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138 - Centro Studi Cinematografici

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138 - Centro Studi Cinematografici
Novembre-Dicembre 2015
138
REVENANT REDIVIVO
­­­­­­­Anno XXI (nuova serie) - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento postale 70% - DCB - Roma
di Alejandro Gonzáles Iñárritu
FRANCOFONIA
di Aleksandr Sokurov
LA CORRISPONDENZA
di Giuseppe Tornatore
IL FIGLIO
DI SAUL
di László Nemes
SPECTRE - di Sam Mendes
THE HATEFUL EIGHT
di Quentin Tarantino
Euro 5,00
DADDY’S HOME - Sean Anders
CAROL - di Todd Haynes
SOMMARIO n. 138
Anno XXI (nuova serie)
n. 138 novembre-dicembre 2015
Bimestrale di cultura cinematografica
Edito
dal Centro Studi Cinematografici
00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6
tel. (06) 63.82.605
Sito Internet: www.cscinema.org
E-mail: [email protected]
Aut. Tribunale di Roma n. 271/93
Abbonamento annuale:
euro 26,00 (estero $50)
Versamenti sul c.c.p. n. 26862003
intestato a Centro Studi Cinematografici
Spedizione in abb. post.
(comma 20, lettera C,
Legge 23 dicembre 96, N. 662
Filiale di Roma)
Si collabora solo dietro
invito della redazione
Direttore Responsabile: Flavio Vergerio
Direttore Editoriale: Baldo Vallero
Segreteria: Cesare Frioni
Redazione:
Alessandro Paesano
Carlo Tagliabue
Giancarlo Zappoli
Assolo .......................................................................................................... 27
Big Game - Caccia al Presidente ................................................................ 24
Black Sea .................................................................................................... 18
Carol ............................................................................................................ 29
Corrispondenza (La)..................................................................................... 38
Daddy’s Home.............................................................................................. 34
Dio esiste e vive a Bruxelles........................................................................ 25
Everest ........................................................................................................ 8
Figlio di Saul (Il) ........................................................................................... 37
Francofonia ................................................................................................. 31
Hateful Eight (The) ...................................................................................... 14
Hitman: Agent 47.......................................................................................... 21
Irrational Man .............................................................................................. 22
Macbeth........................................................................................................ 42
Mr. Holmes................................................................................................... 13
Natale col il Boss.......................................................................................... 35
Piccolo Principe (Il) ...................................................................................... 33
Point Break................................................................................................... 19
Professor Cenerentolo (Il)............................................................................ 43
Hanno collaborato a questo numero:
Giulia Angelucci
Veronica Barteri
Elena Bartoni
Davide Di Giorgio
Fabrizio Moresco
Flavio Vergerio
Quo vado? ................................................................................................... 5
Ragazzo della porta accanto (Il) .................................................................. 4
Regola del gioco (La) .................................................................................. 12
Revenant – Reditivo .................................................................................... 2
Snoopy & Friends – Il film dei Peanuts ....................................................... 30
Spectre ........................................................................................................ 10
Straight Outta Compton ............................................................................... 7
Taken 3 – L’ora della verità ......................................................................... 9
Stampa: Joelle s.r.l.
Via Biturgense, n. 104
Città di Castello (PG)
Transporter Legacy (The) ............................................................................ 28
11 donne a Parigi ........................................................................................ 41
Una volta nella vita ...................................................................................... 20
Uno per tutti ................................................................................................. 3
Viaggio di Arlo (Il) ........................................................................................ 26
Walk (The).................................................................................................... 39
Nella seguente filmografia vengono
considerati tutti i film usciti a Roma e
Milano, ad eccezione delle riedizioni.
Le date tra parentesi si riferiscono alle
“prime” nelle città considerate.
Woman in Gold ............................................................................................ 16
Tutto Festival – Torino 2015 ..................................................................... 45
Film Tutti i film della stagione
REVENANT - REDITIVO
(The Revenant)
Stati Uniti, 2016
Regia: Alejandro Gonzáles Iñárritu
Produzione: Arnon Milchan, Steve Golin, Alejandro Gonzáles
Iñárritu, Mary Parent, James W. Skotchdopole, Keith Redmond, per Anonymous Content, New Recency Pictures,
Ratpac Entertainment
Distribuzione: 20th Century Fox
Prima: (Roma 16-1-2016; Milano 16-1-2016)
Soggetto: dal romanzo “Revenant – La storia di Hugh Glass e
della sua vendetta” di Michael Punke
Sceneggiatura: Mark L. Smith, Alejandro Gonzáles Iñárritu
Direttore della fotografia: Emmanuel Lubezki
Montaggio: Stephen Mirrione
Musiche: Ryûichi Sakamoto, Alva Noto
Scenografia: Jack Fisk
Costumi: Jacqueline West
1
823, Nord Dakota. Hugh Glass,
assunto come guida per una battuta
di un gruppo di cacciatori di pelli,
sfugge a un attacco di indiani Arikara. Insieme a Glass si salvano pochi uomini, tra
cui anche il figlio adolescente Hawk, avuto
dalla moglie indiana Pawnee, uccisa anni
prima durante un attacco di americani al
loro villaggio. In fuga dagli indiani, gli
uomini abbandonano la barca su cui stanno
discendendo il fiume e decidono di tornare
al loro villaggio a piedi, preferendo giorni
e giorni di cammino al freddo piuttosto che
rischiare di venire accerchiati lungo il fiume.
Ma Glass viene attaccato e gravemente ferito da una femmina di orso grizzly,
particolarmente aggressiva in difesa dei
cuccioli. Nonostante le ferite subite, Glass
riesce ad abbattere l’animale. Il Capitano
Effetti: The Secret Lab, Soho VFX, The Moving Picture Company, Image Engine Design, Cinesite, Industrial Light & Magic
Interpreti: Leonardo DiCaprio (Hugh Glass), Tom Hardy
(John Fitzgerald), Domhnall Gleeson (Capitano Andrew
Henry), Will Poulter (Jim Bridger), Forrest Goodluck (Hawk),
Paul Anderson (Anderson), Kristoffer Joner (Murphy), Joshua
Burge (Stubby Bill), Lukas Haas (Jones), Brendan Fletcher
(Fryman), Duane Howard (Elk Dog), Arthur RedCloud
(Hikuc), Grace Dove (Powaqa), Fabrice Adde (Toussaint),
Robert Moloney (Dave Chapman), Christopher Rosamond
(Boone),Tyson Wood (Weston), McCaleb Burnett (Beckett),
Timothy Lyle (Gordon), Scott Olynek (Johnnie), Melaw
Nakehk’o (Powaqa)
Durata: 156’
Henry, comandante della missione, lo
crede in punto di morte. Anche i compagni
credono che l’uomo possa sopravvivere
solo pochi giorni. Non essendo trasportabile, gli uomini della spedizione lo lasciano
in compagnia del figlio Hawk, del giovane
Bridger e del cacciatore Fitzgerald, ordinando ai tre di vegliarlo sino all’ultimo,
per poi dargli una degna sepoltura.
Ma Fitzgerald è rimasto unicamente
per la ricompensa in denaro promessa
dal capitano. Approfittando dell’assenza
dei due ragazzi, Fitzgerald prima istiga al
suicidio Glass, poi cerca di soffocarlo per
poter tornare all’accampamento e poter
prendere il compenso di 300 dollari. Ma
viene scoperto da Hawk, che prima tenta di
fermarlo e poi è pugnalato a morte. Fitzgerald nasconde il cadavere del ragazzo e
2
inganna Bridger, dicendogli di aver perso
di vista Hawk e di aver visto una ventina di
indiani a poca distanza, convincendolo ad
abbandonare l’inerme Glass in una fossa.
Dopo essere uscito con immane fatica
dalla fossa dove era quasi sepolto vivo e
aver giurato vendetta sul corpo del figlio,
Glass si trascina tra i boschi, cercando di
sopravvivere. Incrocia più volte gli indiani,
sfuggendo per miracolo. Dopo giorni trascorsi al gelo, Glass viene sfamato e curato
da un solitario indiano Pawnee, che vuole
ricongiungersi con la sua tribù. I due proseguono insieme il loro viaggio ma vengono
sorpresi da una tormenta di neve. Glass,
debilitato, viene curato dall’indiano e messo
al riparo sotto una capanna improvvisata.
Rimasto solo, Glass si imbatte in un
gruppo di cacciatori francesi che hanno
appena impiccato il suo compagno indiano e
rapito la figlia di un capo indiano Ree. Glass
cerca di rubare un cavallo ma viene scoperto; durante la fuga uccide alcuni francesi,
riuscendo anche a far fuggire la donna, che
prima di scappare evira il capo-spedizione
francese che l’ha violentata. Dopo poco,
Glass, mentre tenta di sfuggire a un nuovo
agguato degli indiani Arikara, precipita con
il suo cavallo in un burrone: viene salvato
da un albero e dalla neve fresca. Ripresosi,
Glass sopravvive al gelo notturno trovando
riparo nel ventre del suo cavallo morto.
Nel frattempo, uno dei francesi sopravvissuti all’attacco raggiunge il forte dove
si trovano i compagni di Glass. Bridger
nota per caso la borraccia di Glass, caduta
all’uomo durante l’agguato al loro campo.
Il capitano decide di mandare un gruppo
di uomini alla sua ricerca. Il gruppo si
imbatte in Glass che viene portato al forte
ormai al limite della sopravvivenza. Dopo
Film avere scagionato Bridger dalle accuse
di tradimento e abbandono, Glass parte
insieme al capitano Henry alla ricerca di
Fitzgerald, che nel frattempo ha svaligiato
la cassaforte del capitano ed è fuggito. I
due si separano e Henry viene ucciso da
Fitzgerald. Trovato il cadavere del compagno, Glass carica il corpo sul secondo
cavallo e continua l’inseguimento.
Glass riesce a ingannare Fitzgerald,
facendolo avvicinare e costringendolo a un
corpo a corpo. Nonostante sia ferito, Glass
riesce ad avere la meglio, rinunciando poi
alla sua vendetta e affidando il compito a
un gruppo di indiani Arikara. Fitzgerald
viene scalpato e sgozzato secondo le
usanze indiane, prima di essere lasciato
in balia delle correnti del fiume. Ottenuta
giustizia, Glass sembra finalmente aver
abbandonato la rabbia e la sete di vendetta.
Esausto e sofferente, Glass è disteso sulla
neve, consolato dalla visione della moglie.
a lotta per la vita di un uomo solo,
la lotta per la vita (artistica) di un
attore e di un regista chiamati a
una prova difficilissima.
Revenant – Redivivo è un film emblematico nella sua ferocia, simbolico
nella sua crudezza, sorprendente nella
sua perfezione formale.
Il regista messicano Alejandro
González Iñárritu, fresco dei 4 Oscar
vinti con Birdman, questa volta fa di più,
spinge il pedale all’estremo divenendo,
per sua stessa ammissione, “burattinaio
d’un teatro colossale”, un teatro per il
quale ha quasi rischiato la pelle, insieme
alla sua troupe.
Revenant fa patire (e molto) il suo
protagonista (e insieme a lui lo spettatore).
Un’odissea immane, epica e leggendaria. Quella di Hugh Glass (incarnato
da un Di Caprio quasi del tutto silenzioso
per la maggior parte del film), è una lotta
contro la natura, contro la natura umana,
contro se stesso.
L
Tutti i film della stagione
Tra la foresta impervia di un Nord America gelido e funestato da lotte e genocidi,
va in scena una tragedia moderna che ha
la statura di una grande tragedia classica.
Neve e fuoco, sangue e dolore,
tradimento e vendetta, Revenant è una
tragedia che parla dell’essenza dell’uomo: il bene e il male sono rappresentati
in modo manicheo da Glass da un lato
e da Fitzgerald (un campione di avidità e
egoismo per cui Dio è uno scoiattolo che
compare quando ne hai più bisogno e va
divorato in fretta) dall’altro.
Le sofferenze di Glass sono fisiche
e spirituali, alla sua carne dilaniata letteralmente da un orso grizzly corrisponde
un’anima straziata da un dolore immenso.
La performance di un Di Caprio aspirante
alla statuetta dell’Oscar rispetta questo
equilibrio, questo duplice patire, dosando
alla perfezione dolore fisico e spirituale, i
rantoli, gli spasmi e le urla con sguardi carichi di muta e atroce sofferenza. A parlare
allo stesso tempo sono la carne e l’anima
di un uomo, la carne e l’anima di un divo,
mai così maturo.
Revenant è un film primitivo come l’ambiente in cui è totalmente immerso, una
storia di sentimenti “basici” immersa nel
gelido inverno di una foresta fatta di montagne impervie e corsi d’acqua travolgenti.
La forza della natura investe l’uomo sfidandolo a risollevarsi. Resistenza, rinascita,
vendetta, sono i tre temi forti su cui punta
Iñárritu nella lotta del protagonista contro
uomini, animali e asperità della natura.
Liberamente ispirato all’omonimo libro
di Michael Punke (che Iñárritu e Mark L.
Smith hanno romanzato, aggiungendo
personaggi ed episodi assenti nel libro),
Revenant è un film pieno di sofferenza,
dolore e di sangue, ma anche ricco di quesiti
basilari: cosa c’è oltre l’istinto di vendetta?
La vendetta restituisce ciò che hai perduto?
L’opera di Iñárritu cattura per due ore
e mezza abbondanti anche grazie al suo
linguaggio visuale fatto di suggestive im-
magini pittoriche (il regista ha confessato di
aver avuto in mente Caravaggio per tutte le
riprese) e un suono avvolgente e potente.
La fotografia naturale con cui è stato girato (opera del mago della luce già premio
Oscar per Birdman Emmanuel Lubezki),
non senza grandi difficoltà, l’intero film, fa
si che Revenant sia un vero “affresco sonico”, come ha sottolineato il regista. Una
pellicola dalla difficile lavorazione (il budget
iniziale di 60 milioni di dollari è poi lievitato
a 135) realizzata tra il Canada, il Montana
e la Patagonia, in cui ogni inquadratura ha
la perfezione di un quadro.
Un film ambientato in un passato che ha
molte corrispondenze nel nostro presente:
la prima metà dell’Ottocento nelle terre del
Nord America funestate da un immane genocidio che, in nome del profitto, estinse razze
umane e animali. “L’avidità fece impazzire
quella gente – ha sottolineato Iñárritu – mentre si delineavano quei problemi razziali che
si sarebbero trascinati fino al presente”.
Antico e moderno insieme, Revenant
è un film bellissimo pur nella sua brutalità,
un’opera che mostra senza filtri la crudeltà
dell’essere umano, tra teste trafitte da frecce e carni dilaniate. E un Di Caprio sbranato da un grande orso in una delle scene
più crude e potenti del cinema degli ultimi
anni, un piano sequenza magistralmente
girato (effetti digitali da applauso). Un Di
Caprio, ancora, costretto a prove estreme
come mangiare il fegato di un bisonte per
sopravvivere e dormire nudo dentro la
carcassa ancora calda di un cavallo morto.
E su tutto, la volontà di Dio che tiene
le redini della vita dell’uomo.
Un film travolgente, essenziale eppure
grandioso, iperrealista (con tanto di cucitura di ferite al vivo, e carni crude divorate
per sopravvivere), ma anche onirico (le
più intimiste sequenze dei sogni del protagonista). Un cinema che merita ancora
la parola arte.
Elena Bartoni
UNO PER TUTTI
Italia, 2015
Regia: Mimmo Calopresti
Produzione: Gianluca Curti per Minerva Pictures Group in
collaborazione con Rai Cinema
Distribuzione: Microcinema
Prima: (Roma 26-11-2015; Milano 26-11-2015)
Soggetto: dall’omonimo romanzo di Gaetano Savatteri
Sceneggiatura: Monica Zapelli, Mimo Calopresti
Direttore della fotografia: Stefano Falivene
Montaggio: Valerio Quintarelli, Marco Spoletini (supervisione)
Scenografia: Virginia Vianello
Costumi: Nicoletta Ercole
Interpreti: Fabrizio Ferracane (Gil), Giorgio Panariello (Vinz),
Thomas Trabacchi (Saro), Isabella Ferrari (Eloisa), Lorenzo
Barone (Teo), Irene Casagrande (Greta)
Durata: 85’
3
Film rieste. Teo, figlio di Eloisa e di Gil,
sta per compiere diciotto anni e da
tempo è innamorato di una ragazza
di nome Greta. Una sera Teo e l’amico Luca,
per difendere Greta durante una rissa tra
giovani, pugnalano un altro ragazzo. Teo
viene arrestato e perquisito da Vinz, amico
d’infanzia di Gil. Quest’ultimo è un uomo
senza scrupoli, che trascura moglie e figlio,
ha un’amante e tanti appalti illeciti alle
spalle. Quando il ragazzo ferito viene ricoverato in ospedale, la madre Eloisa chiama
un altro amico d’infanzia, Saro. Questo è un
medico ormai trasferito nel profondo Sud
della Calabria che sta per sposarsi e che
viene ospitato quei giorni in casa loro. Tra
Eloisa e Saro da tempo esiste una passione
latente. Intanto Gil, coinvolgendo gli amici
Saro e Vinz, cerca in tutti i modi di non far
scontare il carcere al figlio così come aveva
dovuto fare lui, in particolare cercando di
corrompere Vinz, poliziotto separato dalla
moglie e con difficoltà economiche. I tre
quando erano bambini avevano stretto un
patto di sangue e condiviso una tragica
avventura: per una bravata era rimasto
ucciso un loro amico ma a scontare la pena
era stato solo Gil. Alla fine, dopo che Vinz
ha buttato via il coltello insanguinato usato
da Teo e Luca, Gil chiede a Saro di accompagnare il figlio al traghetto; ma quasi
arrivati a destinazione Teo scappa e dopo
aver visitato il ragazzo morto all’obitorio
viene preso dalla polizia.
T
I
spirato all’omonimo romanzo di Gaetano Savetteri del 2008, Uno per tutti
è un noir italiano che ruota attorno al
Tutti i film della stagione
tema dell’ereditarietà della colpa. Il titolo
rievoca quell’unità letteraria che esisteva
tra i tre moschettieri e che qua sta per un’amicizia di sangue tra tre ragazzi diventati
uomini. È la storia di quattro giovanotti, tutti
appartenenti a famiglie immigrate al nord
negli anni ‘70, che nella banda di quartiere
trovavano la loro realtà aggregante. Il
senso però dell’unità viene qui interpretato in chiave negativa perché dopo aver
commesso l’errore in tre, ha pagato solo
uno, Gil. Il regista Mimmo Calopresti
quindi lavora in maniera parallela anche
sul tema della corruzione che si insinua
negli ambienti alto borghesi, dove vi è il
tentativo di rimanerne indenni, così come
aveva fatto Paolo Virzì nel suo Capitale
umano. Ancora una volta una denuncia
forte contro la società tutta ma anche e
soprattutto rivolta al modello genitoriale.
La madre di Teo interpretata da Isabella Ferrari è morbosa nei confronti del
figlio e pratica lo yoga per combattere
la noia borghese; ad esempio, parlando
con Saro afferma “Almeno in Calabria
si delinque per qualcosa – qui c’è solo
noia!”. Il marito fedifrago non ammette
nessuna colpa del figlio e cerca, attraverso ogni tentativo di corruzione, di
evitargli ogni tipo di condanna e di farlo
uscire dal carcere. Il progetto alla base
del film (considerando che si ispira a un
romanzo) è interessante, la regia è ad un
buon livello, ma con una sceneggiatura
a volte improbabile anche se i problema
più grandi sono l’interpretazione di alcuni
attori, come ad esempio Isabella Ferrari
con il suo accento triestino, e la scelta
musicale. Il personaggio di Saro interpretato da Thomas Trabacchi è poco approfondito all’interno della storia mentre,
pur essendo partita prevenuta, mi sono
dovuta ricredere sulle doti drammatiche
di Giorgio Panariello. Tra le citazioni
cinematografiche troviamo Arancia Meccanica e il Cacciatore e nasce spontaneo
il confronto con Anime nere di Francesco
Munzi: in comune hanno uno dei protagonisti, Fabrizio Ferracane e il forte legame
fra tre uomini, qui non amici ma fratelli
di sangue. In Uno per tutti c’è una colpa
(quella di Teo) che vuole essere cancellata e una volontà (quella del padre Gil)
che pur appoggiandosi all’omertà parziale e all’aiuto sincero dei suoi due amici,
non si può avvallare. Anche Teo, come
il padre Gil, si trova per caso in mezzo a
un affare più grande di lui, ma alla fine
non vuole, a differenza del padre, far
finta di nulla. Nell’amaro finale di una
pellicola che punta i fari sull’ineluttabilità
del destino e sulla sua crudezza e dove
un padre dai trascorsi burrascosi è convinto di aver messo in salvo il figlio. Un
ennesimo tentativo di rappresentare una
società in cui la corruzione è ovunque,
dove non ci si accorge neanche di quanto
sia diventata diffusa e familiare nel nostro
Paese, tanto da far dire al personaggio di
Gil, interpretato da un magistrale Fabrizio
Ferracane, “Perché deve esistere solo
per mio figlio la legge?”. Un interrogativo aperto dove la risposta è solo nella
coscienza del singolo.
Giulia Angelucci
IL RAGAZZO DELLA PORTA ACCANTO
(The Boy Next Door)
Stati Uniti, 2015
Regia: Rob Cohen
Produzione: Jason Blum, Elaine Goldsmith-Thomas, John
Jacobs, Jenifer Lopez per Blumhouse Productions, Nuyorican Productions, The Medina Company, Smart Entertainment
Distribuzione: Universal Pictures International
Prima: (Roma 23-7-2015; Milano 23-7-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Barbara Curry
Direttore della fotografia: Dave McFarland
Montaggio: Michel Aller
Musiche: Randy Edelman, Nathan Barr
Scenografia: Charles Varga
C
laire è separata da Garrett e vive
con il figlio adolescente Kevin,
preso di mira dai bulli della scuola
e affetto da un’allergia che ne ostacola la vita
sociale. Insegnante di lettere e amante dei
Costumi: Courtney Hoffman
Interpreti: Jennifer Lopez (Claire Peterson), Ryan Guzman
(Noah Sandborn), Ian Nelson (Kevin Peterson), John
Corbett (Garrett Peterson), Kristin Chenoweth (Vicky
Lansing), Lexi Atkins (Allie Cambridge), Hill Harper (Preside
Edward Warren), Jack Wallace (Sig. Sandborn), Adam
Hicks (Jason Zimmer), François Chau (Detective Johnny
Chou), Bailey Chase (Benny), Kent Avenido (Sig. Avenido),
Travis Schuldt (Ethan), Brian Mahoney (Couper), Raquel
Gardner (Barbara), Kari Perdue (Rachel), Chad Bullard
(Chad il Bullo), Forrest Hoffman (Forrest il Bullo)
Durata: 91’
classici, Claire sta cercando di recuperare
la crisi con l’ex marito che nove mesi prima
l’ha ferita tradendola durante i suoi viaggi di
lavoro a San Francisco. Un giorno, arriva un
nuovo vicino di casa Noah, un diciannovenne
4
di bell’aspetto, senza genitori, che si prende
cura dello zio invalido in attesa del trapianto.
Il giovane aiuta Claire nei lavori domestici e
diventa amico e mentore di Kevin. Tra Claire
e Noah si instaura un’intesa particolare,
Film anche per via della loro passione comune per
l’Iliade. Il ragazzo si infatua della professoressa, la seduce e una notte in cui Garrett e
Kevin sono fuori in gita, si approfitta della
sua debolezza carnale e passano insieme la
notte. Da quel momento in poi, comincia il
vero incubo di Claire. La donna vorrebbe
cancellare quello sbaglio di una notte e
archiviare la loro relazione, mentre Noah
non si dà pace per questo suo rifiuto. Nel
frattempo il ragazzo nutre profondo odio
per quell’uomo che ha tradito mesi prima la
sua amata Claire. Così gioca a fare l’eroe
difendendola in ogni circostanza ed entrando
in stretta amicizia con il figlio Kevin. Questo,
innamorato della coetanea Allie Callahan,
chiede consiglio a Noah per conquistarla e
ottiene di essere il suo cavaliere per il ballo
della scuola. A sua insaputa però l’amico
va a letto con la ragazza e dalla finestra di
fronte si fa vedere da Claire per tentare di
farla ingelosire. Dopo essere entrato senza
permesso con il suo account nella posta
elettronica, il giovane studente ottiene di
essere trasferito nel corso della bella professoressa, diventando così presenza costante e
invadente in casa sua (almeno per Claire),
fino a ricattarla con foto e video, insomma
un vero stalker. Nel frattempo, Noah manovra
Kevin mettendolo contro il padre. Un giorno
Garrett va a prendere il figlio a scuola e,
tornando a casa, scoprono che i freni non
funzionano bene; hanno un piccolo incidente
da cui riescono miracolosamente a salvarsi.
Claire l’indomani trova la classe tappezzata
di sue fotografie compromettenti, di cui riesce
a liberarsi prima che i suoi alunni entrino in
classe e una scritta in bagno viene confessato
il suo segreto. La professoressa va quindi
dal ragazzo in palestra per chiedergli di
smetterla e viene vista da un bidello. Anche
il preside nota qualcosa di strano nel suo
comportamento. L’amica Vicky, vicepreside
della scuola, vuole aiutarla con Noah che
nel frattempo è stato espulso per aver pic-
Tutti i film della stagione
chiato dei bulli che davano fastidio a Kevin.
Così, l’amica le dà una mano, prende la sua
macchina e si fa seguire dal giovane stalker
che presto scopre l’inganno. Intanto Claire si
intrufola clandestinamente a casa di Noah e
oltre ad una telecamera nascosta, scopre uno
stanzino in cui ci sono tutte sue foto e video.
Riesce a trovare il materiale compromettente
e a cancellare tutto. Le si gela il sangue poi
quando, sempre sul pc, scopre dei file dove è
spiegata la manomissione dei freni e sospetta
che sia stato lui ad aver tentato alla vita del
figlio e dell’ex marito. Intanto il ragazzo va
a casa della vicepreside, la imbavaglia e,
con un inganno (facendole credere che sia
lei a chiamare), riesce a far raggiungere la
casa di Vicky a Claire dove troverà il cadavere dell’amica; la donna prova a scappare
ma fuori l’abitazione trova il giovane che
le confessa di aver ucciso lui anni prima il
padre e la sua compagna manomettendo i
freni poiché la loro relazione aveva portato
al suicidio della madre. Così trascina la
sua vittima nel fienile dove trova il marito
e il figlio imbavagliati. Alla fine, dopo vari
tentativi di liberare i due ostaggi e scappare,
per difendersi Claire uccide Noah. Il figlio
Kevin è salvo mentre il marito viene portato
via in ambulanza.
ra il 1987 quando uscì il must
Attrazione fatale, dando avvio
a quello che sarebbe poi stato
chiamato il genere del thriller erotico. Così
Rob Cohen, il regista di Fast e furious e La
mummia- La tomba dell’imperatore, dopo
un adattamento da James Patterson, Alex
Cross – La memoria del killer, decide di
riproporre il modello del coniuge perseguitato da un folle amante rovesciando le parti:
qui a essere molestato non è più Michael
Douglas, ma la bellissima Jennifer Lopez.
Tra i vari flashback riassuntivi, su una regia
un po’ didascalica (come a poco distanza la
proposta di due inquadrature verso il basso
E
che finiscono per oscurarsi) che sostiene
un buon ritmo da thriller, si instaura una
sceneggiatura un po’ banale a cura della
debuttante Barbara Curry. Basti pensare
alle battute un po’ improbabili come quando
dopo la tempesta, ma facendo un basso
riferimento alla notte di passione, “Qui si è
bagnato tutto!” o come anche “L’educazione
fisica è una materia che conosci bene”, entrambe pronunciate da Noah. Prodotto dal
nuovo re dell’horror low budget Jason Blum
che ricordiamo per Paranormal activity e
Insidious, il film dalle non grandi pretese
complessivamente funziona a eccezione
delle scene conclusive. Viene spesso
ricercato, ma inutilmente, il jumpscare e
lo scontro conclusivo è la parte peggiore,
poco credibile e inutilmente pseudo splatter,
mentre il finale è letteralmente ‘tranciato’.
Altro elemento che disturba è che Claire comincia, a comprendere lo sbaglio del marito
e a perdonarlo una volta che anche lei ha
sbagliato e si è lasciata travolgere dalla passione. Ryan Guzman (la cui notorietà è rappresentata finora da due episodi della saga
di Step Up) convince nel bipolare ruolo del
“good boy gone bad”. Il giovane conquista la
professoressa citando l’Iliade e sulle corde
di un mitomane perfetto pensa di incarnare
l’Achille moderno. In questa vicenda, l’unica
persona che aiuta Claire è l’amica Vicky
che perde la vita per lei. Un film che, oltre
all’ostentare la bellezza dei protagonisti, è
costruito su una corporeità che precede la
sostanza della trama (basti pensare che la
prima cosa che si vede del personaggio di
Noah è il suo bicipite), riflette poco sulla
psicologia dei personaggi e lascia qua e là
qualche falla narrativa. Quando l’amore è
solo possesso questo sentimento diventa
un gioco pericoloso, in cui non è possibile
tornare indietro, come dice Noah “Niente
regole e niente pregiudizi”.
Giulia Angelucci
QUO VADO?
Italia, 2015
Regia: Gennaro Nunziante
Produzione: Pietro Valsecchi per Taodue Film
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 1-1-2016; Milano 1-1-2016)
Soggetto e Sceneggiatura: Luca Medici (Checco Zalone),
Gennaro Nunziante
Direttore della fotografia: Vittorio Omodei Zorini
Montaggio: Pietro Morana
Musiche: Luca Medici (Checco Zalone)
Scenografia: Luca Medici (Checco Zalone), Gennaro Nunziante
Costumi: Francesca Casciello
Interpreti: Checco Zalone (Checco), Eleonora Giovanardi
(Valeria), Sonia Bergamasco (Dottoressa Sironi), Maurizio
Micheli (Peppino, padre di Checco), Ludovica Modugno
(Caterina, madre di Checco), Ninni Bruschetta (Ministro
Magno), Paolo Pierobon (Ricercatore scientifico), Azzurra
Martino (Fidanzata di Checco), Lino Banfi (Senatore Binetto),
Massimiliano Montgomery, Angelica Napa, Adam Nour
Marino, Fabio Casale
Durata: 86’
5
Film C
hecco è un bravo ragazzo del
meridione che ha realizzato
gli obiettivi principali che gli
permettono di vivere una vita tranquilla,
riposante e senza strappi: ha il cosiddetto posto fisso nell’ufficio caccia e pesca
presso la Provincia di Bari; vive a casa
con i genitori dove è trattato come un
pascià e viziato dai manicaretti preparati
dalla madre; ha una fidanzata storica
con cui parla, da tempo, di un possibile,
futuro matrimonio e per questo è adulato
e incensato dalla famiglia di lei proprio
in virtù del suo posto fisso.
La Storia però va avanti e un brutto
giorno il governo vara la riforma della
pubblica amministrazione che prevede
l’abolizione delle provincie e la ricollocazione in altri settori amministrativi dei
relativi impiegati, o meglio, le loro spontanee dimissioni.
Checco è costretto ad affrontare subito
la situazione in un colloquio con la terribile
Dottoressa Sironi, la dirigente addetta allo
sfoltimento del personale, che propone al
giovane impiegato le dimissioni con un
ritocco della liquidazione che sono subito
respinte e poi il trasferimento in altri luoghi: Checco resiste e pur di non abbandonare il posto fisso non si fa abbattere dalle
difficoltà della sua nuova vita.
Un giorno però la Sironi non riuscendo
ad avere ragione della testardaggine di
Checco lo trasferisce al Polo Nord con
l’incarico di vigilanza presso un gruppo di
ricercatori italiani: lì conosce Valeria, una
scienziata che studia il comportamento e le
malattie degli orsi polari e ben presto se ne
innamora, partecipando con lei a un tipo
di vita impensabile fino a quel momento.
Valeria infatti ha base a Bergen, cittadina
sui fiordi norvegesi ed è abituata a un
Tutti i film della stagione
senso di responsabilità civile nel condurre
la sua quotidianità, dalla gestione della
spazzatura al comportamento nel traffico
ai rapporti con gli altri, da cui Checco è
lontano mille miglia; in più Valeria ha tre
figli avuti da tre partners diversi a seconda
dei luoghi dove ha lavorato.
La piccola esistenza di Checco risulta
così stravolta nelle abitudini e negli atteggiamenti codificati fin dalla notte dei
tempi, ma l’amore è una grande spinta e
lo aiuterà negli episodi successivi della
sua vita: prima in Calabria si dedica
con Valeria a una cooperativa che cura e
studia gli animali feroci e poi, addirittura,
in Africa completerà la sua scuola di vita
al servizio degli altri: il supplemento di
liquidazione (questa volta Checco se ne
va davvero) è utilizzato per acquistare le
medicine necessarie a un villaggio poverissimo della giungla.
La nascita di una bellissima bambina
corona la nuova esistenza di Checco e
Valeria.
ià con i suoi precedenti film
Zalone aveva ottenuto numeri
da sballo: nel 2011 Che bella
giornata incassò nel totale della programmazione quasi 44 milioni di euro; nel 2013
Sole a catinelle toccò alla fine 52 milioni.
Dove potrà arrivare Quo Vado? che nel
primo week-end di proiezioni ha superato i
22 milioni conquistando la prima posizione
ai botteghini italiani?
I numeri ci interessano fino a un certo
punto anche se siamo contenti quando un
film incassa (un film italiano soprattutto),
ma vogliamo chiederci perchè.
Abbiamo pensato a una serie di aggettivi e di termini che potevano adattarsi a
Zalone (non dimentichiamo il suo regista
G
6
Gennaro Nunziante) a spiegare, o almeno a suggerire le motivazioni di un così
grande seguito di pubblico; ne abbiamo
trovate due, semplici semplici: educazione
e intelligenza.
Non ci sono parolacce né oscenità in
questo film dopo tanti anni in cui ci hanno insegnato, voluto insegnare e voluto
convincere che il pubblico italiano poteva
divertirsi solo con le volgarità: il lavoro di
Zalone è quindi per prima cosa l’espressione di un rispetto, soprattutto per chi è
seduto in sala.
Seconda cosa l’intelligenza.
Zalone ha capito perfettamente l’Italia,
cosa è stata (fantastica la canzone “La prima repubblica”, quella che “non si scorda
mai”) quello zoccolo duro edulcorato e
riscaldato da mammismo, assistenza sociale (anche a chi non la meritava), posto
fisso nei ministeri e nelle aziende statali
e parastatali dalle sigle più incredibili,
pensioni di ogni genere (anche a chi non
lo meritava); il tutto condito da una buona
dose di furbizia, di patetismo, di viziosità
culturale, opportunismo, superficialità, di
colpo stigmatizzate in questi anni e che
increduli e incattiviti ci stiamo pian piano
scrollando di dosso in manzoniana velocità
(“adelante Pedro, cum juicio...”).
Questo è quello che Zalone ha capito perfettamente e in modo diretto lo fa
vedere al suo pubblico che ugualmente
lo capisce, ci si identifica, lo accetta e fa
a meno di qualsiasi forma di mediazione
critica per aderire all’idea che tutti abbiamo su come sia fatto il nostro Bel Paese
e noi stessi.
Non abbiamo ancora chiaro se tutto
questo vuol dire la costituzione di una
nuova “Commedia all’italiana” che affondi
il suo obiettivo principale nella satira di
costume, in una vera polemica comica e
amara con i vizi dell’italiano; soprattutto
perchè Zalone ci sembra solo, per ora,
senza avere vicino alcun compagno di
strada con cui condividere un’idea cinematografica ben precisa (forse possiamo
individuare una sua vicinanza ai toni
surreali di Antonio Albanese ma niente
di più).
D’altra parte quella “Commedia” era
rappresentativa di una situazione socioeconomica in salita, positiva del nostro
Paese e che si spense man mano che
la realtà assumeva uno sguardo sempre
più duro e feroce nei confronti di una
evoluzione/involuzione societaria dagli
aspetti sempre più drammatici. Ora non
abbiamo ancora un quadro completo e
globale dove possano essere inseriti tutti
gli elementi in grado di connotare l’Italia del
terzo millennio; Checco Zalone ci ricorda
Film chi siamo stati e chi in fondo, in maniera
più occulta continuiamo a essere, in attesa
di definirci in un nuovo e più chiaro spirito
italico. Le sue battute sono fulminanti, la
sua faccia tronfia, patetica, paternalistica,
maliziosa e furba si deforma e si riaggiusta
plasticamente a rappresentare, a livello
Tutti i film della stagione
antropologico, una situazione di passaggio
che ci chiede chi siamo per potere meglio
prenderci in giro.
Ci accompagnerà ancora a lungo
Checco Zalone, grande comico e grande
conoscitore dei nostri anni che inesorabilmente ci vorrà raccontare, ma senza farci
troppo male; fermi un momento: anche se
il finale di Quo Vado? sembra prefigurare
un futuro nel rinnovamento italico, sarà
vero che non ci vuole, non ci vorrà fare
troppo male?
