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Mon mari - Vendo Libri Usati
Lisa Kleypas SPOSARE UNO SCONOSCIUTO Prologo Natchez 1805 Nella stanza riecheggiavano i colpi sordi delle percosse. Lysette si protesse dai pugni che le martellavano la carne coprendosi il capo con le braccia, mentre dalla gola le uscivano grida soffocate. Tutta la sua ribellione finiva lì restava solo la volontà di sopravvivere alla violenza del patrigno. Gaspard Medart era un uomo basso, ma molto robusto, con una forza bruta che spesso usava per compensare la mancanza d'intelligenza. Quando si avvide che Lysette non avrebbe opposto ulteriore resistenza, si raddrizzò con un grugnito soddisfatto, asciugandosi sul panciotto i pugni insanguinati. Ci volle un po' prima che Lysette si rendesse conto che Gaspard aveva finito. Con cautela aprì le braccia e sbirciò: lui era in piedi sopra di lei, con i pugni ancora stretti. Lei inghiottì, assaporando il proprio sangue, e si mise a sedere. «Adesso hai capito cosa significa sfidarmi» ringhiò il patrigno. «D'ora in poi, quando mi rivolgerai uno dei tuoi sguardi impertinenti, ti ripagherò così.» Le agitò un pugno davanti agli occhi. «Hai capito?» «Ouì.» Lysette chiuse gli occhi. "Dio, fa' che sia finito" pensò febbrilmente. "Fa' che sia finito ... " Avrebbe detto o accettato qualunque cosa purché se ne andasse. Fortunatamente, con una smorfia di disprezzo, Gaspard lasciò la stanza. A Lysette girava orribilmente la testa. Raggiunse a carponi il letto e in qualche modo riuscì a tirarsi in piedi. Alzò una mano per toccarsi il mento ferito e se lo massaggiò con cautela. Un sapore salato le riempì la bocca e sputò. Quando la porta cigolò, la guardò stancamente, non avendo la forza di opporsi qualora il patrigno fosse tornato. Invece era sua zia Delphine, che durante l'esplosione di rabbia di Gaspard era andata a rintanarsi in un'altra stanza. Tutti la chiamavano tante. Apparteneva alla sfortunata categoria delle zitelle che, non avendo trovato marito, erano ridotte a vivere dell'incerta carità di parenti riluttanti. Mentre fissava il viso contuso di Lysette, la faccia paffuta di Delphine era contratta in una smorfia a metà tra la preoccupazione e l'esasperazione. «Pensate che abbia meritato questa punizione, lo so» sbottò Lysette con voce roca. «Gaspard è il capofamiglia ... l'unico uomo. Le sue decisioni devono essere accettate senza obiezioni. Giusto?» «È una fortuna che non abbia fatto di peggio» rispose Delphine, riuscendo a suonare compassionevole e delusa nello stesso tempo. «Non credevo che vi sareste spinta cosi oltre.» Si avvicinò a Lysette e la prese per il braccio. «Lasciate che vi aiuti...» «Andatevene» mormoro Lysette, ritraendosi. «Non mi serve il vostro aiuto, non ora. Ne avrei avuto bisogno dieci minuti fa, quando Gaspard mi massacrava.» «Dovete accettare il vostro destino e non essere così piena di rancore» insistette Delphine. «Forse essere la moglie di Etienne Sagesse non sarà terribile come vi aspettate.» Mentre saliva dolorosamente sul letto, Lysette sibilò tra i denti. «Delphine, non ci credete neanche voi. Sagesse è un maiale malvagio ed egoista e nessuno con un po' di sale in zucca potrebbe negarlo.» «Le Bon Dieu ha deciso per voi e, se è sua volontà che voi diventiate la moglie di un uomo del genere...» Delphine scrollò le spalle. «Ma non è stato Dio a decidere!» Lysette rivolse lo sguardo verso la porta. «È stato Gaspard.» Negli ultimi due anni quella canaglia aveva sperperato ogni centesimo risparmiato dal suo defunto padre, Per rifornire la cassa e riguadagnare credito, Gaspard aveva organizzato il matrimonio tra la sorella maggiore di Lysette, Jacqueline, e un ricco proprietario terriero con il triplo dei suoi anni. Ora toccava a Lysette essere venduta al miglior offerente. Aveva creduto che Gaspard non sarebbe mai riuscito a trovare un candidato peggiore di quello assegnato a Jacqueline, ma in qualche modo il patrigno aveva superato se stesso. Il promesso sposo di Lysette era il proprietario di una piantagione di New Orleans di nome Etienne Sagesse. Costui aveva convalidato le sue peggiori paure durante il loro unico incontro, comportandosi in modo rozzo e volgare, arrivando persino a palparle il seno. Gaspard era sembrato divertito e aveva sostenuto che si trattava di una vigorosa manifestazione di virilità. «Lysette?» Delphine si chinò su di lei, petulante oltre ogni sopportazione. «Forse un po' d'acqua fresca per lavarvi il...» «Non mi toccate.» Lysette girò la faccia. «Se volete rendervi utile, mandate a chiamare mia sorella.» Aveva un tremendo bisogno di sincero conforto. «Ma suo marito potrebbe non permetterle ...» «Ditele ...» insistette Lysette, appoggiando la testa sul cuscino «... dite a Jacqueline che ho bisogno di lei.» Quando Delphine uscì, nella stanza calò un silenzio innaturale. Leccandosi le labbra gonfie e rotte, Lysette chiuse gli occhi e provò a pensare a un piano: la violenza di Gaspard aveva soltanto intensificato la sua determinazione a cercare una via di fuga dall'incubo in cui si trovava. Così, lentamente, si appisolò. Nonostante il dolore delle ferite, Lysette sonnecchiò fino a quando il sole del pomeriggio svanì e la stanza si riempì dell'ombra della sera. Quando si risvegliò, trovò la sorella al suo capezzale. «Jacqueline» sussurrò, piegando le labbra in un dolorante sorriso. Un tempo Jacqueline avrebbe pianto davanti a quella scena pietosa e si sarebbe stretta a lei per consolarla. Ma la Jacqueline del passato era ormai stata rimpiazzata da una donna fredda e controllata. Jacqueline era sempre stata la più graziosa tra le due: i suoi capelli ramati erano lisci e setosi rispetto ai selvaggi ricci di Lysette; la sua pelle era bianca e perfetta al confronto di quella spruzzata di lentiggini color ambra della sorella. Lysette tuttavia non era mai stata invidiosa, perché Jacqueline era sempre stata materna e amorevole verso di lei, quasi più della madre, Jeanne. Jacqueline pose una mano snella e profumata sul copriletto. Aveva i capelli pettinati alla moda e il viso incipriato a dovere, ma nessun trucco avrebbe potuto nascondere quanto fosse invecchiata dopo il matrimonio. «Jacqueline ...» mormorò Lysette con voce rotta. Il viso della sorella era teso, ma composto. «È finalmente successo? Ho sempre temuto che avreste spinto Gaspard troppo in là. Vi avevo avvertito di non sfidarlo.» Lysette si tolse il peso che l'opprimeva. «Vuole che sposi il proprietario di una piantagione di New Orleans ... un uomo chedisprezzo.» «Sì, Etienne Sagesse» fu la gelida risposta. «Lo sapevo ancora prima che Sagesse arrivasse a Natchez.» «Lo sapevate?» Lysette, incredula, aggrottò le sopracciglia. «Perché non mi avete avvertito di ciò che Gaspard stava architettando?» «Da quanto ho sentito non è un cattivo partito. Se è quello che Gaspard vuole, sposatelo. Almeno vi libererete di lui.» «No, non capite che razza di uomo è, Jacqueline ...» «Sarà uguale a qualsiasi altro uomo» la interruppe Jacqueline con tono piatto. «Il matrimonio non è così difficile, Lysette ... non c'è confronto con la vostra situazione attuale: avrete la vostra casa da mandare avanti e non dovrete servire e accudire maman. E dopo che avrete avuto uno o due figli, vostro marito non verrà a farvi visita a letto tanto spesso.» «E io dovrei essere felice di questa routine per il resto della mia vita?» Lysette si sentì stringere la gola in un nodo doloroso. Jacqueline sospirò. «Mi dispiace di non esservi di conforto, ma penso che vi serva una buona dose di realismo.» Si chinò per toccare la spalla dolorante di Lysette e la vide sussultare per il dolore. «D'ora in poi spero che sarete abbastanza saggia da tenere a freno la lingua davanti a Gaspard. Potete almeno fingere di essere obbediente?» «Sì» rispose Lysette riluttante. «Vado a vedere maman. Com'è stata questa settimana?» «Peggio del solito, il dottore ha detto ...» Lysette distolse lo sguardo esitante. «Ormai maman non può alzarsi neanche se volesse «aggiunse in tono piatto.» Gli anni passati a fingersi invalida l'hanno indebolita, Se non fosse per Gaspard, sarebbe perfettamente in salute. Ma ogni volta che lui comincia a urlare, lei prende un'altra dose di tonico, chiude le tende e dorme per due giorni. Perché l'ha sposato? Jacqueline scosse la testa, pensierosa. «Una donna deve cogliere quanto le viene offerto. Quando è morto papà, maman non era più giovane e aveva pochi pretendenti. Immagino che Gaspard le fosse sembrato il partito migliore.» «Avrebbe potuto vivere da sola!» «Persino un cattivo marito è meglio della solitudine.» Jacqueline si alzò e si lisciò la gonna. «Adesso vado da lei. Sa quello che è successo tra te e Gaspard?» Lysette sorrise amara, pensando alla confusione che aveva provocato. «Non vedo come avrebbe potuto evitarlo. Allora sarà triste, ne sono sicura. Be', forse, quando anche voi ve ne sarete andata, ci sarà più pace in questa casa. Lo spero, per il bene di maman.» Lysette rimase a osservare sua sorella che usciva dalla stanza, poi si voltò su un fianco, Anche respirare le faceva male. «Non so perché» mormorò ironicamente «ma mi aspettavo un po' più di comprensione.» Chiuse gli occhi, riflettendo febbrilmente. No, non sarebbe diventata la moglie di Etienne Sagesse ... sarebbe riuscita a evitarlo ... a qualunque costo. 1 New Orleans Philippe e Justin Vallerand si dirigevano verso il fiume attraverso il bosco, aggirando buche fangose, grossi pini e platani nodosi. I ragazzi erano alti per la loro età ma snelli, non avendo ancora sviluppato la costituzione solida e muscolosa del padre. I loro lineamenti, invece, avevano il marchio dell'innata arroganza di tutti i Vallerand. Condividevano la stessa massa dì capelli neri che ricadevano sulla fronte in ciocche disordinate e gli stessi occhi blu incorniciati da lunghe ciglia. Dall'aspetto era quasi impossibile distinguerli, ma di carattere erano diversissimi: tanto Philippe era gentile, sensibile e corretto al punto da seguire le regole anche quando non ne capiva del tutto i motivi, quanto Justin, all'opposto, era sfrenato, non sopportava l'autorità e ne andava orgoglioso. «Che facciamo?» domandò Philippe. «Prendiamo la piroga e andiamo a cercare i pirati a valle?» Justin gli rivolse una risata di scherno, «Voi potete fare quel che volete. Io ho intenzione di fare visita a Madeleine, oggi.» Madeleine era la figlia di un mercante del paese. Ultimamente aveva mostrato interesse per Justin, anche se sapeva che Philippe era cotto di lei. Sembrava che la ragazza si divertisse un mondo all'idea di mettere i due fratelli uno contro l'altro. Il volto di Philippe mostrò tutta la sua gelosia. «Siete innamorato di lei?» Dopo un sogghigno Justin sputò a terra. «Amore? Chi ci pensa? Vi ho detto cosa mi ha lasciato fare l'ultima volta che ci siamo visti?» «Cosa?» domandò Philippe, mentre la gelosia cresceva. I due gemelli si fissarono negli occhi. Poi d'improvviso Justin gli diede uno scappellotto e scoppiò a ridere, mettendosi a correre tra gli alberi. Philippe si gettò all'inseguimento. «Vi obbligherò a dirmelo!» Prese un pugno di fango e lo lanciò contro la schiena di Justin. «Vi obbligherò a ...» Si bloccarono tutti e due quando videro un movimento vicino alla piroga. Un ragazzino vestito di stracci, con un cappellaccio floscio, stava trafficando con l'imbarcazione. Non appena si accorse dell'arrivo dei due, la corda gli cadde dalle mani, si affrettò a raccogliere un mucchio di indumenti e scappò. «Maledetto, voleva rubarci la piroga!» esclamò Justin, e i gemelli si lanciarono dietro al ladro con urla selvagge, dimenticando il loro bisticcio. «Prendiamolo!» Philippe deviò a sinistra, scomparendo dietro una macchia di cipressi che declinavano verso l'acqua fangosa. In pochi minuti riuscì a tagliare la strada al ragazzo, affrontandolo faccia a faccia. Notando il tremito di paura del ladruncolo, si asciugò la fronte con l'avambraccio e sorrise trionfante. «Ti pentirai di aver pensato di rubare la nostra piroga» lo minacciò senza fiato, avanzando verso la preda. Ansimando il ladro si voltò e andò a sbattere contro Justin, che lo prese per il braccio e lo fece scivolare di lato. Il ragazzo lasciò cadere il suo fagotto e strillò. «Philippe!» gridò Justin, difendendosi senza problema dai deboli colpi del ragazzo. «Guarda cosa ho preso! Un piccolo lutin senza alcun rispetto per la proprietà altrui! Ora cosa gli facciamo?» Philippe rivolse allo sventurato ladruncolo lo sguardo biasimevole di un giudice. «Tu!» ringhiò, avvicinandosi impettito al diavoletto che si contorceva. «Come ti chiami? «Lasciatemi andare! Non ho fatto niente!» «Solo perché ti abbiamo interrotto» ribatté Justin. Philippe fischiò notando i segni rossi e i graffi che, coprivano le braccia sottili e il collo del ragazzo. «Sei stato aggredito dalle zanzare, vero? Quanto sei rimasto nella palude?» Divincolandosi, il ragazzo riuscì a sferrare a Justin un calcio al ginocchio. «Ahi!» Justin si liberò gli occhi da una ciocca di capelli neri e guardò torvo il ladruncolo. «Adesso ho perso la pazienza!» «Lasciami andare, bastardo!» Irritato, Justin alzò la mano per rifilare un ceffone al suo prigioniero. «Sto per insegnarti le buone maniere, ragazzo.» «Justin, aspettate» lo interruppe Philippe. Era impossibile non provare un po' di compassione per quel ragazzino inerme. «È troppo piccolo. Non fate il prepotente.» «Che delicatezza!» lo canzonò Justin. «Come proponete di farlo parlare? Affogandolo nel fiume?» «Forse non dovremmo ...» iniziò Philippe. Ma il fratello si stava già dirigendo verso l'acqua, trascinando con sé il ragazzino urlante. «Lo sai che ci sono dei serpenti nell'acqua?» disse Justin, sollevando il ragazzino e preparandosi a gettarlo dentro. «Velenosi.» «No! Vi prego! «E anche alligatori, che non vedono l'ora di mangiarti in un solo boccone ...» Ma subito si interruppe, quando il cappello del ragazzino scivolò nel fiume e una lunga treccia rossa gli ricadde sulla spalla. Il ladro era una ragazza della loro età o appena più grande. Si attaccò al collo di Justin come se lui la stesse tenendo sull'orlo di un pozzo in fiamme. «Non gettatemi dentro, le vous en prie ... Non so nuotare.» Justin se la girò tra le braccia, fissandola attentamente. Sembrava una ragazza normale, carina, ma non in maniera straordinaria, anche se era difficile dirlo ricoperta com'era di fango e di morsi di zanzara. «Be'» disse lentamente «pare che ci siamo sbagliati, Philippe.» Scosse la ragazzina per farla stare zitta. «Silenzio. Non ti butterò dentro. Penso che ci sia un modo migliore di usarti.» «Passala a me» lo esortò Philippe. Justin gli rivolse un sorriso cattivo. «Andate a divertirvi da un'altra parte. È mia.» «È mia quanto vostra!» «L'ho presa io» ribatté Justin con determinazione. «Con il mio aiuto!» gridò oltraggiato Philippe. «E poi tu hai Madeleine!» «Prendetevela pure. Io voglio questa.» Philippe lo guardò corrucciato. «Fa' scegliere a lei!» I due si fissarono con aria di sfida. Poi Justin ridacchiò. «Così sia» disse, ammorbidendo l'espressione feroce. «Allora, chi preferisci tra noi due?» Lysette scosse il capo, troppo debole ed esausta per capire il senso della domanda. Aveva attraversato la palude per due giorni terrificanti, fradicia, sporca e certa che da un momento all'altro sarebbe stata uccisa da un alligatore o da un serpente velenoso. Il caldo umido era stato difficile da sopportare, ma l'assalto degli insetti l'aveva quasi fatta impazzire. Aveva iniziato a pensare che non sarebbe sopravvissuta al viaggio infernale che aveva intrapreso, e che non le importava. Qualunque cosa, anche una morte orribile, era preferibile a una vita insieme a Etienne Sagesse. «Allora? Non metterei tutto il giorno» la incalzò impaziente il ragazzo di nome Justin. Lysette si dibatté, ma le braccia magre di lui erano sorprendentemente forti. Justin strinse la presa fino a quando lei non si immobilizzò, senza fiato per il dolore. «Mon Dieu, non è necessario farle male» commentò Philippe. «Non le ho fatto male» rispose indignato Justin. «L'ho stretta appena. E lo farò di nuovo se non si decide.» Lysette spostò lo sguardo dal volto imperioso del ragazzo che la teneva prigioniera a quello più pietoso del ragazzo vicino. Si rese conto subito che erano gemelli, ma quello di nome Philippe sembrava un po' più gentile e negli occhi blu aveva una traccia di compassione, totalmente assente in quelli dell'altro. Forse avrebbe potuto convincerlo a lasciarla andare. «Voi» disse disperata, guardando Philippe. «Lui?» la schernì Justin, spingendola verso il fratello e sbuffando di disprezzo. «Ecco, Philippe, fatene ciò che volete. A me, in ogni caso, non interessa.» Raccolse il fagotto da terra e ci frugò dentro, trovando una manciata di monete chiuse in un fazzoletto, un vestito arrotolato e un pettine di ambra. Philippe la sorresse prendendola per le esili spalle. «Come ti chiami?» le domandò. Anche la sua voce era gentile. Lysette si morse le labbra e scosse la testa, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Si disprezzò per quel momento di debolezza, ma era sfinita, affamata, e stava per crollare. «Perché stavi prendendo la piroga?» le chiese Philippe. «Mi dispiace. Non avrei dovuto. Ora lasciatemi andare ... non vi disturberò mai più.» Dopo averla esaminata dalla testa ai piedi, Philippe parve giungere a una decisione. «Vieni con noi» le disse afferrandola per i polsi. «Se sei nei guai, potremmo aiutarti.» Lysette si sentì invadere da un senso di allarme. Sospettò che il ragazzo volesse portarla dai genitori. E in tal caso sarebbe stata una questione di poche ore, poi sarebbe stata riconsegnata a Sagesse. «No, per favore» lo pregò, ricominciando a dimenarsi. «Non hai scelta.» Lei cercò di liberarsi con tutta la forza che aveva in corpo, ma Philippe la immobilizzò con facilità umiliante. «Non voglio farti del male» la rassicurò, mettendosela su una spalla come fosse stata un sacco di patate. Lei strillò per la rabbia e la disperazione agitandosi convulsamente contro la schiena di lui. Justin fissò il fratello con sguardo ironico. «Dove la portate?» «Da nostro padre.» «Da nostro padre? Perché? Vi obbligherà a lasciarla andare.» «Lui saprà cosa fare» rispose Philippe senza intonazione. «Idiota» mormorò Justin sottovoce, seguendo il fratello con riluttanza. A metà del tragitto Lysette smise di contorcersi, pensando che fosse meglio risparmiare le energie residue per affrontare ciò che il destino aveva in serbo per lei. Non c'era modo di sfuggire alla presa di quei due ragazzi arroganti. Chiuse gli occhi sentendo salire la nausea. «Non trasportatemi a testa in giù» disse con voce impastata. «Altrimenti mi sentirò male.» Da dietro Justin disse: «In effetti sembra un po' pallida. Philippe.» «Davvero? «Philippe si fermò e la mise a terra. «Preferisci camminare?» «Sì» rispose lei, barcollando. I fratelli la presero ognuno per un braccio e si rimisero in marcia. Lysette si guardò intorno stordita, rendendosi presto conto che i due dovevano appartenere a una famiglia molto ricca. La casa alla quale si stavano avvicinando era al centro di una vasta piantagione, su un braccio d'acqua che si estendeva dal lago Pontchartrain al Mississippi. La pigra luce pomeridiana illuminava la facciata bianca della residenza principale, sulla quale spiccava un portico di colonne bianche. Rigogliose macchie di cipressi, querce e magnolie circondavano la cappella, l'affumicatoio e quelli che sembravano i locali degli schiavi. I ragazzi la spinsero su per alcuni gradini e attraverso un ingresso buio e fresco. «Padre?» chiamò Philippe. Una sbigottita donna di colore indicò una stanza che dava sul corridoio. I due ragazzi, con aria compiaciuta, accompagnarono il loro ostaggio in biblioteca, dove il capofamiglia sedeva a una gigantesca scrivania di mogano, La stanza era ammobiliata in modo splendido, con poltrone imbottite di seta gialla perfettamente intonata alla tappezzeria oro e azzurra delle pareti. L'attenzione di Lysette si concentrò subito sulla figura seduta che, immersa nel lavoro, dava loro le spalle. Non indossava panciotto e la camicia bianca era macchiata di sudore sulla schiena muscolosa. «Cosa c'è?» disse l'uomo con una voce profonda che le procurò un inquietante brivido lungo la schiena. «Padre» iniziò Philippe «abbiamo sorpreso una persona che cercava di rubare la nostra piroga.» L'uomo alla scrivania raccolse dei documenti in una pila ordinata. «Davvero? Spero che gli abbiate insegnato cosa succede a scherzare con le proprietà dei Vallerand.» «Veramente...» iniziò Philippe, tossendo nervosamente. «Veramente, padre ...» «È una ragazza» concluse Justin all'improvviso. Evidentemente l'informazione era abbastanza bizzarra da attirare l'attenzione di Vallerand, che voltò la sedia e fissò Lysette con fredda curiosità. Se il diavolo avesse dovuto mai prendere fora umana, Lysette era sicura che avrebbe scelto proprio quella: un viso crudele, bello, con un profilo audace, labbra imbronciate, occhi scuri e una corporatura prepotentemente virile, con l'abbronzatura e la possanza di chi passa all'aperto gran parte del proprio tempo. Sebbene Lysette fosse più alta della media, la presenza dominante di Vallerand la faceva sentire minuscola. Lui si alzò in piedi, osservandola pigramente, tutt'altro che affascinato dalla vista di quella ragazza ricoperta di fango. «Chi siete?» le domandò, Lysette sostenne il suo sguardo indagatore senza battere ciglio, riflettendo sul modo migliore di interagire con lui. Non sembrava il tipo d'uomo da lasciarsi commuovere da una supplica lacrimevole. Né si sarebbe fatto intimorire da minacce o sfide. Era possibile che conoscesse i Sagesse e che addirittura ne fosse amico. La sua unica speranza era convincerlo di essere cosi insignificante da non meritare neppure un attimo di attenzione. Justin impaziente, parlò prima che Lysette potesse rispondere. «Non vuole dircelo, padre!» Vallerand si staccò dalla scrivania e si avvicinò a Lysette. Lei non si accorse che stava involontariamente indietreggiando finché non andò a sbattere contro Philippe. Quando Vallerand la raggiunse, la afferrò per il mento e le alzò il viso. Le spostò la testa da un lato e dall'altro, controllando con freddezza i danni provocati dal viaggio nella palude. «Perché rubarci la piroga?» «Mi dispiace» rispose lei con voce roca. «Non ho mai rubato niente, prima d'ora. Ma avevo un disperato bisogno di un mezzo di trasporto. «Come vi chiamate?» Dato che lei non rispondeva, lui le alzò un po' di più la testa. «Chi è vostro padre?» «Siete gentile a preoccuparvi, monsieur» rispose evasiva, perfettamente consapevole che la gentilezza era l'ultima delle motivazioni di quell'uomo. «A ogni modo, non mi serve il vostro aiuto e non desidero crearvi problemi. Se mi lascerete andare, proseguirò per la mia strada e ...» «Vi siete perduta?» «No» si limitò a rispondere. «Allora state fuggendo da qualcuno.» Lysette esitò un po' troppo. «No, monsieur ...» Da chi? Lei gli spinse via le dita, sentendosi invadere da una disperata sensazione di sconfitta. «Non sono fatti vostri» rispose bruscamente. «Lasciatemi andare.» Lui sorrise, come compiaciuto da quel guizzo dello spirito. «Siete di New Orleans mademoiselle?» «No.» «Non credo, no. Avete mai sentito nominare i Vallerand?» Ne aveva sentito parlare. Fissando il volto duro dell'uomo, Lysette provò a ricordare cosa si dicesse in giro su quella famiglia. Ricordava che una volta era stato fatto quel nome a cena, mentre Gaspard e i suoi amici discutevano di politica e affari. Diversi piantatori della Louisiana, tra cui i Vallerand, erano diventati gli uomini più ricchi della nazione. Se ricordava correttamente, la famiglia possedeva enormi distese di terra a New Orleans, compresa la foresta dietro il lago Pontchartrain. Gli amici di Gaspard avevano detto con un certo risentimento che Maximilien Vallerand, il capofamiglia, era amico e consigliere del nuovo governatore del territorio di Orleans, «Ho sentito parlare di voi» gli concesse Lysette con tono piatto. «Siete un uomo importante, a New Orléans, n'est-ce pas? Senza dubbio avrete molte cose di cui occuparvi. Mi scuso per la mia piccola trasgressione, ma è chiaro che non è successo niente. Adesso, se non vi dispiace, vorrei andare.» Trattenendo il fiato si voltò, ma subito sentì la grande mano dell'uomo che le si chiudeva intorno al braccio. «Ma a me dispiace» disse lui piano. Sebbene la presa fosse delicata, stava comprimendo proprio il punto dove c'era una delle ferite più dolorose inflitte da Gaspard. Lysette impallidì gemendo piano, mentre il braccio le pulsava per il dolore. Vallerand la lasciò subito andare, senza smettere di fissarla, mentre Lysette raddrizzava la schiena, facendo del proprio meglio per dissimulare il dolore. Quando Vallerand parlò, lo fece con voce più gentile di prima. «Dove progettavate di andare con la piroga?» «Ho una cugina che vive a Beauvallet.» «Beauvallet?» ripeté Justin, fissandola con disprezzo. «Ma è a quasi venticinque chilometri da qui! Non sapete degli alligatori? E dei pirati del fiume? Immaginate cosa può accadervi nella palude? Chi pensate di essere?» «Justin» lo interruppe Vallerand «zitto!» Il figlio tacque immediatamente. «Viaggiare così a lungo da sola è un'impresa ambiziosa» continuò Vallerand. «Ma forse non pensavate di andare da sola. Pensavate di incontrare qualcuno lungo la strada? Un amante?» «Sì» mentì Lysette. D'improvviso si sentiva così spossata da vedere scintille d'argento danzarle davanti agli occhi. Doveva andarsene. «È esattamente quello che progettavo di fare e voi state interferendo. Non resterò qui più a lungo.» Senza guardare si voltò e si diresse alla porta, ansiosa di fuggire. Ma Vallerand la riacciuffò di nuovo. Lysette strinse i denti e sospirò, sconfitta. «Maledizione» sibilò. «Perché non volete lasci armi andare?» La profonda voce di lui le solleticò l'orecchio. «Su, state buona. Non vi faro alcun male.» Poi lanciò un'occhiataccia ai gemelli, che stavano assistendo alla scena affascinati. «Voi due, fuori di qui.» «Perché?» protestò Justin. «L'abbiamo trovata noi e poi...» «E dite alla vostra grand-mère che la desidero in biblioteca.» «Lui ha le mie cose» disse Lysette lanciando a Justin uno sguardo accusatorio. «Le rivoglio!» «Justin» ordinò Vallerand con voce profonda. Il ragazzo soni se, gettando il fagotto su una poltrona vicina. Poi uscì dalla stanza prima che il padre potesse rimproverarlo. Lasciata sola con Vallerand, Lysette si dibatté disperata. Lui la trattenne con estrema facilità. «Vi ho detto di stare ferma.» Lei si irrigidì non appena si accorse che lui le stava alzando l'orlo della camicia, scoprendole la tenera carne del dorso. «Cosa fate? Smettetela! Non vi permetterò di abusare di me in questo modo, arrogante, prepotente ...» «Calmatevi» sussurrò lui, toccandole la schiena. «Non avete niente da temere. Non ho alcun interesse per il vostro ...» Si interruppe, poi aggiunse ironico «... fascino femminile. Senza contare che di solito preferisco che le mie vittime siano un po' più pulite prima di molestarle.» Con destrezza trovò il panno con il quale si era schiacciata il seno. Rendendosi conto che nessuna resistenza l'avrebbe fermato. Lysette si risparmiò lo sforzo di combattere. «Non siete un gentiluomo» mormorò trasalendo mentre lui scioglieva il panno. Quell'affermazione non servì a fermarlo. «È vero.» Nonostante l'umiliazione che provava a farsi quasi spogliare da uno sconosciuto, Lysette non poté fare a meno di sentirsi liberata quando quell'irritante costrizione le venne rimossa dalla schiena dolorante. L'aria fresca soffiò sulla sua pelle umida, facendola rabbrividire. «Proprio come pensavo» lo udì mormorare. Lysette sapeva esattamente cosa stesse vedendo: le ferite inflitte da Gaspard la settimana prima, ì morsi degli insetti, la ragnatela di graffi e sbucciature. Chinò il capo vergognosa e in quell'istante si accorse del profumo di quello sconosciuto: pelle maschile, pulita, mescolata con l'odore di cavalli e di tabacco. Quell'aroma così virile le risultò inaspettatamente attraente. Inspiro avidamente, iniziando a rilassarsi contro quel corpo forte. Le dita di lui scesero lungo la sua spina dorsale, muovendosi delicatamente. Lei non avrebbe mai immaginato che un uomo tanto grande potesse avere un tocco cosi delicato. Le divenne difficile pensare: si sentì avvolgere come da una spessa nebbia che preannunciava l'oblio. Lottò per restare conscia, ma doveva aver perso conoscenza per qualche secondo, perché non ricordava affatto che lui le avesse rimesso a posto la camicia. Eppure, improvvisamente si ritrovò coperta e lui adesso le stava di fronte. «Chi è stato?» le domandò. Scuotendo la testa, lei rispose attraverso le labbra secche e rotte. «Non importa. «Mademoiselle, non siete nella posizione di sfidarmi. Non fatemi perdere tempo e non sprecate il vostro. Ditemi ciò che voglio sapere, poi potrete riposare.» Riposare. Quella parola la riempì di desiderio. Di certo quell'uomo non l'avrebbe lasciata andare e non aveva senso provare a resistergli. "Più tardi" si ripromise. Più tardi avrebbe riflettuto sulla prossima mossa e avrebbe escogitato un nuovo piano. Nel frattempo, doveva recuperare le forze. «È stato il mio patrigno.» «Come si chiama?» Riversando all'indietro la testa, lei lo fissò negli occhi scuri. «Prima promettetemi che non lo manderete a chiamare.» Dalla gola di lui uscì una secca risata. «Non ho intenzione di fare patti con voi, petite.» «E allora andate all'inferno.» I denti di lui brillarono durante il rapido sorriso. Era evidente che la sfida lo divertiva, anziché irritarlo. «Va bene, prometto che non lo manderò a chiamare. Adesso ditemi il nome.» «Monsieur Gaspard Medart.» «Perché vi ha picchiato?» «Siamo venuti da Natchez per il mio matrimonio. Ma io disprezzo il mio fidanzato e mi sono rifiutata di onorare il fidanzamento organizzato dal mio patrigno.» Vallerand inarcò lievemente il sopracciglio. Finché non si sposava, una ragazza creola era di proprietà del padre ... o del patrigno ... poi sarebbe passata al marito. Sfidare ì desideri del padre, specialmente per quanto riguardava le nozze, era inimmaginabile. «Molti creoli ritengono naturale che un uomo imponga la disciplina a una figlia ribelle con la violenza «disse. «E voi?» domandò Lysette con tono indifferente, come se conoscesse già la risposta. «Io non colpirei mai una donna» si affrettò a rispondere lui, sorprendendola. «In nessuna situazione.» «Ciò ... «La voce le si bloccò in gola. «È una fortuna per vostra moglie, monsieur.» Lui allungò una mano e le rimise a posto dietro l'orecchio un riccio ribelle. «Io sono vedovo, petite.» «Oh.» Lysette sbatté gli occhi sorpresa, chiedendosi perché quell'informazione le provocasse una strana fitta allo stomaco. «Dov'è ora il vostro patrigno?» «A casa di monsieur Sagesse.» La sua attenzione fu catturata dall'improvviso bagliore che gli vide negli occhi. Lui restò in silenzio per qualche istante, prima di chiederle con voce quasi vellutata: «Quindi, il vostro fidanzato era Etienne Sagesse? «Ouì.» «E il vostro nome?» «Lysette Kersaint» sussurrò lei, sconfitta. «Immagino che voi conosciate i Sagesse, vero, monsieur?» «Oh, sì.» «E siete amici?» «No, tra noi corre cattivo sangue.» Lysette rifletté su quell'informazione. Se a Vallerand non piacevano i Sagesse, sarebbe stato più facile ottenere il suo aiuto. «Max? Qu'est-ce qui'il y a?» In quel momento una donna anziana dai capelli d'argento, elegante nel suo abito di mussola color lavanda, entrò in biblioteca e, non appena vide l'ospite ricoperta di fango, aggrottò le sopracciglia . «Questa è mademoiselle Lysette Kersaint,maman. Viene da Natchez. Sembra che si sia allontanata dalla sua famiglia. I ragazzi l'hanno incontrata e l'hanno portata da me, Fate preparare una stanza, perché stanotte resterà da noi.» Rivolse a Lysette uno sguardo imperscrutabile. «Ho il piacere di presentarvi mia madre, Irénée Vallerand» mormorò. «Andate con lei, petite.» Sebbene fosse evidentemente curiosa, Irénée si astenne da qualsiasi commento e offrì a Lysette un saluto di benvenuto. Gli abitanti di New Orleans erano ospitali per natura e lei non faceva eccezione. «Pauvre petite» sussurrò, schioccando la lingua con compassione. «Venite, vi farò preparare un bagno. Dopodiché dovrete mangiare e dormire.» «Madame» iniziò Lysette con voce tremante. «Devo ...» «Parleremo più tardi» disse Irénée, prendendola per mano. «Allons, bambina.» «Merci, madame» mormorò Lysette, che la segui volentieri, ansiosa di allontanarsi in fretta da Maximilien Vallerand. Intendeva riguadagnare le forze il più in fretta possibile e lasciare la piantagione alla prima occasione. Due ore più tardi, Irénée tornò dal figlio. Max era in piedi vicino alla finestra della biblioteca con un bicchiere in mano. «Come sta?» le domandò senza voltarsi. «Ha fatto un bagno, ha mangiato qualcosa e adesso riposa. Noeline ha curato i graffi e le punture d'insetto con uno dei suoi unguenti.» Irénée guardò fuori dalla finestra la palude addormentata. «Ricordo di aver conosciuto la madre di Lysette. Jeanne, molti anni fa. Jeanne è una Magnier, una buona famiglia che un tempo viveva a New Orleans, ma disgraziatamente non ha generato figli maschi per tramandare il nome. Ricordo che Jeanne era una donna eccezionalmente bella ... È un peccato che sua figlia non abbia ereditato la sua bellezza.» Max sorrise distrattamente, ricordando il viso lentigginoso della ragazza, i suoi occhi audaci e la scarmigliata treccia rossa. In effetti Lysette Kersaint non era una bellezza convenzionale. Ma possedeva qualcosa che aveva risvegliato in lui un desiderio potente, una sorta di antica fame che aveva pervaso la sua intera essenza. Lysette sembrava promettergli qualcosa di raro e prezioso: un'intensità delle emozioni, una soddisfazione capace di colmare finalmente il vuoto che lo tormentava da così tanto tempo. Inoltre, accanto al desiderio, Max provava una vivace curiosità. Voleva conoscerla, scoprire la verità sulla ragazza più coraggiosa e disperata che avesse mai incontrato. Insomma, la voleva e basta. Sarebbe stata orrendamente sprecata con Etienne Sagesse. «Sapete con chi è fidanzata, maman?» domandò. Irénée aggrottò le sopracciglia. «Ouì, mi ha detto dell'accordo con Etienne Sagesse.» «Esatto. L'uomo che ha portato disonore a mia moglie e al mio nome. Penso che sarebbe appropriato che lo ripagassi prendendogli la fidanzata. La madre fissò il figlio come fosse uno sconosciuto. «Cosa intendete con prendere?» «A quel punto» rifletté lui ad alta voce «un duello sarebbe inevitabile.» «No, non lo permetterò!» Lui le rivolse uno sguardo canzonatorio. «E come pensate di fermarmi?» «Rovineresti una ragazza innocente semplicemente per colpire Etienne Sagesse? Lysette Kersaint non ha colpe. Vorresti averla sulla coscienza per il resto della vita?» «Io non ho una coscienza» le ricordò lui con tono secco. Irénée inspirò profondamente. «Max, non dovete farlo.» «Preferireste vederla sposata a un uomo come Sagesse?» «Sì, se è l'unica alternativa a vederla rovinata da voi e gettata in mezzo a una strada!» Max vedeva l'orrore negli occhi della madre, ma non poteva fermarsi. «Non sarà gettata in mezzo a una strada» ribatté freddamente. «È ovvio che mi occuperò di lei, dopo. Un piccolo prezzo, considerando l'opportunità che mi offre.» «Il suo patrigno dì sicuro vi sfiderà.» «Non sarebbe il mio primo duello.» «Alors, avete intenzione di violare l'innocenza di Lysette, sistemarla in una residenza dove sarà oggetto di scherno da parte di tutta la buona società e duellare con un vecchio padre che cercherà di vendicare l'onore di una figlia rovinata e ...» «Patrigno. Che la picchia, potrei aggiungere.» «Questo non giustifica la vostra condotta! Come posso avere allevato un essere tanto malvagio?» La natura buona di Max ... quel poco che ne restava ... si sentì spiacevolmente toccata da quelle parole. A ogni modo, la prospettiva di vendicarsi finalmente dell'uomo che gli aveva rovinato la vita era troppo ghiotta per resistere. «Vi avverto, maman, non interferite. Ho aspettato anni questa possibilità.» 2 Il vestito che Lysette aveva portato con sé era rimasto irrimediabilmente macchiato durante l'attraversamento della palude. Così il mattino dopo Irénée le prestò un abito azzurro che le andava bene, anche se il collo alto e lo stile elaborato non si confacevano del tutto a una ragazza della sua età. Lysette, comunque, apprezzò la gentilezza dell'anziana signora: era un sollievo indossare abiti puliti e sentirsi finalmente libera dalla sporcizia e dal tanfo della palude. «Avete un aspetto decisamente migliore stamattina, ma chère» esclamò Irénée in tono affabile. Lysette la ringraziò calorosamente, meravigliandosi che una donna tanto delicata avesse potuto allevare un figlio come Maximilien Vallerand. Doveva rappresentare un'eccezione, sicuramente il resto della famiglia non era come lui. «Madame Vallerand» le domandò «avete altri figli?» «Ouì, più giovani, Alexandre e Bernard. che stanno per tornare da un viaggio in Francia. «Irénée si sporse verso di lei e aggiunse con fare cospiratorio: «Ho un cugino, là, con cinque figlie carine, tutte nubili. Li ho incoraggiati a fare una visita prolungata, sperando che tornassero con una moglie.» Aggrottò le sopracciglia. «Comunque, le loro lettere hanno fatto sfumare le mie speranze: o le ragazze non sono attraenti come dice la madre, oppure i miei ostinati figli hanno deciso di rimanere per sempre scapoli. Mi hanno informato che tra due mesi saranno già di ritorno. Poi, come leggendo nella mente di Lysette, aggiunse: «Posso assicurarvi che sono molto diversi dal fratello. Ma neppure Maximilien è stato sempre così. Ha sofferto molto nel passato. E il dolore l'ha trasformato.» Lysette represse uno sbuffo di incredulità.Sofferto? Quel maschio così splendidamente in salute e sicuro di sé che aveva incontrato il giorno prima non sembrava avere mai conosciuto la sofferenza. Anzi, pareva un prepotente, pronto a infliggere sofferenza e umiliazioni agli altri. Ma per quel che riguardava lei, dopo una buona notte di sonno, si sentiva perfettamente in grado di gestirlo: Vallerand non si sarebbe di nuovo approfittato di lei. Una cosa era sicura: non avrebbe mai permesso che la rispedisse sotto la custodia di Gaspard Medart. per poi essere passata a Etienne Sagesse. Sua madre le aveva ripetuto infinite volte che una donna doveva sopportare tutto ciò che il Bon Dieuaveva in serbo per lei. E, in passato, tante Delphine aveva ribadito che anche l'uomo peggiore era meglio di nessun marito. Be', poteva essere vero per alcune, ma non per lei. Nonostante l'atteggiamento battagliero, il cuore di Lysette batteva selvaggiamente al momento di entrare in salotto, una stanza piccola ma ariosa, arredata con tappezzerie rosa e marrone e broccati a fiori color crema. Gigantesche finestre perfettamente pulite lasciavano entrare la vaga luce della Louisiana. Le poltroncine e i divanetti barocchi erano raggruppati per incoraggiare conversazioni intime. Pensando che il locale fosse vuoto, Lysette stava iniziando a rilassarsi, quando udì la voce di Vallerand dietro di sé, «Mademoiselle, dobbiamo discutere ...» iniziò lui, ma, quando lei si voltò per guardarlo negli occhi, si interruppe e la fissò con espressione stupita. Lysette ricambiò lo sguardo con freddezza, chiedendosi cosa trovasse di tanto interessante. Di sicuro il suo aspetto era migliorato con il bagno e l'agognata notte di sonno, Ma non aveva alcuna illusione che lui potesse trovarla bella, dato che neanche la spazzola più vigorosa poteva domare quella sua maledetta esplosione di ricci rossi. Inoltre, gli ultimi due giorni passati all'aperto avevano esasperato le sue lentiggini. Aveva una corporatura snella ma non spettacolare, con piccoli seni e fianchi quasi inesistenti. I suoi lineamenti erano gradevoli, ma aveva il naso troppo largo e le labbra spiacevolmente piene. Siccome il silenzio perdurava, Lysette decise di impiegare il tempo per ricambiare lo sguardo insolente dell'uomo, uno sguardo che una signora non avrebbe mai rivolto a un gentiluomo. Fu costretta ad ammettere che Vallerand era ancora più splendido e virile di quanto ricordasse ... Alto, abbronzato e muscoloso, con i capelli neri come l'inchiostro e gli occhi castani e audaci, faceva apparire i giovanotti che aveva conosciuto a Natchez dei bambocci immaturi. Si domandò ironicamente se Vallerand fosse un tipico esemplare di creolo di New Orleans. Se ce n'erano altri come lui in giro per la città, la sua virtù non era al sicuro! «Sì, abbiamo molto da discutere» rispose con decisione. Poi, dopo che Irénée si fu accomodata su una poltrona, Lysette si sedette al suo fianco, rivolgendo al padrone di casa uno sguardo di sfida. «Prima di tutto, monsieur, vorrei sapere se è vostra intenzione rimandarmi alla piantagione di Sagesse.» Il tono diretto non sembrò offendere Vallerand, che anzi appoggiò la spalla allo stipite con elegantenonchalance, guardandola attentamente. «Solo se lo volete, mademoiselle.» «Non lo voglio.» «Cosa avete da obiettare a quel matrimonio?» domandò lui in tono ozioso. «Molte giovani sarebbero felici di sposare un Sagesse.» «Trovo da obiettare quasi tutto: il carattere, i modi, l'aspetto, addirittura l'età.» «L'età?» Vallerand aggrottò le sopracciglia. «Ha trentacinque anni.» Lysette sorrise provocatoriamente e aggiunse: «È vecchio per me.» Vallerand reagì con uno sguardo ironico, come se fosse ovvio che lui e Sagesse avevano la stessa età. «Non si può dire che a trentacinque anni un uomo sia sull'orlo della tomba» disse con tono asciutto. «Immagino che abbia ancora qualche freccia al suo arco. «Lysette, sposando Sagesse. di sicuro non vi mancherà mai niente» si intromise Irénée con decisione, nonostante lo sguardo minaccioso di suo figlio. «Non importa» rispose lei, scuotendo il capo.» «Preferisco essere povera piuttosto che sposare un uomo che disprezzo. Concetto che ho chiarito senza giri di parole a monsieur Sagesse. La prima cosa che non capisco, comunque, è perché mi abbia proposto il matrimonio: la mia dote è insignificante e, anche se provengo da una buona stirpe, non sono esattamente un'aristocratica ... e di sicuro non sono una bellezza.» Scrollò le spalle. «Conosce decine di donne che servirebbero ai suoi scopi altrettanto bene.» «E questa cugina a Beauvallet?» le chiese Max. «Cosa speravate di ottenere raggiungendola?» I Dufour erano una prosperosa famiglia di fattori, il ricordo che aveva di Marie era quello di una donna gentile e compassionevole che era fuggita insieme a Claude per amore. «Da bambine io e Marie eravamo grandi amiche» gli spiegò. «Ho pensato che i Dufour potessero difendermi dalle pretese del mio patrigno, magari persino ospitarmi per un po'.» Il volto di Vallerand era una maschera indifferente. «Posso offrirvi un po' di tempo» le propose. «Vi suggerisco di scrivere una lettera a vostra cugina per spiegarle il vostro dilemma e aspettare qui la sua risposta. Se desidera aiutarvi, vi affiderò alla protezione dei Dufour senza che monsieur Medart possa alzare un dito su di voi.» Lysette aggrottò le sopracciglia. «Non ci vorrà molto prima che il mio patrigno e Sagesse scoprano che sono qui. Quando verranno, non riuscirete a impedirgli di riprendermi.» «Possiamo dire che vi siete ammalata durante la traversata della palude. Il nostro medico di famiglia sosterrà che è pericoloso che vi muoviate prima che la convalescenza sia completata.» «Un medico ... compiacente, cioè» Lui annuì? Mentre Lysette rifletteva sulla proposta, Vallerand non staccava lo sguardo da lei. «Naturalmente la presenza di mia madre garantirà che la vostra reputazione non abbia a soffrire.» «Perché volete aiutarmi?» gli domandò lei, diffidente. Un sorriso astuto incurvò le labbra di Vallerand. «Per la bontà del mio cuore, naturalmente.» Lysette rise, incredula. «Perdonatemi se non vi credo. Qual è la vera ragione? Immagino che vi dia piacere ostacolare monsieur Sagesse ... impedirgli di raggiungere i suoi obiettivi.» «Sì» rispose lui con voce calma. «È precisamente questo il motivo.» Lysette studiò quegli occhi scuri, perfettamente consapevole che le stavano nascondendo qualcosa. «E si può sapere qual è la ragione del cattivo sangue che scorre tra voi?» «Niente che io voglia spiegare.» Quando Lysette apri bocca per fargli altre domande, lui continuò con tono brusco. «Scriverete o no quella lettera, signorina Kersaint?» «Sì, lo farò» rispose lei lentamente, nonostante il forte sospetto che nutriva. Non voleva fidarsi di Vallerand, ma non aveva altra scelta. «Vi ringrazio, monsieur.» Gli occhi di lui brillarono soddisfatti. «Non c'è di che.» Max accompagnò Lysette in biblioteca, la fece sedere alla scrivania e tirò fuori pergamena, calamaio e inchiostro. In piedi dietro di lei rimase ad ammirare i suoi capelli brillanti, raccolti in una treccia elaborata. Per molti sarebbero stati troppo sgargianti, ma lui era affascinato da quei riflessi instabili, dall'eccessiva massa di ricci che sembrava troppo pesante per quel collo sottile. La semplice intuizione del giorno prima si era trasformata in palese verità, non appena l'aveva vista quella mattina: la desiderava. Erano passati anni dall'ultima volta che aveva desiderato così tanto una donna. Lysette era di una bellezza non convenzionale, irresistibile, e il suo fascino non aveva niente a che vedere con la banalità delle proporzioni classiche. I suoi lineamenti erano forti, le linee degli zigomi e del mento scolpiti con decisa eleganza. E lui non aveva mai visto niente di più seducente di quella pioggia di lentiggini... avrebbe voluto baciarle una a una, seguendole per tutto il corpo. Il fatto che Lysette fosse troppo giovane per lui non rappresentava alcun problema a suo avviso: per una ragazza di quell'età dimostrava un notevole autocontrollo. Era chiaro che non aveva paura di lui e lo trattava alla pari, indifferente agli anni che li separavano. In quel momento torbide immagini sensuali si formarono nella sua mente, facendo accelerare il suo battito cardiaco, Si costrinse a rivolgere la sua attenzione al motivo della loro presenza in biblioteca. «Avete bisogno di aiuto per la lettera, mademoiselle Kersaint?» Le sue labbra sensuali si curvarono in un'espressione divertita. «So scrivere abbastanza bene, grazie» Max aveva incontrato molte donne praticamente analfabete, di stirpe e sangue ben più elevati dei suoi. Buona parte dell'alta società creola, infatti, pensava che troppa educazione facesse male alle signore. Si appoggiò alla scrivania per guardarla negli occhi. «Quindi avete ricevuto una buona istruzione» disse. «Sì, grazie alla decisione di mio padre di assumere una governante per me e mia sorella Jacqueline. Abbiamo imparato a leggere, scrivere e parlare sia in inglese sia in francese. Abbiamo studiato storia, geografia, matematica ... persino un po' di scienze naturali ... Ma quando mio padre è morto, la governante è stata licenziata.» Lysette prese una penna in argento istoriato e la fece girare tra le dita sottili. «Non avrebbe potuto insegnarci molto altro, comunque. L'educazione di una donna arriva solo fino a un certo punto, con mio sommo dispiacere.» «A cosa vi servirebbe una maggiore educazione?» Lei gli restituì uno sguardo ironico, senza battere ciglia. «Forse, monsieur, ho ambizioni diverse da servire da giumenta a un aristocratico pomposo, spaventato all'idea di avere una moglie più intelligente di lui.» «Avete un'alta considerazione della vostra intelligenza, mademoiselle Kersaint.» «E ciò v'infastidisce?» La voce di lei era soffice come seta. Max era completamente affascinato da lei gli faceva girare la testa, e il sangue gli ribolliva davanti alla sfida che lei rappresentava. «No, affatto» sussurrò roco. Lei sorrise e stese il foglio di pergamena davanti a sé. «Dunque, se non vi dispiace, monsieur; preferirei avere qualche minuto d'intimità, mentre sforzo il mio inadeguato cervello femminile per comporre qualche frase coerente. Spero che sarete tanto gentile da controllare la mia sintassi più tardi.» Ma non era la sua sintassi quello che Max voleva controllare. Riuscì a rivolgerle un freddo sorriso, combattendo contro il desiderio di afferrarla e violentarla fino al reciproco sfinimento. «Prendo commiato con piena fiducia nelle vostre capacità» ribatté, uscendo dalla stanza finché ne era ancora in grado. Quando tornò in salotto, sua madre lo salutò sollevata. «Sapevo che non vi sareste approfittato di lei, dopotutto» gli disse con fervore. «Ringrazio il cielo che abbiate cambiato idea. Lui le rivolse uno sguardo vacuo. «Non ho affatto cambiato idea.» Irénée impallidì. «Ma la lettera che le permettete di scrivere alla cugina ...» «Quella lettera non sarà mai spedita. Intendo compromettere quella ragazza e non voglio che nessuna dannata cugina interferisca.» Lei lo fissò sbigottita. «Ma è inaudito, Max. Non avrei mai creduto che poteste approfittarvi in questo modo di una donna.» «Mi credete capace di cose ben peggiori, maman» disse, con voce appena incrinata dall'amarezza. «Non è vero?» Lei distolse lo sguardo, incapace di rispondere. I Medart arrivarono molto prima di quanto Max si fosse aspettato. Evidentemente stavano visitando ogni residenza lungo la strada alla ricerca di qualsiasi informazione possibile. Quando Max e Irénée confermarono la presenza della ragazza scomparsa nella loro proprietà, i Medart sembrarono riempirsi di sollievo. Ma il disprezzo che Max aveva iniziato a nutrire per Gaspard Medart, dopo avere visto i segni della sua violenza sul corpo di Lysette, raddoppiò al momento dell'incontro. Medart era basso, robusto e dal volto duro. I suoi occhi sembravano schegge di ossidiana. Il pensiero che quel freddo, piccolo tiranno avesse picchiato Lysette riempì Max di un'ostilità difficile da dissimulare. Medart era accompagnato da una donna corpulenta dai capelli maldestramente scuriti con il caffè. "La tante" immaginò Max, che sospettava non si fosse affatto opposta agli abusi sulla sua protetta. «Dov'è ora?» chiese Medart sudando copiosamente. Il suo sguardo si spostava avidamente per la stanza, come se sospettasse che Lysette si stesse nascondendo dietro una poltrona. «Voglio vederla immediatamente.» Max, invece, non aveva alcuna fretta. Presentò sua madre agli ospiti e chiese a Noeline di servire un rinfresco. Secondo gli usi creoli anche gli affari più urgenti dovevano essere gestiti con calma. Gaspard Medart, tuttavia, sembrava troppo impaziente per rispettare la tradizione. «Voglio vedere immediatamente la mia figliastra» ribadì. «Non ho tempo per le chiacchiere. Convocatela subito.» Irénée rivolse al figlio uno sguardo sbalordito davanti a tanta maleducazione. Ma Max non si lasciò impressionare. «Sfortunatamente, monsieur, devo darvi una brutta notizia.» «È fuggita di nuovo!» esplose l'uomo. «Lo sapevo!» «No, niente del genere. Non allarmatevi. È soltanto vittima di un po' di febbre. «Febbre!» esclamò la tante, consapevole delle epidemie letali che di tanto in tanto martoriavano la città. «Pare che non sia nulla di grave» la rassicuro Max «ma naturalmente ho fatto chiamare il medico di famiglia perché la visiti. Finché non arriva, disturbarla potrebbe essere pericoloso. Ora sta riposando in una stanza degli ospiti al piano di sopra.» «Insisto per vederla adesso» disse Medart. «Certo» disse Max alzandosi. «Immagino che voi abbiate già avuto la febbre.» «No, veramente.» «Ah ... e non temete il contagio alla vostra età? So che può essere fatale.» «Forse dovremmo tornare domani, Gaspard» si affrettò a intervenire la tante. «Dopo che il dottore l'avrà visitata.» Irénée disse con voce convincente: «Vi assicuro, rnonsieur Medart, che ci prenderemo la massima cura di vostra ... figlia.» «Ma il disturbo ...» obiettò Delphine, gesticolando disperata, mentre tutto il grasso del suo corpo tremolava. «Nessun disturbo» rispose con voce ferma Irénée. «Quel che conta è la salute di Lysette.» «Non ho neanche la prova che sia davvero qui!» urlò Medart. «È qui» dichiarò Max. Medart aggrottò le sopracciglia. «So tutto di voi, monsieur. E so che non siete amico del promesso sposo di Lysette. Se state tramando qualche tipo di inganno, ve la farò pagare!» Irénée si sporse in avanti e disse convinta: «Vi garantisco che Lysette è al sicuro in questa casa, monsieur Medart. Non le succederà niente di male.» Guardò Max e aggiunse con una nota gelida nella voce: «Me ne assicurerò io stessa.» Dopo che il concetto fu ribadito più volte, i Medart se ne andarono, consapevoli di non avere altra scelta. Max sospirò di sollievo quando udì il rumore della loro carrozza sul vialetto esterno. «Che gente spregevole» mormorò. Irénée piegò le labbra in un'espressione contrita. «Sanno che stiamo mentendo, Max.» Lui scrollò le spalle. «Ma non possono farci niente ... ora si comincerà a chiacchierare» mormorò con oscura soddisfazione. «Darei una fortuna per vedere la faccia di Sagesse, quando saprà che lei è da me.» «Lysette sarebbe più al sicuro con Etienne» lo accusò Irénée. «Lui almeno ha intenzione di sposarla.» «Vi garantisco, maman, che Lysette troverà la relazione con me molto più gradevole del matrimonio con Etienne.» «Che uomo freddo e crudele siete diventato!» esclamò Irénée costernata. «E quanto sarebbe deluso vostro padre se vi vedesse ora.» Colpito da quelle parole Max le rivolse uno sguardo tetro. «Se avesse passato quello che ho passato io, probabilmente reagirebbe allo stesso modo.» «Questo dimostra quanto poco lo avete conosciuto» ribatté Irénée, lasciando impettita la stanza. Anche se Irénée era disgustata dal suo figlio maggiore, non aveva ancora abbandonato la speranza di redimerlo, Mentre faceva colazione nella propria stanza, discusse la situazione con la domestica. Donna snella e attraente, molto pratica di natura e con una forte propensione a dire quello che pensava, Noeline era stata l'anima della piantagione negli ultimi quindici anni. Come Irénée si aspettava, a Noeline non era sfuggito alcun dettaglio della loro ospite, né le intenzioni di Max verso di lei. «Non posso credere che voglia davvero rovinarla» disse Irénée sollevando la tazza di fine porcellana. «È una giovane rispettabile e non merita di essere sacrificata alla faida tra mio figlio ed Etienne Sagesse.» Il volto color caffè di Noeline rimase impassibile, ma i suoi occhi furono attraversati da un lampo di tristezza. «Monsieur Vallerand brama troppo la vendetta nei confronti di Sagesse perché possa pensare a qualcun altro.» «Già» sospirò Irénée. «Ma, Noeline, è possibile che Max sia così malvagio da sedurre deliberatamente una ragazza innocente?» «Non è malvagio» rispose lei, andando al tavolino da toilette e allineando spazzole e boccette. «È un uomo, madame. E non si può tenere un uomo lontano da una ragazza come quella, non più di quanto sia possibile legare un cane con una corda di salsiccia.» «Pensi che Lysette sia graziosa?» Irénée aggrottò la fronte. «Devo ammettere che da principio pensavo di no. Ma più la conosco, più diventa attraente.» «Ha qualcosa che piace a monsieur» osservò con tono asciutto Noeline. «Frigge come olio bollente ogni volta che lei entra nella stanza.» «Noeline» la rimproverò Irénée ridendo dietro la tazza. Anche la domestica sorrise. «È cosi, madame» insistette. «E quando la guarda, ha in mente qualcosa di più della vendetta. È solo che non vuole ammetterlo.» Quando Lysette fu sicura che il patrigno se ne fosse andato, andò a cercare Vallerand e lo trovò sulla veranda, dove aveva appena finito il suo sigaro e una bevanda. Un filo di fumo si levava pigro dal portacenere di cristallo. La sua attenzione era concentrata su un magnifico purosangue che uno stalliere stava portando dalle scuderie. Udendo il passo leggero di Lysette, si voltò verso di lei. Le sue palpebre semi chiuse e le sue labbra atteggiate in un broncio la fecero sentire strana: scatenarono in lei la voglia di stupido, di prenderlo alla sprovvista ... di raggiungerlo senza una parola e baciare quella sua bocca seducente, afferrandolo per la bianca cravatta inamidata che aveva al collo. No, nessun uomo le aveva mai fatto un effetto simile. Desiderava un contatto con quello sconosciuto, il calore del suo respiro sulla pelle. E ... cosa ancora più strana ... provava l'irresistibile tentazione di sfidarlo. Quell'uomo si prendeva un po' troppo sul serio, come se avesse un terribile bisogno di trovare qualcuno ... alla sua altezza. Fosse stata sua moglie, avrebbe fatto qualcosa in proposito. Quel pensiero sorprendente la fece riflettere sulla morte di sua moglie: si trattava evidentemente di un argomento proibito a casa Vallerand. Anche la loquace Irénée si era dimostrata restia a rispondere a domande sull'argomento. Lysette si avvicinò al padrone di casa con un sorriso esitante. «Immagino che il mio patrigno si sia molto adirato quando non gli avete permesso di vedermi.» «Molto.» «Bene. E ... vi ha creduto quando gli avete detto che ero malata?» «No.» «E se ne è andato lo stesso?» Lysette si morse il labbro aggrottando le sopracciglia. «Mi sarei aspettata che vi sfidasse.» «Il vostro patrigno sta provando a evitare uno scandalo» le spiegò pazientemente Vallerand. «Non mi sfiderà. E finché resterete a casa mia, nessuno può portarvi via con la forza.» «Neanche le autorità?» Lui scosse la testa. «Conosco bene il governatore Claiborne.» Lei rise. «Sono stata fortunata ad avere fatto amicizia con un uomo tanto influente.» Tirò fuori la lettera per Marie dalla manica e gliela porse. «La mia lettera. Vi prego di farla consegnare il prima possibile. È importante.» «L'importanza di questa lettera mi è chiara, mademoiselle.» Lysette lo guardò con espressione interrogativa. Possibile che la sua presenza mettesse a disagio un uomo così sicuro di sé? Erano i suoi modi diretti a infastidirlo? Di sicuro era abituato alle raffinate signore dì New Orleans, che difficilmente cercavano di attraversare la palude dopo avere sfidato le proprie famiglie. «Monsieur Vallerand» disse gentilmente «mi scuso per i fastidi che vi ho arrecato. In cambio della vostra ospitalità, vi prometto di andarmene appena possibile. Se mia cugina Marie non vorrà accogliermi, mi ritirerò nel convento delle Orsoline. Non dovrete sopportarmi per molto.» D'improvviso lui sorrise, apparentemente divertito dall'idea. «Una suora con quella massa di ricci rossi.» Nella sua voce vibrava una nota strana, quasi tenera. Lysette sorrise timidamente, portandosi una mano ai capelli disordinati. «Senza dubbio mi taglierebbero questo orribile disordine.» «Non dovrebbero «si affrettò a dire lui. «Sono belli.» Lysette fu sul punto di offendersi, pensando che la prendesse in giro. Ma dato che lui continuava a fissarla con sguardo fermo e serio, capì che era sincero. Il che la portò a un'altra, sorprendente conclusione ... Maximilien Vallerand era attratto da lei quanto lei da lui. Non ne sarebbe nato nulla, naturalmente. Era impossibile. Ma la scoperta era comunque interessante. Senti le guance arrossire appena e si affrettò a distogliere lo sguardo. «Buona serata, monsieur» mormorò, andandosene così in fretta da inciampare quasi nella gonna. «Anche stasera qua?» miagolò Mariame, aprendo la porta e facendo entrare Max nella sua casa nel quartiere del Vieux Carré, vicino a Rampart. Socchiuse le folte ciglia allentandogli la cravatta inamidata. «Pensavo di aver soddisfatto tutti i tuoi desideri ieri sera.» Otto anni prima il protettore di Mariame aveva cinicamente infranto il loro accordo, lasciando la donna e il loro figlio illegittimo senza denaro né casa. Quando Max aveva saputo di quel tradimento, non aveva esitato un attimo. Era una delle donne più belle di New Orleans e da molto tempo l'ammirava. Mariame era rimasta sbalordita da una sua offerta di diventare suo protettore. «La maggior parte degli uomini vuole una vergine» aveva detto. A New Orleans c'erano tantissime giovani molto belle, la maggior parte di sangue misto, che venivano educate a diventare le amanti dei ricchi possidenti creoli e degli uomini d'affari che potevano mantenerle. Placées venivano chiamate le ragazze più ambite e di solito vivevano nel lusso. A quell'obiezione Max era scoppiato a ridere. «Non m'importa niente della verginità» le aveva detto. «Voglio la compagnia di una donna bella e intelligente. Dettatemi le vostre condizioni, Mariame ... vi desidero troppo per discutere dei dettagli.» Quella manifestazione di stima aveva placato il dolore e l'orgoglio ferito dì Mariame. Aveva udito le brutte voci che giravano su Vallerand e a lungo si era chiesta se fossero vere. Comunque, avendo compreso la solitudine nei suoi occhi e la gentilezza dei suoi modi, aveva deciso di fidarsi di lui. Negli otto anni passati da allora, Mariame non si era mai pentita della decisione che aveva preso. Max era un amante dolce, un protettore generoso e un amico premuroso. Anche se si era sempre preoccupato di non avere figli con lei, aveva sostenuto volentieri le spese per l'educazione di suo figlie a Parigi. I gioielli e gli abiti che le aveva donato in quegli anni le avrebbero permesso di vivere nel lusso per il resto della vita, e lei non aveva alcun dubbio che, quando la loro relazione fosse finita, lui avrebbe provveduto a sistemarla generosamente. Siccome Max era stato così gentile con lei, Mariame aveva deciso che non si sarebbe mai frapposta tra lui e i suoi desideri. Quando avesse deciso di interrompere la loro relazione, lei avrebbe acconsentito senza protestare. Non aveva alcuna voglia di incatenarlo a sé e aveva sempre saggiamente evitato di innamorarsi di lui. Il viso di Mariame si accese in un sorriso mentre l'abbracciava. Snella e alta, non aveva problemi, sollevandosi sulla punta dei piedi, a sfiorargli le labbra con le sue. Ma quella sera Max non reagì come si sarebbe aspettata. Era insolitamente preoccupato, turbato da qualcosa. «Non sono venuto per questo» le disse liberandosi dal suo abbraccio. Mariame, allora, andò a versargli da bere. «E perché sei qui, Max?» «Non lo so» sospirò lui, mettendosi a camminare nervosamente per la stanza. «Siedi, ti prego, mon cher. Mi rende nervosa vederti aggirare come una tigre in gabbia.» Max ubbidì e si lasciò cadere sul divano con uno sguardo torvo. Mariame si sedette tranquilla al suo fianco e gli porse un bicchiere di brandy, posandogli con noncuranza la gamba sulla coscia. «Forse questo ti aiuterà a rilassarti.» Lui lo prese e buttò giù il liquore in un solo sorso, senza neppure notare l'ottima annata. Madame fece scorrere le dita lungo la coscia di Max. «Sei sicuro di non volere ...» «No» mormorò lui togliendole la mano. Mariame scrollò le spalle. «D'accord.» Un sorriso scaltro e interessato le curvò le labbra. «Alors, potresti raccontarmi qualcosa della ragazza che sta vivendo a casa tua. Max le rivolse uno sguardo ironico, rendendosi canto che le voci si erano diffuse ancora più velocemente di quanto si fosse aspettato. «I gemelli hanno trovato mademoiselle Kersaint che cercava di fuggire da un matrimonio indesiderato.» «Ah.» Mariame inarcò le sottili sopracciglia. «Non molte donne oserebbero tanto. Chi è il promesso sposo, bien-aimei» «Etienne Sagesse.» Il dito stuzzicante di Mariame si immobilizzò sulla spalla di lui. «Sage ... bon Dieu: Che strano che la ragazza abbia trovato rifugio proprio da te! Ora cosa farai?» «Approfitterò della situazione, naturalmente.» Lei aggrottò la fronte, preoccupata. «Sta' attento, Max. So che non ti fermeresti davanti a niente pur di ripagare Sagesse di quello che ti ha fatto. Ma ti pentiresti di essere ricorso alla seduzione di un'innocente sotto la tua custodia.» Gli rivolse un sorriso affettuoso. «Tu hai una coscienza, macher, anche se cerchi di nasconderla.» Un sorriso riluttante attraversò il volto di Max. «Sono contento che tu lo pensi.» Riversò il capo all'indietro e si mise a fissare le travi del soffitto. «Mariame» disse, cambiando bruscamente argomento «sai che non interromperei mai la nostra relazione senza pensare al tuo futuro ...» «Non ho mai temuto il contrario» rispose Mariame con tono calmo. Era il primo segno che il suo interesse per lei stava svanendo? «Un giorno» aggiunse «mi piacerebbe gestire una pensione. Sono sicura che avrei successo.» «Certo che l'avresti.» «Devo cominciare a cercarla?» «Un giorno. Se è ciò che vuoi.» Le carezzò delicatamente la guancia. «Ma non subito.» Di solito Vallerand passava il giovedì a casa, quando le amiche di sua madre venivano a farle visita e a chiacchierare davanti a una tazza di caffè forte. Quel giorno, sfortunatamente, Irénée era stata costretta a non invitare nessuno, vista la presenza di Lysette. «Mi dispiace sconvolgere le vostre abitudini» disse Lysette. Irénée la zitti allegramente. «Non, non prenderemo il caffè insieme, noi due sole. In questo momento trovo la vostra compagnia più piacevole di quella delle mie amiche che arrivano sempre con i soliti pettegolezzi su cui rimuginare per settimane e settimane. Dovete raccontarmi tutto su vostra madre, i vostri amici a Natchez e i vostri spasimanti. «Veramente, madame, ho condotto una vita estremamente riservata. A me e a mia sorella non era concesso di avere spasimanti. Abbiamo frequentato di rado persino i nostri parenti maschi.» Irénée annuì comprensiva. «Un'educazione all'antica ... Ma per me è stato lo stesso. Non ho letto un giornale finché non sono stata sposata. Non sapevo niente del mondo esterno. Quando è giunto il momento di lasciare il bozzolo protettivo della mia famiglia, ero terrorizzata.» Irénée sorrise, con gli occhi brillanti al ricordo della ragazza che era stata. «La mia tante Marie e mia madre mi hanno accompagnata al talamo nuziale e mi hanno lasciata lì, in attesa di mio marito. Dio, quanto le ho implorate di riportarmi a casa! Non volevo affatto fare la moglie, tanto meno la moglie di un Vallerand. Vietar era un vero orso. Ero terrorizzata all'idea di quello che mi avrebbe fatto.» Affascinata, Lysette appoggiò la tazza. «Evidentemente, però, è andato tutto bene» disse. Irénée ridacchiò. «Sì, Vietar si è dimostrato un marito gentile. Mi sono innamorata in fretta di lui. Vedete, i Vallerand sono ingannevoli. Dall'esterno sembrano autoritari e arroganti. Ma quando trovano la donna giusta, fanno di tutto per compiacerla.» Dopo avere preso un cucchiaino d'argento lavorato, Irénée mise altro zucchero nel proprio caffè. «Ecco» disse soddisfatta. «Il caffè mi piace nero come il diavolo e dolce come il peccato.» «Madame» domandò Lysette dissimulando indifferenza «com'era la moglie di vostro figlio? Secondo voi era la donna adatta?» Quella domanda rese Irénée visibilmente tesa. Esitò a lungo prima di rispondere. «Corinne era la ragazza più bella e viziata che avessi mai conosciuto ... troppo concentrata su se stessa per riuscire ad amare qualcun altro. Non si è occupata affatto delle esigenze di Max. Ed è stato un peccato, perché le sarebbe bastato pochissimo per renderlo felice.» «Quindi non è stato un buon matrimonio.» «No» sussurrò Irénée. «Nessuno potrebbe definirlo così.» Con grande disappunto di Lysette, quella fu l'unica rivelazione che ottenne sulla defunta moglie di Vallerand. La casa precipitò nel caos, poco dopo mezzanotte, quando Justin rientrò sanguinante e ammaccato dopo una zuffa. Max lo bloccò immediatamente e lo trascinò in cucina per impartirgli una chiara lezione ... E il fracasso raggiunse Lysette fin nella sua camera al secondo piano: così, curiosa oltre misura, uscì a passi felpati e si sporse dalla rampa delle scale per ascoltare il litigio. «Non potete trattarmi come un bambino! Sono un uomo!» «Lo dite voi» fu la secca risposta di Vallerand. «Un uomo non fa il prepotente e non provoca una rissa solo per divertimento.» «Non era per divertimento» ribatté accalorato Justin. «E allora per cosa?» «Per dimostrare una cosa!» «Cosa? Che sapete fare a pugni? Non vi farà fare molta strada, Justin. Arriverete presto al momento in cui i pugni saranno sostituiti dalle spade e allora vi ritroverete le mani sporche di sangue.» «Così finalmente sarò come voi!» Colpita da quelle parole, Lysette si sedette sul gradino e ascoltò attentamente. «Ma no ... per quanto mi sforzi... non riuscirò mai a toccare il vostro fondo» continuò il ragazzo ringhiando. «So tutto di voi, papà. E so anche dei vostri piani su mademoiselle Kersaint.» Seguì una lunga pausa carica di tensione. Infine suo padre ribatté a voce bassa e controllata: «Ho delle ragioni sulle quali non sapete niente.» «Davvero?» lo schernì Justin. «Cos'è? Ora date credito ai pettegolezzi?» «Ho sentito la verità!» «Nessuno sa la verità» ribatté con tono piatto Vallerand. Il ragazzo sputò fuori una parola con voce roca e uscì di corsa dalla stanza. Lysette si alzò e tornò in fretta nel suo letto, per non essere sorpresa a origliare. Ma quando fu al sicuro sotto le coperte fissò l'oscurità davanti a sé, chiedendosi se avesse udito correttamente. Quale parola aveva scagliato Justin contro suo padre? Le era sembrato che fosse ... assassino. "Ma non può essere" pensò, preoccupata, stringendo le lenzuola tra i pugni. 