativi
dei partigiani che lo fermarono la prima volta e quanto il marito le
raccontò quando ritornò a casa da Savona e, infine, se conosceva i
nomi delle persone che lo interrogarono al C.L.N. Il dr. Santaniello
131
terminava la richiesta raccomandando “cortese urgenza trattandosi
di procedimento penale pendente da tre anni.”
Il 14 ottobre 1948 il brigadiere Rosario Sorace, comandante
int.le della stazione CC di Lentini, rispose alla richiesta del pretore
del 29 settembre. “La signora Papa Sebastiana di Giuseppe, vedova
del maresciallo Barbagallo Andrea, risulta domiciliata e residente a
Canicattini Bagni, via Cavour 37.” Il giorno dopo il pretore di
Lentini passò il procedimento al pretore di Floridia perché il
comune di Canicattini ricadeva sotto la sua giurisdizione, “con
preghiera di evadere la rogatoria del giudice istruttore di Savona e
restituzione diretta”.
Il 21 ottobre il pretore di Floridia scrisse al pretore di Lentini
che la Papa non risiedeva a Canicattini, che a sua volta scrisse al
Pretore di Siracusa, in quanto risultava residente in quella città,
presso il maresciallo Quartarone, in contrada Scala Greca.
La vedova Barbagallo venne citata il 18 novembre e il 14
dicembre, ma risultò sconosciuta all’indirizzo indicato. Il 25 aprile
1949, dopo sette mesi, il pretore di Siracusa scrisse al dr.
Santaniello che “la richiesta risultava inevasa per il motivi addotti
dall’ufficiale giudiziario.”
La richiesta degli atti del procedimento per collaborazionismo
Il 10 settembre 1948 il giudice istruttore Santaniello inviò un
telegramma di sollecito alla Cancelleria della Corte di Assise di
Genova per la remissione degli atti del procedimento contro
Sguerso Tullio, “imputato collaborazionismo definito dalla
sentenza della Corte di Assise Straordinaria di Savona il 23 giugno
1946, già chiesta il 24 agosto, onde definire altro procedimento
penale a carico del medesimo per omicidio.” Evidentemente il
sollecito ebbe avuto successo perché la copia della sentenza firmata
dal cancelliere Vinciguerra presente nel fascicolo è datata 11
settembre!
In Nome del Popolo Italiano
La Corte di Assise – Sezione Speciale di Savona.
Composta dei Signori:
Bricarelli dr. Cav. Ignazio
Presidente
Accame dr. Cav. Uff. Lorenzo
Giudice
Porta Guido
Giudice popolare
Modena Aldo
“
Caviglioni Giovanni
“
Rosati Aldo
“
132
ha pronunciato la seguente sentenza
nella causa contro
Sguerso Tullio di Vincenzo e di Scandolara Vittoria, nato a
Vicenza il 18.1.1919 res. a Savona, via Tagliata 10/6. Libero.
Presente.
Aonzo Nicolò di Carlo e di Inama Maria, nato a Savona il
19.2.1921, res. a Savona, via Molo 4/1. Libero. Presente.
imputati
del delitto di cui all’art. 5 D.L.L. 27.7.1944 n. 159 e art. 1 D.L.L.
22.4.1945 n. 142 in relazione all’art. 55 C.P.M.G. per avere in Savona,
successivamente al 8.9.1943 agevolato per colpa, l’intelligenza col
nemico tenuta da Ricciardi convalidando le accuse da costui contro
Dotta Giovanni e di Drommi Carlo.
In esito all’odierno pubblico dibattimento sentito il P.M. e gli
avvocati difensori nonché gli imputati i quali per ultimi ebbero la
parola.
Intesa lettura degli atti processuali si osserva in fatto ed in diritto:
Gli attuali imputati, già valorosi partigiani, rientrati a Savona a
seguito dello sbandamento della loro formazione, furono arrestati ai
primi di gennaio 1945 ad opera, tra gli altri, di Ricciardi Antonio, che
era pure stato partigiano nella brigata “Savona” e alla fine del 1944
era passato al servizio dell’ufficio politico della G.N.R. in questa città.