Fabrizio Moresco
STRAIGHT OUTTA COMPTON
(Straight Outta Compton)
Stati Uniti, 2015
Regia: F. Gary Gray
Produzione: Ice Club, Dr. Dre, Tomica Woods-Wright, Matt
Alvarez, F. Gary Gray, Scott Bernstein per Circle of Confusion, Cube Vision, Legendary Pictures
Distribuzione: Universal Pictures International
Prima: (Roma 1-10-2015; Milano 1-10-2015)
Soggetto: S.Leigh Savidge, Alan Wenkus, Andrea Berloff
Sceneggiatura: Jonathan Herman, Andrea Berloff
Direttore della fotografia: Matthew Libatique
Montaggio: Billy Fox
Musiche: Joseph Trapanese
Scenografia: Shane Valentino
Costumi: Kelli Jones
Effetti: Image Engine Design
Interpreti: O’Shea Jackson Jr. (Ice Cube), Corey Hawkins
(Dr. Dre), Jason Mitchell (Eazy-E), Neil Brown Jr. (DJ
Yella), Aldis Hodge (MC Ren), Paul Giamatti (Jerry Heller),
C
ompton 1986. Lo spacciatore
del quartiere Eazy-e irrompe
in una casa per vendere della
droga. Dr. Dre decide di lasciare casa e
famiglia perché il suo desiderio è fare il
dj mentre la madre vorrebbe che cercasse
qualche impiego più remunerativo. Ice
Cube è bravissimo a scrivere dei testi in
rima mentre Eazy-e spesso rischia di essere
arrestato per strada; Dr. Dre fa serate nei
locali come il Doo-To’s Club, ma una sera
viene messo in carcere (per una notte) e su
cauzione dello spacciatore e amico Eazy-e
viene rilasciato. Quest’ultimo continua a
spacciare droga e propone a Dr. Dre di
vendere dischi insieme perché in fondo,
secondo loro, si tratta sempre di marketing.
Una volta che i cinque ragazzacci ovvero
Eazy-e, Dr. Dre, Ice Cube, Dj Yella e Mc
Ren mettono in piedi un gruppo musicale e
cominciano a produrre insieme dei brani,
i loro testi vengono censurati. Un giorno
Dr. Dre chiama dei rapper a registrare ma
questi si rifiutano di cantare su alcuni brani
perché non si sentono liberi di esprimersi;
così viene chiesto a Eazy-e di provare a
cantare e scoprono che il ragazzo ha un
vero talento. Presto Eazy-e, nel magazzino
dove stanno producendo i loro dischi, viene
contattato da un manager. Jerry, questo il
suo nome, ha già lavorato con altri gruppi
Alexandra Shipp (Kim Jackson), Carra Patterson (Tomica
Woods-Wright), Elena Goode (Nicole Young), Keith Powers
(Tyree Crayton), Lakeith Lee Stanfield (Snoop Dogg), Tate
Ellington (Bryan Turner), Corey Reynolds (Lonzo Williams),
R. Marcus Taylor (Suge Knight), Marlon Yates Jr. (The
D.O.C), Sheldon A. Smith (Warren G.), Joshua Brockington
(Warren G. ragazzino), Cleavon McClendon (Jinx), Aeriél
Miranda (Lavetta), Lisa Renee Pitts (Verna), Angela Gibbs
(Doris Jackson), Bruce Beatty (Hosie Jackson), Rogelio
Douglas Jr. (Chuck D), F. Gary Gray (Greg Mack), Allen
Maldonado (Tone), Demetrius Grosse (Rock), Og Blood
(Michael ‘Compton Menace’ Taylor), Zee James (Tasha),
Natascha Hopkins (Keisha), David L. Cox (Blood), Rickey
Chaney (J-Dee), Jody Burke (Big Dude), Inny Clemons
(Rauch), Asia’h Epperson (Felicia), Mark Sherman (Jimmy
Lovine), Derrick L. McMillon (Ron Sweeney)
Durata: 150’
e si prenderà il 20% del gruppo se verrà
ingaggiato; sarà lui a cercare la distribuzione più adatta al gruppo e ad organizzare
il tour. I cinque rapper fondano così i NWA,
si fanno chiamare negri belli tosti (Niggaz
With Attitude). Ci troviamo a Skateland
nel 1986 e i NWA fanno in un locale un
concerto, riscuotendo un grande successo. Inoltre viene offerto loro un contratto
da un certo Bryan Turner per l’etichetta
Priority Records; il loro prossimo passo
è incidere una serie di brani per fare un
cd, per questo passano tantissimo tempo
in sala registrazione. Un giorno, arriva la
moglie di Dr.Dre con la figlia piccola che
si arrabbia con lui per avere un comportamento poco corretto nei loro confronti.
Poco dopo arriva la polizia che cerca di
arrestare i cinque giovani senza alcun
motivo. A Los Angeles, nel 1989 parte il
loro tour ma presto arriva loro una lettera
di richiamo da parte dell’FBI per aver
scritto una canzone contro le forze dell’ordine. Intanto i contratti dei cinque artisti
stentano ad arrivare e viene ucciso Tyree,
il fratello di Dr. Dre. Al mega concerto,
anche dopo essere stati minacciati dalle
forze dell’ordine, cantano comunque il
brano f*** the police. In seguito, Ice cube
discute con Jerry perché non ha intenzione
di stipulare un contratto senza una garan7
zia legale, non vuole firmare il “becoming
legit”, atto di affrancarsi e ufficializzarsi e
se ne va dal gruppo. Il manager però tenta
di spiegargli che i contratti non potevano
arrivare subito perché la società non era
sua. In effetti Jerry li ha ingannati ma solo
Eazy-e prende le distanze da lui e da tutto il
gruppo. Poco tempo dopo, anche Dr. Dre si
separa dal manager ingannatore e si sposta
alla Death Row Records fondata insieme
a Suge Knight (un poco di buono). Tra i
vari talenti alla nuova casa discografica
si presenta anche Snoop Dogg. Suge chiama Eazy-e per minacciarlo chiedendogli
di svincolare il contratto che Dr. Dre ha
con lui. Eazy-e viene picchiato da Suge e
per questo vuole vendicarsi invece Jerry
vorrebbe agire per via legale. Ad Ice Cube
fanno un’intervista nella sua villa mentre
in tv dilaga lo scandalo di alcuni poliziotti
filmati mentre viene testimoniato il loro
abuso di potere con il pestaggio di Rodney
King. È il 1993 e la Ruthless Records non
ha più finanziamenti da quando Dr. Dre è
andato via: ormai nel gruppo sono rimasti
in 3, Mc Ren, Eazy E e Dj Yella. Così mentre Ice Cube prova a scrivere un romanzo,
Eazy-e tenta di fare un accordo con la
Sony. Dr. Dre si invaghisce di una ragazza
conosciuta a una festa mondana, ma questa non se la sente di intraprendere una
Film storia con lui per via delle sue accuse di
aggressione e dei diversi guai con la Death
Row Records. Un giorno, mentre in studio
Dr. Dre sta facendo registrare Tupac, si
sente del chiasso nella stanza adiacente;
così il dj discute con gli altri della casa
discografica, che si dimostra non essere
seria e va via correndo con la macchina.
Qualche giorno dopo Eazy-e va in un locale a parlare con Ice Cube che è d’accordo a
rimettere in piedi il gruppo; aggiunge però
che Eazy-e deve scegliere tra lui e Jerry.
Grazie alla moglie contabile, il cantante
degli NWA ha nuovamente la conferma che
Jerry li ha ingannati; il manager sostiene
di essersi preso cura di loro anche se, allo
stesso tempo, ammette di aver guardato ai
propri interessi. Così Eazy-e licenzia Jerry
dalla Ruthless Records e poco dopo ha
un malore, viene ricoverato e il medico lo
avverte che ha contratto l’hiv. In ospedale
gli danno sei mesi di vita, così il cantante
passa gli ultimi tempi in terapia intensiva
per poi morire. Poco dopo Dr. Dre lascia
la Death Row Records, ritenendo che non
si possa dare un prezzo alla creatività e
si mette in proprio creando la Aftermath
Entertainment.
orreva l’anno 2002 quando uscì
il film diretto da Curtis Hanson, 8
mile, ispirato alla storia vera del
rapper Eminem. Ecco, nel 2015 un nuovo
film biografico sul mondo del gangsta-rap,
che questa volta vede come protagonista
Dr.Dre. I protagonisti delle due pellicole, oltre al condividere l’appartenenza al mondo
hip hop, si sono realmente conosciuti: era
il 1999 quando Dr.Dre scoprì Eminem. Se
C
Tutti i film della stagione
in 8 mile ci si muoveva tra le strade buie di
Detroit, nel film di F. Gary Gray (già regista
di “The Italian Job”, “Be Cool” e “Giustizia
privata”) è Compton, città-ghetto della
Contea di Los Angeles, a essere protagonista. Un film ben girato e con un buon
ritmo, nonostante la durata impegnativa
della pellicola. Straight outta compton
potrà concedersi il lusso di piacere anche
a chi non è appassionato del genere rap,
perché in fondo si tratta di una storia di
vita, i cui protagonisti sono cinque ragazzi
di un ghetto. Sarà invece un divertimento
assoluto per i cultori del genere che vedranno comparire, tra un brano musicale
e l’altro famoso nella storia del rap (Ain’t
Nuthin’ But a G Thang, California Love,
Boyz-N-the-Hood, etc.) anche delle icone
del mondo hip hop, da Snoop Dog a 2pac,
oltre ai cinque noti componenti dei NWA.
Un biopic ben studiato che corre sulla sceneggiatura di Jonathan Herman e Andrea
Berloff e che si basa sugli studi e sulle
interviste del documentarista musicale S.
Leigh Savage; in questo sta il merito del
regista, quello di aver voluto presentare,
oltre al talento artistico dei cinque giovani,
uno spaccato di vita interessante da un
punto di vista sociologico. Straight outta
compton, è il titolo dell’album di esordio del
gruppo, ed è un film con una sua poesia,
dalle immagini lente e da un bell’intreccio
narrativo. Una bella fotografia tra cui rimane indelebile l’immagine dei due foulard di
colore diverso intrecciati per mettere fine
ai conflitti. Ciò che penalizza e banalizza
la storia sono le incursioni della polizia
un po’ esasperate e degli sbalzi temporali
che, dal punto di vista del montaggio, fanno
perdere ogni riferimento allo spettatore.
Molto coinvolgente la colonna sonora di
Joseph Trapanese e bravissimi gli attori, da
Jason Mitchell nei panni di Eazy-e a Paul
Giamatti, nei panni del manager. Il figlio di
Cube recita nei panni del padre e gli altri
attori sono stati scelti attentamente per la
loro somiglianza fisica ai componenti dei
NWA. Determinante è stata certamente la
partecipazione di Ice Cube, Dr. Dre e della
vedova di Eazy-E, Tomica Woods Right,
come produttori e MC Ren e Dj Yella come
consulenti. Interessante la scelta di accompagnare i titoli di coda con le immagini dei
personaggi reali della storia e delle future
collaborazioni di Dr. Dre, come anche
l’incipit, con il rumore di elicotteri e sirene
della polizia che ci cala immediatamente
nella storia. Una vicenda, quella dei NWA,
che non può rimanere ghettizzata ma che
racconta uno dei tanti episodi dell’umanità
intera, in cui la stampa afferma che i cantanti sono responsabili con i loro brani di
esaltare la violenza, mentre questi controbattono, dicendo di rispecchiare una realtà
difficile da comprendere, in un mondo in cui
per i cinque rapper “Dì una piccola verità e
la gente perde la testa”. Il vissuto di questi
rapper è una narrazione che parla a due
frequenze: quelle di una musicalità piena
di energia e di sensazioni, specialmente
per i giovani, ma anche quella di chi vuole
denunciare cosa succede nel proprio quartiere tra droga, delinquenza e abusi della
polizia, insomma nella propria vita. Si tratta
di quei “cattivi” ragazzi che non riescono a
non starci simpatici.
Giulia Angelucci
EVEREST
(Everest)
Gran Bretagna,Stati Uniti, 2015
Regia: Baltasar Kormákur
Produzione: Tim Bevan, Eric Fellner, Baltasar Kormákur, Nicky
Kentish Barnes, Brian Oliver, Tyler Thompson per Working
Tittle in collaborazione con RVK Studios, Free State Pictres
Distribuzione: Universal Pictures International
Prima: (Roma 24-9-2015; Milano 24-9-2015)
Soggetto: dal romanzo “Aria sottile” di Jon Krakauer
Sceneggiatura: William Nicholson, Simon Beaufoy
Direttore della fotografia: Salvatore Totino
Montaggio: Mick Audsley
Musiche: Dario Marianelli
Scenografia: Gary Freeman
Costumi: Guy Speranza
Effetti: Framestore, One Of Us
Interpreti: Jason Clarke (Rob Hall), Josh Brolin (Beck
Weathers), John Hawkes (Doug Hansen), Robin Wright
(Peach Weathers), Michael Kelly (Jon Krakauer), Sam
Worthington (Guy Cotter), Keira Knightley (Jan Arnold),
Emily Watson (Helen Wilton), Jake Gyllenhaal (Scott
Fischer), Clive Standen (Ed Viesturs), Elizabeth Debicki
(Dott.ssa Caroline Mackenzie), Vanessa Kirby (Sandy Hill
Pittman), Mia Goth (Meg), Martin Henderson (Andy Harris),
Tom Goodman-Hill (Neal Beidleman), Naoko Mori (Yasuko
Namba), Thomas M. Wright (Mike Groom), Mark Derwin (Lou
Kasischke), Micah A. Hauptman (David Breashears), Ingvar
E. Sigurðsson (Anatoli Boukreev), Demetri Goritsas (Stuart
Hutchison), Todd Boyce (Frank Fischbeck), Chris Reilly (Klev
Schoening), Charlotte Bøving (Lene Gammelgaard), Chike
Chan (Makalu Gau), George Taylor (David Schensted), Amy
Shindler (Charlotte Fox), Vijay Lama (Colonnello Madan),
Simon Harrison (Tim Madsen)
Durata: 121’
8
Film L
’ Adventure Consultants organizza periodicamente spedizioni
sull’Everest. Questa volta a
intraprendere l’impresa sono circa 15
persone di varia estrazione e provenienza
e a guidarli è l’alpinista neozelandese Rob
Hall, che lascia a casa la moglie Jan, incinta di una bambina. La spedizione prende il
via in maniera difficoltosa dopo che Rob si
è accordato con Scott Fischer, capo delle
spedizioni della Mountain madness, su
uno stile di scalata assai diverso. Dopo un
piccolo scontro iniziale, Rob confessa e si
scusa con il collega di aver preso con sé per
la spedizione il giornalista Jon Krakauer.
I due tentano di organizzarsi e di mettersi
d’accordo per le spedizioni, ma è complicato perché il campo base è diventato una
affollatissima meta commerciale, fatto che
porterà a dei ritardi nella marcia. Alcuni
scalatori della Adventure Consultants
vanno con Rob, altri con Scott. Qualcuno
accusa dei malori durante il tragitto e
viene trasportato da un elicottero e, alla
fine, la maggior parte dei partecipanti
riesce, dopo giorni di grande fatica, a
toccare la vetta. Nella discesa si rendono
conto che le bombole ad ossigeno non sono
piene, uno dei clienti, Beck, non vede più
bene e aspetta che scenda la guida Rob.
Intanto Doug arriva in ritardo, è vicino
alla meta e Hall lo riaccompagna in cima
per coronare il suo sogno. Ma una bufera
è in arrivo. Quattro scalatori tornano alla
base. Doug è esausto e si addormenta con
Rob; durante la notte, mentre la guida va
a cercare le bombole, questo si sgancia e
si butta di sotto. Intanto torna su da Rob
anche un altro scalatore che cadrà poco
dopo. Nel frattempo il resto della squadra
si è perso e morirà nel tragitto. Hall viene
messo in contatto telefonico con la moglie,
ma sta perdendo le forze. Fatale sarà il
destino delle due guide Scott e di Rob. A
salvarsi per un miracolo è Beck che perde
l’uso delle mani e del naso.
Tutti i film della stagione
’esperienza è puro dolore”; questa la frase cult
della vicenda che vede
protagonisti alcuni scalatori dell’Adventure Consultants, protagonisti di Everest di Baltasar Kormákur.
Film d’apertura alla 72esima Mostra del
Cinema di Venezia, Everest parla di una
storia vera, ambientata sulle pendici
dell’Himalaya nel 1996, costata la vita a
otto persone e raccontata dal giornalista
Jon Krakauer nel 1997 nel saggio Aria
sottile (Into Thin Air). Come ogni disaster
movie che si rispetti, anche qui a farla da
padrone sono le inquadrature mozzafiato
e la magniloquenza scenografica, che
impreziosiscono la drammatica vicenda.
Nato in Islanda, dove la natura è dilagante
e potente, Kormákur mostra anche in
questa pellicola la sua disinvoltura con
ghiacci e bufere, una familiarità che gli
ha permesso di muoversi con agio anche
in set posti ad alta quota (le riprese sono
state fatte in Nepal, negli Studios di Cinecittà, sulle Alpi e nei Pinewood Studios).
I personaggi protagonisti della vicenda
sono tantissimi e forse sarebbe stato
meglio dare più spessore e personalità
almeno ad alcuni, soprattutto a quelli femminili. Un film girato in maniera classica,
senza fronzoli e che lascia trasparire la
maestosità e la pericolosità della natura
dove, in particolare nella famosa zona
della morte, a una temperatura rigida si
unisce la mancanza di ossigeno. In questa pellicola dalla crescente suspence e
dalla mancata retorica, si staglia la figura
cristica della guida Rob Hall (interpretato
da Jason Clarke) che si contrappone a
quella stravagante e trasgressiva di Jake
Gyllenhaal, nei panni di Scott Fischer.
Ottima la fotografia e il montaggio in Everest, che oltre al rappresentare una natura
maestosa, evidenzia quell’agire dell’uomo
in una società in cui non sembrano esserci
limiti (It’s not the altitude but the attitude
“L
dice la guida Scott Fischer). Nessun limite
per i numerosi accampamenti commerciali
alle pendici del monte più alto del mondo
come anche per chi, mosso dalle diverse
frustrazioni lasciate a casa, viene per
sfidare se stesso oltre alla montagna. Gli
scalatori che stanno per intraprendere
questa avventura sono poi accomunati
da una domanda a cui non sanno dare
risposta: perché farlo?. Una riflessione
va in particolare al personaggio di Drug
che ha voluto a tutti i costi salire in cima
senza avere i tempi adatti a farlo, sempre
per amor proprio, mettendo a repentaglio
anche la vita della sua guida. Così è nella
lotta per la sopravvivenza si riscoprono
i valori veri, l’amicizia, l’amore per la
famiglia, ma, soprattutto, per il prossimo.
Dinanzi all’accettazione di una natura a
volte matrigna, come direbbe Leopardi,
si affianca però la stoltezza umana; il
regista, infatti, sembra suggerire una
critica contro la commercializzazione turistica dell’Everest, a cui possono accedere
anche coloro che non sono preparati fisicamente e psicologicamente alla scalata.
Le spedizioni sono aperte a tutti (se puoi
pagare 65 mila dollari) e, dopo 40 giorni di
allenamento ai piedi della montagna, sei
pronto a salire in cima. Ma è sufficiente
questo per affrontare un’esperienza così
impegnativa? E poi come accade spesso
nella vita, il momento peggiore arriva inaspettatamente: non è tanto nella faticosa
salita che gli scalatori perdono la vita, ma
nel tornare indietro, una volta che la meta è
stata raggiunta. E anche qui colui che inizia
la sua avventura con arroganza, ovvero il
texano Beck e che ammette di aver paura,
è l’unico che sopravvive. Così riflettiamo
sul potere a volte salvifico di questo istinto
atavico e di come, paradossalmente, sia
la nostra debolezza e la umanità a farci
vincere le sfide.
Giulia Angelucci
TAKEN 3 – L’ORA DELLA VERITÀ
(Taken 3)
Francia, 2015
Regia: Olivier Megaton
Produzione: Luc Besson, Michael Mandaville per Canal+,
Europacorp, M6 Films
Distribuzione: 20th Century Fox
Prima: (Roma 11-2-2015; Milano 11-2-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Robert Mark Kamen, Luc Besson
Direttore della fotografia: Eric Kress
Musiche: Nathaniel Méchaly
Scenografia: Sébastien Inizan
Costumi: Olivier Bériot
Interpreti: Liam Neeson (Bryan Mills), Maggie Grace (Kim),
Famke Janssen (Lenore), Forest Whitaker (Franck Dotzler),
Dougray Scott (Stuart St John), Jon Gries (Casey), Leland Orser
(Sam), Sam Spruell (Oleg Malankov), Jonny Weston (Jimy),
Andrew Howard (Maxim), Dylan Bruno (Smith), Judi Beecher
(Claire), Al Sapienza (Detective Johnson), Don Harvey (Garcia),
Alexander Wraith (Agente Goodman), Philip J Silvera (Agente
Ramsey), Andrew Borba (Clarence), John Manison (Bart),
Derrick Worsley (Agente Edwards), Dale Liner (Agente Bernard)
Durata: 109’
9
Film O
leg Malakov una sera manda
i suoi scagnozzi, guidati da
Maxim, a prelevare a casa
Clarence, il contabile di una grande
azienda il cui direttore ha dei debiti con
il capo russo. Trovando la cassaforte
vuota, Maxim uccide Clarence. Intanto
la figlia dell’ex agente Bryan Mills è
cresciuta e aspetta dal fidanzato Jimy
un bimbo. Bryan è ancora attratto da
Lenore, la ex moglie anche lei di nuovo
sentimentalmente coinvolta, che si trova in
piena crisi coniugale con l’attuale marito
Stuart. Quest’ultimo sta per andare a Las
Vegas per lavoro e, il giorno prima, va da
Bryan chiedendogli di non vedere più la
moglie, perché questo influirebbe sul recupero del loro rapporto. Il giorno dopo,
Lenore scrive all’ex marito per vedersi
da lui. Bryan, dopo averle comprato delle
ciambelle, torna a casa e la trova morta.
Irrompe la polizia e l’ex agente si ritrova
a essere il primo sospettato. Così si dà
alla fuga. Intanto il commissario Franck
Dotzler, che sta conducendo le indagini
sulla morte della donna, considera fino
all’ultimo, Mills in cima ai sospetti. A dare
la caccia all’ex agente Cia sono anche gli
uomini di Malakov e Stuart. Dopo vari
inseguimenti Bryan mette in salvo la figlia
Kim e fa confessare Stuart. Questo aveva
contratto dei debiti con Malakov che non
riusciva a estinguere e, nell’accordo che
aveva stabilito, c’era la messa in gioco
di Lenore. Così Bryan chiede a Stuart di
portarlo da Malakov. Dopo essere entrati
nell’attico del capo russo, Mills lo uccide
una volta che questo gli confessa di essere
Tutti i film della stagione
stati ingannati dallo stesso uomo: Stuart
infatti sapeva che Mills si sarebbe vendicato e così, una volta che Bryan è lontano
dalla figlia, uccide Sam, il fido informatico
dell’ex agente, rapisce la figlia e la porta
sopra un aereo privato. È Kim a scoprire
che il traditore è Stuart perché si accorge
che i messaggi mandati alla madre Lenore
sono partiti dal cellulare del padre ma
non li ha inviati lui. Mills riesce così ad
arrivare in tempo per salvare la figlia e
darle di santa ragione al traditore. Continuerà a prendersi cura dell’amata Kim,
del fidanzato e del bambino in arrivo.
uello che pare sia l’ultimo episodio della trilogia Taken prodotta
da Luc Besson e interpretata
dall’attore inglese Liam Neeson convince
parzialmente, meno convincente del primo
della trilogia, targato Pierre Morel e più
del secondo episodio sempre di Olivier
Megaton. Ambientato a Los Angeles, il
film mantiene costanti e sempre validi gli
stereotipi dei film d’azione rinunciando a
rapimenti e intimidazioni telefoniche, ma
adottando il villain sovietico, come anche
nel recente John Wick, e conservando
gli elementi base dei primi due episodi;
ad esempio, come nel resto della trilogia,
c’è il 90% dei combattimenti che Bryan
fa a mani nude anche non essendo più
giovanissimo. Il nuovo action thriller, tra
i numerosi e interminabili inseguimenti,
riesce comunque a intrattenere e a tenere
alta l’attenzione del pubblico. Un ritmo però
a volte esagerato e che crea confusione
quello creato dalla camera adrenalinica di
Q
Megaton e al montaggio frenetico di Audrey Simonaud e Nicolas Trembasiewicz,
pensato da Megaton, ne scandisce il ritmo:
infatti è interessante il numero di tagli per
scena che va a scomporre in vari punti di
vista le azioni più comuni. Forse dal punto
di vista del montaggio si potevano mettere
più collegamenti con la scena iniziale e non
lasciar passare così tempo per svelare gli
intrecci, rischiando di far perdere memoria
di quella scena. Alcuni doppiatori sono
pessimi, sarebbe da verificare se funziona
di più la versione in lingua originale. Divertente Forest Whitaker, ossessionato dagli
elastici (carina la sua battuta-intuizione
sulle ciambelle), nei panni del sergente
Dotzler che indaga sulla vicenda; l’attore
ha ancora quell’espressione simpatica
già apprezzata quasi trent’anni fa in Good
morning Vietnam accanto a Robin Williams. L’intero cast funziona abbastanza,
ma Liam Neeson si riconferma il mattatore
della scena. Fuori dalle righe e originale la
scena nel bagno dell’università in cui Kim
confessa al padre di essere incinta, mentre
la polizia gli sta alle calcagna. Padre e figlia
vogliono far luce sulla verità cercando di
vendicare la memoria di Lenore. Il loro
rapporto è molto forte e intenso, cosa che
dalla pellicola traspare molto bene. Questo
terzo episodio scritto da Kamen e Besson
è caratterizzato da una doppia caccia
all’uomo e in una graduale scoperta dal
sapore giallo. Una formula più sentimentale rispetto ai precedenti che però si perde
banalmente sul finale.
Giulia Angelucci
SPECTRE
(Spectre)
Stati Uniti, Gran Bretagna, 2015
Regia: Sam Mendes
Produzione: Eon Productions, MGM, Columbia Pictures,
Danjaq, Wielka Brytania
Distribuzione: Universal Pictures International
Prima: (Roma 5-11-2015; Milano 5-11-2015)
Soggetto: dai personaggi creati da Ian Fleming, John Logan,
Neal Purvis, Robert Wade
Sceneggiatura: John Logan, Neal Purvis, Robert Wade, Jez
Butterworth
Direttore della fotografia: Hoyte Van Hoytema
Montaggio: Lee Smith
Musiche: Thomas Newman, la canzone “Writing’s on the Wall”
è cantata da Sam Smith
Scenografia: Dennis Gassner
C
ittà del Messico. Seguendo le
indicazioni contenute in un
messaggio postumo del prece-
Costumi: Jany Temime
Effetti: Chris Corbould, Steven Begg, Jonathan Knight, Double Negative
Interpreti: Daniel Craig (James Bond), Christoph Waltz
(Oberhauser), Léa Seydoux (Madeleine Swann), Ben
Whishaw (Q), Naomie Harris (Moneypenny), Ralph Fiennes
(M), Dave Bautista (Hinx), Monica Bellucci (Lucia), Andrew
Scott (Max Denbeigh/C), Rory Kinnear (Tanner), Jesper
Christensen (Mr. White), Stephanie Sigman (Estrella),
Alessandro Cremona (Marco Sciarra), Domenico Fortunato
(Gallo), Marc Zinga (Moreau), Brigitte Millar (Vogel), Adel
Bencherif (Abrika), Peppe Lanzetta (Lorenzo), Francesco
Arca (Francesco), Matteo Taranto (Marco)
Durata: 148’
dente M, James Bond si trova nella capitale
messicana dove, durante la processione
per il Giorno dei Morti, uccide Marco
10
Sciarra, membro di un’ignota organizzazione criminale che stava pianificando un
attentato. Bond prende l’anello dell’uomo
Film e torna a Londra, dove il nuovo M, Gareth
Mallory, lo sospende per aver agito senza
autorizzazione, causando un incidente
diplomatico. Subito dopo, M incontra il
nuovo capo dei servizi segreti congiunti,
Max Debingh (nome in codice C), che lo
informa di voler unire i servizi segreti di
tutto il mondo e le loro conoscenze per
sospendere l’ormai obsoleto programma
‘doppio zero’. Debingh vorrebbe far approvare il programma Nove Occhi, che però
non riesce mai a raggiungere l’unanimità
dei voti; M è scettico su questo progetto.
Sempre seguendo le ultime volontà dell’exM, Bond si reca segretamente a Roma al
funerale di Sciarra, dove conosce la vedova
dell’uomo, Lucia. Dopo averla sedotta,
riesce a infiltrarsi nella riunione dell’organizzazione di cui il marito faceva parte, ma
viene scoperto dal capo di questa, Franz
Oberhauser, una figura legata al passato
di Bond. 007 scopre che l’organizzazione
gestisce molti traffici illegali ed è collegata
a diversi attentati; poi fugge.
Bond si mette alla ricerca di un uomo
che l’organizzazione di Oberhauser vuole
eliminare e scopre che si tratta del suo
vecchio nemico Mr. White. L’agente lo
rintraccia in un isolato chalet sulle Alpi
austriache, dove White, ormai morente
per un avvelenamento da tallio, si sta
nascondendo. Prima di suicidarsi, l’uomo
fa promettere dall’agente che proteggerà
sua figlia, Madeleine Swann: in cambio la
donna condurrà Bond a ‘L’Americain’, che
potrebbe condurre James a Oberhauser.
007 si reca nella clinica sulle Alpi
dove Madeleine lavora come psicologa:
lì viene raggiunto anche da Q, a cui consegna l’anello dell’organizzazione. Dopo
aver salvato Madeleine dagli uomini di
Oberhauser, Bond viene aggiornato da
Q: all’organizzazione, chiamata Spectre,
erano in qualche modo collegate anche
vecchie nemesi dell’agente 007 come Le
Chiffre, Dominic Greene, Mr. White e Raoul Silva, tutti collegati tra loro da Franz
Oberhauser, che ufficialmente risulta morto
vent’anni prima in una valanga insieme al
padre. Dopo un attentato della Spectre a
Città del Capo, anche il governo sudafricano decide di aderire al programma Nove
Occhi, che viene approvato all’unanimità.
Intanto Madeleine e James si recano a Tangeri, in Marocco, e, in una vecchia stanza
di un albergo (chiamato L’Americain) che
in passato White affittava per la sua famiglia, trovano una mappa che li conduce in
mezzo al deserto. Lì vengono raggiunti da
un autista che li conduce alla base della
Spectre. Qui, si scopre che Oberhauser agisce con C e che ha organizzato gli attentati
ai danni degli stati contrari ad approvare
Tutti i film della stagione
il programma Nove Occhi, finanziato e
progettato da Oberhauser stesso, perché
questo potesse essere approvato.
Oberhauser imprigiona Bond e Madeleine e rivela la sua identità: è il figlio
dell’uomo che aveva cresciuto Bond dopo
che era rimasto orfano. Invidioso delle
attenzioni del padre per il giovane James,
uccise il genitore e si finse morto, entrando
nel mondo del crimine come Ernst Blofeld.
L’uomo si prefisse lo scopo di diventare
“l’artefice delle sofferenze” di Bond: molti
dei lutti che l’agente segreto ha dovuto
patire sono stati orchestrati da Blofeld e
dalla Spectre. Blofeld tenta di praticare
una lobotomia a Bond (per compromettergli la capacità di riconoscere le persone a
cui tiene), ma 007 si libera e apparentemente lo uccide con un orologio-bomba,
fuggendo con Madeleine dalla base, che
subito dopo esplode. Tornato a Londra,
Bond, assieme a M e Moneypenny, cerca
di fermare Debingh e il lancio dei Nove
Occhi, che darebbe potere illimitato alla
Spectre. Mentre il gruppo di M si introduce
nella sede di C, Bond viene catturato e
condotto nella ex sede del MI6 davanti a
Blofeld, sfigurato ma vivo. Blofeld propone
a Bond una scelta: morire per salvare Madeleine, intrappolata nell’edificio che verrà
distrutto dall’esplosivo piazzato dalla
Spectre, o fuggire e sopravvivere, vivendo
con il rimorso di non aver salvato la donna.
Intanto Q riesce a fermare l’attivazione
del programma Nove Occhi dal computer
centrale, mentre Debingh muore dopo una
colluttazione con M. James riesce a salvare Madeline e insegue con un motoscafo
Blofeld che sta fuggendo su un elicottero.
Bond riesce ad abbattere l’elicottero. Poi,
preferisce non uccidere il criminale e
consegnarlo a M.
11
Tempo dopo, James si presenta da Q
per ritirare la sua storica Aston Martin
DB5 coupé, e con questa parte da Londra
insieme a Madeleine.
morti sono vivi”. Su questa
fulminante affermazione si
apre Spectre, capitolo numero ventiquattro dell’immortale
saga dedicata all’agente segreto ‘doppio
zero’ più famoso del mondo.
La morte aleggia per tutta la bellissima
sequenza iniziale del film, girata nel pieno
di un corteo per il Giorno dei Morti a Città
del Messico. E quella frase iniziale acquista un senso sempre più ampio durante
tutta la pellicola.
Dopo l’incipit nella metropoli messicana, come ormai d’abitudine, ecco la
sequenza dei titoli di testa accompagnati
dal bel brano “Writing’s on the Wall” di
Sam Smith. Immagini liquide e sinuose,
fotografia dai toni del giallo e dell’oro, richiami al mondo dell’aldilà, ai morti che…
sono vivi, appunto.
Già nel precedente Skyfall Sam Mendes aveva mostrato morte e resurrezione
di un mito, fino a far scendere Bond nei
meandri oscuri dei ricordi della sua infanzia. Questa volta il regista da di più,
rispolverando il passato del suo agente, fin
dal titolo, Spectre. Ed ecco le Aston Martin,
il Vodka Martini, lo smoking bianco, i viaggi
su treni dall’atmosfera retrò.
Nello spettacolare incipit, indossando
una maschera da teschio e con uno scheletro disegnato sul retro del suo elegante
abito scuro, Bond sfila per le strade della
capitale messicana per poi salire su un
tetto e uccidere un terrorista italiano legato
alla Specre, misteriosa organizzazione
criminale. Ma questa azzardata iniziativa
“I
Film mette 007 in cattiva luce agli occhi del nuovo M, Gareth Mallory ma soprattutto di Max
Denbigh, membro del governo britannico
che vuole innovare l’MI6 eliminando i vecchi agenti ‘doppio zero’ per usare nuove
tecnologie “multi-occhi” per controllare il
globo. Sollevato dai suoi incarichi ufficiali,
Bond continua la sua indagine da solo.
E così 007 capisce che dietro alla nuova
strategia mondiale del terrore c’è proprio
la Spectre e suo capo, il sadico Franz
Oberhauser.
È proprio qui, nel villain di turno, la
chiave di lettura del nuovo James Bond e
insieme il legame col precedente Skyfall.
Questo nuovo capitolo, Spectre, continua
infatti lo scavo nel passato dell’agente 007:
un uomo (prima che un agente) sempre
più pensoso, malinconico, sofferente di
un forte disagio interiore. Ed ecco ancora i
misteri del passato di eredità paterne tutte
da stanare, ecco un eroe dalla psicologia
ancora da sondare. E ancora, ecco la lotta
tra ‘antico’ e ‘moderno’, tra vecchi e nuovi
metodi, tra gli agenti ‘sul campo’ e nuovi
occhi ipertecnologici, in tempi di eccessi
da voyeurismi informatici.
Tutti i film della stagione
E tra passato e presente, (soprav)vive
il moderno James Bond del sempre più
convincente Daniel Craig (alla sua quarta
volta nei panni di 007), un uomo capace
di fronteggiare i fantasmi del passato, il
dolore delle perdite (la Vesper Lynd di
Casino Royale prima di tutto) e di maturare
anche nel suo rapporto con le donne, non
più mero oggetto di piacere, ma presenza
decisiva che spinge a compiere scelte
controcorrente (ancora vita e morte).
Il nuovo 007 di Mendes è (anche)
un’analisi psicoanalitica di un personaggio
dalla grande interiorità e dall’irrisolto passato. Spectre è quindi un film complesso,
stratificato, ricco di simboli, ma anche un
blockbuster rutilante, divertente, senza un
attimo di tregua. Solo un maestro come
Sam Mendes poteva riuscire ancora
una volta a tenere il timone della nave,
unendo ‘alto’ e ‘basso’, citazioni cinefile e
sequenze adrenaliniche, introspezione ed
evasione, riflessione e spettacolo.
Merito anche e soprattutto di Daniel
Craig, attore capace di unire sex appeal
e umana sofferenza, questa volta senza
mostrare mai i suoi famosi bicipiti ma
indossando elegantemente tanto uno
smoking quanto un piumino da neve.
Convincenti gli interpreti dei personaggi
di contorno, dai già noti Ralph Fiennes
(M), Ben Whisahw (Q) e Naomie Harris
(Moneypenny), fino al nuovo ‘cattivo’ cui
Christoph Waltz offre il volto.
Perfetta la scelta delle due presenze
femminili, emblemi di due generazioni e
di due tipi di bellezza, la bruna e mediterranea ‘Bond Lady’ Monica Bellucci e la
bionda francese ‘Bond Girl’ Léa Seydoux.
Il nuovo 007 di Spectre riesce a essere
un omaggio a un pezzo di storia del cinema
(oggetti vintage compresi) e allo stesso
tempo a guardare avanti (si, anche se
al posto del classico Vodka Martini portano a Bond un centrifugato di verdure),
a un futuro incerto, chiudendo un’ideale
quadrilogia (quella interpretata da Craig)
incentrata sullo ‘spettro’ della morte e su
un eroe più umano alle prese coi fantasmi
della sua vita.
Cosa chiedere di più alla rifondazione
di un mito?