3 Max restò fuori tutto il giorno seguente, occupato in città. Alla domanda di Lysette Irénée rispose che doveva incontrare il governatore Claiborne. «Come l'ha conosciuto?» domandò Lysette, affascinata. Irénée scrollò le spalle. «Non ne sono sicura, perché Max raramente discute di politica con me, Comunque so che, quando è stato eletto, Claiborne ha chiesto aiuto a mio figlio per negoziare con i creoli. Come la maggior parte degli americani, il governatore non capisce sempre il nostro modo di fare e, poiché a Max sono dovuti molti favori sia da una comunità sia dall'altra, spesso è in grado di fare da intermediario. In passato il suo intervento è servito anche a calmare i malumori che sono seguiti a qualche passo falso di Claiborne ...» Schioccando la lingua in segno di disapprovazione aggiunse: «Questi americani... gente così fastidiosa.» Da buona creola, Irénée considerava gli americani dei barbari, con poche eccezioni. Gente rozza, che si preoccupava solo del denaro, si ubriacava con entusiasmo e diventava subito impaziente di fronte alla flemma creola. Solo loro, per dirne una, avrebbero potuto essere talmente privi di gusto da rimpiazzare le quadriglie con gighe e scomposti balli scozzesi. Più tardi, quella mattina, Lysette vagò per la piantagione, proteggendosi il volto con un parasole per evitare un'ulteriore esplosione di lentiggini. La sua usuale energia, però, era come indebolita dal caldo e presto avvertì un lancinante dolore alle tempie. Tornata a casa, si dedicò al delicato ricamo che le aveva dato Irénée, ma anche nell'angolo più ombreggiato della casa la temperatura era insopportabile e il sudore le incollava gli indumenti alla pelle. Quando Irénée si ritirò per un sonnellino pomeridiano, Lysette seguì il suo esempio. Si trascinò in camera, rimase in sottoveste e si sdraiò sulle lenzuola fresche. Una cameriera le srotolò intorno alletto il baire, una sottilissima zanzariera bianca. Fissando l'alto baldacchino, Lysette aspettò di essere sopraffatta dal sonno. Sebbene fossero passati tre giorni dalla traversata della palude, non si era ancora ripresa. Si sentiva esausta e un intenso dolore la trafiggeva fin dentro le ossa. Justin si intrufolò in silenzio in biblioteca, guardandosi intorno a destra e a sinistra. Anche in quella stanza si soffocava per il caldo pomeridiano. I libri, allineati su scaffali infiniti, sembravano guardare dall'alto in basso, come sentinelle. L'enorme scrivania di mogano di Max, con tutti i suoi cassetti, era posizionata tra due finestre drappeggiate di tende. La sua vista fece scorrere un brivido lungo la schiena di Justin. Quante volte aveva visto suo padre seduto a quel tavolo, il capo chino su libri e documenti. I cassetti erano pieni di chiavi, ricevute e carte, tra le quali, così almeno Justin sperava, doveva esserci anche quella che stava cercando. Si avvicinò rapidamente alla scrivania e si mise in cerca, con le dita che frugavano nel contenuto di ciascun cassetto. Usò una forcina rubata nella stanza dì Irénée per aprire una piccola scatola per documenti. Quando la serratura si apri con un click riluttante, Justin sì lanciò un' occhiata cauta alle spalle. Altre ricevute e una busta. Una busta chiusa. Gli occhi di Justin brillarono trionfanti. Se la infilò sotto la camicia, richiuse la scatola e la ripose dove l'aveva trovata. «Con questa» mormorò «regolerò i conti con voi, mon père.» Lysette dormì fino a dopo l'ora di cena, dato che Irénée fece in modo che non venisse disturbata. Quando si svegliò, la stanza era buia e la sera aveva portato un po' di fresco. Pigramente si infilò un abito giallo e scese di sotto. «Ah, finalmente vi siete svegliata» esclamò Irénée con voce allegra. «Ho pensato che fosse meglio lasciarvi dormire finché ne avevate voglia, Adesso dovete aver fame eh?» L'anziana donna le strinse il braccio affettuosamente. «Io e i gemelli abbiamo già mangiato. Max è arrivato un attimo fa e sta cenando. Potete unirvi a lui nella salle à manger. La sola idea del cibo, però, le fece venire la nausea. «Non, merci» riuscì a dire Lysette. «Non ho appetito.» «Ma dovete mangiare qualcosa» insistette Irénée, spingendola verso la sala da pranzo. «Abbiamo del magnifico sformato di granchio, tortini di riso ...» «Oh, non posso» la interruppe Lysette con la gola stretta al pensiero di pietanze tanto ricche. «Sforzatevi. Siete troppo magra, mia cara.» Mentre entravano in sala da pranzo, Lysette vide il riflesso di Max nello specchio dorato sopra al caminetto. Era seduto a tavola e la lampada creava riflessi sui suoi capelli corvini. «Buonasera, mademoiselle.» Con l'innata gentilezza di un gentiluomo creolo si alzò e l'aiutò a sedersi. «Maman mi ha detto che avete dormito a lungo.» Le rivolse uno sguardo indagatore. «Vi sentite bene?» «Benissimo. Ma non ho molta fame.» Irénée schioccò la lingua in segno di riprovazione. «Assicuratevi che mangi qualcosa, Maximilien. Io sarò nel salotto accanto a ricamare. «Vostra madre è molto tenace, monsieur» commentò Lysette con un sorriso stanco, mentre la donna usciva dalla sala. «Su questo non c'è dubbio» convenne lui ironicamente. Una cameriera mise un piatto davanti a Lysette che, fissando il pesce sdraiato su un letto di riso, sentì salire un attacco di nausea. Prese un bicchiere d'acqua e bevve un piccolo sorso, sperando che potesse servire a calmarle lo stomaco in subbuglio. «Ho sentito che oggi avete incontrato il vostro amico signor Claiborne» disse. «Sì.» I bianchi denti di Max sbriciolarono un pezzo di pane dorato. «Di cosa avete discusso? O si tratta di cose troppo complicate per una semplice donna?» Max ridacchiò. «L'amministrazione di Claiborne è sotto assedio. Sta cercando dì raccogliere tutte le informazioni necessarie per difendersi dall'assalto dei suoi nemici.» «Chi sono i suoi nemici? I creoli?» Max scosse la testa. «No, non i creoli. Qualche profugo dalla Francia e da Santo Domingo, e un pugno di americani, pochi ma rumorosi. Compreso Aaron Burr che in questo momento si trova a Natchez.» «L'ex vicepresidente degli Stati Uniti? «Sì. Si dice che Burr sia in ricognizione per arruolare uomini e prendere possesso del territorio di Orleans.» «Tutto ciò deve rendere il governatore piuttosto agitato.» Max rilassò la schiena contro la sedia e la guardò sorridendo a lungo. «E ne ha motivo. Claiborne è giovane e di poca esperienza. I suoi avversari vorrebbero screditarlo e separare il territorio dall'Unione.» «E voi siete fra quelli che vorrebbero che la Louisiana diventasse uno Stato?» «Ci conto» rispose lui. «Quando due anni fa gli americani hanno occupato il territorio, ho giurato fedeltà a Claiborne. Sfortunatamente gli americani non hanno mantenuto la loro promessa di annettere la Louisiana all'Unione.» «Perché?» «Dicono che il nostro popolo non è pronto per la cittadinanza.» «Non capisco perché ...» iniziò a dire Lysette, interrompendosi per un attacco di vertigini. Chiuse gli occhi e quando li riapri Max la stava fissando preoccupato. «Siete molto pallida» le sussurrò. «State male?» Lei scosse la testa. «Io ... sono molto stanca, monsieur» Spinse indietro con fare goffo la sedia. «Se volete scusarmi, penso che tornerò in camera mia.» «Naturalmente.» Lui l'aiutò ad alzarsi, sostenendola per il gomito. «Mi dispiace di essere privato di una così amabile compagnia. Per essere una semplice donna riuscite a intavolare una buona conversazione. Lei si lasciò sfuggire un risolino, poi fissò quegli occhi canzonatori. «La riprenderemo domani sera, quando starò meglio.» Lui sostenne il suo sguardo per un attimo, poi allontanò riluttante la mano da lei. «Riposate» le mormorò, restando in piedi mentre lei usciva dalla sala. Mentre saliva le scale, a Lysette sembrava di avere le gambe di piombo. Entrando in camera si portò una mano sul viso, consapevole che qualcosa non andava. Aveva la fronte coperta da una patina fredda. Sentiva il sudore anche tra i seni e sotto al corpetto e non vedeva l'ora di liberarsi da quegli indumenti soffocanti. Sul suo letto c'era una busta, accuratamente appoggiata al cuscino. Lysette la prese aggrottando le sopracciglia per la curiosità. Il cuore le si fermò quando vide cos'era. «La lettera!» esclamò a mezza voce, trovando improvvisamente difficile continuare a respirare. La busta le tremava tra le mani. Era la sua lettera a Marie, ancora chiusa, mai consegnata. Eppure Vallerand le aveva assicurato che era stata spedita. Perché le aveva mentito? E per quale motivo aveva voluto tenerla? Oh, Dio, lo sapeva che non avrebbe dovuto fidarsi di lui! Decise di affrontarlo immediatamente, nonostante il capo le pulsasse e la schiena dolesse dalle spalle fino ai fianchi. Pallida per l'indignazione, si aggrappò alla balaustra con le mani umide e iniziò la lunga discesa. Quando fu a metà delle scale, vide Vallerand che usciva dalla sala da pranzo. «Monsieur» disse, sentendosi la lingua impastata. «Esigo una spiegazione.» Lui si portò alla base delle scale. «Su cosa, mademoiselle?» Gli mostrò la busta. «Perché mi avete mentito? La mia lettera a Marie ... l'avete tenuta voi! Non avete mai avuto intenzione di spedirla ...» Scosse la testa con impazienza, come per soffocare il ronzio che sentiva nelle orecchie. «Non capisco.» Provò a indietreggiare mentre lui iniziava a salire le scale. Non riusciva a pensare, con quel fastidioso rumore nella testa. «Sta ... statemi lontano! Il volto di Vallerand era calmo oltre l'umano. «Dove l'avete trovata?» «Non ha importanza. Ditemi perché. Subito, maledizione! Ditemi ...» La lettera le cadde dalla mano inerte, volteggiando in aria prima di atterrare su un gradino. «Me ne vado. Preferisco la compagnia di Sagesse piuttosto che sopportare un altro minuto nella vostra casa.» «Invece resterete» disse lui senza intonazione. «Ho dei piani su di voi.» «Maledetto» sibilò Lysette, con gli occhi che le bruciavano per le lacrime. «Cosa volete da me?» Si portò le mani alla testa nel tentativo di fermare quel terribile martellare. Se solo avesse smesso. Se solo fosse riuscita a calmarsi abbastanza da riuscire a pensare. Improvvisamente il volto di Vallerand mutò. «Lysette ...» Si sporse per sorreggerla mentre lei ondeggiava. Ma lei si ribellò selvaggiamente. «Non toccatemi!» «Lasciate che vi porti di sopra.» «No ...» Mentre lottava per divincolarsi, Lysette si sentì crollare tra le sue braccia. «Max?» chiamò Irénée, richiamata dal frastuono. Dietro a lei c'era Noeline. «Qualcosa non va? Mon Dìeu, cos'è successo?» Vallerand non le rivolse neanche uno sguardo. «Mandate a chiamare il dottore» si limitò a dire, afferrando Lysette nonostante i suoi gemiti di protesta e trasportandola come se non avesse peso. «So camminare» singhiozzò lei dibattendosi. «Lasciatemi andare ...» «Zitta» le disse lui piano. «Non agitatevi.» Ci vollero solo pochi secondi per raggiungere la sua camera, ma a Lysette sembrò che il tragitto durasse un'eternità. Aveva la guancia posata sulla spalla di lui e gli inumidiva la camicia inamidata con lacrime disperate. Sentiva caldo e freddo, aveva la nausea e le vertigini. L'unica cosa stabile al mondo era il potente torace di lui. In qualche modo, nel suo misero stato, dimenticò quanto lo disprezzava e gli hl grata per il supporto rinfrancante delle sue braccia. Per un attimo si sentì meglio ma, quando Vallerand la stese sul letto, la stanza le turbinò attorno e precipitò in un buio soffocante. A tentoni, allungò le braccia in un disperato tentativo di salvarsi. Una mano gentile le scostò i capelli dalla fronte bollente. «Aiuto» sussurrò. «Va tutto bene, petite.» La voce di lui era calma e rassicurante. «Mi occuperò io di voi. No, non piangete. Stringetevi a me.» Noeline, che li aveva seguiti nella stanza, si allungò per vederla meglio e scosse tetramente la testa. «Febbre gialla» dichiarò. «È male quando arriva così in fretta. Ho visto persone scoppiare di salute un giorno e cadere morte il giorno dopo.» Rivolse uno sguardo pieno di pietà alla figura sdraiata sul letto, come se fosse ormai tra le braccia della morte. Max mantenne un tono calmo mentre si rivolgeva alla governante, ma i suoi occhi bruciavano di rimprovero. «Porta una brocca di acqua fredda e un po' di quella polvere... cosa abbiamo dato ai gemelli quando hanno avuto la febbre?» «Calomelano e gialappa monsieur.» «In fretta» ringhiò lui. Noeline uscì immediatamente. Max abbassò lo sguardo su Lysette, che stava biascicando frasi incoerenti. Le staccò delicatamente le dita strette sulla gonna e le strinse la mano. «Diavolo» mormorò, sentendosi sopraffare da un terrore che non provava da anni, da quando appunto si erano ammalati i suoi figli. Le accarezzò i capelli madidi e gli sfuggì una violenta imprecazione. Irénée apparve dietro di lui. «La sua morte ostacolerà i vostri piani, mun fils» disse piano. Lui non staccò gli occhi da Lysette. «Non morirà.» «La febbre è arrivata troppo in fretta e con troppa forza» mormorò sua madre. «Sta già delirando, non vedete?» «Non parlatene davanti a lei» ribatté lui seccamente. «Starà bene. Non permetterò che muoia.» «Ma, Max, lei non capisce ...» «Può udire quello che diciamo.» Lui si alzò fissando Irénée con aria pericolosamente determinata. «Toglietele i vestiti e lavatela con un panno fresco. Quando arriva il dottore ditegli che non deve fare niente senza il mio permesso. Non voglio che le faccia un salasso.» Irénée annuì, ricordando i salassi eccessivi che avevano quasi ammazzato Justin durante l'assalto della febbre. Irénée e Noeline fecero a turno a vegliare Lysette per le prime quarantott'ore. L'anziana signora aveva dimenticato la fatica e la pazienza necessarie per assistere un malato di febbre gialla. Le doleva la schiena per tutte le ore che era rimasta china sul letta a praticare a Lysette spugnature di acqua fresca. I violenti conati di vomito, l'odore acre dei lavaggi di aceto ... tutto era disgustoso ed estenuante. Max chiedeva spesso delle condizioni della ragazza, ma le convenzioni gli impedivano di entrare nella stanza. Anche se non c'erano state confessioni, Max sospettava che il responsabile della faccenda della lettera fosse Justin, conoscendo la propensione del figlio a ficcarsi nei guai. E d'altronde il ragazzo confermava l'intuizione con il suo atteggiamento furtivo e il modo in cui cercava di evitare ogni incontro con il padre e il fratello. In momenti del genere, quando gli adulti erano occupati da questioni più urgenti, di solito i gemelli ne approfittavano per evitare le lezioni e vedere gli amici o cacciarsi in qualche rissa in città. Adesso, invece, erano stranamente tranquilli. Sembrava che una cappa tetra fosse calata sulla casa e il silenzio era interrotto solo dalle grida incoerenti di Lysette durante i momenti peggiori del delirio. Quando i familiari di Lysette si ripresentarono a casa Vallerand, ripartirono senza più dubbi che lei fosse effettivamente malata. Fu permesso a Delphine di entrare un attimo nella stanza, ma la ragazza non la riconobbe. Quando se ne andarono, Gaspard era evidentemente depresso, perché era chiaro che le speranze di sopravvivenza di Lysette erano minime. Cedendo a un accesso di malinconia, Justin fece commenti sul fastidio di avere in casa un'ospite malata. «Vorrei che finisse, in un modo o nell'altro» disse piano, mentre sedeva con Philippe sulle scale. «Non sopporto il fatto che tutti debbano muoversi in punta di piedi, e neanche gli urli che emette ... e tutta la casa che puzza di aceto.» «Non durerà a lungo» rispose Philippe mogio. «Ho sentito la grand-mère dire che è difficile che arrivi a domani.» Quando l'ennesimo grido soffocato risuonò dal piano di sopra, d'improvviso la porta della biblioteca si spalancò e il loro padre salì la scala a due gradini alla volta, oltrepassando i gemelli senza dire nemmeno una parola. I due si guardarono sorpresi. «Pensate che le importi di lei?» domandò Philippe. Il volto di Justin si irrigidì in un'espressione dì disprezzo. «È solo preoccupato che possa morire prima di essergli utile.» «Che vuoi dire?» Sospettando che il fratello gli nascondesse qualcosa. Philippe lo afferrò per la manica. «Justin, sapete qualcosa che io non so?» Justin liberò il braccio con un moto impaziente. «Non ve lo dico. Provereste solo a difenderlo.» Irénée cercò invano di calmare la ragazza che si contorceva nell'agonia. «Pauvre petite» esclamò sottovoce. Niente poteva portarle pace. Non beveva, non riposava e nessuna medicina le restava dentro abbastanza da giovarle. Sfinita, Irénée si accasciò sulla poltrona vicino alletto. «Non ... non lasciatelo ... oh, per favore, per favore ...» La debole voce di Lysette si alzava e ricadeva monotona. Lentamente Irénée allungò la mano verso la spugna, sperando di riuscire ad abbassare la febbre con altra acqua. Ma si fermò, sorpresa, quando vide suo figlio apparire nella stanza buia. «Max?» esclamò. «Cosa fate? Non potete stare qui. Non è vestita.» «Non importa.» Lui scostò il velo del baire e si sedette sul bordo del letto. Si chinò sul corpo che si contorceva. «Max, è un'indecenza» protestò Irénée. «Dovete uscire.» Ma Max, ignorandola, tirò via le lenzuola annodate a quelle povere membra madide di sudore. La camicia da notte di Lysette, bagnata e trasparente, le aderiva totalmente alla pelle, incapace di dissimulare la sua nudità. Con espressione tesa, Max cercò di mettere a posto i capelli arruffati di Lysette, poi la prese tra le braccia. «Shhh» le sussurrò sulla tempia, tenendole la testa con la mano. «Ora ci sono io a vegliarvi. Shhh. Silenzio, petite.Siete sfinita.» La ragazza si aggrappò a lui mormorando parole incoerenti. Allora Max la strinse a sé e con la destra prese la spugna bagnata: gliela passò sul viso e il petto, strizzandola e facendole scorrere l'acqua fresca in piccoli rivoli sulla pelle. «Lysette, state ferma. Lasciate che mi occupi di voi, Ora siete al sicuro, ma chère.» Dopo qualche minuto le spugnature e le parole di conforto calmarono la ragazza, che si abbandonò completamente tra le braccia di Max. Lui prese la tazza dal comodino, gliela appoggiò alle labbra, la blandì, la incoraggiò e insistette finché non riuscì a farle inghiottire un po' di medicina. A quel punto la stese delicatamente sul materasso e la copri con le lenzuola. Poi guardò la faccia stupita di sua madre. «Dite a Noeline dì portare della biancheria fresca» le disse. «Dovrà aiutarmi a cambiare il letto.» Irénée impiegò diversi istanti prima di ritrovare la voce. «Grazie per il vostro aiuto. Max. Vado subito a chiamarla.» Lui prese una spazzola e cominciò a pettinare i capelli aggrovigliati di Lysette, «Siete sfinita, maman, Riposatevi un po', Mi occuperò io di lei.» Irénée non sapeva cosa rispondere a un'affermazione tanto oltraggiosa. «Cosa? Che idea ridicola. E poi gli uomini non sanno niente di assistenza. È compito di una donna. Ci sono cose da fare ...» «Il corpo di una donna non rappresenta un mistero, per me. E, per quanto riguarda la mia esperienza con la febbre, vi ricordo che mi sono occupato dei gemelli quando l'hanno avuta.» Quella risposta zitti Irénée per qualche secondo. «È vero, l'avevo dimenticato» ammise. «Siete stato bravo con i gemelli, ma erano i vostri figli, mentre lei è una ragazza innocente ...» «Pensate che voglia approfittarmi di lei in queste condizioni?» le chiese Max con uno strano sorriso. «Neanch'io sono tanto depravato, maman.» «Mon fils» gli domandò lei sospettosa «perché volete farvene carico voi?» «Perché non dovrei? La sua salute è nel mio interesse. Adesso andate a riposare. Sono in grado di accudirla per qualche ora.» Lei si alzò riluttante, «Dirò a Noeline di prendere il vostro posto.» Ma Max non permise né a Noeline né a nessun altro di sostituirlo. Da quel momento trascorse ogni minuto al capezzale di Lysette, con le maniche della camicia arrotolate fin sopra il gomito mentre lavorava per combattere la furiosa febbre della ragazza. Era infaticabile e incredibilmente paziente. Irénée era sconvolta: nella sua esperienza nessun uomo mai, nemmeno un marito aveva fatto tanto per una donna. Era attonita, ma incapace di pensare a un modo di fermarlo. Non aveva alcuna autorità sul figlio maggiore. Forse, se Alexandre e Bernard fossero tornati, sarebbero riusciti ad allontanarlo da quella stanza. Ma non c'erano ... e così Max rimase nella camera da letto della ragazza come se fosse un suo indiscutibile diritto. Un lupo visitava gli incubi di Lysette. La sovrastava con i denti brillanti. Si accovacciava su di lei per divorarla. Lei gridava, esausta e inerme. Gridava disperatamente. E d'improvviso il lupo sparì, scacciato dal suono basso di una voce. «Sono qui... va tutto bene ... Shhh ... Sono qui. Sono qui.» Un caldo torrido le bruciava la pelle e le lacerava i polmoni, finché una mano umida non le accarezzò la fronte. «Ancora, per favore» supplicò gemendo di sollievo mentre il fresco le accarezzava il corpo, placando quel fuoco insopportabile. Gli occhi del lupo erano tornati a guardarla brillando maligni nelle tenebre. Lei si contorse in preda al panico e sbattè contro un solido torace maschile. «Per favore, aiuto ...» «Siete promessa a me» proclamò la voce di Etienne Sagesse. Lei guardò terrorizzata il suo volto e vide il desiderio che brillava nei suoi occhi crudeli, curvando le sue labbra tumide. Girò la faccia, disgustata, ma si trovò davanti il suo patrigno con le guance chiazzate per la rabbia. «Lo sposerai!» gridò Gaspard colpendola. Poi tornò ad alzare la mano. «Maman» gridò lei, vedendo sua madre vicino, ma Jeanne indietreggiò, scuotendo la testa. «Fai quello che dice il tuo beau-père. Devi obbedire.» «Non posso ...» Poi l'orlo duro di una tazza le colpì le labbra e lei si ritrasse davanti a un gusto amaro. Ma un braccio d'acciaio dietro la testa non glielo permetteva. «No» gemette, sentendosi soffocare. «Non combattete con me, petite. Bevete. Brava ... ancora un po'.» Lei aprì la bocca senza fiato obbedendo a quell' ordine gentile. Vide la sagoma scura di un uomo che si muoveva attraverso una fitta nebbia. Lui l'avrebbe aiutata ... ne era sicura. Lo rincorse disperatamente, per un tempo che le parve durare un'eternità, finché la strada non le fu bloccala da un alta cancellata di ferro. Afferrò le sbarre scuotendole con violenza. «Aspettate! Fatemi entrare! Aspettate ...» Il lupo era dietro di lei. Lo sentiva vicino. Il suo ringhio basso fendeva la nebbia. Terrorizzata si aggrappò al cancello, che però non si aprì. Mandibole possenti le si strinsero intorno al collo. «Zitta. State ferma, dovete riposare ...» «Aiutatemi...» «Siete al sicuro tra le mie braccia, ma chère.Niente può farvi del male.» Un panno umido l'accarezzò sul petto, sulle gambe, sulle braccia. Poi sentì di nuovo la tazza contro le labbra. «Ancora un po'» fu l'ordine gentile. «Ancora un po'.» Lei si arrese, mentre il lupo le girava intorno cauto. Aveva ancora paura e gridava, ma lui non l'avrebbe abbandonata ... no, non l'avrebbe abbandonata mai ... Quando Lysette emerse dalle tenebre, sì ritrovò sdraiata sullo stomaco in una stanza appena illuminata, con una luce color ambra che proveniva da una lampada nell'angolo. Sbattendo gli occhi, si voltò verso la luce e appoggiò la guancia al materasso. Il corpo, la testa, le braccia erano pesanti come se fossero stati schiacciati da sacchi di sabbia. Ma lunghe carezze rinfrescanti le scorrevano lungo la schiena, e lei emise un debole gemito di gratitudine. Una mano gentile si posò sulla sua fronte per sentire la temperatura. «State meglio, adesso» disse una voce familiare. «La febbre si è abbassata, grazie a Dio.» Lysette sgranò gli occhi riconoscendo la voce. «Monsieur Vallerand!» gemette con voce malferma. «Oh, no. Siete voi.» La voce di lui fu attraversata da una nota divertita. «Ho paura di sì, petite.» «Ma ... ma ...» Lei si interruppe, inorridita. Chi l'aveva fatto entrare in camera sua? Era stato Vallerand a prendersi cura dì lei mentre stava male? Non era possibile, Eppure ... Nel suo stanco cervello si affastellarono frammenti di ricordi... la voce persuasiva, le forti braccia, le mani gentili che si erano prestate ai suoi bisogni più intimi. Non riusciva a crederci. Si rese conto di essere nuda nel letto, con un lenzuolo leggero tirato su fino ai fianchi e la schiena completamente scoperta, Era incomprensibile ... non sapeva come reagire. «Non sono vestita» disse con tono lamentoso. Vallerand si chinò su di lei: aveva le maniche della camicia arrotolate e il colletto sbottonato che rivelava la straordinaria possanza del torace. Il volto non rasato, i capelli in disordine, gli occhi scuri segnati da profonde occhiaie. Con delicatezza le sistemò una ciocca dietro l'orecchio. «Mi dispiace» le disse calmo. «Era più facile accudirvi in questo modo. L'accarezzò sulla guancia, mentre lei s'irrigidiva. «Rilassatevi» le sussurrò. «Non preoccupatevi delle convenzioni. Non è il momento.» «Per quanto sono stata malata?» chiese Lysette con voce roca. «Quasi tre settimane.» «Oh, man Dieu» esclamò lei, sentendo la bocca asciutta. Si voltò su un lato, cercando di coprirsi goffamente con il lenzuolo, ma ogni movimento le risultava faticoso. Allora Vallerand la aiutò e le rimboccò il lenzuolo sotto le braccia. Lysette lo fissò incredula, mentre lui le sistemava i cuscini dietro la testa con l'abilità di un'infermiera esperta. «Non capisco perché vostra madre vi abbia permesso di curarmi» disse con voce roca. «Maman non approvava» ammise lui, lisciando le lenzuola intorno a lei. «Ma dopo i primi giorni di assistenza era esausta e io so essere molto ostinato ...» Sorrise ironico. «Infine deve avere pensato che, siccome stavate comunque per morire, non aveva importanza chi si occupava di voi.» Lysette ascoltò quelle parole, perfettamente consapevole che senza la sua infaticabile pazienza, la sua totale dedizione, sarebbe morta, «Mi avete salvato la vita» sussurrò. «Perché? Lui le accarezzò dolcemente le lentiggini della guancia. «Perché senza di voi il mondo sarebbe un luogo molto più scuro e monotono, ma chère. Lysette lo osservò, confusa, mentre sistemava le cose sul comodino. Ricordando il giorno in cui aveva trovato la lettera mai spedita, si rese conto che aveva ottimi motivi di essere furiosa con lui. Ma quell'argomento poteva aspettare: Vallerand l'aveva aiutata a superare una terribile malattia e per quello gli doveva un'immensa gratitudine. «Se faccio portare un po' di brodo, proverete a berne un po'?» domandò lui, in tono paterno. A quel pensiero lei non poté evitare una smorfia. «Non posso. Mi dispiace, no.» «Appena un sorso.» Era evidente che avrebbe insistito finché lei non si fosse arresa. Così aggrottò le sopracciglia e sospirò: «Un sorso, allora.» Quando Lysette si sentì abbastanza bene da desiderare di cambiare ambiente, Max la portò nel salotto al pianterreno. A mano a mano che guariva, lei era sempre più turbata dall'intimità che si stava sviluppando tra loro. Negli ultimi tre giorni aveva provato ad allontanarsi un po' da lui. Non gli aveva più permesso di lavarla o pettinarla e accettava l'aiuto solo di Noeline e di Irénée. Ma anche in quel momento, mentre si trovava tra le sue braccia, la sensazione di vicinanza la turbava. Spaventata da quelle emozioni, gli rivolse uno sguardo sospettoso. «Cosa c'è?» chiese Max. aggiustandosi l'esile peso della ragazza tra le braccia. «State scomoda?» «No «rispose lei, continuando a tenergli il braccio intorno al collo. «Mi sto solo chiedendo quale sia il vostro gioco, monsieur.» Lui le rivolse uno sguardo vacuo. «Gioco? Davanti a quella dissimulata innocenza Lysette roteò gli occhi. «Il gioco di cui sono diventata una pedina. Quello che state giocando con Etienne Sagesse. E ovvio che non avete intenzione di farmi trasferire da mia cugina. A causa della malattia siete riuscito a tenermi a casa vostra. Adesso ditemi qual è il vostro piano.» «Ne discuteremo quando starete meglio» mormorò lui. «Potete ammetterlo» lo incalzò lei. «Ho già capito cosa volete e come progettate di ottenerlo.» «Davvero?» Un luccichio gli attraversò lo sguardo. «Allora spiegatemelo voi. Prima che Lysette potesse rispondere, lui la adagiò delicatamente sul divano, dove Noeline le distese una coperta sulle ginocchia. Ma una ciocca era rimasta impigliata nei bottoni della sua giacca. Max e Lysette si allungarono nello stesso momento verso il bottone. Così le loro dita si toccarono e lei ritrasse la mano confusa. Delicatamente Vallerand liberò i capelli dall'asola. Il suo profumo giunse alle narici di Lysette e la sua virilità intossicante scatenò in lei il desiderio di baciarlo. Una reazione fisica così nuova, così profonda, che lei si ritrasse, sconvolta. «Non abbiate paura di me» sussurrò Max, ancora chino su di lei, fraintendendo il suo sguardo allarmato. «Paura di voi?» ribatté lei stordita. «Siete l'ultimo uomo al mondo di cui potrei avere paura.» Quelle parole sembrarono scuoterlo. Il respiro di Max accelerò e la fissò come se non osasse crederle. In quel momento, però, Irénée entrò nella stanza, spezzando la magia. «Lysette, come vi sentite oggi?» La strana espressione di Max svanì. «Sta bene» rispose bruscamente, avviandosi verso la porta. «Io vado in biblioteca. Mentre se ne andava, Irénée lo seguì con lo sguardo scuotendo la testa. «Si è comportato in modo così strano, di recente.» Lysette sospirò, consapevole che la sua malattia aveva rappresentato soltanto una tregua in qualunque piano Maximilien avesse architettato. «Madame» disse lentamente «di sicuro sapete che monsieur Vallerand non ha mai inviato la lettera a mia cugina Marie.» Irénée aggrottò le sopracciglia. «Lysette, per discutere di questo dovremmo aspettare che vi sentiate ...» «Vuole disonorarmi, non è vero?» Lysette intrecciò le mani sul grembo. «Be', mi ha tenuta qui abbastanza da distruggere la mia reputazione, malgrado la vostra presenza. Immagino che nessuno possa credere che ho vissuto sotto lo stesso tetto di Maximilien Vallerand così a lungo con il mio onore intatto. Sagesse esigerà un duello, no? Chiaramente è andato tutto proprio come vostro figlio ha architettato.» Irénée restò a lungo in silenzio. «Lysette» disse alla fine «non è ancora troppo tardi perché torniate da Sagesse. Se è questo che volete, me ne occuperò io.» Lysette scosse la testa. «Buon Dio, no. Preferirei diventare una prostituta piuttosto che tornare da lui.» L'anziana donna fu chiaramente colpita da quell'affermazione, ma per sua fortuna l'arrivo di Noeline le risparmiò l'obbligo di rispondere. «Madame» disse la domestica, alzando gli occhi al cielo. «C'è monsieur Medart... vuole portare via mademoiselle Lysette.» 4 Quando il suo patrigno e tante Delphine entrarono nella stanza, Lysette maledì la propria debolezza. Provò l'impulso incontro Ila bile di saltare giù dal divano e fuggire, ma sapeva che sarebbe crollata dopo pochi metri. «Lysette» iniziò Gaspard calmo e sorridente, nonostante l'espressione dei suoi occhi emanasse odio puro. Il matrimonio di Lysette con Etienne Sagesse era l'unica soluzione alla sua rovina finanziaria e lei era quasi riuscita a sabotare i suoi piani. «Siete fortunata, stupida ragazza. Sagesse vi vuole ancora, a dispetto di tutto quello che è successo. Il matrimonio si terrà quando convenuto. Ora che state meglio verrete con me. «Il matrimonio non si farà mai» ribatté Lysette. «Pensavo che a questo punto vi fosse del tutto chiaro.» «Lysette!» esclamò tante Delphine, facendosi avanti con tutto l'affetto materno che riuscì a dimostrare. «Via, via, eniant, Siamo venuti a prenderei cura di te. Di sicuro non vuoi essere ancora di peso a questi sconosciuti. Non hai un po' di buon senso in quella tua testolina calda? «E dopo averle accarezzato la guancia con la mano paffuta, le rincalzò la coperta con aria premurosa. In effetti sull'ultimo punto Delphine aveva ragione: lei era davvero stata un peso per quella famiglia. Inoltre non desiderava affatto essere lo strumento inconsapevole di un meccanismo dì vendetta. Se ne fosse scaturito un duello, era possibile che Sagesse ferisse o addirittura uccidesse Vallerand ... un pensiero troppo orribile da prendere in considerazione. «Lysette» si intromise Irénée con tono compassionevole, cogliendo tutti ì presenti di sorpresa «dovreste andare con loro. È la cosa più saggia da fare.» «Proprio così» aggiunse Gaspard, scuro in volto. «Apprezzo molto il vostro atteggiamento ragionevole, madame Vallerand.» «Dobbiamo pensare al bene di ...» rispose Irénée con circospezione. «Vedete? «la interruppe Gaspard andando verso Lysette. «Madame Vallerand capisce quanto sia inappropriato che voi restiate sotto questo tetto.Alions, Lysette. C'è una carrozza che ci aspetta fuori, la carrozza più bella che abbiate mai visto. I Sagesse bramano soddisfare i vostri desideri ancora prima che li possiate esprimere.» La prese con facilità tra le braccia muscolose: il corpo magro e indebolito di Lysette non era in grado di opporre alcuna resistenza. Ma non appena poté parlarle all'orecchio, sibilò: «Pagherai per tutti i guai che mi hai causato, maledetta ...» Sopraffatta dalla disperazione, lei gli diede una spinta. «Max» gridò, chiedendosi affranta perché lui non fosse lì. Nessuno l'aveva avvertito che erano venuti a prenderla? «Max» Il mondo intero sembrò svanire, mentre udiva uno strano, basso ringhio che di sicuro non proveniva da Gaspard. Poi una forza invisibile la strappò via dalla brutale presa del patrigno e di colpo si trovò schiacciata contro il petto di Vallerand. Si aggrappò immediatamente a lui, gettando le braccia a quel collo conosciuto. Seppellì il viso contro la sua gola. «Mi porterà da Sagesse» disse senza fiato. «Non permetteteglielo, non ...» «Non andrete da nessuna parte petite» la interruppe bruscamente Vallerand. «Ma ora calmatevi, Lysette. Non vi fa bene agitarvi così.» Quel tono imperioso le provocò le vertigini: era improvvisamente chiaro che, per misteriose ragioni, lei era sua e nessuno l'avrebbe portata via da lui. Vallerand la adagiò delicatamente su una poltrona. Poi si raddrizzò, fissando Gaspard con sguardo gelido. «Non provate di nuovo a toccarla» mormorò con calma letale. «Se le torcerete un solo capello, vi farò a pezzi.» «Lei è mia!» sbottò Gaspard con furia incredula. Lysette osservò la scena con cinica soddisfazione. Max aveva preso le sue parti perché in quel momento lei serviva ai suoi scopi. E lei gli avrebbe permesso di gestire la situazione a suo piaci mento. Non le importava affatto della reputazione distrutta, né tanto meno del fatto che Max la stesse usando. L'unica cosa cui riusciva a pensare era che non avrebbe sposato Etienne Sagesse. Gaspard si rivolse direttamente a lei, con espressione furibonda. «Sagesse ha detto che, se non tornate entro oggi pomeriggio, non vi prenderà più. Vi considererà disonorata! Lo capite? Nessuno vi vorrà più. Diventerete inutile, perché nessun uomo decente vi vorrà mai come moglie. Non avrete macchiato solo il vostro nome, ma anche quello di Sagesse, cosa che è esattamente nei piani di monsieur Vallerand. Per lui non siete altro che una scusa per concludere una vecchia faida. Quando la faccenda sarà finita, sarete bandita dalla società perbene e da qualsiasi possibilità di vita decente. Salvatevi, Lysette. Venite via con me e ponete fine a questa follia!» Lysette si sentì d'improvviso esausta. Curvò le labbra in un amaro sorriso e si rivolse a Max. «Monsieur Vallerand, tutto quello che dice è vero,n'est-ce pas?» Lui parlò senza guardarla. «Sì.» Lei accolse quell'ammissione senza sorpresa. «E cosa avete progettato di fare di me quando tutto questo sarà finito?» «Ripagarvi per l'opportunità che mi avete concesso» rispose lui senza alcuna traccia di vergogna. «Provvederò a voi in qualunque modo desideriate. Scoprirete che la mia gratitudine per l'opportunità di un duello con Sagesse si dimostrerà infinita.» L'arroganza di quell'uomo era così grande che lei non poté sopprimere un sorriso. «Cos'ha mai fatto per meritare un tale odio, monsieur?» Vallerand non rispose. Lysette rifletté sulle sue possibilità. «Sono stanca di essere sfruttata» disse senza rivolgersi ad alcuno in particolare. Poi il suo sguardo cadde sul suo patrigno. «Beau-père, temo che dovrete tornare da Sagesse a mani vuote. Ora che non ho più valore sul mercato dei matrimoni, dovrete trovare un altro modo per fare soldi. Quanto a voi, monsieur Vallerand ... potete procedere con il vostro duello con Sagesse. Congratulazioni... avete ottenuto quel che volevate.» «Ma voi cosa farete, Lysette?» domando Irénée preoccupata. «Appena possibile, vorrei essere accompagnata al convento delle Orsoline. Anche se non ho ancora intenzione di prendere i voti, sono sicura che mi offriranno un rifugio sicuro finché non avrò deciso cosa fare. Immagino di poter trovare un lavoro da governante, o forse da insegnante ...» Porse la mano a Noeline, che aveva assistito a tutta la scena dalla soglia. «Per favore, aiutatemi a tornare in camera» le chiese con calma dignità. Dopo il lungo bagno, i capelli di Lysette erano umidi e annodati. Noeline, delicatamente, si dedicò a districarli, mentre Irénée sedeva alla finestra e la luce del pomeriggio indorava le querce del viale lungo il quale Max si allontanava in sella al suo purosangue nero. Quando l'anziana signora fu sicura che suo figlio non sarebbe più tornato indietro, si voltò verso Lysette e parlò a bassa voce. «Avete il diritto di sapere cosa è successo tra Max ed Etienne Sagesse. Vi aiuterà a capire meglio mio figlio e forse a perdonarlo un po'. Non è cattivo ed egoista quanto può sembrare. Quando Max era più giovane ha superato tutte le aspettative che suo padre e io nutrivamo per lui. Era sicuramente un ragazzo selvaggio, si cacciava nei guai, ma era anche caldo, gentile e pieno di fascino. Ogni donna a New Orleans, giovane o matura, nubile o sposata, si innamorava di lui. E la sua rovina, naturellement, fu una donna. Corinne Quérand era la figlia dì una famiglia rispettabilissima di New Orleans. Max aveva la vostra età quando l'ha sposata. Era così giovane da non vedere la vera natura che si celava dietro l'affascinante facciata. Nel primo anno di matrimonio Corinne diede a Max i gemelli, e lui fu sopraffatto dalla gioia. Gli sembrava di essere entrato in una dimensione di felicità imperturbabile e infinita, ma poi...» Irénée si interruppe e scosse la testa tristemente. «Cos'è successo?» domandò Lysette, incuriosita. «Corinne cambiò. O forse permise alla propria natura dì rivelarsi. Cadde la bella maschera e iniziò a mettere da parte la morale e il rispetto di sé, come abiti che fosse stanca d'indossare. Non aveva alcun interesse per i figli. Decise di ferire Max. Alors, si prese un amante. Immagino che possiate indovinare chi fosse.» Lysette inghiottì a fatica. «Etienne Sagesse.» «Ouì, c'elait lui. Un tradimento che ostentava davanti a Maximilien. Sapeva che lui l'amava ancora e raggiungesse vertici di crudeltà assoluta ... Mon Dieu, mio figlio ha sofferto più di quanto qualsiasi madre potrebbe sopportare: fremeva per la brama di sfidare Etienne, ma il suo amore non gli permetteva di far sapere al mondo che sua moglie era una donna infedele.» Noeline finì di acconciare i capelli di Lysette e andò da Irénée a porgerle un fazzoletto. «Merci, Noeline» le disse lei asciugandosi gli occhi. «Chiunque avrebbe capito perché è successo. Corinne aveva torturato Max calpestando i suoi sentimenti, finché lui non si è più potuto trattenere. È giustificabile, non è vero, Noeline?» «Ouì, madame.» «Cos'è successo?» chiese Lysette pur conoscendo già la risposta. Fu Noeline a rispondere. «Madame Corinne fu trovata nella casa del sovrintendente. Strangolata.» «Max ha detto a tutti di averla trovata così» aggiunse Irénée. «Ha insistito che non l'aveva uccisa, ma non aveva un alibi. Le autorità hanno considerato le circostanze e hanno scelto di essere clementi: a volte si convincono a guardare da un'altra parte, specialmente se si tratta di mogli infedeli... ma il duello con Etienne non si tenne mai. E Max ha continuato a proclamare la sua innocenza, senza che nessuno gli abbia mai creduto. I suoi amici non si sono dimostrati molto affidabili, purtroppo, e Max è rimasto da solo con il suo dolore. All'inizio ero sicura che con il passare del tempo si sarebbe ripreso e sarebbe tornato a essere se stesso. Invece è stato consumato dall'amarezza. È ormai incapace di esprimere affetto, di fidarsi di chiunque, di voler bene a qualcuno, a parte i gemelli.» «Madame, voi credete che sia innocente?» le domandò Lysette. Irénée tacque per un tempo insopportabilmente lungo. «Sono sua madre» rispose alla fine. Lysette aggrottò le sopracciglia, pensando che non era un "sì" deciso. «C'era qualcun altro che avesse ragioni per ucciderla?» «Nessun altro» rispose Irénée con terribile sicurezza. Lysette provò a immaginare Maximilien Vallerand che stringeva le sue potenti mani intorno alla gola di sua moglie per soffocarla fino alla morte. Era impossibile conciliare quella visione orribile con l'uomo che si era preso cura di lei quando era ammalata. Poteva accettare il fatto che Vallerand fosse un manipolatore, ma un assassino. No, non riusciva a crederlo. «Bisogna avere compassione di Max» concluse Irénée. «Adesso capite perché ha visto in voi il mezzo per costringere finalmente Etienne a un duello. Lo considera la sua unica opportunità di vendicarsi. Sono piuttosto sicura che ucciderà Etienne ... Forse allora sarà in grado di superare la tragedia che ha vissuto.» «Oppure» mormorò Lysette «avrà soltanto un po' di sangue in più sulle proprie mani.» Irénée non poté che essere gratificata dal numero di ospiti che le fecero visita il giovedì seguente. Tutte le sue amiche e parenti vennero da ogni dove, in ansiosa ricerca di informazioni sul pettegolezzo più eccitante in circolazione. La notizia si era diffusa nei più remoti angoli di New Orleans: era chiaro che ci sarebbe stato un duello. Tutti sapevano che Maximilien Vallerand aveva rubato da sotto il naso la fidanzata di Etienne Sagesse e l'aveva disonorata. «Sono voci del tutto false» disse Irénée con tono calmo, sovrastando la piccola folla in salotto come una regina, mentre passavano vassoi di pasticcini elangues de chat. «Non crederete che io permetta a mio figlio di violare la virtù di una giovane onesta sotto al mio tetto, vero? Non solo non mi sono mai staccata da lei, ma in più è stata ammalata per lungo tempo! L'ho assistita io stessa durante la febbre!» Quattro teste grigie ricoperte da cuffie di pizzo annuirono contemporaneamente. Claire e Nicole Laloux, Marie-Therese Robert e Fleurette Grenet erano le più leali amiche di Irénée, pronte a sostenerla nelle situazioni più spaventose. Anche nei giorni oscuri dell'assassinio di Corinne Quérand non avevano mai smesso di farle visita e non erano mai state sfiorate dal pensiero di abbandonare l'amica. Irénée era una donna gentile e generosa e, cosa nota a tutti, estremamente raffinata. Suo figlio, invece ... Tuttavia, la maggior parte dei creoli sopportava Maximilien. Per decenni i Vallerand erano stati una importante famiglia di New Orleans. Malgrado il suo vergognoso passato, Maximilien veniva invitato agli eventi sociali più importanti dell'anno ... ma non alle feste più intime, dove si formavano e maturavano le vere relazioni. «Oh, eravamo certe che non avreste mai permesso qualcosa di improprio, Irénée» esclamò Catherine Gauthier; un'amica più giovane. «Ma quella poverina è disonorata comunque. Ha trascorso più di due settimane sotto lo stesso tetto di Maximilien, che è senza dubbio il... gentiluomo più discusso della città. Nessuno può condannare Etienne Sagesse per non volerla più.» Tutti i presenti mormorarono il proprio assenso, porsero le tazze per avere altro caffè, finirono i pasticcini e attaccarono un nuovo vassoio. «È chiaro che ci sarà un duello» aggiunse Marie-Therese. «È l'unica cosa a cui può ricorrere Sagesse. Altrimenti il suo onore sarebbe macchiato per sempre. «Sì, lo sanno tutti» aggiunse Fleurette, pulendosi aggraziatamente l'angolo della bocca con un tovagliolo. «Ma ditemi, Irénée: cos'ha fatto Maximilien per convincere la ragazza a non tornare da Sagesse?» «Non ha fatto niente» rispose freddamente Irénée. Claire e Fleurette si scambiarono un'occhiata eloquente. Era evidente che la ragazza era stata sedotta. Oppure minacciata. Maximilien era un uomo talmente malvagio! Originario della Virginia, William Charles Coles Claiborne aveva solo ventotto anni quando il presidente Jefferson lo nominò primo governatore americano del territorio di Orleans. Anche se aveva trovato l'opposizione dei creoli, la più grande minaccia alla sua amministrazione era rappresentata da una coalizione di americani avidi e profughi francesi. Tra quelli che Claiborne considerava a ragione una minaccia c'erano Edward Livingstone, un losco personaggio di New York venuto lì per fare fortuna, e il generale Wilkinson, un ufficiale dell'esercito appena nominato governatore del territorio della Louisiana del Nord. Entrambi si erano più o meno apertamente alleati con Aaron Burr, che li incoraggiava a fomentare disordini. Max aveva molti dubbi sulla possibilità di Claiborne di fermare le trame che stavano prendendo forma. Sebbene fosse un uomo intelligente e deciso, Claiborne era ancora in lutto per la perdita della moglie e dell'unica figlia, avvenuta l'anno prima a causa della febbre gialla; la stampa lo attaccava senza pietà, accusandolo di essere un giocatore d'azzardo e, cosa ancora peggiore, la sua attenzione era spesso distolta dal problema rappresentato da Burr dai continui episodi di pirateria nella baia di Barataria e negli emissari a sud di New Orleans. «Il problema» disse mestamente Claiborne, seduto di fronte a Max nella sua pesante poltrona di mogano «è che i pirati conoscono le paludi meglio delle mie forze di polizia, oltre a essere meglio equipaggiati e organizzati. Il presidente Jefferson ha promesso di inviarmi un certo numero di cannoniere, ma temo che non saranno nelle condizioni più adatte. E di sicuro non avrò molti arruolati tra cui scegliere l'equipaggio.» Max sorrise sarcastico. «Devo perdere tempo a sottolineare che la maggior parte dei creoli non sarà favorevole a misure forti contro la pirateria? I mercanti locali si solleveranno, se li priverete dell'accesso a mercanzie esenti da dazio. Le fortune di molte rispettabili famiglie sono state costruite sul contrabbando, che quaggiù non sempre è considerata un'attività disonorevole.» «Oh! E a quali famiglie vi state riferendo?» La domanda, espressa con quel tono sospettoso, avrebbe offeso chiunque. Max invece si limitò a ridacchiare. «Sarei sorpreso se anche mio padre non avesse contribuito alla causa dei pirati» ammise. Claiborne gli rivolse uno sguardo tagliente, sorpreso da quella sfacciata rivelazione. «E a chi vanno le vostre simpatie, Vallerand?» «Se mi state chiedendo se io sia coinvolto in qualche modo nel contrabbando, la risposta è ...» Max s'interruppe, aspirò dal sigaro sottile ed esalò il fumo con aria pacifica. «... non al momento.» Claiborne era diviso tra irritazione e divertimento davanti all'insolenza di quell'uomo. Ma alla fine il secondo prevalse. Così scoppiò a ridere. «A volte, Vallerand, mi chiedo se debba considerarvi amico o nemico.» «Se fossi vostro nemico, signore, non avreste bisogno di chiedervelo.» «Parliamo dei vostri nemici, per un momento. Cos'è questa storia che mi hanno riferito i miei assistenti, a proposito di una rivalità tra voi ed Etienne Sagesse a causa di una donna? E le ridicole chiacchiere su un duello? Solo chiacchiere, voglio sperare.» «È tutto vero.» Sul volto del governatore si disegnò un' espressione di sincera sorpresa. «Non sarete così impulsivo da fare un duello per una donna, vero? Un uomo della vostra età» Max inarcò le sopracciglia. «Ho trentacinque anni, monsieur... non proprio decrepito. «No, no, ma...» Claiborne scosse la testa sgomento. «Anche se non vi conosco da molto tempo, Vallerand, vi considero un uomo assennato, non un giovinastro dal sangue caldo pronto a sacrificare tutto sull'onda della gelosia. Duellare per una donna? Vi avrei pensato al di sopra di una condotta del genere.» Le labbra di Max si curvarono divertite. «Sono un creolo. Se Dio vuole, non sarò mai al di sopra di una condotta del genere.» «Non ho speranza di riuscire a comprendere i creoli» ribatté Claiborne con uno sguardo corrucciato, pensando a suo cognato, recentemente ucciso in duello per avere difeso l'onore di sua sorella. «Con le vostre donne, i duelli, il caratteraccio ...» «Governatore, scoprirete che i duelli sono un aspetto inevitabile della vita a New Orleans. Un giorno anche voi potreste ritenere necessario difendere in questo modo il vostro onore.» «Mai!» Come tutti gli americani, Claiborne non capiva l'indignazione dei creoli al duello come risoluzione di questioni anche frivole e banali. L'arma preferita era il fioretto e l'arte della scherma era insegnata in un numero crescente di accademie. Il giardino dietro la cattedrale era il luogo più irrigato dal sangue di coloro che avevano sacrificato la vita per vendicare un affronto anche soltanto immaginato. A volte una parola mal pronunciata o la più piccola infrazione all'etichetta erano sufficienti a far scattare la sfida. «Per Dio» continuò Claiborne «mi siete troppo utile perché accetti che rischiate la vita per una sciocchezza del genere! Sapete che è imperativo che io eviti di inimicarmi la popolazione di questa città e, se l'odio dei creoli verso di me dovesse aumentare ...» «I creoli non vi odiano» lo interruppe Max con tono piatto. «No?» «A loro siete indifferente. Sono gli americani che vi odiano.» «Maledizione, lo so.» Il governatore gli rivolse un'occhiataccia. «Se Sagesse dovesse vincere, non potreste più aiutarmi.» Max gli rivolse un mezzo sorriso. «È uno scenario altamente improbabile. Comunque, anche qualora dovessi avere la peggio, la mia assenza non farà la differenza che immaginate.» «Invece sì, diavolo! In questo momento il colonnello Burr è a Natchez e progetta di istigare la Louisiana alla rivolta. Tra qualche settimana sarà qui in cerca di sostenitori. Per allora molto probabilmente voi sarete sepolto ai piedi di un albero, invece di spalleggiarmi contro questo traditore. E se Burr avrà successo, la vostra proprietà sarà confiscata, la ricchezza della vostra famiglia saccheggiata e il vostro sogno di vedere la Louisiana trasformata in uno Stato non si realizzerà mai. Gli occhi di Max brillarono maliziosi. «Già, nessuno sa saccheggiare e frugare tra i rifiuti come gli americani.» Claiborne ignoro la battuta. «Vallerand, quel duello non può essere così necessario.» «Lo è da dieci anni.» «Dieci anni? Perché?» «Devo andare. Sono certo che troverete sempre qualcuno disposto ad aiutarvi» disse Max, alzandosi e offrendo la mano per la veloce stretta formale che gli americani sembravano preferire all'usanza creola di baciarsi sulle guance. «Perché dovete andare di già?» gli chiese Claiborne. «Ho altre cose da discutere con voi.» «La voce della mia presenza si sarà ormai diffusa.» «Mi aspetto di ricevere una sfida addirittura sulla vostra soglia.» Max gli rivolse un breve inchino canzonatorio. «Al vostro servizio, governatore, come sempre.» «E se domani sarete morto?» Max sorrise malinconico «Provate a evocarmi dall' oltretomba.» E, in effetti, non appena Max raggiunse la soglia del malandato palazzo del governatore, fu avvicinato da un piccolo gruppo di uomini. L'aria vibrava di eccitazione. «Signori?» disse in tono pigro. «Posso esservi di aiuto?» Uno di loro si fece avanti con il respiro affannato e lo sguardo inchiodato al volto di Max. Con un gesto veloce, sferzò la guancia di Max con un guanto. «Vi sfido a nome di Etienne Gerard Sagesse» dichiarò. Max sorrise in un modo che fece venire i brividi a tutti i presenti. «Accetto.» «Volete nominare un padrino per definire i dettagli dell'incontro?» «Jacques Clement. Vi accorderete con lui.» Clement era un abile negoziatore che per due volte era riuscito a conciliare una disputa prima che si incrociassero le lame. Stavolta, tuttavia, Max era stato chiaro: non voleva alcuna negoziazione. Il duello sarebbe stato combattuto all'ultimo sangue, con i fioretti, sulla riva del lago Pontchartrain, dove avrebbero avuto più intimità e meno distrazioni. «E il dottore?» chiese il padrino di Sagesse. «Chi sceglierà ...» «Nominatelo voi» rispose Max con indifferenza, incurante di tutto tranne che del fatto che aveva finalmente la vendetta a portata di mano. Eccitati dalle voci che si diffondevano in città, Justin e Philippe si rincorrevano per la casa a piedi nudi, inscenando finti duelli con bastoni da passeggio, urtando tavoli, scrittoi e scaffali. Nessuno dci due nutriva il benché minimo dubbio sul fatto che il loro famigerato, terribile padre avrebbe avuto la meglio su Etienne Sagesse. Era il migliore in città, a prescindere dall'arma scelta, spada o pistola. Irénée, invece, si era ritirata nella propria stanza a pregare senza sosta per la salvezza del figlio, chiedendo perdono per la sua crudeltà e il suo empio desiderio di vendetta. Lysette sedeva in salotto, sconcertata e tesa, cercando di convincersi che non le importava cosa sarebbe accaduto a Maximilien Vallerand. Guardava fuori dalla finestra il cielo nebbioso che lasciava filtrare riflessi opalescenti. A New Orleans l'umidità nell'aria non veniva mai completamente dissolta dal sole, fenomeno che produceva i tramonti più belli che lei avesse mai visto. E, in tutto quel fermento, dov'era Maximilien? Prima era comparso, poi se n'era andato senza toccare la cena. Noeline aveva fatto un'allusione maliziosa alla possibilità che fosse andato a visitare la sua amante. E a quell'idea la mente di Lysette era come impazzita. La sua immaginazione incominciò a visualizzare Max abbracciato a una donna stupenda tra coltri di seta. Cosa le avrebbe detto, sapendo che avrebbe potuto morire il giorno dopo? Con quale furia disperata le avrebbe rubato un bacio, slacciato i vestiti, consapevole che poteva essere l'ultima volta? "Forse non avrò altre notti da passare insieme a te" le avrebbe sussurrato, "abbracciami... " E quando vide con gli occhi della mente la donna inarcarsi contro di lui, riversando la testa all'indietro nell'estasi del piacere, Lysette si accorse che aveva ì propri lineamenti... «Man Dieu» sussurro, premendosi le mani sulle tempie per scacciare quei folli pensieri. «Mademoiselle, perché così triste?» le chiese Philippe, con gli occhi blu brillanti di euforia. «Non siete orgogliosa che domani mon pèredifenderà in duello il vostro onore? «Orgogliosa?» ripeté lei. «Come potrei essere orgogliosa? E terribile.» «Ma è l'omaggio più grande che possa essere fatto a una donna. Pensate ... le lame che si scontrano, il sangue ... tutto per voi!» «Il duello non si farà per lei» disse Justin senza intonazione, fissandola con intensità implacabile. «Non è vero, Lysette?» «Sì» disse lei a mezza voce. «È così.» «Cosa?» Philippe sembrava confuso. «Ma certo che il duello è per voi. Lo dicono tutti!» «Idiota» mormorò Justin. Poi si sedette sul divano di fianco a Lysette, quasi leggendole nella mente. «Non perderà, vedrete. Non perde mai.» «Quanto accadrà a tuo padre non mi riguarda» ribatté lei con tutta la calma che riuscì a radunare. «Davvero? E allora perché aspettate il suo ritorno con tanta ansia?» «Non è così!» «Sì, invece. E potreste aspettare tutta notte. A volte non torna fino all'alba, Sapete con chi è, oui?» «No, e non voglio...» Lysette s'interruppe, e arrossì.» «Con chi?» Philippe s'intromise furioso. «Justin, non dirglielo!» «È con Mariame» la informò Justin, rivolgendo a Lysette un sorriso complice. «È la sua placée da anni. Ma ... non la ama.» Lysette ricacciò indietro a fatica altre domande. «Interessante» dichiarò gelida, ma Justin non si lasciò ingannare. «So che vorreste sapere di più» le disse ridacchiando «ma io non dirò altro.» Il graffio della penna sulla pergamena era l'unico suono che si udiva nella stanza. Etienne Sagesse era curvo sulla piccola scrivania. Presto il foglio fu ricoperto di parole, mentre lui diventava rosso per lo sforzo. Etienne asciugò con cautela la lettera, la piegò e la sigillò, poi la brandì come se si fosse trattato di un'arma sofisticata. Per un istante i suoi occhi turchesi furono attraversati da una gentilezza dimenticata, mentre davanti a lui danzavano antichi ricordi. «Etienne?» Sua sorella maggiore, Renée Sagesse Duboìs. entrò nella stanza. Era una donna notevole, di altezza Inusuale, ammirata per i modi riservati, rispettata per la cura con cui accudiva i suoi tre splendidi figli. Per anni aveva fatto da madre a Etienne, consapevole dei suoi difetti, chiudendo un occhio davanti alle sue numerose malefatte. «Cosa state facendo?» Per tutta risposta lui le mostrò la lettera. «Se le cose non dovessero andare come invece spero domani, voglio che facciate arrivare questo documento a Maximilien Vallerand.» «Perché? «chiese Renée aggrottando le sopracciglia. «Cosa c'è scritto?» «Solo Max deve saperlo.» Renée si avvicinò alla sua sedia e appoggiò la mano sullo schienale, «Perché dovete fare un duello per quella donna?» gli chiese, con un fervore appassionato che riservava a rarissime occasioni. «Per molte ragioni. Non ultima, perché Lysette Kersaint è l'unica donna che io abbia mai voluto sposare.» «Ma perché? Non è neanche bella!» «È la donna più desiderabile che abbia mai conosciuto. No... non scherzo. È vivace, intelligente, unica. Una preda per cui sarà ancora più delizioso uccidere Vallerand.» «Potrete convivere con voi stesso se muore?» Uno strano sorriso incurvò le labbra di Etienne. «Questo si vedrà. Ma sona sicuro che Max non potrà più convivere con se stesso, se dovesse vincere.» Posò la lettera sulla scrivania. «Non dimenticate la lettera. Quando la leggerà, riderò dalla tomba.» Gli occhi blu di Renée brillarono furiosi. «Non ho mai capito il vostro atteggiamento verso quell'uomo crudele e cinico. Maximilien Vallerand non vale un solo momento del vostro tempo, e voi insistete a rischiare la vita per soddisfare il suo bisogno di vendetta!» Etienne sembrò averla udita appena. «Ricordate com'era da ragazzo?» le domandò con tono assente. «Ricordate come tutti lo amavano? Anche voi.» Renée arrossì, ma era troppo schietta per negarlo, «Sì, certo che ricordo» rispose. «Ma non è più lo stesso uomo, Etienne. Il Vallerand con cui duellerete è un bruto per il quale non vale la pena dì provare alcun sentimento, né positivo, né negativo.» Il Pontchartrain era un lago poco profondo che tuttavia poteva diventare pericoloso. A volte un forte vento spazzava la sua superficie fino a creare onde abbastanza violente da rovesciare un battello e annegare nuotatori esperti. Quella mattina, tuttavia, l'acqua era uno specchio trasparente contro il pallido cielo dell'alba, Solo una brezza leggera accarezzava il lago vicino alla riva. Il duello si sarebbe svolto lontano dalla spiaggia, al confine di una foresta di pini dove il terreno era sgombro e piano. Mentre i padrini e il gruppetto di convenuti parlottavano con aria severa, Max ed Etienne si appartarono per una conversazione privata. I due uomini erano simili per altezza e corporatura, entrambi esperti e ben allenati nell'arte della scherma, anche se gli stravizi e l'eccessivo amore per l'alcol rischiavano di offuscare l'agilità di Sagesse. «Vallerand» gli disse sottovoce, con un sorriso sarcastico sul volto bello, ma volgare «avreste potuto trovare ottime scuse anni fa. Perché avete voluto usare la mia fidanzata per provocare il duello? È stato meschino sottrarmi un simile bocconcino.» «A me è sembrato perfettamente appropriato.» «No, non è uno scambio alla pari. Quando è capitata sotto le vostre grinfie, Lysette era casta e onesta e valeva molto di più di quella sgualdrina di vostra moglie.» Max inspirò profondamente. «Vi ucciderò.» «Come avete fatto con Corinne?» Il sorriso di Etienne sì trasformò in una smorfia. «Non ho mai avuto l'occasione di dirvi il sollievo che ho provato. Era una donna così fastidiosa ...» Gustò con estrema soddisfazione l'espressione sempre più scura sul volto dell'altro. «Attento» gli mormorò. «Se vi lasciate sopraffare dalle emozioni, finirete con l'avvantaggiarmi.» «Facciamola finita» sbottò Max con voce roca. Si scambiarono un ultimo sguardo, poi andarono a impugnare l'arma. Max faticò a scacciare le immagini dolorose che gli ronzavano ai margini della coscienza ... giornate estive ... ricordi d'infanzia ... un'infanzia in cui lui ed Etienne erano amici inseparabili. 