...

TRASPORTO MARITTIMO CONFITARMA Le Autostrade del

by user

on
Category: Documents
10

views

Report

Comments

Transcript

TRASPORTO MARITTIMO CONFITARMA Le Autostrade del
Trasporto marittimo
Confitarma
In acque
agitate
Le Autostrade del mare
stanno funzionando. Ma
se non verrà rifinanziato
l’ecobonus, tutto il settore è
a rischio. È il grido d’allarme
lanciato da Paolo d’Amico,
presidente dell’associazione
degli armatori. Che avverte:
senza agevolazioni fiscali,
le navi italiane potrebbero
cambiare bandiera
È
indispensabile rifinanziare l’ecobonus. Perché senza questo «importante strumento che dovrebbe
diventare strutturale e che Bruxelles vorrebbe introdurre prendendo a modello
l’Italia», le Autostrade del mare sono a
rischio, «pur rappresentando da anni un
successo dell’industria armatoriale italiana». L’allarme è stato lanciato da Paolo
d’Amico, presidente di Confitarma, la
Confindustria degli armatori.
Una rassicurazione puntuale a questa
preoccupante prospettiva non è ancora
arrivata da Altero Matteoli, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, se non
il ribadire generico che l’ecobonus «resta
elemento essenziale delle Autostrade del
mare». Al momento, l’unica notizia certa
è quella data alcuni mesi fa dal sottosegretario Bartolomeo Giachino, che ha
confermato i contributi – 30 milioni – per
i viaggi degli autotrasportatori sulle navi
effettuati nel 2011. Sull’incentivo 2012,
quindi, ancora nessuna certezza.
Eppure queste risorse sono imprescindibili per continuare a togliere i camion
dalle strade: nel triennio 2007-2009, (ultimo dato disponibile) l’ecobonus, per il
quale in questi stessi anni sono stati complessivamente finanziati 170 milioni, ha
generato infatti il trasferimento sulle navi
di circa 1.500.000 autoarticolati carichi
di merce. Con evidenti benefici per l’ambiente e per i bilanci delle compagnie di
navigazione che sulle Autostrade del mare hanno aperto 35 tratte nazionali, 42
comunitarie e 32 extracomunitarie per
un totale di 52 porti toccati.
Ma non è stato l’unico monito rivolto
al governo da Confitarma. D’Amico ha
ricordato soprattutto che gli armatori di
casa nostra possono cambiare bandiera,
ammainando quella italiana dai pennoni
delle navi per issarne una di qualsiasi Paese che possa offrire loro un miglior regime fiscale. Lo possono fare perché sono
multinazionali per definizione. Il rischio
di questo cambio di casacca? Devastante: meno soldi per il fisco, crollo dell’occupazione di marinai e ufficiali italiani,
delocalizzazione dell’industria navale.
Tagli in vista?
La causa dell’esplicito avvertimento è
presto spiegata: chi possiede una flotta
ha intravisto il pericolo dell’abolizione,
il prossimo anno, delle agevolazioni di
cui godono gli iscritti al Registro internazionale marittimo, introdotto nel 1998 a
fianco del Registro tradizionale. L’autore
Testi
Sergio Cuti
Fotografie
Dra
8 hp
dicembre 2011
dicembre 2011
del taglio, il ministero dell’Economia e
delle Finanze. Di fronte a questa sfavorevole possibilità, d’Amico ha voluto
rivendicare con orgoglio i traguardi raggiunti dall’industria armatoriale tricolore
grazie proprio all’istituzione del Registro
internazionale che ha assicurato «lo sviluppo della navigazione e l’occupazione
marittima».
I numeri del settore sono significativi:
una flotta di 1.664 navi, e cresciuta da
8,5 a 18 milioni di tonnellate di stazza
lorda. Inoltre, gli investimenti nel settore sono stati di quasi 35,5 miliardi, e gli
occupati a bordo e a terra sono saliti a
60 mila unità circa, contro i 38 mila del
1998, senza contare i 110 mila che hanno trovato un posto di lavoro nell’indotto.
Infine, c’è stato il recupero dell’undicesima posizione nella graduatoria mondiale
tra i navigli mercantili iscritti ai principali
Registri internazionali.
Non era così 13 anni fa, quando anche
l’Italia si dotò di questo Registro per il