Tradotti in tale ufficio, lo Sguerso e l’Aonzo furono interrogati sul
conto di vari componenti la detta brigata e il C.L.N. di Savona, e
furono loro rammostrate varie fotografie, successivamente vennero
posti a confronto con Carlo Drommi e l’avv. Giovanni Dotta, membri
del C.L.N., allo scopo di riconoscere in essi due persone che il giorno
12 novembre 1944 si sarebbero recati a Pezzuolo e Cortemilia e ivi
avrebbero avuto contatti col comando della brigata “Savona”.
Lo Sguerso, intimorito da gravi minacce ricevute, finì per rilevare
alcuni nomi di battaglia, senza però manifestare i nomi veri, sebbene li
conoscesse, e finì pure col riconoscere il Drommi e il Dotta. Più tardi,
interrogato dal Procuratore di Stato di Savona sul conto di questi
ultimi, che erano stati messi a sua disposizione, lo Sguerso confermò
in un primo tempo tale riconoscimento e le circostanze che aveva
deposte nei loro riguardi.
Ma pochi giorni dopo si ripresentò spontaneamente al magistrato,
ritrattando quanto aveva dichiarato, pur essendo stato avvertito delle
gravi conseguenze che avrebbero potuto derivare a suo carico da tale
ritrattazione.
133
Anche l’Aonzo fu costretto a riconoscere il Drommi e il Dotta a
seguito di spietate percosse e gravi minacce.
Poiché prima che dagli attuali imputati il Drommi e il Dotta erano
stati riconosciuti dal Ricciardi Antonio, il quale aveva pure fatto varie
rivelazioni sul conto dei capi del movimento partigiano locale, e per
tale motivo e per il servizio prestato all’U.P.I. veniva imputato del
reato previsto dall’art. 54 C.P.M.G., lo Sguerso e l’Aonzo venivano
rimessi a questo giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 55
stesso codice, in relazione al reato addebitato al Ricciardi.
Ritiene la Corte però che essi debbono andare assolti da tale
imputazione con ampia formula, perché, a parte che essi furono
costretti a quanto sopra con minacce e percosse, e il loro segnalato
comportamento precedente e successivo nelle file partigiane, e gli
stessi sforzi compiuti durante la loro detenzione per coprire il più
possibile i loro compagni di fede, dimostrano che mancava in essi la
volontà di tradire, sta il fatto che il delitto ipotizzato a carico del
Ricciardi e che essi avrebbero agevolato, sarebbe già stato compiuto
prima ancora del loro arresto, e fin da quando il Ricciardi si era posto
al servizio dell’U.P.I., in modo che le loro parziali rivelazioni non
avrebbero influito in alcun modo sulla consumazione di tale reato.
Per tali considerazioni non è il caso di applicare ai giudicabili
l’amnistia concessa col D.P.R. 22.6.1946 n. 4, ma in applicazione
della art. 151 C.P.P. e si devono assolversi per non aver commesso il
fatto.
P.Q.M.
Visto l’art. 479 C.P.P.
Assolve Sguerso Tullio e Aonzo Nicolò dall’imputazione loro
ascritta per non aver commesso il fatto.
Savona, 24 giugno 1946
Il 19 settembre 1948 il giudice istruttore scrisse alla Cancelleria
della Corte di Genova:
Da informazioni assunte è risultato che il procedimento penale di
cui chiedo gli atti, inizialmente era intestato a Sguerso Tullio,
Ricciardi Antonio e Aonzo Nicolò, Mentre per lo Sguerso e l’Aonzo il
processo stesso fu definito con sentenza 24.6.1946, per il Ricciardi,
poiché lo stesso era anche imputato di omicidio, fu ordinata la
riunione del processo a quello a carico di Bagolin Enrico69, definito
69
G. MALANDRA, I caduti savonesi per la lotta di Liberazione, cit., p. 108.
Bagolin Enrico, nato a Pressana (Vr) 15 gen. 1922, milite della GNR.