Elena Bartoni
LA REGOLA DEL GIOCO
(Kill the Messenger)
Stati Uniti, 2014
Regia: Michael Cuesta
Produzione: Scott Stuber, Naomi Despres, Jeremy Renner
per Bluegrass Films, The Combine
Distribuzione: Bim
Prima: (Roma 18-6-2015; Milano 18-6-2015)
Soggetto: dai libri “Dark Alliance: The CIA, the Contras,
and the Crack Cocaine Explosion” di Gary Webb e “Kill
the Messenger: How the CIA’s Crack-Cocaine Centroversy
Destroyed Journalist Gary Webb” di Nick Scou
Sceneggiatura: Peter Landesman
Direttore della fotografia: Sean Bobbitt
Montaggio: Brian A. Kates
Musiche: Nathan Johnson
Scenografia: John Paino
Costumi: Kimberly Adams-Galligan
alifornia 1996. Gary Webb è un
giornalista del San Jose Mercury
News. Ha una moglie, tre figli
Christine, Eric e Ian e si sta occupando
della confisca dei beni agli imputati di narcotraffico. Un giorno, per caso, si imbatte
in Coral Baca, l’avvenente compagna di
Rafael Cornejo, un boss del narcotraffico,
che lo contatta per una storia di droga:
si parla di quattro tonnellate di cocaina
venduta al governo americano. La donna
inoltre è in possesso di una trascrizione del
Gran Giurì che rivela un collegamento tra
C
Effetti: Wayne Beauchamp, Dan Seddon, Method Studios
Interpreti: Jeremy Renner (Gary Webb), Rosemarie DeWitt
(Sue Webb), Ray Liotta (John Cullen),Tim Blake Nelson
(Alan Fenster), Barry Pepper (Russell Dodson), Oliver Platt
(Jerry Ceppos), Michael Sheen (Fred Weil), Paz Vega (Coral
Baca), Michael Kenneth Williams (Ricky Ross), Mary Elizabeth
Winstead (Anna Simons), Lucas Hedges (Ian Webb),Andy
Garcia (Norwin Meneses), Robert Patrick (Ronald J. Quail), Ted
Huckabee (Bob), Matthew Lintz (Eric Webb), Parker Douglas
(Christine Webb), Josh Close (Rich Kline), Aaron Farb (Rafael
Cornejo), Yul Vázquez (Danilo Blandon), Brett Rice (Hansjorg
Baier), Kenny Alfonso (Marc Mansfield), Dan Futterman (Leo
Wolinsky), Richard Schiff (Richard Zuckerman), David Lee
Garver (Doug Farah), Michael H. Cole (Pete)
Durata: 111’
i servizi segreti statunitensi e il traffico di
cocaina proveniente dal Sudamerica. Con
questa documentazione in mano il giornalista parla con Alan Fenster, l’avvocato
del detenuto, il re del crack di Los Angeles
Ricky Ross, con il quale va ad ispezionare
la periferia. Dopo aver parlato in bagno
con il procuratore Russell Dodson, facendogli presente di essere informato sullo
scandalo che coinvolge la CIA, Cornejo
viene liberato. Un altro imputato Danilo
Blandon durante il processo dichiara che
la Cia aveva preso questo tipo di loschi
12
accordi per finanziare i ribelli contras in
Nicaragua. A Webb viene fatto il nome di
Norwin Menes, un ex narcotrafficante ora
detenuto in carcere in Nicaragua. Così il
giornalista decide di intraprendere questo
pericoloso viaggio per ottenere delle informazioni chiave da Menes. In sintesi, Webb
scopre che per contrastare l’avanzata comunista del Centro America, la Cia voleva
combattere una guerra che il Congresso
non voleva. Anna Simons, la sua capo redattrice è entusiasta di questo importante
lavoro d’inchiesta e insieme decidono di
Film far uscire il pezzo. Ma, poco dopo, il giornalista viene chiamato dalle altre grandi
testate prima interessate allo scoop e poi
intenzionate a screditarlo. In questo processo di diffamazione Gary Webb finisce
con l’essere considerato un giornalista
poco attendibile e disinformato. Poco tempo prima l’aveva messo in guardia anche
Fred Weil ai vertici della CIA durante un
loro colloquio. Dopo qualche attentato
alla sua serenità familiare, il giornalista
decide di andare da solo a vivere temporaneamente in un residence. Nella notte,
viene a fargli visita John Cullen, anche lui
implicato nello scandalo Cia, che apprezza
il suo lavoro di investigazione. Intanto le
cose cominciano a farsi complicate in redazione e Webb è costretto a lasciare il suo
giornale; un mese dopo, il capo della Cia è
costretto a dimettersi. Questo caso ha fatto
sì che iniziasse un dialogo tra gli americani
e i cittadini del Nicaragua. Venne scritto
un report di 400 pagine che non venne mai
a galla perché uscì in coincidenza con lo
scandalo Clinton-Lewinsky. Gary Webb,
sette anni dopo le sue dimissioni dal San
Jose Mercury News, fu trovato morto.
Tutti i film della stagione
a regola del gioco fa parte di quel
cinema di denuncia della New Hollywood, basato su una storia vera
e che si muove tra Dark Alliance, resoconto
dello stesso Gary Webb e Kill the Messenger,
biografia di Gary, scritto da Nick Shou. Con un
taglio tra il giornalistico e il televisivo, il regista
Michael Cuesta (Six Feet Under, Homeland)
gira questo biopic ambientandolo negli anni
Ottanta quando il regime sandinista nicaraguense era sotto la presidenza Reagan.
Jeremy Renner è coproduttore e protagonista del film con una intensa interpretazione,
anche se sarebbe stata migliore con una
scelta di doppiaggio diversa. Il suo personaggio è molto credibile sia nel ruolo di marito e
padre di famiglia, sia nell’ambito professionale ed è caratterizzato allo stesso tempo da
scaltrezza e candore. Il protagonista non è
presentato come un eroe tant’è vero che la
moglie Sue (Rosemarie DeWitt) è preoccupata che il marito torni a tradirla nuovamente.
Insieme a lui nel cast dei grandi Andy Garcia,
Oliver Platt, Paz Vega e Ray Liotta. L’ uso dei
video tratti dalla storia reale a inizio e alla
fine del film arricchisce il racconto portato
avanti con grande professionalità e che si fa
L
seguire con interesse. Tra indagine di inchiesta e dramma privato ricorda molto Insider di
Michael Mann, come anche il classico Tutti
gli uomini del Presidente e i film di denuncia
americani anni ‘70. Non mancano momenti di
tensione genuina. Ma è nella sobrietà della
narrazione che sta la sua forza, con una
colonna sonora buona e una bella fotografia.
La regola del gioco nel giornalismo, sembra
suggerire il regista, è il dire la verità ma fino
a quando gli scandali non coinvolgono i piani
alti. Tra il reportage/spy movie/poliziesco
Cuesta decide in maniera intelligente di non
modificare il racconto alla base della pellicola. Non ci sono pacchiane scene d’azione
o di sesso e il tutto è reso molto realisticamente. L’unico elemento a non convinvere
è il finale, sul quale viene il dubbio che sia
stato intenzionalmente lasciato incompleto.
È vero che si tratta di una storia buia ma
sarebbe anche importante raccontare, sia
pure a livello di fiction, uno scandalo così
importante per la politica estera. Un uomo
che indaga su un affare più grande di lui,
una Dark alliance. Questo è sicuro.
Giulia Angelucci
MR. HOLMES – IL MISTERO DEL CASO IRRISOLTO
(Mr. Holmes)
Stati Uniti,Gran Bretagna, 2015
Regia: Bill Condon
Produzione: Archer Film, See-Saw Films, Ai Film, BBC Films,
in associazione con Filmnation Entertainment
Distribuzione: Videa
Prima: (Roma 19-11-2015; Milano 19-11-2015)
Soggetto: dai personaggi di Arthur Conan Doyle e dal romanzo “Un impercettibile trucco della mente” di Mitch Cullin
Sceneggiatura: Jeffrey Hatcher
Direttore della fotografia: Tobias A. Schliessler
Montaggio: Virginia Katz
Musiche: Carter Burwell
Scenografia: Martin Childs
Costumi: Keith Madden
M
r. Holmes è di ritorno dal
Giappone e, ormai novantenne, torna per ritirarsi nella
sua abitazione nel Sussex. Lì la signora
Munro, sua governante, e il figlio Roger
si prendono cura dell’anziano detective.
Dedito all’attività di apicoltore, Holmes
ha un altro affare a cui dedicarsi durante
il giorno: terminare il suo ultimo caso
lasciato incompiuto dopo che Watson si
è sposato. Questo ormai è morto e il suo
romanzo sembra finire in maniera poco
realistica; qualcosa non torna all’anziano
detective, ma il suo vero problema è che,
Effetti: Neal Champion, John Bair
Interpreti: Ian McKellen (Sherlock Holmes), Laura Linney
(Sig.ra Munro), Hiroyuki Sanada (Tamiki Umezaki), Hattie
Morahan (Ann Kelmot), Patrick Kennedy (Thomas Kelmot),
Roger Allam (Dott. Barrie), Frances de la Tour (Madame
Schirmer), Philip Davis (Ispettore Gilbert), Milo Parker
(Roger), Nicholas Rowe (Giovane Sherlock Holmes), Spike
White (Joe Gilbert), Siobhan McSweeney (Una Gilbert),
John Sessions (Mycroft Holmes), Charles Maddox (Oswald),
Colin Starkey (Dott. John Watson), Sarah Crowden (Sig.
ra Hudson), Takako Akashi (Maya), Zak Shukor (Matsuda
Umezaki)
Durata: 104’
per demenza senile, sta perdendo la memoria. Anni addietro un uomo, tale Thomas
Kelmot, aveva chiesto l’aiuto di Holmes
per investigare sulla moglie Ann Kelmot:
questa aveva perso durante il parto i suoi
due figli e da allora era impazzita. Il marito
sospettava per una cattiva influenza su Ann
della misteriosa figura dell’insegnante di
musica della moglie, Madame Schirmer.
Così il detective aveva cominciato a seguire la donna e tutti gli indizi sembravano
condurre a un tentato omicidio del marito.
Nel frattempo Tamiki Umezaki, un cliente
di Holmes, dal Giappone gli aveva chiesto
13
di far chiarezza sul suo passato e sul suo
rapporto con il padre. Intanto tra Holmes e
Roger si instaura una bella amicizia, l’anziano apprezza la curiosità e l’intelligenza
del ragazzo che, oltre a leggere tutti i suoi
scritti, lo aiuta con le arnie. Così, grazie al
ragazzo e all’aiuto del pepe nero, sostanza
utile per la memoria, Holmes riesce in un
secondo momento a ricordare di aver avuto
un colloquio con la signora Kelmot che gli
aveva confessato di volersi togliere la vita.
La donna aveva cercato la sua comprensione e di contro aveva ricevuto un rifiuto
dal detective che l’aveva consigliata di
Film tornare dal marito. La donna quindi si
era suicidata e per questo Holmes si era
ritirato dal caso. Intanto la signora Munro
vorrebbe condurre una nuova vita e accetta
di lavorare in un hotel a Portsmouth; ma
questa scelta non viene approvata dal
ragazzo che comincia ad avere tensioni
con la madre. Un giorno, Roger rischia
la vita perché viene punto dalle vespe ma
poi viene ricoverato in ospedale e si riprende. Holmes chiede alla governante di
non lasciare la sua magione che andrà in
eredità a lei e a suo figlio una volta che lui
non ci sarà più. Alla fine Holmes realizza
che gli espedienti romanzati del suo ultimo
caso erano un modo di tutelare Mr.Kelmot;
scrive quindi anche al signor Umezaki,
confessandogli che suo padre aveva scelto di lavorare segretamente per l’impero
britannico. Holmes decide così di emulare
una tradizione vista a Hiroshima di creare
un cerchio di pietre dove poter ricordare le
persone amate che non ci sono più.
al romanzo A slight trick of the
mind di Mitch Cullin, il regista
di The Twilight Saga: Breaking
Dawn - Parte 1 e 2 e Il quinto potere, tenta
di offrire al pubblico uno Sherlock Holmes
diverso rispetto a quello di Guy Ritchie.
Un Holmes ormai anziano che si trova al
dover fare un bilancio della sua vita e che si
confronta con il suo personaggio letterario.
Così un fenomenale Ian McKellen collabora per la seconda volta dopo Demoni
e dei (1998) con Bill Condon. Un grande
protagonista contornato da volti noti: da
Laura Linney (Il diario di una tata) a Milo
D
Tutti i film della stagione
Parker (Love actually-l’amore davvero) o a
Frances de la tour (Harry Potter e il calice
di fuoco-Harry Potter e i doni della morteparte 1). Ineccepibile da un punto di vista
stilistico, troviamo in Mr.Holmes un bello
spaccato della civiltà inglese di inizio ‘900,
mostrata attraverso una attenta e delicata
fotografia. La pellicola, accompagnata dalle belle musiche curate da Carter Burwell,
risulta un po’ lenta, a volte ci si perde nei
meandri delle storie parallele, forse per i
numerosi flashback. Anche se vengono
offerti spunti interessanti su un mito che
diventa uomo manca però qualcosa alla
pellicola. Condon opta per una regia
intimistica più da giallo, omaggiando il
pubblico con un’immagine di Sherlock
Holmes diversa. Ormai anziano Holmes
non sopporta vedere se stesso nelle molte
versioni per il cinema, piene di bugie: egli
non ha mai portato il famoso berretto
che conosciamo, non fuma la pipa ma
preferisce il sigaro. Per questo vuole
scrivere una propria versione dell’ultimo
caso: per combattere l’immaginazione di
Watson che scrisse il racconto cambiando
il finale. La sua immagine reale e quella
che percepisce di lui famoso cominciano
a cozzare in particolare quando il protagonista scopre che per poter cambiare è
necessario riscavare nel passato. Così
il famoso detective deve tornare con la
memoria a trenta anni prima per comprendere che non tutto può essere risolto con
la logica e che il caso era irrisolto da un
punto di vista umano, non professionale.
“Il vero mistero” dice Holmes “è la natura
umana” ed è questa la più grande sco-
perta della sua vita che porta alla catarsi il
suo personaggio. Dopo aver scelto a lungo
la solitudine, Holmes scopre una nuova
famiglia, quella della governante e di suo
figlio Roger e si dedica al ricordo dei suoi
cari (la scena con le pietre che rievoca l’usanza di Hiroshima è commovente). Quel
caso per il quale si era dovuto ritirare dalla
scene per via dei risvolti fatali lo fa quindi
riflettere sugli sbagli commessi e sull’aver
sempre seguito la razionalità piuttosto
che il cuore. Per questo decide di non
lasciare nulla in sospeso e, nonostante
la demenza senile, riesce a ricostruire
quanto di più importante esista ovvero
l’amore umano; quel sentimento che in
passato lo aveva portato a raccontare
delle pietose bugie e che per la prima
volta il caso della signora Kelmot lo aveva
messo dinanzi al fatto che la realtà non è
interpretabile in maniera così netta, una
verità su cui il detective aveva costruito
la sua esistenza, portandolo a dover
rimettere in discussione tutta la sua vita.
Con difficoltà e con l’aiuto del giovane
Roger, il detective apprende (e cerca di
far capire anche a chi sta con lui) che non
bisogna basarsi sull’apparenza, anche
se logicamente schiacciante, ma essere
compresi, così come accade nell’episodio
di Roger con le api in cui il vero colpevole,
contro ogni deduzione, sono le vespe. Mr.
Holmes oltre ad essere un film sull’anzianità, è soprattutto una pellicola che, con la
sua poesia, parla delle fragilità dell’essere
umano.
Giulia Angelucci
THE HATEFUL EIGHT
(The Hateful Eight)
Stati Uniti, 2015
Regia: Quentin Tarantino
Produzione: The Weinstein Company
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 4-2-2016; Milano 4-2-2016)
Soggetto e Sceneggiatura: Quentin Tarantino
Direttore della fotografia: Robert Richardson
Montaggio: Fred Raskin
Musiche: Ennio Morricone
Scenografia: Yohei Taneda
Costumi: Courtney Hoffman
S
tati Uniti: la guerra civile è appena finita da qualche anno.
Una diligenza avanza nel
cuore del Wyoming facendosi strada su
una pista sovraccarica di neve e battuta da
Effetti: Gregory Nicotero (trucco), Howard Berger (trucco),
John Dykstra
Interpreti: Samuel L. Jackson (Maggiore Marquis Warren),
Kurt Russell (John Ruth “Il Boia”), Jennifer Jason Leigh (Daisy
Domergue), Walton Goggins (Sceriffo Chris Mannix), Demián
Bichir (Bob “Il Messicano”), Tim Roth (Oswaldo Mobray),
Michael Madsen (Joe Gage), Bruce Dern (Generale Sanford
Smithers), James Parks (O.B.), Dana Gourrier (Minnie), Zoë
Bell (Judy), Lee Horsley (Ed), Gene Jones (Sweet Dave),
Keith Jefferson (Charlie), Craig Stark (Chester Charles
Smithers), Belinda Owino (Gemma), Channing Tatum (Jody)
Durata: 167’
raffiche di vento gelido. A bordo c’è, oltre
il conducente, John Ruth, detto “il boia”,
un cacciatore di taglie che porta incatenata
una fuorilegge, Daisy Domergue, destinata
alla forca di Red Rock che frutterà a John
14
la taglia di diecimila dollari prevista per
la sua cattura.
Lungo la strada l’equipaggio si trova a
caricare altri due personaggi in difficoltà
per i loro cavalli abbattuti per il freddo e
Film impossibilitati dunque a proseguire per la
violenza della neve: il Maggiore Marquis
Warren, un nero che indossa la divisa
blu dell’esercito yankee e Chris Mannix,
diretto a prestare servizio come sceriffo
a Red Rock.
La tempesta però infuria e la diligenza
con i suoi assortiti viaggiatori è costretta a
fermarsi e cercare rifugio presso l’emporio
di Minnie e Sweet Dave, luogo conosciuto
da tutti quelli che battono le piste del territorio. I due proprietari però non ci sono
in quanto partiti improvvisamente il giorno
prima e, a mantenere l’esercizio, è rimasto
Bob “il messicano”, un omaccione loro
servitore che accoglie i viaggiatori in cerca
di ricovero e di un pasto caldo.
Nel largo ambiente dell’emporio sono
già presenti altri tre personaggi: Osvaldo
Mobray, boia di professione che va a
svolgere il suo ufficio proprio a Red Rock,
il vecchio Generale Sanford Smithers che
indossa ancora la divisa grigia dell’esercito confederato e John Cage, un cow-boy
silenzioso intento a scribacchiare su un
libretto di appunti.
Naturalmente gli otto personaggi,
costretti a convivere in uno spazio limitato
fino a quando il tempo non diventerà più
clemente, mostrano presto delle logiche
difficoltà di rapporti: intanto, essendo tutta
gente di frontiera e abituata con il peggio
che la vita di frontiera, appunto, presenta,
nessuno si fida di nessuno; ognuno ha
paura di non potere raggiungere i propri
scopi e di essere defraudato di qualcosa
e, soprattutto, ognuno pensa che l’altro
qualcosa lo nasconda. La verità è molto
più dura: nessuno è quello che dice di
essere ed è pronto a commettere le azioni
più atroci per liberarsi di chiunque possa
rappresentare un ostacolo al raggiungimento dei propri fini.
Il messicano, il boia di Red Rock e
il cow-boy sono infatti una parte della
banda di fuorilegge e assassini a cui
appartiene Daisy Domergue che ha organizzato un agguato a John Ruth per
liberare la prigioniera e fuggirsene via;
hanno quindi eliminato i poveri Minnie e
Sweet Dave e i loro aiutanti e avventori
(gettati poi nel pozzo) qualche ora prima e
atteso l’arrivo della diligenza per mettere
in atto il loro piano. L’arrivo di altri due
ospiti, Warren e Mannix ha creato solo un
po’ di disagio, spinto tutti ad attendere il
momento favorevole e prodotto, anche,
più di un diversivo.
La rivelazione di Warren di avere
ucciso il figlio del generale per vendicare
vecchi affronti razziali che infuocarono la
guerra di secessione sfocia subito nell’uccisione del generale stesso.
Tutti i film della stagione
Subito dopo del veleno messo nel caffè
dal cow-boy Cage elimina dalla scena John
Ruth e il conducente della diligenza negli
spasmi più atroci.
Warren, a questo punto, capisce chi
siano i suoi interlocutori e il piano da essi
architettato e dà inizio al bagno di sangue
in cui anche lui ha la peggio perchè Jody,
il fratello di Daisy, nascosto nel seminterrato, aveva dato da subito un contributo
alla sparatoria restando presto sul terreno.
L’emporio di Minnie è così un luogo
di morte, di sangue, di pezzetti di carne
umana sparsi sulle pareti: Warren e
Mannix, pur alla fine, impiccano Daisy e
danno corso alle ultime elucubrazioni sulla
fortuità dell’esistenza umana.
ifficile davvero fare il riassunto
della trama di un film di Tarantino
perché non ci si trova davanti a
una serie di azioni che possono essere
raccontate e descritte, ma di fronte a un
vulcano di menzogne, di stadi di claustrofobia, di disprezzo, di derisione, di oltraggio e
di violenza incatenati l’uno all’altro per dare
vita al più classico del “wodunit”: l’enigma
centrale che spiazza la soluzione della ragione per aprire scenari impensabili all’interno di una ristretta cerchia di personaggi
nel contesto di un ambiente, per i motivi
più vari, isolato. Così è difficile anche dare
ordine alla materia che, prepotente nella
sua mole e nel suo spessore, Tarantino ha
gestito per darci il suo film, il suo cinema.
Intanto la straordinarietà della scelta
tecnica di girare in Ultra Panavision 70,
massima esaltazione dello spazio orizzontale (anche se non più usato dal 1966...)
ma non eliminato del tutto visto che ci si è
affidato per alcune parti dei suoi film anche
l’esigentissimo Terrence Malik: se l’uso di
tale sistema sembrerebbe qui giustificato
dal grande abbraccio delle distese innevate del Wyoming nel cui centro avanza
la pennellata scura della diligenza col suo
carico infernale, bene, ci ha lasciato inizialmente interdetti il suo utilizzo nell’ambiente
interno della locanda.
Invece tale sistema è risultato subito
perfetto perchè ha permesso l’utilizzo
degli attori (perfetti anche loro), sia in
primo piano, sia sulle varie dimensioni
dello sfondo trascinando noi spettatori
lì con loro nel seguirli man mano che
montava la tensione psicologica e andavano composte le tessere che avrebbero
portato allo scioglimento del finale bagno
di sangue.
In questa composizione di partita a
scacchi, in cui non si perde di vista nessuno dei pezzi, Tarantino mette tutto il suo
amore per il passato (come ha raccontato
D
15
in tutte le sue interviste) e la sua fama di
collezionista vintage, di oggetti, immagini
e...archetipi.
Non manca nulla: le armi da fuoco,
pistole che superano il significato di utilizzo oggettistico per diventare un elemento
tematico, quasi un personaggio che dilata
la sua importanza nell’incarnare la sete
di sangue; banditi e fuorilegge che, privi
di eroismo, non rappresentano nessuno
se non la propria anarchia e la propria
violenza; l’isolamento della locanda e i
confini ben definiti, dove i protagonisti possono esprimere al meglio la loro bassezza
morale e tradurla in un incubo; la varietà
degli oggetti da general store, whisky,
caffè, caramelle, sigari e il relativo focolare,
coperte indiane, lampade a petrolio, ciotole
di stufato bollente, senza dimenticare la
regina di tutto, la diligenza, e potremmo
continuare ancora.
Così i personaggi: il nero che indossa
con visibile superbia l’uniforme blu dei
vincitori mentre il vecchio generale è
seduto, sempre, a portare il suo grigio
slabbrato vinto e battuto; non manca
naturalmente il boia, ma qui siamo in
pieno clima tarantiniano perchè ce ne
sono due, chi il vero chi il falso, così la
stranezza dello sceriffo senza stella, così
il “messicano” etc.
In questo modo, Tarantino mette tutto
sul piatto, non ha lasciato indietro niente,
come se avesse chiesto “banco” al suo
pubblico nello squadernare tutto il suo
collezionismo da frontiera.
Cosa ne fa di tutto questo?
Sono state scovate relazioni, individuate citazioni e riferimenti a tanti autori
e pezzi di cinema: Carpenter, Leone e
Sergio Corbucci, Elmore Leonard, “Dieci
piccoli indiani” e anche il teatro inglese di
Pinter e Aycbourne... noi pensiamo si tratti
solo di Tarantino.
I personaggi sono davanti a noi con
tutto il loro armamentario da frontiera,
parlano, parlano molto perchè con la
parola nascondono i fatti e sviano la consapevolezza dell’orrore, in cui non potrà
non sfociare il loro trovarsi lì; usano quello
che dicono per dire altro e per capire quello
che l’altro può essere, ma questo peggiora
la situazione che si ingarbuglia e rimanda
immagini deformate a specchio; il dialogo
si appesantisce e si lacera sempre di più
ipnotizzando lo spettatore in una melassa
da cui non capisce come potrà uscire. In
realtà, le parole sono propedeutiche ai
proiettili che diventano presto padroni del
campo ma hanno bisogno di un detonatore
per fare il loro dovere in una serie di accelerazioni improvvise: è la Daisy di Jennifer
Jason Leigh l’incarnazione della svolta
Film (straordinaria, meritatissima la candidatura
all’Oscar), è questa “femmina bastarda”
malmenata, pestata, offesa e ferita per
tutto il film, capace di mantenere dritta
la barra del suo piano folle e perdente e
contemporaneamente capace di trarre
atmosfere struggenti quando accompagna
alla chitarra una canzone country che sa
Tutti i film della stagione
di vecchio west a diventare figura centrale
a dispetto del suo entourage di uomini:
si accorge del veleno messo nel caffè,
provoca il suo carceriere ormai intossicato
a morte, gli spara, gli taglia un braccio
col machete per liberarsi delle manette,
getta in faccia a tutti il suo disgusto con il
volto lordo di sangue e finisce impiccata,
ballonzolante a una corda che i due ultimi
superstiti (ancora per poco) riescono con
fatica a issare.
È un vortice di personaggi, imbrogli,
oscenità, rabbia, risolutezza che diventano ambizione di raccontare una storia,
la Storia, senza pietà per nessuno, una
storia fatta di archetipi perchè l’archetipo
(di cui, come dicevamo, Tarantino è collezionista) è proprio questo: è un’immagine
di base universale che tutti riconosciamo
nel nostro inconscio collettivo e a cui ci
rapportiamo sempre.
Tarantino ce li dà tutti insieme nel
suo film con una grande capacità seduttiva sorprendendoci fino alla fine, perchè
dentro ogni elemento, ogni immagine del
suo film ci può essere il suo contrario e il
suo inganno o la verità riflessa di qualche
altro tema.
Alla fine del film, Tarantino ha raggiunto il suo scopo: non sappiamo se ci abbia
oltre che imbrigliato anche “imbrogliato”;
sappiamo che restiamo con quelle immagini perchè solo quelle possono essere
perchè sono quelle che abbiamo sempre
amato, sono le nostre.
Fabrizio Moresco
WOMAN IN GOLD
(Woman in Gold)
Stati Uniti, Gran Bretagna, 2015
Regia: Simon Curtis
Produzione: Origin Pictures, BBC Films
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 15-10-2015; Milano 15-10-2015)
Soggetto: tratto dalle memorie di E. Randol Schoenberg e
Maria Altmann
Sceneggiatura: Alexi Kaye Campbell
Direttore della fotografia: Ross Emery
Montaggio: Peter Lambert
Musiche: Martin Phipps, Hans Zimmer
Scenografia: Jim Clay
Costumi: Beatrix Aruna Pasztor
Effetti: Mark Holt, Angela Barson
Interpreti: Helen Mirren (Maria Altmann), Ryan Reynolds
(Randol Schoenberg), Daniel Brühl (Hubertus Czernin),
L
a vicenda della signora Maria
Altmann comincia a Los Angeles nel 1998. In occasione del
funerale della sorella parla del ritrovamento di alcune lettere di famiglia a una
sua amica, Barbara Schoenberg, che ha
un figlio avvocato, nipote del celebre
compositore Arnold Schoenberg. Randy,
questo il suo nome, ha fallito con il pro-
Katie Holmes (Pam Schoenberg), Tatiana Maslany (Maria
Altmann giovane), Max Irons (Fritz), Charles Dance
(Sherman), Antje Traue (Adele Bloch-Bauer), Elizabeth
McGovern (Richterin Florence Cooper), Jonathan Pryce
(Giudice Richter Rehnquist), Frances Fisher (Barbara
Schoenberg), Moritz Bleibtreu (Klimt), Tom Schilling
(Heinrich), Henry Goodman (Ferdinand), Olivia Silhavy
(Elisabeth Gehrer), Patti Love (Lizbet), Lisa Gornick (Sig.ra
Neumann), Nellie Schilling (Maria Altmann bambina), John
Moraitis (Brown), Josh Becker (Sig. Neumann), Joseph
Mydell (Giudice Clarence), Stephen Greif (Bergen), Rolf
Saxon (Stan Gould), Ludger Pistor (Wran), Justus von
Dohnànyi (Dreimann), Asli Bayram (Anna), Nina Kunzendorf
(Therese), Allan Corduner (Gustav)
Durata: 110’
prio studio legale a Pasadina e decide di
fare un colloquio in uno studio legale importante, lo Sherman, dove verrà assunto. Maria Altmann chiede così l’aiuto al
giovane e promettente avvocato, insieme
al quale scopre, dalla lettura di alcune
lettere di famiglia, di cinque dipinti di
famiglia rubati dai nazisti. Tra i dipinti
in questione c’è anche un famoso quadro
16
esposto al museo Belvedere di Vienna,
in cui viene raffigurata la zia di Maria,
Adele, ritratta da Gustav klimt e diventata simbolo nazionale dell’Austria. Randy
inizialmente ha però qualche difficoltà
dal momento che, come professionista,
non si è mai occupato di restituzione di
opere d’arte. Ben presto Maria consegna
a Randy dei documenti in cui c’è scritto
Film che nessuno conosce i contenuti del
testamento. Secondo l’idea del suo avvocato, l’anziana donna dovrebbe recarsi
a Vienna per richiedere il testamento e
fare domanda per una commissione, ma
lei non vuole tornare nella sua madrepatria e nella dimora di famiglia perché
legata a tristi ricordi. L’amico avvocato
ottiene un permesso di una settimana
dallo studio per accompagnarla e lascia
la moglie Pam e la figlia piccola a casa.
Partiti dalla California, una volta giunti
nella capitale austriaca, conoscono un
giornalista investigativo di nome Hubertus. Una volta lì, alla mente di Maria
riaffiorano ricordi del suo passato: di
quando viveva con la madre, il padre, la
sorella e gli zii nella stessa casa fino al
giorno in cui, con l’ascesa del nazismo,
vennero messi agli arresti domiciliari.
Nessun austriaco poteva lasciare il Paese
e fortunatamente lei riuscì a fuggire con
il suo sposo Fritz in America, grazie a
una loro conoscenza. Intanto a Vienna
tutti i beni della famiglia Bloch-Bauer
furono sequestrati e usati dalla èlite
nazista. Questa era parte del suo doloroso passato, così nei giorni trascorsi
a Vienna Maria e Randy continuano a
documentarsi sulla vicenda. Qualche
giorno dopo, nell’archivio del museo,
trovano un documento firmato dalla zia
Adele, in cui dichiarava di lasciare, una
volta deceduta, i quadri al museo. Solo
più tardi si scopre che in realtà i dipinti
in questione appartenevano allo zio Ferdinand, deceduto successivamente alla
moglie; inoltre il documento firmato da
Adele non era né un testamento né qualcosa di ufficiale. Lo zio morì nel 1945
mentre il quadro con il ritratto della zia
di Maria arrivò al museo nel 1941 quindi
non era stato lui a decidere quella determinata collocazione. Così, insieme, i due
fermano il sig. Rudolph Wran, membro
della commissione austriaca per la restituzione dei beni, che li liquida poco dopo.
Per tutto il tempo che il quadro era stato
esposto nel museo con il titolo “Woman
in gold” era stata celata l’identità del
soggetto ritratto, un dipinto appartenente
alla loro famiglia ebrea austriaca della
quale in questo modo ne veniva rubata
la dignità. Maria e Randy nella loro
ricerca diventano affiatati anche perché
accumunati dalle stesse origini: al museo
dell’Olocausto Randy si commuove nel
ricordare di aver perso dei suoi cari, i
bisnonni, durante il nazismo. Sconfortati
i due tornano in California e passano
nove mesi. In questo arco di tempo deci-
Tutti i film della stagione
dono di far causa al governo austriaco
per non aver tutelato la memoria della
famiglia della signora Altmann. Intanto
Randy si licenzia dal lavoro per seguire
questa mission mentre la moglie Pam è
incinta del secondo figlio, Nathan. Così
per il processo viene coinvolto uno studio
legale ebreo esperto nei casi di restituzione d’opere che sospetta che l’azione
legale di Maria e Randy non valga perché non retroattiva. Al contrario, Randy
vince dimostrando in realtà che la loro è
applicabile a prima del 1976. Decidono
così di portare avanti la loro causa in
America perché i tribunali in Austria
costano troppo e la difesa li minaccia
di portarli in Corte Suprema. Passano 6
mesi e a Maria viene proposto di essere
affiancata dal miliardario imprenditore
Ronald Lauder e dal suo esperto legale,
ma lei rifiuta. La sua avventura è iniziata
con Randy ed è con lui che intende portarla a termine. Così i due si scontrano
in Corte Suprema contro Stan Gould del
museo Belvedere di Vienna. Passano altri
quattro mesi e Maria e Randy tornano ad
essere oggetto di un processo ancora più
difficile, quello dell’arbitrato a Vienna; il
giovane avvocato non ha ancora perso le
speranze ma Maria non vuole più andare
avanti con la causa. Alla fine, incredibilmente, vincono, Maria ottiene i dipinti
di famiglia e il direttore del museo gli
richiede un compromesso ma lei glielo
nega ancora una volta. Nonostante la
vittoria legale, il suo malessere continua.
(Ci sono ancora 100.000 opere trafugate
dai nazisti attualmente in attesa di tornare ai legittimi proprietari. 68 anni dopo
i dipinti presi dai nazisti, il ritratto di
Klimt è alla galleria Neue a New York,
acquistato da Lauder. Con il ricavato
Randy si è aperto uno studio specifico per
i casi di restituzione di opere d’arte e ha
finanziato il museo dell’olocausto a New
York. Maria ha donato nel suo testamento
i quadri a parenti e opere di carità).
oman in gold di Simon Curtis,
già regista di Marilyn, ripropone in chiave originale alcune
ripercussioni della dittatura nazista in
Europa. Una nuova pellicola, in cui il genocidio degli ebrei è l’argomento contenitore dove al centro della vicenda c’è una
famiglia ebrea austriaca e benestante.
Nucleo fondamentale è l’arte, quella di
Gustav Klimt, dopo che già The monuments Men e Francofonia affrontavano
il tema di beni artistici perduti durante i
totalitarismi. Tratto da una storia vera,
W
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(interessanti i dati che vengono dati
alla fine insieme alle immagini dei personaggi reali della vicenda) e partendo
dal toccante romanzo autobiografico
dell’avvocato Schoenberg, il film nasce
da un documentario dal titolo ‘Stealing
Klit’ e trasmesso sulla BBC. Il distributore
di Philomena Harvey Weinstein ha fiutato
anche in questo caso una occasione
d’oro con la sceneggiatura di Woman
in Gold. Una pellicola sulla memoria
e sulla giustizia in cui la protagonista
lamenta che “le persone dimenticano,
soprattutto i giovani”. Sul filone dei buddy
movie, Maria e Randy scoprono il loro
legame attraverso questa storia di dipinti
da legal thriller. Ottima l interpretazione
dei due protagonisti, soprattutto Helen
Mirren con la sua ironia, la sua tenacia
ma anche la sua sofferenza di fronte ai
ricordi del passato presentati attraverso
l’alternanza con le sequenze della sua
giovinezza. La storia corre quindi su due
filoni temporali diversi, forse a tratti non
ben amalgamati. Un film classico per
struttura, regia e fotografia, connotato
dalle belle ambientazioni e dai colori
intensi. La rivalsa di giustizia della donna
è in primo piano nella pellicola ma accanto a questa sono altri gli interrogativi
posti su questo aspetto, come quando
il giudice si domanda quanto sia giusto
applicare la giurisdizione per uno scopo
così particolare, o come, oltre al dramma
personale, emerga il passato doloroso
di una nazione. Il regista sembra con la
sua opera condannare fermamente la
nazione austriaca e appoggiare quella
americana. Discorso intenso quello di
Randy sulle due tipologie austriache:
quelli che vogliono rinnegare il passato
al seguito dei nazisti e coloro i quali
riconoscono vecchi sbagli. A incarnare
questo dualismo, è, ad esempio, Hubertus, austriaco alla ricerca della verità,
ma al contempo figlio di un seguace
del Terzo Reich come anche lo stesso Simon Curtis­, britannico di origine
ebreo-polacca. Importante oltre agli altri
elementi chiave il discorso sull’identità.
Aldilà della sottrazione dei quadri, non ne
è stata riconosciuta per anni la potestà a
questa famiglia tra le tante ingiustamente
e volontariamente cancellate dalla storia.
La restituzione del bene non è importante
perché fine a se stessa, bensì perché
vive in funzione del ricordo, per mantenere viva la memoria di qualcosa che
purtroppo è andato perso per sempre.