5 Max si era spesso chiesto perché Sagesse fosse andato a letto con sua moglie, ma alla fine aveva dovuto concludere che era stato un evento inevitabile. Erano stati amici d'infanzia, avevano giurato di essere fratelli di sangue, tuttavia anche allora Etienne era stato il suo più grande rivale. Finché erano stati amici, Etienne aveva soffocato la gelosia che lo tormentava. Successivamente, però, una volta diventati uomini, la loro amicizia era stata inquinata da troppe divergenze d'opinione e da una competizione sempre più palese. Finché le loro vite avevano preso strade diverse. Quando Max aveva sposato Corinne Quérand, non c'era voluto molto perché l'idea di sedurla mettesseradici nella mente di Etienne. Ma il successo gli aveva tolto il gusto della relazione con Corinne. E ora che Max l'aveva ripagato con la stessa moneta, i conti dovevano essere regolati una volta per tutte. Lysette scese le scale dopo una notte insonne. La casa era ancora silenziosa: era troppo presto perché i gemelli fossero svegli. In quel silenzio il peso che lei aveva nel cuore era come amplificato e, nonostante non capisse perché le importasse tanto il destino di Maximilien Vallerand, non poteva fingere di non essere preoccupata. Arrivata in salotto, guardò dalla finestra e si accorse che era ormai l'alba. Forse in quello stesso momento Sagesse e Max stavano duellando e i loro fioretti si stavano scontrando sotto i raggi pallidi del sole nascente. «Ormai avranno finito» disse Irénée alle sue spalle, sedendosi al tavolo non ancora apparecchiato per la colazione. «Non è il primo duello di Maximilien. E non è il mio unico figlio ad aver impugnato la spada. Eppure il tormento è sempre lo stesso, Nessuno può comprendere il dolore di una madre quando la vita di suo figlio è in pericolo.» «Sono sicura che vincerà, madame.» «E se anche fosse? Il suo cuore reggerà sotto il peso della responsabilità della morte di Etienne? Forse sarebbe meglio che ... perdesse il duello ... piuttosto che sopportare una vita cosi amara.» «No» disse piano Lysette. I minuti passavano lentissimi. Di sicuro, se Max avesse trionfato a quest'ora avrebbe dovuto già essere di ritorno. Lysette cercò di fare conversazione, ma presto perse le parole e rimase a fissare la parete con una sensazione di gelo in tutte le membra. «Madame!» gridò in quel momento Noeline, affacciata sulla soglia. «Il figlio di Retta è corso qui per avvertirci che sta arrivando monsieur!» «Sta bene?» chiese Irénée con voce malferma. «Bene!» Dopo essere balzata in piedi con sorprendente prontezza, Irénée si affrettò verso l'entrata. Lysette la seguì con il cuore che le batteva selvaggiamente nel petto. Improvvisamente Max irruppe in casa spezzando la tensione. Aveva un'espressione dura e frustrata. Si richiuse con violenza la porta alle spalle e, dopo aver lanciato alle due donne uno sguardo torvo, si diresse a grandi passi verso la biblioteca. Irénée lo seguì, mentre inebetita Lysette restò nell'ingresso. «Max?» gemette piano Irénée. «Maximilien, cos'è successo?» Non ci fu risposta. «Avete vinto il duello?» insisté Irénée. «Etienne Sagesse è morto?» «No. Sagesse non è morto.» «Non capisco.» Lysette si avvicinò alla biblioteca e vide Max in piedi, intento a fissare le coste colorate dei volumi disposti su uno scaffale. «Non appena è iniziato il duello, ho subito avuto la meglio» disse quasi a se stesso. «Aveva i riflessi annebbiati. Non avrebbe potuto battere neanche un principiante.» Si guardò la mano destra come se avesse il fioretto ancora in pugno. «Un gioco da ragazzi ...» aggiunse con una smorfia. «L'ho colpito appena, giusto per fare uscire un po' di sangue. I padrini hanno chiesto se l'onore potesse considerarsi soddisfatto. Sagesse ha detto di no ... che l'onore imponeva di combattere fino alla morte. Io stavo per dirmi d'accordo, ma poi ...» Max sì voltò tenendosi la testa tra le mani. «Dio mio, non so cosa mi abbia preso. Volevo ucciderlo da tanto tempo. Sarebbe stato così facile. Dannatamente facile. «Vi siete fermato» disse Irénée incredula. «Non l'avete ucciso.» Max annuì con un'espressione perplessa. «Sono contenta» esclamò sua madre con tono vivace. «Avete fatto la cosa giusta, Max.» Vallerand emise un gemito di disgusto. «Devo bere.» Mentre si dirigeva verso il mobile delle bottiglie, si accorse di Lysette, immobile sulla soglia. I due si fissarono con un'intensità dolorosa. Lei non sapeva cosa dire. Era ovvio che nessuna parola avrebbe potuto calmarlo: Max era pieno di una rabbia antica a cui non era stato permesso di sfogarsi. Era chiaramente furioso per non essere stato capace di uccidere l'odiato nemico. Senza dubbio lo considerava un segno di debolezza. Lei, invece, non poteva non interpretare quel fatto come la prova inequivocabile di una sua istintiva convinzione: Vallerand non era un assassino. Non importava cosa credesse la gente di New Orleans. «Bene» mormorò. «Per il momento almeno, la questione è conclusa. Finalmente posso trasferirmi al convento delle Orsoline. E senza omicidi sulla coscienza ...» Vallerand la trafisse con uno sguardo che la fece rabbrividire. «Non andrete da nessuna parte.» «Avete un piano alternativo?» gli domandò in tono secco. «Ormai siete compromessa» ribatté lui. «Nessuno vi sposerebbe più. Siete merce avariata, come dicono i buoni cristiani di questa città.» «Sì, grazie a voi il matrimonio non è più un'opzione. Ma le suore mi accetteranno di buon grado. Quindi, se ora volete scusarmi, vado di sopra a preparare le mie poche cose. Potreste farmi l'ultima cortesia di chiamarmi una carrozza.» «Un'opzione rimane: voi sposerete me.» Anche se Lysette in fondo al cuore si aspettava qualcosa del genere, quel brusco annuncio le fece fermare il cuore. Era abbastanza sincera con se stessa da capire che, nonostante quell'uomo rude e famigerato fosse uno sconosciuto, le aveva proposto quello che anche lei desiderava nell'intimo. «Ah si?» si costrinse a ribattere con tutta l'indifferenza che riuscì a simulare. «E si può sapere come siete arrivato a un'idea tanto assurda?» «Mi serve una moglie.» «Solo perché avete tolto di mezzo la prima» sbottò lei, girando sui tacchi. Quando Max fu pronto a formulare una risposta, le gambe di Lysette l'avevano già portata in cima alle scale, verso la confortevole sicurezza della sua stanza. Allora lui si rivolse alla madre con un sorriso ironico. «Maman, non avreste dovuto riferire alla mia fidanzata che ho ucciso la mia prima moglie. Non depone a favore del mio fascino. «Pensate di riuscire a convincerla, Max?» «Cominciate a organizzare il matrimonio: sì terrà tra una settimana.» «Una settimana? Ma come potrei riuscire a preparare ... No, no, non si può.» «Un matrimonio sobrio, tra intimi. Vi conosco,maman. Se voleste, potreste organizzarlo in un quarto d'ora.» «Ma questa fretta ... ?» «È necessaria. La reputazione della mia fidanzata non può sostenere un indugio ulteriore.» «Aspettiamo almeno Alexandre e Bernard, Di sicuro i vostri fratelli vorranno essere presenti alle vostre nozze, Max!» «Le mie nozze saranno commoventi anche senza dì loro» dichiarò lui con una smorfia sarcastica. «Ora. se volete scusarmi, devo scambiare due parole in privato con Lysette.» Fece una pausa significativa. «Assicuratevi che nessuno ci disturbi.» L'inappropriatezza del suo intento non passò inosservata. «Max, non vi fermerete troppo a lungo con lei da solo, vero?» «Forse sarò costretto. Dopo le vostre confidenze potrebbero essere necessarie misure d'emergenza per convincerla a sposarmi.» «Che tipo di misure?» Le labbra di Max furono attraversate da un sorriso diabolico. «Non fate domande maman, se non volete conoscere le risposte.» Lysette si appoggiò contro il letto, fissando ansiosa la porta. Vide muoversi la maniglia, ma la chiave era girata. «Lysette, aprite questa dannata porta.» «Come prima cosa, non vi ho mai dato il permesso di chiamarmi per nome» ribatté lei. «Secondariamente, dubito che un linguaggio sconcio possa rendere più invitante la vostra proposta di matrimonio.» La porta tremò con maggior vigore, tra un cigolio di cardini. «Mademoiselle Kersaint, non ho alcun desiderio di abbattere un uscio che io stesso dovrei riparare. Quindi apritemi o ...» Lei girò la chiave lentamente. «Entrate.» Tornò verso il letto e incrociò le braccia. «Non vedo l'ora di sentire perché dovrei accettare la vostra proposta.» Vallerand entrò nella stanza e richiuse la porta con un calcio. Il suo sguardo velato era puntato alletto dietro di lei. Lysette poteva quasi avvertire la forza del suo desiderio. A dire il vero, si stava divertendo un mondo ad affrontare quell'uomo grande, grosso ed eccitato che aveva davanti. Ah si? Davvero pensava che sarebbe bastata una proposta di nozze e lei gli sarebbe svenuta, traboccante di gratitudine, tra le braccia? No. Se doveva accettare ... ed era ancora un se ... Max doveva convincerla di valere il rischio dell'impresa. «Mademoiselle ...» «Adesso potete chiamarmi per nome» «Lysette.» Max emise un sospiro teso. «Non ho ucciso mia moglie» dichiarò esplicitamente. Nel suo tono non c'era alcuna traccia di umiltà, ma il velo di sudore sulla fronte tradiva la sua agitazione, e il cuore di Lysette si raddolcì. «Corinne era già morta quando l'ho trovata. Non so chi sia stato. Dapprincipio ho pensato che fosse stato Sagesse, ma molti testimoni l'hanno visto altrove quella notte. So che tutti gli indizi mi accusano. Se neanche mia madre mi ritiene innocente, non posso pretendere che mi crediate voi, ma vi giuro ...» «Io vi credo» lo interruppe calma Lysette. Max si ricompose in fretta, ma non prima che lei potesse notare la sua espressione meravigliata. O l'accenno di tremito che l'aveva percorso. «È chiaro che non siete un assassino» continuò lei, dandogli il tempo di digerire la notizia. «Stamattina non siete riuscito nemmeno a uccidere Etienne Sagesse in un duello regolare. Nonostante tutti i vostri atteggiamenti credo che siate sostanzialmente innocuo. Ma non è abbastanza per sposarvi.» «Innocuo?» ripeté lui alzando la testa di scatto. La sua espressione si fece scura e corrucciata. «Innocuo, ma inaffidabile» aggiunse lei. «Dal giorno in cui ci siamo incontrati mi avete manipolata e raccontato bugie.» «Le circostanze erano inusuali.» «Sono delle scuse? Perché non suonano tali.» «Mi scuso» disse lui tra i denti, avvicinandosi. «Molto bene.» Lysette lo squadrò da capo a piedi, esaminando il suo aspetto scomposto. «Visto che per natura sono ottimista, accetterò l'idea che non sia il vostro comportamento usuale. Ma ora, di grazia, spiegatemi perché dovrei volervi sposare.» Max la fissò a lungo, iniziando a capire che con lei la prepotenza non avrebbe funzionato. Perciò strinse gli occhi e decise di contrattare. «Sono un uomo ricco. Potrei soddisfare qualsiasi vostro desiderio.» Era tipica di un uomo la convinzione che la ricchezza potesse risolvere tutto. Lysette non reagì a quella frase. «Che altro?» gli chiese. Lui si avvicinò con la cautela di un predatore affamato. «Saprei prendermi cura di voi. Lo sapete già.» Il ricordo di come l'aveva assistita durante la malattia addolcì Lysette, che però fu attenta a non mostrarlo. «E cosa dite della nostra differenza di età?» «Differenza di età?» Il suo orgoglio maschile ne fu evidentemente toccato. Lei represse un sorriso. «Tra noi ci sono almeno quindici anni.» «E allora?» «Bisogna prevedere contrasti» insistette lei «per una coppia con così tanti anni di differenza.» «Au contraire. Posso garantirvi che sarei molto più accomodante di un marito della vostra dà. Se mi sposate, vi permetterò la massima libertà.» Quello era un argomento forte, ma Lysette mantenne un'espressione neutra. «C'è altro che dovrei prendere in considerazione?» Lui l'afferrò con lo scatto di una pantera. «Questo» mormorò prendendola tra le braccia. Lei restò senza fiato, troppo sorpresa per muoversi. Le bollenti labbra di Max premevano sulle sue con delicata insistenza. Lysette tentò debolmente di allontanarlo, ma lui le afferrò i polsi e se li mise intorno al collo. Il suo profumo, dolce, oscuro e virile, era inebriante come un liquore. Travolta dall'eccitazione, lei si abbandonò contro il suo corpo potente. Lui le leccò il labbro inferiore dolcemente, una carezza di velluto che le incendiò i sensi. «Apri la bocca» le sussurrò, tenendole il capo tra le mani. «Aprila per me, Lysette, sì, sì ...» Come dotate di volontà propria, le sue labbra si socchiusero e la lingua di Max le scivolò oltre i denti, esplorandola con avidità. Lei gemette. Baciarlo era un'esperienza molto più potente di quanto avesse mai potuto immaginare ... un'esperienza totalmente nuova e incontrollabile. Poi Max le afferrò i fianchi e iniziò a ondeggiare i lombi, strofinando la sua inequivocabile erezione contro la parte più vulnerabile di Lysette. Lei restò senza fiato al calore crescente che provava: non resisteva più, avrebbe voluto strapparsi tutti i vestiti, fino a restare nuda contro di lui. Stava diventando troppo pericoloso ... Consapevole di essere sul punto di perdere qualsiasi autocontrollo, Lysette staccò la bocca da quella di Max e inspirò una profonda boccata d'aria. Lui le accarezzò il collo con le labbra, leccando e stuzzicando i punti più sensibili. Mormorò qualcosa in inglese e francese, sensuali suppliche che la eccitarono, folli promesse che la meravigliarono. «Max ...» gli disse senza fiato «non sono sicura che l'attrazione fisica sia un motivo sufficiente per sposarsi.» «Per me sì» ringhiò lui, tornando a schiacciare la bocca sulla sua. Dio, quel sapore era una droga. Lei era costretta a rispondere ai cenni languidi della sua lingua. La mano libera di Max la percorse lungo tutto il corpo, risalendo verso la curva del seno. Il calore di quella mano attraversò il cotone, mentre il pollice si muoveva in cerchi sempre più piccoli fino a raggiungere il capezzolo, squisitamente turgido. Quando lo strofinò, lei sentì una fitta di piacere nelle profondità del ventre. Gli affondò le unghie nella schiena possente e si schiacciò a lui. Un gemito scosse il petto di Max, che improvvisamente la prese in braccio e la trasportò a letto. Nei pochi passi che gli ci vollero per raggiungerlo, Lysette si rese conto di cosa stesse accadendo. Anche se il suo corpo bramava arrendersi a lui, n e subito, la mente le ricordò le ragioni per cui era ancora troppo presto. Così, non appena venne posata sul letto, Lysette rotolò da un lato e si mise a sedere. Tese una mano e disse senza fiato: «No, non fatelo.» Retrospettivamente era incredibile che quelle semplici parole avessero il potere di fermarlo: Max la stava divorando con gli occhi, come se stesse morendo di fame, e il suo corpo era chiaramente pronto alla conquista. A ogni modo lui si fermò, inspirò profondamente, lottando per recuperare il controllo di se stesso. «Se dovessi accettare la vostra proposta …» Lysette s'interruppe per riprendere fiato. «Avrei bisogno di un po' di tempo per potermi abituare a voi, prima di lasciarvi entrare nel mio letto. Dopotutto siamo ancora degli sconosciuti.» Gli occhi di Max brillarono di soddisfazione: era evidente che il patto era stato ormai stipulato e che in quel momento stavano solo contrattando sui dettagli. «Dal mio punto di vista, petite, siamo già conoscenti intimi.» Lysette sapeva a cosa si riferiva. «La malattia non conta, dato che per la maggior parte del tempo ero priva di conoscenza.» «Molto bene. Vi concederò un po' di tempo prima di entrare nel vostro letto. Comunque, mi riservo il diritto di provare a farvi cambiare idea ...» E si stava già allungando verso di lei, quando Lysette si ritrasse agilmente. «Devo anche chiarire che per natura non sono una donna obbediente.» Le labbra di Max si curvarono in un improvviso sorriso. «Questo lo so dall'inizio. In compenso, lasciatemi chiarire che io sono un uomo la cui pazienza ha un limite. Non mettetela alla prova troppo spesso,d'accord?» «D'accord» annuì lei. Poi abbassando improvvisamente lo sguardo, disse con il tono più diffidente possibile: «E se dovessi darvi un figlio ... vi dispiacerebbe?» «Per niente» rispose Max roco, guardandole avido il ventre. «Ma forse vi converrebbe aspettare un anno. State già affrontando numerosi cambiamenti nella vostra vita.» «Non avrò comunque voce in capitolo, quando cominceremo a dormire insieme» commentò Lysette, aggrottando le sopracciglia. «È Dio che decide queste cose.» Per qualche motivo Max sembrava divertito. «Ecco finalmente una cosa che non sapete» la canzonò con delicatezza. «Ci sono metodi per prevenire la gravidanza. Quali?» «Non ha importanza, per ora. Quando mi inviterete nel vostro letto, vi illuminerò.» Quell'uomo era così selvaggio e bello, con i capelli scuri che gli ricadevano sulla fronte e il sorriso che gli fremeva sulle labbra, che Lysette fu attraversata da una profonda fitta di piacere. Poteva a stento credere che quell'esemplare magnifico sarebbe stato suo. Nessun'altra lo avrebbe preso tra le braccia o avuto nel letto. E lei aveva intenzione di incantarlo così totalmente che nessun pensiero di sgattaiolare via da lei gli avrebbe mai attraversato la mente. Naturalmente, sapeva benissimo che lui non aveva intenzione di innamorarsi di lei: voleva solo godersi il suo corpo e dirigere la sua vita senza mettere in pericolo il proprio cuore. I piani di Lysette, comunque, erano molto diversi. «Perché sorridete così?» le chiese lui, con aria languida. Lei disse la verità. «Sto pensando, Max, che fra non molto vi terrò legato al dito.» Quella frase lo fece ridere. «Lysette» rispose lui a mezza voce «fra non molto sarò legato a tutto il vostro corpo.» Il clan dei Vallerand. per non parlare dell'intera New Orleans, reagì con scandalo deliziato alla notizia del matrimonio di Maximilien. Sempre affascinati dai corteggiamenti e dai matrimoni, i creoli avevano già iniziato da tempo a fare predizioni sul destino della fanciulla ribelle. Alcuni dicevano che il matrimonio era impossibile, mentre altri sostenevano che, secondo una fonte affidabile, la ragazza era giàenceinte. Una cosa era certa: se fosse nato un bambino, ci sarebbero stati ferventi calcoli sui giorni per determinare quando fosse stato concepito. In ogni salotto creolo si incominciò ad analizzare la genealogia di Lysette. Nel suo lignaggio si potevano trovare ben poche macchie, ma ciò non riusciva a placare i pettegolezzi. Dopotutto, al matrimonio non avrebbe partecipato nessun parente della sposa. I genitori mostravano il caso di Lysette alle figlie come esempio dei rischi che correvano tutte le ragazze disobbedienti. A causa della situazione, le nozze non si sarebbero tenute nella cattedrale di St Louis, ma ci si sarebbe limitati a una cerimonia religiosa breve e intima. Tuttavia, a questa sarebbe seguito un grande banchetto nella piantagione dei Vallerand e tutti a New Orleans pregavano di essere invitati, nonostante lo scandalo. Tutti sapevano che la musica, il cibo e il vino avrebbero reso quell'evento indimenticabile per anni. Da sempre l'ospitalità dei Vallerand era nota come una delle più raffinate della regione. E, infatti, grazie alle disperate suppliche di Irénée un famoso pasticciere francese rientrò temporaneamente dalla pensione per preparare una torta esclusiva. Il matrimonio venne fissato per un lunedì, non una cattiva scelta, anche se al momento il martedì era il giorno più di moda. Inoltre era considerato volgare sposarsi di sabato o di venerdì, giorni in cui, di solito, si tenevano le esecuzioni. Per tutto il tempo precedente il giorno fatidico, Lysette fu tenuta in isolamento e ovviamente si sollevò una marea di domande sul suo aspetto. Le attese erano alte, perché doveva per forza trattarsi di una bellezza straordinaria. Vraiment, quale altra donna avrebbe potuto convincere Maximilien Vallerand a risposarsi dopo tutti quegli anni? 6 Irénée attraversò il doppio salone sorridendo, conscia che gli invitati non avrebbero trovato il minimo difetto nella sua casa, né un'impronta sui bicchieri, né un fiore avvizzito. La casa era traboccante di mazzi e ghirlande di rose; gli argenti e i cristalli erano stati tirati a lucido. La torta nuziale era una splendida torre adornata di fiori di zucchero colorati modellati con tale maestria che era impossibile distinguerli da quelli veri. Ormai, in quelle ore che precedevano il matrimonio, c'era poco di cui preoccuparsi. Il sorriso di Irénée svanì quando udì un rumore nell'ingresso. Certa che si trattasse dei gemelli intenti in qualche guaio, accorse con parole di rimprovero sulle labbra. «Justin! Philippe! Pas de ce charabiat Pas de ce ...Ma si fermò senza fiato vedendo sulla soglia le alte sagome dei suoi due figli più giovani. Alexandre e Bernard erano tornati a casa. «Figli miei» esclamò incredula «cosa fate qua?» I due uomini alti e dai capelli scuri si guardarono l'un l'altro incuriositi, poi tornarono a fissare Irénée. «Avevo l'impressione che vivessimo qui, maman» rispose Alexandre, con fare dubbioso. «Sì, ma ... siete tornati prima di quanto mi aspettassi.» «Abbiamo pensato di avere esplorato la Francia abbastanza» rispose secco Bernard. «Le figlie dì Fontaine, maman ... Bon Dìeu,abbiamo cavalli più attraenti della più bella del gruppo. «Bernard, siete crudele! Sono sicura che esagerate.» Alexandre si guardò intorno, fissando la casa piena di fiori. «Ma qui cosa sta succedendo?» domandò sconcertato. «È morto qualcuno?» Mentre Lysette era al piano di sopra a farsi sistemare ì capelli i Vallerand si ritrovarono nel salotto per una riunione di famiglia. Impolverati, stanchi e in disordine per il lungo viaggio, Alexandre e Bernard fissavano increduli la madre e il fratello maggiore. «Vi ... sposate?» proruppe Alexandre ridacchiando, mentre Max lo ripagava con un'occhiataccia. «Di tutto quello che mi sarei aspettato al ritorno ...» Per qualche ragione la vista del fratello maggiore splendidamente vestito per il matrimonio solleticava la fantasia di Alex. Era sempre stato il più irriverente dei figli di Irénée. «Bien sur, siete stato finalmente accalappiato!» Rise fino a strozzarsi, costringendo anche il più sobrio Bernard a sciogliersi in un sorriso. «Non riesco a capire cosa ci sia di così divertente» disse Max corrucciato. A quel punto Alexandre era quasi caduto a terra. «Vorrei proprio sapere che tipo di donna è riuscita a trascinarvi all'altare! Un'amazzone armata di mazza chiodata?» Bernard guardò Max con sguardo più serio. «Chi è? Nessuna che conosciamo, immagino. Non hai mai concesso un secondo sguardo a nessuna delle giovani dei dintorni.» Irénée rispose al posto dell'interessato. «Lysette è una ragazza di Natchez e proviene da un'eccellente famiglia. Te souviens de Jeanne Magnier? Max sposerà sua figlia.» «Una Magnier?» ripeté Bernard, fissando Max pensieroso. «Una schiatta di donne attraenti, per quanto ricordo. Scommetto che non avete avuto bisogno di usare la mazza.» Max li sorprese sorridendo. «Ha molte virtù, tra cui la bellezza.» «Dev'essere veramente notevole per indurvi a rischiare di nuovo la vita coniugale» osservò Bernard. Restarono tutti in silenzio per un momento, ricordando la precedente, infelice, esperienza. Fortunatamente Irénée ruppe quel maligno incantesimo affrettandosi a osservare: «Lysette renderà Max molto felice, vedrete. Finalmente ci siamo lasciati il passato alle spalle. La mano di Lysette tremava così tanto che Max riuscì a malapena a infilarle la fede. Sebbene desiderassero entrambi sposarsi, la cerimonia non fu particolarmente gioiosa. Max era teso, aveva un'espressione scura e le dita stranamente fredde. Lysette non aveva dubbi: stava rivivendo il trauma delle prime nozze e probabilmente in quel momento temeva che le seconde si rivelassero lo stesso inferno. Da parte sua, Lysette lottava per superare i propri dubbi. Le parole che pronunciava l'avrebbero legata per sempre all'uomo che aveva di fianco. Da un punto di vista legale, Maximilien Vallerand avrebbe avuto il diritto di punirla, abusare di lei o assoggettarla a ogni suo capriccio, per quanto irrazionale. Nella cultura creola, il marito possedeva sulla sposa diritto di vita e di morte. Poteva soltanto sperare di averlo giudicato correttamente. Forse era una pazza ad acconsentire a diventare di proprietà di un uomo che conosceva così poco. A ogni modo, ricordò a se stessa con senso pratico, quasi tutti i coniugi erano virtualmente degli sconosciuti, dato che le unioni erano decise dai genitori, i quali raramente si disturbavano a chiedere il consenso delle ragazze coinvolte. Mentre l'incenso spargeva il proprio aroma dolce e pungente nell'arta, Lysette si inginocchiò davanti al sacerdote, pregando che Dio benedicesse quel matrimonio. Quando ebbe finito, diede le mani a Max e gli permise dì aiutarla ad alzarsi. Anche se la cerimonia era stata sobria, al banchetto nuziale parteciparono più invitati di quanti Lysette potesse contarne. Per un po' perse addirittura di vista Max, che venne fagocitato da una valanga di parenti. Lysette restò al fianco di Irénée, cercando di ignorare i frammenti di pettegolezzi che le giungevano alle orecchie. «Non è bella come mi sarei aspettata ...» «Non sembra ... rovinata, maman.» «Quei capelli...» «Presto lui sgattaiolerà da un'altra ...» «... Ah, non vorrei essere al suo posto per nessun tesoro al mondo! Fortunatamente Irénée la spinse verso il buffet dove torreggiava la grande torta nuziale. «È ora di tagliare la torta, Lysette.» Immediatamente le ragazze nubili si riunirono intorno al tavolo. Secondo la tradizione ogni ragazza doveva ricevere una fetta da portare a casa e mettere sotto al cuscino assieme ai nomi di tre possibili candidati, uno dei quali avrebbe finito con il dichiararsi. Mentre brandiva il coltello chiedendosi da dove cominciare, Lysette si rese improvvisamente conto che Max era di nuovo al suo fianco. Risolini eccitati provennero dal gruppo delle ragazze, quando lui le appoggiò la mano sulla schiena e le sussurrò all'orecchio: «Posso aiutarvi?» Lysette lo guardò con un mezzo sorriso. Sollevata, vide che la tensione sul volto di suo marito era svanita e che la sua espressione era rilassata e dolce. «Grazie» gli rispose, tornando a concentrarsi sulla torta. «Non credo che questo coltello sarà sufficiente ... non avete un'accetta?» Lui ridacchiò. «Una torta notevole, non è vero?» La grande mano di Max si chiuse su quella di Lysette e la guidò nel taglio. Lei avvertì il calore tra i loro corpi e la carezza del respiro di Max sul collo mentre lui si chinava in avanti. «Mi state sbirciando dentro la scollatura, non è vero?» Lo riprese dolcemente, posando il coltello ricoperto di glassa. «No di certo. Vi sto aiutando con la torta!» Lei sentì nel petto un brivido di divertimento. «Bugiardo.» Lui sorrise baciandola sui capelli. «Visto che intendete privarmi della mia prima notte di nozze, dovreste almeno concedermi una sbirciatina. Senza contare che, se non volevate che io guardassi, non avreste dovuto indossare un abito come questo.» «Ho scelto un abito scollato per distogliere l'attenzione dai capelli» rispose lei in tono contrariato. «Sfortunatamente sembra che non abbia funzionato ... parlano tutti comunque dei miei capelli.» Max le sfiorò il mento con le dita e le voltò delicatamente il viso verso il suo. Sotto gli sguardi di tutti le rimise a posto una ciocca sfuggita all'acconciatura. L'umidità aveva reso i suoi capelli ancora più voluminosi del solito e in quel momento Lysette pareva circondata da un'aureola fiammeggiante. «I capelli sono una delle cose che più mi piacciono di voi.» Chinandosi ancora dì più, le sfiorò l'orecchio con le labbra. «Eppure» sussurrò «non riesco a fare a meno di guardarvi il seno.» Lei gli diede una spinta ridendo. Per tutta risposta Max le prese la mano, se la portò alla bocca e la leccò sul pollice, nel punto in cui era rimasta una briciola di glassa. Una sensazione violenta strappò a Lysette un gemito dal profondo. «Siete proprio un ragazzo cattivo» esclamò, arrossendo, «Lasciatemi entrare stanotte e vi mostrerò quanto abbiate ragione.» «No» rispose lei con un sorriso provocante. «Rispetterete il nostro patto, Mi sente più tempo,» «Mi dispiace sentirlo.» Lui le rivolse un breve sorriso e le lasciò andare la mano. Poi iniziarono le danze e presto arrivò il momento in cui la sposa doveva essere accompagnata nella camera nuziale. La consuetudine voleva che la madre l'aiutasse a indossare la camicia da notte e le spiegasse cosa sarebbe accaduto di lì a poco nel letto coniugale. «Dato che non c'è vostra madre, Lysette» le disse Irénée con un affettuoso sorriso «vi accompagnerò io di sopra. Per me sarà un onore sostituirla in questo incarico.» Ma Max prese la moglie per mano e rispose: «Non c'è bisogno che abbandoniate gli ospiti,maman. Faccio io» Irénée lo guardò contrariata. «Max, sapete benissimo di dover aspettare qui. È la tradizione. «Stasera intendo rompere le tradizioni» ribatté lui. Lysette lo fissò con sguardo perplesso, ma non disse niente. Irénée si impose di sorridere, consapevole che gli ospiti li stavano osservando. «Mon fils, cosa penseranno tutti vedendovi sparire con Lysette?» «Penseranno quello che vogliono. Come sempre.» «Maximilien» insisté lei «cercherò di essere il più chiara possibile: Lysette non è preparata a quello che succederà stanotte. Non le ho ancora spiegatoniente. Max sorrise appena. «Se Lysette ha qualche dubbio, sarò felice di darle ogni spiegazione. Vieni, tesoro.» «Maximilien è un'indecenza!» Ignorando le proteste di sua madre, Max accompagnò Lysette fuori dal salone tra le reazioni eccitate e scandalizzate dei presenti. Che la sposa e lo sposo lasciassero la festa nuziale insieme era un atto di cattivo gusto, poiché tutti gli ospiti sapevano dove stessero andando e, soprattutto, cosa a breve sarebbe accaduto tra loro. Per niente turbato, comunque, Alexandre li fermò sulla porta, prendendo Lysette per le spalle e baciandola calorosamente sulle guance. «Siete un graditissimo acquisto, sorellina. Max deve ritenersi fortunato che non vi abbia incontrato prima io.» Lysette scoppiò a ridere davanti a quel complimento audace, mentre Max la tirava via dalla presa del fratello con un'espressione di scura gelosia. La tenne per mano anche mentre salivano le scale. Nessuno dei due parlò finché non ebbero raggiunto la camera nuziale. «Adesso» disse Lysette con un sorriso enigmatico «dovete dirmi perché non avete permesso a vostra madre di accompagnarmi. Ero ansiosa di ascoltare le sue spiegazioni su quanto accade tra moglie e marito.» Max chiuse la porta e si sciolse la cravatta inamidata. «Proprio ciò che volevo evitare. A prescindere dal fatto che mi permettiate o no di fare l'amore con voi,doucine, non voglio che riceviate informazioni sbagliate.» «Dopo aver avuto tre figli penso che tua madre debba sapere qualcosa.» «Purtroppo, però, pensa che i rapporti sessuali servano solo alla procreazione» rispose lui con tono schietto. «È cattolica.» «Anche voi.» «Sì, ma io sono un cattivo cattolico.» Lysette rise. «Molto bene. Potete educarmi come desiderate. Ma ricordate la vostra promessa.» «Naturalmente.» Lui si tolse la giacca lentamente. I loro sguardi si intrecciarono, intimi, e Il silenzio si caricò di tensione. Lysette sentì il cuore battere selvaggiamente davanti a quell'uomo che ora era suo marito. Un uomo che poteva farle qualsiasi cosa e nessuno avrebbe interferito. Rivolgendogli uno sguardo deliberatamente incurante, giocherellò con il pizzo color champagne che ornava le maniche dell'abito acquamarina. Dopo aver appoggiato giacca e cravatta su una poltrona vicino al camino, Max la guardò con intensi occhi scuri. «Sapete cosa accade nel letto coniugale. Lysette?» «Certo. Ho una sorella sposata, ricordate? È impossibile non ascoltare dettagli qua e là.» «Ditemi cosa sapete, allora.» Lei assunse un'espressione falsamente preoccupata. «Oh, è passato così tanto tempo che avete dimenticato cosa si fa, Max?» Lui ridacchiò per la sfacciataggine di sua moglie. «No. È solo che voglio sentire la vostra versione, e, se necessario, apportare qualche correzione.» «Molto bene, io ...» Lysette si irrigidì, quando lo vide avanzare verso di lei. Max la prese per le spalle e la fece girare. La carezza delle sue dita che le slacciavano ì bottoni sulla schiena le tolse il respiro. Un nodo alla gola le rendeva difficile parlare. «Cosa state facendo, Max?» «Vi metto a vostro agio.» «Sono perfettamente a mio agio così, grazie.» Lo stomaco di Lysette si contrasse, mentre le dita di lui si muovevano con abilità lungo la sua spina dorsale. «Max, avete promesso ...» «Ho promesso di non fare l'amore con voi» la corresse lui, accarezzandole la nuca con il respiro. «Ma non mi avete mai proibito di guardarvi.» «Ho pensato che fosse stato sufficiente avermi vista nuda per quasi tre settimane.» «Dato che per la maggior parte del tempo eravate priva di sensi, quello non conta.» Quando ebbe slacciato tutta la fila dei bottoni, Max si chinò per affondare il viso nei suoi ricci. Il corpetto scivolò. Max era così vicino che lei poteva sentire il calore e il peso del suo corpo, la seducente fragranza della sua pelle, una leggera traccia di rum e la secca nota di amido della camicia. Ma lui non la toccò. Inspirando profondamente Lysette si staccò da lui e si diresse verso il cassettone dov'era stata riposta la sua biancheria da letto, dato che, come la maggior parte delle coppie creole, avevano deciso di dormire in camere separate. «La relazione coniugale sembra semplice» disse, prendendo una camicia da notte dal cassetto. Quando si raddrizzò, vide l'immagine di Max riflessa dallo specchio: si era tolto le scarpe e ora sedeva sul letto a gambe larghe. Allora, si concentrò sulla camicia da notte che aveva in mano e iniziò: «Marito e moglie si abbracciano e si baciano. fino a quando lui si eccita. Poi lui mette la sua ... la sua ... la sua parte maschile dentro di lei. All'inizio è doloroso. Dopo la prima volta non è più così spiacevole, ma è un obbligo a cui la moglie non può sottrarsi spesso. A meno che non abbia il ciclo o qualche altra indisposizione ...» «Non può sottrarsi ... ripeté Max con una voce strana. Lysette decise di correre il rischio e di guardarlo. Sul suo volto vide una comica mescolanza di divertimento e costernazione. «Be', sì. Non capisco come una donna possa davvero desiderare che un uomo le faccia quello. Mia sorella Jacqueline dice che è piuttosto spiacevole.» «Vostra sorella ama suo marito?» «Non credo. È stato un matrimonio combinato e non sono adatti l'uno all'altra. Inoltre ... lui è più vecchio di lei.» «Quanti anni ha?» «Circa centocinquanta» disse Lysette, accigliata. Max scoppiò a ridere. «E voi eravate preoccupata della nostra differenza di età?» Lysette scrollò le spalle, non potendo fare a meno di confrontare il decrepito marito della sorella con l'essere affascinante e virile che aveva davanti. «A dire il vero no» disse sorridendo. «Cercavo solo di provocarvi,» «E ci siete riuscita» ribatté lui continuando a ridere. Con l'abito ancora appallottolato tra i pugni, Lysette cercò di escogitare un modo per cambiarsi salvaguardando il pudore, ma non sembrava possibile. "Inoltre, dopo la malattia, il mio corpo non ha segreti per lui" pensò con una smorfia ironica. Perciò smise di pensare, si sfilò l'abito da sposa e il sotto abito, si slacciò le giarrettiere e srotolò le calze. Poi infilò la camicia da notte. Per l'intero processo non ci volle che un minuto, per tutta la durata del quale, tuttavia, avvertì gli occhi bramosi del marito su dì sé. Quando ricambiò lo sguardo, si sentì avvampare. «Siete molto bella» disse Max con voce roca. Lysette sapeva dì non essere niente d'eccezionale, ma il modo in cui lui la guardava la convinceva che Max pensasse il contrario. E su quell'argomento non aveva alcuna intenzione di contraddirlo. «Merci» mormorò. Si avvicinò con cautela alletto e restò in piedi di fianco a lui, inarcando le sopracciglia in attesa. «Allora, avete trovato accurata la mia descrizione dei rapporti coniugali o volete correggere qualcosa?» Max allungò un braccio e la tirò a sedere accanto a sé, dove lei si sistemò con le gambe rannicchiate. «Ci sono alcune cose che vorrei chiarire» le disse accarezzandole i capelli. Trovò le forcine che sostenevano l'acconciatura, con grande delicatezza le sciolse i capelli e affondò la mano in quella massa selvaggia. «Prima di tutto» proseguì «non si tratta di un obbligo che può essere evitato solo in caso di malattia o mestruazioni. Potete rifiutarmi quando volete senza dovermi dare spiegazioni. Il corpo è vostro e potete concederlo o negarlo a piacere. Non trovo gradevole l'idea di violentare una compagna non consenziente ... il che ci porta al secondo punto. Ci sono cose che un uomo può fare per rendere l'atto sessuale piacevole, Dopo la prima volta, non deve necessariamente essere doloroso o umiliante» Lysette, immobile, si lasciava cullare dalle carezze tra i capelli. «Max ...» iniziò, anche se le guance si infiammavano per l'imbarazzo «quando l'altro giorno ci siamo baciati … mi sono accorta che ... cioè, ho sentito la vostra ... e non credo ...» «Sì?» la Incoraggiò lui con l'aria dì un gatto che giocasse con un topolino. «Non è possibile che riusciate a renderlo piacevole» concluse lei d'un fiato. Fortunatamente lui non rise, ma anzi rispose in tono serissimo. «Lysette ...» Le strofinò il viso sui capelli, poi le sussurrò all'orecchio: «Penso che il vostro corpo imparerà ad adattarsi al mio. Fidatevi di me, d'accord?» «D'accord.» Con grande sorpresa di Lysette, lui si alzò dal letto. «Adesso devo lasciarvi, petite.» «Ma io ho ancora qualche domanda ...» «Purtroppo, il mio autocontrollo è limitato.» Lui scese con la mano sulla caviglia nuda di lei e la strinse delicatamente. «Lasciatemi andare, tesoro, altrimenti non potrò mantenere la mia promessa. Più tardi parleremo ancora, garantito.» «Non potete restare un altro po'?» chiese lei, allungandosi per sfiorargli il petto. Sentì il guizzo dei muscoli sotto la camicia: la loro tensione tradiva il desiderio, anche se tenuto rigidamente sotto controllo. La luce soffusa delle veilleuses, le piccole lampade appoggiate sul cassettone e sui comodini, gli accarezzavano delicatamente la linea forte delle mascelle e degli zigomi. Trasalendo lui le allontanò la mano. «Non se volete restare vergine stanotte» rispose con voce roca. Improvvisamente Lysette fu tentata dì invitarlo a rimanere. Tuttavia non poteva permettere a un impulso di interferire con la propria decisione: doveva fare l'amore con lui solo quando fosse stata certa che fosse davvero innamorato ... o che almeno provasse un sentimento di qualche tipo. E in quel momento l'attrazione non era ancora maturata in qualcosa di più profondo, cosa che avrebbe potuto accadere solo con il tempo. «Allora buonanotte» lo congedò, allungandosi per posargli un leggero bacio sulle labbra. Max scosse la testa, mesto. «Mi rendete difficile onorare la mia parola, chérie.Siete troppo seducente e io non sono abituato a negarmi ciò che voglio.» Poi raccolse la giacca, se la infilò e andò verso la porta. «Max?» Lysette era turbata da quella reazione. Perché si era rimesso la giacca? Di certo non aveva intenzione di tornare a mescolarsi con gli ospiti ... sarebbe stato l'apice del cattivo gusto. Era possibile che intendesse andarsene dalla piantagione? Lui si voltò a guardarla. «Sì?» «Uscite, stasera?» Il sorriso dì un attimo, ma esasperante, gli curvò le labbra, come se avesse saputo esattamente cosa lei temeva: che andasse a soddisfare i propri desideri con la sua placée, dato che sua moglie non era disponibile. «Un giorno, ma petite i miei vagabondaggi notturni vi riguarderanno.» Poi, con un riflesso malizioso negli occhi, aggiunse: «Ma non ancora.» Detto ciò lasciò la stanza, chiudendo con delicatezza l'uscio dietro di sé. Lysette fissò truce la porta, assaporando per la prima volta l'acre gusto della gelosia. Max si fermò fuori dalla camera da letto, trovando penoso lasciare Lysette proprio mentre ogni fibra del suo corpo desiderava tornare da lei. Senza presunzione sapeva che sarebbe riuscito a convincerla a cambiare idea e che anche lei ne avrebbe goduto. Tuttavia la fiducia che riponeva in lui era troppo importante per rischiare. Avrebbe aspettato quanto lei voleva, nonostante il tormento. Il tormento … Ma aveva mai desiderato Corinne con quell'intensità? Il ricordo della prima notte con lei era indistinto, ma rammentava che Corinne, prima e unica vergine che avesse mai portato a letto, dopo di allora l'aveva guardato con risentimento. Nonostante i suoi sforzi di essere delicato, per lei era stata un'esperienza dolorosa e mortificante. Corinne era stata allevata con il terrore per qualsiasi possibile intimità con Il marito, proprio come Max era stato educato a considerare l'amore per una moglie innanzi tutto un dovere. Grazie a Dio, l'età e l'esperienza gli avevano insegnato a pensarla diversamente. Il giorno dopo Bernard fissò il fratello, sollevando un delicato calice di vino, Era la sua prima occasione di parlare in privato con lui da quando era tornato dalla Francia. Max era stato fuori tutto il giorno, per sovrintendere alla riparazione di un ponte. Era andato in biblioteca senza cambiarsi, con l'intenzione di bere qualcosa mentre gli veniva preparato il bagno. L'orrenda condizione dei suoi abiti era prova evidente del suo attivo coinvolgimento nei lavori di riparazione. Bernard non poté non essere divertito dall'aspetto del fratello. «Immaginavo che avreste passato Il vostro primo giorno di nozze diversamente» disse. «Anch'io» rispose ironico Max, sprofondando dentro una comoda poltrona. «Vedo che per certi aspetti non siete cambiato in nostra assenza: niente va bene se non lo fate voi stesso. Allora vi crogiolate nel fango sudando come un bracciante, non è vero?» Max serrò la mascella, irritato. Né Bernard né Alexandre volevano assumersi alcuna responsabilità nella gestione della piantagione. Entravano in biblioteca solo per versarsi da bere o per allungare la mano e ritirare la propria rendita mensile. E tuttavia entrambi lo criticavano apertamente quando non erano d'accordo con qualche sua decisione. Ironia voleva che a Max non piacesse molto quel lavoro e che non avesse ereditato il grande amore del padre per la terra. I suoi interessi erano più orientati agli affari e alla politica. Inoltre, i suoi crescenti impegni politici avevano cambiato il suo punto di vista su diversi argomenti. Molti uomini che arrivavano dal nord-est non facevano segreto delle proprie idee abolizioniste e, discutendo con loro, Max aveva trovato sempre più difficile difendere il sistema schiavista che aveva ereditato. Molti dei loro argomenti lo avevano messo a disagio e addirittura gli avevano procurato un doloroso senso di colpa. Quel dilemma morale, unito allo scarso interesse per l'agricoltura, aveva trasformato la piantagione in un peso dal quale Max desiderava ardentemente liberarsi. «Dato che sono l'unico Vallerand disponibile a gestire la piantagione» rispose sarcastico «mi toccherà fare tutto ciò che reputo giusto. Comunque, nel caso che voi o Alexandre voleste assumervi qualche responsabilità, ve la cederò volentieri.» «Nostro padre ha deciso tanto tempo fa i nostri ruoli» rispose Bernard scrollando filosoficamente le spalle. «Voi dovevate essere il modello, il fior fiore del sangue aristocratico di New Orleans ... il capo della famiglia. Io dovevo essere lo spendaccione e Alexandre il libertino. Non oseremmo mai andare contro le sue volontà.» Max gli rivolse uno sguardo scettico. «Bella scusa, Bernard. Il fatto è che nostro padre se ne è andato e voi potete fare quello che volete.» «Immagino di sì» rispose Bernard fissandosi gli stivali. Nello spiacevole silenzio che seguì, Max rifletté su come iniziare l'argomento che andava discusso. «Le figlie di Fontaine erano davvero così poco attraenti, Bernard?» gli chiese alla fine. Bernard sospirò stancamente. «No, no ... ma come posso pensare di sposarmi quando so che da qualche parte ci sono una donna e un figlio illegittimo a cui serve la mia protezione?» «Sono passati dieci anni» rispose Max con tono piatto. «Probabilmente ormai si è trovata un marito.» «E questo dovrebbe confortarmi? Il fatto che un altro uomo stia allevando mio figlio? Dio, ogni notte, negli ultimi dieci anni, mi sono chiesto perché sia fuggita, senza confidare né a me né alla sua famiglia dove si dirigeva!» «M i dispiace, Bernard» rispose Max piano. «Avrei potuto fare qualcosa anch'io e invece ...» S'interruppe. A quel tempo era troppo coinvolto nello scandalo della morte di Corinne per occuparsi della sfortunata relazione di suo fratello con Ryla Curran, la figlia di un marinaio americano. Bernard e la ragazza sapevano che il matrimonio tra un cattolico e una protestante sarebbe stato un disastro e, quando Ryla aveva scoperto di essere incinta, scomparve. Nonostante tutti gli sforzi fatti da Bernard per trovare lei e il bambino, dieci anni erano passati invano. «Bernard» riprese Max lentamente» li avete cercati abbastanza. Forse è ora che proviate a dimenticare il passato. «È ciò che avete deciso di fare?» chiese Bernard cambiando bruscamente argomento. «È per questo che vi siete sposato così precipitosamente?» «L'ho sposata perché la desidero» rispose con calma Max. «Non siete rimasto con lei stanotte ... lo sa tutta la casa.» «Al diavolo la casa. È il mio matrimonio e lo porterò avanti come voglio.» «So che lo farete» rispose Bernard, cercando di alleggerire la tensione. «Ma penso che non sia prudente ignorare la tradizione. Dovreste trascorrere almeno una settimana da solo con la sposa, ricordate?» Sorrise in modo insinuante. «È vostro dovere ammorbidirla per bene.» Max aggrottò le sopracciglia. «Forse un giorno chiederò la vostra opinione. Nel frattempo ...» «Sì, lo so.» Gli scuri occhi di Bernard brillarono ironici. «Comunque, avete deciso di lasciare Mariame?» Max aprì bocca per rispondere, quando l'istinto lo spinse a guardare verso la porta. Lysette era lì, immobile. Era scesa a cercarlo. Era chiaro, dalla sua espressione, che aveva udito la domanda di Bernard. "Be', all'inferno" pensò Max esasperato. Lysette, entrando nella stanza, assunse subito un sorriso vivace. «Perdonatemi l'interruzione, mon mari» disse in tono allegro. Vestita con un abito color pesca che fasciava delicatamente la sua snella figura, appariva fresca e vibrante. Lui avrebbe tanto voluto stringerla, nonostante i propri abiti inzaccherati, e schiacciarle la bocca con un bacio appassionato. «Il vostro bagno è pronto» gli disse lei. «Immagino che vogliate lavarvi prima di cena.» Max le si avvicinò, mentre il suo umore si faceva più luminoso d'istante in istante. Lysette aveva un notevole effetto su di lui: gli ricordava i tempi in cui era stato giovane e idealista, pieno di speranze di felicità. «Certamente. Parleremo più tardi, Bernard.» Suo fratello borbottò una risposta incomprensibile. «Siete molto sporco oggi» esclamò Lysette, fingendosi inorridita. «Cos'avete fatto, Max?» Lui ignorò la domanda, chiedendosi se qualcun altro della famiglia sì fosse interrogato sulla sua uscita della sera prima. «Mia madre vi ha detto qualcosa a proposi lo di ieri notte?» «Oh, Sì» rispose lei con una nota ironica nella voce. «Mi ha suggerito di perdonarvi per avermi trascurato la nostra prima notte di nozze e ha cercato di rassicurarmi che con il tempo migliorerete.» Lui la afferrò per il gomito e la guardò intensamente. «Vi piacerebbe sapere dove sono andato?» «Non particolarmente» mentì con scarsa abilità Lysette. «A ogni modo se volete dirmelo fate pure.» «Sono andato a far visita alla mia ex placée.» il divertimento di Max aumentò quando lei liberò il gomito dalla sua presa. «E sapete cos'è successo tra noi?» «Non ho alcuna ...» scattò lei, ma poi si fermò e lo fissò con aria diffidente. «Avete detto ex?» «Sì, ex. E non è successo niente, a parte il fatto che abbiamo posto fine alla nostra relazione con soddisfazione reciproca. «Niente?» chiese lei sospettosa. «Neanche un bacio d'addio.» «Oh.» Pur avvertendo un'inaspettata ondata di sollievo, Lysette fece di tutto per nasconderla. Si lasciò prendere per mano e insieme si recarono nella stanza di Max, dove lo attendeva un bagno fumante. Emettendo un mugolio compiaciuto alla vista dei panni piegati e del sapone pregiato che erano stati posati di fianco alla vasca, lui iniziò a spogliarsi. Lysette trovò impossibile evitare di guardare quel bellissimo torace nudo. Max era muscoloso e abbronzato, un maschio in salute nel fiore degli anni. Folti peli neri gli ricoprivano il petto e si assottigliavano sull'addome teso. Le sue braccia erano forti e toniche per il duro lavoro nella piantagione, per non parlare di tutti gli anni di scherma. Max si sedette sul bordo del letto. Un sorriso gli incurvò le labbra quando si accorse dell'interesse di Lysette. Si tolse gli stivali infangati ringhiando per lo sforzo, poi li gettò a terra e sfregò le mani per ripulirle dal fango secco. A ogni movimento i suoi muscoli guizzavano sotto la pelle abbronzata. Lysette notò diversi segni sul suo torso e, in particolare, uno a forma di stella sulla spalla. «Da dove vengono quelle cicatrici?» gli domandò. «Ferite da duello. Il mio onore, per quanto possa sembrare scarso, ha richiesto che lo difendessi in più di un'occasione.» Il seducente odore muschiato della sua pelle arrivava alle narici di Lysette e scatenava in lei il desiderio di avvicinarsi e premere il viso contro il calore salato del suo collo. Perciò fece qualche passo in avanti, continuando a far scorrere lo sguardo sulle cicatrici. «Uhm ... capisco» sussurrò. «I giovani creoli si sentono come lupi che sfidano il capo del branco. Avete mai ferito qualcuno in modo fatale?» Max scosse la testa. «Di solito basta versare la prima goccia di sangue. E comunque. a parte l'antica faida con Sagesse, ho accettato solo le sfide che non potevo risolvere altrimenti.» Lysette ormai era così vicina da potergli sfiorare la cicatrice sulla spalla. Quante volte Max aveva brandito una spada? Quante volte era arrivato vicino alla morte? Quel pensiero la turbava profondamente. Sconcertata, si allontanò da lui. «Dovete essere stanco dopo tutta la fatica di oggi. Senza dubbio non vedete l'ora di fare il bagno. Vi lascio a ...» Udì un fruscio dietro di sé e non le ci volle molto per capire che si era tolto i calzoni. Si ritrovò completamente paralizzata dall'indecisione. Voleva restare, voleva andarsene. Poi lo sentì entrare nell'acqua. «Perché non mi aiutate a lavarmi, petite?» Lysette si voltò, eccitata dalla vista della potente curva delle sue spalle che spuntava dal bordo della vasca. «Perché, vi serve aiuto?» Sentiva i polmoni caldi e dilatati, come se avesse inspirato aria bollente. «Avete detto che volevate abituarvi a me: vi sto dando un'opportunità per farlo.» «Molto gentile da parte vostra.» Max si rilassò nella vasca sospirando. I suoi occhi divennero due fessure. «Potreste almeno passarmi il sapone, petite.» Sorrise, aggiungendo in tono provocatorio: «Siete una donna coraggiosa, n'est pas? Lysette non era certo tipo da indietreggiare quando veniva sfidata. Inoltre, in quel momento la curiosità sopraffaceva di gran lunga il timore. «Certamente, mon mari.» Prese il sapone e lo annusò, riconoscendo l'aroma di citronella, mentre Max le rivolgeva la grande schiena muscolosa. «D'accordo, vi laverò la schiena, mon mari. Ma per il resto dovrete fare da solo.» Sì tirò su le maniche fino ai gomiti, avvicinandosi alla vasca. Nonostante il vapore l'acqua era limpida e le permetteva di vedere la sua straordinaria erezione sotto la superficie. Anche se provò a non reagire a quella visione, si sentì arrossire fino alla radice dei capelli. Max inarcò un sopracciglio, aspettandosi un grido virginale di isterica sorpresa. Lysette invece, posizionatasi dietro di lui, si limitò a commentare: «Sembra doloroso.» Lui piegò la testa per guardarla. «Per me o per voi?» Lysette non poté non sorridere a quella domanda provocatoria. «Per tutti e due direi.» Poi immerse le mani nell'acqua e iniziò a strofinargli la schiena con la schiuma cremosa del sapone, modellando una a una le potenti fasce muscolari. Lavargli i capelli sembrava un'attività incredibilmente intima, ma svolse anche quella, muovendo le dita tra le sue ciocche scure e massaggiandogli il cuoio capelluto. Lui intanto si godeva tranquillo quelle cure. Alla fine Lysette si alzò in punta di piedi, gli versò con cautela un secchia d'acqua fresca sulla testa e gli risciacquò la schiuma. Max si spostò le ciocche bagnate dalla fronte, poi, alzando le ciglia imperlate su di lei, le chiese sornione: «Perché non entrate anche voi? Quell'idea la colse di sorpresa, eccitandola. Subito Lysette sentì fiorire nel petto un dolce dolore, che si espanse fino a farle contrarre il ventre e inturgidire i capezzoli. Quando finalmente riuscì a parlare, aveva la gola chiusa e irritata. «Non c'è spazio per due» sussurrò. «Sì, se stiamo abbastanza vicini.» Lysette rimase immobile e Max si allungò verso di lei. Con la lingua trovò un punto vulnerabile sulla gola di lei e lo leccò e baciò con delicatezza. Lysette sentì il respiro accelerare: le parve che improvvisamente il mondo vibrasse e le sembrò di trovarsi dentro una grande palla di cristallo che rotolava languidamente su un lato. Allungò un braccio per ritrovare l'equilibrio, ma la mano trovò il suo torace caldo. Inavvertitamente gli sfiorò un capezzolo di seta e non riuscì a smettere di accarezzarlo finché non si inturgidì. Max la attirò a sé con un basso ruggito e la baciò a lungo, con un ondeggiamento ipnotico. Lysette si sentì inondare da un piacere vertiginoso. Aprila bocca, lasciando che lui la esplorasse interamente. Non protestò nemmeno quando lui le prese la mano e la guidò sotto la superficie dell'acqua. Per quanto il bagno fosse ancora caldo, non era niente al confronto dell'incandescenza della sua eccitazione. Arrendevoli, obbedienti, le dita di Lysette si curvarono intorno al membro eretto. Non assomigliava a niente di quanto si fosse aspettata: la pelle era morbida come raso teso. Lei indugiò lungo quel profilo, esplorandolo con delicatezza al di sotto dell'acqua. Max continuò a baciarla, scaldandole la guancia con il respiro. E quando lei si accorse che l'erezione aumentava al ritmo delle sue carezze, quella consapevolezza le provocò un senso di potere mai provato, uno spasmo di vertigini. Allora si protese in avanti per schiacciarsi contro di lui, bagnandosi completamente il vestito. Solo il dolore dello scontro con il bordo duro della vasca la fece tornare in sé e si tirò indietro con un sussulto, ansimando. L'espressione di Max, invece, era rilassata e assorta. Allungò la mano e le asciugò con il pollice una goccia che languidamente le stava scivolando tra i seni. «Baciatemi ancora mormorò.» Lysette rise tremante e si mise in piedi a fatica. «Penso che abbiate avuto abbastanza da me, per oggi, monsieur.» Lui si alzò e l'acqua scivolò lungo il suo corpo eccitato in rivali scintillanti. «Se avessi avuto abbastanza da voi, ma petite, non sarei messo così.» Lysette si voltò senza fiato. Si accorse che provava a prenderla e gli sfuggì agilmente. «Non osate, Max Non toccatemi!» gridò, fuggendo verso la porta. E aveva già le dita intorno alla maniglia di porcellana quando le venne in mente che non poteva aggirarsi per la casa con quel vestito fradicio. «Via, Max» gli disse allora, in tono ragionevole continuando a dargli le spalle «basta così. Ora vado a prendervi un asciugamano e ...» Le lunghe braccia bagnate di Max si strinsero intorno a lei. Una risata nervosa le sgorgò dalle labbra, mentre diceva, troppo roca per suonare convincente: «Max, mi avete bagnata tutta!» Lui la baciò delicatamente sulla nuca. «Petite» le sussurrò. «Lasciatemi gustare un altro po' della mia mogliettina adorata. Non tradirò la mia promessa, ve lo giuro. Lasciate solo che vi tocchi, vi prego.» Dopo pochi abili gesti il corpetto di Lysette cominciò a scivolare da un lato e, prima che lei potesse fare qualcosa per impedirlo, il vestito cadde a terra. Lysette rimase coperta solo dal sotto abito umido e dalle calze. Max le accarezzò languidamente la curva tesa delle natiche e lei sussultò a quel tocco. Poi la toccò davanti, sul ventre, frugando l'incavo aggraziato dell'ombelico. Lysette si accasciò contro la porta. «Max» riuscì a dire con voce tremante. «Non dovreste ...» «Mi fermerò non appena me lo chiederete.» Con il palmo della mano la accarezzò un po' più intensamente tra le gambe. Le mordicchiò la nuca, poi gliela accarezzò con gentili cerchi della lingua. «Non abbiate paura. Voglio solo darvi piacere ...Dieu, come siete dolce.» Lysette gemette, mentre sentiva dolere il corpo in punti profondi, intimi, sconosciuti. Continuò a dargli le spalle, ansimante, mentre lui le sollevava il sotto abito fino alla vita e le schiacciava contro le natiche il membro eretto che, come un ferro rovente, sembrava valerla marcare a fuoco. Il mondo intorno a Lysette si frantumò in frammenti incomprensibili, sfocati, e lei non poté più né comprendere, né fare niente, se non inarcarsi contro quel corpo potente. Lunghe dita esperte la raggiunsero in mezzo alle cosce e iniziarono a esplorare con delicatezza la sua parte più sensibile. Lei aprì la bocca, ma non riuscì a dirgli di smettere ... era una sensazione troppo nuova ... e bella. Lui la sfregò con intensità crescente, finché lei non emise un gemito divaricando le gambe in una supplica involontaria. Allora Max la baciò sull'orecchio e sulla guancia umida. Poi, con gentilezza le separò le labbra eccitate ed entrò nella sua morbida femminilità. «Petite. quante volte ho sognato di toccarti così... così... sì, lasciami fare, ma belle …» Trovò il suo bottone di carne che aveva cominciato a pulsare e lo sfiorò con la punta delle dita, stuzzicandolo finché Lysette non cominciò a gemere a ritmo sempre più affannoso, mentre il cuore le batteva senza controllo e il sangue le pompava potente nelle vene. «Max» mugolò. «Oh, Max ...» A quel punto lui fece scivolare il dito medio attraverso la stretta apertura, mentre lei si irrigidiva a quella delicata invasione, sentendo un'esplosione di calore nel ventre. «Devo fermarmi?» le sussurrò ritraendo il dito. «Dimmi, Lysette. Dimmi cosa vuoi e io lo farò.» Lei si voltò di scatto verso di lui, abbracciandolo e premendogli disperatamente i capezzoli contro il petto. Tutti i suoi principi si erano ridotti in cenere davanti all'esplosione incandescente del desiderio. «Max, fai l'amore con me, adesso, ti prego, ti prego.» «No, cara, non ti prenderò ancora la verginità. Non finché non sarò certo che tu lo voglia davvero.» «Lo voglio» gemette lei. «Davvero.» Lui le fece scivolare di nuovo la mano tra le gambe, tornando con le dita dove ne aveva più bisogno. «Ti darò piacere. Desideravo soltanto essere sicuro che tu lo volessi.» Ma Lysette non avrebbe potuto volerlo più di così. Riversò la testa all'indietro, dibattendo i fianchi in lenti cerchi e rispondendo a ogni sua carezza. Le sensazioni divampavano rapide, troppo veloci, troppo calde, e lei gridò mentre il suo corpo veniva preso da potenti spasmi e uno straordinario calore si diffondeva dappertutto attraverso i nervi, Ondate di piacere soddisfatto la percorsero per le membra fino a farla sentire debole e tremante e si accasciò contro di lui, affondando il viso contro la sua spalla. «Max, ti prego ... portami a letto.» «No» mormorò lui, rubandole un bacio dalle labbra umide. «Non voglio approfittarmi di te, petite.» «Non lo penserei mai. Ti prego, Max ...» «Potresti incolparmi, dopo.» Lysette era meravigliata che lui la stesse rifiutando quando era così ovvio che voleva fare l'amore con lei. Gli importava davvero cosi tanto dei suoi sentimenti? A quel pensiero il cuore iniziò a battere selvaggiamente e tornò a offrirgli la bocca. Poi, quando le loro labbra si separarono, disse senza fiato: «Se stai insinuando che ora non sono nel pieno possesso delle mie capacità ...» «Non lo sei.» «Invece sì!» «Una buona moglie creola non discute mai con il marito, sai?» Un risolino riluttante le uscì dalla gola. «Max ...» Posò la guancia contro la liscia pelle della sua spalla. «Credi che l'acqua nella vasca sia ancora calda?» «Probabilmente sì,» «Lui le alzò il mento e le sorrise.» «Tocca a me lavarti, adesso?» le chiese, sollevandola tra le braccia prima ancora che lei potesse rispondere. 