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Solo le case sparse sono rimaste, e non per molto

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Solo le case sparse sono rimaste, e non per molto
RECENSIONI
a cura di Sergio Signorini
Solo le case sparse sono
rimaste, e non per molto
Gli insediamenti agricoli isolati
rappresentano un patrimonio
edilizio per molti versi
eccezionale, costituitosi
attraverso i secoli e
nell’ambito di una complessiva
riconfigurazione del paesaggio
antropizzato, secondo un lento
procedere di specificazioni
tipologiche locali. Queste case
rurali sono oggi il più cospicuo
frammento residuale di una
civiltà e di un assetto spazzati
via dai cambiamenti strutturali
dello sfruttamento del suolo
agricolo.
Sono la nostra memoria e come
tale devono guidare la
rifondazione del territorio
rurale per un’inversione di
tendenza del degrado
generalizzato
Testo di Pietromaria Davoli
Mario Zaffagnini (a cura di)
Le case della grande pianura
Alinea, Firenze, 1997, pp. 287, L. 60.000.
I proprietari di casolari rurali dismessi, in
seguito al profondo cambiamento della
struttura produttiva delle aziende agricole
che operano sul territorio della pianura,
stanno attraversando un momento difficile.
L’assenza per anni di un sufficiente e
costante livello manutentivo, su edifici non
più remunerativi, ha portato quasi sincronicamente gli organismi abbandonati al
punto di non ritorno: i processi di degrado
sono ormai tali da provocare una completa
inefficienza prestazionale dei sistemi di
chiusura superiore, con conseguente crollo
dei coperti ed alterazione dello schema di
funzionamento statico della costruzione.
Da questo momento in poi ogni tipologia di
dissesto e di fatiscenza è pronta a dilagare
su strutture murarie e orizzontamenti interni
e la fattibilità tecnico-economica per il recupero funzionale di questi organismi tende a
richiedere investimenti sempre più improponibili per il settore privato, soprattutto se
si pensa che in molti Comuni, con poca lungimiranza, vige ancora la norma di un riuso
di tali contenitori a soli fini agricoli.
Nell’assenza di una reale convenienza nel
procedere a lavori di tamponamento dei
dissesti, i proprietari preferiscono talvolta,
per evitare condizioni di pericolosità nei
confronti di terzi, procedere alla demolizione di tutte le parti aeree dei fabbricati.
È maturata inoltre la consapevolezza che,
una volta interrotto il sistema di rapporti fra
edifici rurali e coltivazioni (profondamente
e irrevocabilmente mutato in relazione al
cambiamento dei criteri di sfruttamento del
1. Possessione S. Bonaventura a Varignana di Sotto
(dal campionario redatto da G. Mariotti nel 1748).
2. Edificio “a blocco” presso S. Secondo Parmense.
3. Stalla-fienile in un insediamento “a corte aperta”
della pianura bolognese.
suolo), l’unico segno della memoria del
paesaggio agrario è da ricercare proprio nel
patrimonio edilizio diffuso sul territorio.
È dall’amarezza insita in queste brevi
considerazioni che prende certamente
avvio anche lo studio sull’insediamento
rurale sparso dell’area emiliano-romagnola,
curato da Mario Zaffagnini, maestro che ci
ha lasciati recentemente, e concretizzatosi,
tra l’altro, nella pubblicazione “Le case
della grande pianura”, edita da Alinea.(1)
Il problema di riuscire a stabilire se fra
cultura urbana e tradizione agricola potrà
esistere una nuova fase di equilibrio, come
si chiede il curatore, si ritiene possa trovare
risposta indagando in tre direzioni diverse
e complementari:
– la prima, quella appunto trattata in dettaglio nel volume in oggetto, è quella della
conoscenza delle caratteristiche culturali,
tipologiche e tecniche delle costruzioni e
del loro intorno, in un viaggio dalla memoria agli elementi della trasformazione in
atto;
– la seconda linea di indagine deve condurre all’identificazione delle regole comportamentali da applicare nel momento in
cui la città tende ad incontrare e ad assorbire la campagna, stravolgendone la rarefazione antropica del paesaggio; regole che
investano da un lato il rispetto delle preesistenze edilizie, dall’altro la possibilità di
prevedere nuovi insediamenti a contatto
con gli edifici sparsi, seguendo logiche di
densificazione urbana, mediate tuttavia
dalla consapevolezza delle leggi aggregative della campagna, tese soprattutto alla
conservazione dei contenuti percettivi del
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territorio. La campagna urbanizzata deve
quindi essere in grado di soddisfare quei
requisiti tipologici, ambientali e tecnologici
capaci di non rinnegare i principi ordinatori
che hanno guidato per secoli lo sviluppo
edilizio rarefatto di tale territorio, pur accettando come fenomeno positivo che il processo di urbanizzazione sottintenda un
aumento delle relazioni fisiche ed umane
alla ricerca di una continuità sostenibile
della scena edilizia;
– la terza direzione deve fornire metodologie di intervento sui complessi isolati ancora in pieno territorio agricolo, sia a livello
normativo, sia progettuale, per poter arrivare a determinare quali possano essere le
funzioni compatibili, i contenuti morfologici appropriati (per piccole quote edilizie di
completamento necessarie al riuso e alla
rivitalizzazione dei complessi o per intervenire sui volumi esistenti), i sistemi costruttivi più idonei ed in sintonia, al tempo stesso, con le caratteristiche odierne del mercato delle costruzioni; il tutto finalizzato alla
salvaguardia dell’identità del tipo(2) edilizio
e del tipo costruttivo, cioè alla loro riconoscibilità.