Giulia Angelucci
Film Tutti i film della stagione
BLACK SEA
(Black Sea)
Gran Bretagna, 2014
Regia: Kevin MacDonald
Produzione: Charles Steel, Kevin MacDonald, Jane Robertson, Alasdair Flind per Coeboy Films, Etalon Film
Distribuzione: Universal Pictures International
Prima: (Roma 16-4-2015; Milano 16-4-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Dennis Kelly
Direttore della fotografia: Christopher Ross
Montaggio: Justine Wright
Musiche: Llan Eshkery
Scenografia: Nick Palmer
Costumi: Natalie Ward
I
l capitano Robinson ha lavorato
per undici anni per la compagnia
di recupero relitti Agorà e sono 30
anni che è pilota di sottomarini. Prima
dell’ultimo impiego, aveva lavorato in
Marina ma non andava d’accordo con alcuni colleghi; per questo venne licenziato
perdendo così anche sua moglie Chrissy
(dalla quale è separato) e suo figlio.
Così l’ex pilota si incontra con due suoi
amici: Blackie e Kurston. Quest’ultimo,
anche lui senza più un lavoro, consiglia
a Robinson un modo per far soldi. Nel
Mar Nero è inabissato un sottomarino
nazista con all’interno un tesoro in lingotti d’oro. Nel 1941 la Germania nazista
stava attraversando un crollo finanziario
e la Russia temeva di essere invasa. Così
Hitler sfruttò questa paura per chiedere
alla Russia un prestito di 80 milioni
di marchi. L’Unione Sovietica accettò
di pagare, ma la Germania procedette
comunque all’invasione perché il sottomarino con i lingotti d’oro non arrivò
mai. Attualmente il sottomarino si trova
al confine tra Russia e Georgia, si tratta
di un U-Boot sulle dorsali georgiane a
pochi metri dalla superficie. I Russi non
sanno dove sia, mentre i Georgiani non
ne conoscono la posizione. La Agorà da
un punto di vista burocratico non può
fare nulla per recuperare questo relitto,
devono occuparsene loro clandestinamente. Così Daniels porta Robinson e
Blackie da un imprenditore; per questa
spedizione a loro serve un sottomarino da
circa 180 mila dollari e un equipaggio di
uomini britannici e sovietici. Se l’incasso
sarà di 40.000 dollari l’imprenditore
vuole il 40% mentre se è maggiore richiede il 20% in più. Robinson così pensa a
un equipaggio di 12 uomini, metà inglesi
e metà russi e pensa di poter scendere in
profondità con dei sommozzatori. Intanto
Effetti: Union Visual Effects, Colin Gorry Effects
Interpreti: Jude Law (Capitano Robinson), Scoot McNairy
(Daniels), Tobias Menzies (Lewis), Grigoriy Dobrygin
(Morozov), Ben Mendelsohn (Fraser), Jodie Whittaker
(Chrissy), David Threlfall (Peters), Konstantin Khabenskiy
(Blackie), Sergei Puskepalis (Zaytsev), Michael Smiley
(Reynolds), Sergey Veksler (Baba), Sergey Kolesnikov
(Levchenko), Bobby Schofield (Tobin), Branwell Donaghey
(Gittens), Karl Davies (Liam), Daniel Ryan (Kurston)
Durata: 115’
Kurston, l’amico che gli aveva proposto
l’affare, si è tolto la vita. Al suo posto
verrà coinvolto un giovane ragazzo
inesperto di nome Tobin. Il sottomarino
inizia il suo viaggio a Sebastopoli in Crimea. Dopo aver messo a punto qualche
problema tecnico del mezzo, il capitano
tiene a ribadire che ogni uomo a fine
missione avrà la sua parte. Il macchinista inglese Fraser è un attaccabrighe,
non intende mangiare quello che viene
preparato dai russi e per difendere Tobin
accoltella Blackie, interprete a bordo e
amico di Robinson. Così il sottomarino
comincia ad avere delle avarie, ha un
impatto abbastanza forte in seguito al
quale i sopravvissuti, grazie alle preziose
auscultazioni di Baba, cercano di capire
dove si trovano. Robinson scopre che
anche Morosov capisce l’inglese e può
fare da nuovo interprete. Per fortuna si
ritrovano dalla parte giusta della dorsale, mandano Fraser, Tobin e Peters
come sommozzatori. Questi trovano il
sottomarino nazista con all’interno l’oro. Dal relitto prendono anche l’albero
di trasmissione per sostituirlo al loro,
danneggiato poco prima e al cui interno
mettono l’oro; così il pezzo da sostituire
per il sottomarino diventa pesantissimo
e nel trascinarlo Peters finisce in uno
sprofondo e muore. Al sottomarino non
è rimasta tanta carica nella batteria e se
risalgono subito in superficie verranno
catturati: Daniels infatti confessa al
capitano che in realtà l’imprenditore era
un attore, si tratta di una truffa e l’oro
se lo prenderà l’Agorà. Così il capitano
decide di rischiare per portare l’equipaggio e l’oro al sicuro. Gli altri uomini
dicono che il bottino abbia dato in testa
a Robinson che decide di attraversare
uno stretto canyon.Al contrario Daniels
vuole che il sottomarino risalga in su18
perficie all’istante per paura di morire
e così istiga Fraser a uccidere Zaytsev,
l’uomo ai motori. Così il macchinista
inglese esegue e per un guasto prima al
motore e poi in altri parti del sottomarino, questo va a picco. Il mezzo comincia
a imbarcare acqua, Tobin viene messo in
salvo da Robinson. Alla fine rimangono
in vita solo Robinson, Tobin e Morosov.
Il capitano confessa solo in quel momento che ci sono delle tute di salvataggio,
Morosov si arrabbia con Robison chiedendogli perché non lo abbia detto mai prima
all’equipaggio di averle. La motivazione è
che sono solo tre. Così alla fine si salvano
solo Tobin e Morosov aiutati dal capitano
che decide di morire nel sottomarino e
riempire la terza tuta, la sua, con l’oro.
ono passati quasi 10 anni dal
1997, quando James Cameron
fece uscire nelle sale il colossal
Titanic. Si trattava di una storia d’amore e
del triste epilogo di una nave da crociera
per il suo fatale impatto con un iceberg.
È così che, nel rivedere per questo Black
Sea il sottomarino in missione che imbarca acqua, si riprova lo stesso senso di
angoscia provata con il Titanic. Si tratta
di due film completamente differenti, ma
con tratti comuni. Jack e Rose nell’amarsi
hanno vissuto e condiviso lo stesso dramma a bordo della nave, mentre qui alla
mente del capitano Robinson affiorano
bei ricordi della moglie e del figlio ormai
distanti. Anche nel Titanic il capitano
aveva osato accelerare l’andatura del
mezzo per arrivare prima. Robinson, nel
buio totale degli abissi e dell’anima umana, sfida il destino su vari fronti: il mezzo
all’inizio non è in ottimo stato e mette
insieme un equipaggio misto, sperando
in una loro collaborazione. Il suo scopo è
quello di regalare un futuro migliore a tutti
S
Film quegli uomini, ma in maniera piuttosto
rischiosa. In fondo tre sono i cardini che
muovono il vecchio sottomarino russo:
l’istinto incarnato da Fraser, la lucida
macchinosità di Daniels e la speranza
incarnata da Robinson. Stupisce la tenacia del personaggio interpretato da
Jude Law ed è tenera la sua relazione
con Tobin, verso il quale nutre un senso
di protezione quasi paterna. Un bel film
d’avventura con inquadrature mozzafiato
che, insieme all’assenza di suoni e a
un crescente pathos, tiene con il fiato
Tutti i film della stagione
sospeso. Sempre in agguato è il sentimento di avidità e di lotta per la sopravvivenza dove mors tua vita mea e il fine
giustifica i mezzi. Con uno sceneggiatore
proveniente dalle serie televisive (Dennis
Kelly, autore di Utopia) e un regista come
Kevin Macdonald, che mantiene sempre
evidente la sua vena documentaristica,
Black Sea ha vinto con pieno merito
l’ultimo festival di Courmayeur, muovendosi tra thriller marinaro e claustrofobico
kammerspiel. Ottima anche la scelta del
doppiaggio, una fotografia magistrale
con un uso della luce che accompagna
la graduale drammaticità della vicenda,
in un’ambientazione claustrofobica che
aiuta a tenere ritmo e azione altissimi. Il
capitano Robinson mette insieme i migliori
in campo tecnico per quel che riguarda la
guida di un sottomarino ma non riesce a
tenere a freno la disperazione di questi
uomini, per i quali ha deciso di intraprendere questa avventura, ma che segnerà,
allo stesso tempo, il loro fatale destino.
Giulia Angelucci
POINT BREAK
(Point Break)
Stati Uniti, 2015
Regia: Ericson Core
Produzione: Andrew A. Kosove, Broderick Johnson, John
Baldecchi, David Valdes, Christopher Taylor, Kurt Wimmer
per Alcon Entertainment, Studio Babelsberg, DGM Entertainment, Ehman Productions, Warner Bros.
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 27-1-2016; Milano 27-1-2016)
Soggetto: Rick King, W. Peter Iliff, Kurt Wimmer
Sceneggiatura: Kurt Wimmer
Direttore della fotografia: Ericson Core
Montaggio: Thom Noble, Jerry Greenberg, John Duffy
Musiche: Tom Holkenborg
J
ohnny Utah è un appassionato
di sport estremi, dalle sfide sul
surf, alle scalate a mani nude,
al parapendio etc; un giorno, dopo aver
perso un carissimo amico durante un lungo
percorso di motocross nei deserti dell’Arizona, Johnny si ritira e passa lunghi anni
a studiare e prepararsi un futuro. Entra
così nell’FBI e viene subito scelto per una
difficile impresa grazie al suo passato di
primatista sportivo.
Un gruppo di atleti estremi capeggiati
da Bodhi è infatti ritenuto responsabile
di alcune spettacolari rapine avvenute
nell’ultimo periodo come avere sparso
al vento un’enorme quantità di denaro
contante trasportato da un aereo, o restituire a un villaggio africano i diamanti
grezzi portati via da una multinazionale
dei preziosi.
Il piano dei ladri Robin Hood comincia
ad apparire sempre più chiaro: riuscire a
compiere tutte le “Otto prove di Ozaki”
(termine di fantasia utilizzato per definire
le prove più difficili create da Ozaki, atleta ambientalista) che costituiscono un
terribile percorso atletico sportivo teso
all’illuminazione spirituale.
Scenografia: Udo Kramer
Costumi: Lisy Christl
Effetti: Spin VFX, Spectrum Effects Inc., Image Engine Design
Interpreti: Édgar Ramírez (Bodhi), Luke Bracey (Johnny
Utah), Teresa Palmer (Samsara), Delroy Lindo (Istruttore
Hall), Ray Winstone (Pappas), Matias Varela (Grommet),
Clemens Schick (Roach), Tobias Santelmann (Chowder),
Laird John Hamilton (Surfista vagabond), Nikolai Kinski
(Pascal Al Fariq), Judah Lewis (Johnny Utah ragazzo),
Frank Richartz (Ono Osaki), Bojesse Christopher (Chapman,
Direttore FBI)
Durata: 114’
Johnny riesce a entrare nel gruppo
degli spericolati che, nonostante conoscano la sua provenienza dall’ FBI, pure
lo accettano, rispettosi delle sue capacità
e della sua aspirazione di tendere verso
l’infinito. Sarà proprio questa ossessione a
distruggere le vite di tutti che soccombono
nel portare a termine le prove di Ozaki.
Sopravvive Johnny, accettato in pieno nelle
file dell’FBI, ma non felice per la mancanza
di avversari di livello con cui misurarsi
per conquistare traguardi al limite delle
possibilità umane.
o, effettivamente non si sentiva la
mancanza del remake dell’omonimo film diretto da Kate Bigelow
nel 1991: quello era davvero un film di culto
che univa lo spunto e l’interesse del thriller
sopra le righe (i rapinatori usavano nelle
loro azioni le maschere degli ex presidenti
USA) con la bellezza d’incanto delle onde
oceaniche cavalcate da splendidi attori
allora nascenti nella loro carriera (Swayze
e Keanu Reeves), il tutto condito da una
spruzzata di suggestione filosofica.
Qui invece il thriller praticamente non
c’è, è solo un pretesto per dare il via alla
N
19
narrazione che si perde poi nel corso
del film per riaffiorare distrattamente
alla fine.
Così, mentre la storia non incide, i
personaggi superficialmente delineati non
contano, gli attori si rivelano debolissimi,
grande spazio è affidato a uno spropositato
approfondimento filosofico che comprende
la difesa ecologica, la lotta alle multinazionali del consumo, il controllo della
meditazione per tendere alla illuminazione
improvvisa e definitiva.
Su tutto domina l’impresa fisica dell’uomo a disposizione delle leggi di natura: dalla scalata a mani nude delle Angels Falls
venezuelane, allo sfrecciare delle tavole
da surf sulle onde del Maui hawaiano, al
wing suit (volo con tute da lancio alare) a
duecento all’ora tra le gole di una catena
montuosa, allo skyboard tra ghiacciai e
picchi innevati.
Tutto questo, pur costituendo una
sequenza di bellezza da mozzare il fiato,
non ci regala un film peraltro reso vano
dalla inutilità dei dialoghi e dalla pochezza
degli attori.
Fabrizio Moresco
Film Tutti i film della stagione
UNA VOLTA NELLA VITA
(Les héritiers)
Francia, 2014
Regia: Marie-Castille Mention-Schaar
Produzione: Marie-Castille Mention-Schaar, Pierre Kubel per
Loma Nasha Films, Vendredi Film, TF1 Droits Audiovisuels,
UGC Images, France2 Cinéma, Orange Studio
Distribuzione: Lucky Red
Prima: (Roma 27-1-2016; Milano 27-1-2016)
Soggetto e Sceneggiatura: Ahmed Dramé, Marie-Castille
Mention-Schaar
Direttore della fotografia: Myriam Vinocour
Montaggio: Benoît Quinon
Musiche: Ludovico Einaudi
N
ella periferia sud-est di Parigi
c’è il liceo Léon Blum, crogiolo
di numerose etnie che appartengono a differenti confessioni religiose. Al
liceo, in particolare, c’è una seconda classe multiculturale litigiosa e indisciplinata
che crea problemi al preside e al corpo
docente. Solo la professoressa di storia
e geografia Anne Gueguen pare essere in
grado di farsi ascoltare dai ragazzi. La
classe è ritenuta senza speranza: agitata,
rissosa, piena di ragazzi arroganti quanto
insicuri e va alla deriva nell’indifferenza di
tutti. Finché Anne, tornata a scuola dopo il
lutto della madre, non propone ai ragazzi
di partecipare al Concorso nazionale della
Resistenza e della Deportazione. Per modificare lo stato di passività la docente sceglie proprio la seconda esplosiva, anziché
la classe gemella più disciplinata e diligente, per partecipare al concorso. L’adesione
è volontaria e il tema non è semplice: “I
Scenografia: Anne-Charlotte Vimont
Costumi: Isabelle Mathieu
Interpreti: Ariane Ascaride (Anne Gueguen), Ahmed Dramé
(Malik), Noémie Merlant (Mélanie), Geneviève Mnich
(Yvette), Stéphane Bak (Max), Wendy Nieto (Jamila), Aïmen
Derriachi (Said), Mohamed Seddiki (Olivier/Brahim), Naomi
Amarger (Julie), Alicia Dadoun (Camélia), Adrien Hurdubae
(Théo), Raky Sall (Koudjiji), Amine Lansari (Rudy), Koro
Dramé (Léa), Xavier Maly (Preside)
Durata: 105’
bambini e gli adolescenti ebrei nel sistema
concentrazionario nazista”. Gli allievi
sulle prime lo rifiutano come si trattasse di
qualcosa di troppo ostico e lontano da loro.
Poi, però, accettano la sfida la cui posta,
più che il premio ufficiale, è l’autostima.
L’insegnante, contrariamente al preside
e agli altri insegnanti, decide di dare fiducia ai suoi alunni, tentando di vincere
l’apatia, il disinteresse, la conflittualità e
l’individualismo che li contraddistinguono.
Quello che essi dovranno fare è esprimere
con i loro mezzi e a modo loro i fatti tragici
della Shoah, mettendo sotto osservazione
la terribile realtà vissuta dai bambini e
dagli adolescenti deportati. Dopo le prime
ritrosie, tutti i componenti della classe iniziano a provare un reale e acceso interesse
per l’argomento, rimanendone ovviamente
anche molto colpiti. C’è chi sceglie di partire dai libri scritti sulla Shoah, chi dai film
e dai documentari, chi dagli archivi delle
20
foto o dai fumetti. Nonostante i contrasti
e le diversità, cominciano tutti a poco a
poco a collaborare gli uni con gli altri per
l’adempimento del progetto, riuscendo a
costruire un’opera fatta di immagini, di
testi e testimonianze varie. Fondamentale
ed emozionante per i ragazzi risulta oltre
che la visita nei memoriali, l’incontro con
un sopravvissuto al campo di Auschwitz.
L’esperienza ha un impatto indelebile: gli
alunni divisi in gruppi riescono a coinvolgere anche i più difficili ed emarginati.
Il bel lavoro fatto li porta all’insperata e
meritata finale a Parigi. Qui risulteranno
i vincitori del Concorso, ma, soprattutto,
saranno finalmente motivati e coesi dal
punto di vista umano.
na volta nella vita, che in francese si intitola, in modo forse più
accurato, Les héritiérs, gli eredi,
è un film basato su un episodio reale, che
dovrebbe entrare di diritto nei programmi
scolastici. Certo la forma cinematografica
non è innovativa, ma c’è un momento preciso che decreta la vittoria della pellicola
sul rischio di scivolare nel cliché, ed è il
momento in cui l’ex deportato Léon Ziguel
parla al gruppo di attori e comparse,
tutti studenti. In quel momento, girato in
un’unica ripresa, la finzione che struttura
il film e la realtà storica che lo sostanzia
raggiungono la simbiosi e la classe si apre
ad annettere il pubblico tutto. È proprio
uno dei protagonisti della vicenda, Ahmed
Dramé (che nel film interpreta Malik), ad
aver portato in giro la storia che aveva
letteralmente cambiato la vita a lui e ai
suoi compagni, in cerca di un regista in
grado di capirla, finché è arrivato a MarieCastille Mention-Schaar, che ha risposto
all’appello sceneggiando con lui il film.
La scuola, origine e destinatario ideale
di questo lavoro, è ritratta, con ottimismo
U
Film e speranza, come il luogo possibile della
trasmissione, non solo del sapere, ma ancor più del saper imparare. Perché è questo che sono i giovani, musulmani, ebrei
o cattolici che siano: eredi della memoria,
che nel film raccolgono e fanno proprio il
giuramento dei prigionieri sopravvissuti
nel campo di Buchenwald, pronunciato
nel 1945. Impegnarsi a testimoniare e
a non permettere la cancellazione del
ricordo di quello che è stato e che oggi
tendiamo troppo spesso a dimenticare.
Il film fornisce anche il prezioso spunto
per innescare una riflessione non banale
sull’immagine, laddove si segnala che nessuna immagine è innocente. L’esistenza di
classi problematiche è purtroppo una realtà, in particolare quando ci si trova nelle periferie degradate delle grandi città. Ci sono
insegnanti che non ce la fanno e gettano
la spugna. Ancor prima di parlare di date
e fatti storici bisogna entrare nelle ruvide
realtà di quei ragazzi, toccarle con mano.
E l’insegnamento delle varie materie dovrebbe vertere più che su sterili nozioni
su un apprendimento basato sul dialogo
e sulla discussione, atti a far riflettere e
conseguentemente maturare gli studenti.
Non tutti gli insegnanti mettono lo stesso
impegno e dedizione della professoressa
Gueguen; purtroppo nella maggioranza
Tutti i film della stagione
dei casi una scuola di questo tipo risulta
un’utopia e non tutti i docenti sono dotati
di così larghe vedute e, soprattutto, buona
volontà e amore per il proprio lavoro. Qui la
professoressa insegna a opporre alle parole irrispettose e inaccettabili un silenzioso
rispetto. Quando, nel museo dell’Olocausto, sono le ragazze stesse a dire con un
fil di voce che hanno deciso di trattenersi,
che l’altro impegno è rimandabile, si
capisce che lo scopo è stato raggiunto.
Spiegare a una classe di adolescenti
francesi la più grande tragedia della Storia
non è un’impresa semplice, soprattutto
quando si cerca di stimolarli invitandoli a
farsi testimoni, attraverso un percorso di
rivisitazione della memoria. La sfida nasce
allora dalla raccolta e ricostruzione dei fatti
in questione; ma ciò che provoca una forte
commozione nei giovani ascoltatori sono
le parole dell’ex deportato che, con semplicità, arrivano dritte ai loro cuori. E poi,
torna la questione, molto spesso affrontata
dal cinema francese contemporaneo,
della convivenza delle diversità culturali
che abbondano nel tessuto sociale. Il
concorso diviene proprio il collante per
tenere insieme armoniosamente quelle
differenze, che tanto spesso degenerano
in conflitto. Come testimonia il prologo
iniziale che tristemente mette in scena
l’incompatibilità tra la legge francese e
l’identità culturale in materia di velo sul
capo delle donne. Una ragazza si è recata
al Liceo per l’attestato di maturità, ma
non le viene concesso di entrare perché
non ha tolto il velo. Le viene chiesto di
rispettare la legge e il principio di laicità,
ma lei vorrebbe seguire ciò che sente non
essendo più studentessa di quell’istituto.
La regista non prende le parti, riporta
la vicenda come un occhio esterno che
riprende il tutto. Sono interessanti anche
gli scorci realistici della vita di studenti e le
dinamiche intransigenti e a volte violente
di ragazzi sbandati, che crescono soli, o
non sufficientemente considerati. Peccato
siano solo accennati e non approfonditi
troppo. Una volta nella vita è un film che
colpisce per la forza pedagogica e umana
che emana, senza scadere nella falsa
retorica. Ma soprattutto il film trasmette
efficacemente il messaggio, citando
anche Primo Levi, che la memoria è una
ricchezza da tramandare e per la cui
perpetuazione è necessario coinvolgere
i giovani. Ariane Ascaride, nei panni della
professoressa Gueguen, supera la finzione e dà vita a un’interpretazione intensa
e credibile.
Veronica Barteri
HITMAN: AGENT 47
(Hitman: Agent 47)
Stati Uniti, 2015
Regia: Aleksander Bach
Produzione: Dune Entertainment, 20th Century Fox Film Corporation
Distribuzione: 20th Century Fox
Prima: (Roma 29-10-2015; Milano 29-10-2015)
Soggetto: Skip Woods
Sceneggiatura: Skip Woods, Michael Finch
Direttore della fotografia: Ottar Gudnason
Montaggio: Nicolas de Toth
Musiche: Marco Beltrami
Scenografia: Sebastian T. Krawinkel
atia è la figlia di Piotr Litvenko,
uno scienziato genetista inventore di esseri con fattezze
umane ma senza sentimenti, progettati
per essere dei perfetti assassini. Questi
soggetti, denominati “Agenti” vengono
presi in custodia dalla ICA (International
Contracts Agency) quando il Programma
Agenti viene chiuso; questo progetto sperimentale infatti, una volta avviato, fu interrotto per il pentimento di Litvenko e la
sua conseguente scomparsa. Tra gli agenti
K
Costumi: Bina Daigeler
Effetti: Infinite Studios, Industrial Light & Magic, Mokko
Stdio
Interpreti: Rupert Friend (Agente 47), Zachary Quinto
(John Smith), Hannah Ware (Katia van Dees), Ciarán Hinds
(Litvenko), Thomas Kretschmann (Le Clerq), Dan Bakkedahl
(Sanders), Rolf Kanies (Dott. Delriego), Jerry Hoffmann
(Franco), Mona Pirzad (Moglie di Litvenko), Helena Pieske
(Katia piccola), Johannes Suhm (Litvenko giovane), Emilio
Rivera (Fabian)
Durata: 85’
assassini creati, uno va controcorrente, è
contro il programma che sta ripartendo
per creare nuovi agenti e il suo nome è 47,
le ultime due cifre del marchio che porta
sulla sua nuca fin dalla nascita. Il suo fisico è capace di resistere a sforzi immani, è
instancabile, veloce, resistente ed è dotato
di acuta intelligenza. Katia invece vive a
Berlino, scopre di avere il potere di fare
premonizioni future su chi le sta intorno ed
è alla ricerca di qualcuno che poi scoprirà
essere il padre. Inizialmente 47 le dà la
21
caccia perché gli è stato commissionato
di ucciderla. Un uomo di nome John
Smith protegge la ragazza sin dall’inizio
e viene ucciso (apparentemente) da 47.
Questo da piccolo ha assistito al tentato
omicidio del padre di Katia, conquistando
così la sua fiducia per trovare insieme
lo scienziato Litvenko. Così 47, durante
le loro fughe, consiglia alla ragazza di
evitare di essere ripresi dalle telecamere.
Anche Katia con i suoi poteri paranormali
scopre di essere un agente e di chiamarsi
Film 90. Quello che prima era il protettore di
Katia, John Smith, ora si rivela un nemico
in cerca del padre. Katia e 47, per cercare
l’inventore, si recano, per una intuizione
della ragazza, a Singapore. 47 comunica
ad altro agente, Diana, l’informazione
che Litvenko si trova a Singapore. Una
volta raggiunta la meta, Katia parla con
il padre che dice di averla abbandonata
per lasciarla libera (inoltre lei gli chiede
perché da bambina l’abbia modificata
trasformandola in un agente). Durante il
loro colloquio, si scopre che il padre ha un
cancro ai polmoni e che Hitman e Katia
sono fratelli. Intanto Antoine Le Clerq,
direttore dell’organizzazione Syndicate,
l’azienda promotrice del nuovo progetto
agenti, vorrebbe creare un esercito di soldati perfetti geneticamente modificati. Lui
è il capo dei cattivi, al cui seguito ritroviamo il traditore Smith. Anche quest’ultimo
è stato creato da Litvenko, ma appartiene
a una razza bastarda, invidiosa di 47.
Per proteggere Katia e 47, lo scienziato
viene ferito e chiede ai due figli di essere
lasciato alle torture di Le Clerq il quale
vuole conoscere la formula per creare gli
agenti. 47 propone un accordo a Le Clerq:
in cambio del padre gli consegnerà Katia
che ha il suo stesso DNA. L’aereo con a
bordo Le Clerq e Litvenko esplode e la ragazza si sente tradita, ma il fratello agente
le spiega che è stata usata come diversivo
per uccidere Le Clerq, rendendola libera.
Così in un colpo di scena finale, si scopre
Tutti i film della stagione
che 47 ha un suo sosia alleato con Diana,
la malvagia agente giapponese.
e mi fate passare questo “bisticcio
di parole” dirigere dei film tratti da
videogiochi non è un “gioco da
ragazzi”. A parte qualche caso sporadico,
questo curioso genere cinematografico non
ha mai goduto di particolare fortuna. Già nel
2007 il regista Xavier Gens aveva portato
sul grande schermo il personaggio di Hitman con Hitman –L’assassino e nel cast
una star come Olga Kurylenko. Stavolta,
in una coproduzione tra Germania e Stati
Uniti, la sceneggiatura è di nuovo affidata
a Skip Woods ma il risultato è nettamente
peggiore. Forse per via della prima regia
cinematografica del regista Aleksander
Bach, dai trascorsi nell’ambito pubblicitario
che lasciano segni evidenti nel film, o forse
per un Rupert Friend poco convincente nei
panni dell’assassino senza emozioni, questo reboot di Hitman si presenta come un B
movie che ricorda un po’ alla lontana Matrix
e Terminator, ma con una forte componente
stealth, facendo omaggio allo spirito del
videogioco. La bellissima e carismatica
femme fatale Hannah Ware non basta a
tenere alto il livello del cast, soprattutto dei
villain la cui espressività è pari a zero. L’ottimo score di Marco Beltrami e la fotografia
di Óttar Guðnason (la scena più bella da un
punto di vista estetico è quella della scala
bianca) non riescono a salvare la predominante componente action, già vista e rivista,
S
con qualche sprazzo di inspiegabile splatter. Questo survival action movie poteva
sfruttare di più l’ambientazione tedesca a
Berlino e Potsdam e quella di Singapore e
non riscuoterà successo neanche tra i fan
del videogioco perché non ne conserva gli
elementi chiave. La sceneggiatura è troppo
macchinosa e poco ben studiata per rendere la trama un minimo intrigante (Katia
dal nulla, a un tratto, intuisce che il padre
si trova a Singapore, oppure 47 si ostina a
sparare a John se ha già sperimentato che
così non muore), alcune trovate imbarazzanti come quella dell’inalatore lasciato da
47 a un padre malato di cancro, in un film
carico di dialoghi che vorrebbero risuonare
come filosofici ma finiscono col diventare
ridicoli; ci si interroga sulla natura umana
(“Non puoi combattere ciò che sei”, “Le
nostre azioni determinano ciò che siamo”
ripetono con poca originalità entrambi i
protagonisti), sui sentimenti (come quando
Katia chiede a 47 se sia umano o no), sul
futuro dell’umanità (con Le Clerq che vuole
un esercito, ma non di pace, in cui bisogna
scegliere tra il sentimento e il dovere). I due
colpi di scena presenti nella pellicola non
funzionano a sufficienza perché non sono
ben preparati. Non che uno si aspetti con
questo Hitman un filmone da Oscar però,
ecco, costruiamo un action più convincente,
ma, soprattutto, le riflessioni filosofiche ed
esistenziali lasciamole a qualcun altro.
Giulia Angelucci
IRRATIONAL MAN
(Irrational Man)
Stati Uniti, 2015
Regia: Woody Allen
Produzione: Gravier Productions, in associazione con Perdido Productions
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Prima: (Roma 16-12-2015; Milano 16-12-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Woody Allen
Direttore della fotografia: Darius Khondji
Montaggio: Alisa Lepselter
Scenografia: Santo Loquasto
Costumi: Suzy Benzinger
Effetti: Alex Miller
A
be Lucas, un professore di
filosofia che si trova in un
momento delicato, essendo
incapace ormai di dare un senso alla sua
vita o di trovare alcuna gioia in essa, si
trasferisce nel Rhode Island per insegnare
nel college Brailyn. Appena arrivato, fa
la conoscenza di Rita Richards, collega
Interpreti: Joaquin Phoenix (Abe Lucas), Emma Stone (Jill
Pollard), Parker Posey (Rita), Jamie Blackley (Roy), Etsy
Aidem (Madre di Jill), Ethan Phillips (Padre di Jill), Geoff
Schuppert (Nat), Nancy Villone (Eve), Ben Rosenfield
(Danny), Gary Wilmes (Hal), Sophie von Haselberg (April),
Susan Pourfar (Carol), Kate Flanagan (Becky), Alex Dunn
(Mel), David Aaron Baker (Biff), Michael Goldsmith (Mark),
Meredith Hagner (Sandy), Kate McGonigle (Elle), Brigette
Lundy-Paine (Jane), Tamara Hickey (Ms. Leonard), Robert
Petkoff (Paul)
Durata: 95’
sentimentalmente insoddisfatta con cui
inizia una relazione e di Jill Pollard, una
studentessa che con cui allaccia subito
un’amicizia che diviene sempre più complicità. Anche se Jill è già fidanzata con
Roy, col passare dei giorni è sempre più
coinvolta nel cinismo del suo professore.
Jill ama il suo fidanzato, ma è attratta
22
anche dalla tormentata personalità e dal
fascino maudit di Abe.
Dopo qualche tempo, comincia però a
notare qualcosa di più leggero in lui. Un
giorno, mentre sono in un bar, Abe e Jill
ascoltano per caso la storia di una donna che
è sul punto di perdere l’affidamento dei figli
per colpa di un giudice, Thomas Spangler.
Film Abe ha un’illuminazione: deve fare
qualcosa per aiutare quella donna. Il
professore trova all’improvviso una nuova ragione di vita nell’impegnarsi a fare
giustizia, decidendo di eliminare Spangler.
Inizia così a seguirlo tutti i giorni mentre
fa jogging e mette a punto il suo piano. Un
giorno, si siede nella panchina accanto a
lui mentre fa una pausa dalla sua corsa
e scambia la sua bibita con una identica
ma piena di cianuro. Il giudice muore.
Tempo dopo, una serie di coincidenze e
indizi vengono alla luce e Jill intuisce che
dietro all’omicidio c’è proprio la mano di
Abe. La ragazza arriva a farlo confessare. Sulle prime, Jill accetta per amore di
coprirlo, ma quando si viene a sapere che
un innocente è stato accusato del delitto,
minaccia di denunciarlo se non si costituirà. Abe, che nel frattempo aveva accettato
di partire per l’Europa con Rita, da sempre
attratta da lui, capisce quindi che l’unico
modo di uscire dalla sua grave situazione
è eliminare anche Jill. Il professore segue
quindi la ragazza nel palazzo dove prende
lezioni di piano e manomette l’ascensore.
Poi si presenta sul pianerottolo all’uscita
della lezione e, fingendo di volersi scusare
con lei, aggredisce Jill per farla cadere
nel vuoto della cabina dell’ascensore. Ma,
durante la colluttazione Abe scivola su una
piccola torcia, vinta da Jill ad un gioco a
premi durante una loro uscita al Luna Park
e caduta dalla borsa della ragazza, e precipita nel vuoto. Il professore paga così per
il suo crimine grazie alla punizione data
dal caso e dalla fortuna della scelta apparentemente casuale di Jill (che avrebbe
potuto scegliere altri premi al luna park).
oody e il senso della vita,
Woody tra la vita e la morte,
la menzogna e la verità, il
caso e la giustizia, Woody e tutti i suoi
temi più classici insomma, ancora una
volta. Tra le tante sfumature di colore con
cui questi temi sono stati declinati nei suoi
numerosissimi film, questa è la volta del
nero, anche se nascosto sotto la patina
di commedia.
In questo caso a giocare con la sua
partita con il beffardo destino è un professore di filosofia incarnato da Joaquin
Phoenix che si trova in un momento delicato, incapace ormai di dare un qualsiasi
senso alla sua vita.
Allen e la filosofia, un legame antico,
sin dai tempi dei suoi primi film e dei suoi
saggi (nel suo primo libro “Saperla lunga”
il regista gli dedica un divertente capitolo
dal titolo “La mia filosofia”, dove il regista
passa ironicamente da Kierkegaard, a
Cartesio, a Leibniz).
W
Tutti i film della stagione
In Irrational Man (titolo altamente significativo) il grimaldello usato per scandagliare gli infiniti dubbi dell’uomo sul senso
della vita è proprio la filosofia (e non è un
caso che il film si apra con una citazione
kantiana). La convinzione del protagonista
Abe del fatto che la filosofia non risponda
a nessuna delle domande della vita reale
è frutto della presa di coscienza (squisitamente alleniana) del dolore e della
bruttezza dell’esistenza e delle debolezze
della gente. Persone intrappolate in vite insoddisfacenti (come Rita, la professoressa
di scienze) e che vivono tra poche luci e
molte ombre.
Abe ha qualcosa di profondamente
sbagliato (e la giovane studentessa Jill
non tarda ad accorgersene), ma ecco
la svolta decisiva, l’evento che può
cambiare le cose: una conversazione
ascoltata per caso, altro tema già trattato
dal cinema alleniano (Un’altra donna per
citarne uno).
La decisione di agire trasforma il protagonista da persona depressa e senza
scopi in un uomo esuberante ed energico.
Ma l’azione che Abe sta per compiere è
irrazionale, un atto morale e ‘giusto’ solo
a suo modo di vedere.
Come in Sogni e delitti e Match Point
ecco tornare il dualismo delitto-castigo,
ma anche quelle scelte morali che si
intrecciano con i quesiti sentimentali. La
differenza è che questa volta si gioca sul
terreno della black comedy ambientata in
un campus universitario di una piccola città
della East Coast.
È vero, i temi sono gli stessi di tanto
cinema alleniano, ma è l’occhio nuovo con
cui vengono visti a colpire, una leggerezza
(di forma e di sostanza) che ricopre tutto:
23
questa volta il delitto ha il suo castigo,
questa volta il destino riserva una giusta
risposta, questa volta non sono pessimismo e cinismo a vincere.
Con Irrational Man Allen torna a compiere un piccolo miracolo, avvolgendo tutto
in una forma leggera e snella, facendo
della casualità il tema forte attorno a cui
ruota il film. Scrittura sempre di alto livello,
riprese avvolgenti, attori in stato di grazia
(un Joaquin Phoenix ingrassato e strepitoso e una Emma Stone eterea e ispirata), il
film è una piccola perla, di quelle che Allen
non sfornava da anni.
Una serie di fatti accidentali dettano
le conseguenze della vita e della morte.
Ma non è un mistero che Allen abbia confessato di credere molto “nella casualità
senza senso dell’esistenza” e questa volta
i fatti seguono un percorso che aveva già
tracciato in Match Point (ma con uno scarto
decisivo).
“Tutti noi viviamo soggetti a una fragile
contingenza di vita. Sapete, serve soltanto
una svolta sbagliata per strada…” una battuta che è una vera dichiarazione di poetica
a cui nulla c’è da aggiungere.
La storia dell’uomo irrazionale di
Woody, professore di filosofia nichilista e
disilluso, può insegnarci molto, può dirci
che nella vita (che è commedia e tragedia
insieme) è sempre l’ironia della sorte a
condurre la mano del gioco. Ma proprio
per questo, il mondo è davvero (in qualche caso) in grado di prendere la strada
più giusta, magari passando attraverso
quelle “lezioni dolorose” che, come dice
la protagonista femminile, non si possono
imparare dai libri.
