...

Perché le nuove generazioni sono rimaste senza futuro

by user

on
Category: Documents
133

views

Report

Comments

Transcript

Perché le nuove generazioni sono rimaste senza futuro
DIARIO
GIOVEDÌ 6 GENNAIO 2011
DI REPUBBLICA
■ 36
Il presidente Napolitano li ha messi al centro del suo
discorso di fine anno. Evidenziando le contraddizioni
di un’epoca che sembra togliere speranze e possibilità
GIOVANI
Perché le nuove generazioni
sono rimaste senza futuro
BENEDETTA TOBAGI
LIBRI
PIER LUIGI
CELLI
La
generazione
tradita
Mondadori
2010
CONCETTO
VECCHIO
Giovani
e belli
Chiarelettere
2009
JON SAVAGE
L’invenzione
dei giovani
Feltrinelli
2009
MASSIMO
LIVI BACCI
Avanti
giovani,
alla riscossa
il Mulino
2008
PATRIZIA
DOGLIANI
Storia
dei giovani
Bruno
Mondadori
2003
WERNER
JAEGER
Paideia. La
formazione
dell’uomo
greco
Bompiani
2003
CHIARA
SARACENO
(a cura di)
Età e corso
della vita
il Mulino
2001
VITTORINO
ANDREOLI
Giovani.
Sfida, rivolta,
speranze,
futuro
Bur 1999
GEORGE
L. MOSSE
L’immagine
dell’uomo
Einaudi
1997
l presidente della Repubblica, 85 anni, ha
pronunciato ben 19 volte la parola “giovane” e
derivati nel suo messaggio alla nazione di fine anno: i
dati sul malessere giovanile
devono diventare un “assillo
comune”, altrimenti “la partita del futuro è persa, non solo
per loro, ma per tutti”. I disordini dicembrini, certo, la dimensione internazionale della protesta universitaria e del
dramma del precariato, ma le
parole di Napolitano attingono a una radice più profonda.
L’immagine dei giovani è
sovraccarica di significati simbolici, catalizza le angosce di
una società e le sue aspettative
per il futuro. Incarna le possibilità di grandezza e di riscatto
di un paese: per questo i regimi
totalitari erano ossessionati
dalla fabbricazione e dall’educazione della nuova gioventù.
I giovani sono un ricettacolo di
proiezioni ambivalenti, utopie incarnate e specchio del
male sociale: a volte si ribellano, più spesso le interiorizzano. Come se non fosse già abbastanza difficile esserlo, giovani, tra pulsioni violente e
contraddittorie, slanci di sogno e angosce distruttive. Oggi
come ieri: già nel primo Ottocento l’idealismo dei patrioti
coesisteva con la moda romantica dei suicidi alla
Werther. Una tempesta continua di paura e fiducia, nell’animo di chi è giovane e negli occhi di chi guarda. Dal secondo
dopoguerra, quando i giovani
si affermano definitivamente
come categoria sociologica e
soprattutto merceologica,
l’ambivalenza si accentua: angeli di cambiamento o demoni
che minacciano la morale, la
stabilità sociale e l’ordine pubblico? Gli anni Cinquanta partorirono il “ribelle senza causa” Dean, il “selvaggio” Brando, l’allarme per la delinquenza giovanile. Ma the times they
are a-changin’, e dopo il primo
spavento l’ondata internazionale del ’68 fu presto circonfusa da un alone di ottimismo e
positività. Un’eccezione, favorita dalle circostanze materiali: la società dei baby boomer
era prospera, fiduciosa e anelava a profondi mutamenti dei
costumi. I giovani diedero la
spallata decisiva. Nel 1977, dopo gli shock petroliferi, l’afflato dylaniano è già rimpiazzato