Processato dalla Corte di Assise Straordinaria di Savona per l’uccisione di
Giuseppe Favero il 18 apr. 1945 a Savona e nel dic. 1947 condannato a 6
134
quest’ultimo con sentenza di questa Corte di Assise dell’anno 1947.
Di conseguenza il processo dello Sguerso dovrebbe trovarsi unito a
quello a carico del Bagolin, ma intesta al solo Ricciardi che pare sia
stato assolto nel 1947 dalla Sezione Istruttoria di codesta Corte.
Prego eseguire gli accertamenti necessari per il rintraccio del
procedimento e rimetterlo con cortese urgenza.
Il 2 ottobre il cancelliere Vinciguerra rispose che “gli atti
relativi al Bagolin, condannato con sentenza 17.12.1947 Corte
Assise Savona, si trovano dal 8.6.1948 presso la Suprema Corte di
Cassazione per il ricorso dell’imputato”.
La richiesta di rogatoria per Luigi Licitra
Il 19 settembre 1948 il dr. Santaniello chiese alla Questura di
Savona “con cortese urgenza, l’attuale residenza di certo Licitra,
già commissario prefettizio presso il comune di Albissola Marina
prima della Liberazione, previa identificazione. E’ stato detenuto in
Savona per il delitto di collaborazionismo e nel 1946 usufruì
dell’amnistia concessa con D.L.L. 11.6.1946 n. 4 [amnistia
Togliatti]”.
Il 29 settembre la Questura rispose che “Licitra Luigi fu
Giovanni e di Izzia Concetta, nato a Vittoria (Ragusa) il 31.7.1897
ed ivi residente in via Sennia 24. Risulta espatriato
obbligatoriamente a Ragusa in data 28.6.1946, dimesso dalla Casa
di Pena di Finalborgo. La Questura di Ragusa è pregata di
provvedere al suo rintraccio e di comunicare la sua attuale
residenza all’Autorità Giudiziaria.” Il 25 ottobre il questore di
Ragusa D’Angelo rispose che “Licitra Luigi fu Giovanni e di
Dizzia (non Izzia) Concetta, abita a Vittoria in via La Marmora,
309.”
Il 6 maggio 1949 il giudice istruttore Varalli scrisse al pretore di
Ragusa che il Barbagallo era colpevole di favoreggiamento dei
nazi-fascisti e in particolare di essere stato spia segreta a favore del
Commissario Prefettizio del Comune di Albissola, Licitra Luigi,
ora residente a Vittoria. Lo pregò pertanto interrogare il Licitra
anni (condonati 3) di reclusione. La stampa riferisce anche la ricostruzione
fornita in udienza da Bagolin: “Nel suo interrogatorio l’imputato ha sostenuto
che in quel pomeriggio il Favero gli aveva asportato la bici e poiché lui nella
sua qualità di milite della GNR aveva il moschetto esplose alcuni colpi da
scopo intimidatorio. Disgraziatamente uno colpì il Favero che poi
decedette….” (L’Unità, 10 dic. 1947).
135
circa i suoi rapporti col Barbagallo nel periodo della dominazione
nazi-fascista. Il 29 maggio il pretore di Vittoria citò Licitra Luigi,
ma il giorno dopo l’ufficiale giudiziario rispose che dalle
informazioni assunte egli risiedeva a Savona con la famiglia!
Come abbiamo visto per la ricerca della vedova Barbagallo, le
difficoltà riscontrate dall’autorità giudiziaria in Sicilia erano
davvero insormontabili.
L’istruttoria formale: Carlevarino Giovanni, il partigiano
“Lampo” e “Rambo”
Il 7 maggio 1949, dopo un’interruzione durata più di sette mesi,
iniziò l’istruttoria formale. Carlevarino Giovanni venne interrogato
dal giudice istruttore G. Varalli.
D. r. “Il mio nome di battaglia era “Lampo”. Ero il comandante del
distaccamento “Tambuscio”. Ricordo vagamente che subito dopo la
Liberazione fu eseguita la sentenza di morte nei riguardi di un ex
maresciallo dei CC di Albisola. Non ricordo più i particolari. In questo
momento non saprei dire quale partigiano portava il nome “Rombo” o
“Rambo”. Non ricordo di aver firmato il verbale in data 30.4.45.