Gli indirizzi per l’elaborazione di proposte di progettualità operativa sono in realtà
già stati chiaramente impostati fra le righe
di quest’ultimo prodotto editoriale.
Venendo appunto ad analizzare sinteticamente i diversi capitoli, essi approfondiscono nell’ordine:
– la definizione dei caratteri storici, culturali e tipologici del paesaggio rurale come
base conoscitiva per la definizione di strumenti normativi votati alla salvaguardia e di
indirizzi sul come utilizzare il mutato contesto;
– l’analisi della rappresentazione iconografica dei poderi e degli edifici e le fonti storiche;
– i paesaggi della bonifica e le loro implicazioni sui fenomeni di morfogenesi del territorio e del tipo insediativo;
– la costruzione di una tassonomia dei tipi
edilizi presenti nelle diverse zone della pianura emiliano-romagnola;
– lo studio delle soluzioni tecnologiche
adottate in questi edifici, per garantire poi
un appropriato livello di qualità tecnologica nell’intervento di recupero.
Nel primo capitolo, autore lo stesso curatore, due sono gli aspetti che traspaiono
immediatamente da una prima lettura: la
malinconica considerazione che nell’attuale
processo edilizio non c’ è nostalgia di quel
passato irreversibilmente perduto e del suo
paesaggio; l’affermazione forte di una
civiltà contadina con dignità pari a quella
urbana e che può e deve ancora giocare un
ruolo significativo nello sviluppo antropico.
Si tratta di un contributo sui generis dell’autore, quasi una forma di indirizzo, al
colmo della maturità, per i giovani collaboratori che proseguiranno la ricerca, con
contenuti che non si fa fatica a definire
poetici, forse tendenti più al piano della
cultura di vita in genere che a quello semplicemente architettonico.
Vengono analizzate le caratteristiche
antropiche, fisiche, biologiche, etniche del
paesaggio rurale, con un’attenzione particolare al fenomeno percettivo dei caratteri
distintivi. Si documentano i processi di trasformazione attuali e passati dell’ambiente,
sotto l’influenza di diversi fattori, ottima-
mente documentati. Grande spazio è lasciato alla poesia dei ricordi legati all’esperienza giovanile, periodo nel quale i cambiamenti del paesaggio della campagna segnavano i tempi e i ritmi della vita. Uno scorcio
discreto di storia vissuta con considerazioni
pungenti su quale destino sia stato riservato
alla campagna e quali le possibili vie di
uscita: “e ben venga chi, pur facendo un
altro mestiere, sente sotto la pelle scorrere
ancora il sangue degli avi e, per non
dimenticare, per non rinnegare le proprie
radici, vuole respirare quell’aria” confidando nel superamento della dicotomia cittàcampagna auspicato da Ardigò e che oggi
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4. Vista assonometrica di una stalla-fienile, tipo
corrente della pianura bolognese.
5. Questo é lo scenario al quale cominciamo ad
essere abituati: si inizierà presto a parlare di
“archeologia del rurale”.
potrebbe divenire reale. Oggetto di futuri
sviluppi della ricerca, qui solamente accennato per ragioni di brevità, è il tema relativo
agli indirizzi della normativa regionale e
degli usi e degli interventi ammessi dai
diversi Comuni sul patrimonio edilizio esistente nella campagna. Il motivo ispiratore
dell’intero capitolo rimane la problematica
della conservazione della riconoscibilità
ambientale ed edilizia di “relitti scomodi di
una società che ha rinnegato le proprie
radici, avanzi che non hanno trovato ancora una loro ragione d’uso”.