suo armamento. «La nostra flotta stava
sparendo», ha spiegato il presidente di
Confitarma. «Gli armatori trovavano riparo nelle bandiere ombra perché non era
più possibile resistere con una pressione fiscale, una rigidità burocratica e norme del
lavoro che avevano ormai raggiunto livelli
inaccettabili».
Che cosa spinse, a quei tempi, gli armatori della Penisola a iscriversi nel Registro internazionale e, quindi, a tornare
a battere bandiera italiana? Sicuramente
il regime di agevolazioni, esteso nel 2005
anche alle navi impegnate nei traffici di
cabotaggio superiore alle 100 miglia. Nel
dettaglio, la possibilità di imbarcare una
quota rilevante di personale extracomunitario, quindi a costi nettamente inferiori rispetto all’avere a bordo un equipaggio interamente comunitario come
prescrive l’articolo 318 del Codice della
navigazione.
E ancora: l’Irpef dei lavoratori è stata
portata in deduzione diventando così un
credito d’imposta, mentre è stata garantita l’esenzione dal pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali, che
furono coperti da uno speciale fondo del
governo. Ma non è finita: l’armatore non
paga l’Irap. Infine, c’è il vantaggio fiscale
della Tonnage Tax, cioè la tassazione forfetaria minima calcolata sul tonnellaggio
complessivo delle navi, indipendente-
mente dal reddito prodotto dalla flotta.
Ma la Tonnage Tax ha anche dato «impulso alla formazione di personale marittimo italiano qualificato, con l’obbligo di
imbarcare allievi ufficiali».
Ora, di fronte all’ipotesi che nel calderone dei tagli indiscriminati «ai regimi
minimi agevolati», messi sotto la lente
dallo staff del ministero dell’Economia,
possa finire anche il Registro internazionale – la cui nascita rappresentò una delle battaglie più intense condotte dallo zio
di Paolo d’Amico, Antonio, per tre mandati presidente di Confitarma – rischia
di far perdere la pazienza agli armatori.
I quali hanno voluto sgombrare il campo
da un possibile equivoco: la loro, sostengono, non è la battaglia di una lobby che
vuol difendere dei privilegi, perché i fondi del Registro internazionale «non sono
semplici agevolazioni fiscali, ma sono l’architrave al quale si appoggia un comparto,
quello dell’economia del mare, che rappresenta una delle principali voci del bilancio
di questo Paese». Tanto che togliere questo pilastro su cui si fonda l’intero settore
industriale navale, «farebbe perdere soldi
al governo, non guadagnarne».
Lo scenario previsto, infatti, è allarmante: scatterebbe l’immediato allontanamento della flotta dalla bandiera italiana e la delocalizzazione dell’industria armatoriale del Paese. «È un’esperienza già
vissuta», ha messo in guardia d’Amico, «e
non vorremmo essere costretti a scegliere
altre bandiere europee più competitive».
Infatti, per una flotta di qualità non è obbligatorio battere bandiera italiana. E sicuramente, in prima fila fra i Paesi pronti
ad accogliere gli armatori in fuga dall’Italia ci potrebbe essere Malta. Oppure
la Gran Bretagna, che oggi ha solo 11
imbarcazioni in meno (1.638) dell’Italia
iscritte nel suo Registro internazionale.
«Ma che senso ha», si è chiesto d’Amico,
«andare a pagare le tasse agli inglesi?».
L’ipotesi che dal
prossimo anno
vengano aboliti gli
incentivi concessi agli
iscritti al Registro
internazionale
marittimo ha messo in
subbuglio gli operatori.
Confronto ad armi pari
Esempi pratici di che cosa potrebbe
perdere il Belpaese senza gli industriali
marittimi? Il presidente di Confitarma
ha citato due casi concreti, senza nominare i protagonisti, ma il riferimento è risultato subito evidente. Il primo è Costa
Crociere, la prima società del settore in
Europa e che opera esclusivamente con
navi di bandiera italiana generando «un
hp 9
Trasporto marittimo
Confitarma
«Il Registro
internazionale ha
portato all’italia
impatto economico di oltre 2
miliardi di euro sull’econonumeri significativi:
mia del Paese, con un gettito fiscale (incluso l’indotto)
una flotta di 1.664
equivalente a quasi il 4,5%
della manovra finanziaria
navi con 18 milioni di
2011». Ebbene, continua
d’Amico, «senza il Registro
tonnellate di stazza.
internazionale» Costa Crociere certamente non si
Che ora potrebbero
sarebbe imbarcata «in investimenti per la costruziopuntare ad altri lidi»
ne di 10 navi in Italia negli
ultimi 10 anni».
Il secondo è Grimaldi Napoli. «È italiano il principale armatore europeo di
moderne navi traghetto. Diventato operatore multinazionale di logistica integrata
anche attraverso l’acquisizione di importanti realtà portuali e armatoriali in Nord
Europa e nel Mediterraneo». L’Italia, in
poche parole, ha avvertito il presidente
di Confitarma, non commetta l’errore
di lasciarsi scappare gruppi industriali che creano ricchezza pur trovandosi
quotidianamente a fare i conti con la
crisi internazionale dei traffici e il crollo
dei noli marittimi, e che «non chiedono
trattamenti di favore, ma soltanto di essere
messi nella possibilità di confrontarsi ad
armi pari» con i concorrenti che sono di
altri Paesi europei. «Dateci le stesse norme in materia di fiscalità e di lavoro degli
altri», ha rimarcato d’Amico.
10 hp
A gettare acqua sul fuoco dell’irritabilità del mondo armatoriale ci ha pensato
il ministro Matteoli, il quale ha sottolineato che «la situazione economicofinanziaria è quello che è», ma nel settore
rappresentato da Confitarma «non sono
previsti tagli». «Anzi», ha aggiunto il
ministro, «ho firmato un decreto da 132
milioni al vaglio del ministero dell’Economia». E che il ministro Tremonti ha
firmato a sua volta. Dei 132 milioni, 69
sono stati destinati all’Authority di Savona per la realizzazione della piattaforma
Maersk di Vado Ligure, altri 50 sono stati
assegnati per lavori nello scalo marittimo
all’Autorità portuale di Genova, mentre
12,5 sono stati attribuiti alle Authority
di Cagliari, Gioia Tauro e Taranto per la
forte riduzione delle tasse di ancoraggio,
nella speranza che l’iniziativa possa attirare le compagnie di navigazione dopo la
fuga di Maersk da Gioia Tauro e di Evergreen da Taranto.
Tre casi emblematici
Le emergenze dettate da Confitarma
non finiscono qui: il presidente d’Amico
ha lamentato anche l’eccessiva burocrazia che rappresenta un determinante fattore di debolezza competitiva: «Da due
legislature giacciono disegni di legge di
semplificazione, a costo zero, alla Camera
e al Senato». E per rendere più concreti il
disappunto e la denuncia degli armatori
nei confronti della pubblica amministrazione, ha illustrato tre casi emblematici.
«In nessun altro Paese», ha sottolineato, «per poter vendere una nave all’estero
si deve produrre fino a tre fideiussioni in
favore di tre diverse istituzioni, o per noleggiare una nave a scafo nudo a un altro
soggetto comunitario occorre attendere
due mesi o pagare alcune migliaia di euro
di fideiussione. Infine, in nessun altro Paese una nave in corso di immatricolazione
prima di poter salpare deve essere ispezionata, ovunque si trovi, da funzionari di due
diversi ministeri, inviati appositamente
dall’Italia».
E mentre la riforma dei porti va sempre a rilento, ha continuato d’Amico, è
necessario rendere da subito operativi i
dragaggi in alcuni porti perché, in caso
contrario, «l’Italia verrebbe servita solo
da navi feeder». Infine, il mancato rinnovo, dal 2010, degli sgravi contributivi
e sociali per gli equipaggi imbarcati su
navi impegnati nel cabotaggio tra porti
nazionali: questa proroga trascurata sta
penalizzando gli operatori italiani rispetto a quelli europei, in un mercato ormai
liberalizzato. Rilievi pesanti, quindi,
espressi da un presidente al quale vengono universalmente riconosciuti equilibrio e moderazione e che dipingono a
tinte fosche il futuro concorrenziale dei
nostri porti. A meno di una inversione di
rotta a 360 gradi.
dicembre 2011
Fly UP