Comunque faccio presente che avrei firmato col nome “Lampo”.
Mi riservo di dare ulteriori schiarimenti”. L. c. s.
Il 9 maggio 1949 Carlevarino Giovanni, a parziale modifica di
quanto dichiarato e a completamento della precedente, dichiarò
“che avevo oltre che il nome di battaglia di “Lampo” anche quello
di “Rambo”. Sono io che ho firmato la dichiarazione 30.4.45 che è in
atti e in cui si dice che il Barbagallo è stato arrestato e condannato a
morte per ordine del Comando Distaccamento Tambuscio. Il
Barbagallo già era stato segnalato come spia dal Comando Volontari
della Libertà.
Nei giorni della Liberazione il Barbagallo era stato arrestato dalla
popolazione che lo voleva linciare, in quanto egli aveva fatto arrestare,
in periodo di dominazione nazi-fascista, dei genitori di renitenti alla
leva e dei partigiani.
I partigiani riuscirono a sottrarlo alla vendetta della folla, e poi lo
portarono al distaccamento di Savona. Di qui lo portai in macchina ad
Albisola per accertare le sue responsabilità. Subito la folla di nuovo
tentò di linciarlo. Io imposi la calma e chiesi informazioni, fu allora
che mi furono esibite le denuncie a carico del Barbagallo. Denuncie
che io posseggo e mi riservo di produrre.
136
Il Barbagallo di fronte all’atteggiamento della folla e alle denunce
esposte a suo carico, rivolto alla popolazione disse: “Vi chiedo
perdono per il male che ho fatto.” In seguito a ciò fu fucilato.
Tali fatti avvennero il 29 aprile 1945.” L.c.s.
Nel fascicolo del procedimento sono presenti gli originali e le
trascrizioni di tre documenti prodotti dal Carlevarino.
Io sottoscritto pompiere Pomati Giovanni dichiaro che il
maresciallo dei Carabinieri Barbagallo Andrea fu Raffaele e di
Mangani Angela, nato a S. Giovanni di Giava [Giarre] il 7.1.1901,
residente ad Albissola Superiore C. Mazzini 2, mi denunciò con altri 4
compagni (Pastorino, Piccone Giorgio, Sasso Giovanni, Tomasina)
per aver cantato “Bandiera Rossa” il 26 luglio 1943 e di conseguenza
fummo deferiti al Tribunale Militare.
Come punizione ebbi la sospensione per tre mesi dal servizio.
Savona, 30 aprile 1945.
Pomati Giovanni
Io sottoscritto Briano Angelo dichiaro di aver ricevuto dal
maresciallo Barbagallo l’intimazione di fare presentare mio figlio
della classe 1924 e mi disse che se non [si presentava] mi avrebbe
preso me e mi disse che alle volte avere dei figli sono fastidi e che alle
volte non si può esporre il pensiero che uno espone e [che] si direbbe
un paternostro e si dice sacramento.
Briano Angelo, via San Nicolò 3 – Albissola Superiore.
Io sottoscritta Pastorino Benedetta dichiaro di essere stata tratta
in arresto dal Maresciallo Barbagallo e tenuta in prigione per ben 16
giorni trattandomi malamente e dicendomi inoltre delle cose molto
offensive allo scopo di obbligare mio figlio Parodi Giovanni il quale
si trovava con i partigiani di Bastia [Mondovì] a presentarsi a
militare.
Pastorino Benedetta, via Piave 6 – Albissola Superiore.
Il 7 giugno il giudice istruttore scrisse ai CC di Albisola “risulta
che certo Pomati Giovanni, Pastorino [Dante], Piccone Giorgio,
Sasso Giovanni e Tomasina [Mario] non meglio qualificati il 26
luglio 1943 sarebbero stati denunciati dal maresciallo Barbagallo
per aver cantato “Bandiera rossa”. Prego voler identificare e citare
le persone a conferire un questo ufficio il 17 giugno insieme a
Briano Angelo […] e Pastorino Benedetta […].”