dalla rabbia punk: “siamo fiori
nei cestini della spazzatura,
nessun futuro per la gioventù”, decreta il secondo sin-
Il dopoguerra
I
Gli anni Cinquanta
partorirono la
generazione dei
ribelli alla James Dean
poi venne l’ondata
del Sessantotto
La crisi
Oggi scendono in piazza
per gridare che non
vogliono pagare la crisi
E sono il simbolo non
di una rivoluzione ma
della nostra angoscia
golo dei Sex Pistols, mentre in
Italia molti manifestanti impugnano la P38. Dopo la sbornia consumista dei decenni
successivi, da allarme lanciato
dai marginali, lo slogan “no future” e la variante ansiogena
“quale futuro?” esprimono
l’angoscia profonda dei giovani dell’Occidente industrializzato. Ecco la nuova questione
giovanile del Primo Mondo,
divenuto consapevole che l’eterno progresso era solo un’illusione: il crollo delle aspettative, i giovani che hanno – a ragione! – angosce da adulti, lavoro, mutuo, o da vecchi, co-
SILLABARIO
GIOVANI
me la pensione. Spesso, nemmeno lo urlano in piazza: il che
rende tutto più drammatico. I
più inconsapevoli si dibattono
cercando di riempire un vuoto
di senso, prima ancora che di
prospettive. La questione giovanile sono anche le dipendenze, i salti dal balcone e i sassi dal cavalcavia, le violenze inspiegabili, i fantasmi nottambuli che muoiono ai rave. La
mortifera assenza di desiderio
del rapporto Censis di De Rita
e il nichilismo analizzato da
Galimberti. A confronto di
questi spettri, le intemperanze
di piazza dovrebbero far tirare
WALTER BENJAMIN
a nuova gioventù vive una vita difficilmente
comprensibile, piena di dedizione e di diffidenza, di venerazione e di scetticismo, di abnegazione e di egoismo. Questa vita è la sua virtù. Non può
respingere nessuna cosa, nessuna persona, poiché in
ciascuna (nell’edicola pubblicitaria e nel delinquente)
può nascere il simbolo o il santo. E tuttavia – a nessuno
può donarsi interamente, non può mai ritrovare completamente la sua interiorità nell’eroe che venera, o
nella fanciulla che ama. (..) Ma i contemporanei si renderanno lentamente conto del fatto che una gioventù
come questa non può essere oggetto di dibattiti culturali, di misure disciplinari e di campagne-stampa denigratorie. Contro i suoi nemici combatte nascosta da
una cappa magica. Chi la combatte non può conoscerla. Ma gli avversari di questa gioventù saranno infine
impotenti – ed essa li nobiliterà ancora, con la storia.
L
© RIPRODUZIONE RISERVATA
un sospiro di sollievo: c’è ancora vita che freme in tanti isolotti emersi nel mare tumultuoso sotto il parallelo dei
trent’anni.
Ansia, rabbia, indifferenza:
questo rimandano alla società
le metafore viventi del futuro.
La fuga di giovani all’estero
evoca l’immagine dei topi che
abbandonano la nave. Pensieri spaventosi: non sorprende
che li evitino le nuove generazioni di adulti, che aspirano a
sentirsi giovani (liberi, leggeri,
deresponsabilizzati, onnipotenti) in eterno. Il nuovo paradosso è la disperazione giovanile che convive col trionfo del
mito della giovinezza come
bene supremo. La popolazione matura ha il terrore di invecchiare e vampirizza l’allure
della gioventù, abbandonando i ragazzi alle loro ombre.