Elena Bartoni
Film Tutti i film della stagione
BIG GAME – CACCIA AL PRESIDENTE
(Big Game)
Finalandia, Germania, Gran Bretagna, 2014
Regia: Jalmari Helander
Produzione: Subzero Film Entertainment, Altitude Film Entertainment, Egoli Tossell Film, in associazione con Visionplus
Fund I, Ketchup Entertainment, Waterstone Entertainment,
Head Gear Films, Metrol Technology, Film House Germany,
Bavaria Film Partners
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 25-6-2015; Milano 25-6-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Jalmari Helander
Direttore della fotografia: Mika Orasmaa
Montaggio: Likka Hesse
F
inlandia. Un giovane ragazzo di
nome Oskari viene mandato da solo
dal padre Tapio, uno dei più grandi
cacciatori del paese, nella foresta per superare
il rito di iniziazione per diventare cacciatore.
Intanto William Allan Moore, il Presidente
degli Stati Uniti, sta viaggiando su un Air
Force 1 verso Helsinki per partecipare ad
una conferenza per il G8. La sua fedele guardia del corpo e capo della Sicurezza, Morris,
si è guadagnato la fiducia del presidente
rischiando la vita per lui in passato con una
pallottola ancora incastrata nel suo petto.
Intanto un gruppo di terroristi guidati da Hazar, dopo aver fatto atterrare con l’inganno
un elicottero per il trasporto di cacciatori di
fauna selvatica, raggiunge la vetta di un monte da dove poter sparare i propri missili con
l’obiettivo di colpire l’aereo presidenziale. Di
lì a breve l’Air Force 1 subisce quest’attacco
e intanto dal Pentagono cercano di risolvere
l’emergenza aerea chiamando come esperto
di attentati il prof. Herbert; a ragionare sul
da farsi ci sono anche il vicepresidente degli
USA e la direttrice della CIA. Intanto Morris
è riuscito a mettere in salvo il Presidente
dentro una capsula di salvataggio lanciata
dall’aereo, tutti i membri dell’equipaggio si
lanciano con il paracadute ma solo Morris si
salva. Questo perché è la guardia del corpo
l’infiltrato che il Pentagono sta ricercando
dopo aver ipotizzato essere il responsabile
dell’ attentato. Il Presidente, durante la notte, una volta atterrato con la sua capsula,
conosce Oskari che lo aiuta a fuggire. Così
Moore scopre chi è il traditore e che è alleato
al gruppo di Hazar. In un primo momento,
Morris e Moore si fronteggiano in vetta poi
è la volta del terrorista che non uccide subito
il presidente, ma lo chiude dentro una cella
frigorifera che sarà legata all’elicottero dei
terroristi. Sarà Roger, questo il nome dato dal
presidente al bambino, a liberarlo. La cella
finisce attraverso un fiume nell’oceano fino
Musiche: Miska Seppä, Juri Seppä
Scenografia: Christian Eisele
Costumi: Mo Vorwerck
Effetti: Scanline VFX
Interpreti: Samuel L. Jackson (Il Presidente), Onni Tommila
(Oskari), Ray Stevenson (Morris), Victor Garber (Vice Presidente),
Felicity Huffman (Direttore CIA), Jim Broadbent (Herbert),
Mehmet Kurtulus (Hazar), Ted Levine (Generale Underwood),
Erik Markus Schuetz (Stanley), Jean-Luc Julien (Clay), Jason
Steffan (Dexter), Jaymes Butler (Otis), Jorma Tommila (Tapio)
Durata: 90’
a raggiungere l’Air Force precipitato. I due
a nuoto, una volta liberatisi da dove erano
stati rinchiusi, si nascondono nell’aereo ma
vengono trovati da Hazar, che viene ucciso
dal presidente. Il terrorista aveva precedentemente attivato una bomba che esplode solo
dopo che i fuggitivi hanno lasciato l’aereo
attraverso dei sedili volanti collegati ad un
paracadute. Intanto al Pentagono, il vicepresidente degli USA e il consigliere il prof.
Herbert si consultano. Il pubblico scopre
così inaspettatamente che fin dall’inizio i
due sono in accordo con il gruppo dei terroristi; per paura di essere scoperti il prof.
Herbert fa fuori il vicepresidente. L’esercito
americano arriverà in tempo per arrestare
tutti i finlandesi, ritenuti responsabili del
rapimento di Moore, quando Tapio trova che
il figlio coraggioso ha salvato il Presidente
degli Stati Uniti d’America. A Oskari viene
conferita la medaglia d’onore.
uesta co-produzione tra Finlandia,
Gran Bretagna e Germania parte
da un’idea di base piuttosto originale del regista finlandese Jalmari Helander.
Inno agli anni ‘80 – ‘90 e al filone complottista
e tratto dal romanzo omonimo di Dan Smith,
Big Game è un film di poche pretese. A
quattro anni dal fanta-horror Trasporto eccezionale - Un racconto di Natale (2010), la pellicola riporta sugli schermi lo stesso ragazzo,
nipote del regista, il protagonista tredicenne
Onni Tommila. Nella nostra epoca, che ha
acquisito nel linguaggio di uso quotidiano
la dimensione dell’attentato, l’amicizia tra il
Presidente e un giovane ragazzo si rivelerà
molto preziosa. Oskari deve diventare per
volere del padre un cacciatore, mentre la
comunità ha dubbi sulla bravura del ragazzo
e che sia in grado di dare la caccia; alla fine
finisce col diventare insieme al sig. Moore
oggetto di caccia. Così il giovanotto diventa
la sua guardia del corpo, riscattandosi alla
Q
24
fine con il resto della comunità. Sullo sfondo di un doppio complotto, “Riteniamo sia
l’attentato terroristico più grave dopo l’11
Settembre” e con un doppio effetto a sorpresa, la pellicola sembra avere la pretesa
di voler comunicare che la vera minaccia può
essere nascosta tra i nostri amici e alleati;
per questo viene più volte ribadito durante il
film che i terroristi non sono legati a nessuna matrice né ideologica, né religiosa. Una
scelta piuttosto originale per un attentato dai
toni “leggeri” che pur in questa dimensione di
irrealtà e di fiction funziona. Nel complesso
Big game - caccia al presidente è un film
discreto, non impegnativo, che si apre con
grandi panoramiche iniziali e tratteggiato
dallo humor ‘nero’ e da una scarsa caratterizzazione dei personaggi, lasciando perlopiù
spazio all’azione. Le parti che funzionano
meglio sono quelle caratterizzate dall’ironia,
anche se, a volte infatti si scivola un po’ nella
retorica. Aldilà di qualsiasi civiltà e cultura, in
questa vicenda ci si trova a dover affrontare
una sfida alla sopravvivenza in cui si incontrano due individui dai mondi estranei. Tantissime le citazioni da E.T. a Indiana Jones,
passando per The Karate Kid; ad esempio,
i combattimenti sono molto più veritieri che
in altri film. Bel cast tra cui il protagonista
Samuel L. Jackson, Ray Stevenson, il bravo
Onni Tommila, Victor Garber (Titanic) e Jim
Broadbent. In questa pellicola non si riesce
a capire quale sia l’intento del regista che
mischia vari generi tra cui anche l’avventura
per ragazzi. Un action un po’ trash e dalle
sfumature da B-movie che, nonostante il
budget limitato, risulta di buona qualità. La
traduzione del titolo, il grande gioco, sembra
suggerire allo spettatore un qualcosa che
poteva andare oltre alle solite tematiche
americane della natura e del patriottismo.
Ma anche questo fa parte del gioco.
Giulia Angelucci
Film Tutti i film della stagione
DIO ESISTE E VIVE A BRUXELLES
(Le tout nouveau testament)
Belgio, Francia, Lussemburgo, 2015
Regia: Jaco van Dormael
Produzione: Jaco van Dormael, Olivier Rausin, Daniel Marquet per Terra Incognita Films, Après le Déluge, Caviar
Films, Climax Films, Juliette Films, in co-produzione con
Juliette Films, Orange Studio, Vido et RTBF, BNP Paribas
Fortis Film Finance, Belga Productions
Distribuzione: I Wonder Pictures
Prima: (Roma 26-11-2015; Milano 26-11-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Thomas Gunzig, Jaco van
Dormael
Direttore della fotografia: Christophe Beaucarne
Montaggio: Hervé de Luze
Musiche: An Pierlé
Scenografia: Sylvie Olivé
D
io esiste.
Vive a Bruxelles, è una
persona come un’altra anzi
peggio di altre, odioso, vigliacco, vendicativo, pessimo marito, ha una moglie obesa,
casalinga allo stremo, che per difendersi da
lui si è autotrasformata in un essere dallo
stupore catalettico e zero interessi tranne
la sua amatissima collezione di figurine.
Anche come padre Dio vale molto
poco; il primo figlio se ne è andato presto
lontano da lui per dedicarsi alla predicazione e morire in modo atroce. Ora è la
figlia Éa che si ribella e, per vendicarsi di
questo padre padrone e dei suoi soprusi,
mette a soqquadro i dati del conputer da
cui dipendono i destini del mondo rivelando a tutti la data della propria morte e
quindi fugge da casa in cerca di conoscenza ed esperienze.
Éa conosce subito Victor, barbone
onesto e smaliziato nello scegliere i resti
validi da mangiare nei cassonetti della
spazzatura: con Victor, nominato scrivano
ufficiale, Éa si prefigge di scrivere un nuovo
“Nuovo Testamento” che tenga conto delle
esigenze, delle aspirazioni e delle paure
della gente di oggi.
Così, il disastro della conoscenza
della propria morte si trasforma, per tutti
i personaggi che Éa incontra nel rendere
più concreto e più vero il restante pezzo
di vita che manca, dandogli finalmente
quel significato che fino a quel momento
nessuno era stato in grado di dare.
Succede anche che la moglie di Dio,
durante le faccende domestiche, stacchi la corrente del computer per usare
l’aspirapolvere e che la successiva riattivazione della linea web produca poi
l’azzeramento di tutti i dati compreso
Costumi: Caroline Koener
Effetti: Digital Graphics
Interpreti: Pili Groynen (Éa), Benoît Poelvoorde (Dio),
Catherine Deneuve (Martine), François Damiens (François),
Yolande Moreau (Moglie di Dio), Laura Verlinden (Aurélie),
Serge Larivière (Marc), Didier de Neck (Jean-Claude), Romain
Gelin (Willy), Marco Lorenzini (Victor), Anna Tenta (Xenia, la
tedesca), Johan Heldenbergh (Il prete), David Murgia (Gesù
Cristo), Gaspard Pauwells (Kevin), Bilal Aya (Philippe), Johan
Leysen (Il marito di Martine), Domenique Abel (Adamo), Lola
Pauwells (Eva), Sandrine Laroche (Catherine), Louis Durant
(Marc a 9 anni), Jean Luc Piraux (Il papà di Willy), AnnePascale Clairembourg (La mamma di Wily)
Durata: 113’
quello della morte di ognuno che morirà
quando sarà il momento, per tutti sconosciuto, ma non ora.
Contemporaneamente Dio che si era
messo in caccia della figlia viene scambiato per un extracomunitario e respinto nel
suo Paese uzbeco a fabbricare lavatrici.
È proprio giusto il tocco pittorico di
fiori e colori sul finale, avviato e gestito
dalla mamma casalinga al massimo della
propria fantasia.
ondamentale, naturalmente, è
il plot narrativo di base, cioè la
conoscenza da parte di tutti della
data della propria morte. Il fatto permette,
al regista Jaco Van Dormael di dare corso
a una serie di conseguenze tragiche, comiche ed esilaranti, condite da una forte
dose di imprevedibilità che colora con
forti pennellate la varietà di reazione degli
esseri umani.
F
25
La gestione registica, a tratti spensierata, a tratti spassosa, talvolta con pretese
di approfondimento psicologico e sociale
che lascia perplessi, ma subito virato in
burla e in nonsense si attesta quasi subito
su un alto tasso di surreale da cui non
scende più. Il tutto è poi inzeppato di velleità femministe, meditazioni dissacratorie
e spruzzate pseudoculturali di notazioni
intellettualistiche.
È mancato molto però a tutto questo: è
mancata la capacità di trasformare il gran
calderone di elementi e trovate in divertimento, mentre tutta la sua follia e la sua
forza dissacratoria, in più di un momento
inutile e incomprensibile, lascia perplessi,
interdetti e impossibilitati a partecipare
alla complicità del gioco, appesantito e
stralunato dal tasso debordante dell’impostazione surreale.
Fabrizio Moresco
Film Tutti i film della stagione
IL VIAGGIO DI ARLO
(The Good Dinosaur)
Stati Uniti, 2015
Regia: Peter Sohn
Produzione: Pixar Animation Studios, Walt Dsney Pictures
Distribuzione: The Walt Disney Company
Prima: (Roma 25-11-2015; Milano 25-11-2015)
6
5 milioni di anni fa un meteorite
ha mancato il suo bersaglio e sulla
Terra non si sono estinti i dinosauri. Tra le tante specie ci sono i sedentari
Apatosauri Papo Harry e Mami Ida che
abitano vicino al monte Zanna di Lupo e si
prendono cura della loro fattoria. Danno
loro una mano i figli Buck, Libbi e Arlo.
Ognuno ha un compito nella tenuta, l’insicuro Arlo dovrebbe dar da mangiare alla
galline ma ha paura. Oltre alle mansioni
quotidiane, l’intera famiglia di Apatosauri
deve metter via le provviste per l’inverno.
All’esterno della struttura dove c’è la riserva di cibo, il papà decide di far mettere
le impronte di ciascuno solo quando viene
portata a termine una grande impresa.
Solo Arlo, per il suo carattere, non riesce
a metterla mai. Un giorno papà Harry,
vedendo il figlioletto in difficoltà nel compiere una qualche impresa eroica, decide di
affidargli un compito importante: scoprire
e uccidere il ladruncolo di provviste. Con
impegno Il piccolo dinosauro fa la guardia
alla preziose riserve alimentari, quando un
giorno scopre che il furfante di provviste
è un piccolo umano. Prova a spaventarlo
ma è Arlo ad aver paura e così la fa avere
vinta ancora una volta al brigante. Ma il
papà non accetta che il figlio sia stato così
debole da non aver saputo dargli la caccia.
Così lo porta aldilà del loro podere verso il
monte, ma una tempesta improvvisa li coglie
in cammino. C’è una forte alluvione che
porta via tutto alberi, terra dove papà Harry
morirà mettendo in salvo il suo cucciolo.
Così Arlo si ritrova solo e lontano dalla
casa, perso dopo essere stato trascinato
dalla corrente; l’unica cosa che il papà gli
aveva detto prima di morire era che, per
tornare, avrebbe dovuto seguire il fiume. Nel
tentativo di tornare a casa incontra nuovamente il piccolo indigeno, lo chiama Spot
e insieme si aiutano l’un l’altro. Spot non
parla ma lo difende da ogni pericolo come
dice ad Arlo il saggio Silvano lo Sciamano,
uno Stiracosauro che vive nella foresta e che
che porta sulle sue corna altri animali per
farsi consigliare tra cui: Furia un saltafango
che lo protegge dagli animali che strisciano
Soggetto: Peter Sohn, Erik Benson, Meg LeFauve, Kelsey
Mann, Bob Peterson
Sceneggiatura: Mag LeFauve
Musiche: Mychael Danna, Jeff Danna
Durata: 100’
di notte, Attila un fennec che lo protegge
dagli insetti, Melogramo un ceratogaulo
che lo protegge dal prefissarsi obbiettivi
irraggiungibili e Derby un uccellino rosso
che gli fa da consigliere. Così, aiutandosi
a vicenda e collaborando, i due diventano
grandi amici. Aldilà dei pericoli ambientali,
i cuccioli vengono minacciati da un branco
di pterosauri guidati da Tonitrus, il quale fa
loro una lezione di vita su come si affronta
una tempesta. Questo, insieme a Nubifragio
e Tormenta, comincia a inseguire Arlo e
Spot, quando questi vengono salvati da due
fratelli tyrannosauri, Ramsey e Nash. Poco
dopo, i due piccoli avventurieri conoscono
anche il loro papà, Butch, che chiede loro
una mano a ritrovare la loro mandria
di bisonti giganti e a liberarla da alcuni
furfanti, dei perfidi Velociraptor guidati da
Bubbha. Una volta scampato il pericolo,
Butch e i suoi figli raccontano le loro storie
coraggiose ad Arlo e al suo amico Spot.
In cambio del loro prezioso aiuto contro
i velociraptor, Butch accompagna i due
compagni di avventura nelle vicinanze di
casa. Quando i due sono vicini alla meta,
Spot viene rapito da Tonitrus. Arlo riesce
a salvare l’amico e a rimettersi con lui
in viaggio. Una volta in prossimità della
fattoria, Spot ritrova la propria famiglia.
Così i due amici si separano e Arlo torna
dai suoi fratelli e dalla sua mamma, questa
volta mettendo anche la propria orma sulla
costruzione delle provviste.
l nuovo capolavoro della Disney Pixar
prende spunto dal classico Il re leone
(1994) e il più recente L’era glaciale
(2002). Ancora una volta la resa grafica
della pellicola è stupefacente come anche
i colori dello scenario naturalistico. Del
primo film citato, la scena della morte del
padre di Simba Mufasa, con il passaggio
degli gnu, ricorda molto la morte del papà
di Arlo, Harry, durante l’alluvione; altra
scena molto simile comune alle due pellicole è quella in cui compare il fantasma
del padre ai due piccoli animali. Il rapporto
padre figlio e la sua analisi è, in entrambi
i casi, solo l’incipit di queste pellicole, in
I
26
cui la famiglia ha un ruolo molto importante: sia quella di origine sia quella che
si acquisisce per amore nel nostro viaggio
della vita. È così che succede ad Arlo e al
selvaggio Spot, che comunicano in maniera non convenzionale e si comprendono
in un linguaggio non verbale. A proposito
dell’amore per la famiglia, sono strappalacrime in particolare due scene: quella in cui
i due rappresentano la propria famiglia con
dei pezzi di legno e un cerchio a terra e si
comunicano l’un l’altro di aver subito delle
perdite e quella quella finale in cui Arlo
deve lasciar andare via il proprio amico che
ha ritrovato la sua famiglia e ripropone il
cerchio a terra con cui si erano aperti l’un
l’altro sui loro preziosi legami affettivi. Una
scena che ricorda L’era Glaciale quando
Manny, Sid e Diego, al termine della loro
avventura, devono restituire il piccolo
uomo alla propria famiglia; il messaggio
importante trasmesso è di quell’amore
vero per il quale, dopo essersi occupato di
qualcuno, lo si lascia andare per il proprio
bene. Perché, in fondo, nel viaggio di Arlo
ciascun animale racconta la propria filosofia di vita (come ad esempio lo stormo dei
pterosauri per i quali “La tempesta è una
festa”), in un immaginario completamente
ribaltato. Basti pensare che gli Apatosauri
fanno una vita stanziale e che la parte dei
buoni viene lasciata ai tirannosauri, che
in altri film ad ambientazione preistorica
fanno sempre la parte dei cattivi per eccellenza. I tirannosauri, in particolare la
figura di Butch, saranno con il loro affetto
e il loro atteggiamento protettivo una nuova
famiglia per i due piccoli. Durante la pellicola quindi si valorizzano le diversità di
ciascun animale, con il proprio carattere,ad
eccezione di Arlo che in questo non viene
compreso dal padre. Da una parte c’è la
volontà di insegnare a un figlio la durezza
della vita ma, dall’altra, c’è anche una
mancata accortezza nel capire i diversi
tempi di un essere vivente. Un obiettivo,
quello dell’impronta, che viene raggiunto
dal protagonista più tardi dei propri fratelli,
in un processo di maturazione del tutto
personale ma non per questo meno bello.
Film L’amore più grande, quello che sconfigge
le paure, è quello che istintivamente porta
Spot, con reminiscenze del Mowgli di Il
libro della giungla, a prendere in simpatia
il piccolo dinosauro. In questo tripudio di
valori importanti e buoni sentimenti, non
Tutti i film della stagione
mancano scene esilaranti come quella in
cui si prende l’insetto che viene suonato
come fosse un flauto di Pan o come il
personaggio di Silvano lo Sciamano. Il
Viaggio di Arlo è un coinvolgente film sulla
complessità del crescere e del diventare
grandi in cui si scopre che “non puoi liberarti della paura ma puoi resisterle”, perché
è solo superando le proprie paure che si
scopre la bellezza che ci sta intorno.
Giulia Angelucci
ASSOLO
Italia, Francia, 2015
Regia: Laura Morante, Daniele Costantini (Collaborazione alla
regia)
Produzione: Luigi Musini, Olivia Musini, Renato Ragosta per
Cinemaundici e Elafilm
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Prima: (Roma 5-1-2016; Milano 5-1-2016)
Soggetto e Sceneggiatura: Laura Morante, Daniele Costantini
Direttore della fotografia: Fabio Zamarion
Montaggio: Esmeralda Calabria
Musiche: Nicola Piovani
Scenografia: Luca Merlini
U
na stanza con vari uomini vestiti
di nero, la scena di un funerale
di una donna. Presenti tutte le
figure maschili che hanno fatto parte della
sua vita. La voce fuori campo di Flavia,
una cinquantenne con due matrimoni falliti
alle spalle e due figli, commenta un sogno
con la sua psicanalista. Flavia è una donna
fragile e insicura, è sempre alla disperata
ricerca del consenso e dell’affetto delle
persone che la circondano. Incapace di
separarsi emotivamente dai suoi ex mariti
Gerardo e Willy, da cui in parte dipende
economicamente, vivendo in una casa che
è sua solo per il venti per cento, Flavia
intesse rapporti amichevoli anche con le
loro nuove compagne, Giusi e Ilaria, che
considera molto più risolte di lei. In questa
famiglia allargata, Flavia è però sempre
sola, incapace di raggiungere qualsiasi
obiettivo per lei davvero importante. Prova
da tempo a prendere la patente di guida, ma
con scarsi risultati. È iscritta a un corso di
tango, ma nessuno la invita mai a ballare.
Un senso di inferiorità presente in lei fin
dall’infanzia, la costringe a dipendere
dalle persone a causa di una patologica
insicurezza. Nel tempo si è costruita una
rete malsana di rapporti che le ha donato
un falso senso di protezione e sicurezza.
Neanche le amiche che ha accanto, Evelina e Valeria, entrambe succubi dei propri
compagni, sono un gran modello. L’unica
che sembra comprenderla è la sua psicologa, che non la giudica, ma anzi cerca
di scuoterla e di darle una direzione. Nel
silenzio sentimentale Flavia trova un po’
di affetto nella cagnolina dei vicini, che
Costumi: Agata Cannizzaro
Interpreti: Laura Morante (Flavia), Piera Degli Esposti
(Dott.ssa Grünewald, psicanalista), Francesco Pannofino
(Gerardo), Lambert Wilson (Michele), Marco Giallini (Mauro),
Donatella Finocchiaro (Evelina), Angela Finocchiaro
(Valeria), Antonello Fassari (Istruttore di guida), Gigio Alberti
(Willy), Emanuela Grimalda (Giusi), Carolina Crescentini
(Ilaria), Eugenia Costantini (Giovanna), Edoardo Pesce
(Istruttore di guida anni 90), Giovanni Anzaldo (Nicola, figlio
di Gerardo), Filippo Tirabassi (Stefano, figlio di Willi)
Durata: 97’
sembra darle attenzioni, senza pretendere
nulla in cambio. Al contrario di Mauro, il
collega di lavoro, che tenta un approccio
rozzo e sbrigativo. Tutte le sue amiche sono
più sicure e disinibite di lei e, soprattutto,
hanno una sessualità libera e amano il
proprio corpo. Invece Flavia è “antica”
come le dicono i figli, anche quando goffamente, con tanto di manuale, approccia
all’autoerotismo. Tra incidenti di percorso,
inseguimenti e scoperte impara che nessuna donna è perfetta e che l’autostima e
la libertà tanto inseguite erano proprio li,
a portata di mano. La verità gliela mette
sotto il naso la psicanalista, offrendole la
possibilità di uscire da quelle porte che
l’hanno sempre imprigionata. A quel punto
Flavia riprende in mano la sua vita, prende
la patente, una nuova macchina rosso fuoco, il cane e finalmente sarà lei a scegliere
l’approccio con un uomo.
aura Morante, alla seconda prova
come regista e autrice, affiancata
nella sceneggiatura dall’ex marito
Daniele Costantini, prosegue il discorso
iniziato con Ciliegine, costruendo un’altra commedia che sembra riprendere il
cinema francese e quello di Woody Allen.
Assolo, come spiega la protagonista, è una
composizione, o parte di essa, eseguita da
un solo esecutore, isolato da una massa
corale o strumentale. Laura Morante scrive
e dirige la storia di una donna che come
tante è diversa dalle altre, imperfetta. Ma
proprio dall’imperfezione nasce quella
normalità. Pensato, scritto e diretto dalla
regista, Assolo è l’esperienza realistica,
L
27
ma anche molto onirica di una donna. Il
racconto parte prendendo di petto il tema
della morte, che sottende l’intera storia e riguarda quasi tutti i personaggi, descritto in
una sequenza onirica tra Fellini e Sorrentino. La morte infatti è un punto di partenza,
perché al suo cospetto il tempo stringe, le
opzioni si riducono e quelle che restano
sono quelle che contano. E il tempo, anche se poco, può bastare, se lo si usa per
andare in avanti, invece che guardare indietro all’infinito. Fidanzati, matrimoni falliti,
amanti sposati, la vita di Flavia è costellata
di uomini complicati e problematici, da cui
la protagonista dipende completamente,
anima e corpo, debole di fronte alle insidie
della quotidianità, incapace di reggere il
confronto con il restante genere femminile.
Sempre insicura, inadeguata a sostenersi
con le proprie gambe, Flavia è l’emblema
dell’irrilevanza che l’individuo può sentire
nei riguardi della sua esistenza; così tremendamente sola, sia nella condizione vitale sia nella dimensione sentimentale, ha
il bisogno costante di un surrogato affettivo
maschile al fianco. La vita che le si è creata
tutta intorno è disseminata di dinamiche
destabilizzanti dovute ai matrimoni con
i precedenti mariti, nonché all’“amicizia”
con le loro attuali mogli e dal timore del
crudele giudizio esterno. Incompresa dagli
altri, ma soprattutto da sé stessa, i giorni
passano per la protagonista: tramite piccoli
traguardi, che siano il riuscir a prendere
la patente o la compagnia di una dolce
cagnetta, Flavia alla fine si riscatta da un
mondo dal quale si sente pesantemente
schiacciata, colmando un vuoto interiore,
Film senza sentire la necessità di qualcosa o
di qualcuno. In una storia di maturazione
la protagonista, a cinquant’anni, deve
imparare a scegliere, invece di aspettare
di essere scelta. Le serate di tango, le
uscite disastrose con inadeguati compagni, le innumerevoli sedute di psicanalisi
in cui sogno e realtà si intrecciano con
nevrotica frenesia segnano un percorso di
crescita all’insegna dell’introspezione e del
lavoro su se stessi. Sono infatti le stesse delusioni e gli ostacoli incontrati nel percorso
che renderanno più forte ed indipendente
la protagonista. Flavia capirà che non è
possibile amare una donna che non ama
sé stessa. Analizzate le peggiori paure delle
donne, dall’inadeguatezza sessuale allo
scoraggiamento dovuto al confronto con
l’universo donnesco fino all’impossibilità
di cavarsela da sole, il film offre immagini
drammatiche e mortificanti non solo grazie
alla protagonista, ma aggiungendo personaggi di cui pochi dovrebbero sentirsi fieri:
un’amica abbandonata ed ancora succube
Tutti i film della stagione
di un amore finito, un’estetista sessuomane e perversa, una fidanzata possessiva,
una moglie traditrice, quadretto dal quale
si salva solo la dottoressa Grünewald, la
psicologa, giusta e sensata. Interessante
la ripresa della terapia del “Gioco della
Sabbia” di Dora Kalff, una modalità psicoterapeutica a orientamento psicanalitico
che si basa su una forma di lavoro pratico
e creativo: la costruzione di una serie di
rappresentazioni immaginarie all’interno
della relazione analitica, con un contenitore
di sabbia e una serie di oggetti in miniatura.
Attraverso l’uso degli oggetti nello spazio
circoscritto della sabbiera, il paziente costruisce una serie di rappresentazioni con
la finalità di rappresentare il proprio mondo
interiore inconscio, intraprendendo un
viaggio simbolico-immaginativo attraverso
le immagini della propria psiche. L’autrice si
regala un autoritratto pieno di grazia e ironia, mai beffardo o crudele, poco incline ai
patetismi e ai compiacimenti vittimisti. Ne
emerge un’antieroina che vorrebbe vivere
a “Paperopoli” e che legge il manuale di
autoerotismo. È impossibile non voler bene
alla sua Flavia e non immedesimarsi nelle
sue paure ed incertezze, che sono quelle di
qualsiasi donna che attraversa il presente
incespicando nei suoi errori passati e, in
qualche modo, resta in piedi, che aspira a
uscire dal coro, ma non osa l’assolo per
paura di stonare. Al centro della storia c’è
una tematica fondamentale della nostra
epoca: il concetto di solitudine, distinta tra
condizione di vita e percezione di sé; perché si può essere soli e non soffrirne, così
come si può essere in due e sentirsi comunque disperatamente soli. I personaggi
maschili, che siano ex mariti, figli o possibili pretendenti appaiono assolutamente
incompiuti e irresistibilmente sgradevoli.
La Morante esibisce una cifra narrativa
singolare, fatta di malinconia, ma anche
leggerezza, delicatezza e una buona dose
di autoironia. Il suo sguardo coraggioso
sulla maturità femminile sembra darci
un’occasione in più per poter godere la
pienezza e migliorarsi, allontanando quegli
stereotipi di donne cinquantenni invisibili e
inette. Così il finale del film non può che
essere di carattere onirico, all’insegna del
colore rosso, che dominava i suoi sogni
e rimanere sospeso. Naturalmente Laura
Morante costruisce la pellicola sul proprio
personaggio e sulla sua personale interpretazione, fatta di esitazioni, tentativi, tic
facciali e tremolii vocali, che l’attrice mette
in scena con sapienza e originalità. E si
circonda inoltre di un coro di personaggi
collaterali intensi, autentici e mai paradossali. Ne sono un esempio il collega
sempliciotto Marco Giallini, la terapista
Piera Degli Esposti, l’ex marito “piacione”
Francesco Pannofino, l’amica pazzoide
Angela Finocchiaro, Donatella Finocchiaro
e Carolina Crescentini.
Veronica Barteri
THE TRANSPORTER LEGACY
(Le Transporteur: Héritage)
Francia, 2015
Regia: Camille Delamarre
Produzione: Mark Gao, Luc Besson per Europacorp, TF1
Films Production, Fundamental Films, Belga Films
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 24-9-2015; Milano 24-9-2015)
Soggetto: dai personaggi di Luc Besson e Robert Mark
Karmen
Sceneggiatura: Adam Cooper, Bill Collage, Luc Besson
Direttore della fotografia: Christophe Collette
Montaggio: Julien Rey
Musiche: Alexandre Azaria
Scenografia: Hugues Tissandier
Costumi: Claire Lacaze
Interpreti: Ed Skrein (Frank Martin), Ray Stevenson (Frank
Martin Sr.), Loan Chabanol (Anna), Gabriella Wright (Gina),
Tatiana Pajkovic (Maria), Wenxia Yu (Qiao), Radivoje Bukvic
(Arkady Karasov), Lenn Kudrjawizki (Leo Imasov), Anatole
Taubman (Stanislav Turgin), Noémie Lenoir (Maïssa),
Samir Guesmi (Ispettore Bectaoui), Jua Amir (Robbie), Yuri
Kolokolnikov (Yuri), Michael Morris (Capitano Guesdon),
Nash Novcic (Ivan), Thibaut Evrard (Max)
Durata: 95’
28
Film 1
995. La nostra storia comincia sulla French Riviera; siamo
nel Principato di Monaco tra i
trafficanti russi. Frank Maltin, alias il
Trasportatore, è un famoso autista le cui
regole sono semplici e chiare: niente nomi,
nessuna domanda, nessuna rinegoziazione
del contratto. Prima Frank lavorava per
Arkady Karasov, il boss russo con un giro
di prostituzione sulla costa tra cui le sue
signorine Maissa e Anna. 15 anni dopo,
Frank con la sua Audi è ancora disponibile
per nuova clientela e, mentre festeggia con
il padre andato in pensione dal consolato
britannico, viene contattato da una donna.
Intanto in un albergo due escort Gina e
Qiao uccidono due uomini di Karasov
tra cui Stanislav Turgin. Il Trasportatore
continua a far viaggiare con la sua auto
qualsiasi persona con il proprio bagaglio
sconosciuto e così viene ingaggiato da
Anna, dalle due compagne di squadra
Gina e Qiao e da una quarta donna di
nome Maria. Il loro piano è vendicarsi di
15 anni passati nel giro della prostituzione.
Così, insieme a Frank, le ragazze portano
avanti la loro strategia anche arrivando a
sequestrare il padre di Frank. Fra Anna
e il Trasportatore si crea anche un’intesa
particolare a livello sentimentale, ma che
non intralcia il loro lavoro. Alla fine, le
ragazze riescono ad avere la meglio perché
mettono Karasov contro i suoi uomini (Leo
Tutti i film della stagione
Imasov, proprietario di una discoteca e
Yuri) facendo credere loro che il capo li
abbia derubati. Così Frank lascerà Anna
al suo destino e lui continuerà a prendersi
cura del padre ex agente.
ai produttori di Lucy e della trilogia Taken ecco un altro action
movie adrenalitico per chi ama
vedere donnine che muovono il loro fondoschiena e macchinoni che corrono. The
transporter legacy non è altro che il reboot
della popolare saga cinematografica
creata da Luc Besson e iniziata nel
2002 con il film The Transporter; qui,
al posto di Jason Statham dei precedenti
episodi, troviamo Ed Skrein; l’attore e rapper britannico(pseudonimo The Dinnerlady
P.I.M.P) ha recentemente firmato per un
ruolo di supporto in Deadpool; volto già
visto nei panni di Daario Naharis nella
terza stagione della serie tv Il trono di
spade e nel recente action a sfondo storico I Vichinghi, aggiunge all’atmosfera già
commercialotta (tra gli ammiccamenti agli
i phone o all’Audi) ulteriore ritmo pop. Per
chi vuole divertirsi senza alte aspettative
il film scimmiotta un po’ alcune scene
che solitamente si possono gustare solo
con gli episodi di Mission impossible: tra
le tantissime sgommate delle macchine
troverete una coattissima scena della
macchina sotto un aereo in movimento da
D
cui si lanciano persone, la stessa auto che
entra dentro l’aeroporto. Come in Taken
anche qui si amano i combattimenti a più
riprese a mani nude che risultano ridicoli e
un po’ improbabili. The transporter legacy
deve però confessare alcuni pastrocchi
registici qua e là: compaiono improvvisamente delle maschere nei bagni di una
discoteca, ci sono delle scene mancanti,
Anna che viene ferita al petto con una
pallottola guarisce subito, vengono
rappresentati dei trasferimenti bancari
con cifre astronomiche che vengono
aggiornati all’istante con un solo tablet.
Tra tanti peccatucci dobbiamo spezzare
una lancia a favore del thriller di Camille Delamarre, che riscrive in maniera
rivoluzionaria il ruolo della donna all’interno dei film d’azione, conferendole pur
sempre quella nota di femme fatale dei
film di 007, ma lasciandole più potere
decisionale e strategico. Nel cast, oltre
al noto protagonista, c’è Ray Stevenson,
visto di recente nella parte del villain di
Big Game-Caccia al presidente. Ma ciò
che ricorderemo di più di questo film, in
questa regia iperealistica e quasi fumettistica, sono le sequenza in bianco e nero,
in cui, in maniera didascalica, ci viene
scritto il nome dei personaggi per capire
chi sono dopo che è trascorso del tempo.
Giulia Angelucci
CAROL
(Carol)
Stati Uniti, 2015
Regia: Todd Haynes
Produzione: Number 9 Films, Killer Films, in associazione
con Studiocanal, Hanway Films, Goldcrest, Dirty Films, Infilm, Larkhark Films Limited
Distribuzione: Lucky Red
Prima: (Roma 5-1-2016; Milano 5-1-2016)
Soggetto: dal romanzo omonimo di Patricia Highsmith
Sceneggiatura: Phyllis Nagy
Direttore della fotografia: Edward Lachman
Montaggio: Affonso Gonçalves
Musiche: Carter Burwell
Scenografia: Judy Becker
Costumi: Sandy Powell
ew York 1952. Carol è una donna
dalla forte personalità e di un’eleganza e raffinatezza estreme,
sta affrontando una crisi di coppia con il
marito Harde e ha una figlia di nome Rindy.
Un giorno, durante delle spese natalizie
in un negozio a Manhattan, incontra una
giovane commessa di nome Thérèse. Tra le
due c’è feeling e Carol, dopo aver acquistato
N
Interpreti: Cate Blanchett (Carol Aird), Rooney Mara (Therese
Belivet), Kyle Chandler (Harge Aird),Jake Lacy (Richard Semco),
Sarah Paulson (Abby Gerhard), Cory Michael Smith (Tommy
Tucker), Carrie Brownstein (Genevieve Cantrell), John Magaro
(Dannie McElroy), Kevin Crowley (Fred Haymes), Trent Rowland
(Jack Taft), Nik Pajic (Phil McElroy), Michael Haney (John Aird),
Ann Reskin (Florence), Jeremy Parker (Dorothy), Sadie Heim
(Rindy Aird), Kennedy Heim (Rindy Aird), Amy Warner (Jennifer
Aird), Wendy Lardin (Jeanette Harrison), Pamela Haynes
(Roberta Walls), Greg Violand (Jerry Rix), Jim Dougherty (Mr.