7 Dopo avere vissuto in un ambiente sostanzialmente femminile per la maggior parte della sua vita, ora Lysette si ritrovava circondata da uomini. E non le ci volle molto a scoprire che i suoi parenti acquisiti erano molto diversi dal suo patrigno. I Vallerand non erano meno imprevedibili di Gaspard, ma anche quando erano in collera parlavano con voce suadente. Diversamente da Gaspard e dalle sue vane tirate, sapevano come colpire con poche parole attentamente scelte, e a volte i fratelli erano tra loro spietati. Quando era presente una donna, comunque, i litigi erano evitati e la conversazione si articolava in modi più pacati. Lysette stava cominciando a credere all'affermazione fatta un giorno da Noeline, secondo cui i Vallerand erano uomini nati con il dono di affascinare le donne. Alexandre spesso faceva gran mostra nel prenderla da parte per chiederle consiglio su questioni di cuore, affermando con simpatici ammiccamenti che qualunque donna fosse riuscita ad accalappiare suo fratello doveva essere un'autorità in materia. Bernard la intratteneva con lunghi racconti dei suoi viaggi all'estero. Philippe condivideva con lei i suoi libri preferiti e Justin l'accompagnava nelle sue cavalcate per la piantagione. Era una famiglia cotta, che divorava libri, giornali e casse di periodici importati dall'Europa. Lysette imparò presto ad apprezzare le riunioni serali di famiglia in salotto, quando si leggeva ad alta voce o si facevano giochi di parole, oppure si discuteva di politica, mentre i gemelli mettevano in scena battaglie con eserciti di soldatini di piombo. Per ironia della sorte, però, Lysette trascorreva più tempo con gli altri Vallerand piuttosto che con il proprio marito. Max era sempre indaffarato, occupato con la piantagione, le attività politiche o le operazioni di spedizione. Era particolarmente impegnato nella contrattazione per l'acquisto di una nuova nave che si sarebbe aggiunta alla sua flotta e stava acquisendo un'altra rotta verso le Indie occidentali, per la quale doveva aprire un nuovo ufficio con un nuovo direttore. Inoltre. stava sovrintendendo alla costruzione di nuovi magazzini vicino al fiume. Queste attività lo occupavano per la maggior parte della giornata, fino all'ora di cena, quando faceva ritorno. Alla sera, Max si rilassava con la famiglia in salotto, oppure condivideva una bottiglia di vino con Lysette nell'intimità della loro stanza. Dopo l'appassionato interludio di due settimane prima, Max non aveva fatto altre avances alla sua giovane moglie. Lysette a volte era stata tentata di chiedergli di fare l'amore con lei, ma sentiva che non era ancora il momento, decisa più che mai a conquistare, prima, il suo affetto. Nel frattempo, si godeva le ore in cui parlavano, discutevano e flirtavano. Più conosceva il suo nuovo marito e più sentiva di amarlo. Max era un uomo forte, che sopportava le proprie responsabilità senza lamentarsi, motivato dal dovere e dal senso di protezione che nutriva verso la propria famiglia. Possedeva tuttavia anche una spietatezza, una energia che la affascinava. Chiaramente se lei fosse stata una moglie docile e mansueta non sarebbe durata a lungo con lui. Ma invece di essere intimidita dalla sua potente volontà, si deliziava a sfidarlo, e lui lo sapeva. Anche se non condividevano il letto, Lysette era al corrente degli spostamenti notturni di Max. Circa due volte la settimana lasciava la casa a mezzanotte e non tornava prima delle tre o le quattro del mattino. Non credeva che facesse visita a un'amante. Ma se non andava da una donna, cosa mai faceva? Alla fine Lysette decise di affrontarlo al ritorno da una delle sue misteriose uscite. Quando Max entrò in camera sua nel mezzo della notte, trovò sua moglie che lo aspettava con la lampada accesa vicino alletto. Appoggiata ai cuscini contro la testiera del letto, lei lo salutò con tono calmo. «Bon soir, Max. Mi stavo chiedendo cosa tu possa aver fatto fino a quest'ora.» Max sorrise ironico. «Niente di cui debba preoccuparti. Adesso torna in camera tua, oppure dovrò presumere che la tua presenza qua significa che hai finalmente deciso di adempiere ai tuoi obblighi nuziali.» Quella minaccia non la fece desistere. «Non puoi congedarmi così facilmente, Max. Se fosse successo una o due volte, avrei potuto fare finta di niente. Ma queste uscite notturne sono diventate un'abitudine e voglio sapere cosa succede.» Max appoggiò le mani sul letto e si chinò fino quasi a sfiorarle le labbra con le sue. «Sono andato a occuparmi di alcune cose riguardanti le spedizioni.» «Perché non puoi farlo di giorno?» «Alcuni affari, tesoro, si fanno meglio di notte.» «Non stai facendo niente di illegale, vero?» Lui alzò pollice e indice, tenendoli separati appena un centimetro. «Leggermente illegale. Niente di più pericoloso di un carico di calze di seta, qualche balla dì cannella ... e diverse migliaia di sterline inglesi.» «Sterline inglesi? Perché?» «L'afflusso di contanti dal Messico si è interrotto quando gli americani hanno preso possesso del territorio della Louisiana, e nessuno ha fiducia nel denaro francese e spagnolo disponibile. Temo che il progetto del governatore Claiborne di distribuire denaro americano soffrirà diverse false partenze, e nel frattempo ...» «Ma tu non vuoi appoggiare gli sforzi del governatore Claiborne?» Il sorriso di Max si fece a un tempo indifferente e spietato. «Oh, non ho alcun obbligo particolare verso Claiborne. Quando posso, lo aiuto. E quando c'è l'occasione, aiuto anche me stesso» Lysette non apprezzava l'idea che suo marito si occupasse di contrabbando, per quanto di piccola entità. «Se ti scoprono ...» «Vieni, devi dormire» la interruppe lui. «Hai gli occhi stanchi.» «Non li avrei, se tu restassi a casa di notte» borbottò lei sbadigliando, mentre lui la faceva alzare dal letto e la riaccompagnava nella sua stanza. Max aggrottò le sopracciglia. «Ti sei sfinita negli ultimi giorni. Mia madre dice che ti dai troppo da fare. Voglio che riposi di più,petite, considerando specialmente che sei guarita da poco.» Lysette con un gesto spazzò via ogni sua preoccupazione. Si era ambientata nella piantagione e ora cercava di rendersi utile. C'erano le scorte da riordinare, la contabilità da tenere, il pane da fare, i mobili da lucidare. E poi tappeti, tende e lenzuola, e infiniti bucati e rammendi. Anche se pensava che Irénée e Noeline stessero facendo un lavoro notevole nella gestione della piantagione, aveva visto alcune cose che potevano essere migliorate. Temeva tuttavia che le donne più anziane potessero offendersi, se avesse provato ad alterare una qualunque delle loro vecchie abitudini. «Max» disse prendendolo per mano «vorrei la tua opinione su una cosa …» «Sì?» «Non credi che il modo in cui alcune attività vengano svolte in questa casa siano un po' sorpassate? Oh, niente su cui un uomo rifletta molto. Però, ho notato almeno un centinaio di piccole cose ...» «Sarebbe stato necessario addestrare almeno altre due governanti per tenere quell'immensa proprietà pulita quanto avrebbe dovuto essere. C'erano tende sbiadite dal sole e tappeti da sostituire in diverse stanze. Aveva trovato tesori d'argento che non erano stati lucidati da anni. E, da quanto aveva visto, non c'era mai abbastanza biancheria fresca disponibile. Erano cose che, alla sua età, Irénée semplicemente non vedeva. Ma come dedicarsi a cose del genere senza farla agitare? Era quello il problema. «Penso di capire» disse Max in tono ironico, prendendola per le spalle. «Ascoltami, petite ... tu hai diritto di rivoltare la casa dalle fondamenta, se lo desideri. Noeline farà quello che le dici, anche se non è d'accordo. Per quanto riguarda mia madre, non ci vorrà molto prima che apprezzi il tempo libero, Come ogni donna della sua età. Nel frattempo, non dubito della tua capacità di gestire la sua ostinazione. Comportati come meglio credi e io ti appoggerò completamente.» «Ma io non voglio procurarle un dolore.» «Oh, non credo che tu sia in grado dì addolorare mia madre.» D'improvviso lui sorrise. «Solo Justin ne è capace, ormai.» «Va bene. Grazie, Max.» Con i pollici lui le accarezzò il collo, sorridendo languidamente prima di sfiorarle la fronte con un bacio. «Buonanotte.» Lei si aspettava che Max tornasse subito in camera, ma lui esitò tenendole le mani sulle spalle. Il cuore di Lysette si fermò per un attimo e lei non riuscì a impedire alle ginocchia di tremare. Sarebbe successo adesso ... Si sentì attraversare da quel pensiero. Le avrebbe chiesto di fare l'amore e lei non avrebbe più avuto la scusa della poca familiarità per tenerlo a bada. Con sua grande sorpresa, lo desiderava così tanto da non ritenere più necessario conquistare prima H suo cuore. «Max ...» disse con voce rotta, cercando le parole giuste per incoraggiarlo. «Buonanotte» disse lui nello stesso momento, baciandole di nuovo la fronte. «Ora riposati un po', douceur.» Lui si voltò e se ne andò, lasciandola a lottare contro uno strano senso di delusione. «Burr arriverà domani, senza dubbio» dichiarò il governatore Claiborne, asciugandosi il volto sudato con un fazzoletto. «Maledetto caldo. E mi hanno detto che la barca con cui arriverà è un dono di Wilkinson. Il nostroWilkinson» Lanciò un'occhiata fuori dalla finestra come se si aspettasse di vedere il governatore della Louisiana settentrionale. Max si sistemò comodamente sulla poltrona, con un'espressione appena divertita sul volto. «Il nostro?» ripeté. «Forse il vostro Wilkinson. signore, ma a me proprio non importa rivendicarlo. «Maledizione, che c'è da sorridere? Non siete preoccupato di quello che potrebbe succedere? Quei due, Burr e Wilkinson, sono una coppia potente!» «Sono preoccupato, sì. Ma se i piani di Burr sono, come sospettiamo, impossessarsi di Louisiana e Texas ...» «E Messico!» gli ricordò immediatamente Claiborne, seccato. «E Messico ...» continuò Max «avrà bisogno di fondi notevoli. Fondi che non sarà in grado di trovare, con o senza l'influenza di Wilkinson. I creoli hanno un detto: il va croquer d'une dent.» «Che significa?» «Masticherà con un dente solo.» Claiborne non sorrise a quella battuta. «C'è la possibilità che Burr si procuri il denaro che gli serve in Inghilterra. È diventato maledettamente intimo con l'ambasciatore inglese.» «Gli inglesi non lo finanzieranno.» «O forse sì» insisté Claiborne. «In questo momento Inghilterra e Stati Uniti non sono in ottimi rapporti.» «Comunque, l'attuale guerra dell'Inghilterra contro la Francia fa st che non possano permettersi di sostenere una causa perdente ... e Burr ha la lingua troppo sciolta perché i suoi piani abbiano successo.» «Se lo dite voi...» Claiborne restò in silenzio per un attimo. «In effetti, la sua impresa dipende dall'assoluta segretezza e sono rimasto sorpreso da quanto ha detto in pubblico. Non è da Burr essere così avventato. Forse è diventato troppo sicuro di sé!» Aggrottò le sopracciglia. «E comunque, anche se gli inglesi non lo finanzieranno, si rivolgerà alla Spagna.» «Come lo sapete?» «Io e molti altri sospettiamo da tempo che Wilkinson sia segretamente sul libro paga degli spagnoli.» «Esiste qualche prova?» «No, ma il sospetto è tutt'altro che infondato.» «Be', in effetti» disse lentamente Max «a Sua Maestà Cattolica piacerebbe far tornare la Louisiana sotto la protezione spagnola.» «Wilkinson è amico dell'alto commissario spagnolo a New Orleans, don Carios, il marchese di casa Yrujo» lo informò Claiborne. «Probabilmente Burr passerà un po' di tempo con Yrujo durante la sua visita. Ma nessuno dei miei è riuscito ad avere informazioni. Al momento le relazioni tra spagnoli e americani sono troppo ostili. La discussione su chi abbia diritto alla Florida potrebbe addirittura portare a una guerra.» «Conosco bene Yrujo» rispose Max. «Vedrò cosa posso sapere da lui.» Claiborne si asciugò di nuovo il volto. «Deve sapere qualcosa. Il talento degli spagnoli per gli intrighi è incomparabile. Spero intensamente che riusciate a farvi rivelare qualcosa di quello che sa, Vallerand ... per il bene di noi tutti.» «Farò del mio meglio» si limitò a dire Max. «Dio, che guaio. Da dove prende tutta la sua ambizione Burr?» «Dato che Max restava in silenzio, il governatore continuò, come parlando a se stesso.» «Un conoscente intimo di Burr ha una teoria: che non sarebbe coinvolto in un piano tanto disdicevole, se sua moglie non fosse scomparsa qualche anno fa. Aveva un cancro di qualche tipo ... sfortunatamente è stata una morte lunga.» Max iniziò a tamburellare distrattamente con le dita sul bracciolo. «Ci sono mogli e mogli» disse poi con tono piatto. «La mia prima moglie non è stata una gran perdita.» Claiborne rabbrividì davanti alla freddezza di quell'uomo. Che audacia ammettere il proprio disprezzo per la donna che si diceva avesse ucciso! Ogni tanto il governatore doveva concordare con quanto i suoi aiutanti gli avevano detto su Maximilien Vallerand: che era una persona intelligente e affascinante, ma anche completamente spietata. «E la seconda?» fu la domanda che gli venne spontanea. Max scrollò appena le spalle. «Piuttosto piacevole, grazie.» «Non vedo l'ora d'incontrare madame Vallerand.» A quella frase Max inarcò un sopracciglio. Era raro che le loro conversazioni andassero sul personale. Dato che i loro scopi e le loro idee politiche si assomigliavano, erano in rapporti amichevoli, ma non discutevano di famiglia, figli o sentimenti personali ed entrambi sapevano che non avrebbero avuto rapporti se non per necessità politica. «Credo che avrò presto l'opportunità di presentarvela» rispose. Claiborne sembrò felice a quella prospettiva. «Devo ammettere che trovo le donne creole molto affascinanti. Creature adorabili e piene di spirito.» Max aggrottò le sopracciglia e cambiò argomento. Lysette si trovava nel piccolo orto dietro la casa, a raccogliere erbe da far seccare per i condimenti. Sospirò frustrata, fissando l'ombra del suo cappellino. Era tradizione creola che una sposa non potesse fare visita a nessuno, e nemmeno mostrarsi in pubblico, per cinque settimane dopo le nozze. Perciò era obbligata a rimanere a casa quando tutti gli altri uscivano. E anche se desiderava infrangere quella tradizione, sicura che Max l'avrebbe incoraggiata a fare quello che voleva, non voleva alienarsi tanto in fretta le simpatie di New Orleans. Però, non si era mai annoiata tanto. Bernard e Alexandre erano stati via, la notte precedente e tutta la mattina, in cerca di qualcosa che li tenesse occupati. Al solito, Max non c'era. E i gemelli erano occupati, in casa, con le loro lezioni. Irénée e la cuoca erano usci te presto per andare al mercato. Irénée traeva un piacere speciale dalla sua fama di padrona di casa parsimoniosa. Tutti i negozianti avevano un alto rispetto per la sua capacità di contrattare. Dopo aver parlato con tutte le persone degne di nota al mercato, Irénée sarebbe tornata a casa con gli ultimi pettegolezzi e le avrebbe riferito abbondanti frammenti di conversazione. Nel frattempo, però, Lysette non poteva che aspettare. In quel momento udì alcuni sussurri soffocati e passi furtivi che si avvicinavano al lato della casa. Posato il piccolo canestro, si girò e vide due teste scure. Erano Justin e Philippe che trasportavano furtivamente un oggetto voluminoso in un sacco gocciolante, diretti verso il boschetto di cipressi vicino al campanile. Quando Justin vide Lysette, si fermò bruscamente e Philippe gli finì contro. Justin rivolse uno sguardo irritato al fratello. «Non avevate detto che non c'era nessuno?» «Non l'avevo vista!» ribatté Philippe. Lysette li fissò con sguardo interrogativo. «Cosa state portando?» I gemelli si guardarono l'un l'altro. «Adesso spiffererà tutto» borbottò Justin torvo. Philippe sospirò. «Cosa facciamo di lei?» Lysette li guardò con sospetto. «State rubando qualcosa?» Justin indicò Lysette con un cenno della testa. «Rapiamola» esclamò con tono brusco. «Se la rendiamo nostra complice in questo affare, non parlerà.» «Ma insomma ... si può sapere di quale affare si tratta?» domandò Lysette. «Voi ragazzi dovreste studiare, lo sapete ...» li ammonì, mentre Justin la prendeva per mano. «Dove stiamo andando? Se finite nei guai, voglio che sia chiaro che io sono solo una vittima. Mon Dieu, perché quel sacco ... sta gocciolando?» «Viene dalla cucina» disse Philippe in tono di sfida. Lysette capì subito di cosa si trattava. «Non è possibile» ribatté. «Non potete aver fatto una cosa del genere.» Un enorme cocomero era rimasto immerso per ore in una vasca di acqua fredda in cucina. Avrebbe dovuto essere una squisitezza per il dopocena, quella sera. Rubarlo era un crimine serio. La cuoca, Bertè, avrebbe avuto un infarto, non appena avesse scoperto la sparizione. «Dovete aspettare fino a stasera» disse Lysette categorica. «Rubarlo vi comporterà dei problemi assolutamente maggiori rispetto al piacere di gustare un cocomero da soli.» «Non è un piacere da poco ...» ribatté Justin, sornione. Lei scosse la testa. «Riportatelo indietro adesso, prima che si accorgano che è sparito. Philippe, come avete potuto permettere a Justin di coinvolgervi in questa bravata?» «Be', veramente è stata una mia idea» rispose Philippe in tono gentile. Il bottino fu posato al riparo dell'ombra di alcuni alberi. Lysette si sedette su un tronco caduto, mentre i gemelli si accingevano a spaccare il grosso frutto. «Non posso guardare» gemette, coprendosi gli occhi con la mano. «Ci siamo spinti troppo oltre per tornare indietro» esclamò compiaciuto Philippe, porgendole una fetta sgocciolante. «Assaggiatene un po', vi va?» «State cercando di comprare il mio silenzio?» chiese Lysette con broncio severo. «È ancora più buono se è rubato» garantì Justin. «Su, assaggiate.» Controvoglia, Lysette si sistemò il grembiule sulle gambe e accettò l'offerta. Quando diede un morso, il succo dolce le scivolò sul mento e lei l'asciugò con un angolo del grembiule. Il cocomero era dolce e friabile, divino in un giorno così caldo. Non aveva mai assaggiato niente di tanto delizioso. «Avete ragione» ammise mestamente. «Quando è rubato, è più buono.» Per qualche minuto i tre non parlarono, ma si concentrarono sul cocomero. Solo quando furono sazi e il terreno fu cosparso di bucce a forma di mezzaluna, Lysette alzò gli occhi e vide una sagoma alta che si avvicinava. «Justin? Philippe?» li avvisò lentamente. «Sta arrivando vostro padre.» «Via! Di corsa!» esclamò Justin, già in piedi. «Perché?» ribatté Philippe rassegnato. «Ci ha già visti.» Decisa a provare il tutto per tutto, Lysette scattò in piedi e assunse un'espressione severa. «Ora avete capito, birbanti?» disse ad alta voce «Spero che abbiate appreso la lezione, altrimenti la prossima volta ...» Max la cinse alla vita e la sua bassa risata le accarezzò l'orecchio. «Bel tentativo, petite. Ma le vostre guance appiccicose vi tradiscono.» Lei sorrise e lui le accarezzò le labbra con le sue, gustando l'aroma dolce del cocomero. «Traditrice» l'accusò Justin ridendo con l'abbandono di un bambino. Il caldo sguardo dì Max li abbracciò tutti e tre. «Pare che abbia appena smascherato una cospirazione!» Philippe rivolse al padre uno sguardo supplichevole. «Non lo direte a Bertè, vero, padre?» «È così abituata alle vostre malefatte che non credo che vi punirà ...» rispose Max, spostando poi lo sguardo su Lysette. «Ma mi chiedo cosa sarà della mia piccola moglie.» Lysette gli rivolse un sorriso radioso. «Dovrete aiutarmi a escogitare qualcosa. È vostro preciso dovere di marito difendermi, n'est-ce pas?» «È vero.» Max si sedette con lei sul tronco, ordinando con un gesto a Justin di dargli una fetta di cocomero. «Come ci avete trovato?» Lysette si tolse il grembiule e lo consegnò ai ragazzi perché si pulissero mani e faccia. «Secondo Noeline eravate nell'orto ma, quando sono venuto a cercarvi, ho trovato solo il canestro ... e inequivocabili tracce bagnate sul terreno.» Max morse di gusto la fetta. «Così adesso siete anche voi un cospiratore ...» gli disse. Lui le sorrise. «Vi sto solo aiutando a sbarazzarvi delle prove.» Rannicchiata al suo fianco, Lysette si gustò la conversazione oziosa che seguì, mentre i ragazzi raccontavano le loro ultime gesta nella palude. Era commovente l'ammirazione che i gemelli nutrivano per il padre ... come il loro desiderio di ottenere la sua approvazione. Quello che era ancora più toccante, tuttavia, era la pazienza che Max aveva con loro, la calda premura dei suoi modi. Era un buon padre, forte ma amorevole. Lysette provò a immaginare come sarebbe stato avere un figlio da Max. Il cuore le fece un po' male al pensiero che il loro figlio, proprio come Justin e Philippe, avrebbe dovuto sopportare le brutte voci e gli oscuri sospetti sul passato del padre. Max, tuttavia, avrebbe insegnato anche a lui a ignorare i pettegolezzi e ad amarlo quanto meritava. Proprio come lei aveva cominciato ad amarlo. Stordita da quella consapevolezza, Lysette fu attraversata come da una Citta di paura: era possibile che Max non volesse il suo amore, che non fosse pronto ad accettarlo per molto tempo. C'erano troppe ombre nel suo passato ... Max quasi non riusciva a parlare con lei del suo primo matrimonio e, quando lei insisteva per avere informazioni, si faceva tetro e irritabile. Persa nei suoi pensieri, non prestò più attenzione alla conversazione finché non sentì Max dire ai ragazzi: «Presumo che abbiate finito i compiti. Altrimenti non avreste avuto tempo per rubare dei cocomeri.» Nessuno dei due ragazzi lo guardò direttamente. «Quasi... finiti...» balbettò Philippe. Max rise. «Allora vi consiglio di finire prima di cena. Ma adesso cercate un modo di eliminare questa confusione.» «E Bertè?» chiese Justin. «Quando lo scoprirà ci vorrà uccidere.» Max rassicurò il figlio con un sorriso. «Me ne occuperò io» promise. «Grazie, padre» dissero i gemelli all'unisono, quasi stupiti per la dolcezza con cui loro padre aiutava Lysette ad alzarsi. Durante il tragitto vero casa Lysette rimase in silenzio, con la mano appiccicosa intrecciata a quella di Max. Ma dopo un breve tratto lui le rivolse un sorriso interrogativo. «Perché sei diventata improvvisamente così silenziosa?» «Stavo pensando che sei un padre meraviglioso. È chiaro che i gemelli ti adorano. Sono molto fortunati ad avere un genitore tanto amorevole.» «Sono bravi ragazzi» rispose lui in tono burbero. «La fortuna è mia.» «Avresti ogni motivo per rifiutarli» insistette Lysette «dopo le terribili esperienze trascorse a causa della loro madre. Non ho dubbi che a volte te la ricordino ... Irénée dice che i gemelli hanno gli occhi di Corinne. Ma sembra che tu non permetta mai che ciò interferisca con i tuoi sentimenti.» A sentir menzionare Corinne, Max le lasciò la mano. «In loro non vedo niente di lei» rispose, freddo. «Parli mai di lei con loro?» «No.» «Potrebbe essere un bene. In particolare per Justin. Se tu gli spiegassi …» «Ho passato dieci anni a cercare di dimenticare» disse lui, guardando fisso davanti a sé. «E anche loro. L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è parlare di lei.» «Ma era la loro madre. Non puoi ignorare il fatto che sia esistita. Forse se tu ...» «Basta così» la interruppe lui con una intensità nella voce che la fece trasalire. «Non sai di cosa stai parlando.» Lysette si chiuse in un silenzio offeso. Aveva sbagliato a sollevare quell'argomento? Ma se Max si rifiutava di condividere con lei una parte così significativa del proprio passato, quella parte che lo aveva cambiato così drasticamente, come avrebbe mai potuto, lei, conoscerlo davvero? Desiderava diventare intima con lui... poter parlare liberamente di qualsiasi cosa, anche quando l'argomento era spiacevole o doloroso. Ma forse era un errore da parte sua desiderare un 'intimità cosi inusuale tra coniugi. La maggior parte delle donne sarebbe stata felice di avere una relazione così gradevole con il proprio marito. Forse anche lei doveva farsi bastare quello che Max aveva intenzione di offrirle e non chiedere di più ... Alla fine si costrinse a parlare di nuovo. «Mi dispiace» disse con difficoltà. «Non intendevo provocarti.» Lui annuì, ma non rispose. Aveva creduto che, una volta raggiunta la biblioteca, sarebbe tornato padrone delle proprie emozioni, ma il nodo che sentiva nel petto rifiutava di sciogliersi. Max chiuse la porta e buttò giù un brandy, grato per quella carica di fuoco. Per anni era stato capace di proteggerai, di chiudere il passato dietro a porte che non si dovevano aprire mai più. E aveva lasciato sentimenti, bisogni e vulnerabilità a ribollire nella cella che aveva costruito per loro. Se una sola di quelle porte si fosse dischiusa, tutte le altre sarebbero cadute e lui sarebbe stato travolto. Non avrebbe permesso che succedesse, no ... Eppure, dopo tutto quel tempo, i suoi sentimenti premevano sempre più forte dietro quelle barriere e il suo cuore gli doleva di una strana nostalgia ogni volta che si trovava insieme a Lysette. Max lasciò la piantagione prima di cena, senza confidare a nessuno la sua meta. Alla vista del posto vuoto lasciato dal marito, Lysette divenne troppo arrabbiata e sconvolta per mangiare. Si limitò a rigirare il cibo nel piatto, mentre il resto della famiglia chiacchierava con un'animazione tutt'altro che naturale. Vivendo nella stessa casa, era chiaro a tutti che c'era stata una discussione tra Max e la moglie. Per sfortuna di Lysette, le capitò di sentire una conversazione privata tra Bernard e Alexandre mentre, dopocena, bevevano vino e fumavano un sigaro in uno dei salotti. Si stava aggirando alla ricerca del proprio ricamo, quando udì le loro voci basse attraverso la porta socchiusa e sentendo fare il suo nome si fermò. «Povera Lysette» stava dicendo Alexandre con apparente indifferenza. «Il problema è che lei è troppo giovane per Max ... non può controllarlo.» La voce di Bernard era più bassa e riflessiva. «Non direi che sia quello il problema, Alex. Per quanto giovane, è intelligente e lo sa gestire piuttosto bene.» «Da quando l'intelligenza è una dote desiderabile in una donna?» domandò Alex sarcastico «Personalmente non l'ho mai cercata, anzi!» «Be', questo spiega molto delle donne che vi ho visto frequentare.» Alex ridacchiò. «Dites-moi, mon frère ... cosa pensate dell'incapacità della nostra dolce cognata di trattenere Maximilien a casa di notte?» «Semplice. Non è Corinne.» Alexandre sembrò sorpreso. «State dicendo che Max ama ancora Corinne? Era una sgualdrina.» «Sì» «rispose Bernard con calma. «Ma era bella, affascinante e irresistibile. Nessuno poteva evitare di innamorarsi di lei. E nessuna donna potrà mai esserle eguale. Agli occhi di Max, voglio dire.» «Apparentemente neanche ai vostri» disse lentamente Alexandre. «Non sapevo che avesse un tale effetto su di voi.» «Lo aveva su ogni uomo che incontrava, fratellino. È solo che voi eravate troppo giovane per accorgervene.» «Forse» fu la risposta dubbiosa di Alexandre. «Ma per quanto riguarda questa seconda moglie: pensate che esista la possibilità che Max arrivi mai ad amarla?» «Neanche una.» Lysette si allontanò con le guance in fiamme. Dentro il suo cuore sentiva il dolore combattere violentemente con la rabbia. Senza accorgersene si portò una mano ai capelli ... quei capelli selvaggi che le avevano causato tanta sofferenza da giovane. Corinne doveva aver avuto i capelli neri e lisci tanto apprezzati dai creoli. Corinne era stata sicuramente elegante e distaccata, capace di ipnotizzare tutti con la sua bellezza ... Sentì una presenza dietro di sé. Si voltò e fece per parlare, ma restò in silenzio quando non vide altro che uno spazio vuoto nel corridoio fiocamente illuminato. "Uno spettro" fu il bizzarro pensiero che l'attraversò. Poi si diresse nella sua camera sospirando, chiedendosi se per caso un fantasma avesse lanciato la sua maledizione su Max. Una maledizione impossibile da spezzare ... Max tornò a mezzanotte, sotto una coltre d'acqua torrenziale e una batteria di tuoni. La pioggia aveva cominciato a cadere di sera, spezzando il caldo opprimente e diffondendo un tocco fresco sopra le paludi della Louisiana. Ma l'acquazzone aveva trasformato le strade in una distesa di fango, quasi impossibile da attraversare per j cavalli e ancora più difficile per le ruote delle carrozze. Max attraversò la casa silenziosa con le mascelle serrate al pensiero della moglie che dormiva tranquilla al piano di sopra. A lui la notte non portava alcun ristoro, solo un tormentato rigirarsi senza riposo. Si diresse su per le scale con l'eccesso di cautela di chi aveva bevuto troppo. E infatti era ubriaco, avendo trascorso la serata in taverna a inghiottire liquori forti, non il borgogna e il porto a cui si limitavano di solito i gentiluomini. Dai suoi capelli e dai vestiti colava un copioso rivolo d'acqua sul tappeto delle scale. Pensare che Noeline l'indomani sarebbe stata furiosa, ma non avrebbe avuto il coraggio di dire una parola, procurò a Max un meschino senso di soddisfazione. Nessuno osava riprenderlo per ciò che faceva quando era di cattivo umore. L'intera famiglia, compresa la servitù, preferiva restargli alla larga in quelle occasioni. «Max» udì mentre arrivava in cima alle scale. Si fermò e vide Lysette, coperta da una sottile camicia da notte, con la lunga treccia rossa che le ricadeva sulle spalle e fino alla vita. Il viso pallido e la camicia bianca quasi brillavano nell'oscurità. «Sembri un piccolo fantasma» le disse. Le si avvicinò di un passo, ma poi si fermò come contro un muro invisibile. «Ti ho sentito entrare. Hai bevuto, vero?» Lei si fece avanti e gli sfiorò il braccio. «Lascia che ti aiuti ad andare in camera tua.» «Non mi serve aiuto.» «Io credo di sì» disse lei stringendogli il braccio. «Ti prego, Max.» Lui ubbidì con uno scontroso borbottio, rabbrividendo negli abiti bagnati. Arrivati nella sua stanza, Lysette avanzò a tentoni per accendere la luce vicino alletto. «Lascia stare» mormorò. «Mi addormenterò subito. Devo solo ... uscire da questi vestiti.» Si sedette su una sedia e si tolse gli stivali infangati, mentre Lysette gli portava alcuni asciugamani puliti. Max fece per sciogliersi la cravatta, scoprendo che era già slacciata e gli pendeva senza vita sul petto. La gettò sul pavimento e si mise a lottare con la giacca e il panciotto. Poi fu la volta della camicia gocciolante. Si ritrovò in piedi, con addosso solo i pantaloni, mentre Lysette gli strofinava petto e schiena. Lei era profumata, delicata asciutta, mentre lui era uno spettacolo ripugnante. «Lysette, devi andartene subito» le ordinò in tono irritato. Lei si fermò. «Perché?» «Perché sono troppo ubriaco per qualsiasi cosa. Quindi faresti meglio ad andartene nel tuo letto o ti ritroverai nel mio, indecorosamente a gambe all'aria.» Un lampo illuminò la stanza di luce blu. Durante quei pochi secondi di luce i loro sguardi si incontrarono con un'intensità che a Max fece rizzare i capelli alla base del cono. Rimase immobile, con il cervello pieno d'alcol che cercava di interpretare il significato di quell'espressione. Poi, improvvisamente, sentì le piccole mani di lei sui pantaloni, le dita che si flettevano per aprire i bottoni. Gli mancò il fiato e il suo membro scattò, indurendosi e gonfiandosi all'istante. «Lysette ...» I polmoni pompavano come mantici impazziti. «No, no. No. Se mi tocchi, non potrò ...» Ma si interruppe bruscamente quando i pantaloni si aprirono e la mano calda di lei gli scivolò lungo il sesso eretto, su e giù. Presto anche l'altra mano di Lysette lo raggiunse e gli circondò i testicoli, accarezzandoli delicatamente. «Non potrò ...» balbettò, afferrandole le spalle con le mani tremanti. «Non potrai ... cosa?» domandò Lysette, soffiandogli contro il capezzolo. Con la punta della lingua gli sfiorò quel punto sensibile. Lui sentì il petto bruciare, il sangue rombargli nelle orecchie fino a cancellare quasi ogni altro suono. «Non potrai... fare l'amore con me?» Lui l'afferrò per la treccia e le tirò la testa all'indietro. «Non potrò fermarmi» rispose senza fiato, schiacciando la bocca sulla sua. 8 Dopo aver spogliato Lysette ed essersi tolto i calzoni. Max la portò a letto. «Ti ho desiderato dal primo momento in cui ti ho visto» le disse con voce roca. «Anche sporca, graffiata, con il seno schiacciato, ho pensato che eri bellissima. Eri così esausta da stare a malapena in piedi ma mi sfidavi come nessuno aveva mai fatto.» «E tu mi desideravi» rispose lei compiaciuta inarcandosi mentre lui la baciava sul collo. Lui rispose continuando a sommergerla di baci, ognuno una lenta vampata di fuoco. «Così tanto da ripromettermi ... di fare qualsiasi cosa pertenerti con me. Il suo respiro si fece instabile, mentre guardava il corpo nudo di lei. «Lysette ... non cambiare idea, stanotte. Temo che non sarei in grado di fermarmi ...» Lysette lo interruppe tirandosi le mani di lui sul seno. «Non cambierò idea» sussurrò. «Fai quello che vuoi. Fai tutto.» «No, non tutto» disse lui con voce spessa, mentre con le dita le accarezzava le piccole curve del seno. «Sei troppo innocente per quello, ma petite.» Un brivido delizioso la percorse lungo la schiena. «Allora fai quel che pensi possa sopportare.» A Max non servivano altri inviti. Si sdraiò su di lei, immobilizzandola. La lunghezza del suo sesso era schiacciata tra le gambe di lei, sul suo triangolo di ricci di seta. Lysette si rilassò sotto di lui, chiudendo gli occhi. Lui le prese un capezzolo tra le dita, accarezzandolo delicatamente e facendolo inturgidire. Chinò la testa e richiuse la bocca soffice e calda su di lei. Stuzzicò quella punta delicata con la lingua, fino a quando lei non poté fermare il gemito disperato che le nasceva nella gola. Allora passò la lingua sul suo seno, affondando nella piccola valle al centro e risalendo languidamente per l'altra curva. Con la lingua le lambì l'altro seno con una carezza tanto vellutata da farlo palpitare in maniera insopportabile. Lei l'afferrò per i capelli e se lo schiacciò sul petto, spingendolo a prenderlo tutto nella bocca. Lui ubbidì con una lentezza che quasi la fece urlare. Lysette intuì confusamente il gioco sensuale che lui stava proponendo: intendeva prolungare il suo desiderio lancinante, e anche il proprio, fino a quando non avrebbero più potuto sopportarlo. A ogni passaggio della lingua, Lysette scattava verso l'alto, inarcando i fianchi contro il suo membro. E quel contatto era così incendiario che iniziò istintivamente a concentrarsi sui movimenti, le sue gambe che si aprivano, il suo corpo che strofinava quello di lui con un ritmo in accelerazione. A Max sfuggì una risata soffocata e rotolò via da lei. «No» disse lei senza fiato. «Max, lasciami fare ...» «Non ancora.» La sua voce era bassa e roca per la passione. «Ti darò tutta la soddisfazione che cerchi, petite ...ma non ancora.» Allora Lysette salì a cavalcioni su di lui, premendo la bocca sulla sua, schiacciandosi tutta contro il suo corpo nello sforzo di vincere il suo controllo. Per qualche infuocato secondo Max le permise di accarezzarlo ovunque, di fare ciò che voleva. Subito dopo, però, la rovesciò sul letto inchiodandole le braccia ai lati. «Lasciati toccare» lo implorò Lysette affondando le dita nel materasso. Lui la ignorò, infilandosi tra le sue gambe. «Max» gemette «devo toccarti. Lasciami fare, ti prego, devo sentirti.» Per tutta risposta lui iniziò a baciarla e leccarla lungo la linea delle costole, poi più giù sullo stomaco, mentre lei sentiva i muscoli dell'addome tendersi di piacere. Con la lingua le carezzò l'ombelico con languidi cerchi. Lysette respirava ormai con affanno, ma lui continuò a stuzzicarla finché non la sentì sudata e contorta sotto di lui. A quel punto scese ancora con la bocca, muovendosi languidamente sul suo stomaco. Lei rimase sconvolta sentendo le labbra di Max avvicinarsi al suo sesso. «Max» gemette, mentre lui l'accarezzava gentilmente tra le cosce, respirando profondamente il suo aroma femminile. Lysette si sentì quasi morire per quell'intimità insopportabile e gli immerse le dita nei capelli bagnati di pioggia. «No» disse senza fiato, cercando di tirarlo via. «Hai detto che potevo fare qualsiasi cosa» obiettò lui, frugando con le dita il delicato ingresso del suo corpo. «Non sapevo quel che dicevo. Non pensavo ... Oh, Dio.» Max aveva fatto l'inimmaginabile, entrando con la lingua dentro di lei, spingendosi oltre le pulsanti labbra del suo sesso. Ormai non poteva far altro che arrendersi e sospirò, affondando le dita nella folta capigliatura bagnata che aveva tra le gambe. Lui la esplorò, affamato, tenendola ferma per i fianchi. E a ogni affondo della sua lingua un po' dell'innocenza di Lysette si scioglieva. Presto l'attenzione di Max si focalizzò sul picco eretto che pulsava di desiderio e cominciò a succhiarlo delicatamente, aspirando ritmicamente la sua carne vulnerabile. Allora Lysette spalancò le ginocchia in una preghiera disperata. Avendo pietà di lei, Max la colpì con leggeri, veloci affondi della lingua, mentre con il dito trovava l'apertura del suo corpo e scivolava dentro di lei. Lei arrivò all'orgasmo con un gemito roco, chiudendo le ginocchia tremanti intorno alla testa di Max. Che rimase con la bocca su di lei a lungo, assaporando ogni brivido di piacere, finché non la sentì sfinita e stremata. Il momento era giunto. Max si stese tra le sue gambe e la penetrò con una spinta veloce. La riempì completamente, spingendo in avanti fino a non poter andare oltre. Lysette si morse il labbro contraendosi a quella dolorosa intrusione e lo colpì sulla schiena con i pugni. Max si fermò immediatamente. «Fa male?» Le prese il capo tra le mani, sfregando le labbra sulle sue. «Mi dispiace, ma petite. Cercherò di stare più attento. Mi dispiace ...» «Non fermarti» gemette, stringendosi a lui. Con un gemito roco, Max iniziò a spingere dentro di lei con attenzione, cercando di non farle male. Le baciò il seno, la bocca, perdendo consapevolezza di tutto tranne che di lei. Il suo respiro affannoso contrastava violentemente con l'agile movimento dei fianchi e Lysette non poté non comprendere il rigore del controllo che si era imposto. Seppellì il viso nella curva del suo collo. «Sapevo che sarebbe stato così» gli sussurrò, accarezzandogli i muscoli d'acciaio della schiena sotto la pelle madida dì pioggia e sudore. «Sapevo che saresti stato delicato. Non trattenerti. Ti voglio tutto.» Quelle parole lo spinsero oltre il limite. Max gemette trafiggendola profondamente e lei gemette deliziata, sentendo dentro di sé quella carne pulsante. Era strano sentirsi così vulnerabile e al tempo stesso così forte, il corpo riempito che circondava l'uomo che amava. E ancora più strano era che si fosse finalmente concessa a lui senza sapere se lui ricambiava i suoi sentimenti. Ormai voleva darsi senza condizioni né previsioni. Quando ebbe raggiunto il sollievo, Max scivolò su un lato e la strinse al petto. Facendo le fusa, lei gli mise una gamba tra le sue, godendosi tutto il suo calore e la sua forza. In quel momento dalla finestra socchiusa entrò il profumo della tempesta, che si mescolò in modo inebriante con l'aroma muschiato di pelle umida e sesso. Accarezzandole dolcemente un seno, Max parlò con voce profonda e languida. «Andrà meglio la prossima volta, te lo prometto.» «Spero di no.» Lysette gli accarezzò la vita, nel punto in cui la pelle abbronzata si faceva pallida sul fianco. «Non sono sicura di poter sopravvivere a qualcosa di più intenso.» Lui si senti prorompere una risata dal petto e le schiacciò le labbra sui capelli. «Che moglie appassionata!» le sussurrò. «Più appassionata della tua placée?» A quella domanda Max si fermò. «Non c'è confronto tra te e Mariame, ma chère.Non ho mai desiderato nessuna, né ho mai trovato piacere con nessuna, come con te.» «Però vuoi bene a Mariame, oui? «Naturalmente. È stata un'amica gentile e generosa. Le devo molto.» «Come?» domandò Lysette avvertendo una fitta di gelosia. «Dopo la morte di Corinne, pensavo che non avrei mai avuto nessun'altra. Ogni donna di New Orleans mi temeva e io ...» S'interruppe, sentendo le parole bloccate nella gola. «In un certo senso anch'io avevo paura di me stesso» riprese, poi, dopo una lunga pausa. «Era tutto diverso. Ero abituato a essere amato e ammirato e d'improvviso mi trattavano tutti con disprezzo, freddezza o paura. Sono rimasto casto per quasi due anni. Poi ho sentito che Mariame era stata abbandonata dall'uomo che l'aveva mantenuta. L'avevo vista, e ne ammiravo la bellezza. Lei aveva bisogno di qualcuno che si prendesse cura di lei e del figlio ... e io avevo bisogno di una come lei.» «Com'è Mariame?» chiese Lysette. «Confortevole» rispose lui dopo un attimo. «Ha un carattere piacevole. Non l'ho mai vista arrabbiata e non è mai stata esigente o impaziente.» «A differenza di me» commentò Lysette mestamente. Lui si sporse su di lei con atteggiamento quasi minaccioso. «Sai cosa cambierei di te, petite?» le chiese piano. «Cosa?» chiese lei, intimorita dalla possibile risposta. «Niente.» Chinò la testa su di lei e a lungo furono troppo occupati per parlare. 9 Max si svegliò con l'impressione che demoni invisibili lo percuotessero sulla testa con magli giganteschi. Quando aprì le palpebre, un raggio di sole gli trafisse gli occhi pulsanti, provocandogli un sussulto di dolorosa sorpresa. Si voltò imprecando in francese e in inglese e infilò la testa sotto il cuscino nel tentativo di sottrarsi all'inizio di una nuova giornata. «Mon mari» esclamò la voce divertita, ma comprensiva di Lysette. La sua mano gentile gli accarezzò la schiena nuda. «Come posso aiutarti? Qual è la tua cura abituale per... com'è che dicono gli americani? "smaltire la sbornia"? Vuoi del caffè? Un bicchiere d'acqua fresca? Un infuso di scorza di salice?» Lo stomaco di Max si contrasse all'idea di mandare giù qualsiasi cosa. «Dieu, non. Lasciami solo ...» Ma si interruppe quando la carezza gli risvegliò la memoria della notte precedente. Molti dettagli erano andati perduti nella nebbia dell'alcol, ma ricordava di averla incontrata quando era tornato a casa ... lei l'aveva aiutato a togliersi i vestiti... e dopo lui... Scagliò lontano il cuscino e scattò seduto, ignorando le fitte di dolore che gli trapassavano le tempie. «Lysette» gemette. Lei si sedette sul bordo del letto, con la camicia da notte bianca a balze e la treccia tenuta stretta da un nastro di pizzo. Sarebbe sembrata un angelo, non fosse stato per il fatto che un angelo non poteva avere labbra tumefatte dai baci o arrossamenti su tutto il collo. «Rilassati, mon cher» ribatté lei con un sorriso. «Non c'è motivo di essere così allarmato.» «Ieri notte ...» balbettò lui, sentendosi un freddo mortale diffondersi nelle viscere. «Siamo stati insieme. Non lo ricordo del tutto, ma so che noi...» «Esatto.» L'informazione sprofondò Max in un abisso di vergogna e sconcerto. Nessun gentiluomo degno di questo nome avrebbe posseduto la moglie da ubriaco ... tanto meno se si trattava di una vergine, che avrebbe richiesto gentilezza, capacità d'autocontrollo e tatto. E invece lui ... le aveva portato via l'innocenza da sbronzo! Quella consapevolezza lo schiacciava. Di sicuro le aveva ratto male. Buon Dio, lei non gli avrebbe permesso di toccarla mai più e avrebbe avuto ogni ragione. «Lysette ...» Allungò una mano verso di lei, ma subito la ritrasse. «C'è stata violenza?» le chiese roco. Lei sgranò gli occhi per la sorpresa. «No, certo che no.» «Ti ho fatto male? Sono stato rude?» La sua improvvisa risata lo sconvolse. «Non ricordi davvero quello che è accaduto, mon mari? Non sembravi così inconsapevole di ciò che facevi.» «Ricordo la parte che riguarda me, ma non la tua.» Sorridendo, Lysette si chinò in avanti e gli sfiorò le labbra con la punta delle dita. «Allora, ti racconterò. Mi hai torturato, mon cher,e mi hai fatto soffrire terribilmente. E io ho adorato ogni singolo istante di quel tormento.» «Non mi sono preso cura di te dopo» realizzò Max inorridito. «Non ti ho portato né acqua, né un telo, né ...» In quel momento un pensiero gli esplose nella mente: alzò il copriletto e subito vide la traccia rossa sul lenzuolo. Lei aveva perso sangue e lui non l'aveva assistita in alcun modo. «Mon Dieu» mormorò. «Ti sei addormentato subìto dopo la ... fatica» ammise Lysette con un malizioso sorriso, risalendo con il dito lungo la sua coscia muscolosa. «Ma non ho avuto alcun problema a fare da sola,mon mari.» Max non comprendeva come lei potesse sorridere dopo quello che le aveva fatto ... Dio, violentarla così, nel cuore della notte, mentre non sì reggeva in piedi per l'alcol. Si passò le mani tra i capelli, disperato. «Lysette» iniziò senza avere il coraggio di guardarla «se puoi trovare un modo per perdonarmi prima o poi... ti giuro che non accadrà mai più. Sono certo che ora ti sarà difficile crederlo, ma io...» «Ti perdonerò a una condizione» disse lei gentilmente. «Tutto quello che vuoi.» «La mia condizione è ...» Lei si chinò su di lui per sfiorargli la guancia ispida con le labbra «che tu lo rifaccia stanotte.» Poi si alzò dal letto prima che lui potesse ribattere. Rendendosi conto a poco a poco che la notte precedente non era stata la catastrofe che temeva, Max si accasciò contro la testata del Ietto sospirando. Un senso di sollievo gli diffuse nel petto un calore buono. «Un po' di caffè?» domandò lei. «Ti farà bene alla testa.» Lui emise un piccolo grugnito d'assenso. Lysette andò al tavolino vicino alla finestra, dove era posato un vassoio d'argento, e versò il caffè fumante in una tazza di porcellana di Sèvres. Poi tornò da lui, gli porse la tazza e lo aiutò a sistemare i cuscini dietro la schiena. «Alors» esordì «ora che abbiamo finalmente dormito insieme, forse smetterò di trovare strisce di tessuto rosso sotto il cuscino.» Max si immobilizzò con la tazza davanti alle labbra. «Strisce di tessuto rosso?» ripeté confuso. «Ouì. Noeline le mette per attirare le Miché Agoussou. Un sorriso involontario gli piegò le labbra. «Il demone creolo dell'amore, Be', puoi informarla che stanotte ci ha visitato per vendicarsi.» Lysette sorrise, mentre un rossore si diffondeva sulle sue graziose guance lentigginose. «Non credo che ci sia bisogno di informarla dì alcunché. L'intera casa ne è al corrente. Ecco uno degli svantaggi di abitare insieme a una famiglia così numerosa ...» «Questa mancanza di intimità ti disturba?» le chiese lui, ponendosi il problema per la prima volta. Lei si strinse nelle spalle. «Questa casa è abbastanza grande da fornirmi dei nascondigli quando ho voglia di solitudine. E mi piace la compagnia della tua famiglia, anche se avrei gradito che ci fossero più donne. Anzi, dovremmo affrontare il problema e aiutare i tuoi fratelli a trovare moglie, che dici?» «Nessuno dei due sembra ansioso di sposarsi. Vivono in una casa ben gestita e hanno tutta la libertà che desiderano. Se hanno bisogno di compagnia femminile si rivolgono alle tante signore in città disponibili a soddisfarli. Perché dovrebbero volere una moglie?» Lysette lo guardò indignata. «E i bambini?» Max le rispose con un'occhiata sardonica. «È probabile che, dopo avere conosciuto i gemelli, i miei fratelli abbiano ricevuto un'impressione piuttosto negativa della paternità.» «Be', innanzi tutto non tutti i bambini sono come i gemelli...» «Grazie al cielo no.» «Inoltre, se il celibato è una condizione così meravigliosa, perché mi hai sposata?» Max la osservò da sopra il bordo della tazza, ammirando le sue forme perfette sotto l'indumento da camera. «Pensavo di averlo chiarito ieri notte.» «Ah.» Lysette si avvicinò a lui con un'attitudine del corpo che emanava una nuova sicurezza sessuale, assolutamente irresistibile. «Mi hai sposato per il mio corpo, allora» continuò, chinandosi su di lui in modo che le vedesse attraverso la scollatura, dalla punta dei capezzoli fino agli esuberanti ciuffi rossi che aveva tra le gambe. Max deglutì in fretta il resto del suo caffè, ma il calore della bevanda era niente in confronto alla temperatura del suo corpo. «Esattamente» rispose trattenendo una risata. «Be', forse io ti ho sposato per il tuo, mon mano» «La cosa non mi dispiace affatto» ribatté lui, afferrandola tra le braccia. Purtroppo, però, furono interrotti da un bussare deciso alla porta e Max osservò con indignazione sua moglie che sì alzava per andare ad aprire. Vedendo Noeline comparire sulla soglia con un vassoio traboccante, si coprì il torace con il lenzuolo. Evidentemente, però, la nuova situazione incontrava l'approvazione della casa. L'espressione della governante era serena come al solito, ma c'era una scintilla soddisfatta nei suoi occhi nerissimi, mentre posava il vassoio sul tavolo. «Bon matin» salutò placidamente. «Era ora che trovassi madame insieme a voi, monsieur.» Lysette si sedette, prese un croissant e lo addentò con evidente piacere. «Ora» continuò Noeline «se Dio vuole ci saranno di nuovo bambini nella casa. È passato troppo tempo dalla nascita dei gemelli.» Conoscendo il padrone da sempre, si era guadagnata la libertà di dirgli tutto ciò che voleva, anche in ambiti molto personali. «Noeline» esclamò Max bruscamente «fammi subito preparare un bagno caldo. Finirà che arriverò in ritardo al mio appuntamento in città.» La governante corrugò la fronte in segno di disapprovazione. «Uscite anche oggi monsieur? E lasciate la vostra bella mogliettina senza bambini?» Nella mentalità creola la prima responsabilità di un marito era quella di mettere incinta la moglie. Nessuno di ceto alto o basso avrebbe mai messo in discussione il fatto che una giovane coppia dovesse trascorrere giorno e notte a letto nello sforzo di riprodursi. Questo, in fin dei conti, era il significato e l'intento della luna di miele. Max fulminò la governante con un'occhiata minacciosa. «Puoi andare, Noeline.» «Ouì, monsieur» rispose lei, per niente preoccupata. E mentre chiudeva la porta la sentirono borbottare: «Come farà ad avere bambini da sola, vorrei proprio saperlo ...» «Quando tornerai?» gli domandò Lysette, spalmando miele sul suo croissant. «Questo pomeriggio presto, credo.» «Allora penso che me ne andrò a cavalcare per la piantagione» ribatté lei. «Ci sono ancora delle zone che non ho visitato.» «Fatti accompagnare da qualcuno.» «Oh, ma non c'è bisogno ...» «Sì che c'è. Se tu dovessi avere qualsiasi difficoltà … se il cavallo perdesse un ferro o incespicasse ... non voglio che ti trovi da sola.» «D'accordo.» Lysette riversò la testa all'indietro, mentre gustava un morso del croissant e il suo evidente godimento del boccone finì con l'eccitarlo ancora di più. «Lysette» le ordinò Max roco «portami quel miele.» «Con un croissant?» «No, da solo.» Lo sguardo perplesso di Lysette incontrò il suo e, mentre incominciava a comprendere, lei scosse il capo con aria decisa. «Ah no, pervertito che non sei altro ...» «Subito» insistette lui, battendo la mano sul materasso al suo fianco. «Hai promesso di obbedirmi, chérie. Stai già mancando al giuramento?» «Non ti ho mai promesso una cosa del genere.» «Oh sì. Durante il matrimonio.» «Ma ho incrociato le dita ...» Max gettò via le coperte, rivelando n suo corpo nudo, e andò a prendere sua moglie ridacchiante, La caricò su una spalla e la portò a letto, senza dimenticare il barattolo di miele. «Sai cosa fanno i creoli alle mogli disobbedienti?» le domandò depositandola sul materasso. «Sto per scoprilo?» domandò lei, con le guance accese da un rosa brillante. «Oh sì» mormorò lui e si sdraiò su di lei. Come Lysette immaginava, quando più tardi raggi unse la famiglia Vallerand in salotto, fu sottoposta a un esame particolarmente approfondito. Persino Alexandre, che stava riprendendosi da una sbronza evidente, alzò lo sguardo stordito su di lei. «Buongiorno a tutti» salutò Lysette cercando di apparire disinvolta. Justin, che stava stravaccato in un angolo con un pasticcino in mano, ruppe la tensione con la sua tipica rudezza adolescenziale. «Stanno tutti cercando di capire come ve la siate cavata dopo una notte con papà. Ma, a giudicare dall'aspetto, a me pare che stiate benissimo.» Lysette gli sorrise, nonostante la reazione scandalizzata del resto della famiglia. «No, non andare via Justin» gli disse, sfiorandogli la spalla. «Me ne stavo andando comunque. Philippe e io abbiamo lezione di scherma in città.» «Benissimo, spero che vi divertiate e tutto vada bene. Justin sorrise, passandosi la mano tra i capelli corvini. «Va sempre bene. Io in particolare sono il miglior spadaccino della città ... dopo mio padre. Bon matin, beìle-mère!» disse baldanzoso, andandosene alla ricerca di suo fratello. «Ah quel ragazzo …» «Irénée non terminò la frase, ma la sua irritazione era evidente. «Max avrebbe dovuto dargli una lezione molto tempo fa» ribatté tetro Alexandre, sorseggiando il caffè. «Ormai è palese quanto sia stato viziato.» «Justin sta solo cercando di farsi notare» replicò Lysette, sedendosi accanto alla suocera. «Philippe si guadagna l'attenzione comportandosi bene. Naturalmente l'unico modo che resta a Justin è quello di comportarsi male. Ma, se lo trattiamo con pazienza e comprensione, non ho dubbi che migliorerà.» Poi si voltò verso Irénée, determinata a cambiare argomento. «Sapete, oggi pensavo di fare una cavalcata per la piantagione.» «Fatti accompagnare da Elias, però» suggerì la donna. «È un bravo ragazzo, tranquillo e di buone maniere. E ti può essere di aiuto per qualsiasi evenienza.» «Dove pensate di andare?» le chiese Bernard. Lei si strinse nelle spalle. «Forse verso est, al di là del bosco di cipressi.» «Non c'è niente da vedere in quella zona» replicò lui corrugando la fronte. «A parte le rovine della vecchia casa del sovrintendente.» Alla menzione di quel luogo sui presenti calò un pesante silenzio. Lysette guardò la suocera, che aveva improvvisamente dedicato tutta la sua attenzione allo zucchero da aggiungere nel caffè. Riflettendo sulle ragioni di quello strano comportamento, Lysette comprese che la casa del sovrintendente doveva essere il luogo dove era stata trovata uccisa Corinne. «Pensavo che fosse stato abbattuto» disse allora. «Avrebbe dovuto» annuì Irénée. «Sfortunatamente non si è trovato nessuno, né nella piantagione, né a New Orleans, disposto a farlo. Superstizione, capisci...» Lysette capiva. La cultura creola temeva i luoghi dove erano avvenuti dei fatti di sangue. Qualsiasi elemento della casa ... un legnetto, un frammento di mattone, portava con sé l'essenza del demonio. Oggetti del genere potevano essere usati per creare potenti gris-grìs, amuleti vudù destinati a portare morte e sofferenze alla vittima. Nessuno avrebbe rischiato la maledizione, profanando un luogo infestato. «Qualcuno ha stupidamente sostenuto di averci visto dei fantasmi» continuo Irénée. «Persino lustiri ... anche se io sospetto che sia stato solo per farci uno scherzo.» «Nessuno degli schiavi è disposto ad avvicinarsi» confermò Bernard. «Se provate a visitare la casa, Vedrete che Elias si fermerà almeno a tre metri.» Lysette non impiegò molto a scoprire che Bernard aveva ragione, Elias, che montava un placido mulo dietro di lei, si bloccò bruscamente non appena intravide la sagoma della casa del sovrintendente ergersi di fronte a loro, L'edificio era collocato in una posizione lontana dalla villa principale, sul bordo di campi che un tempo erano stati produttivi, ma che negli ultimi dieci anni non erano più stati toccati. La terra si era così ricoperta di erbacce selvagge che tra non molto, dato il clima tropicale, avrebbero raggiunto anche la casa e l'avrebbero sgretolata con l'umidità e gli insetti. «Elias?» fece Lysette, voltandosi. Il ragazzo, però, non stava guardando lei, ma la casa. Con gli occhi sgranati e le narici dilatate. «Volete andare là dentro, madame?» le domandò piano. «Solo per qualche minuto» rispose lei, spronando la sua cavalcatura, «Allons.» Il ragazzo non si mosse. «Non possiamo, madame. Ci sono i fantasmi.» «Non ti chiedo di entrare insieme a me» lo rassicurò Lysette con voce dolce. «Aspettami all'esterno, finché non ritorno,d'accord?» Ma quando lo guardò negli occhi, si accorse che era profondamente agitato, lacerato tra la paura di avvicinarsi ulteriormente e la volontà di compiacerla. «Elias, rimani qui... io torno subito» gli disse allora. «Ma, madame ...» «Non mi accadrà niente di male. Ci metterò solo pochi minuti.» Lysette raggiunse l'edificio cadente e legò il suo cavallo a una colonnina del portico. Si tolse il cappello dì paglia e lo posò sulla scala. Mise il piede sul primo gradino chiedendosi se avrebbe mai retto il suo peso, ma il legno, pur emettendo un sinistro scricchiolio, non cedette. Si avvicinò con cautela alla porta, che pendeva di sbieco, ricoperta di muschio. Un'aria di tristezza e squallore gravava sul posto, come se il delitto che vi era stato commesso si fosse infiltrato in ogni asse e mattone. Cercò di immaginare come fosse stata la casa dieci anni prima, quando Corinne Vallerand vi si recava di soppiatto per incontrare clandestinamente il suo amante. Come poteva esserle venuto in mente di tradire il marito in un luogo così vicino a casa? Sembrava quasi che volesse essere scoperta. Dopo aver spinto la porta, Lysette si intrufolò dentro, abbassandosi per passare sotto una matassa di ragnatele. L'interno pareva una tomba. Umida e maleodorante, con le pareti tappezzate di chiazze verdi. Unto e polvere ricoprivano i vetri delle finestre, impedendo alla luce del sole di entrare. Insetti di ogni tipo si rifugiarono nelle crepe delle pareti al suo passaggio. Spinta dalla curiosità, Lysette si fece strada attraverso la sporcizia fino alla stanza sul retro. E subito le vennero i brividi pensando che l'omicidio doveva essere avvenuto proprio in quella camera. Poi udì un rumore di passi, il suono di qualcuno che scalciava un frammento di stoviglia, e il suo cuore sì fermò per un istante. «Elias?» gemette, voltandosi dì scatto. «No.» Era suo marito, che si avvicinava con lo sguardo fisso su di lei. I lineamenti di Max sembravano scolpiti nel marmo, ma il suo sguardo era tormentato, Non le chiese perché si fosse recata lì: pareva trovare difficile anche il solo parlare, Il suo volto era pallido e nei suoi occhi luccicavano scintille residue dell'orrore che ancora provava all'affiorare dei ricordi. Lysette corse da lui, gli posò una mano sulla guancia e quel tocco gentile sembrò sbloccare la paralisi che gli aveva intrappolato la gola. Max si leccò le labbra livide e disse roco: «Ho trovato Corinne qui, in quell'angolo, sul pavimento. Ho capito subito cosa era accaduto ... il colore della sua pelle ... i segni sul collo. Ho sentito dire che a strangolare una persona si fa una fatica terribile: ci vuole molta rabbia o odio, per riuscire a uccidere così.» Lysette gli rimase vicino, accarezzandogli il petto dolcemente. «So che non sei stato tu» sussurrò. «Avrei potuto, però» ribatté Max. «In un certo senso l'ho desiderato. Corinne mi ha detto e fatto cose inimmaginabili... Mi ha quasi intossicato. Non è stato difficile imparare a odiarla. Non so cosa mi sarebbe accaduto, se avesse vissuto di più.» «Perché era diventata così?» domandò Lysette a bassa voce. «Non lo so.» Gli occhi di Max erano quelli di un annegato. «Probabilmente c'era qualcosa di malato in lei. Circolavano voci che ci fossero stati casi di pazzia nella sua famiglia, ma i Quérands l'hanno sempre negato.» Il suo sguardo rimaneva fisso all'angolo maledetto. «Quando mi sono reso conto che Corinne era morta, sono rimasto paralizzato. Mi dispiaceva per lei, ma allo stesso tempo mi sentivo ... come ... sollevato. Il pensiero che mi ero liberato di lei...» Max si bloccò con le guance paonazze, la mascella tremante. «Ero maledettamente felice che fosse morta» sussurrò. «E quel sentimento mi ha reso colpevole come se fossi stato il vero assassino, no?» Sopraffatta dalla compassione, Lysette si strinse al corpo teso di suo marito. «No, è