Già, è fantastico avere l’energia, le aspettative, il corpo tonico, la leggerezza dei vent’anni con i soldi e le sicurezze materiali di un quasi cinquantenne. “I quaranta sono i nuovi
venti!”, recitava la pubblicità
di una nuova serie tv. Mai come oggi “sentirsi giovane” dipende poco dal dato anagrafico. È un lusso per chi può permetterselo. Chiaramente,
quasi mai i giovani veri, che
non a caso scappano sulla Rete e inventano strumenti per
condividere gratis musica,
film, conoscenze, spazi sociali. Dall’Italia all’Inghilterra, sono scesi in piazza a gridare che
non vogliono pagare la crisi di
padri preoccupati soprattutto
di mantenere il proprio benessere. Da più parti li si accusa di
remare contro le riforme, di essere “conservatori”, rispetto ai
coetanei che nel ’68 volevano
cambiare il mondo. Ma è cambiato il mondo, più che i giovani. Basti pensare alla famiglia:
per la maggioranza oggi non è
la trappola soffocante dei Pugni in tasca, ma il supporto
materiale essenziale e un miraggio irraggiungibile. Ottima
la risposta di un 21enne inglese all’editoriale del Guardian
che paventava la “politica dei
dinosauri”: la battaglia per difendere i principi del welfare e
dell’educazione pubblica oggi
è “trasformativa”. Anzi, potenzialmente innovativa: perché
un giovane che protesta oggi
ha già i piedi fuori dalla coperta dello stato sociale, che non
ha ancora saputo ripensarsi
per accogliere gli ultimi arrivati e aiutarli a giocare la loro partita.
Gli autori
IL SILLABARIO di Walter Benjamin è tratto
da Metafisica della gioventù (Einaudi). Marino Niola insegna Antropologia all’Università
Suor Orsola Benincasa di Napoli. Il nuovo romanzo di Aldo Nove è La vita oscena (Einaudi Stile libero). Benedetta Tobagi ha scritto
Come mi batte forte il tuo cuore (Einaudi).
I Diari online
TUTTI i numeri del “Diario” di Repubblica, comprensivi delle fotografie e dei
testi completi, sono consultabili su Internet in formato Pdf all’indirizzo web
www.repubblica.it. I lettori potranno
accedervi direttamente dalla homepage del sito, cliccando sul menu “Supplementi”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Repubblica Nazionale
Paul Nizan
Elias Canetti
Michel Houellebecq
Avevo vent’anni. Non
permetterò a nessuno di dire
che è la più bella età della vita
Il giovane non ha un traguardo
preciso che vuole raggiungere a
tutti i costi, vuole andare oltre
Non riuscivo a sopportare l’idea
che mio figlio crescesse, che
diventasse giovane al posto mio
Aden Arabia, 1960
La lingua salvata, 1977
Le particelle elementari, 1998
■ 37
GLI ANTICHI ROMANI
I CAVALIERI
IL RISORGIMENTO
LA CONTESTAZIONE
OGGI
Il passaggio all’età
adulta viene festeggiato
con l’assunzione della
toga virile, che avviene
intorno ai 16 anni
La giovinezza è il valore
centrale della cavalleria
e anche gli eroi delle
chansons de geste
sono sempre giovani
Tra chi aderisce alle
idee rivoluzionarie ci
sono i giovani adepti
della Carboneria e
i seguaci di Mazzini
Negli Usa degli anni
‘50 nasce la figura del
teenager. I giovani
saranno protagonisti
delle rivolte del ‘68
Nel discorso di fine
anno il presidente
Napolitano si è rivolto
ai giovani “che cercano
un’occupazione”
Le tappe
Oggi la categoria si è allungata fino ai 50enni
Ogni cultura ha interpretato diversamente quell’età
RAGAZZI
PER SEMPRE
L’INVENZIONE
SOCIALE
ALDO NOVE
MARINO NIOLA
a chirurgia estetica nasconde quelle realtà che
il tempo manifesta sulla nostra carne e che noi
rifiutiamo. Ma esiste anche una chirurgia delle parole che nasconde i segni che nel linguaggio manifestano lo scorrere degli anni che passano.
Prendiamo la parola “giovane”. È imbarazzante notare come il termine “giovane” tenda oggi a rappresentare individui che giovani non lo sono più. Paradossalmente, negli ultimi anni si cresce per restare o diventare giovani, e se è strano prenderne atto meno lo è ormai
viverlo quotidianamente, attraverso tanti piccoli segnali che prendono forma per benevolenza dei massmedia e di un sistema che ai giovani è molto legato.