Semco), Ken Strunk (Cal, barman del Ritz), Colin Botts (Ted
Grey), Douglas Scott Sorenson (Charles, ospite al party)
Durata: 118’
un trenino giocattolo per la figlia, dimentica i guanti in negozio. Anche la giovane
commessa è impegnata e anche lei vive una
situazione complessa; non si sente pronta
ad accettare la proposta di matrimonio del
fidanzato Richard, è riservata e confusa
sul proprio futuro. Poi c’è Dannie, un altro
pretendente, che la vorrebbe al suo fianco
oltre che come fotografa al New York Times.
29
La giovane, contesa tra questi due ragazzi,
sembra avere come unico pensiero Carol;
così, decide di riportare all’affascinante
signora l’oggetto dimenticato; da lì comincia la loro frequentazione. Tra le due nasce
un’incredibile storia d’amore che le porta
a superare le loro solitudine emotive viaggiando insieme, allontanandosi verso Ovest
dalla Grande Mela per passare insieme il
Film Natale. Durante la loro relazione, però, è in
ballo la difficile decisione dell’affido di Rindy, che è stata sottratta a Carol con l’accusa
di una condotta poco morale. Si scopre così
che questa, anche prima di Thérése, aveva
intrattenuto un’altra relazione omosessuale
clandestina con una donna di nome Abby.
Il marito da allora non aveva accettato la
vera natura di Carol e aveva cercato in
tutti i modi di riconquistarla invano. Il suo
ultimo tentativo di ricatto per riaverla è non
farle vedere la figlia. Egli manderà durante
il viaggio delle due amanti un investigatore
privato che filmerà le prove della loro relazione. Inizialmente Carol decide di interrompere la relazione con la ragazza per non
procurarle altri problemi, va in cura da uno
psicanalista per riacquisire la sua immagine
di madre e moglie modello; ma poi prende
coscienza, anche grazie all’aiuto della sua
amica Abby, di non poter combattere la
sua vera natura. Decide così di mettere in
vendita la villa dove abitava con Harde,
di dare la bambina in custodia al marito
e di andare a vivere da sola. Non si è mai
dimenticata del suo grande amore, che nel
frattempo continua a cercarla. Un giorno
decide di ricontattarla e da lì riprendono
insieme la loro storia.
ia cara, niente accade per
caso e tutto torna al punto di
partenza”; questo l’incipit della lettera che la protagonista del nuovo film di
Todd Haynes interpretata da un’indimenticabile Cate Blanchett scrive alla propria amata.
Un dramma intimistico che vede come nucleo della vicenda una donna di mezza età,
Carol e la giovanissima Thérése e la loro
storia d’amore. Al centro della storia sono
due donne che devono trovare un altro posto
nel mondo. Passione, libertà, emancipazione
“M
Tutti i film della stagione
e ricerca dell’identità al centro dell’intreccio
più che la sola tematica omosessuale, La
pellicola è ambientata nell’America degli
anni ’50, un periodo storico particolarmente
delicato dove poter seguire la propria natura
equivaleva a combattere contro il giudizio
morale dell’epoca. Sono omosessuali, di
età e ceto diverso. Esse in maniera diversa
e con la propria indole vivono con posatezza
ma allo stesso tempo con passione la loro
relazione. Una storia d’amore in cui Carol
dichiara alla compagna “Ci siamo concesse il
più straordinario dei regali” ma che appunto,
per la diversa condizione di partenza, viene
affrontata da due punti di vista diversi. Carol agli occhi della società e di suo marito
deve essere una madre e una moglie che
rispecchi i canoni della “normalità”. Invece
la donna si trova a dover convincere se
stessa ma soprattutto il mondo esterno di
quel che vuole realmente. A tratti lucida e in
altri momenti persa nello sguardo di Thérèse,
l’affascinante signora torna a dover rendere
conto ai suoi impegni presi. “Tu cerchi una
soluzione perché sei giovane” dice all’amata,
cerca di chiudere la relazione per il suo bene,
va in cura da un dottore ma il suo cuore
sta realmente altrove. Così, mentre trova il
coraggio di prendere delle scelte sofferte,
durante la sua lontananza la giovane compagna, prima bisognosa di sicurezze, diventa
donna anch’essa. Le due si ritrovano unite
dallo stesso amore di prima pur se in un
nuovo equilibrio. Per questo il regista, già
vicino alla tematica con Lontano dal Paradiso
e con la serie televisiva Mildred Pierce, opta
per un punto di vista più giovane e di far sviluppare la vicenda attraverso il flashback di
Thérèse. Una struttura a cerchio che avvolge
un quadro, dall’atmosfera delicata, elegante
e allo stesso tempo intensa. La magia della
fotografia, quella delle inquadrature sbiadite
anche grazie alle ripresa a 16 mm, riproducono e ci fanno calare in un clima di altri
tempi. Scelte eleganti anche per le scene
di intimità tra le due donne al confronto con
altri film recenti, sempre di contenuto lesbo,
come, ad esempio, La vita di Adele. Ci sentiamo avvolti, catturati e piacevolmente rapiti
dalla vicenda grazie a un ritmo lento, alla
preziosa scelta musicale, ma, soprattutto,
alla bravura sconvolgente e al magnetismo
di Cate Blanchett, che compare anche tra
i produttori esecutivi. Rooney Mara, nonostante la grandiosità della coprotagonista,
si è conquistata con la sua bravura (e le
sembianze alla Audrey Hepburn) il premio
all’interpretazione femminile al Festival di
Cannes. La pellicola, tratta dal best seller
di Patricia Highsmith The price of salt, si è
guadagnata meritatamente 5 candidature ai
Golden Globe e ha incantato il suo pubblico
“per una questione di sguardi”.
Giulia Angelucci
SNOOPY & FRIENDS – IL FILM DEI PEANUTS
(The Peanuts Movie)
Stati Uniti, 2015
Regia: Steve Martino
Produzione: Paul Feig, Bryan Schulz, Craig Schulz, Michael J. Travers, Cornelius
Uliano per 20th Century Fox Studios, Blue Sky Studios, Peanuts Worldwide, 20th
Century Fox Animation
Distribuzione: 20th Century Fox
Prima: (Roma 5-11-2015; Milano 5-11-2015)
Soggetto: dai fumetti di Charles M. Schulz
Sceneggiatura: Craig Scultz, Bryan Sculz, Cornelius Uliano
Direttore della fotografia: Renato Falcão
Montaggio: Randy Trager
Musiche: Christophe Beck
Effetti: Blue Sky Studios
Durata: 92
30
Film È
arrivato l’inverno, nevica e la
scuola viene chiusa. Nell’euforia di questa buona notizia,
tutti i ragazzi giocano con la neve, mentre
Charlie Brown riprova a usare il suo
aquilone. A lui va tutto storto finché un,
giorno, in classe arriva una nuova compagna, la ragazzina dai capelli rossi, della
quale si innamora. Intanto il suo fedele
cane Snoopy scrive un romanzo di guerra
e amore sullo sfidare il celebre Barone
Rosso, tutto per conquistare il cuore della
cagnolina Fifi. Oltre a Snoopy, a dare una
mano a Charlie, che non trova il coraggio
di dichiararsi, c’è sempre il suo amico
Linus. Così chiede a Lucy, al suo sportello
psichiatrico, come poter conquistare la
bimba dai capelli rossi e lei gli consiglia un
libro su come diventare vincente. Il ragazzo
decide, quindi, di partecipare alla gara
scolastica, ma si trova a dover rinunciare
al suo numero da mago per aiutare la sorellina in difficoltà sul palco. Un giorno,
in classe viene fatto un test d’intelligenza
e qualche giorno dopo, una volta usciti i
risultati, si scopre che Charlie ha totalizzato il punteggio massimo. Così finalmente
comincia a essere stimato e osannato da
tutti. Nei giorni seguenti viene organizzato
il ballo della scuola e Charlie scopre che
alla sua amata piace ballare e così si fa
insegnare da Snoopy dei passi. Durante la
festa danzante, vince la gara del ballerino
più bravo, ma la serata viene interrotta da
un allagamento da lui provocato. A scuola
l’indomani viene assegnato agli studenti il
commento di un classico di letteratura e in
un fine settimana, su consiglio di Piperita
Patti, si legge il famosissimo e pesantissimo capolavoro di Leone Testone, alias Lev
Tolsotoj, Guerra e Pace. Per questo compito scolastico, Charlie capita in coppia con
la bimba fulva e decide come carineria (e
anche per timidezza) di scrivere da solo
Tutti i film della stagione
il pezzo. Il commento, sempre per la sua
distrazione, va a finire in pezzi e alla sua
premiazione per il voto massimo ottenuto
al test, Charlie scopre che il compito non
è il suo ma è stato scambiato con quello di
Piperita Patti; così dopo aver confessato
platealmente che c’è stato uno sbaglio,
ancora una volta il ragazzo si sente un
perdente. È l’ultimo giorno di scuola e
ciascuno deve scegliere il suo amico di
penna per l’estate; la ragazzina dai capelli
rossi sceglie Charlie Brown, che ha poco
tempo per scoprire perché lo ha scelto.
Così, mentre la bimba sta partendo per
il campo estivo, Charlie la raggiunge per
salutarla e per chiederle spiegazioni della
sua scelta. La ragazzina gli dice teneramente che per lei non è un perdente, anzi lo
apprezza tantissimo per tutte le cose dolci
e coraggiose che ha fatto.
on passati 65 anni da quando
Schulz inventò i Peanuts, eppure
i suoi mitici personaggi ci fanno
ancora emozionare. Il film è nato da un’idea del figlio di Charles M. Schulz, Craig,
ed è stato scritto da quest’ultimo e da suo
figlio Bryan (il nipote di Charles).Distribuito
dalla 20 Century Fox e prodotto grazie alla
tecnica della Computer Generated Imagery,
la pellicola presenta le strisce originali presentandole in stereoscopia, cercando di simulare la bidimensionalità in 3d, senza perdere la ricchezza e la maestria dei disegni
cartacei. Alcune animazioni in bianco e nero
servono a rappresentare l’immaginazione di
Charlie Brown, in perfetto stile Schultz. Di
tanto in tanto, compaiono dei segni grafici
del mondo dei comics e i colori e i disegni
sono bellissimi e molto vivaci, impreziositi
dal segno manuale degli occhi e del viso.
Ma, nonostante tutti gli accorgimenti tecnologici, non vengono traditi i tormentoni né lo
spirito del fumetto originale: come sempre
S
Lucy insegue Schroeder, lui suona il piano,
Piperita Patti vive in simbiosi con Marcie e
Snoopy bisticcia con Woodstock. La scelta
è stata quella di utilizzare ancora una volta
per le voci di Snoopy e Woodstock, quella
del loro storico doppiatore Bill Melendez,
tristemente scomparso qualche anno fa. Il
regista Steve Martino (ricordate Ortone e il
mondo di Chi? e L’era Glaciale 4) ripropone tutti gli elementi della psicanalisi in un
mondo interamente riservato ai bambini.
Gli adulti non ci sono e, per sottolineare
l’estraneità alla dimensione fanciullesca di
Snoopy e dei suoi compagni, viene usata
la geniale trovata registica di far emettere
agli adulti dei suoni non comprensibili
quando parlano. Bel ritmo dato anche dalla
comicità slapstick e da alcune scene divertenti come quella del flamenco o come
quella in cui la sorellina di Charlie Sally gli
fa da manager, creando dei prodotti per
sponsorizzare il fratello diventato famoso
in tutta la scuola. Come spassosissimo è
il personaggio di Snoopy, l’alter ego dinamico ed estroverso di Charlie Brown, con
la sua simpatia “non verbale” che viene
solo intuita o comunicata attraverso delle
simpatiche nuvolette. La storia viene spezzata dalle sue invenzioni letterarie e di lui in
versione Asso della Prima guerra mondiale, forse con delle sequenze un po’ troppo
lunghe per poter creare movimento nella
vicenda del protagonista. Un’avventura
che ruota attorno allo sfortunato e dolcissimo pasticcione Charlie Brown, ma in cui
ogni personaggio ha la propria personalità
e la cui bellezza viene dalla loro umanità,
da quelle peculiarità in cui ci riflettiamo
un po’ tutti noi. Un film sull’autostima, sul
credere in noi stessi e sulle piccole cose,
che regala tante piccole emozioni ai grandi
e ai piccini.
Giulia Angelucci
FRANCOFONIA
(Francofonia, le Louvre sous l’occupation)
Germania,Olanda, Francia, 2015
Regia: Aleksandr Sokurov
Produzione: Idéale Audience, Zéro One Production, N279
Entertainment, in co-produzione con Arte France Cinema, Le
Musee du Louvre
Distribuzione: Academy Two
Prima: (Roma 17-12-2015; Milano 17-12-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Alexei Jankowski, Aleksandr
Sokurov
Direttore della fotografia: Bruno Delbonnel
Montaggio: Alexei Jankowski, Hansjörg Weissbrich
Musiche: Murat Kabardokov
Costumi: Colombe Lauriot Prevost
Effetti: Jean-Michel Boublil
Interpreti: Louis-Do de Lencquesaing (Jacques Jaujard),
Benjamin Utzerath (Conte Franziskus Wolff-Metternich),
Vincent Nemeth (Napoleone Bonaparte), Johanna Korthals
Altes (Marianne), Catherine Limbert (La segretaria di
Jacques Jaujard), Eric Moreau (Capitano tedesco), Andrey
Chelpanov, Jean-Claude Caer
Durata: 87’
31
Film ’arte ha avuto sempre la difficoltà
di farsi rispettare nell’avanzata
inarrestabile dei meccanismi
della Storia e contemporaneamente si è
trovata di fronte sempre lo stesso nemico,
cioè l’ostilità e i tentativi di sopraffazione
o, addirittura, di sfruttamento da parte
del potere, da chiunque questo sia stato
rappresentato.
Così ci dice il regista Alexandr Sokurov impegnato in una conversazione al
computer via Skype con l’amico Kirk,
comandante di un cargo che trasporta una
ricca collezione di capolavori museali e
che per la tempesta in atto rischia di finire
in fondo al mare; contemporaneamente
Sokurov rievoca i mesi terribili dell’assedio di Leningrado, i fatti dell’occupazione
nazista in Francia, del collaborazionismo
francese e delle loro conseguenze sul
destino delle opere d’arte custodite nel
Louvre.
Da qui ricordi, riflessioni sui fatti
accaduti, fantasie, ipotetici dialoghi
con i fantasmi che vagano per il Louvre
come la Marianna e Napoleone, compongono una complessa struttura che tocca
approfondimenti storici, considerazioni
sul significato e sulla funzione dell’arte,
meditazioni sul destino dell’uomo e il
riconoscere come siano andati in pezzi
gli ideali sul ruolo coinvolgente e determinante che avrebbe potuto e dovuto
avere l’Europa.
Siamo nel 1940 e nell’aberrazione e
nella follia degli uomini in guerra pare
risplendere un palpito d’umanesimo: il
Conte Franz Wolff-Metternich, capo della
commissione tedesca per la protezione
delle opere d’arte in Francia, incontra
Jacques Jaujard, il direttore del Louvre
che ha già organizzato l’evacuazione delle
L
Tutti i film della stagione
opere maggiori dal museo nei vari castelli
di Francia.
I due sono nemici ma illuminati
dallo stesso senso di responsabilità, che
va oltre l’opportunità di conservazione
di un’opera d’arte e scopre comuni
sentimenti, aspre reazioni e soprattutto
simili convinzioni che appartengono a
una religiosità del tutto umana e terrena,
ma universale.
Questo oceano complesso di informazioni, considerazioni e turbamenti
va di pari passo con l’altra tempesta di
cui Sokurov ha cognizione attraverso le
notizie frammentate che gli pervengono
dal suo amico in mezzo al mare; la nave
è messa male, alcuni containers sono
andati perduti, davvero non si possono
stivare delle opere d’arte in un cargo
squassato dalle onde e poi vale la pena
affrontare un rischio enorme in un mare
in tempesta con delle finalità così utopiche?
a scienza, l’arte, l’esistenza
umana, la realtà del mondo
empirico, l’espressione di una
forma di verità e la storicizzazione di
ogni fenomeno che potesse comprendere tutto questo sono i temi che hanno
costituito l’ossatura dell’evoluzione del
genere umano, qualunque sia stato il
giudizio morale.
Ecco la parola che mancava, morale.
Tutti, artisti, scienziati e ogni tipo di addetto
ai lavori che si sia occupato di approfondire
e allargare l’orizzonte culturale dell’uomo
si è detto convinto di potere arrivare alla
rappresentazione della verità, nell’elaborazione, addirittura, di uno stile che possedesse, addirittura, la forza e il prestigio
della giustificazione morale.
L
Il regista Aleksandr Sokurov (premiato
a Venezia 2011 per Faust, l’ultimo episodio della tetralogia sul potere) ha ben
presente tutto questo che ci trasmette
secondo la sua personalissima riflessione a cominciare dal titolo; Francofonia
echeggia infatti un’atmosfera, di base
senz’altro musicale ma che assume subito un significato evocativo che racchiude
passato e presente a disposizione della
ricerca umanistica che compie il regista
lungo il suo cammino.
Misfatti terribili, orrori che la guerra
porta con sé, cataste di cadaveri, cannibalismo e disperazione, paure e follie,
la violenza e la sopraffazione da sempre
perpetrate dai vincitori sui vinti, ma anche compromessi, equivoci, tradimenti:
in mezzo a questo, olimpica e cristallina,
divina nei suoi poteri provenienti dalla
notte dei tempi e virtuosa nel pretendere rispetto e fiducia per la dignità
dell’uomo (ecco il suo significato etico)
sta l’arte, la sua capacità creativa nella
continua e assoluta difesa del concetto
di humanitas.
Per accogliere questo senso dell’umano filtrato ed esaltato attraverso l’espressione dell’arte non poteva esistere
posto migliore del Louvre, non soltanto
luogo scelto per raccogliere e custodire
le opere del genio, ma cuore pulsante
di sentimenti e conquiste che ci accompagnano, in una testimonianza a metà
strada tra il sogno e la materia, il ricordo e
la sua inafferrabilità e il desiderio che tutto
possa ancora perpetuarsi: la Marianna e
Napoleone, davvero i custodi più adatti,
esigenti, fantasiosi e testardi nel pretendere rispetto per un continuum che non
può mai avere fine.
In un periodo come l’odierno, in cui
la bandiera nera del terrore distrugge
il patrimonio archeologico di Palmira
(dopo una serie di feroci atti di inciviltà
nei confronti di altri siti archeologici) e
ne decapita il suo conservatore, il vecchio studioso Khaled Asaad che aveva
dedicato la sua vita alla difesa di uno dei
patrimoni dell’umanità, dobbiamo vedere
in questo film la luce di una convinzione
e di una speranza: non tutto è perduto
in quest’epoca barbara se ancora qualcuno ci fa accarezzare con lo sguardo
la bellezza struggente del corpo di una
statua o la pennellata miracolosa di un
dipinto che ci rende partecipi del fascino ancora enigmatico di cosa significhi
essere uomini.
Fabrizio Moresco
32
Film Tutti i film della stagione
IL PICCOLO PRINCIPE
(Le Petit Prince)
Francia, 2015
Regia: Mark Osborne
Produzione: Orange Studio, M6 Films, LppTv, On Animation
Studios, in co-produzione con Lucky Red in collaborazione
con Rti
Distribuzione: Lucky Red
Prima: (Roma 1-1-2016; Milano 1-1-2016)
D
opo il primo colloquio andato
male, per entrare nella prestigiosa Accademia Werth, scuola che
forma i manager del futuro, una bambina si
trasferisce con la madre in un nuovo quartiere della città, vicino alla struttura. Qui dovrà
impegnarsi nello studio secondo un planning
estremamente articolato elaborato dalla madre, la quale, donna in carriera, vuole assolutamente che la figlia si inserisca nella famosa
scuola. La donna le sta col fiato sul collo e
ha già pianificato gran parte della sua vita,
ora per ora. Durante la giornata, per tutto
il periodo delle vacanze estive, la bambina
dovrà impegnarsi a preparare molto diligentemente le diverse materie, senza distrazioni.
Una mattina, però, lo studio viene interrotto
da un bizzarro incidente. L’elica di un aereo
ha rotto il muro della casa. Si tratta del nuovo
vicino, che ha tentato di rimettere in moto il
suo vecchio aereo. L’anziano aviatore inizia a
raccontare alla bambina del suo incontro, avvenuto tanti anni prima nel deserto africano,
con un Piccolo Principe, giunto sulla Terra
dopo un lungo viaggio tra gli asteroidi. La
bambina inizialmente sembra voler resistere
alla narrazione, ma progressivamente si fa
catturare da quei disegni e da quel pupazzo a
forma di volpe. Così trascorre le sue giornate
con l’aviatore, fantasticando sulla storia del
Piccolo Principe, un bambino che vive su
un lontano asteroide, B612, sul quale abita
solo lui e una piccola rosa, molto vanitosa,
che egli cura e ama. Il bambino aveva bisogno di una pecora per farle divorare gli
arbusti di baobab, prima che crescessero
e soffocassero il suo pianeta. Così inizia a
viaggiare nello spazio, abbandonando la sua
rosa. Durante il suo viaggio conosce diversi
personaggi strani, che gli insegnano molte
cose: un vecchio re solitario, che ama dare
ordine ai suoi sudditi, sebbene sia l’unico
abitante del pianeta; un vanitoso che chiede
solo di essere ammirato e applaudito senza
ragione; un uomo d’affari che passa i giorni
a contare le stelle, credendo che siano sue.
Poi il principe visita la Terra e nel deserto
incontra un serpente, che gli dice di poterlo
far tornare nel suo pianeta quando vorrà,
lasciando sulla terra solo la sua spoglia.
In seguito incontra una piccola volpe, che
addomestica e fa diventare sua amica. La
bambina rimane sempre più affascinata
Soggetto: dal romanzo omonimo di Antoine de Saint-Exupéry
Sceneggiatura: Bob Persichetti, Irena Brignull
Montaggio: Matt Landon, Carole Desrumaux
Musiche: Hans Zimmer, Richard Harvey
Scenografia: Lou Romano, Céline Desrumaux
Durata: 108’
da quella storia e con l’anziano aviatore
accetta di andare a mangiare delle frittelle
in città. Ma i due, durante il tragitto con la
vecchia macchina, hanno un incidente. Così
la bambina viene scoperta dalla madre e
allontanata dall’uomo, che non ha la possibilità di raccontare la fine della sua storia.
Mancano pochi giorni all’inizio della scuola
e la bambina non ha portato a termine la sua
preparazione: per recuperare è costretta a
studiare giorno e notte. Tuttavia la piccola,
di nascosto, si reca a visitare l’aviatore per
rimanere poi delusa a causa del triste finale
del racconto, in cui il principe si sacrifica per
vedere la sua amata rosa e muore facendosi
mordere dal serpente. Le condizioni di salute
dell’aviatore non sono buone e viene portato
in ospedale. La bambina è molto preoccupata, non sa come aiutare il suo amico, finché,
per andare in cerca del Piccolo Principe, sale
sull’aereo del vicino con la volpe di pezza e
raggiunge un asteroide, dove vivono solo
adulti indaffarati, tra cui anche il principe
ormai cresciuto, che ha scordato il suo passato e pulisce i camini. Qui incontrano il re,
travestito da maggiordomo e l’uomo d’affari
che ha rubato tutte le stelle per arricchirsi.
L’uomo li cattura e sequestra la bambina
in quella che dovrebbe essere l’accademia,
dove lei dovrebbe crescere e diventare adulta,
ma, all’improvviso, riaffiorano i ricordi nel
piccolo principe che insieme a lei si ribella,
permettendo alle stelle di tornare a brillare
nel cielo. I due tornano nell’asteroide B612
ormai pieno di baobab, per avere la conferma
che l’amata rosa è morta, ma la sua immagine ricompare all’alba nel ricordo dei due,
confermando il messaggio dell’aviatore. La
33
bambina torna a casa e il mattino seguente,
accompagnata dalla madre, fa visita in
ospedale al vecchio amico, portandogli come
regalo il suo racconto, ordinato, rilegato e
ormai concluso. Anche con la madre avrà
un nuovo e migliore rapporto e inizierà
il suo percorso di studi all’Accademia.
ortare sul grande schermo Il piccolo
principe, il celebre racconto di Antoine de Saint-Exupéry, testo che
dagli anni Quaranta ha forgiato la fantasia
e la sensibilità di tante generazioni, non
doveva essere un’impresa affatto semplice.
Mark Osborne, regista di Kung Fu Panda
non ha deluso le aspettative, animando la
sua versione con un tocco di poesia e di
stravaganza, riuscendo dove altri non erano
riusciti. In materia infatti erano già stati fatti
tentativi per tradurre le vicende del Piccolo
Principe in immagini, ma sempre con risultati
non proprio all’altezza dell’opera. Perché il
problema era rivolgersi a due target molto
diversi, visto che l’autore stesso dedicava
la sua opera a un amico “quando era un
bambino”, ma il testo è leggibile da tutti, a
prescindere dall’età anagrafica. Così l’immagine del principe che vola, trascinato dagli
uccelli, tra un pianeta e l’altro ormai fa parte
dell’immaginario collettivo. La scelta registica ha privilegiato inizialmente la storia del
Piccolo Principe, facendone un racconto nel
racconto; poi si è proseguito con l’incontro tra
questi e la bambina, in un epilogo all’insegna
dell’azione, che integra il tono di carattere più
poetico e filosofico della prima parte. Dove
lo spettatore conosce il Principe, la Volpe,
la Rosa, il Serpente, l’asteroide B612 e i
P
Film personaggi di contorno del piccolo grande
classico letterario. Tutto ciò risulta ancora
più coinvolgente, poiché il regista opta per
un originale mix di tecniche d’animazione,
alternando le immagini generate al computer,
con altre in stop-motion, fotogramma per fotogramma, al classico disegno animato a due
dimensioni, in carta ritagliata. La convivenza
d’immaginari diversi trasmette un senso di
libertà creativa ed ha il merito di dare vita ad
un film pieno d’incanti, di continue sorprese
visive, che richiamano in parte le immagini di
Miyazaki. Significativo l’alternarsi di disegni
monocromatici e freddi, che sono adottati per
illustrare il mondo grigio, ossessionato dalla
performance e dal successo, dove la mamma
vuole rinchiudere la bambina, a quelli invece
evocativi della fiaba, che rimandano piuttosto
a un colorato immaginario antico, lo stesso
delle illustrazioni originali di Saint-Exupéry.
Gli innesti rispetto alla storia originale sono
copiosi, così come non sono rispettati tutti i
passaggi, né sono presenti tutti i personaggi
del libro. Che sia tra il principe e la rosa, la
volpe oppure l’aviatore, è il concetto di “addomesticamento”, uno dei significati simbolici
Tutti i film della stagione
più importanti che rende il testo così speciale.
Questo aspetto del sodalizio nel film si ritrova
nel legame tra la bimba e l’aviatore, che
con la sua storia le fa scoprire l’importanza
dell’amicizia e del non tradire ciò che siamo
stati da bambini continuando a sognare
anche una volta diventati adulti. La bambina
progressivamente si ribellerà a quello che
sembra essere il suo percorso ormai segnato, non in nome della sindrome di Peter Pan,
piuttosto dell’eterno “Fanciullino” pascoliano,
cercando di conservare senza alcun timore
il proprio bambino interiore. Così l’anziano
pilota diventa un tramite fra il vecchio e il
nuovo mondo, tra quello ormai vuoto, grigio
degli adulti e quello colorato ed incantato
del Piccolo Principe e dei suoi personaggi.
L’esaltazione della fantasia, dell’ingenuità
fanciullesca, l’importanza di non dimenticare
cosa è importante rimangono sempre in primo piano ed è proprio da queste tematiche,
così difficili da portare sullo schermo, che
scaturisce l’emozione. Tante le sequenze
poetiche e coinvolgenti come le rappresentazioni del libro, ma ancor più quelle della
storia principale, dove l’insegnamento e le
parole del piccolo principe prendono sempre
più il cuore della protagonista. È chiaro che
il libro è e resterà intramontabile, molto più
profondo e significativo, ma proprio chi ha
amato le pagine di Antoine de Saint-Exupéry
e ne ha compreso il valore, nella sua più
intima essenza, potrà commuoversi ed
emozionarsi, vedendolo animarsi in immagini sullo schermo. A rendere piacevole e
coinvolgente la visione contribuisce anche il
doppiaggio. Le voci italiane sono tutte simpatiche e note. Toni Servillo presta la voce
al bizzarro aviatore, Alessandro Gassmann
molto appropriato nelle sembianze del fascinoso serpente, la rosa vanitosa è doppiata
da Micaela Ramazzotti, la madre manager da
Paola Cortellesi, mentre la Volpe, forse il più
bello dei personaggi incontrati dal principe, è
doppiata da Stefano Accorsi. Al cast vocale si
aggiungono poi Alessandro Siani, Giuseppe
Battiston, Pif e Angelo Pintus. Se “non si vede
bene che con il cuore, perché l’essenziale
è invisibile agli occhi” questa volta ciò che
percepiscono gli occhi arriva dritto al cuore.
Veronica Barteri
DADDY’S HOME
(Daddy’s Home)
Stati Uniti, 2015
Regia: Sean Anders
Produzione: Will Ferrell, Adam McKay, Chris Henchy, John
Morris per Gary Sanchez Productions, Good Universe, Paramount Pictures, Red Granite Pictures
Distribuzione: Universal Pictures International
Prima: (Roma 14-1-2016; Milano 14-1-2016)
Soggetto: Brian Burns
Sceneggiatura: Brian Burns, Sean Anders, John Morris
Direttore della fotografia: Julio Macat
Montaggio: Eric Kissack, Brad E. Wihite
Musiche: Michael Andrews
Scenografia: Clayton Hartley
B
rad è un tranquillo ed amorevole
patrigno che desidera solo essere
un buon papà per i suoi figliastri.
Fa il radio executive e, da quando ha sposato
Sarah, la sua vita è cambiata. Cerca di essere
sempre presente e disponibile e si adopera
ogni giorno per essere amato dai suoi due
bambini, ma nel frattempo sogna di avere
dei figli, sapendo di non poterne avere di
propri per un incidente che ne pregiudica
le capacità riproduttive. Quando finalmente
sembra essere riuscito ad avvicinarsi ai
bambini a colpi di partite di calcio, consigli
dati e aiuti a scuola, torna nella loro vita
Dusty, padre biologico dei due e primo marito di Sarah. Combattente, sregolato agente
segreto ribelle, palestrato e abile negli sport
estremi, Dusty sembra migliore di Brad in
Costumi: Carol Ramsey
Effetti: Daneiam, Atomic Fiction
Interpreti: Will Ferrell (Brad Taggart), Mark Wahlberg (Dusty
Mayron), Linda Cardellini (Sarah Taggart), Hannibal Buress
(Griff), Thomas Haden Church (Leo Holt), Bobby Cannavale
(Dottor Francisco), Paul Scheer (The Whip), Bill Burr (Jerry),
Scarlett Estevez (Megan), Owen Vaccaro (Dylan), Alessandra
Ambrosio (Karen), Kobe Bryant (Se stesso), Hector Presedo
(Pepe), Chris Henchy (Panda DJ/Jason Sinclair), Matthew
Paul Martinez (Pete), Jamie Denbo (Doris), LaMonica Garrett
(Marco), LaJessie Smith (Jean Jacket)
Durata: 96’
tutto, in più è determinato a conquistare il
cuore dei suoi figli. L’uomo fa di tutto per far
colpo sui bambini e rientra in scena a suon
di piccole e strampalate sfide, a cui tuttavia
Brad risponde a testa alta. Eppure entrambi
vogliono solo ed esattamente la stessa cosa:
conquistarsi l’affetto della loro famiglia. Ad
un certo punto, però, Brad arriva a perdere il
controllo e pur di mettere in cattiva luce il suo
rivale agisce in maniera scorretta, perdendo
la propria dignità. Così Dusty sembra avere
la meglio, ma di fronte alle responsabilità che
lo aspettano come padre, di nuovo prova a
tirarsi indietro. È proprio Brad che lo convince a tornare dai figli durante il ballo della
scuola e si fa perdonare anche da Sarah. La
coppia finalmente riesce anche ad avere un
figlio. Quella che inizialmente si presentava
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come una famiglia con due padri, con il tempo assume una conformazione tradizionale.
Infatti Dusty si sposerà con un’altra donna
con una figlia e a sua volta dovrà farsi accettare come patrigno.
addy’s Home, firmata dalla coppia
di registi Sean Anders e John
Morris, è una commedia principalmente basata sull’esilarante contrasto che
si genera tra un imbranato e un duro. Il film
unisce la coppia di I Poliziotti di riserva per
mettere in scena il confronto tra un uomo
qualunque e uno ribelle e virile, a cui pare
riuscire tutto e che si presenta come migliore
di lui in ogni ambito, da quello estetico fino a
quello pratico. Will Ferrell è un gigante buono
e impacciato, animale da spettacolo molto
D
Film ben attrezzato, provenendo dalla scuola
del “Saturday Night Live”. Mark Wahlberg
è invece un bullo spaccone, ma anche un
po’ torvo e misterioso. Il primo vorrebbe che
i due figli della sua compagna lo accettassero come papà. L’altro, padre biologico
inadempiente, è tanto affascinante che gli
basta ricomparire dopo lunga assenza per
conquistare la piazza. L’enorme popolarità
americana del primo traina quel tipo di comicità che mescola perbenismo e “scorrettezze”,
ingenuità e volgarità. Contrariamente al
solito, c’è un team di sceneggiatori e un solo
comico in una commedia che ambisce alla
quiete familiare e marcia al ritmo elevatissimo
della sua star, Ferrell. Corpo comico capace
di mutare l’ambiente intorno a sé, creando
il surreale anche nella semplicità, l’attore è
come sempre a suo agio nei panni di Brad,
uomo consueto, padre di famiglia amorevole
e premuroso, professionista noioso dalla vita
monotona, ma dall’affidabile insicurezza. Su
questa maschera fissa lavora benissimo il trio
di sceneggiatori John Morris, Brian Burns e
Sean Anders, costruendo intorno a lui un
mondo comico che marci in armonia alla sua
inadeguatezza. Lo stesso fa Mark Wahlberg,
spalla d’eccezione, specchio che serve a
riflettere le inadeguatezze del protagonista,
mettendo in moto tutta una storia composta
di sole gag che lo mettono in condizione di
subire umiliazioni e dimostrarsi sempre meno
adeguato. Nulla di diverso dal solito, ma con
i tempi, il ritmo e l’inventiva del comico americano ogni gag risaputa diventa un momento
di grande comicità vera, capace di far ridere
con lo scopo di dire qualcosa. È infatti proprio
il sorriso sicuro e trionfante che Ferrell esibisce quando, alla fine, risolve ogni problema
e riconquista la propria vita priva di prospettive e di picchi sentimentali, la sua arma più
potente. L’aria da brava persona che pare
bastare a se stessa costituisce lo scarto
interno ai suoi film, un espediente che basta
a garantire la sequela di divertenti situazioni,
volte a tempestare sufficientemente un’ ora e
Tutti i film della stagione
mezza di visione in grado di strappare risate
e di fornire l’immancabile, indispensabile
messaggio positivo con morale annessa,
tipico della celluloide a stelle e strisce. Film
come Daddy’s Home sono produzioni rassicuranti e calde, dal prevedibile finale, cui si
giunge a partire da premesse mai realmente
disturbanti, piccoli trattati di contemporaneità
sui problemi delle famiglie moderne. In questo caso, il tema non è nemmeno dei più
audaci, ovvero quello delle famiglie allargate
con più di un genitore per ruolo. Ovviamente
affermerà la pacifica convivenza dei due padri, anche nella più estrema delle situazioni.
Una battaglia senza esclusione di colpi che
Anders mette in piedi per satireggiare sulla
paternità e sulle responsabilità che essa
comporta, regalando allo spettatore un non
eccelso, ma gradevole spettacolo comico
privo di volgarità. La sceneggiatura si piega
intorno al corpo e alla maniera di usare la
manifesta inadeguatezza in chiave comica
del suo protagonista. Ogni gag prende le
mosse da una situazione comune che, già
nel suo attacco annuncia il problema e len-
tamente scivola nella direzione disastrosa più
prevedibile. Non ci sono battute memorabili,
né situazioni imprevedibili, anzi molte assolutamente scontate, ma hanno l’obiettivo di
far subire difficoltà e umiliazioni al protagonista, moderno antieroe. Ed è proprio questo
che lo fa uscire vincente. L’uomo medio di
Ferrell non ha aspirazioni, non prende rischi
né sarebbe incline a causare disastri se le
circostanze non complottassero contro di lui.
Si ha l’impressione che finito il film e terminato
l’intreccio che l’ha messo in moto, la sua vita
torni a essere priva di momenti divertenti, terribile, piatta e mortalmente vuota di stimoli. Si
ritrova un po’ di originalità solo nel finale che
strappa un sorriso in più. Will Ferrell, come
nella maggior parte delle sue interpretazioni, esagera con lo stereotipo, mentre Mark
Wahlberg sorprende e regge testa al comico
più navigato, grazie al fisico e un umorismo
più sottinteso. Un tipo di comicità in ogni caso
sicuramente più apprezzata negli States che
dal pubblico italiano.