Il capitolo curato da Marco Gaiani e Stefano Zagnoni, affrontando la questione dell’iconografia dell’insediamento rurale dal
XVI al XIX secolo, documenta il passaggio
concettuale da una descrizione puramente
scritta degli immobili alla loro rappresentazione cosciente, operata prevalentemente
da periti agrimensori. Il disegno catastale,
anche se strumento di carattere estimativo,
ricerca, attraverso il ricorso sistematico ad
assonometrie oblique e prospettive a fughe
multiple, una rappresentazione tridimensionale dello spazio. Pur mediante l’utilizzo
di “icone”, ovvero elementi convenzionali
della rappresentazione, il materiale raccolto
dagli autori permette inoltre di riconoscere
una chiara processualità tipologica, dove le
preesistenze permangono quali temi riconoscibili nell’evoluzione funzionale. Associando sistematicamente la casa colonica
alle pertinenze produttive, l’iconografia
simbolizza quella stretta relazione tra edificio e podere, fino alla villa prospetticamente collegata al paesaggio circostante.
Nel suo capitolo Nicola Marzot indaga
sulle forme del paesaggio della bonifica in
rapporto diacronico, analizzando il sistema
della centuriazione, la cultura delle Partecipanze, le iniziative rinascimentali e le gran-
di opere di bonifica dell’Ottocento. I problemi connessi al controllo sistematico del
regime delle acque di superficie permette
di riconoscere il ruolo fondamentale delle
tipologie processuali, messe chiaramente in
opera in questi interventi, quali strumenti in
grado di garantire nel tempo uno sviluppo
ordinato del territorio. Tuttavia le matrici
tipologiche, in ragione di una forte aderenza alle specificità dei diversi contesti naturali, risultano anche efficaci strumenti di
rappresentazione intenzionale della realtà.
Ne consegue una definizione del paesaggio
quale “palinsesto” fortemente stratificato
dall’operare umano, la cui lettura offre
risultati comparabili, per qualità di definizione, a quelli desumibili dalle restituzioni
cartacee o dalle fonti d’archivio.
Alessandro Gaiani affronta nel suo capitolo un nodo cruciale e di ausilio generale:
l’evoluzione e la classificazione tipologica
dei tipi e dei modelli generati nelle diverse
zone. L’autore entra nel merito dei motivi
economici, funzionali, costruttivi e di quelli
legati ai fattori della tradizione che regolavano l’edificazione di complessi a corte
chiusa, aperta o riuniti in un unico blocco.
Ne scaturisce un panorama completo e dettagliato sugli aspetti tipologici e morfologici
degli insediamenti rurali di tutta la pianura
emiliano-romagnola.
In maniera sistematica ed obiettiva, vengono passate al setaccio dieci aree omogenee in cui può essere suddiviso il contesto
analizzato, individuando i tipi edilizi predominanti generatisi a partire dalla fine del
‘700 (che non escludono però la presenza
di edifici, seppure in percentuale minoritaria, che non corrispondono al tipo). Un
contributo interessante consiste inoltre
nella visualizzazione grafica omogenea
delle planimetrie dei complessi.
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Nel capitolo dedicato ai materiali e alle
tecniche costruttive, Theo Zaffagnini analizza le alternative tecniche impiegate nei
diversi sottosistemi edilizi fornendo così
una base conoscitiva adeguata per programmare interventi di recupero tecnologico senza pregiudicare la leggibilità delle
parti e dell’insieme. Pone inoltre l’accento
sui diversi caratteri di flessibilità funzionale
contenuti in alcuni degli annessi agricoli
rispetto alla casa colonica. Flessibilità che
evidenzia strette relazioni con la natura dei
procedimenti costruttivi impiegati e con i
morfemi e gli stilemi delle diverse parti
della costruzione. Lo studio si concentra
particolarmente sull’area bolognese, individuando le caratteristiche distintive dell’involucro edilizio di queste zone, connotato
da un’invariante regolarità e adattabilità
della geometria dei sedimi e degli alzati
degli edifici. Ne scaturisce un sistema di
soluzioni sedimentate nel tempo che riesce
a raggiungere un’elevata ottimizzazione
tecnico-economica delle strutture pur producendo (specialmente nei fienili e nelle
stalle) risultati estetici di tutto rilievo.
NOTE
(1)
Il volume in questione deve essere considerato il
completamento di una prima fase della ricerca MURST
60% che si sta svolgendo presso il Dipartimento di
Architettura dell’Università degli Studi di Ferrara sul
tema “L’edilizia rurale della pianura emiliana come
memoria storica del paesaggio agrario” di cui era
responsabile e coordinatore il Prof. Mario Zaffagnini,
Ordinario di Composizione architettonica. Tale contributo si inserisce all’interno della collana edita da Alinea di Firenze sul tema “Dalla regione all’Europa” che
ha come obiettivo ordinatore il sostenere i principi del
regionalismo architettonico contro un’appiattimento
dell’immagine architettonica europea.
(2)
Zaffagnini M., Per un approccio esigenziale al recupero dell’edilizia rurale nel territorio della pianura bolognese, in “Paesaggio urbano”, n. 1/1995, pp. 78-92.
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