Forse perché il mercato dei giovani è molto più voluttuario di quello degli adulti, forse perché un mercato del lavoro che non lascia più a nessuno spiragli d’accesso si sente aiutato non poco a considerare come giovani attempati e attempati esponenti di generazioni
che forse giovani rimarranno per sempre, con buona
pace delle verità morali e delle fiabe che le rappresentano: Pinocchio, insomma, è meglio che resti burattino, e il povero Geppetto si abitui all’idea di mantenerlo fatto tutto di legno come il racconto di Collodi ci ha
insegnato perché un burattino di carne non sia mai.
a giovinezza è solo un’invenzione sociale. È il modo in cui ogni cultura riempie lo spazio tra l’infanzia e la maturità e ne definisce gli step essenziali, i
confini che separano un’età dall’altra. Come dire
che la parola giovane non significa niente di fisso e immutabile. Ci sono società dove la verde età dura lo spazio di un
mattino e società, come la nostra, dove l’evergreen non è
un’età ma una condizione permanente, uno stile di vita,
addirittura una mentalità. Che, invece di separare le generazioni, le tiene insieme allo stato fusionale, o meglio confusionale. Mentre fino alla metà del Novecento l’adolescenza era una fase transitoria della vita, il tempo dell’attesa e dell’apprendistato. Come dice la parola stessa che
deriva da adolescere – la medesima radice di adulto – e
quindi indica una crescita in atto, un processo di “adultescenza”. Ai giovani dunque si chiedeva di diventare grandi, posati, con la testa sulle spalle. Futura classe dirigente
insomma. Ecco perché se una volta i ventenni sembravano quarantenni oggi, è il contrario, sono i padri ad avere l’aspetto e il look dei figli.
In realtà la categoria dei teenagers è figlia della civiltà dei
consumi. Che, dal dopoguerra, inventa questo nome per
una nuova fascia di mercato, costruendo così una tipologia sociale inedita che si è progressivamente affrancata
L
LE IMMAGINI
Sopra, una foto di Gianni Berengo Gardin;
sotto, giovani americani negli anni Cinquanta
L
I bamboccioni
L’antichità
Il termine “bamboccione” ha fotografato la condizione
del Paese: un neologismo sinonimo di qualcuno
che è diventato grande ma vuole restare bambino
tra esaltazione della gioventù e impossibilità di crescere
Nell’antica Sparta i bambini, già a sette anni,
venivano addestrati a reincarnare il modello adulto
Così erano sottratti alla famiglia e crescevano
con i coetanei fino a diventare soldati, cioè uomini
Giovani e burattini dunque nelle mani di un paradossale elisir semantico di eterna giovinezza ma anche
indice di consumi impazziti, giochi per quarantenni e
programmi d’evasione per cinquantenni che dai e dai
la maturità rischiano di non vederla mai: nascere giovani e morire giovani, forse solo più consapevoli (ma
consapevoli in quanto individui o in quanto clienti, all’interno di un grande circo che è anche supermercato
e notte in cui tutti i pensieri sono coloratissimi, stupendi, pronti da consumare?) di quei bambini che
guardano straniati quei neo-giovani di cinquant’anni
forse un po’ osceni da vedere ma tutto sommato ottimisti perché giovane vuol dire giovanile e giovanile è
segno di salute, energia e non importa se è tutto finto,
un po’ di finzione fa bene e se è tanta fa benissimo, se
un tempo la religione era l’oppio dei popoli oggi possiamo dire che la giovinezza è l’elisir di lunga vita di una
società che vive sulle proprie gratificanti autodefinizioni.
Abituiamoci allora a considerarci ragazzi di cinquantasette anni, a conoscere giovani di sessantacinque: un mondo molto più allegro di quello che potremmo trovare soltanto scivolando su altre parole,
come quel “bamboccioni” che di un grande uomo di
stato recentemente scomparso è stato forse ciò che superficialmente rimarrà alla memoria di un paese sempre più distratto. “Bamboccione” come neologismo sinonimo di adulto che vuole restare bambino, e il dibattito allora verte tutto sul libero arbitrio, vecchia bestia di ogni sistema filosofico ma anche e più semplicemente nodo indissolubile alla base di tutto ciò che
caratterizza l’umano, o quanto d’umano in noi rimane
nel mondo in cui viviamo.