137
L’11 giugno vengono citati a comparire Piccone Giorgio70,
Briano Angelo71, Pastorino Benedetta72, Sasso Giovanni73, abitante
in Savona; Pomati Giovanni74, abitante in Savona, forse via
Guidobono; Pastorino Dante75, abitante a Cairo Montenotte;
Tomasina Mario, abitante a Cairo Montenotte.
Le deposizioni dei testi e l’archiviazione
Il 15 giugno 1949 il maresciallo capo Giuseppe Grassi,
comandante la stazione CC di Cairo Montenotte, rispose alle
richieste del giudice istruttore che “Mentre si assicura di aver
provveduto a citare per la presentazione in codesto ufficio di
Pastorino Dante per il mattino del 17 corr., si comunica che il
Tomasina Mario di Pietro risiede attualmente a Osmate (Varese),
per cui non è stato possibile invitarlo a presentarsi.”
Il 17 giugno, davanti al giudice istruttore, Pastorino Benedetta
dichiarò:
A.d.r. “Nel dicembre 1943 il M.llo Barbagallo venne ad invitarmi
perché mio figlio non si era presentato alla chiamata alle armi della
repubblica fascista [bando Graziani, 9 novembre 1943] e io non
volevo dire dove si trovava: in effetti neppure io lo sapevo. Voleva
dapprima la tessera di mio figlio e poi visto che nulla poteva ottenere
da me, senza neppure darmi il tempo di cambiarmi o di portarmi
vestiti più pesanti mi portò in carcere a Sant’Agostino di Savona, dove
mi trattenne 16 giorni. C’erano con me, per le stesse ragioni ed
arrestati dal Barbagallo altre tre persone. Infine fui liberata. Egli mi
minacciò allora di farmi fucilare se mio figlio non si fosse presentato.
Dopo la Liberazione, da un comando partigiano mi fu chiesto di
ricordare il fatto alla presenza del Barbagallo che era stato da quelli
arrestato. Confermai ciò che ora ho detto alla S. V. Il Barbagallo
riconobbe il fatto e mi chiese perdono; io gli risposi che ormai, dato
che mio figlio era salvo, gli perdonavo di buon grado. Un partigiano
70
Piccone Giorgio fu Giovanni e di Zuffo Maria, nato a Stella S. Bernardo il
5.8.1925, abitante in Albisola Marina, via Emilia 18.
71
Briano Angelo di Gio. Batta e di Molinari Maria, nato a Stella l’8.7.1896,
abitante in Albisola Superiore, via S. Nicolò 3.
72
Pastorino Benedetta di Stefano e di Rocca Sinforosa, nata a Celle il
7.2.1902, abitante in Albisola Superiore, via Piave 6.
73
Sasso Giovanni di n.n. di anni 38, nato a Savona, ivi res. via Verzellino 2/10.
74
Pomati Giovanni di Eligio, di anni 46, nato a Savona, ivi res. via
Guidobono 11/9.
75
Pastorino Dante fu Angelo, di anni 41, nato a Cairo, ivi res., via Martini 3.
138
che assisteva alla scena chiese al Barbagallo che cosa avrebbe fatto a
mio figlio se allora lo avesse preso. Egli rispose: lo avrei fatto
fucilare.” L.c.s.
L’operaio dell’ILVA Briano Angelo:
A.d.r.: “Durante il periodo del governo fascista del 1944, il M.llo
Barbagallo più volte ebbe a invitarmi a confermargli che ero un capo
comunista, e che cantavo “Bandiera Rossa”. Egli mi conosceva e mi
diceva che se non avessi fatto presentare mio figlio di leva egli
avrebbe prelevato me e mi avrebbe mandato in Germania in un campo
di concentramento.
Per tali intimazioni consigliai mio figlio di presentarsi.
Più volte, di notte e a tutte le ore, il Barbagallo fece perquisire la
mia casa. Egli diceva che una volta o l’altra avrebbe sistemato tutti i
partigiani “famosi” della zona, e li avrebbe fatti finire.