una sciocchezza. È questo il fardello che ti sei portato sulle spalle così a lungo? I sentimenti non sono azioni. Tu non hai fatto del male a Corinne. Non hai motivo di sentirti in colpa.» Anche se Max non reagiva al suo abbraccio, gli posò la testa sul petto. «Come hai capito che mi trovavo qui?» Max cercò di rendere ferma la voce. «Il mio appuntamento in città è stato cancellato, perché Claiborne aveva impegni più urgenti altrove. Quando sono tornato alla piantagione, ho visto Elias che tornava a casa di gran carriera. È stato lui che mi ha detto dove trovarti.» «Mi dispiace» ribatté lei sinceramente. «Non volevo turbare né lui, né te. Ero solo curiosa.» «Ovviamente. Sapevo che era solo una questione di tempo ... Avrei dovuto abbattere questo posto orribile con le mie stesse mani tanto, tanto tempo fa.» Lysette si guardò intorno, improvvisamente ansiosa di lasciare quel tugurio e ì dolorosi ricordi che risvegliava in suo marito. «Max, riportami a casa, per favore.» Ma lui non diede segni di averla udita, «Vienilo incalzò, ma improvvisamente lui la stupì afferrandola per le braccia e seppellendo il volto tra i suoi capelli.» Un violento tremito gli scosse tutto il corpo, «Perché tu non hai paura di me?» le domandò, affranto. «Dovrai pur avere qualche dubbio ... in fondo siamo ancora due sconosciuti.,. Non puoi essere certa della mia innocenza. A volte persino io penso ...» «Ssh... non dire nemmeno una parola» sussurrò lei, schiacciando le labbra sulle sue, «Io ti conosco, So esattamente che tipo di uomo sei.» Max si lasciò baciare per un istante, poi si ritrasse, non volendo condividere un momento di intimità in quel luogo. «Andiamocene» sbottò allora, prendendola per mano. Vedendo come era stato silenzioso e agitato Max per tutto il giorno, Lysette si pentì di aver voluto visitare la casa del sovrintendente. Non gli avrebbe mai causato volontariamente una tale angoscia. Anche se Max era rimasto tutto il giorno a lavorare in biblioteca, il suo umore tetro pareva avere contagiato il resto della casa e l'atmosfera si era fatta cupa e inquieta. Comunque, nessuno disse una parola a Lysette. Almeno finché Bernard non la inchiodò in un angolo dopocena. I due si incontrarono in corridoio, mentre lui si stava recando nella piccola dependance per ospiti dove risiedeva. Si voltò a destra e a sinistra per controllare che nessuno stesse arrivando, poi con voce tagliente le disse: «Vi avvertirò una volta sola, Lysette, non solo per il vostro bene, ma anche per quello di mio fratello. Smettetela con la vostra curiosità su Corinne. È pericolosa, capite? Lasciate stare il passato ... o tornerà indietro a rovinarvi.» Lei era troppo sconvolta per rispondere. Dopo averla fissata con occhi scuri e per la prima volta traboccanti di disgusto, Bernard la lasciò andare e corse via. 10 «Un'altra lettera a tua madre?» domandò Max, avvicinandosi al tavolino a cui era seduta Lysette. «Non riesco a trovare le parole giuste» borbottò lei. indicando diversi fogli accartocciati. Max sorrise mentre si rendeva conto che la scrivania e la sedia di Lysette erano state misteriosamente tolte dalla camera di sua moglie e spostate li. Un ulteriore segno dell'invasione femminile che stava avvenendo, Nonostante l'accordo di mantenere due stanze separate, infatti, Lysette aveva gradualmente ma inesorabilmente trasferito sempre più oggetti nel territorio di suo marito. Ogni giorno Max scopriva nuovi articoli femminili sul suo tavolo o sul suo comodino. Una bottiglia di profumo qua, un ventaglio o una cipria là, e ancora forcine, pettini, calze, giarrettiere e ornamenti di pizzo. Quando si ritirava per dormire, trovava sempre Lysette nel suo letto, cosa contraria all'abitudine creola che voleva che la moglie rimanesse nella propria stanza in attesa che il marito la visitasse. In ogni caso, non si azzardò a menzionare il fatto: in primo luogo non voleva urtare i suoi sentimenti, inoltre la situazione gli piaceva. Dopo anni di isolamento e solitudine. scopriva di gradire la compagnia di Lysette e le mille attenzioni che lei gli prodigava. All'inizio aveva temuto che l'improvvisa mancanza di intimità sarebbe stata difficile da sopportare, e invece non lo disturbava. C'erano evidenti vantaggi nell'avere Lysette così vicina: poteva guardarla mentre faceva il bagno o si pettinava i capelli, mentre si vestiva e ... spogliava. Era affascinante seguire i rituali della toilette di una donna che si faceva la treccia o si metteva gli orecchini o si applicava una goccia di profumo dietro l'orecchio. Riportando l'attenzione al problema epistolare, Max si chinò sul tavolo e iniziò a leggere la lettera ancora incompleta. «Né maman, né Jacqueline hanno risposto alla prima lettera che ho scritto» lo informò nel frattempo Lysette. «Ma forse è Gaspard che non permette a nessuno di scrivermi. O addirittura di legge. re le mie lettere!» Max le sfiorò la testa con le labbra. «Da' tempo alla tua famiglia: è passato solo un mese dal matrimonio. Senza contare che hai sposato una delle peggiori canaglie di New Orleans.» «Sei troppo modesto, mon mari. Come canaglia non mi pare proprio che tu abbia rivali.» Lui le lanciò un sorriso malizioso, poi con un gesto felino afferrò la lettera e la accartocciò. La bocca di Lysette si spalancò per la sorpresa. «Perché l'hai fatto?» «Perché non approvo che mia moglie implori affetto e considerazione» rispose lui senza rimorso. Lei lo fulminò con un'occhiataccia. «Scriverò a mia madre quel che mi pare e piace.» Per un po' Max sostenne lo sguardo, poi tirò un profondo respiro. «Mi dispiace» disse infine. «Non volevo fare l'arrogante, ma mi addolora che qualcuno ferisca i tuoi sentimenti. Soprattutto se si tratta dei tuoi parenti.» La rabbia di Lysette scemò subito. «Max» gli disse in tono più dolce «non puoi proteggermi da tutto.» «Pero, posso tentare, no?» Lei scosse il capo ridendo. «Immagino che sia quel che merito per avere sposato un creolo.» «Hai in mente di scrivere un'altra lettera nell'immediato?» le domandò. «Probabilmente no. Pourquoi? «Perché mi farebbe piacere che tu mi accompagnassi in città. Questa mattina è giunto un visitatore importante e mi aspetto di assistere a un discorso interessante nella Pìace d'ermes,» «Oh, mi piacerebbe tantissimo mettere il naso fuori dalla piantagione» esclamò Lysette. «Ma secondo le tradizioni dovrei aspettare ancora una settimana prima di farmi vedere in pubblico e non voglio scatenare in tutta New Orleans il pettegolezzo che ...» «Rimarremo dentro la carrozza» la interruppe Max, divertito dal suo entusiasmo. «Avremmo dovuto farlo in ogni caso. Il posto sarà troppo affollato per muoversi a piedi. Spari di cannone, parate, musica ... Tutto per celebrare l'arrivo di Aaron Burr» «E chi è? Ah sì, quell'uomo che tu e il governatore Claiborne non apprezzate ...» Dopo esser corsa alla credenza, Lysette frugò tra i vestiti e tirò fuori un elegante paio di guanti. La Piace d'Armes, la piazza principale della città che dava sul fiume, era gremita da una folla rumorosa accorsa da chilometri e chilometri per ascoltare e vedere il famigerato colonnello Burr. Quella mattina, il 25 giugno, era arrivato a New Orleans dopo un lungo viaggio attraverso l'Ohio. il Kentucky, il Tennessee, per fare visita ai suoi potenti alleati e per arringare le masse con i suoi discorsi. Burr era stato ricevuto ovunque con entusiasmo, perché sosteneva di avere a cuore solo il benessere e la prosperità degli Stati occidentali. In realtà gli scopi del suo viaggio erano altri, ben più sinistri, ma pochi sospettavano quali fossero. L'evento notevole fu che, pur nel caos dei festeggiamenti, l'inconfondibile carrozza nera e oro dei Vallerand attirò tanta attenzione quanto lo straniero. Le informazioni sulla nuova moglie di Maximilien Vallerand si erano sparse velocemente e presto sciami di persone, sia americane sia creole, circondarono il veicolo nel tentativo di sbirciare all'interno. Persino Max non si aspettava che la presenza di Lysette provocasse tanta curiosità. Lei si mantenne lontana dal finestrino, celandosi alla vista di tutti, ma si concentrò sull'ascolto di tutte le voci all'esterno ... C'era persino chi la chiamava la mariee du diable ... la sposa del demonio. «Ma perché mi definiscono così?» chiese costernata a suo marito. «Ti avevo avvertito» rispose lui. «Il motivo è che hai sposato me. E senza dubbio i tuoi capelli rossi hanno convinto la gente che tu abbia un carattere selvaggio.» «Selvaggio? Sono la persona più mite e costante che tu abbia mai incontrato» disse lei, corrugando la fronte alla buffa smorfia di suo marito. Ma prima che potessero iniziare a discutere sull'argomento, il governatore Claiborne iniziò a fare il suo discorso di benvenuto. Lysette si sporse in avanti nella speranza di cogliere qualche informazione in più. Fuori c'era tutto un mondo di suoni e colori vivaci. Di tanto in tanto passava la scia di un forte profumo francese, che si mescolava all'aroma del sale e del pesce portato dal fiume. Il governatore Claiborne iniziò a gridare per farsi sentire al di sopra della confusione. Mentre il discorso progrediva. Lysette accettò un bicchiere di vino da suo marito e si tolse le scarpe per appoggiargli i piedi in grembo in modo che lui potesse massaggiarli. Le sue mani erano forti ed esperte e la facevano fremere di piacere. Cullata dal vino e dal massaggio, Lysette lasciò la sua mente vagare, mentre il governatore elencava I successi passati di Burr. «Sembra che lo stimi profondamente» commentò distratta. «In realtà lo detesta» la corresse Max con un sorriso maligno. «Ma allora perché ...» «I politici, tesoro, si trovano spesso nella necessità di rendere omaggio ai propri avversari. «Ma io non capisco ...» iniziò lei, ma fu interrotta da un ruggito sordo che era iniziato dal fondo dell'assembramento e ora stava crescendo fino a diventare un boato incontenibile. «Cosa sta accadendo?» «Deve essere apparso Burr» rispose Max. «Grazie a Dio, Claiborne smetterà finalmente di parlare.» Si mosse verso lo sportello e lo apri. «Mi metto fuori ad ascoltare.» «Max, e io posso ...» «Sarà meglio che tu resti qui» ribatté lui lanciandole un'occhiata di scuse. «Mi dispiace.» Lysette incrociò le braccia davanti al petto con aria risentita, mentre suo marito lasciava la carrozza. «Chissà mai perché sono uscita dalla piantagione, se devo rimanere chiusa qua dentro?» Il tumulto all'esterno crebbe e lei si affacciò al finestrino nel tentativo di vedere oltre la barriera di carrozze, cavalli e persone. Sentì una voce diversa in lontananza, forte e potente, che salutava il popolo prima in francese, poi in spagnolo e infine in inglese. Gli ascoltatori proruppero in un caloroso applauso, mescolato a grida e fischi d'approvazione. Non appena Lysette si sporse un po' di più, sentì subito alcune mogli rimproverare i mariti perché stavano fissando la ragazza dai capelli di fuoco. Diversi ragazzi smisero di discutere per ammirarla e alcuni uomini anziani espressero a voce alta il desiderio di essere venti o trent'anni più giovani. Dalla sua posizione a qualche metro di distanza, Max si accorse del nuovo motivo di confusione. Si girò e sospirando vide sua moglie che si sporgeva fuori dal finestrino in uno sforzo disumano di vedere un po' meglio la personalità del giorno. Accorgendosi dello sguardo di Max, lei gli lanciò un'occhiata di scuse e tornò dentro veloce come una tartaruga nel guscio. Max proruppe in una calorosa risata. Tornò alla carrozza, aprì lo sportello e la afferrò alla vita. «Vieni pure» le disse posandola a terra. «Ma non lamentarti se tutti ti guardano... Man Dieu» esclamò, poi, udendo le parole incendiarie del colonnello. «Siamo a un passo dal tradimento. Davvero pensa che Jefferson possa fare finta di non aver sentito simili affermazioni?» Lysette si alzò sulla punta dei piedi. «Non riesco a vedere niente» protestò. «Puoi descrivermi il suo aspetto?» «Lo incontrerai presto» le promise Max. «La prossima settimana parteciperemo a un ballo in suo onore.» «Davvero?» Lei corrugò la fronte per la sorpresa. «E quando pensavi di dirmelo?» «L'ho appena fatto.» I due rimasero ad ascoltare finché la folla non incominciò a dare segni di irrequietezza. I caratteri erano sempre esplosivi sotto il sole della Louisiana e i freni inibitori erano indeboliti dal bere e dall'eccitazione del momento. E la vista di Lysette stava attirando troppa attenzione. La gente la fissava e la indicava apertamente; giovanotti baldanzosi si erano riuniti in capannelli e cercavano di avvicinarsi abbastanza da riuscire a strapparle una ciocca di capelli. «È ora di tornare a casa» disse Max, secco, spingendola dentro la carrozza. «O tra pochi minuti mi ritroverò impegnato in un duello per causa tua.» Un po' per motivi personali, un po' per fare un favore a Claiborne, Max organizzò un incontro privato con il console spagnolo di New Orleans. don Carlos, marchese de casa Yrujo. Dall'arrivo di Aaron Burr, il giorno prima, c'erano stati numerosi andirivieni tra i diplomatici spagnoli che risiedevano in città, Max sperava di riuscire a convincere Yrujo a rivelargli qualche informazione sul complice di Burr, il generale Wilkinson. Ma Yrujo era un diplomatico d'esperienza, I suoi intensi occhi scuri non lasciavano trasparire alcuna emozione. E nonostante il prolungato duello verbale non aveva lasciato trapelare niente che potesse indicare che il governatore Wilkinson fosse una spia spagnola o anche solo una persona informata sui piani cospiratori di Burr. «È un interessante enigma il modo in cui Claiborne sia riuscito a conquistarsi il vostro appoggio, Vallerand» fece notare Yrujo, mentre sorseggiava il vino e si godeva qualche tiro del suosigarìllo nero. «Non vi ritengo un ingenuo e quindi... perché vi alleate con un uomo al quale stanno per strappare il controllo sul territorio? Avete molto da perdere.» «E chi starebbe per strapparglielo?» domandò Max, soffiando un anello di fumo verso la parete, «Rispondete prima alla mia domanda por favor.» Il sorriso di Max non arrivò fino agli occhi. «A mio avviso Claiborne è stato sottovalutato» rispose con aria noncurante. Yrujo scoppiò in una cordiale risata. «Dovrete far meglio di così, Vallerand. Cosa vi ha promesso? Immagino la possibilità di mantenere delle terre che vi sarebbero portate via con il controllo degli americani. O forse state semplicemente sperando di acquistare un'influenza politica. Ritenete saggio scommettere sul fatto che gli americani riescano a evitare la secessione della Louisiana?» «Ora tocca a voi» ribatté Max imperturbabile, «Chi dovrebbe strappargli il controllo del territorio?» «Ma il colonnello Burr, ovviamente. Il fatto che tifi per la separazione non è un segreto.» «Sì, ma Burr sta facendo qualcosa di più che tifare ...» osò Max, rimanendo a osservare le reazioni dello spagnolo. L'espressione del console rimase impassibile. «Questo, amico mio, è qualcosa di cui nessuno può avere certezza. Neppure io.» Max sapeva perfettamente che si trattava di una menzogna. Se Wilkinson stava cospirando insieme a Burr e contemporaneamente rimaneva sul libro paga degli spagnoli, Yrujo doveva avere una cognizione piuttosto precisa delle intenzioni del colonnello. Sporgendosi verso di lui, Max rinnovò l'assalto verbale. «Di recente, don Carlos, vi siete rifiutato di concedere al colonnello Burr un passaporto per il Messico. Ne deduco che non vi piacesse l'idea di aprirgli i vostri confini. Cosa vi ha reso così sospettoso?» «Sono sempre sospettoso quando si tratta di quell'uomo» rispose bruscamente Yrujo. «Non è corretto. Una volta gli avete concesso il permesso di entrare in Florida.» Il console spagnolo scoppiò di nuovo a ridere, ma aveva un'aria ben poco divertita. «I vostri informatori, Vallerand, sono migliori di quanto immaginassi.» Silenziosamente Max diede un tiro al sigarìllo,chiedendosi fino a che punto Yrujo sapesse. Burr e Wilkinson stavano sicuramente tentando di nascondere le loro trame agli spagnoli. che non avrebbero rinunciato volentieri al territorio. E se mai tale perdita si fosse concretizzata la responsabilità sarebbe caduta su Yrujo, fatto che avrebbe dovuto allarmarlo. «Don Carlos» insistette, allora, calmo «spero che non vi lascerete ingannare dalle recenti dichiarazioni di Burr sulle sue pretese intenzioni di servire l'interesse della Spagna.» I due si scambiarono un'occhiata di profonda comprensione reciproca. «Siamo consapevoli» rispose Yrujo lentamente «che gli unici interessi che il colonnello serve sono i suoi.» Max decise di cambiare tattica. «Allora forse potete chiarirmi cosa sapete su una lettera di presentazione che Burr ha dato a uno dei commissari di frontiera spagnoli, il marchese de casa Calvo.» «Non ne so assolutamente niente.» «Si sospetta che molte lettere simili siano state consegnate alle persone che potrebbero essere conquistate alla causa di Burr.» Max studiò la punta dei propri stivali, poi aggiunse: «Incluso casa Calvo.» Poi scrutò di nuovo l'imperturbabile spagnolo che aveva di fronte.» «Sono certo che sarei stato informato, se casaCalvo ne avesse ricevuta una. Lo sìento.» Il tono nella voce di Yrujo non lasciava spazio a ulteriori investigazioni, Max spense il sigarìllo,infastidito. Avrebbe dato chissà cosa per sapere cosa c'era scritto in quella lettera, per avere più lumi sulle vere intenzioni di Burr. Il crepuscolo stava velocemente calando, mentre Max cavalcava verso la piantagione. Quando si accorse di una carrozza ferma sul bordo della strada, rallentò e guardò con attenzione: una ruota del veicolo era rotta e solo un cavallo era ancora imbrigliato. Non c'era alcun cocchiere in vista. Fermatosi accanto alla carrozza, Max domandò a voce alta: «Posso essere d'aiuto?» Un volto femminile apparve al finestrino. Una donna giovane e abbastanza graziosa, e certamente francese, per quanto Max non ricordasse di averla mai vista. Tranquillizzata dal suo aspetto, la donna appoggiò il gomito sul bordo del finestrino e sorrise. «Grazie, monsieur ... ma non abbiamo bisogno di nulla. Il nostro cocchiere tornerà tra un attimo con tutto ciò che ci serve. «Non parlategli, Serina» dichiarò una stridula voce femminile dall'interno della carrozza. «Non sapete chi è?» E una seconda faccia apparve al finestrino. Max fissò la donna inarcando leggermente il sopracciglio. Sapeva di averla già incontrata, ma non riusciva a ricordare il suo nome. Doveva avere almeno la sua età, o forse qualche anno in più a giudicare dalla pelle bianca e secca tirata sugli zigomi prominenti. I suoi occhi verdi erano ostili e le labbra incurvate in segno di disprezzo. «Non mi riconoscete?» gli sibilò, «Già, immagino di no. I Vallerand hanno la memoria corta.» «Aimée ...» protestò dolcemente la donna più giovane. Dopo un attimo di sconcerto Max si rese conto che la donna era Aimée Langlois. La conosceva bene, quando erano adolescenti, e per un po' l'aveva persino corteggiata, prima di incontrare Corinne. A quell'epoca era una fanciulla incantevole. Ricordava di averla fatta ridere e di essere riuscito anche a rubarle un bacio o due durante qualche attimo di disattenzione della sua tante. «Mademoiselle Langlois» la salutò con fredda cortesia, ricordando che sua madre un giorno aveva menzionato il fatto che Aimée era rimasta zitella. Ora, guardando quelle labbra sottili, ne capiva anche il motivo: nessun uomo avrebbe mai avuto il coraggio o la voglia ... di baciarla. Ma cosa l'aveva tanto cambiata? Cosa l'aveva resa così amareggiata e cinica? Continuando a fissarlo gelida, Aimée si rivolse alla compagna al suo fianco. «Questo è Maximilien Vallerand, Serina. L'uomo che ha ucciso sua moglie. Avete sentito la storia, non è vero?» Imbarazzata, la ragazza ridacchiò. «Mi scuso per i modi di mia cognata, monsieur. Abbiamo fatto un viaggio sfiancante e ...» «Non scusatevi in mio nome!» sbottò Aimée, fulminando Max con un'occhiataccia. «Signore, vi ordino di lasciarci immediatamente.» Max non avrebbe gradito niente di più, ma si trattava di due donne sole e senza protezione e nessun gentiluomo se ne sarebbe andato in una tale situazione. «Permettetemi almeno di aspettare qui vicino finché non torna il vostro cocchiere» rispose. «Sta calando la notte ed è pericoloso ...» «Voi rappresentate l'unico pericolo qui intorno» lo interruppe Aimée. «Pertanto, gradiremmo immensamente la vostra dipartita.» Max le fece un breve cenno con il capo. «Buonasera, allora, signore» mormorò e spronò il cavallo. Piuttosto disturbato dall'incontro, cercò di cancellare dalla propria mente qualsiasi ricordo del passato, ma le immagini continuavano a ripresentarsi. Ricordava i giorni innocenti della sua infanzia, la felicità data per scontata, la severa ma confortante presenza di suo padre, le avventure sfrenate con gli amici e la baldanzosa sicurezza di poter avere qualsiasi ragazza avesse desiderato. La timidezza di Aimée era stata una grossa sfida per lui finché non era stato presentato a Corinne ... in quel momento aveva scordato ogni altra donna. Corinne l'aveva sconvolto nel profondo, affascinato, reso folle di desiderio. Invece, subito dopo il matrimonio, il comportamento lunatico che Max aveva trovato così intrigante peggiorò e lui non aveva più saputo come trattarla. Un giorno era vivace, quello dopo silenziosa e depressa. Poteva andare su tutte le furie se Max non le prestava abbastanza attenzione oppure mettersi a gridare perché lui la stava soffocando. Max aveva ingenuamente sperate che il carattere di Corinne sarebbe migliorato con il tempo. Sfortunatamente, aveva continuato a degenerare finché lei non aveva iniziato a trattarlo con vero e proprio odio. Dare alla luce i gemelli l'aveva quasi uccisa e lo riteneva responsabile per questo. Sconvolto e ferito, Max l'aveva supplicata di perdonarlo per qualsiasi cosa avesse fatto. Ma ogni volta che lui si avvicinava, lei rifiutava il suo amore. Alla fine il peso del disprezzo l'aveva schiacciato e aveva smesso di chiedere affetto a una donna ... finché non era arrivata Lysette. Il pensiero di sua moglie riuscì finalmente a calmare Max e a lenire la sofferenza dei ricordi. Aveva bisogno di lei, di annegare nel piacere che il suo corpo sapeva donargli. Ma la soddisfazione fisica che Lysette gli offriva, per quanto immensa, non era niente a confronto del potere terapeutico della sua fiducia in lui. Lei era l'unica persona al mondo che non credeva che fosse un assassino. Se mai qualcosa l'avesse indotta a sospettare di lui, probabilmente non avrebbe retto. Forse era disdicevole dipendere tanto da una donna, ma su questo fatto pareva proprio che non avesse una grande libertà di scelta ... Non appena Max raggiunse la casa e attraversò la soglia, Alexandre cercò di bloccarlo. «Fratello, vi aspetto da ore. Devo parlarvi di una faccenda importante ...» «È stata una lunga giornata» sbottò lui, togliendosi la giacca.» «Ouì, ma ...» «Parleremo domani.» «Ouì, ma ... sono sopraggiunte delle spese straordinarie questo mese ...» «Debiti di gioco?» Max si diresse a grandi passi verso lo scalone con il fratello alle calcagna. «Vi ho lasciato un resoconto sulla scrivania.» «Forse potreste trovare un passatempo meno costoso.» «Potrei» rispose prontamente Alex. «Ma per il momento ... vi occuperete di questo problema?» «Bien sur» lo rassicurò Max bruscamente, lasciandolo ai piedi della scala. Aveva un bisogno così disperato di vedere Lysette che non poteva aspettare nemmeno un istante. Alex rimase a osservare suo fratello che saliva i gradini con un sorriso sollevato dipinto sul volto. «Merci, Max. In altre epoche mi avreste impartito una predica di un'ora.» «Lo farei anche ora, se pensassi che servisse a qualcosa.» «Io preferisco pensare che qualcosa ... o qualcuno ... abbia addolcito il vostro temperamento, mon frère.» Max non si fermò a rispondere. Arrivato alla propria camera da letto, entrò e si richiuse la porta alle spalle con un calcio. Lysette uscì dal camerino con gli occhi luccicanti per il piacere di vederlo. «Sei stato via a lungo, mon mari.» Il suono di quella voce cristallina riuscì immediatamente a scacciare la tristezza dall'anima di Max. Evidentemente sua moglie stava provando dei nuovi vestiti. perché per tutta la stanza erano sparsi accessori di seta e di pizzo e diverse ciabattine di broccato erano impilate accanto al letto. In quel momento aveva addosso un abito da sera verdeazzurro con il corpetto di pizzo dello stesso colore. La scollatura era molto profonda e ricoperta da una garza trasparente che serviva più a esaltare che a nascondere il décolleté. In quel modo la sua figura snella era meravigliosamente enfatizzata e il colore faceva risaltare i suoi occhi e splendere i suoi capelli come un falò. Gli si avvicinò di slancio, con l'evidente intenzione di abbracciarlo, ma lui alzò la mano per fermarla. «Petite, aspetta» le disse sorridendo. «Sono tutto impolverato per la cavalcata e odoro di cavallo. Mostrami cosa stai provando.» Lysette fece una giravolta per fargli ammirare il vestito, che era parzialmente sbottonato sulla schiena. Max indugiò con lo sguardo sulla fragile curva della spina dorsale, percorso da un desiderio divorante. «Ti sta benissimo!» esclamò. «Lo indosserò al ballo in onore del colonnello Burr. Ma ci pensi? Si tratterà della mia prima apparizione ufficiale come tua moglie!» Max non mostrò reazioni, ma dentro di sé era preoccupato. Lysette poteva non essere preparata alle domande crudeli e alla curiosità pettegola che avrebbe incontrato al ballo. Ormai lui ci era abituato, ma per qualcuno che aveva vissuto protetto come lei l'esperienza avrebbe potuto dimostrarsi umiliante. «È meglio che ti avverta su quello che accadrà, Lysette. Ieri non è stato niente in confronto a ciò che dovrai subire in un'occasione così mondana. Il mio passato mi ha circondato di scandalo e tutti qui hanno una buona memoria. Come hai udito con le tue stesse orecchie, ci sono persone che pensano che tu abbia sposato il diavolo in persona.» Lysette rifletté a lungo. Poi andò da lui e gli posò la mano affusolata sulla guancia. «Ma io ho sempre saputo che sei un diavolo ...» Max si chinò per baciarla sul collo, incapace di trattenersi. «Non credo che mi piaccia l'idea di mostrare mia moglie allo sguardo di tanti sconosciuti...» disse, misurando la scollatura con il dito. «Oh, ma questo è un abito castigato! Le altre signore indosseranno sicuramente vestiti molto piùosé.» «Forse, ma le altre non sono mia moglie.» «Non mi ero resa conto finora di quanto tu fossi geloso» esclamò Lysette, evidentemente compiaciuta dal suo attaccamento. Lei era così pulita, dolce e adorabile che Max la prese in braccio e la gettò sul letto. «Allora lascia che ti tolga ogni dubbio» ribatté salendo su di lei. senza nemmeno levarsi gli stivali. Il suo corpo schiacciò il prezioso tessuto del vestito, mentre Lysette rideva compiaciuta di quell'ardore. «Finirai con il rovinare il mio abito nuovo!» protestò lei, tra le risa. «Te ne comprerò un altro, allora. Altri dieci. Ma lasciami godere mia moglie.» Le afferrò tra i denti il seno coperto di seta e Lysette smise di ridere. Non stava indossando biancheria di alcun genere; pertanto, mentre il tessuto si inumidiva, il capezzolo turgido si stagliò subito contro la lingua di lui. Max strofinò la bocca sul punto sensibile e lo stuzzicò finché lei non iniziò a gemere. Le infilò la mano sotto la gonna, trovò il dolce calore della sua fessura e, quando la penetrò con un dito, la sentì umida e pronta. Allora osò penetrarla con un secondo dito, baciandola appassionatamente sulla bocca. Lysette si dimenò per aumentare il contatto, mugolando e inarcando i fianchi contro la sua mano esperta. Lui la baciò e la esplorò a lungo, apprezzando i suoi piccoli gemiti e le contorsioni sensuali del suo corpo. E solo quando la sentì irrigidirsi all'avvicinarsi dell'estasi, ritrasse le dita e si sbottonò i calzoni. Bramosa, Lysette gli afferrò il membro e se lo guidò all'interno. Il suo corpo si strinse intorno a lui con una delicata contrazione. Mentre suo marito affondava in lei con colpi sempre più affannosi e la portava velocemente alla soddisfazione, lei gridò di piacere. Poi obbedendo ai suoi mormorii, lo circondò con le gambe alla vita e lui fece l'amore con lei finché la sua passione non si concluse in un'esplosione di beatitudine. La notte del ballo, Max e Alexandre si stavano servendo un bordeaux, mentre Irénée e Lysette si preparavano al piano di sopra. «Le donne!» esclamò Alex. «Sempre intente ad agghindarsi.» Max si portò il bicchiere alle labbra sorridendo. «Perché siete così impaziente di arrivare al ballo, Alex? Non credo per vedere il bel muso di Aaron Burr.» «Forse sto incominciando a interessarmi di politica» ribatté Alexandre, mentre suo fratello sbuffava in segno di incredulità. «Ma vi rendete conto che, in qualità di scapolo, sarete bersagliato tutta la sera da mammine e ziette ansiose di mostrare la loro merce davanti ai vostri occhi. Di solito non potete sopportare serate di questo tipo.» «Be', per una notte sopporterò.» Max sorrise, sospettando che una ragazza avesse attirato l'attenzione del suo fratello più giovane. «Chi è?» gli chiese a bruciapelo. Alex sorrise timidamente. «Henriette Clement» «La sorella minore di Jacques?» domandò Max, sorpreso, ricordando di avere visto di recente la ragazza chiacchierare con suo fratello fuori dalla bottega della modista. «Uhm ... una ragazza avvenente, se ben mi sovviene.» «Sang de Dieu, non ho neppure mai danzato con lei! Il fatto che voi vi siate gettato a capofitto nel matrimonio non significa che la stessa idea vada bene anche per me.» Max gli sorrise, «Ho forse menzionato il matrimonio? Confuso, Alex si mise a riflettere alla ricerca della risposta più adatta, ma l'avvicinarsi di voci femminili lo trasse d'impiccio.» «Bien, le nostre donne sono pronte finalmente» disse, posando in gran fretta il bicchiere. Max non vide subito Lysette perché era coperta dalle figure di sua madre e di Noeline, ma poi le due si mossero di lato e Max poté contemplare sua moglie. La sua immediata reazione fu di aperto orgoglio: era veramente stupenda con quell'abito color ambra che le riscaldava il colore della pelle e dei capelli. La scollatura profonda e la vita alta mettevano in meravigliosa evidenza la grazia delle sue curve. Inoltre Lysette possedeva una sorprendente padronanza di sé per una ragazza della sua età: anche in quella situazione appariva calma e rilassata e i suoi occhi azzurri scintillavano di intelligenza. Di solito Max non era un uomo portato per l'umiltà, ma, mentre osservava sua moglie che scendeva le scale, venne pervaso da un senso di profonda gratitudine. Il destino era stato spesso ingrato nei suoi confronti, ma avere sposato Lysette pareggiava tutti i conti lasciati in sospeso. Poi fu la moglie a studiare il marito: guardò attentamente la sua camicia immacolata e il foulard inamidato. «Come siete bello, mon mari!» esclamò allegramente, togliendogli un filo dal bavero della giacca. Max chinò il capo e la baciò sul collo. «Siete voi a non avere eguali, madame Vallerand. Davvero, cara, non siete mai stata così bella ... Su, venite, voglio donarvi una cosa.» E la tirò per mano in un salotto, lontano da occhi indiscreti. Estrasse un sacchettino di velluto nero dalla tasca e glielo consegnò.» «In onore del tuo primo ballo.» Lysette gli lanciò un radioso sorriso. «Non mi aspettavo un regalo, Max.» Dopo avere aperto il sacchetto, rovesciò il contenuto sul palmo della mano: erano un paio di orecchini di diamanti con braccialetto abbinato. Lysette scosse il capo, senza parole. «Ti piacciono?» le domandò. «Oh, Max, sei troppo generoso! Come sono belli!» Lysette si mise il bracciale scintillante sul polso inguantato e rimase ferma mentre suo marito glielo allacciava. Poi indossò gli orecchini e agitò la testa per farli dondolare. «Come potrò ringraziarti per un regalo così sontuoso, mon mari? «Tanto per cominciare con un bacio» rispose lui sorridendo. «Più tardi» aggiunse in tono molto più basso e sornione «ti spiegherò cosa dovrai fare per guadagnarti la collana» Lei rise arrossendo e si diresse alla porta principale. «Ah, lasciatemi vedere!» esclamò Irénée, accorgendosi immediatamente dei nuovi gioielli. Prese la mano di Lysette e scrutò il bracciale con l'attenzione esperta di un gioielliere. «Squisito, mon fils» disse a Max. «Le pietre sono di eccellente qualità.» Alex si schiarì la gola rumorosamente, per incoraggiarli a uscire. «Non vogliamo fare tardi, no?» Lysette prese il braccio di Max e gli sussurrò all'orecchio: «Bernard non viene?» Max scosse il capo, diventando improvvisamente più cupo. «Non gli piacciono le serate di questo genere. E stasera in particolare vuole evitarmi perché poco fa abbiamo litigato.» «Su cosa?» «Venite ... vi spiegherò più tardi.» Il ballo si svolgeva da Seraphiné, una delle piantagioni che costellavano il corso del fiume. Lysette trovò magnifica quella grande villa con l'ampio portico e la fila di abbaini lungo il tetto di tegole verdi. L'interno era altrettanto impressionante, addobbato da candelabri veneziani, tappeti variopinti e grandi ritratti di antenati. Lungo le pareti del salone da bano, le dame stanche per le danze si riposavano sventagliandosi e le chaperon delle fanciulle nubili sedevano a controllare le loro protette. Gruppi di giovani maschi erano posizionati vicino a loro, e portavano lecolichemardes, piccoli ma letali spadini. I più impulsivi di loro, infatti, erano soliti azzuffarsi ai balli e i duelli diventavano gli esiti ovvi di dispute anche insignificanti. Alexandre divertì Lysette raccontandole particolari dell'ultimo ballo al quale aveva partecipato, dove un duello era esploso nel centro della sala invece che essere svolto, più saggiamente, all'esterno. Gli uomini avevano incominciato a tirare sedie e panche, mentre molte dame erano svenute e presto era dovuta intervenire la polizia. «E cosa aveva scatenato il duello?» domandò Lysette. Alexandre sorrise. «Un giovane aveva pestato il piede di un altro. È stato preso per un insulto intenzionale et ainsi de suite ... il duello.» «Gli uomini creoli sono veramente tremendi!» esclamò Lysette con una risata, posando la mano sul braccio del marito. «E voi perché non portate una colichemarde,Max? Non avete intenzione di difendere l'onore dei vostri alluci qualora si presentasse l'occasione?» «Li difenderete voi per me» rispose lui con uno sguardo affettuoso. Non appena i Vallerand entrarono nel salone, si alzò un mormorio incuriosito. Lysette, ripetendosi che non aveva niente da temere, si impose di sorridere. Improvvisamente un paio di intensi occhi color dell'inchiostro si puntarono nei suoi: appartenevano a un uomo piccolo e dai lineamenti delicati che stava all'altro capo della stanza, circondato da un vasto uditorio. Lo sconosciuto continuò a guardarla direttamente, causandole un leggero rossore. «Pare che tu abbia già attirato l'attenzione del colonnello Burr» sussurrò Max dietro di lei. «È quello laggiù?» esclamò Lysette con un filo di voce. «Ma non può essere ... mi aspettavo che fosse ...» «Come?» domandò Max, divertito. «Più alto» sbottò lei e lui non poté fare a meno di scoppiare a ridere. Dall'altro lato della stanza Burr mormorò qualcosa a uno dei suoi compagni. «E ora» ribatté Max «si sta chiedendo chi sei tu. E se ti presta troppa attenzione, sarò costretto a sfidarlo in duello. Speriamo almeno che uno dei suoi scagnozzi lo avverta che sono un avversario molto più esperto di Alexander Hamilton. Lysette sbiancò al ricordo della tattica subdola con la quale il colonnello aveva costretto Hamilton, un patriota che aveva contribuito a scrivere la nuova costituzione, a sfidarlo in un duello che non poteva che perdere. Max l'aveva definito un omicidio a sangue freddo, perché era noto che le abilità di spadaccino di Burr erano Incomparabilmente superiori a quelle di Hamilton. E in ogni caso si diceva che Burr non avesse mostrato neppure un cenno di compassione o rimpianto per la morte del patriota. «Non parliamo più di duelli» s'affrettò a concludere lei. Ma prima che Max potesse replicare, il sindaco di New Orleans, John Watkins, apparve al suo fianco. Dopo avere salutato la coppia cordialmente, li informò che il colonnello Burr desiderava fare la loro conoscenza. «Ne siamo onorati» rispose Max sbrigativamente, seguendo il sindaco con Lysette a braccetto. Il colonnello era vestito con la cura squisita di un dandy. Lysette apprezzava il fatto che, sebbene avesse perso i capelli sulla fronte, non portasse parrucca. Max l'aveva informata che Burr aveva almeno quarantotto anni, ma appariva molto più giovane. Il suo volto era abbronzato e il suo sorriso rapido e sicuro. E quegli occhi nerissimi da vicino sembravano ancora più intensi e sprizzavano scintille dì energia e vitalità. Insomma, si poteva dire senza tema di smentita che l'ex vicepresidente degli Stati Uniti possedeva una presenza magnetica tutta speciale. Non appena arrivarono i Vallerand. il colonnello si alzò, fece un gran inchino, baciò la mano di Lysette, poi spostò lo sguardo su Max. «Monsieur Vallerand» esclamò in inglese «alla fine ci incontriamo.» Dopo avere ammiccato a Lysette, continuò; «Le mie congratulazioni per le vostre nozze recenti, signore. Ora, avendo visto la vostra deliziosa moglie, vi considero un uomo veramente fortunato.» Lysette replicò prima di suo marito. «La vostra abilità con le parole, monsieur, è impressionante. Ma di certo non è una sorpresa.» Burr la osservò con un interesse ancora maggiore. Dato che la quasi totalità delle donne creole parlava solo francese, non si era aspettato che lei comprendesse quanto aveva detto. «Posso farvi i miei complimenti per il vostro inglese, madame? Lo parlate benissimo.» Lysette fece un cenno del capo in segno di ringraziamento. «È stata una fortuna, colonnello. Così ho potuto seguire il vostro discorso alla Piace d'Armes la scorsa settimana senza bisogno di traduzione.» «E vi è piaciuto, madame?» «Oh sì» rispose lei senza esitazione. «Siete un oratore molto dotato e il discorso è stato entusiasmante. Sono stata tentata di battere le mani anche alle dichiarazioni che non condividevo.» Burr scoppiò a ridere così cordialmente che metà sala si voltò a controllare cosa stesse accadendo. «Devo assolutamente sapere, madame, quali erano le parti che non condividevate.» Lysette rispose con un provocante sorriso. «Oh, le mie opinioni sono irrilevanti, colonnello Burr. Dovreste piuttosto tenere conto di quelle di mio marito.» «Lo farò» ribatté Burr con una risata. Poi spostò lo sguardò su Max. «Vostra moglie non è solo bella e colta, ma anche molto intelligente. Siete davvero un uomo fortunato, monsieur Vallerand.» Pur non avendo risposto al commento, era evidente che Max fremeva di gelosia. E infatti cambiò subito argomento. «Come avete trovato il clima di New Orleans. colonnello?» La domanda lo fece sorridere. «Credo che vi stiate riferendo al clima politico, non è vero? L'ho trovato davvero amichevole, monsieur Vallerand. Fin qui abbiamo fatto un viaggio piacevole e abbiamo trovato molti amici inattesi.» «L'ho senti to dire.» «È vero che possedete una ditta di spedizioni, monsieur? È raro per un uomo della vostra provenienza, mi pare. I creoli non considerano plebea qualsiasi attività commerciale?» «Come regola generale sì, ma io difficilmente mi attengo alle regole.» «Come me, d'altronde» ribatté annuendo Burr. «Ho incontrato numerosi gentiluomini nella vostra comunità, monsieur, molti dei quali appartengono all'Associazione messicana. Per caso siete iscritto anche voi?» Lysette ricordò ciò che suo marito le aveva detto a proposito dell'Associazione. un gruppo di cittadini importanti che desideravano l'autonomia del Messico e tutti i benefici commerciali che ne avrebbero ricavato i mercanti di New Orleans. Tutti i soci erano di sicuro dei simpatizzanti di Burr. «No» rispose Max. «Trovo che appartenere ad associazioni di qualsiasi genere finisca inevitabilmente per imporre obblighi indesiderati.» «Interessante» commentò Burr con gli occhi accesi dal piacere della sfida. «Mi piacerebbe avere la possibilità di cercare di farvi cambiare idea, monsieur. Possiamo parlare in un'altra occasione?» «Si può fare.» Subito l'attenzione del colonnello Burr fu attirata da altri che desideravano essere presentati e Max portò via Lysette. «Che impressione ne hai avuto?» le chiese poi. «Di un uomo pericoloso» rispose lei, rapida. «Non credo che Burr sarebbe così sicuro se non avesse delle buone ragioni. È probabile che abbia persuaso molti a unirsi alla sua causa, Max.» «Lo credo anch'io» annuì lui mestamente. In quel momento, dopo aver consegnato Irénée alle sue amiche riunite in un angolo del salone a spettegolare, li raggiunse Alexandre. «Adorata cognata» disse a Lysette «danzate con me, s'il vous plait.» Lysette accettò il suo braccio. «Avete obiezioni, Max? Suo marito scosse il capo, ma lanciò al fratello un'occhiata minacciosa. «Non lasciatela mai da sola, avete capito?» «Spero di conoscere un po' di educazione, mon frère» ribatté, indignato, Alexandre, tirando Lysette a sé. Arrivati al bordo della folla, le indicò una ragazza. «Vedete quella fanciulla vestita di verde con i capelli bruni?» «No, non la vedo ...» «È alta e ha nastri dorati tra i capelli. L'uomo biondo che sta ballando insieme a lei è suo cugino. Ora la vedete? Bene. Si tratta di Henriette Clement. Vorrei attirare in qualche modo la sua attenzione. Per esempio, potreste fingere di starvi divertendo un mondo mentre ballate con me. Per favore, ridete come se stessi dicendo qualcosa di molto buffo e intelligente.» «Farò del mio meglio.» Lysette sorrise, mentre si dirigevano al centro della pista. «Intendete corteggiarla, Alex?» Lui lanciò un'occhiata disperata alla ragazza e fece una smorfia. «Vorrei» ammise. «Moltissimo. Ma la sua famiglia non approva.» «E mademoiselle Clement prova interesse per voi?» «Non saprei. Se solo potessi trascorrere un po' di tempo in sua compagnia ... ma ogni volta che arrivo a dieci metri da lei, l'intera famiglia Clement cala su di me come un branco di mastini assetati di sangue.» «Se volete parlare a mademoiselle Clement, dovete assicurarvi l'aiuto della sua tante.» «Già, mi piacerebbe, ma la sua tante è una vera strega» ribatté Alexandre cupo. «Be', dovrete trovare un modo per affascinarla: è l'unico modo per raggiungere la fanciulla che vi interessa. Alors, andate a trovare la tante e siate carino con lei. «Ora?» chiese Alexandre perplesso. «Ma non posso lasciarvi da sola. Max mi squarterà vivo, se non resto con voi.» «Irénée è a due passi, andrò da lei.» «E il nostro ballo?» «Lo faremo più tardi» promise Lysette con una risata. «Al momento ci sono cose più importanti.» «D'accordo» borbottò Alexandre, raddrizzando le spalle. «Immagino di non aver niente da perdere, n'est-ce pas?» Sorridendo, Lysette si diresse verso il gruppo di signore attempate radunato intorno alla suocera. Sebbene il tragitto fosse minimo, non poté evitare di rendersi conto delle occhiate incuriosite che attirava. Un gruppo di giovanotti smise palesemente di chiacchierare e si mise a fissare ogni sua mossa. Lysette divenne assurdamente consapevole di ogni proprio gesto e, quando raggiunse la meta agognata, aveva ormai le guance bollenti per il rossore. Fortunatamente Irénée la accolse con grande simpatia. «Belle-mère» le domandò Lysette «vi state divertendo?» «Certo!» ribatté lei pragmaticamente. «E voi siete un vero successo, mia cara. Persino Diron Clement, quel vecchio orso laggiù, ha esclamato a portata delle mie orecchie che siete una bellezza!» Lysette rise. «Qualcuno dovrebbe ripulirgli gli occhiali.» «Suvvia, non l'avrebbe mai detto, se non l'avesse pensato davvero» ribatté Irénée, dando una lieve gomitata a una matrona al suo fianco. «Diteglielo anche voi, Yvonne.» Yvonne, una cugina più anziana di Irénée, lanciò a Lysette un cordiale sorriso con le guance paffute. «Certo, siete una ragazza davvero attraente, Lysette. Ricordo di avere pensato la stessa cosa di vostra madre, quando era giovane. Era davvero una ragazza deliziosa e piena di vita e attirava l'attenzione di tutti quando entrava in una stanza!» Lysette rifletté tristemente che nessuno ormai poteva più considerare sua madre una bella donna, dopo gli stenti sopportati durante il suo matrimonio con Gaspard. Vedendo la traccia di tristezza nella sua espressione, Yvonne cercò di cambiare argomento. «Che meravigliosi diamanti, Lysette! Irénée mi ha detto che sono un regalo di Max.» Lei fissò il bracciale scintillante sorridendo. «Mio marito è un uomo molto generoso.» L'anziana signora si chinò verso di lei e sussurrò in tono confidenziale: «Sono sicura che lo sia, mia cara. Ma tenete a mente le mie parole: lo diventerà ancora di più, quando gli avrete dato dei figli. Dovete rimanere incinta il prima possibile.» Divertita dalla fissazione tipicamente creola per la progenie, Lysette cercò di mostrarsi abbastanza colpita. «Oh, lo terrò a mente, madame.» «Come moglie di un Vallerand» continuò Yvonne con entusiasmo crescente «dovrete mantenere alti i valori delle donne creole. Ormai abbiamo troppi cattivi esempi in città, con tutte quelle spudorate femmine americane che si sono trasferite a New Orleans.» Schioccò la lingua in segno di disapprovazione. «Creature prive di vergogna, modestia o delicatezza. Credono di poter andare ovunque senza accompagnatore e interrompono liberamente i loro mariti! Bah! È dovere delle donne creole conservare la tradizione ... Ma finché non avrete un bambino, non avrete alcuna vera autorità. «È vero» annuì pensosamente Irénée. Lysette fece cenno di sì con il capo, anche se dentro avrebbe voluto ridere fragorosamente, perché temeva di essere molto più simile alle tanto temute americane piuttosto che alle tradizionali e rispettose donne creole. «Spero che avrò prestissimo la benedizione di un bambino, madame.» «Bien sùr» replicò lei, soddisfatta che la propria lezione fosse stata assimilata. Le donne continuarono a chiacchierare finché non apparve tra loro Max, che le salutò gentilmente e porse la mano guantata alla moglie. «Sono venuto a portare via la mia dolce metà per una danza» le informò. Lysette lo seguì ben lieta, desiderosa di lanciarsi in una quadriglia. «Sono venuto a salvarti con le migliori intenzioni, ma è da tanto che non ballo» la avvisò Max. «Temo di essere fuori pratica, petite.» «Davvero? Non ti piace ballare, mon mari?» «Sì. ma non è mai stato facile per me trovare una partner. A causa della mia orribile reputazione, ricordi?» «Ora hai una partner assicurata» rispose Lysette, mentre prendevano posto tra i danzatori. Dopo avere suonato diversi brani veloci e ritmati, l'orchestra fece una breve pausa e la coppia si fermò a riposare. Max tirò Lysette verso una porta a vetri che dava all'esterno. Quando un cameriere passò con un vassoio di calici di champagne, prese due bicchieri e ne diede uno a Lysette, che lo accettò senza esitazione e lo bevve avidamente, incurante degli sguardi di disapprovazione delle matrone vicine. Non era considerato decoroso per una giovane donna, anche se sposata, bere in pubblico. Max, comunque, sembrava divertito, come davanti ai giochi di una gattina dispettosa. «Uhm ... mi sento un po' stordita» lo informò lei, mentre Max consegnava il bicchiere vuoto a un altro cameriere di passaggio. «Un po' d'aria fresca ti schiarirà la mente» le disse. «Vuoi uscire?» Lei gli lanciò un'occhiata sospettosa. «Mi farai delle avances, se usciamo?» «Certamente» rispose lui senza esitazione. «Allora sì.» A grandi passi Max uscì dalla portafinestra e condusse Lysette oltre alcuni alti alberi dì tasso, fuori dalle pareti del giardino ricoperte di rampicanti. A lei girava la testa piacevolmente e si sentiva avventurosa come se stesse avendo una relazione clandestina con il proprio amante. Vedendola così luminosa, così raggiante. Max la prese in braccio e la fece girare come una bambina. «Max ... cosa sarebbe accaduto se ti avessi incontrato per la prima volta questa sera, in qualità di signora Sagesse?» gli chiese lei senza fiato, dopo avergli gettato le braccia al collo. «Se non fossi scappata da Etienne e i gemelli non mi avessero trovato, sarei stata sua moglie ... Bastava così poco in fondo ... per esempio, che tu volessi restituirmi a lui...» «Non ti avrei mai restituito a lui. E se tu fossi stata sposata a Etienne Sagesse, ti avrei rapita. A qualsiasi costo.» Pronunciata da qualsiasi altro uomo, quella frase sarebbe suonata una bravata. Detta da Max, invece, era totalmente credibile. Lysette lo guardò ammirata, la sua figura possente stagliata contro il cielo stellato. «Mon mari» esclamò piano «a volte quasi mi spaventi.» Max la baciò sul collo e poi scese fino a sfiorarle la valle tra i seni. «Perché?» Lysette chiuse gli occhi, mentre le dita dì lui entravano dentro la scollatura e le sfioravano un capezzolo. «Sai essere spietato quando devi ottenere ciò che vuoi. Ma, dimmi... esiste qualcosa al mondo che possa fermarti?» «Tu.» Max sfregò delicatamente la cima rosea del suo seno finché non si increspò sotto il polpastrello. «Lo sai.» Poi la baciò di nuovo e lei sospirò di piacere. «Allora, se ti chiedessi di fare qualcosa contro la tua volontà ... tu lo faresti?» «Ovviamente.» Il respiro di lei accelerò sentendo il calore di quelle labbra avide sulla gola e sul petto. «Max, devo dirti quanto ti...» Ma si interruppe perché aveva notato un'ombra che si avvicinava. Il primo pensiero fu che si trattasse di un animale, ma presto la figura assunse le forme di un uomo. Anche Max avvertì qualcosa e si voltò, proteggendo istintivamente Lysette con il proprio corpo. In quel momento Etienne Sagesse parlò. «Ah Lysette» biascicò. avvicinandosi. Era palesemente sbronzo ... gli occhi lucidi, le guance arrossate. «Sembra che ora vi stiate divertendo, ma chère,ma vi compatisco. Un giorno vi renderete conto che sarebbe stato molto più saggio sposare me. E temo che la povera Corinne mi darebbe ragione.» 11 Lysette aveva immaginato che prima o poi un incontro faccia a faccia con Etienne Sagesse sarebbe stato inevitabile. Eppure non era preparata all'esperienza. In un lampo riprovò la ripugnanza che aveva avvertito per quell'uomo fin dal primo incontro, il terrore e la disperazione che l'avevano spinta a scappare di casa. E in quel momento le fu chiaro che aveva avuto ragione: se avesse sposato Sagesse, lui l'avrebbe insultata e denigrata in ogni modo. Agitò la mano alla cieca alla ricerca di Max e sentì quelle dita forti stringersi. rassicuranti, alle sue. «Cosa volete, Sagesse?» domandò Max seccato. «Congratularmi con voi ovviamente. Dato che non sono stato invitato al matrimonio, non ne ho avuto l'opportunità finora.» Il suo sorriso era quello di un serpente, mentre osservava le guance arrossate di Lysette. «E voi? Sembrate contenta di essere una Vallerand. Ma per quel che ricordo, anche Corinne lo era ... all'inizio.» «Se volete un altro duello» ruggì Max «l'avrete. E questa volta lo porterò fino in fondo.» «È una sfida?» «No, Max» si precipitò a dire Lysette. «Per favore ...» «Non una sfida, ma un avvertimento» dichiarò lui, stringendo più forte la mano di sua moglie. «Ora credete di avere vinto» ribatté Etienne biascicando. «Avete tutto quello che desiderate, non è vero? Ma è solo una questione di tempo e presto perderete tutto ... e sarà molto, molto piacevole assistere alla vostra caduta.» Detto ciò si allontanò incespicando per il prato. I due sposi rimasero a osservarlo in silenzio finché non fu inghiottito dal buio. «Spero che la sua famiglia lo porti a casa prima che faccia una scenata in pubblico» commentò Lysette. «Sembra tormentato da un assurdo desiderio di morte. È strano, ma anche se lo odio ... in questo momento sto provando compassione per lui.» Max le lanciò un'occhiata sardonica. «Tu no?» «No.» «Mi sembrava di sì.» Lysette schiacciò il viso contro il torace di suo marito, respirando il suo profumo ormai familiare. «Però, non permettiamogli di rovinarci la serata, eh, Max? Riportami dentro, per favore. Ho voglia di ballare.» Sfortunatamente, nonostante i buoni propositi, quell' episodio riuscì a gettare una cappa di disagio sul resto della serata. Etienne rimase, cupo, in un angolo del salone a fissarli, mentre i suoi parenti facevano ogni sforzo per tenerlo buono. Gli ospiti del ballo continuavano a guardare ora i Sagesse, ora i Vallerand, imbarazzati, come se temessero lo scoppio di una rissa da un momento all'altro. E la tensione crebbe finché Lysette rinunciò e chiese al marito di portarla a casa. Ma, una volta usciti, le cose non migliorarono. Max fece il tragitto di ritorno immerso in un tetro mutismo, nonostante Lysette si sforzasse in ogni modo di avviare conversazioni frivole con gli altri, tentando di lasciarsi coinvolgere nei pettegolezzi. «Com'è andata la vostra serata?» domandò, per esempio, ad Alex. «Siete riuscito ad avvicinare la tante di Henriette?» «Oh sì» rispose lui, non meno lugubre del fratello. «Le ho ronzato intorno un'ora, sentendomi un completo imbecille. Ma la strega è convinta che nessuna giovane innocente può essere al sicuro in compagnia di un Vallerand, per quanto scortata da un esercito di chaperon.» «Chissà mai come le è maturata questa convinzione ...» esclamò Lysette, lanciando un sorriso scherzoso a Max. «Qu'est-ce que c'est?» gli domandò poi dolcemente, mentre Irénée e Alexandre intavolavano una discussione sui elemento «State ancora pensando a Sagesse?» Lui scosse il capo, mettendosi a guardare il paesaggio buio fuori dal finestrino. «No, non ha niente a che fare con lui: ho una brutta sensazione. Non so esattamente cosa. Ma starò molto meglio quando saremo arrivati a casa.» Sfortunatamente, la premonizione di Max si rivelò corretta. Non appena oltrepassarono la soglia, infatti, li raggiunse di corsa Noeline con il volto, solitamente imperturbabile, sconvolto dalla preoccupazione. E anche Philippe era seduto, con l'aria tesa e abbattuta, su una panca dell'ingresso. «Monsieur, Justin non si è fatto vivo per tutto il giorno» informò subito la governante. «Non è venuto nemmeno per cena.» Max si rivolse a Philippe. «Dove si trova? Il ragazzo si alzò in piedi con un'espressione addolorata. «Non lo so, padre. La piroga è scomparsa ... credo che l'abbia presa lui.» «Quando l'avete visto per l'ultima volta? «Stamattina. Justin si stava vantando del fatto che ieri notte era sgattaiolato fuori dalla finestra dopo avere finto di coricarsi, aveva incontrato l'equipaggio di una chiatta in una taverna e aveva in programma di unirsi a loro anche stanotte. Ma non avrei mai immaginato che avesse davvero il coraggio di farlo.» «Oh, il mio povero Justin!» esclamò Irénée agitatissima. Max imprecò a fior di labbra. I marinai di quel tipo vivevano mangiavano e dormivano sulle loro imbarcazioni come selvaggi. La loro idea di divertimento consisteva nel riempirsi di whisky, barare a carte e crogiolarsi in case di appuntamento dove dilagavano malattie veneree e violenza. Quando si buttavano in una rissa, mordevano, calciavano o perfino tagliavano dita all'avversario senza alcuna pietà. Se Justin era veramente insieme a loro, il suo destino poteva già essere segnato. «Quale equipaggio?» domandò Max. «Di quale chiatta?» Philippe scosse il capo impotente. Max si voltò verso la porta, dove Alexandre era rimasto impalato con la bocca aperta. «Dobbiamo trovarlo» dichiarò. Ma Alex fece un passo indietro. «Oh no. Mi sono impegnato duramente per tenermi alla larga da tipi così. Non rischierò il collo o quel che resta della mia reputazione per recuperare quel pazzo di vostro figlio, che per altro non ha alcun desiderio di farsi trovare. Va' a dormire, Max. Tornerà di sicuro domani mattina.» «Oppure finirà nel fiume con la gola tagliata» ribatté Max, dirigendosi all'esterno. «Non lo troverete» lo avvertì suo fratello. «Sì che lo troverò e, dopo essermi assicurato che stia bene, gli staccherò gli arti uno a uno.» Lysette corse dietro di lui. «Max. sta' attento.» Lui rispose con un breve cenno, senza neppure voltarsi a guardarla. Lei si morse il labbro, avvertendo la preoccupazione che provava per suo figlio, ma poi, non sapendo esattamente come aiutarlo, girò sui tacchi e assalì Alexandre, afferrandolo e scuotendolo per le braccia. «Dovete andare con lui. Insomma, dovete pur aiutare vostro fratello!» «Preferirei andare all'inferno.» «Max ha bisogno del vostro aiuto» insistette lei con impazienza. «Oh, siate di una qualche utilità per la vostra famiglia una volta tanto, Alexandre!» Irénée si unì alla lotta. «Sì, dovete accompagnare vostro fratello, mon fils.» «Ma è tardi, sono stanco!» ribatté lui con una smorfia. «Pensa a Justin!» gli ordinò sua madre con aria corrucciata. «Potrebbe essere in pericolo ... persino in punto di morte!» «Se esiste una qualche giustizia lo è» borbottò Alex tra i denti, arrendendosi all'idea di seguire il fratello. Le due donne richiusero in fretta la porta, temendo che potesse ripensarci. «Mon Dìeu, quel Justin!» esclamò addolorata Irénée. «Sarà la mia morte!» Poi spostò lo sguardo su Philippe. «Perché non può essere come voi?» Improvvisamente il ragazzo esplose. «Si può sapere perché tutti mi fanno questa domanda? Io non sono il gemello buono. Proprio come lui non è quello cattivo.» Irénée sospirò, con la faccia segnata dalla stanchezza. «Sono troppo esausta per discutere in questo momento. Noeline, per favore, aiutami ad andare di sopra.» Mentre le due donne salivano per l'imponente scalinata, Lysette si sedette amorosamente accanto a Philippe, che aveva sepolto il viso nelle mani. «Justin è diverso da me» singhiozzò lui improvvisamente. «Le cose procedono troppo lente e noiose per lui in questa casa. Ha sempre desiderato scappare. La maggior parte del tempo si sente come imprigionato in una gabbia.» «A causa di quello che è accaduto a vostra madre?» «Sì, in parte» ammise Philippe con un profondo sospiro. «Non è facile essere un Vallerand. Justin e io sappiamo ciò che la gente pensa di noi. Abbiamo sentito quello che dicono di nostra madre ... che era pazza o una puttana, o entrambe le cose contemporaneamente. E tutti gli abitanti di New Orleans sono convinti che l'abbia uccisa papà ...» «Io no» dichiarò Lysette con fermezza. «E non dovreste crederci neppure voi.» «Di solito non ci credo.» Lo sguardo tormentato del ragazzo si fissò in quello di lei. «Ma Justin ci crede e questo gli rende le cose molto più difficili.» Pur avendo girato tutta la notte, i Vallerand tornarono a casa senza Justin. Lysette non aveva mai visto suo marito così agitato, con i pensieri che correvano troppo veloci rispetto alle parole. «Nessun segno di lui» disse Max roco, buttando giù una tazza di caffè nero. «Abbiamo trovato un marinaio che ha visto un ragazzo che corrisponde alla descrizione di Justin sul lungofiume. Chissà se era proprio lui? Justin potrebbe essersi imbarcato, ma non credo che sia così pazzo.» «Io vado a letto» mormorò Alex con le palpebre pesanti e le cornee striate di rosso. Lysette posò le mani sulle spalle di suo marito. «Anche voi dovete riposare un po', Max» gli disse dolcemente. Ma lui fece cenno a Noeline di versargli altro caffè. «Torno fuori tra dieci minuti. Questa volta verrà con me Bernard. Penso di andare a chiedere aiuto a Jacques Clement e a qualche altro che voglia unirsi alle ricerche.» Lysette avrebbe tanto voluto conoscere un modo per aiutarlo. «Non credo che Justin sia scappato di casa gli disse, sedendosi al suo fianco.» «Credo che cerchi soltanto un po' di attenzione. Si tiene lontano per creare disordine con la sua assenza, ma vedrete che ritornerà.» La mano che teneva la tazza tremò impercettibilmente. «Quando l'avrò ritrovato» dichiarò Max con voce minacciosa «avrà più attenzione di quella che abbia mai desiderato.» Lei gli prese l'altra mano tra le sue e la strinse forte. «So che ora siete arrabbiato, ma è solo perché avete paura che gli sia capitato qualcosa di brutto. Quando lo ritroverete, dovreste comunicargli questi vostri sentimenti.» Max posò il gomito sul tavolo e si massaggiò le tempie. «Justin ha il cuore troppo duro per ascoltare questo genere di discorsi.» «Non credete che lui pensi la stessa cosa di voi?» Max le lanciò un debole sorriso. «A volte mi rivedo in lui» ammise. «Ma alla sua età non ero così dannatamente testardo.» «Uhm ... chiederò conferma a Irénée» ribatté Lysette, prendendolo gentilmente in giro. «Sospetto che non sarà d'accordo con questa vostra affermazione.» Max si portò la sua mano alle labbra. «Lysette. se non lo ritrovo ...» «Lo ritroverete.» Le ricerche continuarono un altro giorno e un'altra notte. Dalle domande che gli uomini della piantagione avevano fatto in giro, risultò che alcuni marinai avevano visto Justin, o almeno un ragazzo simile a lui: dopo alcune ore di bevute e di gioco, comunque, se ne era andato con una prostituta e non l'avevano più visto. «Splendido!» aveva commentato Bernard. «Tornerà con lo scolo.» «Questo, a dire il vero, mi pare il minore dei mali» aveva ribattuto cupo Max. Dopo avere interrogato decine e decine di uomini e avere battuto ogni chiatta o imbarcazione della zona, le ricerche erano state interrotte con il piano di riprenderle la mattina successiva. Per due giorni e due notti Max non aveva quasi dormito e la tensione che lo divorava era evidente. Non rasato e spettinato, sembrava quasi uno dei marinai che aveva frequentato nelle ultime quarantotto ore, mentre si muoveva silenziosamente per la casa, sbattendo gli occhi per tenersi sveglio. Era un tormento vederlo così esausto e abbattuto. Lysette cercò di guidarlo verso la camera da letto, ma Max rifiutò per la paura di addormentarsi troppo profondamente: erano le tre del mattino e aveva solo poche ore per riposare. Allora lei lo aiutò a sistemarsi in salotto e a togliersi gli stivali. Lui si stese su un divano con la testa sul grembo di sua maghe e chiuse gli occhi. «È scappato» mormorò, girando la testa verso la coscia morbida di Lysette. «Sembra quasi sparito dalla faccia della terra.» Lei gli accarezzò il capo gentilmente, «Dormi un po' ora. Tra poco sarà l'alba» «Continua a venirmi in mente quando Justin era piccolo. A volte lo tenevo in braccio quando dormiva. Volevo tenerlo felice e al sicuro per il resto della sua vita, ma in realtà non posso proteggerlo per sempre» «Su, riposa. Lo troverai domani, bien-aimei.» Non appena Max si addormentò, Lysette si mise a meditare: era sorprendente la fretta con cui si era affezionata ai