Veronica Barteri
NATALE COL BOSS
Italia, 2015
Regia: Volfango de Blasi
Produzione: Aurelio De Laurentiis & Luigi De Laurentiis per
Filmauro
Distribuzione: Filmauro
Prima: (Roma 16-12-2015; Milano 16-12-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Volfango De Biasi, Alessandro
Bencivenni, Francesco Marioni, Tiziana Martini, Lillo, Greg
Direttore della fotografia: Tani Canevari
Montaggio: Gianni Vezzosi
Musiche: Attilio Di Giovanni,Claudio Gregori
Scenografia: Luca Gobbi
Costumi: Tatiana Romanoff
Interpreti: Greg (Alex), Lillo (Dino), Francesco Mandelli
(Leo), Paolo Ruffini (Cosimo), Giulia Belvilacqua (Sara),
Francesco di Leva (Fefè), Enrico Guarneri (Commissario
Zaganetti), Francesco Pennasilico (Mario), Peppino Di Capri
(Boss)
Durata: 96’
35
Film C
osimo e Leo sono due poliziotti completamente imbranati,
mandati a sorvegliare un boss
della camorra, proprio in virtù della loro
manifesta idiozia dal loro capo corrotto.
Ciò nonostante riescono a fotografare il
malavitoso, che dunque si vede costretto
a cambiare identità, decidendo di farsi
fare una faccia nuova. Così manda i
suoi scagnozzi a prelevare Alex e Dino,
due chirurghi plastici romani trapiantati
a Milano che devono lasciare la loro
bella vita da ricconi, per seguire, sotto
minaccia, gli uomini del boss a Napoli.
Qui vengono obbligati a operarlo e tenuti
prigionieri fino allo svelamento del nuovo
volto scelto dal criminale. Peccato che
i chirurghi capiscano la preferenza per
Peppino Di Capri, piuttosto che Leonardo Di Caprio e rendano il criminale
identico al cantante campano. Da questo
momento in poi hanno inizio una serie di
inseguimenti e di fughe. Alex e Dino dal
boss e dai suoi uomini, Cosimo e Leo alla
ricerca del boss, mentre quest’ultimo si
trova faccia a faccia con il vero Peppino
di Capri. Così i due poliziotti vogliono a
tutti i costi occuparsi del boss, ma non
sapendo del suo cambio d’identità lo
scambiano per Peppino Di Capri, lo accompagnano al concerto e lo proteggono;
il boss si entusiasma a cantare le canzoni
del noto cantante, mentre Dino e Alex se la
vorrebbero semplicemente dare a gambe,
ma sentono il dovere di avvertire le forze
dell’ordine del doppione in circolazione
e così si mettono in ulteriori pasticci.
Errore che li costringe a una continua
fuga che non manca di farli finire tra
le sbarre di una prigione e dinanzi a un
decrepito “mammasantissima” dalle grottesche fattezze di un nonno attaccato alla
flebo. Poi c’è Sara, moglie ex poliziotta
di Leo, la cui personalità si dipana fino
alla fine tra un’amorevole moglie e una
fedifraga, un’agile eroina e una donna dai
facili costumi, che aiuterà il marito con
oggetti di difesa davvero geniali, come
falli fluorescenti, manette di peluche e
peperoncino spray. Alla fine, Cosimo e
Leo riceveranno i giusti riconoscimenti
per aver fatto arrestare il boss, mentre
Alex e Dino torneranno con entusiasmo
ai loro bisturi.
onostante la parola magica
“Natale” nel titolo e un vaghissimo riferimento al fatto che tutta
la storia si svolga a ridosso della notte di
Natale, Natale col boss è una commedia
che non ha niente a che vedere con i
cinepanettoni e tra le diverse interpretate
da Lillo e Greg per la Filmauro è forse
N
Tutti i film della stagione
quella che sembra appartenergli di più.
Diretto dal regista romano Volfango De
Biasi e prodotto da De Laurentiis, questa
volta il prodotto cerca di allontanarsi
dai canoni della commedia “caciarona”
e volgare a tutti i costi, per entrare in
territori meno battuti e grevi. Un’opera
degli equivoci bilanciata negli sketch
e intelligentemente forzata nello scimmiottare il genere del poliziesco vecchia
maniera. Dimenticati quindi luoghi esotici,
navi da crociera, montagne innevate,
mogli cornute e mariti farfalloni. Stavolta
le storie non sono separate come avevano sperimentato nei primi due film,
ma intrecciate. Il precedente Un Natale
stupefacente, primo film del genere con
una storia unica affidata a Lillo e Greg,
anche se gradevole non aveva però un
ritmo omogeneo e certi scambi tra gli attori sembravano più adatti al palco di un
teatro che al grande schermo, complice
l’unità di tempo e luogo. Ora ci si muove
molto e ci si diverte fino alla fine, senza
evidenti inceppamenti e riempitivi, non
tanto per le battute o i momenti surreali
in cui la coppia è ormai maestra, quanto
per le situazioni paradossali in cui tutti
i personaggi si vengono a trovare e le
reazioni che mettono in atto. Quello che
conta è che in un prodotto pensato in
funzione del divertimento fine a se stesso, non si sia mai ceduto alla tentazione
verso l’idiozia. Così, anche se l’azione
parte da un’idea dichiaratamente e totalmente assurda, non è per niente forzato
o illogico quello che viene dopo. Natale
con il boss possiede la consapevolezza
che gli spettatori non siano necessariamente sottosviluppati, e dunque possano
divertirsi a seguire una trama che è sì
surreale, ma è anche basata su quanto,
al cinema, è ormai “patrimonio” acquisito:
una memoria storica dei mafia movie,
una conoscenza dei meccanismi comici
che ne consente il ribaltamento e la variazione, una comprensione dei caratteri
che dà spazio al rinnovamento, partendo
proprio dalla loro riconoscibilità. Ogni
attore è utilizzato sulla base delle sue
specifiche potenzialità e dello spazio che
si è conquistato nell’immaginario del pubblico. Le battute fanno perno sul ricordo di
mille altre, e poi trovano il mood originale
e diverso dalle altre volte. Si ride senza
vergognarsene, si segue il ritmo in crescendo di ogni scena e una comicità che
è un susseguirsi di situazioni congruenti,
equivoci a non finire, pur nella loro semplicità, non semplicemente una sequela
di gag attaccate l’una all’altra. Una storia
che gira bene su se stessa, con sketch
divertenti e in armonia tra loro che fanno
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ridere con semplicità e onestà e qua e
là regala agli appassionati piccole perle
e citazioni, da Kill Bill a Frankenstein. È
così che una delle scene più buffe del
film rimanda a Gomorra, mentre altre ai
classici film mafiosi con De Niro, in cui
però i malavitosi qui hanno il posto che
meriterebbero in una società di sani principi: sono grotteschi, cafoni, imbroglioni e
finiscono in manette. Perché, come c’era
da aspettarsi, sono in particolar modo
gag giocate sullo scambio di persona a
fornire buona parte del potenziale comico dell’operazione, contaminazione tra
la commedia d’azione americana anni
Ottanta e quella nostrana più classica.
I vari membri del cast appartengono a
mondi totalmente differenti: chi arriva da
un cinema più demenziale, chi dalle fiction tv e chi ancora dal teatro e dalla musica. Un’unione di intenti per un obiettivo
comune, quello di rinnovare la classica
idea di commediola natalizia campione
di incassi. La bravura di Lillo e Greg, già
palesatasi in altre occasioni, acquista un
carisma differente che influenza l’intera
pellicola, dileguandosi fino al territorio
demenziale di Paolo Ruffini e Francesco
Mandelli, che regalano spiragli di sincero
sollazzo, con travestimenti assortiti sulla
falsariga di I soliti idioti. A tal proposito,
meritano tutti gli elogi del caso anche gli
attori di contorno: Francesco Di Leva, la
cui recitazione da cattivo di turno nel ruolo di Fefè è un autentico fiore all’occhiello,
Enrico Guarnieri, il corrotto commissario
Zaganetti, che non perde occasione di
denigrare i suoi uomini e Giulia Bevilacqua che nelle vesti di Sara, moglie
di Leo, incarna una figura femminile
ben contestualizzata e non stereotipata.
Oltre ad alcuni fra i migliori caratteristi
della scuola napoletana come Gianfelice
Imparato, Giovanni Esposito e Antonio
Pennarella. Tuttavia, la vera sorpresa
del film è rappresentata da Peppino Di
Capri, perfettamente a suo agio nei panni del boss della camorra “trasfigurato”.
Mirabile la sua doppia interpretazione,
che gli permette di immedesimarsi magnificamente sia in se stesso, che nel
boss camorrista e dal linguaggio scurrile.
Il cantante conosciuto al grande pubblico
come timido e riservato lascia spazio a un
personaggio realistico, sia da un punto di
vista vocale che fisico. Un artista dall’inaspettata duttilità e poliedricità, che ha
saputo reinventarsi e il duetto finale con
un rapper ai titoli di coda, che mescola
il fumetto con il documentario, funge da
testimonianza.
Veronica Barteri
Film Tutti i film della stagione
IL FIGLIO DI SAUL
(Saul fia)
Ungheria, Francia, 2015
Regia: László Nemes
Produzione: Laokoon Filmgroup
Distribuzione: Teodora Film
Prima: (Roma 21-1-2016; Milano 21-1-2016)
Soggetto e Sceneggiatura: László Nemes
Direttore della fotografia: Mátyás Erdély
Montaggio: Matthieu Taponier
Musiche: László Melis
Scenografia: László Rajk
Costumi: Edit Szücs
O
ttobre 1944: Auschwitz Birkenau.
Saul Auslander appartiene
al Sonderkommando, cioè a quel gruppo di
ebrei che lavora nei campi per indirizzare i
deportati ai forni, liberare gli spazi dai cadaveri e provvedere alla loro cremazione.
Saul sa benissimo che lui stesso e i suoi
compagni faranno la stessa fine perchè
anche il Sonderkommando deve essere
periodicamente “rinnovato”, ma continua
senza apparenti turbamenti a fare il suo
lavoro tra cataste di cadaveri, il calore dei
forni, le ingiurie e le frustate degli aguzzini.
Naturalmente gli uomini del gruppo
di Saul stanno preparando la rivolta con
armi raccattate qua e là e con la complicità
dei kapò pagati con i gioielli prelevati dai
morti.
Un giorno Saul riesce a evitare che le
fiamme brucino il corpo di un ragazzino
che lui è convinto sia suo figlio, avuto in
Ungheria non dalla moglie ma da un’altra
donna.
Da questo momento Saul cerca dappertutto un rabbino che possa dare al povero
morto una dignitosa sepoltura secondo il
rito e la preghiera ebraica. Tutto questo
mentre la rivolta ha preso il via e vede da
un lato la ricerca di Saul che continua e,
dall’altro, l’inizio dei combattimenti con
i carcerieri del campo: tra le esplosioni,
i fumi e gli spari gli uomini del Sonderkommando riescono a fuggire, Saul porta
con sé il corpo del ragazzo che perde però
durante la traversata del fiume.
Saul e i suoi compagni di fuga sono poi
scovati dai carcerieri sulle loro tracce con
i cani e poi uccisi a colpi di mitra dentro un
capannone dove si erano rifugiati.
Effetti: Barnabás Princz
Interpreti: Géza Röhrig (Saul Ausländer), Levente
Molnár (Ábrahám), Urs Rechn (Oberkapo Biederman),
Todd Charmont (Uomo con la barba), Marcin Czarnik
(Feigenbaum), Sándor Zsótér (Dottore), Jerzy Walczak
(Rabbino del Sonderkommando), Uwe Lauer (SS Voss),
Christian Harting (SS Busch), Kamil Dobrowolski (Mietek),
Amitai Kedar (Hirsch), István Pion (Katz), Levente Orbán
(Vassili), Juli Jakab (Ella)
Durata: 107’
contare il massacro degli ebrei nei campi
usando le tecniche di ripresa sempre più
sofisticate, arricchite di effetti speciali e di
mezzi tecnologici all’avanguardia?
No, non si può.
Forse si potrebbe farlo come un normale film di guerra anni ‘60, un grande
meccanismo bellico spettacolare che si
tenga però ben lontano dalla sofferenza e
dalla disperazione, senza scavarne l’intimo
strazio e il perchè possa capitare tutto
questo a un essere umano.
Quindi è impossibile.
Laszlo Nemes, regista e sceneggiatore
ungherese che con il suo film ha ottenuto
messe di premi (diciassette finora, comprensivi del Gran Premio a Cannes 2015,
del Golden Globe e della candidatura
all’Oscar) ha fatto delle scelte ben precise,
una più strettamente tecnica, la seconda
ome si può, oggi, rappresentare
il dolore, la disumanizzazione,
il raccapriccio che proviene da
ogni azione, l’orrore insomma? Si può rac-
C
37
più spiazzante perchè tocca le scelte più
intime dell’animo umano, ciò che riesce a
inventare l’uomo per convincersi di continuare a essere tale e non uguale a uno
dei cadaveri accatastati, oggetto del suo
orribile lavoro.
La prima decisione fa convergere lo
sguardo della macchina da presa sempre
e decisamente su Saul (grazie anche alla
scelta del 35 mm. e del formato 4:3), sulle
sue azioni, sui suoi movimenti alle camere
a gas, mentre pulisce il sangue dei morti,
prepara i fuochi ai forni, disperde nel fiume
i quintali di cenere accumulata; il resto
rimane ai bordi dello schermo come i volti
dei suoi compagni, i corpi smembrati in
attesa del fuoco, il vestiario accumulato da
catalogare e frugare in cerca di qualcosa
di prezioso; ugualmente ai lati restano le
urla degli aguzzini, le scudisciate dei kapò,
Film i pavimenti raschiati, gli ordini da eseguire,
gli sguardi della paura, la consapevolezza
di stare sempre in contiguità con la morte.
La seconda scelta invece fa pensare
maggiormente perchè riguarda il riconoscimento del figlio perduto da parte di
Saul: molto probabilmente Saul non ha
riconosciuto nessuno e con altrettanta
probabilità figli non ne ha mai avuti. Tutto
ciò è la costituzione di un’ossessione cioè
la voglia, contro ogni verità e possibilità
umana, di darsi un progetto che possa
Tutti i film della stagione
nobilitarlo e ridargli quella dignità che lui ha
permesso fosse calpestata e mischiata al
liquame con cui lui convive ogni ora delle
sue giornate maledette.
L’ossessione, visto che non gli interessa più nulla né dei morti né dei vivi è l’unica
cosa che è rimasta a Saul per riconoscersi
come uomo e pretendere rispetto, forse da
nessuno, sicuramente da se stesso.
La storia, naturalmente, va come deve
andare e finisce con il massacro di tutti;
resta questa ossessiva affermazione di
se stesso, resta la sua forza morale che
trascina chi è in sala per farlo sentire un
po’ meno vile, infondergli un pizzico di
quella dignità anche per lui calpestata
quando durante tutto il film visto senza
mai tirare il fiato non ha smesso di domandarsi come sia stato possibile per
coloro che c’erano volgere la testa da
un’altra parte, non vedere, non sapere e
così presto dimenticare.
Fabrizio Moresco
LA CORRISPONDENZA
Italia, 2016
Regia: Giuseppe Tornatore
Produzione: Isabella Cocuzza e Arturo Paglia per Paco Cinematografica con Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 14-1-2016; Milano 14-1-2016)
Soggetto e Sceneggiatura: Giuseppe Tornatore
Direttore della fotografia: Fabio Zamarion
Montaggio: Massimo Quaglia
Musiche: Ennio Morricone
Scenografia: Maurizio Sabatini
Costumi: Gemma Mascagni
E
d Phoerum, professore di astrofisica presso l’Università di
Edimburgo, ha la famiglia in
un’altra città del Regno Unito e gira il
mondo per conferenze e incarichi di alto
livello internazionale.
Il professore ha un’allieva fuori corso, Amy Ryan, che si guadagna da vivere
facendo la stuntgirl nelle scene più pericolose e rischiose dei film d’azione.
I due sono legati da un amore profondo,
da una forte passione senza limiti da circa
sei anni; il loro legame non ha mai avuto
un cedimento durante questo periodo e loro
continuano a desiderarsi e completarsi pur
nel turbinio degli impegni e delle reciproche difficoltà nel trovare il giorno adatto
per stare insieme.
Un giorno, il professore saluta la sua
allieva per un ciclo di conferenze che li
terranno divisi per un po’: tra i due innamorati il contatto è assicurato da Skype che
permette loro di vedersi, parlarsi, amarsi
attraverso lo schermo del computer che li
fa sentire un po’ meno lontani.
Di giorno in giorno, Ed continua a
rimandare il suo ritorno, pressato dagli
impegni che si accavallano gli uni sugli
altri, pur continuando attraverso lo schermo a sommergere Amy di tutte le parole
d’amore possibile.
Una brutta mattina, all’inizio di una
Effetti: Danny Hargraves, Real SFX
Interpreti: Jeremy Irons (Ed Phoerum), Olga Kurylenko (Amy
Ryan), Simon Johns (Jason), James Warren (Rick), Shauna
MacDonald (Victoria), Oscar Sanders (Nicholas), Paolo
Calabresi (Pescatore Ottavio), Simon Meacock (Artista),
Florian Schwienbacher (Tommy), Irina Karatcheva (Madre di
Amy), Darren Whitfield
(Custode), Patricia Winker (Proprietaria teatro), Marc Forde
(Ristoratore), Ian Cairns
(George), Daphne Mereu (Madeline)
Durata: 116’
lezione all’università, il sostituto del professore comunica nello sgomento generale,
l’improvvisa scomparsa di Ed Phoerum
avvenuta il giorno prima.
Amy è annientata dal dolore e non
sa darsi pace soprattutto perchè, sempre
attraverso il computer, continuano ad
arrivarle da parte di Ed messaggi di ogni
genere datati successivamente alla morte;
lei cerca di venire a capo di questa situazione che la sta facendo impazzire e ben
presto arriva alla spiegazione, comprovata
dall’incontro con l’avvocato di Ed e con
altri personaggi di cui il professore si è
servito.
Ed, dopo aver saputo del cancro al cevello che l’avrebbe divorato in pochissimo
tempo, ha dedicato gli ultimi mesi della sua
vita alla preparazione di filmati, lettere
e messaggi che avrebbero seguito la sua
amatissima ragazza almeno fino alla fine
del corso di studi.
La rete costruita dal professore è capillare; intanto l’automatismo dei programmi
telematici, poi l’intervento di spedizionieri,
postini, portieri, anche la custode della
bellissima casa sul lago, Bosco Ventoso
dove i due amanti si rifugiavano soli: tutto
e tutti contribuiscono a far sì che Amy, pur
nelle lacrime, si senta meno sola grazie al
suo amatissimo Ed che continua a starle
vicino anche se in maniera virtuale. Fino
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alla laurea, in occasione della quale Amy
riceve per prima cosa un mazzo di rose e
successivamente, attraverso un notaio, la
donazione di Bosco Ventoso.
Amy riceve anche un ultimo filmato che
le mostra di spalle il suo Ed, ormai alla
fine, esprimerle il suo amore infinito e il
suo ultimo saluto.
’Amor che move il sole e l’altre
stelle”: prendiamo in prestito
(con grande umiltà) le parole
che il Poeta ha usato addirittura per riferirsi
all’Essere Supremo perchè ci sembrano
adatte a qualificare in pieno questa storia
di un grandissimo amore che si perde tra le
stelle, un amore stellare sia per l’attinenza
con gli studi scientifici, sia per l’altezza
metafisica toccata dalla sua intensità.
Non poteva essere più grande e
profondo questo amore che lo scienziato
si è trovato nel cuore comparando la
grandezza e il mistero dell’universo con
la piccolezza della vita umana: è stato
come trovare una stella persa e spaesata
nei grandi spazi galattici e poi piombata
sulla terra a dimostrare che anche a livello
terreno la luce e il calore di una passione
può diventare cosmica, senza confini.
Ugualmente non poteva essere più
grande questo amore per la stuntgirl
abituata a giocare con la morte sfidando
“L
Film il pericolo e i suoi sensi di colpa (in un
incidente con lei alla guida le era morto il
padre) e desiderosa in maniera frenetica di
ritornare alla vita per immergersi in questa
passione fatta di stelle, di intelletto e di
coinvolgimento assoluto.
Tutto così assume presto i dettagli di
un enigma, ma non perchè ci sia qualcosa
da scoprire che obbedisca alle esigenze
del thriller, ma perchè è proprio l’esistenza
a mostrarsi misteriosa quando unisce materia e anima e sfonda i confini dei comuni
parametri per liberarsi in un territorio che
appartiene alla scienza e all’intimità, ai
sentimenti e alla ragione: quindi insondabile, inesplorabile.
D’altra parte, non sono milioni le stelle
già morte che continuano a mandarci
segnali della loro esistenza, fasci di luce
lontana che perseverano nello stare in
comunicazione con noi per convincerci
che tutto continua nella voglia di esistere
proprio quando sembra che tutto sia finito?
Il professore di astrofisica Ed Phoerum
non può che comportarsi così, particella
anche lui di quell’universo che continuerà
sempre a esistere nella luce e nell’amore
perchè proprio questo è quello che “move
il Sole e l’altre stelle”.
Tornatore è un regista che ama parlare
d’amore, che per lui continua a essere il
motore dei rapporti umani (così ha sostenuto nelle interviste di presentazione
del film), anche nel continuo accavallarsi
della diversità dei tempi e in presenza
di problemi sociali, economici e politici
che potrebbero spingere definitivamente
l’essere umano verso l’aridità più assoluta.
È qui che possiamo avere dei dubbi:
Tornatore ci sta proprio dicendo che
pur in tempi di così rarefatto scambio di
sentimenti, l’amore espresso in modo
diverso trova la strada per rioccupare la
Tutti i film della stagione
posizione centrale delle nostre capacità
e volontà emozionali? Oppure il regista
ci sta facendo intravedere l’apertura di
nuovi orizzonti, di cui ancora non abbiamo la totale consapevolezza, dove esseri
umani incapaci di darsi possono sfruttare
le nuove tecnologie in grado di raffreddare
le passioni e mantenersi “intatti” in una
lontananza fatta di onde siderali?
Aspettiamo altri film, aspettiamo altri
input per approfondire questo argomento.
Comunque, come sia, Tornatore per
parlare d’amore in questo modo si avvale
di due attori che lo hanno inteso benissimo:
il fascinosissimo Irons e la dolce Kurylenko
hanno uno sguardo carico di luce stellare e
fondano il loro rapporto tenero, malinconico, misterioso, antico e romanticissimo su
uno scambio struggente di ricordi, brividi
e tormenti a rappresentare una totale dedizione umana e una continua, incredibile
dichiarazione d’amore.
Tornatore poi inquadra il suo racconto
in interni ed esterni semplicemente da
favola, plasmandone i colori e lo spessore
per renderli adatti a una narrazione così
densa di suggestioni: l’isola di San Giulio sul lago d’Orta è il luogo incantevole
come nido d’amore smarrito nella nebbia
e nella fantasia in cui confluiscono calore
e promesse, così la Biblioteca Storica del
Seminario Maggiore di Bolzano trasuda
quell’avvolgente atmosfera culturale che
offre la giusta culla per un amore così colto,
metafisico ed emozionale.
Ogni immagine è curata, accumula
citazioni letterarie, si offusca di pioggia e
di malinconia, pesca gli smarrimenti più
intimi, ci racconta l’amore nella costruzione di un film che pare volerci vicino per
recuperare il valore di modi dimenticati e,
soprattutto, cosa significhi essere persone.
Fabrizio Moresco
THE WALK
(The Walk)
Stati Uniti, 2015
Regia: Robert Zemeckis
Produzione: Steve Starkey, Robert Zemeckis, Jack Rapke
per Imagemovers, Sony Pictures Entertainment, Tristar Productions
Distribuzione: Warner Bros. Entertainment
Prima: (Roma 22-10-2015; Milano 22-10-2015)
Soggetto: dal libro “Toccare le nuvole” di Philippe Petit
Sceneggiatura: Robert Zemeckis, Christopher Browne
Direttore della fotografia: Dariusz Wolski
Montaggio: Jeremiah O’Driscoll
Musiche: Alan Silvestri
Scenografia: Naomi Shohan
Costumi: Suttirat Larlarb
Effetti: Kevin Baillie
Interpreti: Joseph Gordon-Levitt (Philippe Petit), Ben
Kingsley (Papa Rudy), Charlotte Le Bon (Annie Allix), Ben
Schwartz (Albert), James Badge Dale (Jean-Pierre/J.P.),
Steve Valentine (Barry Greenhouse), Clément Sibony (JeanLouis), Mark Camacho (Guy Tozolli), Sergio Di Zio (Agente
Genco), Benedict Samuel (Jean-Louis), Jason Blicker
(Agente Daley), Mizinga Mwinga (Agente Foley), Jason
Deline (Tessio), Karl Werleman (Sergente Reese), Daniel
Harroch (Agente Clemenza)
Durata: 100
39
Film l film racconta la follia di un grande
sognatore, una storia vera.
Nel 1973 l’artista di strada Philippe Petit si guadagna da vivere a Parigi
come giocoliere e funambolo con il disappunto di suo padre. Durante un’esibizione, il
giovane si fa male a un dente. Mentre è nella
sala d’aspetto del dentista, Philippe nota su
una rivista una foto delle Twin Towers a New
York. Analizzando la foto, decide di tentare
l’impresa camminare in equilibrio su un cavo
d’acciaio fra le due Torri Gemelle ancora
in costruzione. Nel frattempo, cacciato via
di casa dai suoi genitori, Philippe torna a
lavorare al circo e attira l’attenzione di Papa
Rudy che viene colpito dalle sua abilità di
giocoliere. Un giorno, mentre si sta esibendo, Philippe incontra una bella ragazza,
Annie, che si esibisce come artista di strada
e allaccia una relazione con lei. Philippe
confessa a Annie il suo sogno, la ragazza
lo appoggia e gli permette di allenarsi nella
sua scuola di musica. Philippe incontra JeanLouis che diventa il suo fotografo ufficiale
e il secondo sostenitore della sua impresa.
Philippe chiede a Papa Rudy suggerimenti
per fare nodi e manipolare le corde. Dopo
aver fallito la sua prima prova cadendo in
un lago, Philippe decide di fare un tentativo passeggiando sulla cattedrale di Notre
Dame a Parigi per riscattarsi. Egli riesce
nell’impresa ma viene arrestato. Jean-Louis
presenta a Philippe e Annie il suo amico Jeff
che spiega ai suoi amici la sua idea di usare
un arco e una freccia legata su un filo per
sostenere il cavo di collegamento delle due
Torri Gemelle. Philippe e Annie tornano in
America e fissano la data dell’impresa per
il 6 agosto 1974. Philippe indossa un travestimento per andare a fare una ricognizione
ai lavori per il completamento delle Twin
Towers. Nel frattempo, il giovane funambolo
incontra un suo ammiratore che lo aveva
seguito anche nell’impresa di Notre Dame.
L’uomo gli presenta Barry Greenhouse,un
assicuratore che collabora alla costruzione
delle Twin Towers e che diventa un altro
membro della squadra di Philippe. A loro si
uniscono altri tre amici. Il gruppo fa diversi
sopralluoghi sul posto e, alla fine, stabilisce
che Philippe dovrà essere sulla corda prima
che il gruppo di operai arrivi alle Torri alle
7 di mattina.
Alla vigilia dell’impresa, il gruppo
incontra diversi ostacoli, tra cui delle
guardie incaricate di controllare gli edifici. Nonostante le difficoltà, riescono ad
appendere le funi e fissare i cavi. Philippe
inizia la sua camminata e tutto intorno a
lui sbiadisce appena comincia l’impresa:
egli sente che esiste solo lui e il cavo su
cui restare in equilibrio. Per la prima volta
nella sua vita, il giovane si sente pieno di
I
Tutti i film della stagione
riconoscenza nei confronti della vita e in
pace con se stesso. Philippe cammina con
successo nello spazio tra le due Torri mentre la folla sottostante fa il tifo per lui. Una
volta raggiunta l’altra torre, Philippe vuole
percorrere il percorso inverso nel vuoto e
tornare sulla prima torre. A un certo punto,
il funambolo si inginocchia perfino verso
la folla e addirittura si sdraia. Arriva la
polizia che cerca di caricare Philippe su un
elicottero ma l’uomo continua imperterrito
la sua camminata sulla fune, passeggiando
avanti e indietro fino a compiere l’impresa
per sei volte. Egli viene subito arrestato
anche se sia la polizia che i lavoratori
alla costruzione delle Torri lodano il suo
coraggio. Philippe e i suoi amici sono poi
rilasciati, Philippe decide di restare a New
York mentre Annie decide di tornare a Parigi per inseguire i suoi sogni. Il capo dei
lavori per la costruzione delle Twin Towers
consegna a Philippe un pass per i ponti di
osservazione di entrambi i grattacieli. Philippe guarda dritto nella telecamera con
le Torri Gemelle sullo sfondo e dice che la
data di scadenza sul pass è stata cancellata
e sostituita dalla dicitura “per sempre”.
egista da sempre attento a un’idea
di cinema capace di giocare con lo
spazio e il tempo (come non ricordare il ‘cult’ Ritorno al futuro di cui quest’anno
si celebrano i 30 anni dall’uscita?), Zemeckis
continua a raccontare storie di personaggi
che con la tenacia, la voglia di riscatto, a
dispetto di tutti e tutto realizzano un sogno.
Questa volta, ancora di più che nelle
sue opere passate, il regista compie il
prodigio di spingere la macchina da presa
verso traiettorie incredibili, ben coadiuvato
da uno staff tecnico di prim’ordine: basti
pensare che l’esperto di effetti visivi Kevin
Baillie ha recuperato importanti documenti
per riprodurre circa trenta piani di interni
delle Torri Gemelle, e il team di Atomic
Fiction ha lavorato mesi per ricostruire la
downtown Manhattan degli anni Settanta.
The Walk racconta del funambolo
francese Philippe Petit che compì la sua
impresa il 7 agosto 1974 camminando
nello spazio tra le Twin Towers (inaugurate
in quell’anno) in equilibrio su una fune a
circa 412 metri d’altezza. Prima della sua
‘passeggiata’, Petit visitò le Torri Gemelle
più di duecento volte con diversi travestimenti. Il funambolo restò sospeso nel cielo
per più di 45 minuti mentre la polizia era lì
accanto, pronta ad arrestarlo.
Dietro all’idea del film c’è anche il
rapporto irrisolto del regista con le Twin
Towers, da lui mai particolarmente amate,
ma mai neanche apertamente criticate.
Certo è che l’impresa di quel funambolo
R
40
francese potrebbe essere vista come un
tentativo di attribuire una specie di anima
alle Torri Gemelle, unendole per qualche
minuto fatale con una fune.
Occorre fugare un dubbio: come ha
sottolineato lo stesso regista, non era sua
intenzione girare un film sul significato del
crollo delle due torri dell’11 settembre 2001
ma “studiarne la percezione e le sembianze”, rendere il fascino del “bilanciamento
tra architettura e natura”, “l’incontro del
piede di un artista e quei sostegni che
toccano le nuvole”.
L’impresa di Petit era già stata portata
sul grande schermo due volte: la prima nel
cortometraggio High Wire di Sandi Sissel
del 1984 e la seconda nel documentario
Man on Wire – Un Uomo tra le Torri di
James Marsh, che vinse l’Oscar nel 2009
come miglior documentario. Ma a differenza del documentario di Marsh, grazie alla
tecnologia del 3D, il film di Zemeckis offre
la possibilità allo spettatore di salire lassù
tra le Twin Towers insieme al funambolo
protagonista.
Spazio e tempo, passato e presente,
sogno e realtà, tutto si collega magicamente in The Walk, una passeggiata
speciale in cui si ha davvero percezione
della multidimensionalità e della grande
profondità (che Zemeckis sia uno dei primi sperimentatori nell’uso del 3D e delle
sue potenzialità non è una novità come in
assoluto sia stato un campione nell’uso di
diverse tecnologie sul grande schermo).
Valore aggiunto del film è l’eccezionale prova dell’attore protagonista, Joseph
Gordon-Levitt, che si è sottoposto a una
duro training per imparare a camminare in
equilibrio su una fune d’acciaio e che ha allenato alla perfezione il suo accento francese.
Trascinante e divertente, a tratti
mozzafiato per la grandiosità del 3D, il
film (tratto dal libro “To Reach the Clouds”
scritto dal 2002 dallo stesso Petit e uscito
in Italia con il titolo “Toccare le nuvole”)
appare davvero come un inno alla libertà
creativa per mano di un regista da sempre
attratto da storie e personaggi stra-ordinari
(che ne dite di un certo Forrest Gump?).
“Il limiti esistono soltanto nell’anima di chi
è a corto di sogni” osservò Philippe Petit: e
sul grande schermo ogni limite è da sempre
superato proprio perché nulla è più vicino
al sogno dell’esperienza cinematografica.
E forse nessuno come il mago Zemeckis (la sua filmografia parla, anzi fa sognare, da sola) ha dimostrato di saper far volare
alto lo spettatore, questa volta coniugando
alla perfezione emozione e tecnologia,
realtà e illusione, possibile e impossibile.
Elena Bartoni
Film Tutti i film della stagione
11 DONNE A PARIGI
(Sous les jupes des filles)
Francia, 2014
Regia: Audrey Dana
Produzione: Wild Bunch, M6 Films con la partecipazione di
Ocs, M6, W9, in associazione con Palatine Etoile 11
Distribuzione: Microcinema
Prima: (Roma 3-12-2015; Milano 3-12-2015)
Soggetto e Sceneggiatura: Audrey Dana, Murielle Magellan,
Raphaëlle Desplechin
Direttore della fotografia: Gianni Fiore Coltellacci
Montaggio: Julien Leloup, Herve Deluze
Musiche: Imany
Scenografia: Bertrand Seitz
P
arigi, oggi. Undici donne sono alla
disperata ricerca di se stesse. Rose
è una classica donna d’affari che
pensa solo al lavoro e che, a un certo punto
della sua vita, si fa prendere dal panico quando le rivelano che il suo tasso di testosterone
è alle stelle. Così si mette in cerca delle sue
compagne di scuola, con risultati disastrosi.
A subirne sempre le conseguenze, è la sua
assistente Adeline, che farebbe volentieri a
meno di soddisfare tutti i capricci del suo
capo, oltre a dover affrontare un grave problema familiare. Sua madre per difendersi
ha ucciso il padre. L’avvocato che si occupa
del suo caso è Agathe, una donna bella e di
successo, che non riesce a trovare l’uomo
giusto, anche perché, di fronte a quelli che
le piacciono, si ritrova a sopportare degli
inconvenienti imbarazzanti con una brutta
colite. Ad aiutarla, la sua migliore amica
Jo, che con gli uomini passa da periodi
molto freddi ad altri decisamente intensi.
Ultimamente, è diventata l’amante di un
uomo sposato, la cui moglie non è poi così
intenzionata a mollare l’osso. La moglie
infatti, Inès, deve fronteggiare una crisi
dovuta a questa situazione, mentre intanto
continua a lavorare per Lily, un’esigente
stilista, che, a sua volta, affronta delle difficoltà nella vita personale, in particolare
nel rapporto con la figlia adolescente, mentre
non accetta il fatto di invecchiare. Nel suo
studio, troviamo anche il marito di Ysis, una
madre che, nonostante la giovane età, ha
quattro figli e che, a un certo punto, scopre di
non voler più sacrificare tutto per la famiglia,
ma “di voler cercare gli arcobaleni nel cielo
anche quando non piove”. Così inizierà una
relazione con un’altra donna, Marie, arrivata
a casa sua, per caso, come babysitter che
le farà conoscere una dimensione nuova
dell’amore, portando finalmente un po’ di
passione nella sua vita. Sempre attorno a
Lily, ruotano sua sorella, una donna ansiosa
e ipocondriaca che, a un certo punto, dovrà
fare i conti con un cancro al seno e Sophie,
una sua impiegata, che non perde occasione
di spettegolare in ufficio sulle sue colleghe,
ma che nasconde uno spiacevole segreto:
Costumi: Charlotte Betailloe
Interpreti: Isabelle Adjani (Lili), Alice Belaïdi (Adeline),
Laetitia Casta (Agathe), Audrey Dana (Joe), Julie Ferrier
(Fanny), Audrey Fleurot (Sophie), Marina Hands (Inès),
Géraldine Nakache (Ysis), Vanessa Paradis (Rose), Alice
Taglioni (Marie), Sylvie Testud (Sam), Pascal Elbé (Il bel avvocato), Marc Lavoine (Il bel ginecologo), Guillaume Gouix (Il
marito di Ysis), Alex Lutz (Jacques, il marito di Inès), Nicolas
Briançon (Il marito di Fanny), Stanley Weber (James Gordon)
Durata: 118’
non riesce a raggiungere il piacere. Infine,
troviamo Fanny, un’autista di autobus, che è
sposata da anni, ma ha dimenticato di poter
avere una vita sessuale, fino a quando una
botta in testa non risveglierà i suoi istinti.
Rose alla fine troverà in Adeline una buona
amica. Agathe riesce a vincere il caso e finalmente trova, in un importante avvocato,
l’uomo per lei. Ysis dopo la delusione dell’esperienza omosessuale torna con il marito,
più innamorata di prima.
sordio alla regia dell’attrice Audrey
Dana, 11 donne a Parigi qui in veste
di regista, sceneggiatrice a attrice,
si è attestata come la commedia femminile
di maggior successo in Francia negli ultimi
anni. Quella che la regista ci propone è
una vera e propria epopea sentimentale
all’interno della metropoli europea contemporanea, con le sue stramberie e i suoi
piccoli e assurdi drammi. Parigi è la grande
protagonista di questo composito collage cinematografico, che cerca di raccontarci le
vicende di undici donne. Una vera e propria
cartina sentimentale, per orientarsi all’interno
E
41
della complessa selva dei sentimenti, con
tutti i problemi dell’identità e della sessualità
femminile. La donna d’oggi, sembra suggerire il film, è quanto mai sfaccettata e varia.