Queste dichiarazioni io resi ai partigiani dopo la Liberazione alla
presenza del Barbagallo, il quale riconobbe la verità di quanto
dicevo.” L.c.s.
Il panettiere Sasso Giovanni:
“Nel 1943, dopo la caduta del fascismo, il M.llo Barbagallo
denunziò me e altri miei amici perché tornando da un incendio, che
come pompiere ero andato a spegnere, cantavamo “Bandiera Rossa”.
Per tale motivo fummo tutti estromessi dal Carpo dei Pompieri.” L.c.s.
Il pellicciaio Pomati Giovanni:
A.d.r.: “Il 26 luglio 1943 mentre tornavamo da un incendio, io e
vari amici che eravamo nei pompieri, cantavamo “Bandiera rossa”;
anzi io non cantavo neppure.
Dopo qualche giorno venne il M.llo Barbagallo a chiedermi i nomi
dei pompieri che con me avevano partecipato all’opera di
spegnimento. Detti i nomi, credendo si trattasse per il rapporto che il
m.llo doveva compilare, e invece ci denunziò tutti per aver cantato
quell’inno. Fummo tutti estromessi dal Corpo in attesa di giudizio
presso il Tribunale Militare.
Dopo la Liberazione vennero alcuni partigiani che mi invitavano al
loro comando dove si trovava il Barbagallo; messo a confronto di
costui ebbi a confermare quanto ho detto alla S. V. Non so quello che
poi fu fatto in seguito.” L.c.s.
Il pompiere Pastorino Dante:
“Nel 1943 fui denunciato per aver cantato “Bandiera Rossa” dal
M.llo Barbagallo per tale motivo fui sospeso dal Corpo fino alla fine
139
della guerra. Dopo la Liberazione fui riassunto. Fummo in attesa di
giudizio.” L.c.s.
Il macchinista vetraio Piccone Giorgio:
A.d.r. “Nel 1943 ero nel Corpo dei Pompieri. Poiché di ritorno da
un incendio con altri amici cantavamo “Bandiera Rossa”, il 26.7.1943,
il M.llo Barbagallo ci denunciò tutti, e quindi fummo estromessi dal
Corpo.” L.c.s.
Il 17 giugno 1949 il giudice istruttore inviò la pratica al P.M.
per le sue determinazioni, ritenendosi chiusa la formale istruttoria.
Il 9 agosto il P.M. poiché la uccisione del Barbagallo Andrea era
stata “ad opera di partigiani, non si può procedere personalmente
stante il divieto del D.L.L. 12.4.1945 n. 194. Chiede che il G. I.
voglia disporre l’archiviazione degli atti.”
Per l’articolo unico del D.L.L. citato dal P.M., intitolato “Non
punibilità delle azioni di guerra dei patrioti nell'Italia occupata”,
erano considerate azioni di guerra tutte le operazioni compiute dai
patrioti regolarmente inquadrati nelle formazioni militari
riconosciute dai C.L.N., e da altri cittadini che li abbiano aiutati,
per la lotta contro i fascisti nel periodo dell’occupazione nemica.
Era indubbio che anche l’esecuzione della condanna a morte
dell’ex maresciallo, collaboratore e spia dei nazi-fascisti, messo in
atto dai partigiani era conseguente della lotta degli uni contro gli
altri, che in quel momento era ancora in corso e che cessò soltanto
con l’instaurazione del governo militare alleato. E poiché il
governo militare alleato assunse i poteri nella provincia di Savona
il 1° maggio 1945, l’uccisione del Barbagallo, verificatasi due
giorni prima, non era punibile per espressa disposizione contenuta
nel decreto. Interessante notare che il D.L.L. venne pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale, n. 58 del 15 maggio 1945. Cosa sarebbe
accaduto se fosse stato pubblicato prima del 25 aprile?
Il 18 aprile 1956 il Ministero della Difesa diede il nulla osta al
trasferimento della salma di Andrea Barbagallo al suo paese di
origine Canicattini Bagni, in provincia di Siracusa (Archivio del
Comune di Albissola Marina).
140
Fly UP