gemelli. Avrebbe tanto voluto aiutarli a trovare la serenità. Come poteva essere ingiusta la vita, quando gettava sulle spalle di innocenti un fardello così pesante di sofferenze! A poco a poco, però, accoccolata vicino a suo marito, Lysette si appisolò, mentre all'esterno lentamente il cielo mutava colore e le tenebre lasciavano il posto a un delicato color lavanda. Quando si accorse dell'arrivo dell'alba, si strofinò gli occhi facendo attenzione a non svegliare Max. Ma si svegliò del tutto. quando udì un suono nell'atrio. La porta principale si aprì e qualcuno sgattaiolò dentro. Era Justin, sporco e scompigliato, ma vivo e vegeto, e fissava silenziosamente i due sul divano. Per un istante lei valutò la possibilità di lasciarlo salire in camera e di svegliare Max più tardi, ma poi pensò che lui avrebbe voluto essere avvertito subito che suo figlio era salvo. Perciò gli disse: «Entrate, Justin. Venite tranquillo.» Udendo quelle parole, Max si stirò. Lei si chinò su di lui e gli sussurrò: «Svegliatevi, caro, è tutto finito. È tornato a casa.» Max si tirò su di scatto, scuotendo il capo per cercare di schiarirsi dalle nebbie del sonno. «Justin, siete qui? Dove siete stato?» «Con degli amici.» «State bene?» gli domandò Lysette. «Non siete ferito?» «Certo che no. Perché dovrei essere ferito?» Lysette trasalì, temendo che quella totale mancanza di umiltà o di pentimento avrebbe mandato Max su tutte le furie. A quella risposta, invece, lui impallidì per la frustrazione. «La prossima volta che decidete di andarvene senza avvisare nessuno» sibilò a denti stretti «assicuratevi di non tornare mai più.» «Perfetto!» esplose Justin. «Volete che me ne vada? Benissimo, vi accontenterò e non tornerò mai più!» Girò sui tacchi e tornò da dove era venuto. «Justin no!» Lysette si alzò velocemente dal divano, fissando il marito che non accennava a muoversi. «Che fai? Non lo segui?» Chiaramente lui era troppo furioso per pensare in modo lucido. «Lascialo andare se è quello che vuole.» Lysette lo guardò accigliata. «Non so chi sia più testardo e orgoglioso tra voi due!» E corse dietro a Justin mentre Max imprecava tra i denti. Ma quando oltrepassò la soglia, per la foga incespicò e finì a terra. «Ah ...» esclamò. «Justin, fermati immediatamente. Fermati! Con sua grande sorpresa il ragazzo obbedì, anche se non si voltò verso di lei. Lysette si alzò e lo raggiunse zoppicando. «Vostro padre vi ha cercato disperatamente» gli disse. «Ha mosso un esercito per trovarvi. Non ha mangiato. Non ha dormito, a parte tre o quattro ore sul divano questa mattina.» «Se state cercando di farmi scusare con lui, vi illudete della grossa.» «Sto solo cercando di farvi capire quanto è stato preoccupato per voi. Era terrorizzato che vi fosse capitato qualcosa.» Justin fece una smorfia sardonica. «A me non è sembrato così terrorizzato.» «Non siete giusto con lui.» «Né lui con me. Vuole comandare tutti a bacchetta.» Lysette chiuse gli occhi e tirò un profondo respiro per cercare di suonare calma e paziente. «Justin» gli disse poi «per favore, voltatevi. Non posso parlare alla vostra schiena.» «Il ragazzo piroettò con violenza, con gli occhi azzurri scintillanti per la rabbia. Ma lei non si lasciò spaventare. «Ma davvero non vi rendete conto di quanto vi voglia bene?» «Lui non è capace di volere bene a nessuno!» sbottò Justin bruscamente. «Nemmeno a voi, sapete?» Pur sapendo razionalmente che il ragazzo non voleva dire quello che gli era appena sfuggito, Lysette rimase turbata. «Non è vero!» «E voi siete una povera sciocca se credete a un uomo che è stato capace di uccidere sua moglie.» Il ragazzo fissava il terreno, tremante d'ira. «Justin» iniziò lei dolcemente «nel vostro cuore sapete anche voi che vostro padre non può avere commesso un crimine così orrendo.» «Io non so un bel niente» ribatté lui con gli occhi sempre fissi a terra. «Potrebbe averlo commesso. Chiunque può essere spinto all'omicidio.» «No, Justin.» Lei si avvicinò con cautela. «Adesso tornate dentro con me.» E lo prese per un polso. Ma lui si divincolò. «Lui non mi vuole.» «Solo perché si è distrutto a cercarvi» dichiarò lei, trattenendosi dal toccarlo di nuovo. «Justin, perché siete stato via così a lungo?» «Dovevo stare lontano.» «Da cosa?» «Da tutto, Non posso sempre fare tutto quello che mi dicono. Tutti mi vogliono uguale a Philippe, uno che sta zitto, non fa domande scomode e non ricorda a nessuno mia madre» Gli occhi di Justin saettavano e i suoi pugni erano stretti come per strangolare un nemico invisibile. «Ma io sono come lei. Lo so.» Lysette dovette reprimere l'istinto di abbracciarlo e coccolarlo come avrebbe fatto con qualsiasi bambino triste. Non voleva litigare con lui: era troppo stanco ed eccitato per pensare lucidamente. «Tornate dentro con me» ripeté. «La vostra famiglia si è preoccupata abbastanza e voi avete bisogno di dormire.» Si voltò e si diresse verso la casa, trattenendo il fiato, finché non udì i passi alle sue spalle che la seguivano. Per paura di ciò che avrebbe potuto dirgli finché non gli fosse sbollita la rabbia, Max si tenne lontano da suo figlio per tutta la giornata. Lysette lo convinse, però, con molta diplomazia ad avere un colloquio con il ragazzo e lui promise che gli avrebbe parlato dopo l'incontro con il colonnello Burr. Era quasi mezzanotte quando Max ricevette Burr nella sua biblioteca, ben consapevole che il colonnello si aspettava di guadagnare alla sua causa un altro personaggio influente. Daniel Clark, un mercante di New Orleans con una grande flotta di navi mercantili e numerosi magazzini, gli aveva apertamente donato venticinquemila dollari in contanti e molti altri avevano fatto versamenti del genere. Max, invece, non intendeva contribuire nemmeno con un penny, ma era interessato a sentire cosa avesse da dirgli l'ambizioso colonnello. Burr era riuscito ad affascinare quasi tutti quelli che contavano a New Orleans ed era stato ricevuto dappertutto con calda ospitalità. Le autorità cattoliche e l'Associazione messicana, che a lungo si erano mosse per la conquista del Messico, gli avevano garantito il loro appoggio, convinte che Burr stesse progettando un attacco contro gli spagnoli e che avesse ottenuto il supporto segreto del governo di Jefferson. Invece, Max aveva avuto accesso a diverse informazioni riservate che dicevano il contrario. Di certo Jefferson non spalleggiava il colonnello, il quale stava mettendo in piedi una cospirazione a proprio esclusivo vantaggio. Con deliberata schiettezza Max domandò subito a Burr perché desiderava un colloquio con lui, quando era già riuscito a conquistare quasi tutte le persone influenti della zona. «Dopotutto» gli fece notare «uno in più o in meno non farà grande differenza per i vostri piani... qualsiasi possano essere.» «Voi avete la fama di uomo intraprendente,monsieur Vallerand» rispose Burr. «Gradirei molto il vostro appoggio politico. E, per parlare francamente, siete troppo ricco perché io vi possa ignorare.» Max sorrise, tutto sommato apprezzando la schiettezza del personaggio. «Forse non avete considerato del tutto il lato disonorevole della mia fama, colonnello. Potrebbe Don essere conveniente aggregarsi con me.» Burr scosse le spalle energicamente. «Ho sentito cosa dicono di voi, ma non credo che tali pettegolezzi possano interferire con i miei piani.» «E quali sono i vostri ... piani, di grazia?» Quella domanda parve caricare l'aria di energia elettrica. Per un istante calò un profondo silenzio. Poi finalmente Burr rispose. «Credo che voi ne abbiate già un'idea.» «Non del tutto» mentì lui. Dopo aver rifiutato un cognac, Burr sprofondò in una comoda poltrona di cuoio e cercò di iniziare una conversazione più frivola. facendo domande sulla famiglia dei Vallerand e sulla situazione economica di New Orleans. Max comprese perfettamente il dilemma in cui si trovava il colonnello. Se desiderava il suo appoggio. doveva rischiare di dirgli qualcosa, ma nello stesso tempo non poteva permettersi di rivelare troppi dettagli che potessero inficiare i suoi progetti. Perciò alla fine gli confidò soltanto che intendeva usare New Orleans come base per conquistare il Messico e togliere la Florida agli spagnoli ... se, ovviamente, fosse scoppiata una guerra tra gli Stati Uniti e la Spagna. Quando Burr ebbe finito di parlare, Max sorrise con esasperante indifferenza. «E tutto questo a favore di chi?» Come Max si aspettava, Burr evitò di rivelare che lui progettava di essere l'unico a capo di questo nuovo impero. «Diciamo che ci guadagnerebbe l'intera Louisiana.» «Ma anche voi, n'est-ce pus?» «E voi» ribatté Burr «se entrerete nel gruppo dei miei sostenitori.» Max lasciò che la tensione giungesse al culmine, poi rispose: «Trovo impossibile sostenere una causa con scopi cosi confusi. A meno che non possiate comunicarmi maggiori dettagli ...» Burr corrugò la fronte, sorpreso dalla mancanza di entusiasmo dell'interlocutore. «Vi ho dato tutte le informazioni disponibili al momento. Dal mio punto di vista, voi avete poche ragioni per non sostenermi...» Max spalancò le braccia. «Ho i miei legami di lealtà, colonnello ...» «Verso Claiborne?» «E verso gli Stati Uniti.» «Temo di non comprendere la vostra lealtà a un paese che ha rifiutato alla vostra gente i diritti di cittadinanza, Vallerand. Dovreste considerare gli interessi del territorio ... e quelli della vostra famiglia ... più attentamente. È chiaro che la vostra lealtà è mal collocata.» «Questo lo dimostrerà il tempo. Per ora mi conserverò sui binari che ho scelto. Ho apprezzato immensamente la nostra chiacchierata, colonnello, ma credo che ormai si sia fatto molto tardi.» Burr replicò con furia mal repressa. «Verrà un giorno in cui vi pentirete di esservi schierato con i miei avversari, Vallerand.» Quando se ne fu andato, Max emise un sospiro. Era possibile che il colonnello avesse ragione: forse Burr sarebbe riuscito a portare a termine i suoi piani e New Orleans sarebbe diventata una regione del suo impero. Se lui aveva fatto la scelta sbagliata, avrebbe perso denaro e terre, e forse anche qualcosa di più ... Burr era rinomato per la sua sete di vendetta ... «A mio avviso, non è convincente. Non gliene importa un accidente né dei suoi "amici" né del territorio. Quel che vuole è il potere. Solo per sé.» Udendo la voce di Lysette, Max si voltò con un'aria interrogativa sul volto. «Hai origliato?» Lei non cercò nemmeno di negarlo. «Si sente tutto anche con la porta chiusa. Se desideri più intimità, la prossima volta farai meglio a scegliere un salotto.» Max scoppiò a ridere. «Lo terrò presente.» Lysette corrugò la fronte. «Cosa ne dici? È possibile che il colonnello riesca a portare avanti i suoi piani e a Includervi New Orleans?» «Potrei averlo sottovalutato» ammise Max. «Di certo nessuno avrebbe potuto prevedere la popolarità guadagnata durante questo viaggio. Ah, non vede proprio l'ora di avere una corona su quella sua testa inquieta!» «Una corona? Dunque, non crede nella democrazia?» «No, petite.» «E tu, Max?» domandò lei, consapevole che molti creoli avevano seri dubbi sul sistema di governo americano. Max la prese tra le braccia sorridendo. «Mi piace la democrazia. Dappertutto. Ma non nella mia casa.» Lei continuò a fargli domande mentre lui la trasportava su per le scale. «Credi che prima o poi ti pentirai di non esserti messo dalla parte del colonnello?» «Diciamo che ho accumulato dei risparmi appositamente per i tempi bui» ribatté lui stringendola affettuosamente. «Non dimenticare che la situazione politica è cambiata altre volte e i Vallerand sono sempre riusciti a prosperare. Hai dei dubbi sulla mia capacità di provvedere al nostro futuro?» «Certo che no» rispose lei accarezzandolo dietro l'orecchio. «Max ... non mi hai mai detto perché tu e Bernard avete litigato il giorno del ballo da Seraphiné.» Lui emise un sospiro teatrale. «È una storia troppo lunga per spiegartela ora. Sono stanco tesoro. Domani ...» «Spiegamene solo un pechino» insistette lei, cercando di esercitare tutto il suo fascino. Lui fece una smorfia. ma si apprestò a compiacerla. «Benissimo. Avevo chiesto molte volte a Bernard di assumere qualche responsabilità nella piantagione e lui finalmente l'ha fatto. Ma ho riposto male la mia fiducia.» «Ha fatto qualcosa di sbagliato? «Peggio ... Tu hai incontrato Newland, il nuovo sovrintendente, vero? Tempo fa Bernard gli ha ordinato di frustare uno schiavo che non lavorava abbastanza. Lo schiavo ha avuto la febbre per una settimana e non è stato in grado di andare nei campi. Allora Newland non ha più obbedito a simili ordini e Bernard si è messo a frustare lui. Purtroppo quel giorno ero in città ... se fossi stato qui, l'avrei fermato.» «Oh Max» mormorò lei, dispiaciuta. Quando raggiunsero la camera da letto, Max la posò delicatamente sul materasso. «Quando l'ho scoperto, non ho potuto fare niente, a parte trattenermi dall'istinto di spellare vivo mio fratello. Il peggio è che lui non vede niente di male in quello che ha fatto. È chiaro che non potrò mai lasciargli la conduzione della piantagione ... né a lui, né ad Alex. Finché io sarò puntuale nel pagare l'indennità mensile, i miei fratelli saranno ben contenti di trascorrere tutto il loro tempo in frivolezze. E dire che nemmeno io ho mai amato questa piantagione ... «Lo so» disse Lysette afferrandolo per il foulard. «È solo un dovere per te.» Max emise un profondo sospiro. «Mio padre traeva un immenso piacere dalla vista di campi fertili e fruttuosi. Era un uomo della terra ... amava la piantagione in un modo che mi è sconosciuto ed estraneo. È stato un bene. in fin dei conti, che non sia sopravvissuto abbastanza da vedere che nessuno dei suoi tre figli ha ereditato la sua passione. Ho fatto lunghe riflessioni anche prima che accadesse l'incidente tra Newland e Bernard. Ho pensato di vendere la piantagione o almeno una parte. Ma mi sono sempre sembrati dei mezzi tradimenti nei confronti di mio padre e del suo duro lavoro.» «Senza contare che la piantagione è il sostentamento di tutta la famiglia» commentò Lysette, sbottonandogli la camicia. «Se la vendi, ci saranno conseguenze.» «Oh, di certo» la rassicurò lui, tetro. «Fortunatamente io sono abbastanza abituato alla pubblica disapprovazione e non mi interessano le opinioni degli altri.» Poi la guardò intensamente negli occhi. «Ma tu?» «Sono abbastanza forte da affrontare i problemi» mormorò lei con un timido sorriso. «Per esempio, ho già fatto l'abitudine a essere conosciuta come la marriee du dioble.» Lo sguardo di Max la accarezzò con passione affettuosa. «Non sei in trappola, sai?» continuò Lysette. «Non sei obbligato a conservare la piantagione. Fanne quello che vuoi. E qualunque siano le conseguenze le affronteremo insieme.» «La mia piccola ribelle» mormorò lui affondandole le mani nei riccioli fulvi. «Avrei dovuto immaginare che tu mi avresti incoraggiato a fare la scelta più anticonformista. Benissimo, ti dirò la verità ... odio questo dannato posto, per tutto il lavoro che richiede, per i ricordi orribili che custodisce e per i compromessi morali che mi impone.» «Lo venderai, allora?» «Non tutto. Pensavo di venderne metà agli Archambault, i nostri vicini. Sono disposti a pagare bene.» «E gli schiavi?» «Non voglio più possedere schiavi. Sono stanco di ignorare il problema avanzando questioni di ordine economico e tradizionale.» Una smorfia gli corrugò la fronte. «Sono rimasto dalla parte sbagliata per troppo tempo ... non posso più difendere lo schiavismo con convinzione.» La sua bocca si contrasse in una smorfia impaziente. «Intendo dire che ... voglio liberare gli schiavi dei Vallerand.» «Tutti?» «Tutti. E assumere come uomini liberi quelli che vorranno rimanere a lavorare per me.» Accorgendosi dell'espressione stupefatta della moglie, lui sorrise amaramente.» «È già stato fatto, sai? C'è una piantagione di canna da zucchero a New Orleans che funziona così ... quella di Maurice Manville ... e riesce a guadagnare, anche se i suoi ricavi sono ovviamente minori. Se io seguissi il suo esempio e dimezzassi la piantagione, mi resterebbe più tempo per seguire l'azienda di spedizioni.» Lysette cercò di digerire tutte le informazioni che lui le aveva confidato. «È molto difficile prevedere ciò che avverrà, n'est-ce pas?» Allungò una mano per accarezzargli la fronte contratta. «Ci saranno ripercussioni economiche.» «All'inizio, sicuramente. Ma le spedizioni sono un settore in crescita e sono sicuro di poter riuscire in quel campo.» Lysette sorrise per tranquillizzarlo. «Fallo, mon cher. È la cosa giusta.» «E per l'eredità dei gemelli o dei figli che ci verranno ... ?» «Potrai lasciargli cose molto più importanti di un fazzoletto di terra. E loro saranno sempre dei Vallerand, con o senza una grande piantagione.» Sfilandogli la camicia, Lysette schiacciò il viso sul suo torace caldo. «Uhm ... che buon profumo hai...» E lo baciò appassionatamente sulla vena pulsante del collo. Lui la guardò con tenerezza. «C'è un vantaggio ad avere una moglie giovane» dichiarò poi con un sorriso malizioso. «Non sa tenere testa ai piani del marito.» «Uhm ... a mio avviso ce ne sono anche altri» aggiunse lei iniziando a sbottonargli i calzoni. «Mostrameli» ordinò lui dolcemente. E lei lo fece. Nemmeno questa volta la famiglia Vallerand riuscì a trascorrere un lungo periodo di tranquillità e l'involontario responsabile dell'inizio dei problemi fu in quest'occasione Philippe. mentre si stava dirigendo alla sua lezione di scherma. Smontato da cavallo, mentre si incamminava verso la casa del maestro Navarre, sentì delle voci intorno a lui. Poi una spallata gli fece perdere l'equilibrio. Mentre incespicava all'indietro, alzò gli occhi sconcertato e vide tre ragazzi che avevano appena finito la lezione ... ragazzi che, eccitati dallo sforzo fisico e ribollenti di vigore, avevano un'evidente voglia di combattere. Lo scontro, palesemente, non era stato un incidente. Il capo del gruppo, un corpulento ragazzotto biondo di nome Louis Picotte, aveva già tormentato Philippe in precedenza e non aveva mai fatto mistero di quanto lo disprezzasse. Philippe, invece, non aveva alcuna voglia di litigare. Perciò, si scusò in fretta. «Pardonnez-moi. Non stavo guardando.» «Ovvio» sbottò Louis. «I Vallerand non guardano mai, perché sono convinti di essere i padroni del mondo.» Il cuore di Philippe sussultò. «Sto facendo tardi alla lezione» mormorò cercando di avanzare, ma i tre gli bloccarono la strada. «Le vostre scuse non sono state convincenti» insistette il bulletto, con una smorfia impudente sul volto. «Inginocchiatevi e ripetetele.» Philippe arrossì, preso da un desiderio folle di voltarsi e darsi alla fuga, ma la dignità fu una motivazione più forte. Passò lo sguardo sui volti dei tre coetanei e l'unica cosa che vide fu odio puro, quel tipo di disprezzo a cui era abituato come figlio di Maximilien Vallerand. «No» ribatté con voce bassa ma decisa. «Allora lasciamo discutere le nostre spade» ribatté Louis, indicando uno spiazzo semi nascosto da un gruppo di alberi, dove non sarebbero stati notati dai passanti. «No» ripeté Philippe, rendendosi conto che il ragazzo voleva qualcosa di più di una scazzottata. «Sistemiamo la cosa là dentro» propose, indicando la palestra del maestro di scherma. Navarre, che pure proibiva a tutti i suoi studenti di battersi fuori dalla scuola, aveva già in passato supervisionato dispute di quel genere. «Perché? Avete paura?» «No, è solo che ...» «Avete paura» lo incalzò Louis. «Lo sanno tutti. Siete un codardo. Che bella famiglia!» Sputò a terra con aria di disgusto. «Vostro padre è un assassino, vostro fratello uno spaccone e voi... uno schifoso coniglio.» Philippe fremette di rabbia repressa. «Ah, guarda come trema il coniglietto!» lo canzonò Louis. «Guarda co ...» Ma improvvisamente si interruppe, colpito alla testa. Allora si voltò tenendosi la nuca. «Che diav ...» Un'altra sassata, questa volta sul petto. Il ragazzo osservò incredulo Justin, che era apparso dietro di loro con un'artiglieria di pietre tra le mani. «Cosa vi stavano dicendo, fratello?» Philippe deglutì, diviso tra la preoccupazione e il sollievo. «Niente, Justin. Venite, faremo tardi alla lezio ...» «Mi è sembrato che vi avesse appena chiamato coniglio, cosa che non corrisponde a verità. E mi pare anche che mi abbia definito spaccone, altra cosa con cui non concordo.» «Ho anche detto che vostro padre è un assassino» sibilò Louis. Improvvisamente Justin lasciò cadere i sassi. «Lanciatemi la vostra spada, Philippe» «ordinò con gli occhi azzurri divenuti quasi neri per la rabbia. «No» rispose Philippe, raggiungendolo a grandi passi.» «Non con le spade, Justin. E comunque non è con voi che vuole combattere.» «Sbagliate» ribatté suo fratello. «Ha dato fastidio a voi, proprio perché voleva battersi con me.» «Non con le spade, Justin» ripeté Philippe con un filo di voce. Louis li sfidò con un sorriso di scherno. «Che fate, Justin? Lascerete che vostro fratello trasformi in un coniglio anche voi?» Lui trattenne il respiro, poi allungò la mano sulla spada di Philippe che, impallidendo, lasciò fare. Un piccolo gruppo si diresse silenziosamente allo spiazzo nascosto, ben sapendo che nessuno di loro aveva ancora l'età per battersi ufficialmente. In ogni caso, seguendo un rito ben noto, i due si scelsero un padrino e si tolsero la giacca lentamente. Louis si stava già pentendo di avere sfidato un Vallerand. perché gli occhi duri e decisi di Justin non promettevano niente di buono. Ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro e assunse la posizione d'attacco. Sui presenti calò un pesante silenzio, mentre i due avversari si salutavano e il duello incominciava con un acuto sferragliare di spade. Entrambi iniziarono con alcune combinazioni elementari, studiando le mosse migliori per battere il nemico. Doppia finta, affondo, parata, seguita da una veloce risposta. Entrambi si muovevano con coordinazione e abilità. Uno dei ragazzi che assistevano mormorò che era un peccato che il maestro Navarre non stesse osservando. Era in effetti una sfida notevole. In seguito, però, la parità incominciò a venire meno. Mentre Louis sudava profusamente nel tentativo di mantenere la concentrazione, Justin combatteva con un'aggressività fredda e tecnica che non aveva mai mostrato a scuola. Solo suo fratello comprendeva in profondità ciò che lo rendeva così efficiente: a Justin non importava affatto ciò che gli poteva capitare e anzi, più cresceva, meno mostrava interesse; non era spaventato dal dolore o dalla solitudine, forse nemmeno dalla morte ... e questa era la cosa più terrorizzante. A un certo punto Louis scattò all'indietro sorpreso, sentendo la punta della spada che gli toccava la spalla. Abbassò gli occhi. incredulo, verso la ferita. Mentre un mormorio si alzava dal pubblico, Philippe corse subito dal padrino di Louis. «L'onore è soddisfatto» gli disse, ansimando e pulendosi con la manica della giacca il sudore ghiacciato sulla fronte. Louis si sentì morire per l'umiliazione. Vide Justin attraverso una nebbia di rabbia, disgustato al pensiero che un piccolo errore, una minima apertura della guardia, l'avesse portato alla sconfitta. E gli dava ancora più fastidio il sorprendente silenzio di Justin. Louis si aspettava che un Vallerand si gloriasse di fronte a una vittoria: invece lui conservava la stessa espressione seria e impassibile che aveva mantenuto durante il combattimento ... atteggiamento che per qualche strana ragione a Louis sembrava più offensivo di un'aperta provocazione. «È finita» insistette Philippe, senza preoccuparsi di celare il sollievo nella propria voce. «No, non è finita!» sbottò Louis. ma nessuno gli prestò attenzione. Justin si diresse verso il fratello per rendergli la spada, ma si bloccò quando vide l'espressione inorridita sul suo volto. «No!» fu tutto ciò che Philippe riuscì a gridare prima che Justin si voltasse di scatto e vedesse Louis che balzava contro di lui. Sorpreso, Justin avvertì un'esplosione di calore al fianco. Abbassò lo sguardo e vide la lama sottile ritrarsi. Poi sentì il dolore. Cadde goffamente in ginocchio, fissando senza comprendere la macchia rossa che si allargava sulla camicia. Pressò le mani sulla ferita e cadde a terra, respirando affannosamente. «Oh, Justin!» gemette Philippe. inginocchiandosi al suo fianco. «Justin.» Louis non si rese subito conto di ciò che aveva fatto, ma lo apprese dalle espressioni di disgusto e sorpresa dei suoi stessi amici. «Non volevo ...» balbettò, allora, ma la sua voce sfumò in un silenzio vergognoso. Aveva compiuto un'azione troppo disonorevole da descrivere a parole. Indietreggiò di qualche passo, poi si voltò e fuggì. Justin si girò, alzò gli occhi azzurri verso il fratello e gli disse con il suo solito tono annoiato: «È solo un graffio.» Con una risata soffocata il gemello rispose: «State perdendo sangue, Justin.» «Dov'è Louis, quel ... maledetto, vile ... serpente?» «Se ne è andato» ribatté Philippe. «Credo che sia rimasto sorpreso dalla propria reazione tanto quanto noi.» Justin cercò invano di rimettersi in piedi. «Sorpreso? Lo ucciderò! Lo ucc...» Ma si interruppe con un gemito di dolore, mentre sotto le dita gli sgorgava un nuovo fiotto di sangue. «Basta!» pianse Philippe, prendendolo per le spalle. «Abbiamo bisogno di un dottore ... Ora vi lascio per un istante e vado a ...» «No, torniamo a casa, dove con ogni probabilità sarà nostro padre a finirmi.» «Ma ...» «Portatemi a casa» sussurrò Justin con un'intensità a cui fu impossibile replicare. In quel momento uno dei ragazzi si chinò a raccogliere la giacca di Justin e la allungò a Philippe, dicendo: «Louis non avrebbe dovuto comportarsi così. Non mi presterò mai più a fargli da padrino.» «Innanzi tutto non avrebbe mai dovuto esserci un duello!» ruggì Philippe, premendo la giacca sulla ferita del fratello. Nel frattempo un altro ragazzo era andato a prendere il cavallo di Philippe e tutti lo aiutarono a mettere Justin in sella. Il tragitto del ritorno fu terribile. Philippe soffriva ogni pena del gemello. Soprattutto era terrorizzato che morisse prima di arrivare a casa. «Perché eravate così ansioso di battervi con Louis?» gli chiese, preferendo sentirlo parlare. «Lo odiate tanto?» Ora che il sangue si era fermato. Justin pensava un po' più chiaramente. «Volevo solo combattere ...» rispose con voce fioca. «Chiunque sarebbe andato bene. Mi sento meravigliosamente durante il combattimento. Vorrei non smettere mai.» «Perché?» «Soddisfa un lato profondo di me. Non so quale.» «Un lato autodistruttivo!» ribatté Philippe, con voce strozzata. «Ma io non vi permetterò di distruggervi, Justin. Non posso perdervi...» Philippe continuò a parlare, ma improvvisamente a Justin le sue parole divennero indistinguibili e gli occhi si chiusero. Iniziò a scivolare dentro e fuori uno strano sogno. Erano a casa e delle mani cercavano di toccarlo, mentre lui precipitava dentro un grande mare scarlatto e veniva portato via da un'onda gigantesca. La testa gli pulsava, il fianco bruciava. Si sentiva di nuovo piccolo. E infatti fu messo a letto gentilmente, dove riposò per ore e ore finché non fu risvegliato da un terribile senso di solitudine. «Mon père» sussurrò, muovendo la mano a tentoni finché non venne afferrata da una più grande e forte, l'energia vitale di quella presa parve restituirgli i sensi. Vide il volto di suo padre, la tensione nella sua mascella, la dolcezza nei suoi occhi. Era assurdo, ma sapeva che finché suo padre gli avesse tenuto la mano lui sarebbe stato al sicuro. Come percependo le sensazioni del ragazzo, Max non lasciò andare la mano neppure in presenza del dottore. Justin rabbrividì per il dolore, mentre la ferita veniva pulita. ma rimase in silenzio, pur grondante di sudore. Poi finalmente il dottore smise di lavorare. Gli somministrò una medicina dal sapore orribile, lo bendò, poi padre e figlio vennero lasciati soli. «Ora mi sgriderete, non è vero?» domandò Justin senza guardarlo. «L'inferno arriverà domani» rispose Max, aggiustandogli le coperte con cura. «Per il momento sono sollevato che tutto sia finito bene.» Justin sbadigliò profondamente, mentre la medicina iniziava a fare il suo effetto. «Quando mi addormenterò, mi lascerete?» «No, mon fils.» «Potete andarvene, se avete altro da fare» mormorò Justin, anche se desiderava ardentemente che rimanesse. «Nessuna occupazione al mondo potrebbe convincermi a lasciarti» fu la tranquilla risposta di Max. Il ragazzo si rilassò sollevato. Strinse più forte la mano di suo padre e non la lasciò andare neppure quando sprofondò nel sonno. 12 «Come sta?» domandò Alexandre, versandogli da bere. Ma Max gli fece cenno di mettere giù la bottiglia. «Starà bene.» Max era appena sceso dal piano di sopra, dove Justin stava dormendo sereno, e aveva raggiunto i suoi fratelli in biblioteca, mentre Lysette e Noeline stavano aiutando una turbatissima Irénée a coricarsi. «La ferita non è grave, grazie a Dio.» Scosse il capo, poi raddrizzò le spalle. «Non riesco ancora a credere che sia accaduto a mio figlio.» «Davvero è stata una sorpresa per voi?» gli domandò Bernard. «Io sono stupito soltanto che non sia accaduto prima.» «Justin sta seguendo le orme di suo padre, non è così?» aggiunse Alexandre. Max lanciò a entrambi un'occhiata di ghiaccio. «Be', è la verità, Max» ribatté Bernard. «Sapete com'è fatto il ragazzo. Non potete dire che sia stata una sorpresa. E sareste un pazzo se pensaste che non accadrà ancora.» A quelle parole la furia di Max stava per esplodere, ma fortunatamente, prima che accadesse, intervenne la voce pacata di Lysette. «Mon mari» disse lei, prendendolo a braccetto «mi dispiace privarvi di questo caloroso affetto fraterno, ma Bertè ci ha riscaldato la cena. Su, venite a mangiare qualcosa.» «Non ho fame ...» «Solo un boccone, bien-aimei» gli sussurrò Lysette in tono accattivante. «Non vorrete farmi mangiare da sola, vero? Per favore ...» Con un basso mugugno, Max si voltò per accompagnarla. Mentre raggiungevano la porta, Lysette si voltò per fulminare i cognati con uno sguardo di rimprovero e poi seguì serenamente il marito fuori dalla stanza. Il contrasto tra quello sguardo e la dolcezza con la quale trattava il padrone di casa scatenò in Alexandre un risolino. «Con i suoi modi affabili» commentò con un sorriso «in realtà è una vera despota.» «Non è divertente» commentò Bernard. «Perché no? Lysette è palesemente la donna giusta per Max.» «Io non direi.» Bernard vuotò il suo bicchiere, fissando la soglia vuota. Alexandre piegò il capo con aria meditabonda. «A voi non piace, vero? Non me n'ero mai reso corno finora.» La voce di Bernard era piatta e fredda. «No, non mi piace. Non mi piace l'effetto che ha su Max. E nemmeno i problemi che crea in famiglia. Le cose andavano meglio prima del suo arrivo.» Quando la mattina dopo Justin si svegliò nel suo letto, trovò la stanza invasa da fratello, padre e matrigna. Lysette iniziò a coccolarlo come una chioccia, mettendogli davanti il vassoio con la colazione e un tovagliolo intorno al collo come se fosse un bambino di cinque anni. Lui era grato della sua presenza, soprattutto per il modo in cui riusciva a calmare la rabbia di suo padre. Non sapeva quando o come Lysette era diventata una sua alleata, ma, mentre la guardava nei sereni occhi azzurri, provò per lei un afflato di adorazione. Suo padre, naturalmente, iniziò il colloquio esigendo una dettagliata spiegazione di come si fossero svolti gli eventi il giorno prima. Come prima cosa chiese la versione di Philippe. Come sempre, il ragazzo scelse le parole con cautela. «Sono stato affrontato da tre ragazzi, uno dei quali voleva a tutti costì sfidarmi a duello. Io ho rifiutato e in quel momento è apparso Justin ...» «Che prontamente ha raccolto il guanto» completò Max tristemente. Justin fece una smorfia. «L'avevano chiamato coniglio!» disse in propria difesa. «Nessuno insulta un Vallerand impunemente.» «Tutto qui?» «No.» «Justin abbassò gli occhi sul copriletto.» «Mi hanno definito uno spaccone e riguardo a voi ...» Si interruppe improvvisamente, mentre le guance gli diventavano paonazze. «Riguardo a me, cosa?» domandò gentilmente Max, sebbene conoscesse perfettamente la risposta. Il rossore si diffuse sul collo e sulle orecchie di Justin. «Lo sapete» sbottò con aria scontrosa. «Voglio che lo diciate.» Il ragazzo si passò diverse volte le mani nei capelli, agitato come una belva in gabbia. «Ditelo, mon fils» lo incalzò calmo Max. «Per favore.» La tensione divenne sempre più palpabile, tanto che nessuno dei quattro presenti nella stanza osava muoversi, né qua s i respirare. Improvvisamente le lacrime scintillarono negli occhi chiari di Justin, che strinse i denti in segno di rabbia e umiliazione. «Vi hanno chiamato assassino! È questo che dicono tutti. Tutti. E voi mi chiedete perché mi sia lanciato nel combattimento? Né io né Philippe abbiamo mai avuto un vero amico.» Voltò la testa per fulminare il fratello. «Diteglielo anche voi, diteglielo!» Max andò a sedersi sul bordo del letto. «Ascoltatemi, Justin. Io comprendo ...» «No!» «Per Dio, non interrompetemi! Non sarete mai in grado di cambiare ciò che va dicendo la gente. Le chiacchiere continueranno. Potrete uccidere uno, cinque, dieci uomini, Justin, ma non cambierete il passato e rimarrete comunque mio figlio. Maledite il vostro destino, se volete, ma convincetevi che non potete mutarlo. Morireste nel tentativo e ... questo mi distruggerebbe come nessun'altra cosa al mondo, Justin.» «Cosa è accaduto a mia madre?» domandò lui singhiozzando. «Non ho molto da dirvi» rispose bruscamente Max. «L'ho sposata perché la amavo. Ma il matrimonio è diventato subito infelice e, poco dopo la vostra nascita, ho scoperto che Corinne aveva una relazione con un altro uomo.» «Etienne Sagesse?» «Sì.» «Perché?» sbottò Philippe, tenendosi a distanza. «Come ha potuto fare una cosa del genere?» «Probabilmente pensava di amarlo» rispose Max imponendosi la calma. Solo Lysette si rendeva conto dello sforzo d'autocontrollo che stava esercitando per parlare con quel distacco di un episodio tanto doloroso. «Non sono riuscito a renderla felice. E questo è stato uno degli elementi che l'ha spinta altrove.» «Non c'è bisogno di trovarle delle scuse! commentò Justin. «Sono felice che sia morta.» «No, Justin. Compatitela, ma non odiatela.» «Dunque, è stato Etienne Sagesse a ucciderla?» domandò il ragazzo.» «Non credo.» Il mento di Justin tremò. «Siete stato voi allora?» lo incalzò con voce roca. Max combatté contro un'intima resistenza a parlare. «No. L'ho trovata già morta. Non so cosa le sia accaduto.» Un misto di rabbia e incredulità attraversò il volto di Justin. «Ma dovete saperlo! Dovete.» «Mi piacerebbe saperlo» ribatté Max. «E ancora più mi sarebbe piaciuto che voi due non foste cresciuti all'ombra di una simile tragedia. Credetemi. Justin. Ho sempre desiderato in primo luogo la vostra felicità.» Il ragazzo chiuse gli occhi e si lasciò andare sul cuscino. «Ma non avete nemmeno dei sospetti? Qualcuno che poteva volerla morta? «Molto tempo fa ho parlato con Sagesse, convinto che potesse rivelarmi qualcosa.» «E ... ?» «Lui era sicuro che l'avessi uccisa io, per gelosia.» «Dovevate finirlo durante il duello» borbottò Justin. «Guardatemi.» Max attese che Justin riaprisse gli occhi. «Dovete comportarvi da uomo di buon senso, figlio mio. Preferisco di gran lunga che siate etichettato come un codardo piuttosto che lasciarvi irretire in un duello dal primo esagitato che vi sfida. Più la vostra reputazione peggiora, più cercheranno di provocarvi... e più sarete costretto a usare la spada. Non voglio questa fine né per voi, né per vostro fratello. Siete troppo importanti per me. Dovete essere più cauto la prossima volta, Justin ... per amor mio. Per favore.» Lui deglutì a fatica e si alzò dai cuscini per avvicinarsi a suo padre. «Le vous aimè, mon père» gli sussurrò con voce soffocata. Max lo abbracciò con dolcezza e gli scompigliò i capelli, mormorandogli parole d'affetto. Lysette si accorse che Philippe stava per avvicinarsi alletto, poi si era bloccato, consapevole che quel momento apparteneva soltanto a loro due. "Com'è generoso" pensò lei, stringendogli la mano. Il ragazzo guardò le loro mani congiunte, poi allungò la guancia per accettare un bacio. Dopo avere terminato tutto ciò che si era riproposto dì fare a New Orleans. Aaron Burr tornò a Saint Louis per complottare insieme al generale Wilkinson. Iniziò il suo viaggio verso l'interno, a Natchez, su cavalli forniti da Daniel Clark. il commerciante più noto e benestante del territorio. Burr era profondamente soddisfatto della sua missione a Ovest. Non sembrava difficile istigare la rivolta della popolazione contro gli spagnoli e conquistare Florida e Messico. Soprattutto era sicuro di avere tenuto ben celate le proprie intenzioni ai diplomatici spagnoli, Yrujo tra i primi. e di averli convinti che non aveva alcuna mira sulle loro terre. In meno di un anno avrebbe ottenuto il successo. E quelli che avevano cercato di impedire i suoi piani... come Vallerand ... sarebbero strisciati ai suoi piedi. Il messaggero partì dalla residenza di don Carlos, marchese de casa Yrujo, all'alba, Mentre si dirigeva a sud in modo circospetto, fu costretto improvvisamente a fermare il cavallo, perché due uomini armati gli bloccavano il cammino. Impallidito per il terrore, convinto che volessero derubarlo, iniziò a biascicare in spagnolo che non aveva denaro, né altri preziosi. Uno degli sconosciuti, un uomo dai capelli neri, gli fece cenno di smontare e gli ordinò, in uno spagnolo elementare, ma comprensibile, di consegnare le lettere che stava portando. «N ... no puedo» balbettò il messaggero, scuotendo enfaticamente il capo. «Sono altamente confidenziali ... Ho giurato sulla mia vita di consegnarle senza ...» «La tua vita» rispose l'uomo gentilmente «è precisamente ciò che perderai se non ci consegnerai le lettere.» Dopo avere armeggiato goffamente dentro la giacca, il messaggero tirò fuori una decina di documenti chiusi ermeticamente con il sigillo personale di Yrujo. Si ripulì il sudore dalla fronte, mentre l'uomo bruno li osservava. Una busta in particolare attrasse la sua attenzione, mentre le altre vennero restituite. Max fissò Jacques Clement con un sorrisino ironico. «È indirizzata a un commissario di frontiera spagnolo che si è fermato a New Orleans per misteriosi motivi. «Forse gli piace la città» ribatté ironicamente Clement. Max aprì la lettera, ignorando il debole grido di protesta del messaggero. Scrutò il contenuto, mentre il suo sorriso lentamente svaniva, poi riportò gli occhi sull'amico. «Bello il modo in cui i diplomatici spagnoli augurano a una persona buon viaggio e poi, con estrema gentilezza, la pugnalano alle spalle ...» Non comprendendo la conversazione, il messaggero lo guardò con angoscia, poi osò interromperlo. «Senor, non posso consegnare una lettera con un sigillo infranto. Cosa devo fare ora? Che ...» «Non la consegnerai infatti» rispose Max «perché la conserverò io.» Un torrente di imprecazioni in spagnolo salutò quell'affermazione. Era troppo veloce perché Max comprendesse le singole parole, ma il contenuto generale era più che chiaro. «Questo poveretto sarà imprigionato quando lo scopriranno» dichiarò Clement. «Non gli perdoneranno di essersi lasciato rubare una lettera così privata.» Max gettò al messaggero una piccola sacca, che tintinnò appena atterrò sul palmo della sua mano. «Dovrebbe essere una somma sufficiente per permetterti di sparire e vivere bene per un bel po' di tempo» gli disse. Un'altra serie di parole incomprensibili. Max guardò Clement che conosceva la lingua meglio di lui. «Cosa sta dicendo?» «Che ha bisogno di più denaro, perché ha moglie e figli.» Max sorrise gelido. «Dategli quello che chiede. Vi rimborserò più tardi.» «Ma vale tanto quel documento?» gli chiese Clement incredulo. Max si infilò la lettera nella tasca con un' aria profondamente soddisfatta. «Oh sì.» Era un piacere assistere al crescente stupore di Claiborne mentre leggeva e rileggeva la lettera. «Gli spagnoli sanno che questo documento l'abbiamo noi?» domandò alla fine. Max si strinse nelle spalle. «Non importa. Non cambierà i loro piani.» «Questa sì che è una notizia» dichiarò Claiborne lentamente. «Non solo non si fidano di Burr, ma stanno anche preparando una reazione. Se questa lettera dice il vero, lo screditeranno completamente! E quei furbi bastardi stanno usando un americano per farlo. Avete già incontrato Stephen Minor? «Di sfuggita.» «Sapevate prima di entrare in possesso della lettera che era sulla busta paga degli spagnoli?» «No,» Max sorrise. «Ma non posso tenere il conto di tutti gli americani stipendiati dagli spagnoli, no?» «Creolo insolente!» ribatté Claiborne, sorridendogli a sua volta. «Volete sottintendere che gli americani sono facilmente corruttibili?» «Così pare, signore.» Claiborne contenne la propria soddisfazione e assunse un'espressione più severa. «Per ora possiamo solo aspettare. Se queste informazioni sono accurate, Minor spargerà per tutto il territorio la notizia che Burr sta progettando di separare l'Ovest dal resto della nazione per unirle ai possedimenti spagnoli e creare un proprio impero. Questo dovrebbe bastare per rivoltare il paese contro di lui. «E tali informazioni dovrebbero raggiungere Saint Louis contemporaneamente all'arrivo di Burr» concordò Max. «Ah! Darei una fortuna per vedere la faccia del generale Wilkinson. Non ci vorrà molto prima che lui si dissoci completamente da Burr. Max si alzò e tese la mano. «Ora devo andarmene. Ma se avete bisogno di me per qualsiasi altra cosa ...» «Sì, sì.» «Anche Claiborne si alzò e gli strinse la mano, afferrandola con più calore del solito.» «Vallerand, oggi mi avete dimostrato concretamente il valore della vostra fedeltà.» Max inarcò un sopracciglio. «Ne avevate bisogno?» «Mi chiedevo cosa potevate avere omesso quando mi avete descritto il vostro incontro con Burr» ammise l'uomo. «È una persona molto persuasiva. Avreste potuto condividere parte della sua gloria, mettendovi al suo fianco.» «Non ho brama di gloria: vorrei solo conservare ciò che è mio» ribatté Max in tono grave. «Buona giornata, eccellenza.» Con una mossa inattesa, Max diede a Justin l'incarico di dirigere i lavori di abbattimento della vecchia casa del sovrintendente. Lysette fu molto contenta della notizia. comprendendone il profondo significato: il passato stava perdendo la sua terribile influenza su Max e sui suoi figli. Justin fu molto orgoglioso della responsabilità dell'incarico: organizzò con grande efficienza una squadra per abbattere l'edificio mezzo diroccato e smaltire le macerie. Philippe, invece, preferì dedicarsi agli studi, perfettamente a proprio agio nel suo mondo di libri. Anche Lysette si trovò ad affrontare sfide di una natura diversa. Nonostante lei e Irénée fossero affezionate l'una all'altra, esistevano inevitabili elementi di conflitto tra nuora e suocera, Irénée rimaneva fermamente attaccata ai vecchi valori creoli, mentre Lysette era convinta della necessità di fare evolvere la loro piccola società. Irénée, per esempio, rimase inorridita quando seppe che Lysette aveva invitato alcune signore americane di New Orleans a far visita alla piantagione. «Sono signore molto cordiali e educate» le disse gentilmente Lysette. «Ma sono americane! Cosa penseranno le mie amiche?» «Ormai gli americani fanno parte della società di New Orleans quanto i creoli. Condividiamo gli stessi problemi e le stesse preoccupazioni.» Irénée la guardò scandalizzata. «Il vostro prossimo passo sarà dichiarare perfettamente accettabili i matrimoni tra creoli e americani.» «Oh. non sia mai» «ribatté Lysette secca. Irénée strinse gli occhi in segno di sospetto. «E Maximilien ne è informato?» Lysette sorrise, consapevole che l'anziana signora progettava di andare a parlare con suo figlio direttamente. «Mi approva totalmente, maman.» La donna andò a riferire le sue perplessità al padrone di casa quella stessa sera. Ma Max non prestò alcuna attenzione alle lamentele materne, sostenendo che non comprendeva quale male potesse derivare dall'amicizia di Lysette con qualche americana. Irénée era preoccupata anche della generosità con cui Max indulgeva in ogni capriccio della moglie, incoraggiandola a esprimersi liberamente e discutendo con lei anche di argomenti che i gentiluomini creoli non avrebbero mai accennato alle loro consorti. Ancora peggio. Max sembrava aspettarsi dalla famiglia che tutti rispettassero le opinioni di Lysette. Pochi anni prima, nessuno avrebbe potuto pensare che una donna sarebbe stata capace di manovrare il capofamiglia Vallerand con tale abilità. Il fatto che l'impresa fosse riuscita a una ragazza giovane. priva di esperienza e dalla bellezza non straordinaria era ancora più sconcertante. Divisa tra la soddisfazione di fronte all'evidente felicità del figlio e il disagio per i modi anticonvenzionali della nuora, Irénée rifletté sull'argomento a lungo prima di decidersi finalmente ad affrontare Max. «Se Lysette fosse una bambina» gli disse in privato «la definirei viziata. La incoraggiate a credere che può fare. dire e ottenere tutto ciò che vuole» «E infatti può» «ribatté lui pacatamente. «Lysette si sente libera di contraddire chiunque non sia in accordo con le sue idee, senza riguardi per l'età o l'autorità di nessuno. Una giovane madre di famiglia creola non si azzarderebbe mai a dire a un uomo cosa deve fare. E proprio stamattina Lysette ha cercato di imporre la propria volontà su Bernard, sostenendo che dovrebbe lavorare di più e bere di meno.» Quella dichiarazione provocò in Max una cordiale ilarità. «In tal caso temo che gli stia solo ripetendo la mia opinione. E voi dovreste essere d'accordo con lei.» «Questo non c'entra!» «Questo c'entra tantissimo, maman.» «Non vorrei esprimermi rudemente, mon fils, ma dovreste tenere le briglie più strette. Per il bene di Lysette, oltre che del resto della famiglia. Una tale libertà è dannosa.» Max strinse le labbra, guardando sua madre con aria perplessa. «Tenere le briglie più strette? Proprio il contrario: farò del mio meglio perché lei si senta completamente libera. Lysette dovrebbe essere terrorizzata da me. Invece per qualche incredibile miracolo ha il coraggio di affrontarmi a viso aperto. E anche se non merito un tale dono, Dio mi è testimone che non lo rovinerò. Mi taglierei la lingua piuttosto di ordinarle di vivere secondo le regole della nostra antiquata società.» «A me pare che voi dimentichiate, Maximilien, che questa società che definite così ... antiquata ... è composta dalla vostra famiglia e dall'insieme dei vostri amici!» «Sì, la stessa società che mi ha escluso come un emarginato dieci anni fa.» Ma quando si accorse dell' espressione accorata della madre, Max si calmò. «Mi dispiace» le disse in tono più gentile. «Non voglio dare colpe a nessuno ... non più.» «Sciocchezze!» esclamò Irénée. «Avete tanti amici sinceri.» «Volete dire colleghi o soci. Jacques Clement è l'unico amico disinteressato che ho a New Orleans. Avete visto con i vostri occhi il modo in cui la gente cambia strada quando mi incontra ... «Ma la gente che conta ci fa visita ...» «Fa visita a voi. Nessuno viene a trovare me.» «Siete pur invitato agli eventi mondani...» «Si, da parenti squattrinati interessati al mio patrimonio o da gentiluomini tradizionalisti, che sentono di dovermi qualche attenzione per amore della memoria di mio padre. E. quando partecipo, sono circondato da conversazioni imbarazzate e sorrisi di circostanza. Sapete benissimo che, se non fossi stato un membro importante della famiglia Vallerand, sarei stato scacciato da New Orleans molti anni fa. Il pettegolezzo persiste come un veleno ad azione lenta. E ora Lysette si trova a soffrire a causa di un passato con il quale non ha nessuna relazione.» «Max, credo che sopravvalutiate le difficoltà ...» «Semmai sto minimizzandole.» «Il punto è che dovete mettere fine alla sfrenatezza di vostra moglie prima che diventi ingestibile» lo avvertì Irénée. «Non volete che diventi come Corinne, vero?» A quel punto Max perse definitivamente le staffe e rispose con tale rabbia che sua madre non gli parlò per diversi giorni. Durante i quali dovette accettare il fatto che non sarebbe più stata in grado di influenzare suo figlio come in passato: lui non avrebbe ascoltato nessuna accusa contro Lysette. Delusa dal comportamento di Max durante una delle serate organizzate a casa Vallerand, Lysette decise di rimproverarlo in privato. Nonostante tutti i suoi tentativi di tenerlo calmo con sguardi e sorrisi. infatti, Max era stato scortese con un invitato, portato da uno dei cugini, che aveva dichiarato con troppo entusiasmo la propria ostilità nei confronti del governatore Claiborne e degli americani in generale. L'atmosfera era diventata presto così tesa che alle dieci, persino prima che fosse offerto il buffet, la gente aveva iniziato ad andarsene e la musica e i balli erano presto terminati. Facendo appello a tutta la propria determinazione, Lysette avvicinò suo marito in biblioteca, dove si era trasferito con Bernard per bere qualcosa dopo la partenza dell'ultimo invitato. Ma prima che potesse dire una sola parola, Max si voltò verso di lei e l'affrontò cupo. «Sono di cattivo umore.» «Anch'io» ribatté lei coraggiosamente. Rendendosi conto che si preparava tempesta, Bernard posò il bicchiere. «Sono esausto» dichiarò a disagio. «Buonanotte.» Ma nessuno dei due si accorse della sua partenza. «Non c'era motivo di essere così sgarbato nei confronti di monsieur Gregoire solo per qualche lamento nei confronti del governo» iniziò Lysette, seccata. «Ho sentito cose molto peggiori sul conto di Claiborne uscire dalle tue stesse labbra!» «Quando io critico Claiborne, almeno so di cosa sto parlando. Gregoire è un idiota. «La tua non è la sola opinione sostenibile, Max. E un uomo non è un idiota solo perché gli capita di avere idee diverse dalle tue.» «In questo caso sì.» Nonostante la rabbia, Lysette sentì le labbra che iniziavano a fremere per un'improvvisa ilarità. Perciò scelse un'altra strategia. «È compito di un padrone di casa far sentire i propri ospiti a loro agio e ignorare persino l'ignoranza di qualcuno, in modo che tutti possano rilassarsi e divertirsi. «E chi l'ha fatta questa legge?» «Io.» Max le lanciò lo sguardo più autoritario che seppe fingere. «Sono io il padrone di casa e posso fare tutto ciò che voglio.» Per niente impressionata da quella scena, Lysette si piantò i pugni sui fianchi. «Mossa fiacca!» disse. «Dovrai trovare un argomento più convincente, se vuoi vincere la partita. Max si alzò dalla sedia, apparendo ancora più alto e grosso del solito grazie agli abiti attillati che sottolineavano le cosce muscolose e l'ampio torace. «Stai mettendo in discussione la mia autorità?» Subito Lysette si accorse del cambiamento di atmosfera: la sfida tra loro era diventata misteriosamente sessuale. Mentre i loro sguardi si riscaldavano, sentì il cuore accelerare e il ventre contorcersi per un improvviso desiderio. «Forse» rispose con voce roca di passione. «E, dimmi, cosa rischierei in tal caso?» Non appena si accorse della scintilla rapace e divertita negli occhi di suo marito, si riparò dietro il tavolo rotondo al centro della biblioteca. Max cercò di prenderla senza correre. «In tal caso, da buon marito creolo e padrone di tutta la tenuta, dovrei dimostrarti chi fa le leggi... e chi deve seguirle.» Con un sorriso provocante Lysette gli sfuggì girando intorno al tavolo. «Mon mari ... sei davvero adorabile quando fai l'arrogante tiranno.» «Adorabile ...» ripeté lui con una smorfia. «Credo che nessuno mi abbia mai definito così prima d'ora.» «Solo perché nessuno ti sa gestire.» La gola di Max fu strozzata da un'esplosione contenuta di riso. «E tu sì?» «Ovviamente.» A quel punto la vampata di desiderio del suo sguardo esplose. «Ma femme, hai proprio bisogno di una lezione» mormorò in modo deliziosamente minaccioso, mentre fissava il corpetto di seta di Lysette e si accorgeva dei capezzoli eretti sotto la seta. «Prega che non riesca ad acciuffarti!» Mentre giravano intorno al tavolo, Lysette posò le mani sulla superficie lucida e assunse un'espressione spavalda. «Cioè vorresti insegnarmi che sei un uomo orribile, arrogante e brutale e che io devo tollerarlo perché sei il mio onnipotente signore e padrone?» Gli occhi di Max brillarono di malizia. «Esatto.» «Sbagliato, mon mari. Dato che sono più veloce di te, scapperò attraverso la porta e andrò a chiudermi in camera mia prima che tu possa raggiungermi. Questo ti darà il tempo di pentirti del tuo cattivo comportamento durante la cena.» Il sorriso di lui parve quello di un lupo. «Provaci.» Lysette scattò all'istante, ma non aveva considerato due elementi: l'impaccio della gonna e la lunghezza delle gambe di Max. Nonostante la velocità, raggiunse la soglia contemporaneamente a lui, che riuscì a chiudere a chiave la porta della biblioteca prima che lei potesse uscire. Poi la imprigionò tra l'uscio e il proprio corpo. «Non è giusto» ansimò lei tra le risate. «Io indosso una gonna.» «Non per molto» ribatté lui, baciandola sulla bocca. Lysette lo afferrò per la nuca, costringendolo a baciarla con più violenza. Essere schiacciata da quel corpo muscoloso ed eccitato era una condizione inebriante, soprattutto quando lui la afferrò per le natiche e la sollevò all'altezza del proprio inguine. Lei avrebbe voluto leccarlo, divorarlo, averlo tutto dentro di sé. Quell'uomo era suo, ogni grammo del suo splendido corpo e ogni particella della sua ostinata, selvaggia natura. Presto Max smise di baciarla e la trascinò verso il tavolo come un felino avrebbe fatto con una preda inerme. Lysette emerse dalla densa nebbia del desiderio abbastanza da gemere: «Non qui. Qualcuno potrebbe interromperci.» Per niente preoccupato, Max la mise a sedere sul tavolo sollevando la gran massa di gonne, sottogonne e sotto abiti. «La porta è chiusa a chiave.» «Ma capiranno comunque» protestò lei, cercando di fermare quelle mani rapaci. Troppo infiammato per potersene curare, Max trovò le giarrettiere e le sfilò le calze. Il contrasto della sua pelle sensibile con le dita callose di lui la fece rabbrividire per il piacere e Lysette divaricò le cosce contro la sua volontà. «Max, andiamo di sopra» insistette. mentre lui le sfilava le mutandine. «Non posso aspettare» mormorò lui, toccandola nel punto più intimo, che si inturgidì subito sotto le sue carezze esperte. Lysette si contorse disperatamente. Affondò le mani dentro la sua giacca da sera, bramosa di toccarlo sulla carne nuda. Mentre la baciava, con un piede Max agganciò una sedia e la trascinò vicino. Si sedette, poi tirò Lysette sul bordo del tavolo e seppellì la bocca nel morbido cespuglio della sua femminilità, alla ricerca di quel sapore così esclusivamente suo. Lei si morse il labbro per trattenere un grido, mentre tutto il suo corpo si dimenava in spasmi di piacere. «Max.? Siete qui? Perché la porta è chiusa?» La voce ovattata di Alexandre provenne dall'altra parte dell'uscio, mentre la maniglia si abbassava e rialzava. Lysette raggelò lanciando un'occhiata inorridita in direzione della porta. E, quando divenne chiaro che Max non aveva alcuna intenzione di rispondere, lo afferrò per i capelli e gli fece alzare la testa. Nonostante anche lui ansimasse, rispose con una voce abbastanza normale. «Andate via, Alex.» «Voglio versarmi da bere.» Max le infilò due dita nel sesso umido, facendola arrossire violentemente. «Andate a cercare una bottiglia in cucina» rispose poi. «Ma il mio brandy speciale è lì dentro» protestò Alexandre. «Se potete farmi entrare per un istante, lo prendo e me ne vado subito ... «Alex ... mia moglie e io stiamo litigando. Lei ha iniziato a tirarmi degli oggetti contundenti.» Intanto le lunghe dita di Max andavano dentro e fuori da lei, provocandole gemiti devastanti. «Credetemi, non vi farebbe piacere attraversare la linea del fuoco.» Poi, riabbassato il capo, iniziò a passare la lingua sulla piccola vetta rosea del suo sesso al ritmo dei movimenti delle dita. Lysette si coprì la bocca con la mano per soffocare i mugolii. Poi il ritmo accelerò, la bocca di suo marito divenne sempre più famelica e le dita raggiunsero profondità incredibili dentro di lei. Perciò udì a malapena le ultime parole di Alex. «Lysette, se state litigando con mio fratello a proposito del suo comportamento con Gregoire a cena, sono completamente dalla vostra parte.» «G ... grazie» riuscì a balbettare lei tra gli spasmi. «Bon soir» la salutò tristemente lui e se ne andò. Max aggiunse un terzo dito ai due già dentro di lei e iniziò a succhiarla sempre più velocemente. Lysette lanciò un potente grido al raggiungimento di quell'orgasmo accecante, mentre la soddisfazione la attraversava in ondate implacabili. Mentre lei ancora tremava, Max la stese sul tavolo, le divaricò le gambe, si aprì i pantaloni e la penetrò lentamente. Con il volto bagnato di sudore e gli occhi scintillanti di passione, affondò finché non fu completamente dentro di lei. Mentre la teneva per i fianchi, nonostante Lysette non lo credesse possibile, il piacere sorse di nuovo in lei, per gradi, ma inesorabilmente, a ogni affondo del suo membro rigido. Rantolò presto in una seconda estasi e lui la seguì con un grugnito soffocato, accasciandosi sopra il suo corpo fremente. Quando Lysette piano piano tornò in sé, si ritrovò schiacciata tra il tavolo duro e il peso di suo marito. Completamente esausta e soddisfatta, alzò il capo per accarezzargli i capelli. «Chi ha vinto la discussione?» gli domandò languida. Max le sorrise su un seno. «Ah già, la discussione. Che ne dici di dichiarare la parità?» Comunicandogli con fusa sensuali la sua approvazione, Lysette gli gettò le braccia al cono. A volte Max era un uomo difficile con cui vivere, ma Lysette non dubitò mai di poter essere alla sua altezza. Lui era diventato tutto per lei: amico, amante, baluardo. fonte di eccitazione e confortevole riparo. C'erano volte in cui Lysette sentiva che l'unico luogo sicuro al mondo erano le sue braccia. E ce n'erano altre in cui Max riusciva a dissipare qualsiasi illusione di salvezza. Poteva mostrare una pazienza perversa e impiegava ore a condurla a uno stato di follia sensuale ... oppure poteva essere impetuoso e selvaggio e consumarla in una fiammata. Con grande piacere di Lysette, Max non aveva problemi a portarla con sé ovunque andasse, anche durante gli affari, Dato che le interessava particolarmente l'attività di spedizioni, lei lo accompagnava di frequente al porto, sempre gremito di chiatte e barconi. Il giorno in cui arrivò uno dei vascelli transoceanici dei Vallerand, carico di merci provenienti dall'Europa e dai tropici, lei salì a bordo insieme al marito per le operazioni di ispezione e scarico. In quell'occasione Max la lasciò alle cure di un ufficiale, mentre lui scendeva nella stiva insieme al capitano a esaminare alcune merci danneggiate dall'acqua. Mentre Lysette, appoggiata alla balaustra, osservava l'equipaggio di un'imbarcazione vicina che scaricava casse e attrezzature di una compagnia teatrale, molti marinai si radunarono intorno a lei, per quanto a rispettosa distanza. Accortasi dei loro sguardi si voltò e fissò incuriosita quegli uomini di carnagione scura. Era un'accozzaglia di gente sporca e muscolosa, vestita con strane casacche e scarpe sfondate. «Non abbiate paura, signora» la rincuorò l'ufficiale. «Vogliono solo guardarvi.» «E perché?» «Oh, non vedono una donna da più di un mese.» Lysette lanciò al gruppo un sorriso incerto, che sollevò tra i marinai un mormorio di apprezzamento. Poi incominciarono a cercare di attirare la sua attenzione, intonando ribalde canzoni marinare, mostrandole dei tirapugni d'ottone o dicendole che doveva essere una sirena rimasta intrappolata nelle reti durante il viaggio. Quando Max risalì dalla stiva, si fermò ad ammirare lo spettacolo di sua moglie che sorrideva agli scherzi dei marinai. Una leggera brezza muoveva il tessuto del suo abito giallo, facendolo aderire alla sagoma sottile del suo corpo, mentre i suoi capelli color fiamma si stagliavano contro il blu del cielo. E non poté far a meno di sentirsi percorrere da un profondo senso d'orgoglio. «Bene» esclamò il capitano Tierney, fermandosi accanto a lui per assistere alla scena. «Perdonatemi, signor Vallerand, ma non invidio un uomo con una moglie così avvenente. Se fosse mia, la terrei chiusa a chiave in una stanza, lontano dagli occhi di tutti.» «È un'idea tentatrice» rispose Max ridendo. «Ma alla fine preferisco averla sempre con me.» «E ne comprendo le ragioni» ribatté Tierney con trasporto. Quando Max scoprì quanto a Lysette interessasse il teatro iniziò a portarla al Saint Pierre, dove i membri più influenti della società si riunivano ogni martedì e sabato per ascoltare musica o assistere a drammi e opere. A poco a poco divenne abitudine di molti fermarsi a chiacchierare nel palco dei Vallerand, perché era diventato evidente a tutti che, dopo il matrimonio, Maximilien aveva cambiato notevolmente carattere. Sebbene fosse ancora piuttosto riservato, era molto più amichevole e a molti aveva cominciato a ricordare il giova. ne affascinante che era stato prima di innamorarsi di Corinne Quérand. I vecchi pettegolezzi persero un po' del loro vigore, dato che sia i creoli sia gli americani si erano accorti che la giovane moglie trattava Maximilien senza alcuna paura. Forse, si sussurrava, non era così demoniaco. Nessun uomo che stravedeva così palesemente per la propria consorte poteva essere completamente cattivo. «Maman» disse un giorno Lysette, posandole delicatamente una mano sulla spalla, mentre la suocera ricamava in salotto. «Avrei una domanda da farvi.» «Qui?» «Avreste obiezioni se andassi a curiosare tra i bauli del solaio?» Il capo di Irénée rimase chino, ma le sue dita smisero di lavorare. Era chiaro che era stupita. «E perché mai, di grazia?» Lysette si strinse nelle spalle. «Per nessuna ragione in particolare. Justin mi ha detto che ci sono alcuni oggetti interessanti immagazzinati lassù ... ritratti, abiti, vecchi giocattoli. Uno di questi giorni forse ci sarà bisogno di rinnovare la camera dei bambini e ...» «Camera dei bambini?» ripeté subito Irénée. «Sospettate di essere incinta, Lysette?» «Non ancora.» «È incomprensibile» mormorò la donna tra i denti. All'inizio era rimasta sinceramente divertita dal vorace desiderio di suo figlio per la sua