Insomma, per farla breve (forse fin troppo breve):
ma i bamboccioni ci fanno o ci sono? Gli italiani vogliono restare bambini o “ggiovani” (con due “g”, fa più
slang e dunque ancora più giovane) in eterno o c’è
qualcosa, là fuori nel mondo d’inizio terzo millennio,
che di “nuovi” adulti non ne vuole più sentir parlare?
dall’anagrafe e dalla fisiologia per diventare l’emblema inquieto della tarda modernità. Non a caso le grandi icone
dello star system, dal maledetto Jim Morrison al sempreverde Mick Jagger, fino alle trasgressive Mary Quant a Jane
Fonda sono tutti forever young. Emblemi di quella gioventù bruciata, tutta sesso droga e rock and roll, che per la
prima volta nella storia contrapponeva apertamente la sua
cultura a quella dei padri. Non più imitativa ma alternativa. Non più riproduzione ma contestazione, spesso rivoluzione.
È il Sessantotto, a braccetto con il mercato, a fare da punto di non ritorno, a cambiare per sempre l’agenda delle generazioni, a desincronizzare il timer anagrafico che fino ad
allora scandiva inesorabilmente la vita delle persone. Ogni
età uno scatto in avanti verso la sospirata indipendenza.
Né più né meno di quel che accadeva nella maggior parte delle società antiche e tradizionali. Che addestravano gli
individui sin dalla più tenera età a reincarnare il modello
genitoriale. Alcune lo facevano prolungando l’infanzia e
l’adolescenza fino ai trent’anni. Come nell’antica Sparta,
dove i bambini a sette anni venivano sottratti alla famiglia
e crescevano con i loro brothers in arms fino ai trenta,
quando diventavano soldati, come dire uomini a tutti gli
effetti. Solo allora avevano il permesso di sposarsi e mettere su casa. E così pure le donne, addestrate alla guerra prima che al telaio. Viceversa a Roma si passava quasi senza
soluzione di continuità dall’infanzia alla maggiore età. A
sedici anni si indossava la toga virile e il tempo delle mele
era bell’e finito. I maschi entravano nel mondo del lavoro
e le bambine si ritrovavano matrone in quattro e quattr’otto. E senza rughe. Se a Sparta la società rallentava le
trasformazioni fisiologiche, a Roma la cultura era più veloce della natura. Proprio come in quei paesi extraeuropei
dove le ragazzine, varcata la soglia della pubertà, diventano donne. E non solo metaforicamente, tant’è che si sposano bambine.
Insomma più breve è la giovinezza, più profonde sono
le differenze tra le generazioni e tra i generi. Più è lunga, più
è leggera e unisex. A Sparta come a Manhattan.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA
LIBRI
T. BOERI
V.GALASSO
Contro i
giovani
Mondadori
2009
MAURIZIO
MERICO
Giovani e
società
Carocci 2004
P. SORCINELLI
A. VARNI
(a cura di)
Il secolo
dei giovani
Donzelli 2004
PHILIPPE
ARIÈS
Padri e figli
nell’Europa
medievale
e moderna
Laterza 2002
A. DAL LAGO
A. MOLINARI
(a cura di)
Giovani
senza tempo
Ombre Corte
2001
G. LEVI
J.C. SCHMITT
(a cura di)
Storia dei
giovani
Laterza 2000
ANGELO
VARNI
(a cura di)
Il mondo
giovanile in
Europa tra
Ottocento
e Novecento
il Mulino 1998
MICHAEL
MITTERAUER
I giovani in
Europa dal
Medioevo
a oggi
Laterza
1991
J. RANDALL
GILLIS
I giovani
e la storia
Mondadori
1981
Repubblica Nazionale
Fly UP