giovane mogliettina. Ora lo trovava vagamente morboso. Noeline l'aveva attribuito agli incantesimi vudù che aveva lasciato sotto il cuscino di Lysette le prime settimane di matrimonio. Lysette sorrise vaga, «Ora che ve ne ho parlato, mi metterò un bel grembiule e andrò a vedere cosa posso trovare lassù» «Aspettate!» la richiamò Irénée con un tono acuto che non le aveva mai sentito prima, «Andate a frugare tra le sue cose, non è vero?» «Sì» ammise Lysette. senza abbassare gli occhi. «E cosa sperate di trovare?» «Non so, ma sono certa che non può fare del male a nessuno, se rovisto dentro qualche vecchio baule.» «Max ne è informato?» «Non ancora. Glielo dirò stasera quando ritorna.» Nel suo intimo Irénée sperò che suo figlio si infuriasse, una volta informato delle azioni di Lysette. Forse a quel punto le avrebbe fatto una bella ramanzina e avrebbe smesso di lasciarle tutta quella libertà. «Benissimo» rispose dunque. «Chiedete a Noeline le chiavi dei bauli.» Lysette e Justin salirono in solaio insieme. Come prima cosa liberarono una zona del pavimento dove potersi sedere. Tutto intorno erano circondati da vecchie lampade, armi arrugginite, testate di letti, culle e tinozze di legno, oggetti impolverati e forse ormai inservibili. Lysette starnutì diverse volte, mentre lottava con il pesante coperchio di un baule. Quando quello finalmente si aprì, i cardini scricchiolarono con un gemito sinistro. «Sang de Dieu!» esclamò Justin, che stava aprendo un'altra cassa lì vicino. «Odio quel suono, non fatelo mai più ... È peggio delle unghie su una lavagna. «Non avevo idea che i vostri nervi fossero così fragili. Justin» rise Lysette, tirando fuori un'elegante trapunta, ricamata con un complicato disegno di tralci e fiori. «Cosa ha detto Philippe quando l'avete informato dei nostri progetti?» «È felice che sia venuto con voi. Qualcuno deve pure proteggervi se improvvisamente il fantasma dimaman sbuca fuori da un baule! «Justin!» lo riprese lei, inarcando un sopracciglio. Lui sorrise. «Vi ho spaventato?» «Prima o poi ci riuscirete, se continuerete a parlare di fantasmi!» Poi ricambiò il sorriso calorosamente. «Justin, siete sicuro che non vi turberà guardare le sue cose insieme a me? «No, sono curioso quanto voi. Sperate di trovare qualche indizio sul suo assassino, n'est-ce pas? E quindi vi serve il mio aiuto. Potrei riconoscere qualcosa che a voi...» In quell'istante il ragazzo si interruppe, notò la coperta e sgranò gli occhi. «Me la ricordo!» Lysette accarezzò il prezioso ricamo. «Davvero?» «Stava sul letto di maman. Dovrebbe esserci ancora una macchia sull'angolo, là ... Sapete, un giorno sono saltato sul letto e le ho fatto rovesciare il caffè.» Negli occhi di Justin era comparsa un'aria svagata e lontana. «Si è arrabbiata sul serio. Dieu, che caratteraccio che aveva!» «Vi faceva paura?» Justin fissò la trapunta con occhi più luminosi, ma ancora persi nel ricordo. «A volte era dolce e bella. Ma quando veniva presa dalla rabbia ... Ouì, allora avevo paura di lei. È strano amare disperatamente una persona e allo stesso tempo temere che ti possa uccidere, così, per la più futile delle cause.» «Justin, non dovreste stare qui con me. È doloroso per voi e.» «È stato strano quando è morta» continuò lui, assente. «Un giorno c'era maman e il giorno dopo era scomparsa. Del tutto e per sempre. Papà ha fatto togliere subito qualsiasi oggetto che la ricordasse,Grand-mère ci ha detto che era partita per un lungo viaggio e poi anche papà se ne è andato per un po', Quando è tornato, sembrava un'altra persona: era duro, freddo come la raffigurazione del diavolo che avevo in alcuni libri. Ho incominciato a pensare che fosse proprio lui il diavolo e che ci avesse portato viamaman.» Lysette provò una stretta al cuore per il crudele destino di Max e dei suoi figli. Posò la trapunta a terra e frugò di nuovo nel baule. Poco dopo tirò fuori una pila di indumenti infantili. «Uhm ... non è difficile immaginare a chi appartenessero questi. Ogni capo è doppio ...» Justin allungò una mano e prese uno degli abitini. «E non è difficile neanche capire se un vestito era mio o di Philippe. I miei erano sempre tutti macchiati o lacerati. I suoi sempre in ordine e puliti...» Lysette scoppiò a ridere. Riprendendo a cercare nel baule, scoprì guanti ricamati, delicati ventagli, preziosi colletti di pizzo, Tutti dovevano essere stati di Corinne. Improvvisamente si sentì un po' in colpa a frugare tra gli oggetti appartenuti a una donna defunta, Poi incominciò a sentire anche una staffilata di gelosia: quegli oggetti facevano diventare reale il fatto che Max aveva amato un'altra donna tanto da sposarla, aveva fatto l'amore con lei e le aveva generato due gemelli. Passando ad altre casse, Lysette trovò molti abiti fatti per una donna alta e snella. Il senso di essere un'intrusa aumentava a ogni scoperta, Quando con la mano sfiorò un ricco pettine decorato di perle nel quale erano ancora impigliati alcuni lunghi capelli scuri, un brivido le corse lungo la spina dorsale. «Justin» chiese riluttante «ci sono ritratti di vostra madre, quassù?» Doveva sapere quale fosse il suo aspetto, Ormai la curiosità era insopportabile. «Immagino di sì.» Justin salì sopra una cassa per raggiungere una serie di cornici tenute insieme da una corda. Tirò fuori il coltello, tagliò la corda e cercò tra i quadri impolverati. Lysette, nel frattempo, si alzò in piedi per muovere un po' le gambe intorpidite. «E lei?» domandò quando Justin si soffermò ad ammirare un ritratto femminile. «No, è grand-mère. Non la riconoscete?» «Ah sì.» «Ora riconosceva i grandi occhi neri di Irénée al centro di un volto solenne, nonostante la giovinezza. «Ecco maman» esclamò Justin, tirando fuori un altro ritratto. Lysette rimase pietrificata alla vista della straordinaria bellezza della donna. I suoi occhi sensuali... uguali a quelli di Justin ... erano esotici e adornati da lunghe ciglia scure. Folti boccoli color sabbia le incorniciavano il volto e il collo bianchissimo. Le sue labbra erano rosse e perfette, piegate in un'espressione seduttiva. E nonostante quell'incredibile avvenenza la donna nel quadro manteneva una dolcezza, una vulnerabilità che la rendeva ancora più seducente. Non c'era da stupirsi che Max avesse ceduto al suo fascino. «Era davvero così bella?» domandò senza fiato. Justin sorrise comprensivo. «Sì, ma voi siete altrettanto graziosa.» Sedendosi sul coperchio di un baule, Lysette gli lanciò un'occhiata di calda gratitudine. «Abbiamo visto abbastanza per oggi belle-mère? le domandò Justin con aria protettiva.» «Sì» rispose lei annuendo con foga. «Allons, Justin.» Iniziò a scendere le ripide scale del solaio, mentre Justin le consigliava di prestare attenzione, perché un tempo c'era stata una ringhiera, ma quando si era rotta era stata levata. «E perché non l'hanno aggiustata?» «Perché non viene mai nessuno quassù.» Lysette non replicò concentrandosi sulla discesa. Quando improvvisamente il silenzio fu spezzato da un grido. «Cosa diavolo fate lassù? Tutto il corpo di Lysette sussultò per il rumore inatteso. Spaventata perse l'equilibrio e ondeggiò verso il basso, Con un gemito acuto, tese una mano nel tentativo di aggrapparsi a qualcosa, ma le sue dita non strinsero nulla. Prontamente Justin allungò il braccio giù dalla botola e riuscì ad afferrarla per il polso, lasciandola a dondolare sospesa nell'aria. Quando guardò verso terra, Lysette vide un uomo moro sotto di loro. «M ... Max?» Ma non era Max. Era Bernard che tornò a rivolgersi a lei urlando. «Vi tengo» la rassicurava intanto Justin. «Riuscite a posare un piede su un gradino?» Lei tentò, ma non riusciva ad arrivarci. «Zio Bernard ... aiutateci ...» gemette allora il ragazzo, ma una fitta lancinante alla schiena gli impedì di aggiungere altro. Bernard comunque non si muoveva. Lysette sentì la presa di Justin scivolare. «Justin! Con un grugnito disperato il ragazzo riuscì. impiegando tutta la sua forza, a tirarla su di peso fino all'apertura e finalmente Lysette si ritrovò sdraiata e ansimante sul pavimento del solaio con solo le gambe a penzolare nel vuoto. Bernard mise piede sulla scala con il volto scuro di rabbia. «State bene, Justin? Potevate aspettare il mio aiuto.» Ma lui si inumidì le labbra e, con la faccia cerea per lo sforzo, ribatté: «Aiuto? Voi volevate che cadesse, zio.» «Che folle accusa è mai questa? Sono venuto ad aiutarvi.» «Prendendovi tutto il tempo» aggiunse roco Justin. «E ora mi spiegherete cosa stavate facendo voi due quassù.» Ignorandolo, Justin si chinò su Lysette e la aiutò a mettersi in posizione seduta. Lei respirava a fatica. «Justin» ansimò «vi siete fatto male? La vostra ferita ... si è riaperta?» Lui scosse il capo con un cenno d'impazienza. «Stavate frugando tra le cose di Corinne, non è vero?» le gridò in faccia Bernard. «Non avete alcun diritto di farlo. Ve lo proibisco!» Justin stava per rispondere con malagrazia, quando Lysette lo zittì sfiorandolo sulla spalla. Fissò il cognato con aria gelida. «Voi me lo impedite?» sbottò. «Non sapevo che foste nella posizione di impormi alcunché, Bernard.» «Non è rispettoso ...» dichiarò Bernard roco rovistare tra i suoi oggetti per placare le vostre meschine gelosie! Per Dio, spero che Corinne vi maledica dalla tomba!» Quelle parole lacerarono il silenzio. Lysette non si era resa conto fino a quel momento che Bernard avesse un simile carattere. Ed era perlomeno curioso che la sua ira fosse stata destata da un fatto collegato alla cognata defunta. «Perché siete così sconvolto, Bernard?» gli chiese, mantenendo la voce calma e controllata. Ma lui ignorò la domanda. «Ora vado a dire a Max cosa avete fatto e scommetto che vi frusterà a sangue ... come avrebbe dovuto fare già da tempo.» «Vedremo» ribatté tranquilla lei. «Ora per favore andatevene, così forse io e Justin riusciremo a scendere senza ulteriori incidenti.» Bernard non replicò e, con la faccia paonazza, sparì. Quando suo marito tornò a casa, Lysette sarebbe riuscita a raggiungerlo in tempo per raccontargli per prima la propria versione dei fatti. Ma decise di non farlo. Lo lasciò assalire da Bernard e Irénée e si chiuse in camera da letto insieme a una fastidiosa emicrania. «Bon soir» mormorò con un debole sorriso, quando lui la raggiunse, temendo che fosse furioso con lei. Ma era troppo stanca per litigare o cercare di applicare le sue solite tattiche per rabbonirlo. «Dimmelo subito, mon mari: in quale guaio mi sono cacciata?» 13 Max la scrutò dalla testa ai piedi. Ma, a mano a mano che si avvicinava, la sua espressione severa si addolcì. Lysette emise un profondo sospiro di sollievo quando lui la strinse tra le braccia facendo svanire tutta la tensione che le premeva sul cuore. Il suo profumo familiare e la forza del suo corpo le procurarono un brivido di conforto dal profondo dell'anima. Lui le diede un leggero bacio sulle labbra e si sedette. prendendola in braccio. «Vi dispiacerebbe raccontarmi cosa è accaduto oggi, madame Vallerand?» Lysette si accoccolò contro il suo petto. «Non mi aspettavo che una piccola visita in soffitta creasse tanti problemi, mon mari. Inoltre, mi avevi detto che potevo girare la casa quanto mi piaceva.» «Certo che puoi.» «Senza contare che Justin è venuto con me.» «Sì, me l'hanno detto.» «Abbiamo solo aperto qualche baule e frugato in qualche cassa ...» La sua mano calda la accarezzò sulla schiena. «E hai trovato quello che stavi cercando?» «Non stavo cercando qualcosa in particolare, ma ... Bernard si è comportato molto stranamente, Max.» Lei alzò la testa e lo guardò schiettamente negli occhi. «Dal suo comportamento pareva quasi che Corinne fosse sua moglie. Era fuori di sé per l'ira.» «Capisco. Bernard può essere difficile a volte. Soprattutto quando lascia libere le sue emozioni. Oggi ha avuto uno dei suoi rari sfoghi di rabbia, ma domani tornerà del suo solito umore severo e controllato. C'est ça. È sempre stato così.» «Ma quando parla di Corinne ...» «Le circostanze della morte di Corinne hanno sconvolto tutti. Sicuramente anche Bernard si è interrogato molto sull'accaduto e forse si sente ancora in colpa per non aver potuto prevenire la tragedia. Forse è per questo che si mostra così protettivo nei confronti dei suoi oggetti personali.» Lysette rifletté su quella spiegazione. Sotto quella luce l'episodio sembrava molto più ragionevole di quanto non le fosse parso prima. Ma nella sua mente rimbombava ancora una domanda che non voleva andarsene. Doveva esprimerla, metterla in parole, anche se il rischio di fare arrabbiare suo marito era altissimo. «Max, sei sicuro che i sentimenti di Bernard per Corinne non fossero qualcosa di più di un semplice affetto fraterno? Ogni volta che viene nominata reagisce in modo strano. Questo pomeriggio non è stata la prima volta che Bernard e io ci siamo scontrati a causa sua. Ricordi il giorno in cui sono andata alla casa del sovrintendente? Mi ha minacciato sostenendo che il passato sarebbe tornato indietro per distruggermi.» Max rimase immobile, ma nelle sue membra era percepibile una nuova tensione. «Perché non me l'hai detto prima?» «Non ti conoscevo abbastanza bene» ribatté Lysette timidamente. «Temevo di causarti delle preoccupazioni inutili ...» Lo guardò in faccia per cercare di leggere i suoi pensieri. «Ma non hai ancora risposto alla mia domanda.» «Per quanto ne so, Bernard ha amato solo una donna, Ryla Curran, figlia di un americano che si era trasferito a New Orleans dopo avere gestito per anni una chiatta. L'unione era ovviamente impossibile ... a parte la disparità economica tra le due famiglie, lei era anche protestante. Ma hanno avuto comunque una relazione e alla fine lei è rimasta incinta. Purtroppo è sparita senza lasciare detto dove andava. Bernard l'ha cercata per anni, ma non è mai riuscito a trovarla.» «Quando è accaduto?» «Più o meno nel periodo del mio scandalo. No, non c'era niente tra Bernard e Corinne. Era troppo invaghito di quella ragazza: perderla l'ha così ferito che non ha più voluto sposare nessun'altra.» «Non so ...» Lysette provò un sincero dispiacere per Bernard. «Bien-aimei» tentò poi accarezzandogli una guancia «ciò che ho fatto oggi pomeriggio ti ha irritato?» Lui strofinò la guancia contro il palmo morbido della sua mano. «Veramente me l'aspettavo, gattina curiosa.» «Ho visto il ritratto di Corinne» dichiarò lei in tono serio. «Era molto bella.» «Sì. Ma non aveva i capelli del colore del tramonto incendiato ...» Le passò il pollice sulle labbra. «Né una bocca che mi costringe a baciarla ogni volta che la vedo ...» Le avvicinò la bocca all'orecchio. «E certamente non aveva un sorriso capace di fermarmi il cuore.» Con gli occhi semichiusi, Lysette sì strinse a lui, ma urtò con il braccio lo schienale della sedia e sussultò per l'improvvisa fitta di dolore. Max la guardò sorpreso. «Cosa c'è? Sei ferita?» «Oh, niente» gemette lei, rendendosi conto che la vista del polso tumefatto avrebbe riportato il discorso sugli eventi della giornata. Invece, ignorando le sue proteste, Max le prese il braccio e lo studiò con le sopracciglia corrucciate. Lentamente nei suoi occhi si formò un'espressione minacciosa. «Cosa è accaduto?» «Un piccolo incidente. Stavo scendendo dal solaio e sai... i gradini sono stretti, non c'è ringhiera ... be', ho perso l'equilibrio, Justin mi ha afferrato per non farmi cadere e mi sono lussata il polso. Non è niente. Vedrai che tra un paio di giorni sarà passato tutto ...» «E questo è accaduto prima o dopo l'incontro con Bernard?» «Ehm ... durante, a dire il vero. Bernard ha gridato e io ho sussultato. Per questo sono scivolata.» Lysette evitò di riferirgli che Bernard aveva tardato a prestarle soccorso; forse la sua percezione dell'intero incidente era un po' distorta. D'altronde sapeva benissimo che di fronte all'imprevisto esistevano persone che si paralizzavano e altre, come Justin, che agivano d'istinto. «Perché Bernard non me ne ha parlato?» «Non ne ho idea.» Lui la mise in piedi e fece per alzarsi. «Vado a chiederglielo.» «Non ce n'è bisogno» gemette lei, cercando di trattenerlo. «Ssh» fece lui dolcemente. «Tu va' da Noeline immediatamente: ha un balsamo straordinario per le contusioni.» «Ma ha un odoraccio!» protestò lei. «Ero presente una volta che l'ha usato su Justin. E ho quasi avuto un attacco di vomito.» «Vacci subito. O più tardi ti ci porterò con la forza.» «E di cosa si lamenterebbe vostra moglie?» domandò Bernard, con un'aria ferita e sorpresa. «Che non mi sono mosso abbastanza in fretta? Ero spaventato, Max. Quando mi sono ripreso, Justin l'aveva già tratta in salvo.» L'espressione corrucciata di Max non si addolcì. «I vostri modi le sono sembrati piuttosto aggressivi. Perché?» Bernard tirò indietro il capo, vergognoso. «Mi dispiace di aver perso le staffe, ma ho pensato che quel suo rovistare nei ricordi vi avrebbe ferito. Sono vostro fratello, Max. Non voglio che soffriate ancora per il passato. Ho cercato di spiegarle che era meglio non occuparsi più di certi argomenti. Probabilmente mi sono espresso con un eccesso di vigore.» «Corinne era la madre di Justin» ribatté Max. «Il ragazzo ha il diritto di frugare tra le cose di sua madre ogni volta che lo desidera.» «Sì naturalmente» ribatté Bernard contrito. «Ma Lysette ...» «Lysette è affar mio. La prossima volta che avrete obiezioni sul suo comportamento, vi converrà discutere la questione con me. Cercate di comprendere che ora è lei la padrona della casa ed è mia moglie più di quanto lo sia mai stata Corinne. E ...» Max fece una pausa per dare la giusta enfasi alle successive parole. «Se rialzerete di nuovo la voce con mia moglie ... dovrete trasferire la vostra residenza altrove.» Con guance invase da un violento rossore, Bernard si limitò ad annuire. La mattina seguente, Max scese l'imponente scalinata da solo, perché sua moglie si era rifiutata di accompagnarlo a fare un giro della piantagione, adducendo il motivo che, dopo una notte di amplessi vigorosi, sarebbe stato troppo doloroso cavalcare il selvaggio cavallo arabo che le era appena stato regalato. Mentre stava uscendo di casa, l'attenzione di Max fu catturata da una specie. di grugnito che proveniva dal salone. Incuriosito dal suono, andò a vedere e trovò Alexandre steso in modo scomposto sul sofà, con uno stivale su un bracciolo e l'altro posato sul pavimento: aveva i capelli scompigliati, la barba lunga e i vestiti in disordine. Nell'aria gravava un pungente odore d 'alcol. «Che bello spettacolo!» esclamò allora sardonico. «Un Vallerand dopo una notte di stravizi.» Scostò le tende della finestra per far entrare la luce. Alex gettò un alto gemito come se fosse stato pugnalato. «Ah fratello crudele!» «Quattro volte la settimana?» notò lui con una smorfia. «Non vi pare eccessivo persino per voi?» Alex cercò di seppellire la testa nei cuscini del sofà. «Andate all'inferno.» «Non prima di sapere cosa vi turba tanto. A questo ritmo vi ucciderete prima della fine del mese.» Alex apri la bocca per replicare, ma fu colpito dal tanfo del proprio alito. Contorse la faccia per il disgusto. Poi, puntando il dito contro il fratello, biascicò: «Voi ... avete fatto l'amore con vostra moglie, stamattina, non è vero?» Max gli lanciò un sorriso soddisfatto. «Lo riesco a capire tutte le volte ... a causa di quella disgustosa espressione che avete stampata sul viso. Quindi il matrimonio vi piace, eh? Bene. Peccato che abbia rovinato la vita al resto della famiglia.» «Che cosa?» «Non guardatemi così. Non avete mai pensato che anche a me potrebbe piacere una moglie ... una donna con cui accoppiarmi tutte le volte che mi pare ... magari avere dei figli un giorno?» «E perché non dovreste?» «Perché?» Alex si tirò con fatica in posizione seduta, tenendosi la testa come se temesse di vederla cadere da un momento all'altro. «Dopo che avete rovinato il nome dei Vallerand, credete che una famiglia rispettabile concederebbe mai la propria figlia a uno dei vostri fratelli? Tutto bene per voi, ora che avete Lysette ... ma io ... «Alex, tais-toi» ribatté Max, mentre il divertimento lasciava posto alla commozione. Si sedette su una sedia accanto al sofà: non aveva mai visto suo fratello in uno stato così compassionevole. «So che sarebbe meglio aspettare che foste più sobrio, ma voglio parlarne subito. Si tratta di Henriette Clement, non è vero? Siete innamorato di lei e volete corteggiarla?» «Sì.» «Ma pensate che suo padre non vi darà mai l'assenso?» «So che non lo farà. Ci ho già provato.» Max corrugò la fronte. «Ha rifiutato?» «Sì!» Alex iniziò ad annuire vigorosamente, ma si fermò subito con un sussulto di dolore. «Anche lei mi ama ... credo.» Chinandosi su suo fratello, Max parlò lentamente e con grande autorevolezza. «Me ne occuperà io, ma voi non riducetevi più così. Ascoltatemi, Alexandre. Restate qui e riposate per oggi. E niente più alcol.» «Niente più alcol» ripeté Alex obbediente. «Ora vado a dire a Noeline di portarvi il suo rimedio speciale per le sbronze.» «Bon Dieu, no.» «Oh sì» rispose Max deciso. «Se volete Henriette, lo berrete. Entro domani vi voglio fresco e riposato come un bambino.» «Posso farcela» disse lui dopo una breve pausa di riflessione. «Bene.» Max si alzò sorridendo. «Avreste dovuto parlarmene prima, invece di ridurvi in questo stato deplorevole.» «Non pensavo che poteste farci qualcosa» rispose Alex. «Neanche adesso ho una gran fiducia, a dire il vero ... Ma se ci riuscirete, Max, io ... vi bacerò i piedi.» «Non sarà necessario» ribatté Max con tono seccato. Jacques Clement accolse l'amico con un sorriso sardonico. «Non so perché, ma mi aspettavo di vedervi qui oggi, Vallerand. A sostenere la causa di vostro fratello, oui? Papà sta prendendo il caie nella sala della colazione.» Max si appoggiò a una delle elaborate colonne che impreziosivano l'ingresso. A dire il vero, non aveva una gran fretta di affrontare Diron Clement, un vecchio leone perennemente di cattivo umore. Discendente dei primi coloni francesi nel territorio della Louisiana, creolo fino all'ultima goccia di sangue, Diron non tollerava coloro che desideravano che la Louisiana diventasse parte degli Stati Uniti. Né tanto meno coloro che erano amici dci governatore americano. Il vecchio, astuto e saggio, aveva dimostrato di essere un sopravvissuto. Insieme al padre di Max, era stato generosamente ricompensato dagli spagnoli per avere usato la sua influenza al fine di placare lo scontento dei cittadini nel momento in cui erano subentrati con la violenza ai francesi quarant'anni prima. Ora Diron era abbastanza ricco e influente da poter fare sempre ciò che voleva. Victor Vallerand e Diron erano stati buoni amici. Sfortunatamente il calore di Diron per Vietar non si era mai esteso a Max. Da un lato, le loro convinzioni politiche erano troppo diverse, dall'altro, la morte di Corinne aveva scavato un abisso tra loro a causa dell'odio del vecchio per gli scandali. Max lanciò un'occhiata su per le scale. «Jacques, che voi sappiate» disse meditabondo «vostra sorella ha mai fatto qualche accenno a ciò che prova per Alexandre?» «Henriette è una piccola oca» ribatté lui. «Lo è sempre stata. Dite a vostro fratello che può trovare un'altra ragazza come lei senza tutte queste difficoltà.» «Intendete dire che non accetterebbe il suo corteggiamento?» «Oh, lei si immagina follemente innamorata. E questo scenario di amore contrastato dal destino ... rende solo l'infatuazione più grave» concluse Max annuendo. «E vostro padre come considera la faccenda?» «Disapprova, ovviamente.» «In realtà, non sarebbe un'unione sfavorevole, Jacques.» Lui si strinse nelle spalle. «Amico mio, so com'è Alexandre. Non riuscirete mai a convincermi che rimarrà fedele a Henriette. Questo "amore" durerà un anno al massimo, poi vostro fratello si prenderà un'amante ed Henriette ne sarà devastata. È meglio che si sposi senza la speranza dell'amore. Da un'unione di convenienza saprà esattamente cosa aspettarsi.» «D'altro canto un anno di felicità è sempre meglio di niente.» Jacques scoppiò a ridere. «Che concezione americana! Che l'amore nasca prima del matrimonio è una loro idea ... i creoli non ci si adatteranno mai. E vi avverto: non cercate di convincere su questo il vecchio al piano di sopra o chiederà la vostra testa!» «Grazie dell'avvertimento, mon ami. Ora vado a parlargli. «Volete che vi accompagni?» Max scosse il capo. «Conosco la strada.» Casa Clement era arredata con sobrietà ed eleganza. I pavimenti di legno rosso di pino erano lucidati fino a brillare come rubini; le stanze erano arredate con mobili di quercia scura e antichi tappeti. Mentre saliva le scale, Max accarezzò la balaustra rievocando tutte le volte che lui e Jacques l'avevano scesa a cavalcioni da bambini. Arrivato al pianerottolo, si accorse che qualcuno lo stava spiando e si fermò. Girò il capo e vide una porta semi chiusa, attraverso la quale Henriette lo stava osservando con gli occhi traboccanti di supplica. Max suppose che lì accanto ci fosse una qualche zia a custodirla, perché Henriette non osava formulare neppure un sussurro. Quindi si limitò a farle un rassicurante cenno con la testa. La porta si richiuse immediatamente. Max non poté evitare di sorridere mestamente. Detestava il pensiero di essere l'ultima speranza di due innamorati affranti. Sì diresse verso la sala della colazione, augurandosi di trovare qualcosa di intelligente da dire a Diron. Il vecchio Clement lo salutò con un'occhiataccia. indicandogli una sedia. «Sedetevi. ragazzo. È da tanto che non parliamo.» «Dal mio matrimonio, signore» gli ricordò Max. «Non. Al vostro matrimonio avremo al massimo scambiato quattro parole. Eravate troppo impegnato a contemplare la vostra sgargiante mogliettina per prestare attenzione a me.» Max trattenne un sorriso al ricordo: non riusciva a distogliere lo sguardo da Lysette perché moriva dalla voglia di averla, ma sapeva che era troppo presto. «Mi dispiace, signore.» «Davvero?» borbottò Diron. «Sì, immagino che ora vi dispiaccia, perché vi farebbe comodo il mio favore. E come va il matrimonio? Avete dei rimpianti anche su questo?» «Assolutamente no» rispose Max senza esitazione. «Mia moglie mi compiace in tutto e per tutto.» «Quindi ora siete venuto a sostenere la causa di vostro fratello, eh?» «Veramente la mia» ribatté Max. «Pare che la mia reputazione sia il maggiore ostacolo al corteggiamento di Alexandre.» «Non è vero. È stato lui a dirvi questo?» «Alexandre ha avuto l'impressione, signore, che, non fosse stato per lo scandalo in cui ho sprofondato il buon nome dei Vallerand nel passato, le sue intenzioni riguardo a vostra figlia sarebbero ben accette.» «Ah, vi riferite a quella faccenda con la vostra prima moglie?» Max lo guardò fisso negli occhi e annui. «In effetti è stata una brutta storia» dichiarò Diron con enfasi. «Ma la mia obiezione a questa unione ha a che fare con il carattere di vostro fratello, non con il vostro. È un uomo frivolo, debole, pigro ... insoddisfacente da tutti i punti di vista.» «Alexandre non è peggio di ogni altro giovane della sua età. E sarà in grado di mantenere vostra figlia negli agi.» «E come ? Scommetto che ha già esaurito la maggior parte della sua eredità.» «Mio padre mi ha lasciato la responsabilità di amministrare le finanze della famiglia e io vi assicuro che Alexandre ha i mezzi per mantenere sua moglie adeguatamente.» Diron rimase a fissarle sotto le folte sopracciglia grigie. «Monsieur Clement» continuò Max lentamente «sapete che i Vallerand sono una famiglia di sangue antico e nobile. Credo che vostra figlia sarebbe felice come sposa di Alexandre. Lasciando perdere tutte le bazzecole sentimentali, questa unione è tanto conveniente quanto appropriata.» «Ma noi non possiamo lasciar perdere le bazzecole sentimentali, eh?» ribatté il vecchio, punto sul vivo. «Tutta questa situazione gronda di melenso sentimentalismo. Vi sembra la base giusta per un buon matrimonio? Non. Queste dichiarazioni appassionate, questi gesti teatrali, questo battersi il petto e digrignare i denti ... non è amore. Mi disturba profondamente.» Improvvisamente Max comprese quale fosse la vera obiezione del vecchio: permettere a sua figlia di sposarsi per amore avrebbe danneggiato l'onore di Diron, perché era una pratica estranea alla tradizione europea. La gente l'avrebbe preso in giro e avrebbe sparso la voce che la sua volontà ferrea si era indebolita. Forse sarebbero arrivati persino a insinuare che era stato influenzato dai nuovi valori americani. Ne sarebbe stato terribilmente imbarazzato. «Concordo» rispose, quindi, Max rapidamente. «Penso che vi rendiate conto che, se continuiamo a tenerli separati, tutto questo palpitare non potrà che crescere. Per questo io sono a favore di un fidanzamento lungo, naturellement sotto strettissima sorveglianza, Così daremo ai due piccioncini tutto il tempo per ... disinnamorarsi.» «Eh?» «Ci vorrà poco, secondo i miei calcoli, meno di un anno. Sapete bene quanto siano volubili i giovani.» Diron corrugò la fronte. «Sì, lo so fin troppo.» «Alla fine, quando questo violento amore sarà sfumato in abitudine, li lasceremo sposare. A quel punto probabilmente Henriette non sarà più nemmeno d'accordo con l'unione: sarebbe una lezione per entrambi. Ma, se poi alla fine si deciderà per le nozze, Alexandre ed Henriette avranno modo di sviluppare lentamente quell'affetto stabile che ha unito i miei genitori... come voi e vostra moglie.» «Uhm ...» Diron si strofinò il mento, mentre Max tratteneva il fiato. «L'idea ha un qualche senso.» «Ce l'ha, almeno ai miei occhi» disse Max pacatamente, accorgendosi che il vecchio era segretamente sollevato che gli si prospettasse una soluzione al problema. In questo modo Henriette avrebbe avuto il marito che desiderava e l'orgoglio di Diron sarebbe stato salvaguardato. «Uhm ... sì... faremo così.» «Bien,» Max adottò un'espressione pratica. «Ora riguardo alla dote ...» «Discuteremo di questo in un momento più appropriato» lo interruppe Diron seccamente. «Pensare già alla dote ... com'è tipico di un Vallerand «Devo far finta di non amarla?» esclamò Alex costernato. «Non capisco.» «Fidatevi di me» rispose Max, afferrando Lysette per il polso mentre passava e tirandosela in braccio. «Prima riuscirete a convincere i suoi parenti che siete diventati indifferenti l'uno all'altra e prima potrete sposarvi.» «Solo voi potevate arrivare a una soluzione così contorta» esclamò Alex amaramente. «Volete Henriette?» domandò Max senza intonazione. «Così potete averla.» Lysette si accoccolò contro il torace potente di suo marito accarezzandogli i capelli. «È stata una mossa molto intelligente. Max.» «Per niente» disse lui modestamente, ma in realtà crogiolandosi al complimento. La voce di lei divenne più bassa. «La vostra indole romantica ha trovato il modo di dare un lieto fine a questa storia ...» E i due si scambiarono un malizioso sorriso. Alexandre emise un suono dl disgusto e scattò in piedi. «L'indole romantica di Max ...» borbottò. «Una contraddizione in termini!» Così nelle settimane successive il corteggiamento di Henriette Clement si avviò lungo i binari di quella strana routine. Ogni sera Alex stava seduto accanto a lei in salotto, sotto gli occhi di tutta la famiglia. Quando lui la portava in un tranquillo giro in carrozza, la madre e la zia l'accompagnavano. Lui non aveva mai il coraggio di incontrare lo sguardo di Henriette né in chiesa, né durante i balli ai quali partecipavano. Stare così vicino a un oggetto così intoccabile portò il desiderio di Alexandre a vette del tutto inesplorate. Anche I più piccoli cenni di Henriette gli erano preziosi: il modo in cui rallentava il passo quando doveva lasciarlo, il lampo degli occhi quando lo sfiorava con lo sguardo. Un inferno meraviglioso! Con sua grande sorpresa, nel frattempo, Alexandre scoprì di non avere voglia di nessun'altra donna. Pertanto fu con sincera indignazione che reagì al suggerimento di Max di andare insieme a Bernard a fare una visitina a una casa di tolleranza. «Pettegolezzi sul fatto che il vostro comportamento è diventato irreprensibile hanno già raggiunto le orecchie di Diron» lo informò Max calmo. «Non può non dedurne, come accade a tutti del resto, che siete sempre tremendamente innamorato di sua figlia. È ora che diate segno che state perdendo interesse in lei.» «Quindi, dovrei andare a trovare una puttana?» «L'avete fatto in passato» fece notare Max. «Sì, ma è stato molto tempo fa. Sono almeno due mesi che non mi avvicino a luoghi del genere!» Max scoppiò a ridere, ma poi, pietosamente, gli suggerì altri modi per fingersi annoiato di Henriette. Così, seppure con grande tristezza, Alexandre incominciò a fare visita a casa Clement più raramente, mentre Henriette, dal canto suo, cercava di mostrare indifferenza quando sentiva parlare sempre più spesso che presto sarebbe stato annunciato il loro fidanzamento. Lysette provava una sincera compassione per la povera coppia e cercava di far ragionare suo marito. «È ridicolo sottoporli a una simile tortura solo per preservare l'orgoglio di monsieur Clement. In questo modo si rende assurdamente complicata una cosa semplicissima.» «Non è male per Alexandre desiderare qualcosa che non può avere subito» obiettò Max sorridendo e chinandosi su di lei per baciarla, mentre Lysette era seduta al tavolo della toilette e si stava facendo la treccia prima di coricarsi. «Le cose per cui si è disposti ad aspettare sono le migliori. Come te, per esempio.» «Da quanto mi ricordo, non hai dovuto aspettarmi molto, mun mari.» «Ti ho aspettato una vita intera.» Commossa, Lysette sorrise e gli strofinò la guancia contro la mano. «Bien-aimei» sussurrò iniziando a sbottonarsi il vestito. «Ti dispiacerebbe portarmi una camicia da notte, per favore?» «Più tardi» mormorò lui. spogliandola. Uno dei balli più importanti della stagione fu quello organizzato nella piantagione Leseurper il fidanzamento di una delle figlie con Paul Patrice, l'ultimo rampollo di un facoltoso medico di New Orleans. Di norma il figlio di un dottore non sarebbe stato considerato un partner adeguato per la figlia di un possidente terriero, ma Paul era un ragazzo avvenente con modi squisiti e comportamento da gentiluomo. Di soli tre anni più vecchio di Justin e Philippe, era già assolutamente pronto a rimandare alla libertà del celibato in cambio di una famiglia. «Perché vuole rovinarsi cosi presto?» commentò acido Justin, la sera in cui arrivò l'invito. «E il prossimo anno avranno di sicuro un marmocchio ... mon Dìeu, ma ha pensato a quello che sta facendo?» «Non può trovare una donna migliore di Félicie Leseur» replicò Philippe con una nota sognante nella voce, «Il matrimonio non è un destino orribile come pensate.» Justin lo guardò come se fosse impazzito. Poi curvò la bocca in una smorfia di scherno. «Immagino che anche voi vi sposerete tra poco.» «Lo spero. Mi piacerebbe trovare la ragazza giusta.» «So perfettamente come sarà la ragazza che sceglierete» continuò Justin. «Tutta libri e buon senso, con gli occhiali appollaiati sulla punta del naso. Insieme discuterete di arte, musica e tutte quelle noiose tragedie greche ... Philippe, offeso, chiuse il libro di latino che stava studiando. «Sarà bella» ribatté in tono dignitoso «dolce e gentile. E voi sarete invidioso.» Justin sbuffò. «Io me ne andrò in Oriente e mi creerò un harem con cinquanta bellezze esotiche. Cinquanta, avete capito?» «Cinquanta?» rise Lysette, entrando nella stanza. «Chissà che fatica!» Il ragazzo abbandonò la smorfia aggressiva e le lanciò un sorriso angelico. «Ma se troverò una donna come voi, petite maman, me ne basterà una sola.» Lysette scoppiò in una calorosa risata di fronte a quell'aperto tentativo di seduzione e si voltò sorridendo verso Philippe. «Può darsi che stasera riusciate entrambi a incontrare la ragazza dei vostri sogni. Vi recate al ballo sulla carrozza di Bernard e Alexandre?» Philippe annuì. «Sì, papà ha spiegato chiaramente che voleva essere solo con voi sulla prima carrozza.» «Solo con voi?» rifletté Justin con aria scherzosamente corrucciata, «Non riesco a comprendere perché papà voglia privarsi della compagnia dei suoi due amorosi figli. Be', forse dovrei andare da lui a farmelo spiega ...» «Justin!» esplose Philippe, mortificato dall'impudenza del fratello. Gli tirò un cuscino addosso, ma Justin abbassò il capo e schivò il proiettile borbottando. Le labbra di Lysette si piegarono per il riso. «Bene, allora, ci vediamo dai Leseur» dichiarò con aria solenne e tornò all'ingresso dove Noeline l'aspettava con il suo cappellino e i suoi guanti. Costruita sulla riva del fiume, all'ombra di una quercia vecchia almeno tre secoli, casa Leseur era una grande villa d'impianto sobrio e tradizionale. Per l'occasione l'interno e l'esterno erano stati decorati con miriadi di ghirlande di rose e i riflessi di eleganti candelieri danzavano fino ai più remoti angoli dell'abitazione. Il porticato era gremito di ospiti che si muovevano tra i vassoi d'argento del rinfresco. Poco distante dall'edificio principale si stagliava unagarçonnière per gli invitati maschili o gli scapoli della famiglia che necessitavano di riservatezza. Le signore sfoggiavano i loro abiti più alla moda e un'orchestra speciale chiamata da New Orleans stava intonando una vivace quadri glia. «Lysette» disse Max, aiutandola a scendere dal veicolo «una parola di avvertimento.» «Sì?» Lei lo guardò con grandi occhi innocenti. Troppo innocenti. «Cosa c'è, bìen-aimeì» «Mi sono accorto che Alexandre ha cercato di convincerti ad aiutarlo a trascorrere qualche minuto da solo con Henriette. Stai tramando qualcosa, non è vero?» Lei si mostrò sorpresa. «Non so di cosa tu stia parlando.» Max le lanciò un'occhiata d'ammonizione. «Se riescono a recitare indifferenza l'uno per l'altra, saranno sposati tra pochi mesi. Se invece vengono scoperti in un incontro clandestino, non ci sarà più niente che possa fare per aiutarli.» «Non saranno scoperti» gli assicurò Lysette. «Alex può perderla per sempre con una sciocchezza del genere. Tu non puoi capire l'entità dell'orgoglio di Diron ...» «Oh, capisco perfettamente» ribatté lei, cercando di entrare nella villa, ma lui l'afferrò per un polso con aria severa. «Max» protestò allora «non ho fatto niente di male!» «Bene, continua così» la avvisò lui lasciandola andare. Max sorvegliò Alexandre e Lysette per le due ore successive, ma nessuno dei due fece alcun tentativo di allontanarsi dal salone. Perciò, dopo alcuni bicchieri di vino, si rilassò e cercò di godersi la serata. Come prima cosa si congratulò con il padrone di casa per l'eccellente annata delle sue vigne e si intrattenne con lui in una piacevole conversazione. Poco lontano, Lysette era in piedi accanto al cognato e osservava con un afflato d'orgoglio il marito che, vestito con un abito rigorosamente nero e una camicia immacolata, teneva il calice elegantemente tra le lunghe dita. Era un uomo meraviglioso, che emanava un irresistibile fascino virile ... ed era tutto suo. Alexandre seguì il suo sguardo. «Non è facile avere Max come fratello» dichiarò tra i denti. Lysette lo guardò corrucciata, pensando a tutte le volte che Max aveva risolto i problemi dei suoi fratelli assicurandosi che avessero ciò che desideravano, assumendosi i loro debiti e responsabilità senza mai una parola di biasimo. L'affermazione di Alex la colpì per l'incredibile ingratitudine. «Ha fatto tante cose per voi, non?» «Sì, ma per anni io e Bernard abbiamo dovuto lottare per tenerci alla sua altezza. Un ideale di perfezione imposto a tutta la famiglia. Poi improvvisamente lo scandalo e la caduta in disgrazia ... un disastro per tutti. Il nome dei Vallerand è stato macchiato e io e Bernard siamo stati trascinati nel baratro insieme a lui.» «E lo biasimate per questo?» «No, no, forse un tempo, ma ora non più. Ma Bernard ...» Alexandre si bloccò, pensando che forse non era il caso di proseguire in ciò che stava dicendo. «Cosa?» lo stuzzicò Lysette. Lui scosse il capo. «Niente.» «Ditemelo. Alex, o non vi aiuterò con Henriette.» Lui fece una smorfia. «Stavo solo dicendo che Bernard trova difficile perdonarlo fino in fondo. D'altronde è il fratello di mezzo, quello che ha più patito il confronto con il primogenito.» «Non è certo colpa di Max» insistette fredda Lysette. «Vraiment, Alex... voi e Bernard dovete smettere di usare vostro fratello come scusa. Dovete assumervi la responsabilità delle vostre azioni. Max ha già abbastanza problemi da gestire.» «D'accordo» sbottò lui, tendendo le mani in avanti in gesto di autodifesa. «Non dirò altro. Ma perché, ma sceur, se voi siete autorizzata a criticare Max, non accettate che qualcun altro lo faccia?» Lei gli lanciò un sorriso malizioso. «Perché è mio marito.» Max non si accorse del momento esatto in cui sua moglie scomparve dal salone. Quando però si rese gradualmente conto della sua assenza, si congedò cortesemente dal gruppo con cui stava conversando e si avviò a cercarla sotto il portico. Dove sfortunatamente non c'era nessun segno di Lysette. «Maledizione, cosa stai facendo?» borbottò tra sé dirigendosi verso il giardino, consapevole che, se Lysette era riuscita a organizzare un incontro tra Alexandre ed Henriette, probabilmente si sarebbe tenuto là. Il giardino dei Leseur era un grande parco, accuratamente progettato, pieno di alberi esotici, piante che provenivano dall'Europa e laghetti artificiali, gremiti di pesci e attraversati da graziosi ponti. Non appena Max passò sotto l'arco intrecciato di rose, un pavone fuggì dal sentiero, indignato. A mano a mano che si addentrava, le fiaccole diminuivano e la zona si faceva più buia. Quando arrivò al centro del giardino, trovò una fontana che gettava spruzzi vivaci, da cui si diramavano quattro sentieri nelle diverse direzioni. Max imprecò sottovoce. Come avrebbe fatto a trovare sua moglie in quel labirinto? Meglio tornare nel salone e aspettare. Improvvisamente udì dei passi e, nascondendosi tra le piante, rimase a osservare la figura che si avvicinava. Era Diron elemento Il vecchio, che evidentemente si era accorto dell'assenza di sua figlia, passò davanti a Max con andatura bellicosa, senza notarlo. Dio, sarebbe scoppiato l'inferno se avesse trovato Henriette Insieme ad Alexandre! Il vecchio si diresse verso la sinistra su un sentiero che, se la memoria non ingannava Max, conduceva a una piccola pagoda. Un involontario sorriso gli inarcò le labbra: quando era giovane, aveva usato lui stesso quel luogo come scenario di appuntamenti romantici. No, Alexandre non avrebbe mai portato lì la sua amata. Era troppo ovvio. Così. Max provò a indovinare e imboccò il sentiero opposto che conduceva a una serra di piante esotiche. Si avvicinò mantenendosi sempre tra le ombre finché non vide Lysette che aspettava davanti all'ingresso. Un gufo ululò in lontananza e lei sussultò guardando a destra e a sinistra con aria furtiva. Trovarla lì, dopo che gli aveva promesso che non avrebbe organizzato alcun incontro illecito tra i due innamorati, lo fece sorridere malignamente: avrebbe presto insegnato alla sua insolente mogliettina che non poteva menarlo per il naso e cavarsela senza una lavata di capo. Lysette sospirò, non vedendo l'ora di poter tornare nella sala da ballo. Probabilmente ormai Max si era già accorto della sua sparizione. Era così agitata che il semplice verso di un gufo era stato sufficiente a farla sussultare. Improvvisamente un braccio freddo sbucò dal nulla e la afferrò alla vita. Mentre lei lanciava un grido di terrore, una grande mano le coprì la bocca e la tirò dietro l'angolo. «Se avessi saputo che desideravi fare un giro del parco, amore mio, mi sarei offerto di accompagnarti!» Lysette si accasciò sollevata tra le braccia di suo marito «Max ... mi hai spaventato!» E gli posò il capo sul petto. «Ne avevo tutta l'intenzione.» Lysette trasalì vedendo la sua espressione minacciosa. «Dove sono i due, Lysette?» le domandò imperiosamente. Lei si morse il labbro e indicò con il capo la serra. In quel momento la porta si aprì e Alexandre sporse la testa all'esterno. «Lysette? Tutto bene? Mi è sembrato di udire...» E congelò alla vista di suo fratello. «Avete un minuto per salutare Henriette» ordinò Max con un tono che non ammetteva repliche. «E salutatela per bene. Se vi trovano, la separazione potrebbe essere definitiva. Alexandre sparì dentro la serra. Lysette cercò di giustificarsi come poteva. «Max» s'affrettò a dire «volevano solo trascorrere cinque minuti da soli e io avevo già promesso ad Alex che l'avrei aiutato, pertanto non potevo rimangiarmi la parola e, se solo tu avessi visto come erano felici quando si sono incontrati, avresti capito perché io ...» «Quando torneremo a casa, ti prenderò sulle ginocchia e mi assicurerò che tu non ti possa sedere comodamente per molto tempo.» Lysette impallidì. «Non dirai sul serio.» «Oh sì e mi piacerà immensamente» le assicurò. «Max, perché non ne discutiamo più ...» aveva iniziato a blandirlo, ma si zitti subito, accorgendosi che suo marito stava fissando un punto lontano nel buio, con un atteggiamento teso e in allarme. «Cosa c'è?» gli chiese allora. Max se la strinse al petto senza rispondere e la baciò sulla bocca. Lysette si dimenò per la sorpresa, ma le sue braccia erano troppo forti e la sua bocca assorbiva ogni altro suono. Max la afferrò alle natiche e la schiacciò ancora più forte a sé, esplorandola appassionatamente con la lingua. La vista di Lysette si oscurò e le sue membra si sciolsero al calore di quell'abbraccio. Improvvisamente lui alzò il capo, ignorando le sue dolci proteste. «Ah, buonasera, monsieur Clement» disse roco. Lysette girò il capo di scatto e si accorse che il volto rugoso di Diron Clement era a pochi centimetri dal suo. Quegli occhi corrucciati la trapassarono come una freccia. «Mi hanno detto che mia figlia Henriette era con voi, madame Vallerand» sbottò il vecchio. «Dove si trova ora?» Lysette si rivolse disperata verso il marito. «Temo che non possiamo aiutarvi, signore» rispose Max, passando il pollice lungo la spina dorsale di Lysette. «Sono venuto qui con mia moglie per trovare un po' di intimità ...» «Quindi, Henriette non era con voi.» «No. sul mio onore.» Lysette chiuse gli occhi, sperando ardentemente che Alex ed Henriette avessero il buon senso di rimanere nascosti dentro la serra. 14 Clement studiò entrambi attentamente: Lysette, con le sue guance arrossate e gli abiti in disordine; Max, con il suo sguardo impenetrabile ma un evidente stato di eccitazione. Erano sposati da poco e non era implausibile che fossero sgattaiolati nel parco alla ricerca di un po' di intimità. Dopo avere lanciato alla coppia un ultimo sguardo sospettoso, il vecchio si girò sbuffando e continuò la sua ricerca di Henriette altrove. Lysette lanciò al marito uno sguardo di frastornata gratitudine. «Dio, che paura! Se non ci fossi stato tu ... li avrebbe trovati. Grazie, Max. «Rimettiti a posto il vestito» ribatté lui seccamente. «E riporta a casa Henriette senza indugio.» In quell'esatto momento i due innamorati sbirciarono fuori dalla serra. Lysette notò l'espressione colpevole della ragazza e si costrinse a esibire un sorriso rassicurante. «Tutto a posto, ragazzi. Allons, Henriette ... dobbiamo andare subito a trovare la vostra tante.» La ragazza si separò timidamente da Alexandre e precedette Lysette sul sentiero che conduceva alla villa. Alex avrebbe voluto richiamarla, ma per non far ulteriormente agitare il fratello richiuse la bocca senza fiatare. Max osservò le due donne sparire dalla vista con la bocca piegata in un'evidente smorfia di disappunto. A cui Alex non poté fare a meno di ribattere. «Ma non capite proprio niente dell'amore, Max? Non sapete come ci si senta a desiderare una donna così disperatamente che vi dolgono le braccia per il bisogno di stringerla? State per dichiarare che, se foste stato al posto mio, non vi sareste comportato così? Sono al corrente di come abbiate compromesso Lysette per costringerla a sposarvi e mi sembra...» Max tese la mano in avanti in un beffardo gesto di autodifesa. «Basta, Alex. Non me ne importa un accidente se volete correre dei rischi con Henriette o no. Sono fatti vostri. Ma quando chiedete l'aiuto di mia moglie, è mio diritto interferire.» La rabbia di Alex svanì immediatamente. «Certo» borbottò. «Ma Lysette aveva piacere di aiutarmi.» «Oh, su questo non ho alcun dubbio. È una creatura dal cuore tenero e si commuove facilmente. Ma non coinvolgetela di nuovo, Alex ... non lo tollererei.» Alexandre annui chinando il capo con aria vergognosa. «Mi dispiace, Max. Riuscivo a pensare solo a Henriette e ...» «Lo so.» «Se siete arrabbiato con vostra moglie, vi prego di non punirla. Ha fatto soltanto ciò che la supplicavamo di fare.» Max inarcò un sopracciglio e gli lanciò un sorriso canzonatorio. «Pensate che mia moglie abbia bisogno di essere protetta da me?» Dopo avere riconsegnato Henriette sana e salva a sua zia che le promise di non tradirla. Lysette si ritirò in un angolo buio del portico. Nel frattempo la folla di invitati si stava spostando verso la sala da pranzo, dove stava per essere servita una cena di mezzanotte, ma per lei il ballo aveva perso qualsiasi attrattiva: si sentiva palesemente a disagio. Aveva ferito l'orgoglio di Max e le dispiaceva. Per quanto fosse straordinariamente comprensivo e tollerante con lei, era sempre un maschio creolo e lei aveva consapevolmente infranto i suoi ordini. In che modo poteva riparare? In quel momento udì dei passi e vide una sagoma scura che si avvicinava. «Max?» domandò, pensando che fosse venuto a cercarla. I passi si fermarono. Lei tenne gli occhi bassi mentre cercava le parole giuste per calmarlo. «Perdonami, mon mari. Non sopportavo di vedere Henriette e Alexandre così tristi. Ma tu avevi ragione e io avrei dovuto assolutamente darti ascolto. Posso fare ammenda in qualche modo?» Andò verso di lui con un sorriso accondiscendente. «Vorrei fare la pace, bien-aimei ...» Ma le parole le morirono sulle labbra non appena si accorse che l'uomo che la fissava era Etienne Sagesse. Si paralizzò, ancora più terrorizzata, quando si accorse dell'acuto odore di alcol che emanava. «Che proposta seducente» mormorò lui, con un sorriso diabolico. «Posso immaginare in quale modo vorreste fare la pace, con quella bocca dolce e quelle mani esperte. Invidio vostro marito, carina ... E non ne ho mai fatto segreto.» A Lysette venne la pelle d'oca quando vide l'espressione sul volto gonfio di Sagesse: era molto, molto ubriaco. Cercò di allontanarsi in fretta, ma lui le bloccò la via. «Lasciatemi passare» sussurrò. «Non ancora. Voglio assaggiare le arti che riservate a vostro marito. Dopotutto, in origine eravate mia. Se non fosse intervenuto quel bastardo, ora sareste nel mio letto ogni notte. Dovrei essere io a trastullarmi tra le vostre gambe, non Vallerand.» «Non comportatevi da folle» ribatté Lysette seccamente, mentre la sua mente cercava affannosamente un modo per fuggire. Non poteva permettergli di creare uno scandalo: ne sarebbe derivato un duello. Doveva allontanarsi da lui in fretta, prima che qualcuno li vedesse. «Vallerand non c'entra niente. Non vi volevo allora e certamente vi desidero ancor meno oggi. Toglietevi dalla mia strada, brutto prepotente.» Lui sorrise con le labbra umide. «Che coraggio, piccolina! Forse non siete la donna più bella di New Orleans, ma di sicuro sapete soddisfare le voglie di un uomo, non è vero?» Si lanciò su di lei. «Povera Lysette, avreste potuto essere mia moglie, invece di condividere il letto con un assassino.» «A mio avviso siete stato voi a uccidere Corinne.» Il sorriso di Sagesse divenne ancora più crudele. «Niente affatto. Corinne non era un pericolo per me. Ormai mi aveva dato tutto quello che le avevo chiesto … anche di più, in realtà. A parte la noia che destava in me, non avevo ragioni per ucciderla.» Tese le mani e la inchiodò contro la parete. Lysette lo fissò, preoccupata dal suo sguardo feroce. «Però sapete cosa le è successo, non è vero?» «Oui» rispose lui, alitandole sul viso. «Allora ditemelo.» Lui la studiò dalla testa ai piedi, bramoso. «E cosa ne otterrei in cambio?» Dato che lei rimaneva in silenzio, Etienne le mise una mano sul seno e lo strinse con violenza. Lysette lo schiaffeggiò con forza sufficiente da fargli voltare la testa e cercò di sfuggirgli, ma lui la afferrò per i capelli e la tirò indietro. Lei emise un gemito di dolore e gli piantò le unghie nel braccio nel disperato tentativo di liberarsi. «Per una volta almeno, saprò cosa significa tenervi tra le braccia.» «No!» «Avreste dovuto essere mia.» Lui le piantò un ginocchio tra le cosce e le strofinò la guancia con le labbra umide. Le coprì con una mano la bocca e con l'altra tornò ad accarezzarle un seno. Tremando per il disgusto, Lysette gli morse la mano e gridò di nuovo. Improvvisamente si udì un acuto urlo dietro di loro e Lysette si ritrovò violentemente strappata dall'abbraccio. Si allontanò incespicando e, dopo essersi nascosta dietro una colonna, vide Justin che si gettava su Sagesse cercando di colpirlo alla gola. «No, Justin!» gridò, guardandosi intorno alla ricerca di aiuto. Alcuni ospiti avevano finalmente notato la colluttazione e incominciavano a radunarsi intorno ai contendenti. Qualcuno la indicò con un dito. Lei si nascose nell'ombra il più possibile, aggiustando il vestito sui seni esposti Con suo grande sollievo non ci volle molto perché Bernard emergesse dalla folla e si lanciasse su Justin staccandolo da Sagesse. «Calmatevi, ora» ordinò al ragazzo che si contorceva. «Accidenti, lasciatemi andare!» imprecò Justin. «Farò a pezzi quel bastardo!» Ma a quel punto anche diversi parenti di Sagesse si erano fatti avanti, tra di loro il cognato di Etienne, Severin Dubois, che lo prese per le braccia e iniziò a tirarlo con foga verso la garçonnière. Dio, che imbarazzo! Sentendo quella moltitudine di occhi su di sé, Lysette avrebbe tanto voluto che la terra si aprisse sotto i suoi piedi per scomparire dalla vista di tutti. Cosa stavano pensando in quel momento? Che aveva permesso a Sagesse di sedurla, proprio come aveva fatto con Corinne? «Lysette!» la chiamò Philippe, guardandola con grandi occhi preoccupati. Pareva temere che potesse svenire da un momento all'altro. E infatti lei si accasciò tra le sue braccia, sfinita. «State bene?» Lei annuì frettolosamente. «Dov'è Max?» «Qualcuno è andato a cercarlo.» Ma si interruppe non appena si accorse che la folla si stava aprendo proprio per lasciar passare suo padre. Alla vista di Vallerand, su tutti calò un silenzio di morte. Anche Justin si fece immobile. Max si fermò. Guardò prima il viso sconvolto di Lysette, poi la faccia arrossata di Justin e infine vide Sagesse, circondato da una schiera di parenti. E la sua espressione divenne letale. «Max no» supplicò Lysette. Ma lui non dava segno di averla udita. Fissando il vecchio nemico, sussurrò gelido: «Questa è la volta buona che vi uccido.» E prima che qualcuno potesse reagire in qualche modo, l'aveva già raggiunto. Lysette si schiacciò la mano sulla bocca per evitare di gridare di fronte all'orribile spettacolo di suo marito che si trasformava in un estraneo. Un selvaggio. Max si avventò su Sagesse, lo afferrò per le spalle e lo atterrò sbattendogli più volte la testa al suolo. Ci vollero gli sforzi congiunti di Bernard, Alexandre, Justin e Philippe per farlo smettere. Solo allora Severin Dubois si fece avanti e parlò con voce calma e autoritaria, capace di perforare la coltre di rabbia che aveva accecato Max. «Non ci sono scuse per l'offesa che è stata recata a vostra moglie. Vallerand. Etienne è completamente ubriaco. Vi offriamo le nostre più contrite scuse a nome dell'intera famiglia Sagesse. Posso promettere che non accadrà mai più niente di simile,» «Già, non accadrà mai più» sbottò Max. «Perché questa volta non farò l'errore di lasciarlo vivo. Dategli una spada. Mi occuperò di lui immediatamente.» «Non potete battervi con un uomo che non si tiene in piedi» ribatté Dubois. «Sarebbe un assassinio.» «Allora aspetterò domani mattina.» «Sarebbe un assassinio comunque» dichiarò Dubois scuotendo il capo. Improvvisamente la voce impastata di Etienne si levò sul mormorio dei presenti. Alcuni parenti l'avevano aiutato ad alzarsi da terra: dal naso gli colava sangue, ma non faceva nessuno sforzo per asciugarlo. «E allora? Lui ha un debole per l'assassinio.» Max si dimenò, tenuto fermo dalle mani forti dei fratelli. «Lasciatemi andare» ruggì, ma Bernard e Alexandre non mollarono la presa. «State zitto, Etienne» lo riprese Dubois. Sagesse incespicò in avanti con una smorfia sardonica sul volto. «Per anni vi siete raccontato delle frottole su quanto è accaduto a Corinne» biascicò. «Come mai non siete riuscito a capire la verità? Gli indizi erano tutti davanti ai vostri occhi. Eppure non avete saputo interpretarli. Avevate la risposta sotto il vostro tetto, ma non volevate vederla. «Rise di gusto, notando l'improvviso pallore sul viso dell'ex amico. «Siete proprio un povero sciocco ...» «Basta, Etienne!» sbottò Dubois, afferrandolo per il colletto e trascinandolo via. Per un po' Max rimase immobile. Poi improvvisamente si scosse dalla presa dei fratelli e andò a cercare Lysette. Lei era ferma accanto alla colonna con i capelli in disordine e la mano ancora sulla bocca. Mentre la prendeva tra le braccia, la sentì sussurrare: «Credo che sappia chi ha ucciso Corinne ...» Max la tempestò di baci rassicuranti sul viso e sulle mani. «Ti ha fatto del male?» «No.» La percorse fremente con le mani sulle spalle, sulla schiena e sui fianchi, come alla ricerca di qualche ferita esteriore. «Non ti succederà mai più niente del genere» le promise. «A costo di ucciderlo ...» «Non dire così» si affrettò a supplicarlo. «Non mi ha fatto niente, Max.» Lui la osservò per qualche istante, poi la spinse verso Alexandre. «Portatela a casa.» «E voi cosa volete fare?» gli domandò Lysette. «Vi raggiungo subito» disse lui, rifiutandosi di dare spiegazioni. «Tornate con me adesso» lo supplicò lei. Dopo avere lanciato uno sguardo eloquente ad Alexandre, lui si voltò e si allontanò a grandi passi. «Max!» gridò lei, gettandosi all'inseguimento. Ma Alexandre la afferrò per il polso. «Non preoccupatevi, Lysette. Max vuole solo parlare con Severin e qualche altro esponente dei Sagesse. Sono certo che Jacques Clement aiuterà a mediare tra le parti.» La sua attenzione si rivolse poi a Bernard. «Voi non andate con lui?» Bernard scosse il capo. «Non sarei utile» rispose. E aggiunse velenosamente: «Non mi sarebbe certo dispiaciuto, se avesse ucciso quel bastardo.» La voce di Justin ruppe il silenzio. «Se non lo ucciderà papà, lo farò io.» Tutti si voltarono verso il ragazzo. Lysette gli prese la mano e la strinse con trasporto. «Justin, certe cose non dovete nemmeno pensarle.» «Ho controllato Sagesse tutta la sera» rivelò il ragazzo. «Non vi ha persa di vista neppure un secondo e, quando vi siete allontanata in giardino, è venuto a cercarvi. È stato allora che ho deciso di seguirlo ...» «Grazie» lo interruppe Lysette affettuosamente. «Siete stato coraggioso a salvarmi. Ma ora è tutto finito e possiamo ...» «L'ho visto avanzare sotto il portico» aggiunse Justin in modo che gli altri non potessero sentirlo. «Ho visto come vi ha afferrato. Mentre venivo ad aiutarvi, mi sono accorto che dietro una pianta c'era zio Bernard. Non ha mosso un dito in vostro aiuto.» Lei scosse il capo, senza comprendere il significato implicito di quella rivelazione. «Justin, ora non ...» «Ma non capite? C'è qualcosa sotto, se un uomo non difende l'onore di sua cognata, per quanto possa detestarla. È un'offesa contro l'intero casato ...» «Sono stanca» mormorò lei, non volendo udire altro. Gli animi erano troppo eccitati e il ragazzo non ragionava per l'ira. Meglio riprendere le discussioni in un momento di maggiore lucidità. Lysette si rannicchiò nel letto da sola, tremante. Gli eventi recenti continuavano a tormentarla e non riusciva a liberarsi dalla sensazione che si fosse messo in moto qualcosa di terribile che né lei né Max erano in grado di controllare. Non aveva mai visto suo marito così fuori di sé, Per un istante aveva temuto che uccidesse Etienne Sagesse sotto i suoi occhi. Si strinse la testa tra le mani nell'inutile tentativo di scacciare dalla mente quelle immagini così orribili che invece persistevano imperterrite, mentre nel buio riecheggiavano sinistre le parole di Max. Questa è la volta buona che vi uccido. Gemendo, si girò e seppellì la faccia nel cuscino. La casa era immersa nel silenzio: dopo aver concordato di non riferire niente a Irénée, infatti, tutti i Vallerand si erano coricati, a eccezione di Bernard che aveva deciso di trascorrere la notte altrove. Le parve che fosse passato un secolo quando udì i passi di qualcuno che rientrava, Subito scattò fuori dal letto e raggiunse la porta proprio mentre entrava suo marito. Lui non si mostrò sorpreso di vederla sveglia. «Cosa è accaduto?» gli domandò abbracciandolo alla vita. Riusciva a percepire ancora la tensione nei suoi muscoli, una sorta di fremito che tratteneva l'esplosione di una violenza selvaggia. Lui la accarezzò sulla schiena e la strinse, ma poi la spostò davanti a sé per poterla studiare meglio. «Ca va?» «Sì, sto bene ... ora che sei qui con me.» Una ruga si formò tra le sue sopracciglia, mentre cercava di leggergli nei pensieri. «Ci sarà un duello domani mattina?» «No.» «Bene» rispose, immensamente sollevata, «Ora vieni a letto, ne riparleremo ... «Non ancora, petite. Devo tornare fuori. Ho una faccenda da sbrigare.» «Stanotte?» Lei scosse il capo in segno di protesta. «No, Max, devi stare qui. Non mi importa quale faccenda devi sbrigare. Ho bisogno di te.» «Tornerò subito» rispose lui deciso. «Non ho molte possibilità di scelta.» Ma lei non voleva lasciarlo andare, non quella notte, con quell'umore così pericoloso. Tutti i suoi istinti le imponevano di tenerlo al sicuro. «Non andare» ripeté afferrandolo per la giacca. «Una volta mi hai detto che, se ti avessi chiesto un favore, tu mi avresti accontentato. Ora te lo chiedo: non andare.» Max emise un ruggito di frustrazione. «Dannazione, Lysette. Devo andare. Non chiedermelo stanotte.» «Quindi. mi stai dicendo di no?» domandò lei, fissandolo intensamente. Vedeva i suoi occhi stretti, percepiva il suo dilemma tra l'esigenza di uscire e il desiderio di compiacerla. Il silenzio divenne teso come una corda sul punto di rompersi. Non sapendo come altrimenti allentare quella tensione, Lysette allungò una mano e lo accarezzò sui calzoni. Sentì il corpo di suo marito sussultare all'inattesa carezza. Si accorse che il suo membro rispondeva e lo accarezzò con maggiore intensità, facendolo pulsare. Poi gli schiacciò i seni contro il torace. «Cosa stai facendo, Lysette?» domandò lui con voce bassa e roca. «Ti sto distraendo.» Ora il membro sotto le sue mani era turgido ed eretto e lei si affrettò a slacciare i bottoni di onice dei pantaloni per liberarlo. Con l'aiuto della tensione sotto il tessuto i bottoni saltarono facilmente fuori dalle loro asole. Lysette emise un gemito spontaneo di piacere, mentre passava le dita sulla lunghezza di quel sesso rigido. Max fece un passo indietro gemendo, ma lei lo seguì prontamente, infilando la mano nella zona morbida sotto i testicoli. «Lysette» mormorò burbero «se è così che credi di tenermi in casa, ti sbagli.» «Forse così allora?» Lei abbassò il capo e lo prese nella sua bocca calda. Con la lingua lo esplorò delicatamente finché non trovò una vena pulsante che correva sulla parte inferiore del membro turgido. Dopo avere lanciato un suono strozzato, Max balbettò: «Questo sì che mi terrà in casa ...» Appoggiò la schiena contro la parete ansimando, mentre lei usava bocca e mani per eccitarlo violentemente. E quando lui non resistette più alla dolce tortura, la sollevò tra le braccia e la trasportò a letto, dove la possedette con passione devastante. Tutta New Orleans era in agitazione per il nuovo pettegolezzo. La rivalità tra Etienne Sagesse e Maximilien Vallerand era risaputa, ma gli eventi al ballo dei Leseur erano stati clamorosi. La storia delleavances di Sagesse nei confronti della moglie di Vallerand passò da una bocca all'altra finché non raggiunse l'ultima casa della città. Alcuni dicevano che la giovane madame Vallerand era stata quasi spogliata sotto il portico. Un testimone sosteneva di avere sentito Vallerand giurare che si sarebbe vendicato su ogni singolo esponente della famiglia Sagesse. Altri affermavano che Vallerand aveva minacciato di strangolare la sua seconda moglie come aveva fatto con la prima, se fosse stata di nuovo sorpresa a guardare un altro uomo. Quando Max si recò nel suo piccolo ufficio di spedizioni in città. si rese subito conto dell'eccitazione che fremeva in tutti coloro che lo vedevano. Era dal suo prima matrimonio che le donne non lo guardavano così, come se fosse stato una belva affascinante e pericolosa da evitare se si aveva cara la vita. Gli uomini gli lanciavano sguardi misurati, come ragazzini che si imbattevano nel bullo della scuola, Traboccante di disgusto, Max concluse i suoi affari il prima possibile, Evidentemente era il suo destino venire perseguitato dagli scandali, che lo meritasse o no, Una volta tornato alla piantagione. vide diverse carrozze ferme lungo il viale che portava all'ingresso. Eppure non era il giorno in cui Irénée era solita ricevere. Corrugando la fronte, entrò e si tolse guanti e cappello. Un vocio basso e costante proveniva dal salotto. Ma prima che si decidesse di andare a scoprire di cosa si trattava, apparve Lysette. «Sono le amiche di Irénée» lo informò con un sorriso cospiratorio, prendendolo a braccetto. «Non presentarti in salotto oppure otterrai il risultato di far svenire qualche vecchia dama.» E lo condusse in biblioteca. Max si lasciò portare placidamente, riempiendosi gli occhi della vista di lei: sua moglie era vestita con un abito da giorno blu, orlato da pizzo bianco, che si intonava meravigliosamente con i suoi capelli. «Tua madre ha trascorso una fantastica mattinata» continuò lei, richiudendosi la porta della biblioteca alle spalle. «Tutte le sue conoscenti, vicine e lontane le hanno fatto visita per conoscere la versione attendibile della storia. Figurati ... non si sono neppure preoccupate del fatto che lei non era presente al ballo!» Quella battuta strappò a Max un sorriso riluttante e lui non poté fare a meno di notare che, mentre la sua prima moglie sarebbe stata sconvolta dagli avvenimenti, Lysette riusciva ad alleggerire la situazione con distacco e umorismo. Si chinò a baciarla, godendo della dolcezza delle sue labbra. «Non preoccuparti» commentò sarcastico. «Lo scandalo scemerà in quei dieci, dodici anni...» Lei sorrise e lo tirò a sé per baciarlo di nuovo. «Fino ad allora ci toccherà rimanere chiusi in casa, tutti soli ...» «Madame Vallerand» sospirò lui baciandola sul collo «voi riuscireste a rendere attraente persino l'inferno! Più tardi quella notte Lysette venne svegliata dai movimenti di Max che si liberava cautamente dal suo abbraccio e usciva dal letto. Ancora mezzo addormentata, emise un gemito di protesta perché le mancava il calore del suo corpo. «Dove vai?» «Devo uscire un attimo.» «Uscire?» Irritata, si liberò il volto dai capelli. «Non avevamo discusso questo argomento ieri notte?» «Già.» Lui infilò i calzoni e si mise alla ricerca della camicia. «E avrei dovuto occuparmi di quella faccenda proprio ieri, ma ... sono stato distratto.» «Una faccenda che non può essere sbrigata alla luce del giorno?» «Temo di no.» «Stai per fare qualcosa di pericoloso o illegale?» «Non del tutto.» «Max!» «Ritornerò tra un paio d'ore.» «Non approvo per niente» borbottò lei. «Odio quando esci di notte.» «Torna a dormire» sussurrò lui, baciandola sulla fronte e rincalzandole le coperte. «Quando ti sveglierai, sarò di nuovo al tuo fianco. Alla mattina il risveglio di Lysette fu salutato da una pioggia leggera. Dovendo vestirsi più di quanto non fosse normale per una giornata di settembre, scelse un semplice abito di velluto color ruggine, che rendeva ancora più accesa la tonalità dei suoi capelli. Mentre se li raccoglieva velocemente con uno chignon alla base della nuca, udì un gemito roco levarsi dal letto. Lei si voltò in direzione del rumore. Max era tornato durante la notte, proprio come le aveva promesso: aveva rifiutato di darle spiegazioni, l'aveva rabbonita facendo l'amore e poi si era velocemente addormentato. Lysette si era sentita irritata per il tono evasivo con cui aveva risposto alle sue domande, ma anche sollevata di riaverlo a casa. Si avvicinò al letto con i pugni piantati sui fianchi. «Dunque sei sveglio» disse in tono impertinente. «Sono stanco» protestò lui. «Bene, anzi spero che tu sia esausto. Così forse stanotte te ne resterai nel tuo letto invece di vagare per la città di notte per sbrigare faccende misteriose ...» Max si tirò in posizione seduta strofinandosi il volto, mentre le lenzuola gli ricadevano intorno alla vita. Per quanto Lysette fosse arrabbiata con lui, non poté fare a meno di apprezzare la visione del suo torace muscoloso. «D'accordo» borbottò lui. «Ti spiegherò tutto, dato che ormai è chiaro che non mi lascerai in pace fino a quando non l'avrò fatto. Ieri notte ...» Ma si bloccò udendo dei passi pesanti che correvano su per le scale. Incuriosita, Lysette sporse la testa nel corridoio e si imbatté in Philippe. Il volto del ragazzo era cereo per il panico. «Dov'è Justin?» le domandò non appena la vide. «È a casa?» «Non so» «rispose lei uscendo del tutto dalla stanza, mentre Max si vestiva. «Mi sembra che dovesse andare in città con degli amici. Perché? Qual è il problema?» Philippe faticò a trovare aria sufficiente per proseguire. «So ... no andato alla mia le ... zione di scherma ...» balbettò. «Ho ... se ... ntito novità su Etienne Sagesse. Lysette sentì un brivido freddo correrle giù per la schiena e dovette appoggiarsi a Max, che l'aveva raggiunta sulla porta. «Andate avanti, Philippe» ordinò Max. «Cosa avete sentito su Etienne Sagesse?» «Che è stato trovato ... ieri notte ... nel Vìeux Carré, vicino a Rampart Street ... assassinato.» 15 Era inevitabile che tutti i sospetti ricadessero su Max. La cosa divenne dolorosamente palese dopo la visita di Jean-Claude Gervais, il capitano dei gens d'ermes, che, essendo la carica più alta a New Orleans, non si sarebbe mai mosso, a meno che la situazione non fosse estremamente delicata. Gervais in quel momento avrebbe preferito essere in qualsiasi luogo purché altrove: non aveva infatti dimenticato il favore che Maximilien Vallerand gli aveva fatto non molto tempo prima, sussurrando nelle orecchie giuste che i gens d'armes dovevano essere provvisti di nuove armi e di un equipaggiamento più moderno. E ora lui era costretto a ripagarlo violando la sua privacy e accusandolo di omicidio! Palesemente a disagio, Gervais entrò in casa Vallerand con un'espressione di pietra dipinta sul volto. «Monsieur Vallerand» iniziò rigido, mentre Max si richiudeva la porta della biblioteca alle spalle per assicurare a entrambi un po' di riservatezza. «Il motivo per cui sono qui...» «Lo conosco perfettamente, capitano.» Max si avvicinò al mobile bar, riempì due bicchieri di liquore e ne porse uno all'ospite con aria interrogativa. «Non, merci» rispose Gervais, nonostante desiderasse ardentemente qualcosa di forte. Vallerand si strinse nelle spalle e trangugiò il proprio brandy. «Sedetevi, vi prego. Immagino che la conversazione avrà una qualche durata.» «Monsieur Vallerand» riprovò Gervais, accomodandosi su una poltrona di pelle «vorrei iniziare dicendo che questa non è una visita ufficiale ...» «So che avete molte domande, capitano. Per risparmiare il tempo a entrambi, cerchiamo di essere diretti.» Vallerand accennò a un sorriso. «Rimanderemo scambi più piacevoli a un'altra occasione, oui?» Gervais annuì. «È vero, monsieur; che avete minacciato di morte Etienne Sagesse due sere fa in casa del signor Leseur?» Vallerand annuì a sua volta. «Sagesse aveva appena insultato mia moglie. Sul momento avrei voluto pestarlo a sangue, ma i membri di entrambe le famiglie me l'hanno fortunatamente impedito. Inoltre mi sono lasciato convincere a non sfidarlo a duello date le sue condizioni... era ubriaco fradicio, sapete?» «Sì, me l'hanno riferito.» Soltanto un creolo avrebbe notato la particolare enfasi data a queste parole. Era imperdonabile, infatti, per le usanze del luogo bere più di quanto si riusciva a reggere dignitosamente. Il capitano congiunse le mani sul grembo. «Monsieur, vostra moglie era un tempo fidanzata con Etienne Sagesse, o sbaglio?» Vallerand strinse gli occhi. «Non sbagliate.» «La famiglia Sagesse sostiene che voi l'abbiate rapita. Come si sono svolti i fatti secondo la vostra versione?» Max stava per rispondere quando si udì un delicato bussare. «Oui?» rispose Vallerand bruscamente. La porta si socchiuse e Lysette fece capolino nella biblioteca. «Mi piacerebbe assistere al colloquio, mon mari,se non è di troppo disturbo. Prometto di non interferire.» «Se il capitano non ha obiezioni» rispose lui, lanciando all'uomo un'occhiata interrogativa. «Capitano Gervais, vi presento mia moglie, Lysette Vallerand.» Gervais scattò in piedi accennando un inchino, mentre scopriva, imbarazzato, che la giovane signora Vallerand non era solo una donna di una discreta avvenenza, ma possedeva anche un fascino sensuale, capace di risvegliare pensieri peccaminosi persino nella mente di un serio ufficiale della polizia. «Capitano?» lo incalzò Vallerand. Gervais balbettò. «Monsieur ... le domande che devo porvi... potrebbero turbare le orecchie della signora.» «Possiamo parlare apertamente davanti a mia moglie» lo rassicurò Vallerand, sedendosi accanto a lei. «Ah, bene. Dunque, stavamo parlando del rapimento della fidanzata di Etienne Sagesse ...» «Rapimento?» ripeté Lysette incredula. «Non si può certo usare un termine del genere. Sono giunta a New Orleans di mia volontà, proprio per fuggire da Etienne Sagesse, il quale si era comportato in maniera disdicevole nei miei confronti. Sono stata invitata a risiedere qui per un certo lasso di tempo da Irénée Vallerand ... era una conoscente di mia madre, sapete?... poi mi sono ammalata. Durante la convalescenza mi sono innamorata di Maximilien e ho accettato la sua proposta di matrimonio. Non sono mai stata rapita. E molto semplice, voyezvous?» «Semplicissimo» borbottò Gervais. «Monsieur Vallerand, vi siete scontrato in duello con Etienne Sagesse proprio per questo, non è vero?» «Sì.» «Sarebbe corretto dire che ha peggiorato l'inimicizia che già esisteva tra voi?» «No» rispose seccamente Vallerand. «A dimostrazione di ciò, ho posto fine al duello prematuramente.» «Perché?» «Ho avuto compassione di lui. Qualsiasi testimone concorderà sul fatto che avrei potuto ucciderlo sui due piedi. in legittima difesa del mio onore. Ma fortunatamente, capitano, ho raggiunto un'età in cui sono alla ricerca di pace, non di vendetta. Ho osato sperare che la faida tra i Sagesse e i Vallerand potesse terminare ...» Accorgendosi che persino sua moglie lo osservava con aria scettica, si affrettò ad aggiungere timidamente: «È la pura verità.» «Nonostante la relazione di Sagesse con la vostra prima moglie?» lo incalzò il capitano. «L'odio è un'emozione molto faticosa» replicò Vallerand. «E lascia spazio per pochi altri sentimenti.» Guardò sua moglie con un dolce sorriso. «Ho smesso dì odiare, quando mi sono reso conto quanto potesse diventare migliore la mia vita se lo sostituivo con l'amore. Non che abbia perdonato Sagesse, ovviamente. Il suo tradimento mi ha ferito profondamente e possiedo orgoglio come qualsiasi altro uomo d'onore. Ma mi sono stancato di nutrire vecchi rancori e desidero lasciarmi il passato alle spalle. «E il comportamento di Sagesse ha reso possibile questi vostri piani?» «Direi di sì. Non ho più avuto rapporti con lui dopo il duello.» Il capitano fece altre domande sulla relazione tra Corinne ed Etienne, poi cambiò tattica. «Monsieur, siete stato visto da due testimoni nel Vieux Carré ieri notte. Per quali motivi vi siete recato lì?» L'espressione di Vallerand si fece più guardinga e solo dopo qualche secondo riuscì a rispondere: «Ho visitato la mia ex placée.» Sia il capitano sia Lysette arrossirono. «Madame Vallerand, se preferite lasciare la stanza ...» le propose imbarazzato Gervais. «No, grazie, preferisco restare» s'affrettò a rispondere lei senza intonazione. «Dunque, siete andato a trovare la vostra vecchia amante?» continuò Gervais cercando di nascondere il suo disagio. «Per quanto tempo l'avete mantenuta?» «Per sette anni.» Lysette ascoltò solo a metà il resto della conversazione. Nella sua mente ronzavano possibilità dolorose: o Max le aveva mentito e aveva ancora una relazione con Mariame, oppure stava mentendo al capitano per celargli la vera ragione della sua sortita notturna. Alla fine Gervais si alzò per mostrare che l'interrogatorio era concluso. «Monsieur Vallerand» disse solennemente «mi sento obbligato a informarvi su certi fatti ... in modo ufficioso, s'intende.» Max fissò l'ufficiale con aria attenta. «È importante che la gente di New Orleans sappia che oggi la legge viene fatta rispettare con la stessa serietà dei tempi precedenti all'arrivo degli americani: i cittadini, purtroppo, hanno poca fiducia nelle istituzioni ...» dichiarò Gervais. «Etienne Sagesse apparteneva a una ricca e rinomata famiglia locale e la sua morte è considerata da tutti una grave perdita. Mi si richiede a gran voce che venga trovato e punito immediatamente il colpevole. Però, come sapete, non è sempre possibile garantire a tutti un processo equo. Le acque sono estremamente agitate e sarebbe da stolti confidare nella giustizia del sistema ...» Max annuì lentamente. «Soprattutto se numerosi personaggi influenti, tra cui persino il giudice del tribunale della contea, sono venuti da me per denunciarvi» continuò Gervais. «Pretendono il vostro arresto, se posso esprimermi apertamente.» «E per caso tra questi ci sono anche esponenti dell'Associazione messicana?» domandò Max. «Quasi tutti, mi pare» «rispose Gervais. un po' sorpreso dalla domanda. "Gli amici di Burr!" pensò Lysette. scandalizzata. Aspettavano l'occasione buona per vendicarsi e la morte di Sagesse veniva a fagiolo. «In sostanza vi sto dando il tempo per fare i vostri piani, monsieur» aggiunse Gervais, fissando il padrone di casa negli occhi. «Presto sarò costretto ad arrestarvi. Avete domande, monsieur?» «Solo una» rispose semplicemente Max. «Come è stato ucciso monsieur Sagesse?» «Strangolato» spiegò il capitano. «Ci vuole molta forza, monsieur, per uccidere così un uomo della stazza di Sagesse.» Guardò con aria eloquente il torace possente e le braccia muscolose dell'interlocutore. «Non tutti ne sarebbero stati in grado.» Lysette non riuscì a emettere neppure un suono, mentre Max accompagnava l'ufficiale alla porta. Si schiacciò i pugni contro la bocca dello stomaco, sentendosi improvvisamente sprofondata in un incubo. Quando suo marito tornò da lei... e le parvero passati secoli." si inginocchiò davanti alla sua sedia e le prese le mani. «Guardami, amore mio.» Lei gli lanciò uno sguardo disperato. «Sono andato da Mariame per l'ultima volta» iniziò a spiegarle «perché dovevo prendere accordi riguardo suo figlio. Il ragazzo, che è di sangue misto, la settimana scorsa è stato scoperto mentre intratteneva una relazione con una donna bianca. La sua vita è in grave pericolo. Avrai sentito cosa fanno a chi ha l'ardire dì… be', lasciamo perdere. Qualche giorno fa Mariame mi ha mandato un messaggio in cui mi chiedeva aiuto. Non ho potuto rifiutarglielo.» Lysette fece fatica a prestare attenzione alla spiegazione. «Cosa intendeva dire il capitano quando ti accordava tempo per rare i tuoi piani ... Dobbiamo fuggire?» «Sì» sospirò Max. «Allora dobbiamo partire stanotte. Vedrai, non ci vorrà molto per fare le valigie. Andremo in Messico ... no, in Francia ...» «Non andremo da nessuna parte» la interruppe lui dolcemente. Lysette lo afferrò per il bavero della giacca. «Invece sì! Non mi importa dove vivremo finché posso vivere insieme a te. Ma se resterai, ti...» La sua voce si spezzò. «Credo a quello che ci ha detto il capitano, Max.» «Non ho ucciso Etienne Sagesse.» «Lo so. Ma non saremo in grado di provarlo. E anche se lo fossimo, nessuno ci ascolterebbe. Le autorità americane vogliono mostrare il loro potere sulla comunità creola e abbattendo un uomo della tua posizione si sentirebbero finalmente in controllo della città. Dobbiamo scappare. Ti imprigioneranno. Non capisci? Se ti accadesse qualcosa. Max, io ...» «Non scapperemo. Non è una vita degna né di te, né dì me.» «No!» gridò lei, scostandosi mentre lui cercava di confortarla. «Non dire altro.» Riprese velocemente il controllo delle proprie emozioni. «Ora vado di sopra e inizio a fare i bagagli per noi e per i ragazzi. Va' a dire a Noeline di tirare fuori i bauli... No, non toccarmi!» «Resteremo qui, Lysette» dichiarò lui calmo. Lei cercò di smettere di tremare e mise in moto il cervello per trovare dei modi per costringerlo a fuggire. «Be', io parto per la Francia stanotte, E mi porto dietro i ragazzi. Tu puoi tranquillamente restare e farti impiccare per i tuoi principi. Oppure puoi scegliere di seguire la tua famiglia in Europa. A te la scelta.» Si diresse a grandi passi fuori dalla biblioteca, ma quando fu sulla soglia si voltò e riprese a dire: «E mentre stai valutando le possibilità, aggiungi il fatto che potrei essere incinta. Nostro figlio ha bisogno di un padre! E se neppure questo ti smuove ...» Strinse gli occhi con aria minacciosa. «... sappi che, non appena verrai impiccato, mi troverò un nuovo marito che sia in grado di mantenere la creatura indifesa che verrà.» Mentre lei correva al piano di sopra, Max si accasciò su una poltrona. Nonostante l'umore tetro, non riuscì a reprimere un sorriso. Avrebbe potuto rovistare il mondo in lungo e in largo e non sarebbe mai riuscito a trovare una donna che lo conoscesse bene come lei. In poche parole Lysette era riuscita a colpirlo in tutte le zone in cui era più vulnerabile. La casa era silenziosa come un sepolcro, a parte i fruscii che produceva Lysette mentre impacchettava le cose frettolosamente. Philippe si era chiuso nella sua stanza. Justin, invece, dopo essere tornato a casa e avere udito la notizia dell'imminente arresto di suo padre, era tornato fuori per qualche misteriosa faccenda. Dopo essersi ricoperta con un pesante velo nero, Irénée aveva preso Noeline e si era recata in chiesa, dove aveva trascorso diverse ore a discutere con un prete, vecchio amico di famiglia, i cui consigli teneva in gran conto. Era uscita di casa senza neppure cercare di parlare con suo figlio. Ovviamente non le era nemmeno passato per la mente che Max potesse non avere ucciso Sagesse, dato che per anni aveva vissuto con la convinzione che fosse il responsabile della morte di Corinne. Nel frattempo il padrone di casa si aggirava per le stanze nervosamente, valutando la possibilità di fuggire. Ma ogni volta respingeva l'idea. Certo, sarebbe stato in grado di mantenere la sua famiglia anche in esilio, ma a causa della reputazione definitivamente macchiata ... la paura di doversi sempre guardare alle spalle ... il timore della vendetta dei Sagesse ... non sarebbe mai più stato felice. Doveva rimanere e dimostrare la propria innocenza. Si fermò ai piedi della scala e lanciò lo sguardo al secondo piano. Una cameriera stava entrando nella stanza padronale con una grande valigia di pelle. Max scosse la testa sorridendo. Nessuno avrebbe potuto accusare sua moglie di mancanza di spirito. Mise il piede sul primo gradino, intenzionato a fermare quell'inutile fatica, quando un rumore violento alle sue spalle lo fermò. Era Justin che rientrava come un pazzo sbattendo la porta. «Padre!» gridò tremante, con i vestiti zuppi e i capelli in disordine. Automaticamente Max tese una mano per calmarlo. «Justin, dove siete ... ?» «Ho se ... seguito» balbettò lui, afferrando la mano del padre «Zi zio ... Be ... Bernard. È in città: sta bevendo e giocando a La Sirene.» Max non ne rimase sorpreso. «Ha il suo modo di reagire alle sventure della famiglia, mon fils. Ha già sofferto abbastanza per causa mia. Lascialo stare. Ora ...» «No, no!» Justin lo tirò con foga. «Dovete parlargli.» «Perché?» «Dovete chiedergli perché odia tanto Lysette. Perché voleva farla cadere dalla soffitta, perché non ha fatto niente dai Leseur quando veniva assalita da Sagesse e soprattutto ... dove era ieri notte.» «Justin!» fece Max in tono impaziente «mi pare chiaro che voi e Bernard abbiate litigato. Ma ora ci sono cose più importanti...» «Non c'è niente di più importante» ribatté il ragazzo senza mollare la presa. «Chiedetegli cosa provava per mia madre e perché riteneva Sagesse così pericoloso.» Max lo scosse con una certa violenza per indurlo al silenzio. «No. Ora basta!» Justin chiuse la bocca. «Capisco che vogliate aiutarmi» aggiunse Max in tono più dolce. «Volete evitare che sia accusato d'omicidio. Ma questo non è un buon motivo per accusare un altro membro della vostra famiglia. Magari Bernard non vi piace, ma ...» «Venite con me» lo supplicò Justin. «Parlategli. Vedrete cosa intendo. Maledizione, cos'altro progettavate di fare stasera? Sedere davanti al camino in attesa che vengano i gendarmi?» Max lo studiò con espressione implacabile, mentre il ragazzo tratteneva il fiato. Poi annuì impercettibilmente. «D'accordo.» Justin gli gettò le braccia al collo, seppellendo la faccia nel suo petto. «Però non dobbiamo incontrare nessun Sagesse. Dobbiamo evitare le strade principali...» «Dovremo usarle, invece» obiettò Max. «Ormai le altre si saranno già trasformate in un pantano di fango.» Renée Sagesse Dubois sedeva da sola nel salotto con la lettera sigillata nel grembo e la fissava con gli occhi arrossati. Era indirizzata a Maximilien Vallerand. Ricordava di avere visto Etienne mentre la scriveva poco prima del duello. Lui stesso l'aveva sigillata, rifiutandosi decisamente di informarla sul contenuto. Le aveva detto di consegnare la lettera, nel caso in cui Vallerand fosse risultato vincitore. Confusa, Renée si chiese perché Vallerand avesse risparmiato la vita di Etienne in quell'occasione, perché avesse fatto concludere il duello senza spargimento di sangue. Etienne ne aveva parlato più volte nel corso dell'ultimo mese e il fatto pareva avere persino aumentato il suo disprezzo per l'avversario. Dopo il duello Renée aveva cercato di riconsegnare la lettera a Etienne, ma lui aveva sempre insistito che rimanesse nelle sue mani con la medesima istruzione: alla sua morte doveva essere consegnata a Maximilien Vallerand. Ma lei non poteva. Nonostante le promesse, non poteva guardare in faccia l'assassino di suo fratello. «Mi dispiace, Etienne» sussurrò. «Non ci riesco.» Scoppiando a piangere, lanciò la busta a terra e si ripiegò su se stessa per il dolore. Solo dopo lunghi e disperati singhiozzi riuscì a riprendere il controllo. I suoi occhi furono di nuovo attratti dalla lettera. Cosa poteva esserci scritto? Quali potevano essere i veri sentimenti di Etienne per un uomo che era stato nel corso del tempo prima suo amico, poi suo nemico e infine il suo assassino? Renée allungò la mano alla busta e si decise a rompere il sigillo. Iniziò a leggere, detergendosi gli occhi dalle lacrime. La prima pagina era troppo criptica perché lei la comprendesse appieno. Corrugando la fronte, passò alla seconda. «Oh no!» mormorò allora, stritolando il foglio nella mano tremante. «Come può essere?» Mentre Max cavalcava avvolto dalla nebbia, si domandava quale follia l'avesse preso ad accondiscendere ai desideri di Justin. Non avrebbe ottenuto niente parlando con Bernard, il quale d'altro canto ormai era di sicuro troppo sbronzo per poter formulare una frase di senso compiuto. Perché poi Justin era così determinato a coinvolgere suo zio nello scandalo? Max era fortemente tentato di girarsi e tornare a casa. Ma, come Justin gli aveva fatto notare, prima di quel momento non gli aveva mai chiesto un favore. Justin accelerò l'andatura spronando violentemente il cavallo. Arrivati a una curva, però, dovettero rallentare perché notarono quattro uomini. A mano a mano che si avvicinavano, i cavalieri si disposero in una formazione a ventaglio. Max riconobbe Severin Dubois, due fratelli di Etienne e un cugino. Non gli fu difficile immaginare il motivo che li spingeva ... avevano costituto un gruppo per linciarlo e vendicare così la morte del loro parente. Istintivamente si portò la mano al fianco, poi imprecò tra i denti accorgendosi di avere lasciato le sue pistole a casa. Justin fece virare il cavallo verso destra, pronto a scappare. «No» gli ordinò Max, roco. I cavalieri erano troppo vicini: era inutile scappare. Ma sia che non avesse sentito il comando, sia che non intendesse obbedire, il ragazzo continuò a galoppare nella stessa direzione. Uno dei Sagesse puntò il fucile. Un urlo cavernoso provenne, allora, dalla gola di Max, completamente preso dal panico. «No!» gridò, smontando da cavallo e correndo in mezzo al fango. Riuscì a raggiungere il figlio e a prenderlo tra le braccia mentre si accasciava senza forze giù dalla sella. Severin Dubois rimase imperturbabile a osservare la scena, mentre Max deponeva il figlio a terra. «È difficile avere giustizia di questi tempi» dichiarò. «Meglio farsela da soli.» Cullando il corpo di suo figlio, Max gli accarezzò i capelli per controllare la profonda ferita sulla tempia. «Mi dispiace» sussurrò, baciandogli le guance pallide. «Le vous aime, Justin. Andrà tutto bene. Non muovetevi, mon fils.» Si strappò il mantello e lo avvolse intorno al ragazzo con gesto protettivo. «Non abbiamo intenzione di infierire» lo informò Severin. «A meno che, naturalmente, voi non rendiate le cose più difficili.» Max fissò Dubois con freddo odio. Poi si alzò e non oppose resistenza mentre uno dei Sagesse gli legava i polsi. La sorella di Etienne Sagesse era l'ultima persona che Lysette si aspettava di ricevere quella sera. Eppure, la accolse con irreprensibile cortesia. Le dispiaceva per il suo lutto, anche se non aveva alcuna simpatia per quella donna. «Dov'è monsieur Vallerand?» domandò Renée senza preamboli. Lysette non poté fare altro che fissarla stupita. Da quanto ricordava dai brevi incontri con la famiglia Sagesse. quella donna era sempre stata di ghiaccio. In quel momento, invece, era così arrossata e tremante che pareva un'altra. «Devo assolutamente parlare a vostro marito» aggiunse in fretta, rifiutando di accomodarsi in salotto. «Questione di vita o di morte.» «Temo che non sia in casa» rispose Lysette. «E dov'è? Quando ritornerà?» Lysette squadrò la donna, cercando di intuirne le intenzioni. Poi diede l'unica risposta possibile: «Non lo so.» «Ho una lettera per lui. Da parte di mio fratello. Mi ha chiesto di consegnarla personalmente a monsieur Vallerand dopo la sua morte.» Lysette annuì freddamente. Senza dubbio conteneva le ultime farneticazioni di un uomo amareggiato. Era tipico di Etienne cercare di insultare un avversario anche dalla tomba. «Se volete lasciarla a me» rispose «farò in modo che mio marito la riceva.» «Voi non capite. Etienne spiega tutto, tutti i dettagli del passato ... lo scandalo ... tutto:» Lysette sgranò gli occhi. «Fatemi vedere.» Strappò la busta dalla mano della donna, poi si allontanò e si girò per leggerla un po' in disparte. Immediatamente alcune righe emersero dal resto: «... Che sciocco vi hanno reso i sentimenti, Max! Vi conosco abbastanza per sapere che preferireste sopportare l'onta di un crimine che non avete commesso piuttosto che credere vostro fratello capace di un simile tradimento ...» A quel punto Lysette non poté più controllarsi e guardò Renée sconvolta. «Bernard?» esclamò soffocata. La donna la fissò con riluttante compassione. «Così dice la lettera. Dopo essere stata lasciata da Etienne, Corinne ha iniziato una relazione con suo cognato. L'ha confidato a mio fratello come una sorta di rivalsa, aggiungendo che avevano intenzione di fuggire insieme.» Lysette lesse il resto della lettera con foga disperata: «... Non c'è dubbio che Bernard doveva trovare l'idea di uccidere Corinne molto più attraente della prospettiva di sopportare una vita d'esilio in sua compagnia. Mi fosse stata data la stessa scelta, anch'io avrei strangolato quella troia con le mie mani. Ma poi... gettare la colpa sul marito cornuto ... be', quello è stato un capolavoro degno solo di un Vallerand.» «Etienne scrive che vostro marito è stato un folle a non considerare la possibilità di una relazione tra sua moglie e Bernard» commentò Renée. «Disprezzava Maximilien per avere ignorato una verità che sarebbe parsa lampante, se solo si fosse curato di cercarla.» «Ma Max pensava che Bernard fosse innamorato di un'altra.» «Sì, un'americana.» «L'aveva messa incinta e lei era fuggita ... oh, come si chiamava ... ?» «Ryla Curran» la interruppe Renée. «Nella lettera Etienne spiega anche questo. Inizialmente Bernard era interessato alla ragazza, ma non ha mai avuto una relazione con lei.» «E come faceva Etienne a saperlo?» «Perché è stato lui a sedurla.» Renée sottolineò la frase con un amaro sorriso. «Sfortunatamente non è stata la prima giovane rovinata da mio fratello ... e neppure l'ultima. Ma fingere di essere pazzamente innamorato di Ryla serviva a Bernard per nascondere la sua vera relazione.» Lysette divenne di ghiaccio. Si chiese cosa sarebbe accaduto a Max quando avesse scoperto le nefandezze di suo fratello e fu travolta da un'ondata di disgusto. «Dunque è stato Bernard a uccidere Etienne ...» «Credo di sì. Naturalmente non ci sono prove, ma ...» «L'ha ucciso lui!» insistette Lysette. «La notte del ballo in casa Leseur deve essersi convinto che Etienne non avrebbe conservato il segreto a lungo ... e l'ha ucciso! Solo che per questo secondo delitto Max pagherà con la vita.» «Ora non disperate» la confortò Renée. «Abbiamo ancora un po' di tempo. Basterà mostrare la lettera alle autorità quando verranno ad arrestare vostro marito.» Le sue labbra divennero una linea sottile. «A meno che monsieur Vallerand non sia già fuggito.» Lysette rispose a quella ipotesi con un'occhiata indignata e stava per aggiungere qualcosa, quando fu distratta da un'improvvisa irruzione. «Max?» domandò, girandosi di scatto. E subito impallidì. Appoggiato allo stipite della porta, ansimante, dopo aver corso per chilometri senza fermarsi, c'era Justin. Il suo volto era cereo sotto la chiazza di sangue e tutti i suoi vestiti erano macchiati di fango. «Ho bisogno di aiuto» gemette. «Dov'è Alexandre?» «Dai Clement» rispose lei. «Ma Justin ...» Il ragazzo la interruppe lanciando un grido per la tromba delle scale. «Philippe! Philippe, scendete immediatamente.» Il fratello apparve subito sul pianerottolo, vide la scena che avveniva al piano di sotto e si lanciò giù per le scale. Guardando le due donne, Justin disse con una smorfia di disgusto: «Che vicina premurosa, signora Sagesse! È cortese da parte vostra tenere compagnia alla mia matrigna, mentre vostro marito e i vostri fratelli stanno macellando mio padre ...» Poi fu colto dalla debolezza e appoggiò il capo alla porta. «L'hanno preso, petite maman» spiegò a Lysette che accorreva a sostenerlo. «Non so dove l'abbiano portato, ma sono certo che l'uccideranno. Dio, potrebbero averlo già fatto!» Il piccolo gruppo condusse il cavallo di Max fuori dalla strada principale, lungo vicoli secondari stretti e fangosi, con l'intenzione di punire l'uomo che aveva ammazzato Etienne. In quella regione, dove da tempo il potere cambiava mano in modi così bruschi, la definizione di ciò che era legittimo variava velocemente. E l'unico modo di ottenere giustizia certa era di farsela da soli. Con le mani legate dietro la schiena, Max venne trascinato fino a un angolo remoto della piantagione dei Sagesse, in una zona dei campi lasciata a maggese. Quando il gruppo si fermò vicino a un boschetto e iniziò a smontare, Max decise di passare all'azione e tentò di saltare sulla propria cavalcatura, sperando che per lo scatto improvviso le redini sfuggissero dalle mani di Duboìs. Ma lui fu pronto e diede uno strattone, facendo finire Max al suolo. Non ci fu alcuna risata di scherno, però, quando il nemico umiliato strisciò a terra, perché i Sagesse non stavano agendo per sete di vendetta, ma per quello che ritenevano un obbligo morale. Per quanto si sapesse inerme, Max si dibatté mentre veniva fatto alzare in piedi. Il primo pugno arrivò con forza, facendogli girare la faccia e procurandogli un'esplosione di dolore in tutto il cranio. Prima che potesse respirare di nuovo, venne colpito da una raffica di percosse che gli spaccarono le costole. Iniziò a cedere. Macchie di luce gli giravano intorno, mentre i suoni sfumavano in un rimbombo cupo ... Renée sgranò gli occhi per la sorpresa. «Mio marito? Severin?» «Sì» sbottò Justin con violenza. «Insieme ad altri membri della vostra famiglia.» «Quanto tempo fa?» «Non so, mezz'ora forse.» Renée fece un passo in avanti per sfiorare la spalla di Lysette. «Non ne ero al corrente, credetemi.» «Come no!» borbottò Justin tra i denti. Ma lei sostenne lo sguardo d'odio del ragazzo. «La vostra insolenza non servirà a nulla, giovanotto.» Riportò lo sguardo su Lysette. «Forse so dove l'hanno portato. Possiamo andarci con la mia carrozza.» «Perché volete aiutarmi?» domandò Lysette a disagio. «Etienne ha sbagliato a tenere segrete queste informazioni per tutti questi anni, pur sapendo che rnonsieur Vallerand era innocente. Nessuno può riparare i torti di mio fratello, ma ...» «Forse» la interruppe Justin gelido, mentre veniva raggiunto da Philippe «possiamo parlare più tardi e cercare mio padre prima che la vostra famiglia gli torca il collo, che ne dite?» Poi spalancò la porta e fece cenno alla carrozza dei Sagesse che aspettava all'esterno. Mentre i quattro si dirigevano fuori, Renée spiegò: «C'è un campo a nord-ovest nella nostra piantagione che si trova lontano dalle strade. Pieno di alberi, molto comodi per organizzare un'impiccagione. Severin ci ha già ucciso un uomo tempo fa. Lo so perché l'ho seguito.» «E cosa aveva farro quel poveretto?» «Severin sospettava che fosse il mio amante» dichiarò la donna orgogliosamente, aspettandosi da quel giovane arrogante un rossore che non venne. «E lo era?» Gli occhi scuri di Justin avevano un'espressione molto più adulta della sua età. «Sì» rispose lei, sperando di scandalizzarlo. Il ragazzo la scrutò con un'espressione palesemente sensuale. «Dovete essere davvero brava se esistono uomini disposti a rischiare la vita per voi.» Con suo grande dispetto, toccò a Renée arrossire mentre saliva frettolosamente sulla carrozza. I Sagesse si erano riuniti sotto un'antica quercia e avevano già legato una corda a un alto ramo. «Aspetteremo che rinvenga» dichiarò Severin, mentre gli altri mettevano il corpo privo di sensi in sella allo stallone nero. Tomas Sagesse, fratello minore di Etienne, infilò il cappio al collo di Max e lo strinse, afferrando poi con forza le redini del cavallo. «Non riuscirò a trattenerlo a lungo.» «Dovete ... voglio che Vallerand sia completamente conscio» rispose Severin. «Solo se si accorge di quello che sta accadendo, giustizia sarà fatta.» Non appena Tomas l'avesse lasciato libero, il cavallo, fiero e orgoglioso, sarebbe fuggito al galoppo lasciando il padrone a penzolare a mezz'aria. Il collo non si sarebbe rotto e Max sarebbe rimasto là, con la laringe chiusa, a soffocare. Severin si avvicinò allo stallone e fissò la faccia insanguinata del suo avversario. «Su, Vallerand. Aprite gli occhi. Facciamola finita!» Al suono di quella voce estranea, la bestia si mosse di lato e il cappio si strinse ulteriormente. Max socchiuse gli occhi. Severin si era aspettato di leggervi rabbia e risentimento, ma in quegli occhi scuri non c'era alcuna emozione. Mosse le labbra tumefatte ed emise un suono che non era molto di più di un graffio: «Lysette ...» Severin corrugò la fronte. «Non dovete preoccuparvi per vostra moglie, Vallerand. Immagino che sia felice di liberarsi di un bastardo omicida come voi.» Fece cenno a Tomas di lasciar andare le redini del cavallo. «Ora ... finché è sveglio.» Improvvisamente un grido di donna si levò nel cielo. «Nooooo!» Nei campi avanzava una carrozza con lo stemma dei Sagesse e le ruote impastate di fango, mentre una donna correva verso di loro incespicando. Tomas stava per liberare le briglie, quando Severin, notando che dal finestrino della carrozza Renée si stava sbracciando, lo fermò con un comando secco. Lysette cadde, ma si rialzò velocemente. Lo spettacolo di Max con il cappio al collo era sufficiente a infonderle l'energia della disperazione. Suo matita era stato colpito duramente e aveva gli occhi tumefatti. Distogliendo lo sguardo da quella visione dolorosa, si rivolse a Duboìs con voce tremante. «Avete commesso un errore» gli disse, tendendogli la lettera. «Leggetela, per favore ... non fate niente senza averla letta.» Tomas trattenne le redini con aria incerta, ma il cavallo rinculò e si impennò, pronto a scattare al galoppo. Allora Justin dichiarò, calmo: «Taglierò la corda, maman. Non temete.» E iniziò ad arrampicarsi sull'albero con un coltello tra i denti. «Fermo!» gli intimò Severin, estraendo una pistola dalla tasca dei pantaloni, ma Lysette gli posò delicatamente una mano sul braccio. «Mettete via l'arma, monsieur Dubois. Sapete che mio marito non è colpevole.» «Questa lettera non prova niente.» «Dovete crederci» insistette lei, fissando il corpo inerte di suo marito. «È scritta dalla mano di quel cognato che volete vendicare.» Lysette non aveva mai immaginato di poter provare un dolore così intenso nella sua vita. Tutto ciò che le era più caro al mondo, la sua unica possibilità di felicità, era in estremo pericolo davanti ai suoi occhi. «Una mano che non era troppo salda, a giudicare dalla calligrafia» fu l'aspra risposta di Dubois. «Etienne doveva essere sbronzo mentre la scriveva. Perché dovrei prestare fede alle sue parole?» Renée gli si parò di fronte. «Smettila di tormentare quella donna, Severin! Per una volta mostrati abbastanza uomo da ammettere un errore.» In quell'istante una folata di vento fece svolazzare il mantello di Lysette. Il movimento fu minimo, ma sufficiente a scatenare il cavallo innervosito. Lei gettò un grido roco vedendo il corpo di suo marito cadere dalla sella con una lentezza da incubo. Ma la corda non era più fissata al ramo. Justin era appena riuscito a tagliarla. Il corpo di Max colpì il terreno con un tonfo sordo. Poi calò il silenzio. Lysette gli si inginocchiò accanto, pervasa da un terrore assoluto. 16 Dopo avere lanciato un' occhiata al corpo accasciato a terra, Severin si rivolse nuovamente a sua moglie. «Cosa cambia, anche se questa lettera dice il vero, Renée?» le domandò con una smorfia. «Che Bernard sia stato l'assassino di Corinne non toglie niente al fatto che Maximilien abbia trucidato vostro fratello perché non era in grado di lasciar stare la sua bella mogliettina. «Perché mai Vallerand dovrebbe avere assassinato Etienne, quando avrebbe potuto ucciderlo onorabilmente in duello e non l'ha fatto? «obiettò lei. «In seconda istanza avrebbe potuto domandare soddisfazione al ballo dei Leseur; ma non l'ha fatto. Severin, sii ragionevole per una volta!» Nel frattempo Lysette aveva tolto il cappio dal collo del marito e si era posata il suo capo in grembo. Max aveva la camicia a brandelli e i pantaloni fradici e incrostati di fango. Gli mise due dita sul collo e con un sospiro di sollievo trovò il battito, per quanto debole e irregolare. «Ora sei al sicuro, bien-aime» gli sussurrò, usando un lembo della gonna per ripulirgli il volto dal sangue. Lungo le guance le scorrevano fastidiosi rivoli di lacrime salate, che continuava istericamente a spazzare via con la manica. «Ci sono qui io.» Con dita tremanti Max la afferrò per la gonna e si seppellì nel suo collo caldo. «Lysette ...» Cercò di rotolare su un fianco, ma subito trasalì per il dolore. «No, no, stai fermo» lo ammonì lei, stringendosi la sua testa al petto. «Ti amo» sussurrò lui. «Sì, lo so, mon cher. Ti amo anch'io.» Lei lanciò un'occhiata a Justin, che stava in piedi a pochi metri di distanza, con una smorfia dura e decisa dipinta sul volto. «Justin, riferite a monsieur Dubois che ora portiamo vostro padre a casa.» Il ragazzo annuì e si avvicinò a Severin, il quale stava ancora litigando con sua moglie. «Che motivi avete di difendere quell'uomo?» stava gridando con le guance paonazze. Renée non si lasciò impressionare da quell'atteggiamento aggressivo. «Io non lo sto difendendo» rispose con tono decisamente più pacato. «Desidero solo che venga punito il vero assassino di mio fratello. Andate a cercare Bernard. Quella e giustizia ... soprattutto se sarete capace di fargli confessare la verità.» «Forse lo farò» rispose roco Severino Quindi alzò la voce per farsi sentire da tutti. «Dove si trova Bernard?» Nessuno rispose. Lysette si mise a riflettere in fretta, chiedendosi cosa fosse meglio per la salvezza di Max. Se avesse dovuto seguire soltanto le proprie inclinazioni, sarebbe stata più che lieta di incoraggiare quegli uomini ad andare a cercare Bernard e a fargli tutto ciò che desideravano per vendicarsi. Ma si trattava comunque del fratello di Max. «Bernard è a casa» rispose allora fredda. «Ha accompagnato sua madre in chiesa questa mattina.» Justin e Philippe la guardarono circospetti, consapevoli che stava mentendo. «Monsieur Dubois» continuò lei «terrei la lettera se non vi dispiace. È l'unica prova che possa impedire al capitano Gervais di arrestare mio marito.» «Prima devo sapere cosa intendete dire a Gervais sui fatti di oggi.» In altre parole lei poteva avere la lettera solo se dava la propria parola di non riferire alla polizia la brutalità con cui i Sagesse avevano infierito su suo marito. Lysette deglutì a fatica la furia che le stava risalendo in gola, cercando di pensare che le autorità non avrebbero potuto fare niente in ogni caso. Ma il suo odio per Duboìs e l'intera famiglia dei Sagesse sarebbe durato per il resto della sua vita. Non ebbe bisogno di guardare Justin per sapere che anche lui stava provando le stesse emozioni. «Terremo il silenzio in cambio della lettera» accettò. «Ora devo subito portare a casa mio marito, se non vogliamo che questo inizio di esecuzione abbia successo.» «Naturalmente» rispose Severin con un tono brusco che nascondeva il suo disagio. Non era un cuore tenero, né era capace di vero pentimento, ma qualcosa nello sguardo della signora Vallerand gli stava scatenando nell'animo un profondo senso di vergogna. «Nonostante la giovane età ha una lingua troppo lunga» borbottò a Renée, allontanandosi dalla quercia. «Ora capisco perché la chiamano la mariée du diable.» «È una ragazza forte» ribatté Renée con un'ombra di malinconia sul volto. «Se avesse accettato Etienne come marito, forse sarebbe riuscita a cambiarlo.» Quando furono soli, Philippe si inginocchiò accanto alla matrigna. «Non capisco» le disse. «Perché avete detto che Bernard era a casa, quando sapete benissimo che si trova a La Sirene?» «Per concederci un po' di tempo» rispose Lysette usando il mantello per proteggere Max dalla pioggia. «Tempo per cosa?» domandò Philippe. «Per avvertire Bernard prima che lo trovino.» «No» «esclamò il ragazzo sconvolto. «Perché dovremmo avvertire Bernard? Perché non dovremmo permettere ai Sagesse di fare finalmente giustizia?» «Perché vostro padre non lo desidererebbe. Ora aiutatemi, per favore, a portarlo in carrozza. Nonostante i due ragazzi fossero magri e slanciati, erano entrambi forti e riuscirono a caricare il padre privo di sensi nel veicolo. Max non emetteva alcun suono e tutti si chiedevano con ansia crescente quanto potesse essere grave. Nel momento in cui avrebbe dovuto salire Justin, il ragazzo sussurrò alle orecchie di Lysette: «Vado da Bernard. Cosa devo dirgli?» «Ditegli ...» Lei fece una pausa. «Ditegli che i Sagesse lo cercano. Per stanotte credo che possa essere al sicuro nel nuovo magazzino che Max ha fatto costruire sulla riva del fiume.» Corrugò la fronte. «Ma come arriverete in città?» Justin indicò con il capo lo stallone nero che si era fermato a pochi metri di distanza e ora stava brucando pigramente sotto un albero. «No, è troppo pericoloso!» protestò Lysette, sapendo quanto quella bestia fosse nervosa e ingestibile. «Posso farcela» insistette Justin senza intonazione, Lysette sperò che il ragazzo sapesse quello che stava facendo. Ma c'era almeno un dettaglio da chiarire. «Mi fido di voi, Justin, e del fatto che riusciate a controllare la vostra emotività. Dopo avere riferito il messaggio a Bernard andatevene subito. Nessuna accusa, nessuna discussione. Non alzerete la mano su vostro zio, vero? Se pensate che sia difficile, evitate di andare.» Gli occhi del ragazzo non vacillarono. «Non sarà difficile.» Le prese la mano e se la portò alla guancia. «Abbiate cura di lui, maman» le disse roco e si avviò verso il cavallo di suo padre. La Sirene era gremita di gente, musica e grida di giocatori d'azzardo, proprio come tutte le taverne sul fiume. In un'altra occasione Justin avrebbe goduto dell'opportunità di visitare quel luogo di perdizione. Ma non era il momento del divertimento. Entrato nel locale, si fece strada tra la folla eccitata e si diresse alle sale da gioco sul retro. Localizzò facilmente suo zio: Bernard era seduto a un tavolo con un gruppo di amici e stava mescolando oziosamente un mazzo di carte. «Zio Bernard» lo interruppe senza preamboli «ho un messaggio importante.» Lui alzò gli occhi sorpreso. «Justin? Bon Dieu ... in che stato! Vi siete di nuovo buttato in una rissa?» I suoi occhi espressero una palese manifestazione di disgusto. «Non disturbatemi qui, ragazzo.» «Il messaggio viene da Lysette» continuò Justin con un gelido sorriso, vedendo che gli altri gentiluomini avevano incominciato a prestare attenzione alla conversazione. «Volete sentirlo in privato oppure lo dico qui davanti a tutti?» «Insolente canaglia!» Bernard gettò il mazzo di carte sul tavolo e si alzò, trascinando Justin in un angolo. «Sputate e andatevene immediatamente.» Justin fissò lo zio con imperturbabili occhi azzurri. «A causa vostra hanno quasi ucciso mio padre stasera.» Bernard impallidì. «Che sciocchezze andate dicendo?» «Il messaggio di Lysette è che i Sagesse sanno che siete stato voi a uccidere Etienne e sono usciti a cercarvi. Se volete, per stanotte potete nascondervi nel nuovo magazzino sul fiume.» Bernard non reagì immediatamente, a eccezione di una contrazione all'angolo della bocca. «È una menzogna» sussurrò. «Un bluff per farmi ammettere qualcosa che ...» «Può darsi» rispose Justin. «Allora perché non restare qui a vedere cosa succede? A mio parere dovreste.» Bernard fissò il ragazzo con rabbia incredula. Alzò la mano come per colpirlo, ma Justin non si mosse. «Non ci provate neppure» gli disse piano. «Non sono né un ubriaco come Sagesse, né una donna inerme come Corinne ... non assomiglio affatto al vostro tipo di vittima preferito.» «Non rimpiango niente» dichiarò l'uomo, roco. «Il mondo è un posto migliore ora che si è liberato di Sagesse ... e di quella puttana di vostra madre.» Justin fremette, ma non si mosse e rimase muto a guardare suo zio che usciva dalla taverna. Dopo che il dottore ebbe lasciato la stanza di Max, Noeline si sfogò ad aggiungere altre fasciature e altri decotti di sua creazione, poi appese un assortimento di amuleti sulla soglia della porta. Lysette non osò toglierli, dato che la governante le aveva garantito che erano i più potenti che conosceva. Con suo grande sollievo, comunque, Max riprese coscienza in fretta. «Cosa è successo?» le domandò, quando riuscì ad aprire le palpebre tumefatte. Poi lanciò un grido portandosi le mani alle costole rotte. Lysette accorse al capezzale con un bicchiere d'acqua. Dolcemente gli alzò il capo e lo aiutò a bere. Gli spiegò tutto quello che era accaduto dopo la sua quasi impiccagione e gli mostrò la lettera che gli aveva salvato la vita. «Renée Dubois me l'ha portata appena in tempo. Etienne l'aveva costretta a giurare che te l'avrebbe consegnata alla sua morte. «Leggimela» la esortò lui, posando il bicchiere. Lysette lesse la lettera senza inflessione, cercando di conservare salda la voce. Quando terminò, non controllò subito l'espressione di suo marito, ma percepì ugualmente l'ondata di furia che emanava da lui. «No, non Bernard» gemette, strappandole il foglio dalle mani. «Etienne era un povero ubriacone. Non sapeva quello che diceva.» «Max, so che non vuoi crederci, ma ...» «Ma tu ci credi» sbottò lui. «Rende tutto più semplice, non è vero? Scaricare la colpa su Bernard ... uno che non ti ha mai gradito fin dal primo momento ... ed ecco che magicamente tutta la sofferenza di dieci anni sparisce. Non importa che Sagesse non abbia più onore di un topo di fogna. È ovvio che ti basta la spiegazione di un folle. Invece le cose non sono andate così.» «E tu perché ne sei così certo? Solo perché Bernard è tuo fratello?» «Maledizione» imprecò lui a fatica. «Dov'è ora?» Comprendendo la sua rabbia e il suo dolore, Lysette rispose senza esitazione: «È possibile che sia andato a nascondersi nel nuovo magazzino. Sa che i Sagesse lo stanno cercando. Potrebbe anche già essere lontano da New Orleans.» Max scalciò le lenzuola e cercò di alzarsi dal letto.» «Cosa stai facendo? gridò lei sconvolta. «Non puoi andare da nessuna parte in questo stato! Au nom du ciel, sei stato sul punto di morire poche ore fa.» Lui gemette per il dolore tenendosi il petto. «Aiutami a vestirmi.» «Assolutamente no.» «Devo vederlo.» «Perché? Sai bene che negherà tutto.» «Quando gli parlerò, capirò se è vero o no.» «Non permetterò che tu ti uccida, Max!» Mossa da una determinazione di ferro, Lysette lo spinse con tutta la forza che trovò. Mugolando Max si accasciò sul materasso, travolto dalle fitte delle ferite, e per un istante perse i sensi. Sentendo il rumore, Noeline entrò di corsa nella stanza. «Avete bisogno, madame?» Lysette ringraziò il cielo per la presenza confortante della domestica. «Devi sedarlo, Noeline, prima che sia in grado di alzarsi di nuovo. Devi dargli una dose capace di stendere un elefante, hai capito? È l'unico modo per farlo restare a letto.» «Ouì, madame. «Ora esco un attimo» la informò, andando a prendere il mantello infangato. «Sì, so che è tardi, ma porterò Justin con me. Quando la porta del magazzino si spalanco la silhouette delle casse e delle balle di cotone venne debolmente illuminata dai raggi della luna. «Bernard, siete qui?» Il silenzio fu interrotto da un fruscio in un angolo. «Lysette?» La voce di Bernard vibrò sorpresa. Un fiammifero si accese nel buio. Poi una lampada a olio. «State attento» lo ammonì Lysette, forte della presenza di Justin. «Dopo tutto quello che ho passato oggi, non vorrei trovarmi a gestire anche un incendio.» «Dopo quello che avete passato voi!» esclamò Bernard, scosso. «Dio mio, sono nascosto qui da ore, in compagnia soltanto della mia paura di venire ammazzato.» «E dovreste esserlo» ribatté lei. L'uomo lanciò ai due un'occhiata sdegnosa. «Cosa fate qui? Come sta Max?» «È stato ferito gravemente» rispose lei «ma il dottore ha detto che ce la farà.» «Non grazie a voi» sibilò Justin, mentre Lysette gli tirava una gomitata per farlo tacere. Lysette sostenne lo sguardo pieno di odio di suo cognato senza timore. «La vostra vita è in pericolo, Bernard. I Sagesse vogliono giustiziarvi e, se non vi trovano loro, sarete arrestato dal capitano Gervais. Etienne Sagesse ha lasciato una lettera in cui spiega tutta la vostra tresca con Corinne e il conseguente omicidio. Penso che immaginerete perfettamente tutti i dettagli.» «Sporca puttana!» iniziò Bernard, slanciandosi contro di lei. Ma Justin si frappose tra i due immediatamente, tirando fuori la sua colichemardecon un'espressione palesemente assetata di sangue. Vedendo il riflesso della luna sulla lama appuntita, Bernard fece un passo indietro, «Cosa volete da me?» «La verità» rispose lei. «Max non riuscirà mai a superare il trauma, finché non confermate voi stesso il contenuto di quella lettera. Rispondete alle mie domande e io vi aiuterò a salvare la vita.» Lui annuì, tremando di furia trattenuta. «Perché avete iniziato una relazione con Corinne?» Bernard la fissò negli occhi. Pareva che cercasse con cura di evitare di guardare in faccia suo nipote. «È accaduto. Non ho potuto controllare gli eventi. E non ho fatto niente di grave, dato che Corinne aveva già tradito mio fratello con quella canaglia di Sagesse. Poi però mi sono reso conto che Corinne era pazza: voleva scappate con me, abbandonare tutto ... le ho detto che non potevo, ma lei insisteva. Un giorno mi ha fatto saltare i nervi e, prima che me ne rendessi conto, le mie mani stringevano già il suo collo sottile. Max è stato molto meglio senza di lei... rendeva la sua vita un inferno!» «Per favore» lo interruppe Lysette acida «non cercate di farvi passare come un benefattore di vostro fratello. È stato accusato di un omicidio che non ha commesso e ne ha sofferto per anni. Gli avete lasciato portare la colpa dei vostri misfatti!» Rivoli di sudore avevano incominciato a scorrere giù per le guance di Bernard. «Dovete aiutarmi. Non importa quello che ho fatto. Sapete bene che Max non tollererebbe mai che venissi ucciso!» «C'è una nave che salpa per Liverpool all'alba ribatté lei.» «Il Nighthawk. Ho parlato al capitano Tierney meno di un'ora fa. Vi permetterà di salire a bordo senza fare domande.» Dopo avere tolto una sacca dalla tasca del mantello, gliela lanciò. Bernard la prese d'istinto. «Lì c'è abbastanza denaro per aiutarvi a iniziare una nuova vita da qualche parte. Non tornate mai più, Bernard.» Poi si rivolse al ragazzo che brandiva ancora la colichemarde con la mano tremante e gli occhi pieni di lacrime. «Venite, Justin. Portatemi a casa.» Insieme uscirono dal magazzino e nessuno dei due si voltò a lanciare un ultimo sguardo. Nonostante le proteste dei sostenitori di Aaron Burr; Max non venne arrestato. La lettera di Etienne, combinata con le manovre del governatore Claiborne e l'inatteso silenzio della "Orleans Gazette", convinse le autorità e i gens d'armes che il responsabile di tutto fosse proprio il latitante Bernard Vallerand. Forse le influenti personalità, in accordo con Burr; avrebbero potuto esercitare una pressione maggiore, ma d'altronde erano occupate con faccende più urgenti. Entro l'estate del 1806 Burr aveva raccolto un esercito ben equipaggiato su un'isoletta nel fiume Ohio con l'intenzione di iniziare la conquista del Messico e dell'Ovest. Sfortunatamente per lui, però, le voci che l'avevano perseguitato sin dal suo viaggio a New Orleans causarono la sua rovina. La sua causa ormai assomigliava troppo da vicino a una nave che stava affondando. Non impiegò molto tempo, quindi, il generale Wilkinson a cambiare fronte e i suoi avvertimenti si aggiunsero agli altri già ricevuti dal presidente Jefferson. Così, proprio mentre un giornale autorevole pubblicava il contenuto di una delle lettere cifrate indirizzate da Burr a Wilkinson, il presidente si decise a fare arrestare il traditore. Quando Irénée venne a sapere cosa aveva fatto Bernard sprofondò nel lutto come se fosse morto. Era difficile per una madre accettare che il proprio figlio avesse commesso crimini così atroci e lo shock della notizia la invecchiò improvvisamente. Comunque, possedendo un nucleo di forza interiore capace di sostenerla, comunicò a tutti i membri della casa che il nome di Bernard non doveva essere pronunciato mai più. Max si riprese dalle ferite con notevole velocità, tornando presto al suo originario vigore. Nonostante la verità fosse intollerabile, era anche un sollievo conoscere finalmente cosa fosse accaduto a Corinne. Grazie alla reputazione ristabilita, era di nuovo in pace con se stesso e con il mondo. E Lysette non gli lasciava tempo di rimuginare a lungo sul suo buio passato, avvolgendolo con il suo amore in modo che nel cuore di Max restasse spazio solo per la felicità. In primavera, Alexandre sposò Henriette Clement e il matrimonio si dimostrò un'occasione di letizia per tutte le persone coinvolte. Per qualche settimana si temette che lo scandalo successivo alla morte di Etienne Sagesse potesse spingere Diron a negare a sua figlia il permesso di sposare un Vallerand. Ma alla fine il vecchio giunse a vedere il buono di quell'unione ed elargì la sua autorizzazione. Lysette fu entusiasta quando ricevette una lettera di sua sorella Jacqueline che le chiedeva perdono per il lungo silenzio che le aveva separate. E questo gesto la portò a sperare che prima o poi Jeanne e Gaspard si sarebbero ammorbiditi e avrebbero accettato il suo matrimonio con Max. Su sua insistenza, Jacqueline e il marito vennero a trovarla alla piantagione e si fermarono quasi un mese. E Max, sebbene non apprezzasse troppe intrusioni nella sua intimità, sopportò di buon grado la visita per amore di sua moglie. Poco dopo le nozze di Alexandre, Philippe fece un viaggio in Francia per continuare i suoi studi e visitare tutti i posti di cui aveva letto e che aveva sognato per così tanto tempo. Sebbene la famiglia avesse insistito che Justin lo accompagnasse, il ragazzo preferì non andare, dichiarando che non aveva alcun interesse per musei polverosi e vecchie rovine. Justin d'altronde era molto cambiato dopo gli eventi dell'autunno ed era diventato un giovane più maturo e ragionevole. Trascorreva molto tempo in compagnia di suo padre, con il quale riuscì a migliorare la relazione, diventandogli più caro di quanto avrebbe mai sperato. Non passò molto tempo prima che Lysette scoprisse di essere incinta. Fu molto divertita dalla reazione entusiastica di suo marito alla notizia. «Vraiment non è niente di straordinario» lo prese in giro dolcemente. «Come diceva sempre tua madre, l'unica cosa strana è che sia capitato cosi tardi!» «Se mi darai una bambina» ribatté lui abbracciandola «metterò il mondo ai tuoi piedi.» «Perché» rise lei «non ti piacerebbe un altro maschio?» Lui scosse il capo con una smorfia. «No, petite, abbiamo bisogno di più donne in famiglia.» In occasione della nascita dei gemelli, Max era stato totalmente escluso dalla faccenda, com'era tipico delle usanze creole. Nel caso della gravidanza di Lysette, invece, sviluppò un interesse davvero invasivo. Se qualcuno aveva mai dubitato che Maximilien Vallerand amasse la sua giovane moglie, dovette necessariamente ricredersi. Ogni volta che lei aveva una traccia di nausea o qualche piccolo disturbo, lui chiamava subito il medico di famiglia e protestava se non arrivava all'istante. Irénée confidò alle amiche che suo figlio insisteva per rimanere nella stanza durante le visite ginecologiche della moglie. L'informazione sollevò un coro di gridolini, contemporaneamente deliziati e scandalizzati, per tutto un pomeriggio. Contro i suoi desideri, Lysette fu costretta dalle convenzioni a chiudersi in casa non appena la pancia cominciò a essere visibile. Secondo le abitudini creole, infatti, una donna incinta doveva sottrarsi a ogni occasione pubblica e partecipare soltanto alle riunioni di famiglia. Fortunatamente, però, Max la aiutò a superare la noia di quel periodo, diminuendo le sue attività in città e i suoi impegni di lavoro negli ultimi tre mesi di gravidanza. Le portò libri, giochi, tessuti da ricamare e un sabato sera noleggiò persino una compagnia di attori da Saint-Pierre per fare rappresentare una commedia nel loro salone. La memorabile notte del parto, Lysette si sentiva particolarmente felice e non finiva di stupirsi che suo marito l'amasse tanto. Sorridendo, mentre lui la portava su per le scale in braccio, gli sussurrò: «Come sono fortunata a essere tua moglie!» Max fece una smorfia sardonica. «Soltanto pochi mesi fa nessuno avrebbe sottoscritto questa tua dichiarazione.» «Be', ora tutti si rendono conto di quanto si fossero sbagliati e capiscono che uomo meraviglioso tu sia, bien-aime. «Non me ne importa un accidente di cosa pensi la gente» rispose lui, mentre i suoi occhi scintillavano soddisfatti. «Purché tu sia felice.» «Oh, potrei essere ancora più felice, a esser sincera.» «Davvero?» Max inarcò le sopracciglia. «Dimmi cosa desideri, mon amour, e sarai soddisfatta.» Lysette giocherellò distrattamente con il foulard che suo marito aveva al collo. «Te lo dirò quando saremo aletto.» Max scoppiò a ridere calorosamente. «Per una donna enceinte, sei straordinariamente appassionata, petite. «Ed è un problema?» Gli occhi di Max furono attraversati da una scintilla maliziosa. «Un problema di cui mi occuperò di buon grado» le promise. Lysette ridacchiò e scaldò via le scarpine, lasciando che cadessero per le scale, mentre lui la portava in camera da letto.