Non c’è una sola via percorribile, ma diversi
itinerari che possono essere intrapresi e che
si scoprono saldamente intrecciati, sino al
rischio della confusione. Se c’è in effetti
una nota stonata in tutta l’operazione è
proprio la difficoltà di seguire un percorso
articolato, fatto di numerosi personaggi di
spicco, che forse non hanno sufficiente
spazio di autonomia. Per lo spettatore infatti
non risulta affatto facile districarsi fra un
numero così alto di primedonne, ciascuna
delle quali vanta una personale caricatura,
il più delle volte eccessiva e stereotipata.
E undici protagoniste sono decisamente
troppe. Il film può essere considerato come
la versione francese non riuscita di Sex and
the City. Ma un altro punto dolente di 11
donne a Parigi è rappresentato dalla caratterizzazione eccessivamente maschilista
delle protagoniste, da cui è facile intuire che
l’argomento più trattato è quello riguardante
il sesso, con l’aggiunta di qualche tormentata
Film relazione familiare. In realtà, le donne di
Dana sono poco indipendenti e anzi finiscono per appartenere, più o meno direttamente, a una figura maschile di riferimento.
Il titolo originale, ancora più esplicito, Sotto
le gonne delle ragazze, sottolinea come
quei ventotto giorni da cui si parte, il ciclo
ormonale femminile, designino piuttosto
picchi siderali e nevrotici, idiosincrasie, in
un racconto costantemente sopra le righe.
La pellicola ha il grande potenziale di trovarsi a raccontare il mondo femminile, ma
non riesce a raccontarlo nella sua totalità
e profondità. Rimane in superficie, con un
ritratto delle donne esageratamente caricato
e incentrato principalmente sull’aspetto sessuale, soffermandosi sulla facciata più frivola
e banale. Un film scritto per le donne, ma che
Tutti i film della stagione
non rende loro giustizia, semmai sembra la
materializzazione di tutti i più tremendi luoghi
comuni sugli sbalzi umorali e sull’isteria. Infine, quello che più di tutti colpisce, è la quasi
totale assenza di comicità e ironia. Con una
serie di sketch grotteschi, messi insieme in
modo ancor più stravagante, la regista dà
l’impressione di aver perso le redini, così
che una storia corale si intreccia in maniera
concitata e vorticosa per tutto il tempo, non
concedendo allo spettatore nemmeno di
capire di cosa si tratti. Il linguaggio diretto e
realistico, seppure forzato e appiccicato addosso ai personaggi, non aiuta ad affezionarsi, né a comprendere le vicende montate
di donne, che rimangono distanti per tutta
la durata del film. Neanche l’introduzione
della malattia giova alla mancanza di avvi-
cinamento e alla pretesa di verosimiglianza
delle storie e dei modelli presentati. Donne
troppo insipide, e quasi indistinguibili tra loro,
nonostante la volontà di caratterizzarle, che
sono più impegnate a mascherarsi nel loro
essere comicamente impacciate e quasi
macchiettistiche, piuttosto che irrisolte. Allo
stesso modo, le interpretazioni tardano a essere credibili e divertenti, tra Laetitia Casta,
che sembra imbarazzata e in vistoso disagio,
Vanessa Paradis irrigidita e poco credibile,
una Isabelle Adjani irriconoscibile sotto la
maschera di botox; a salvarsi è la sola Julie
Ferrier, nei panni dell’unico personaggio
originale e irriverente nella sua particolarità
di autista di autobus piena di tic.
Veronica Barteri
MACBETH
(Macbeth)
Francia, Gran Bretagna, 2015
Regia: Justin Kurzel
Produzione: See-Saw Films, in associazione con Dmc Film
Distribuzione: Videa
Prima: (Roma 5-1-2016; Milano 5-1-2016)
Soggetto: dal dramma di William Shakespeare
Sceneggiatura: Jacob Koskoff, Todd Louiso, Michael Lesslie
Direttore della fotografia: Adam Arkapaw
Montaggio: Chris Dickens
Musiche: Jed Kurzel
Scenografia: Fiona Crombie
S
cozia, tardo medioevo.
È in atto una guerra tra il
potere legittimo impersonato dal
Re Duncan e i ribelli guidati dal traditore
Mac Donwald. Macbeth, Signore di Glamis, comandante l’esercito del re di Scozia,
conduce gli armati a una brillante vittoria
sugli insorti.
Alla fine dei sanguinosissimi scontri,
Macbeth e il suo compagno Banquo ispezionano il campo di battaglia e si imbattono
in tre streghe che fanno loro delle profezie:
nel salutare Macbeth Barone di Cawdor
oltre già di Glamis, annunciano che presto
sarà re; prevedono invece la corona regale
non per Banquo ma per i suoi discendenti.
Macbeth confida alla moglie i suoi turbamenti soprattutto perchè nel frattempo
un messaggero del re gli porta la nomina a
Barone di Cawdor, proprio come avevano
profetizzato le streghe.
Lady Macbeth spinge il marito a non
indugiare oltre e ad approfittare della
situazione in quanto Duncan con il suo
seguito è in arrivo al castello di Inverness
per festeggiare il trionfo in battaglia.
La notte stessa Macbeth pugnala a mor-
Costumi: Jacqueline Durran
Effetti: BlueBolt
Interpreti: Michael Fassbender (Macbeth), Marion Cotillard
(Lady Macbeth), Paddy Considine (Banquo), David Thewlis
(Duncan), Sean Harris (Macduff), Jack Reynor (Malcolm),
Elizabeth Debicki (Lady Macduff), David Hayman (Lennox),
Ross Anderson (Rosse), Maurice Roëves (Menteith), Barrie
Martin (Thane), Hilton McRae (Macdonwald), Scott Dymond
(Seyton)
Durata: 113’
te Duncan, ma non riesce a nascondere l’omicidio al figlio di lui, Malcolm, che fugge in
Inghilterra; anche l’alto dignitario Macduff
nutre dei sospetti dopo che Macbeth uccide
con la spada le tre guardie ubriache del re,
colpevoli di non aver vegliato a dovere e
così ora impossibilitate a parlare.
Da qui l’escalation omicida dei due
coniugi assetati di sangue e di potere non
si ferma più: Macbeth ordina a due sicari
l’assassinio di Banquo, il cui fantasma lo
perseguiterà non poco; subito ordina lo
sterminio di tutta la famiglia di Macduff,
fuggito in Inghilterra per organizzare
l’esercito che dovrà abbattere il despota.
Macbeth ritorna dalle streghe per essere
sicuro dell’esito della prossima battaglia e riceve da loro una profezia equivoca: non avrà
nulla da temere fino a quando gli alberi della
forestta di Birnam non si muoveranno contro
il castello di Dunsinane e che non potrà
morire per mano di un uomo nato da donna.
Macbeth scopre ben presto che gli alberi della foresta a cui è stato appiccato il
fuoco dell’assedio dall’esercito di Malcolm
e Macduff sembrano davvero muoversi
verso gli spalti di Dunsinane spinti dal
42
vento forte; scopre poi che il rivale Macduff
è nato da parto cesareo, strappato quindi
alla madre in modo innaturale.
Ormai è tardi per tutto: Lady Macbeth
muore, forse suicida, forse oppressa dalla
colpa per il tanto sangue versato; Macbeth
è ucciso in duello da Macduff, eroe della
battaglia contro l’usurpatore.
acbeth è la più breve delle tragedie di Shakespeare, forse la
più intensa, certamente quella
che condensa le metafore e le immagini più
straordinarie in una continua espressione
di battute presenti nell’immaginario di chi
conosce un po’ il teatro e che fanno venire
il fiato corto solo a leggerle, bisbigliarle; fino
alla profondità assoluta di “...la vita non è
che un’ombra che cammina, un povero commediante che si pavoneggia e si agita sulla
scena del mondo...”, parole che continuano
a mostrare dopo quattrocento anni tutta la
convinzione poetica circa la nullità dell’azione umana e la sua impossibilità di scelta.
Contemporaneamente Macbeth, alla
pari di tutte le altre tragedie di Shakespeare
dedicate ai re, si posiziona come un ele-
M
Film mento del Grande Meccanismo della Storia,
risultando da questo prima determinato poi
schiacciato. Con una differenza però che nel
Macbeth la lotta per il potere è guidata dall’incubo, dalla forza dell’inconscio che tracima
fangosa e si trasforma in sangue che copre
tutto e tutti sotto una coltre appiccicosa e che
diventa l’elemento conduttore di ogni azione.
Come si può tradurre oggi su uno
schermo questa montagna poetica colossale, così ricca di strade conoscitive,
di soluzioni interpretative e, nello stesso
tempo, così potentemente rigida nel rappresentare la scalata di un uomo, di un re
verso la propria mostruosità?
Justin Kurzel, giovane regista australiano proveniente dalla sceneggiatura e
quindi, per più di un motivo, lontano da
qualsiasi influenza pseudoletteraria o da
qualsiasi contaminazione poetica che potesse fuorviare la sua idea di trasposizione
cinematografica, ha scelto di restare fedele
al testo fino a toccare la convenzionalità
e insieme superarla mettendo in risalto
soprattutto la forza dell’intimità dei due
protagonisti quale motore portante di ogni
scelta, di ogni azione e di ogni delitto.
Quali problemi antichi, quanti figli perduti (l’ultima, straziante sepoltura si vede
all’inizio del film raggelare Macbeth e la
moglie in un dolore senza fine), quante
maternità mancate, invocate, piante e maledette, dormienti illusoriamente nel tempo
sono esplose di colpo a mostrare la sofferenza della propria frustrazione e la voglia
dirompente e incontenibile di avanzare nella
salita al potere, non tanto per conquistarlo
ed esercitarlo, ma per continuare a nutrirsi
di quel sangue che lo stesso potere procura
e che rende i due protagonisti soli? A loro,
chiusi in un mondo in cui esiste solo l’assassinio perchè un tempo loro stessi sono
stati assassinati nelle loro speranze e nei
loro sogni di uomo e di donna, non resta
altro che la bramosia del potere.
Tutti i film della stagione
Inizialmente è determinata Lady Macbeth che forgia questo marito esitante per
farlo diventare finalmente virile e risoluto
come quel figlio mai nato, poi è lui, finalmente uomo a prendere il sopravvento,
ad allontanarsi dalla moglie madre che
scivola sempre più verso la sua alienazione
abulica, che le permette solo di scrostarsi
dalle mani quel sangue, che diventa invece
per Macbeth il centro della sua vitalità, la
persecuzione opprimente di un delitto che
chiama un altro delitto perchè solo così può
sentirsi uomo.
La fedeltà di Kurzel è totale, corretta,
ammirevole e, nonostante le critiche che
gli sono pervenute addosso per la scarsa
disponibilità nell’affermare una sua personale visione della tragedia, pure abbiamo
trovato perfette quelle immagini scure,
notturne dove l’incubo si dilata a coprire
ogni esistenza, dove non si capisce più
il confine tra il fango della battaglia e il
sangue degli assassini perchè tutto è
mischiato nella paura, nell’allucinazione,
nell’ossessione di un’idea fissa che ha
spazzato via ogni dignità umana.
Fassbender e la Cotillard hanno compreso in maniera totale l’impianto registico e
sono stati perfetti nel comunicarci con la sola
forza di uno sguardo o di un atteggiamento
l’ubriacatura di immagini e di sogni che si
traduce nei loro desideri funerei, nella loro
ricerca di vicinanza e intimità sempre perduta, sempre sconfitta, presto assassinata.
Fabrizio Moresco
IL PROFESSOR CENERENTOLO
Italia, 2015
Regia: Leonardo Pieraccioni
Produzione: Marco Belardi per Lotus Production con Rai Cinema e Levante
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 7-12-2015; Milano 7-12-2015)
Soggetto: Leonardo Pieraccioni
Sceneggiatura: Leonardo Pieraccioni, Giovanni Veronesi,
Domenico Costanzo
Direttore della fotografia: Fabrizio Lucci
Montaggio: Patrizio Marone
Musiche: Gianluca Sibaldi
Scenografia: Francesco Frigeri
Costumi: Claudio Cordaro
Interpreti: Leonardo Pieraccioni (Umberto), Laura Chiatti
(Morgana), Davide Marotta (Arnaldo), Sergio Friscia (Don
Vincenzo), Nicola Acunzo (Il Calabrese), Massimo Ceccherini
(Il Tinto), Flavio Insinna (Direttore del carcere), Lorena Cesarini
(Sveva), Manuela Zero (Mia), Emanuela Aurizi (Sposina),
Lucianna De Falco (Sig.ra Mammolotti), Lisa Ruth Andreozzi
(Martina),Sabrina Paravicini (Ex moglie), Nicola Nocella (Agente
Nocella), Lorenzo Renzi (Hannibal), Guido Genovesi (Guidino)
Durata: 90’
43
Film U
mberto è in carcere a Ventotene
per scontare quattro anni di detenzione comminatigli per avere
tentato con un complice una maldestra
rapina in banca per evitare il fallimento
della sua ditta di costruzioni. Ormai è a
fine pena e può quindi godere dei permessi
previsti dalla legge che gli consentono di
lavorare fuori delle sbarre nella biblioteca
del Paese.
Durante una delle giornate in cui il
carcere si apre a conferenze e incontri
con l’esterno, Umberto conosce Morgana,
una ragazza un po’ sciroccata, ancora in
parte ragazzina che non capisce che lui è
un detenuto e inizia con Umberto un rapporto che si sviluppa durante i permessi
gestiti con furbizia e che sfocia presto in
un incontro di sesso.
È proprio da qui che inizia un saliscendi di equivoci e stratagemmi con il direttore
del carcere che non capisce se Umberto lo
prenda in giro o no.
Tutti i film della stagione
Fatto sta che questo riesce, in occasione di un lungo permesso di dodici ore, a
rivedere la figlia amatissima e recuperare
un prezioso gioiello rubato a Morgana e
finito come regalo di nozze per una rumena
cicciona al cui matrimonio l’allegra brigata di Umberto e company si fa passare per
un gruppo di animatori di feste.
Ben presto il periodo di detenzione di
Umberto finisce e il suo reintegro nella vita
normale potrebbe forse precludere a un
vero legame d’amore con Morgana.
oveva essere un film comico?
Perchè di ridere non se ne parla,
di un coinvolgimento allegro, da
commedia insomma, nemmeno. Di cosa
stiamo parlando quindi?
Lo stesso Pieraccioni d’altra parte si è
sempre considerato un cabarettista prestato al cinema e anche in questa occasione
ha detto che questo sa fare e non altro e
se è questo, è rimasto poco: probabilmente
D
possiamo considerare esaurita la parabola
del regista toscano che non solo da ora ma
da diversi anni ormai ha bruciato ogni inventiva, ogni pulsione di comicità ormai perduta
dopo i primi grandi esploit di I laureati e Il
ciclone, campioni d’incasso negli anni ‘90.
Il risultato è quindi una costruzione
debole, un filo esilissimo che unisce senza
danno e senza nerbo una serie di battute e
trovate del tutto superficiali, perchè il tutto
è gentile, carino, cortese ma superficiale;
anzi fa meraviglia che Pieraccioni abbia
navigato per tutto questo film lungo una
serie di dialoghi striminziti e freddi che non
scuotono e una struttura narrativa opaca
e sgangherata.
Neanche la prorompente, femminilissima e simpatica vitalità di Laura Chiatti,
né la guizzante e provata amicizia di Mario
Ceccherini sono utili a ravvivare un fuoco
ormai ridotto in cenere.
Fabrizio Moresco
VALUTAZIONI PASTORALI
Assolo – complesso-problematico / dibattiti
Big Game – Caccia al Presidfente – n.c.
Black Sea – n.c.
Carol – complesso / scabrosità
Corrispondenza (La) – complesso-problematico / dibattiti
Daddy’s Home – n.c.
Dio esiste e vive a Bruxelles – complesso-problematico / dibattiti
Everest – n.c.
Figlio di Saul (Il) – consigliabile-problematico / dibattiti
Francofonia – raccomandabile-problematico / dibattiti
Hateful Eight (The) – complesso-problematico / dibatiti
Hitman: Agent 47 – n.c.
Irrational Man – consigliabile-problematico / dibattiti
Macbeth – complesso-problematico / dibattiti
Mr. Holmes – Il mistero del caso irrisolto – n.c.
Natale col il Boss – consigliabile / brillante
Piccolo Principe (Il) – consigliabile / poetico
Point Break – consigliabile / superficialità
Professor Cenerentolo (Il) – consigliabile / semplice
Quo vado? – consigliabile / brillante
Ragazzo della porta accanto (Il) –
n.c.
44
Regola del gioco (La) – consigliabileproblematico / dibattiti
Revenant – Reditivo – complesso-problematico / dibattiti
Snoopy & Friends – Il film dei Peanuts
– n.c.
Spectre – consigliabile / semplice
Straight Outta Compton – n.c.
Taken 3 – L’ora della verità – n.c.
Transporter Legacy (The) – n.c.
11 donne a Parigi – n.c.
Una volta nella vita – n.c.
Uno per tutti – n.c.
Viaggio di Arlo (Il) – consigliabile / semplice
Walk (The) – consigliabile / realistico
Woman in Gold – consigliabile-problematico / dibattiti
Film Tutti i film della stagione
TUTTO FESTIVAL
Torino Film Festival 2015
A cura di Flavio Vergerio e Davide Di Giorgio
IL FUTURO È GIÀ QUI
Dopo la lunga coabitazione con i registicinefili Nanni Moretti, Gianni Amelio e
Paolo Virzì, Emanuela Martini dirige il TFF
per il secondo anno come unica direttrice
artistica, potendo così manifestare compiutamente la sua strategia culturale. Che è apparsa più chiara nella scelta non tanto delle
opere inedite (comunque significative nella
loro linea di tendenza), quanto della retrospettiva dedicata alla fantascienza, intitolata significativamente Cose che verranno.
La terra vista dal cinema. Più intrigante e
misterioso il titolo del volume collettaneo
di accompagnamento (una bella raccolta di
saggi vecchi e nuovi di cinefilia assoluta e di
acuta analisi del fenomeno socio-culturale),
Pecore elettriche, che riprende il titolo originale del racconto di Philip K. Dick dal quale
Ridley Scott ricavò nel 1982 il suo Blade
Runner : “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”. La Martini afferma di aver
avuto l’idea della retrospettiva in occasione
della tragedia parigina dell’uccisione di tutta
la redazione di Charlie Hebdo. “L’idea (...)
nasce dal senso di vuoto e nuova barbarie
tecnologicamente avanzata e spettacolarizzata innescato da quell’evento, e dalla consapevolezza di essere arrivati alla fine di un
ciclo storico-culturale, dalla percezione che
in realtà il meccanismo (se non l’ordigno)
“Fine del mondo” fosse in moto già da molto tempo. Michel Houllebecq, con Sottomissione, ha scritto un libro di Storia, non di
fantapolitica. Accadde ieri, e la fantascienza
l’ha previsto”.
La SF ha nobili ascendenze letterarie, dai
“classici” Jules Verne (ma si può citare anche il Frankenstein di Mary Shelley), George Orwell, Aldous Huxley, Ray Bradbury, Isac Asimov e J.G.Ballard, ai più “moderni” Philip K.Dick e Stephen King. Ma
anche il genere cinematografico in questione ha sorprendenti lombi di nobiltà avendo
impegnato in opere memorabili registi quali
J.-L.Godard, Chris Marker, Alain Resnais,
François Truffaut (cioè una parte cospicua
della N.V.), David Cronenberg, Elio Petri,
Marco Ferreri, Steven Spielberg, Stanley
Kubrick, Andrej Tarkovsky. Un ulteriore conferma che la distinzione fra cinema
di genere e cinema d’autore è totalmente
superata, viste le produttive commistioni e
trasmigrazioni da un versante all’altro. La
Martini afferma con questa sua scelta la
necessità di studiare i profondi rapporti fra
cinema popolare e cinema “nobile”. Non è
l’appartenenza a un genere che determina
la specificità di un film, ma la capacità del
regista di conferirgli interesse tematico ed
espressivo.
Questa prospettiva di rimescolamento delle carte nell’ ideazione del TFF si è notata
quest’anno nella scelta del guest director e
degli omaggi. Il “direttore ospite” è stato
l’inglese Julian Temple, che ha presentato The Ecstasy of Wilko Johnson, ritratto
dal chitarrista dei Blackheads colpito da
una malattia terminale, ma dotato da una
straordinario energia e amore per la vita.
Formatosi alla scuola creativa dei videoclip musicali, Temple ha una girato lunga
serie di film effervescenti dedicati a gruppi
rock-punk, iscrivendosi cosi alla categoria
dei registi pop. È stato quindi sorprendente la sua scelta, per la “carta bianca” concessagli, di film “classici” dedicati al tema
della morte: Scala al Paradiso di Powell
e Pressburger, La belle et la béte di Jean
Cocteau, Il colore del melograno di Sergei
Paradžanov, Il settimo sigillo di Ingmar
Bergman.
L’omaggio più significativo è stato attribuito a un altro inglese, il leggendario Terence
Davis, autore di uno dei film più importanti
degli anni ’80, La trilogia di Terence Davis
(lancinante ritratto della crescita e affermazione di un omosessuale in un ambiente
familiare di poveri minatori cattolici), qui
presente con il suo secondo film del 1988,
Voci lontane, sempre presenti (storia di una
famiglia proletaria di Liverpool descritta
attraverso i canti popolari e le bevute al
pub) e con la sua ultima opera, in distribuzione, Sunset Song (Canto del tramonto),
45
tratta da un classico letterario dello scozzese Lewis Grassic Gibbon. La vicenda,
grondante amore per i suoi personaggi e
per i paesaggi scozzesi, narra la lotta per la
conquista della propria identità di una donna contadina, vittima prima della violenza
del padre e poi dell’anaffettività del marito
destinato al fronte nella Guerra Mondiale
del ‘14-‘18.
Altri “omaggi”, che a mio avviso obbligano
anche i cinefili più maturi a una progressiva riconsiderazione delle proprie posizioni
critiche, sono stata attribuite in occasione di
anniversari o recenti scomparse, sono stati
attribuiti a Orson Welles, Lorenza Mazzetti,
Jean-Daniel Pollet, Chantal Akerman, Augusto Tretti.
Un particolare “valore aggiunto” del TFF
consiste nella presentazione di film già
consacrati dalla critica in altri festival,
senza sciocche pretese di prelazione, in
vero spirito di conoscenza di opere in gran
parte destinate a rimanere inedite in Italia. Fra questi segnaliamo: Bella e perduta
di Pietro Marcello (un viaggio poetico di
Pulcinella, legame fra i vivi e i morti, attraverso l’Italia in rovina dalla “terra dei
fuochi” alle tombe etrusche a Tuscania),
Cemetery of Splendour di Apitchapong
Weerasethakul (vedi la sezione Onde),
The Assassin del risorto Hou Hsiao-Hsien
(vedi la sezione Festa Mobile), il fluviale
Le mille e una notte del talentuoso portoghese Miguel Gomes, che racconta nei
toni cangianti della fiaba surreale e umoristica alcune storie della crisi sociale e
dell’impoverimento del suo Paese. Gli
episodi più significativi sono quelli del
cagnolino Dixie che passa di padrone in
padrone, senza rendersi conto del loro suicidio e quello dedicato alla cattura e alla
cura dei fringuelli da parte di poveri operai, che finiscono per identificarsi in essi,
in un inno al canto e alla bellezza gratuiti.
Da segnalare ancora in Festa Mobile Comoara (Il tesoro) del romeno Corneliu Porumboiu, amara denuncia dei sotterranei
legami economici fra l’Est e il capitalismo
Film occidentale, aperto tuttavia al sogno e alla
speranza. Nella sezione TFFDOC, presentato quale “evento speciale”, si è potuto
“recuperare” lo straordinario La France
est notre patrie del cambogiano Rithy
Pahn, un montaggio di materiali d’archivio sull’opera di colonizzazione francese
del sud-est asiatico, sino alla tragedia di
Dien Bien Phu (1954), che segnò la fine
del colonialismo francese e il prodromo
alla successiva guerra del Vietnam. Privo
di commenti didascalici (il commento in
controsenso è dato da didascalie tratte da
un testo delirante di un teorico della colonizzazione) e perciò ancora più sottile e
penetrante, il film mette in scena il conflitto fra due civiltà e la distruzione dell’economia agricola in Cambogia.
IL CONCORSO
Malgrado le prevedibili difficoltà nel reperire importanti opere prime o seconde,
strappandole ai festival maggiori, la selezione delle 15 opere in competizione era
di buon livello. Se si vuole individuare un
tema comune lo si può cogliere nel rapporto problematico di singoli individui con i
propri sogni, la famiglia e le strutture sociali.
Il primo premio è stato attribuito a Keeper
(Custode) dell’esordiente belga Guillaume
Senez, vicenda di una gravidanza indesiderata, provocata dalla scoperta della sessualità da parte di due adolescenti. Malgrado i
consigli e l’opposizione delle due famiglie
i due ragazzi decidono di tenersi il figlio,
che finirà però – in un finale amaro – per
essere dato in affido a una famiglia. La vicenda è vista soprattutto attraverso gli occhi
del ragazzo, che si trova di fronte a scelte
più grandi di lui e ne misura quindi la maturazione e la consapevolezza di sé. Colpisce
nella costruzione della storia l’assenza di
qualsiasi riferimento morale (o moralistico)
e famigliare, quasi che i ragazzi si trovino a
dover costruire la loro esistenza nel vuoto di
rapporti socio-culturali.
Altrettanto intrigante, ma più affidata a una
logica dell’atto gratuito (o folle), la vicenda di La patota (Paulina), opera seconda
dell’argentino Santiago Mitre. Una giovane
avvocatessa di Buenos Aires decide di abbandonare la promettente professione e di
dedicarsi al volontariato come insegnante
in una zona di confine, a forte disagio sociale, nel villaggio natale. La sua decisione
ostinata non verrà scalfita nemmeno quando
un gruppo di ragazzi la violenterà durante
un’aggressione notturna, La donna si rifiuterà di denunciare il branco vivendo sulla
propria pelle la miseria morale del villaggio.
Il film rifiuta qualsiasi logica di una tesi precostituita, lasciando allo spettatore l’inter-
Tutti i film della stagione
pretazione e il giudizio sul comportamento
della protagonista.
Il film premiato dal pubblico è stato invece
Coup de chaud (Colpo di calore) del francese Raphaël Jacoulot, dramma della perdita dell’innocenza da parte di una comunità
agricola assediata dalla siccità estiva. Quando viene manomessa una pompa idraulica si
dà la colpa al giovane handicappato psichico del villaggio, che diventa capro espiatorio del disagio collettivo. Il regista sceglie
una cifra realistica, con un efficace climax
poliziesco, ma manca il senso del mistero e
dell’ambiguità.
Si affida invece alla cifra della metafora
e del simbolismo con la sua opera prima,
Coma, la siriana Sara Fattahi, emigrata
oggi in Libano. Tre donne, rappresentanti
di tre generazioni, vivono sole in una casa
borghese a Damasco, assediate dalla guerra. Le tre donne vivono con i loro ricordi
e i loro fantasmi, anestetizzate nei desideri e nei sentimenti. La guerra uccide non
tanto i corpi, ma piuttosto le anime delle
vittime.
Da segnalare infine due storie di migranti.
Nel primo, A Simple Goodbye, della cinese
Degena Yun una ragazza torna, dopo lunghi
anni di studio e di solitudine in Inghilterra, a Pechino dove il padre, vecchio regista mongolo, sta morendo di cancro. Dopo
lunga separazione la madre si è riavvicinata
al marito per curarlo, ma il loro rapporto
è difficile; a sua volta la figlia rimprovera
il padre di averla abbandonata in tenera
età. Prima di morire l’uomo visita la casa
di produzione cinematografica di Stato in
Mongolia dove realizzava film di genere
epico. La fine dell’uomo coincide con la
riappacificazione di padre e figlia e con
l’annuncio di una nuova vita. Il film illustra
bene la difficoltà dei rapporti generazionali
nella nuova Cina, sconvolta dai cambiamenti economici.
Nel secondo, The Waiting Room del bosniaco Igor Drličaa, viene descritta la
dissociazione esistenziale di un attore un tempo famoso a Sarajevo, durante la guerra civile emigrato a Toronto.
Qui cerca di sopravvivere come muratore
e piccole comparsate televisive. Quando
deve interpretare un personaggio comico
in qualche modo autografico i ricordici del
pasdsato si mescolano con il presente in un
groviglio doloroso.
ONDE
Anche quest’anno la selezione di Onde
approntata da Massimo Causo e Roberto
Manassero è stata ricca di suggestioni e
di stimoli linguistici. Sopra tutti la straordinaria nuova performance del tailandese
Apitchapong Weerasethakul che con Ce46
metery of Splendor ci ripropone un cinema
ipnotico, sospeso fra memoria, immaginario e oblio. Il film mette in scena una corsia d’ospedale, ricavata da una ex-scuola,
a sua volta costruita sul terreno di un vecchio cimitero abbandonato, sconvolto dalle ruspe al lavoro per fare spazio a nuove
costruzioni, nella cittadina di Khon Kaen,
luogo natale del regista. Nell’ospedale è
ricoverato un gruppo di soldati colpiti da
una misteriosa malattia che li costringe
a una condizione di letargo, interrotto da
brevi risvegli. I soldati sono assistiti da alcuni volontari e infermieri, fra i quali una
casalinga che accompagna un soldato in
passeggiate in giro per la città, cercando
di evocare e mettere ordine nei ricordi del
soldato. La donna si fa aiutare da una medium che usa i suoi poteri per comunicare
con i malati. La corsia con i letti dei malati addormentati è illuminata la notte da
una doppia fila di lampade fluorescenti che
la costituisce come un misterioso luogo
metaforico: il “cimitero di splendore” si
manifesta come una sala cinematografica
popolata dai sogni degli spettatori in uno
stato di dormi-veglia. Il profondo motivo
di fascinazione del cinema di Weerasethakul è costituito dalla modalità morbida e
poetica con cui il racconto trascorre dalla
supposta realtà al sogno e viceversa, tanto
che i due versanti della rappresentazione
divengono indistinti e misteriosi.
Volto alla riformulazione delle regole del
racconto e della rappresentazione era anche Balikbayan #1 – Memories of Overdelopement Redux III del filippino Kidlat
Tahimik (maestro dei più noti Lav Diaz e
Raya Martin, a lui accomunati nella ricerca
di un cinema che mescoli realismo e finzione). Tahimik innesta elementi di mitologia
fantastica nella ricostruzione ironicamente
“storica” della circumnavigazione da parte
di Ferdinando da Magellano, accompagnato da un dimenticato schiavo filippino, Enrique. Alle ricerche documentarie sull’arte
popolare scolpita che ancora oggi perpetua
l’immagine mitica di Enrique, il regista
alterna il racconto del lungo e periglioso
viaggio transoceanico e sequenze in costume ambientate alla corte spagnola ove
il “selvaggio” Enrique avrebbe avuto una
storia d’amore con la figlia della regina.
Sviluppato quindi su molteplici piani della
rappresentazione, Balikbayan si costituisce
come uno straordinario saggio di ricostruzione storica della colonizzazione e di riaffermazione della originaria identità di un
popolo.
Dopo la rigorosa costruzione di La sapienza
il franco-americano Eugène Green sembra
abbandonare con Faire la parole le sue ricerche formali fondate sulle strutture finzionali barocche. Il film apparentemente è
un documentario sulla natura della cultura
Film basca e sulle lotte di un popolo per il riconoscimento della propria identità. Green raccoglie le testimonianze di quattro adolescenti
abitanti nel nord del Paesi Baschi, educati
all’interno della lingua e della cultura basca,
che nel loro peregrinare attraverso il Paese
entrano in contatto con gruppi folkloristici
che per mezzo di canti e balli tradizionali
mantengono viva una delle culture più antiche e misteriose d’Europa. Fra l’altro assistono a uno spettacolo teatrale “pastorale”
in cui viene definita l’anima anti-borghese
della cultura basca. Estranei alle lotte politiche e ai metodi di lotta violenta dell’ETA,
i quattro giovani (aspiranti poeti e cantanti) parlano di sé e dei propri profondi con
la propria terra. Green percorre ancora una
volta le strade della poesia per liberare una
materia facilmente riconducibile alla più povera dimensione sociologico-politica verso
orizzonti intimamente esistenziali e spirituali.
Fra gli altri film della sezione da segnalare
per l’alto livello di consapevolezza stilistica: Nacimiento del colombiano Martìn Meja
Rugeles (una povera comunità sperduta
nella foresta amazonica partecipa alla nascita di una nuova vita come occasione di
rinnovamento della propria esistenza, in un
legame simbiotico con una natura bellissima
e al tempo stesso ostile), Symptoma del greco Angelo Frantzis (in un’isola sperduta una
popolazione anonima di pastori si confronta
con l’apparizione di un essere misterioso e
dall’aspetto luciferino, destinato a fungere
da capro espiatorio della paure e dei pregiudizi collettivi), Stand by for Tape Back-Up
dell’inglese Ross Sutherland (il regista dopo
la morte del nonno rivede ossessivamente
un VHS in cui sono registrati spezzoni di
film e di sit-comedy come occasione di “riflessione sui ricordi, la morte e il concetto di
ripetizione”).
Flavio Vergerio
FESTA MOBILE: IL CINEMA
ATTRAVERSO LE EPOCHE
Fuori dal Concorso Lungometraggi, il Torino Film Festival si apre come da tradizione
agli spazi trasversali di Festa Mobile, in cui
far confluire il meglio delle nuove produzioni realizzate dagli acclamati maestri e le
piccole scoperte, senza dimenticare il piacere di riproposte e piccole personali. Nel
primo caso spicca uno tra i migliori lavori
transitati sotto la mole, The Assassin (in originale Nie Yinninang), che segna il ritorno
alla regia di Hou Hiao-Hsien dopo 6 anni di
silenzio. Stavolta il regista taiwanese affronta il genere wuxiapian, attraverso la storia di
un’assassina nella Cina del IX secolo, interpretata dalla bella Shu Qi (già in Millennium
Tutti i film della stagione
Mambo): l’autore rispetta con precisione i
codici del genere, fra duelli splendidamente coreografati, e una vicenda di assassini
su commissione che costeggia i fatti della
Storia reale, intrecciandosi con i sentimenti
del vissuto personale dei personaggi, in una
dinamica allo stesso tempo grande e piccola. Nel farlo, però, raggela ogni possibilità
spettacolare sospendendo i gesti, i tempi e
gli spazi in una cifra contemplativa che esalta l’assoluta bellezza di un’opera meditativa
e di enorme suggestione filmica. Fra reinvenzione e personalissima rielaborazione, il
film si offre come un autentico capolavoro
che rinnova e allo stesso tempo conferma la
forza del genere.
Tra il sogno e l’incubo, tra le nuove leve,
già più o meno note al pubblico cinefilo,
si segnala invece il rumeno Corneliu Porumboiu, con Comoara/Treasure, bizzarra caccia al tesoro nascosto in un terreno
di famiglia: un’avventura ritratta con toni
raggelati ma divertiti, che sembra guardare
al cinema di Aki Kaurismaki, ivi inclusa la
sorprendente umanità che permette di empatizzare con gli spiantati protagonisti (in
perfetta opposizione a quanto accadeva,
ad esempio, con le ossessioni di un Vegas
di Amir Naderi o di un Umut di Yilmaz
Guney, che la storia può far tornare alla
mente). Dalla Francia, invece, il duo di animatori Jean-Loup Felicioli e Alain Gagnol,
con il loro Phantom Boy, mostrano la vitalità del cartoon d’oltralpe, attraverso l’impresa di un ragazzo malato, ma in grado di
far “uscire” la sua anima dal corpo, che in
questo modo presta il suo aiuto alle indagini su un supercriminale che sta tenendo
in scacco New York: al di là dello stile,
che ossequia la grazia stilistica dei fumetti
francofoni, intriga il confronto fra l’inazione e la forza della parola, che si pone in
quanto elemento discriminante – il protagonista infatti non può materialmente agire
quando è fuori dal corpo, ma può riferire
quello che vede. In questo modo i protagonisti riescono a raggiungere i loro scopi
non attraverso i gesti materiali, ma quando
riescono a farsi veicolo di narrazione.
Non si può dire lo stesso del cinema inglese, che in pellicole come Just Jim, di Craig
Roberts, o Iona, di Scott Graham (già vincitore nel 2012 con Shell), tenta l’indagine
su personaggi giovani in situazioni difficili, che tentano perciò di ricostruirsi una
vita attraverso il confronto con altre realtà.
In Just Jim, infatti, il protagonista incontra
un intraprendente coetaneo venuto dall’America, che in apparenza sembra un valido
consigliere, ma in realtà cerca lentamente
di estrometterlo dalla sua famiglia; in Iona,
invece, la protagonista torna al paese natale,
dove il confronto con il suo passato lascia
emergere i traumi sepolti. Due opere che
tentano la carta del dramma interiore (o del47
la commedia nera), ma senza riuscire a far
vibrare realmente di vita i mondi che mettono in scena.
A metà strada si pone l’America di Me and
Earl and the Dying Girl (nelle nostre sale
come Quel fantastico peggior anno della
mia vita), di Alfonso Goomez-Rejon, già
regista di acclamate serie tv come Glee o
American Horror Story, che tenta la carta
della commedia nera: Greg, per acquietare
il proprio cinismo, decide di farsi amica
Rachel, condannata a morte da un male incurabile, ma quello che nasce quasi come
un gioco diventa poi una grande lezione
di vita. Facile pensare a un’opera furba,
ed è effettivamente un peccato che il regista insista su certi detestabili cliché à
la Wes Anderson, perché quando decide
di lasciarsi andare alla sincerità del sentimento, il film riesce regalare intense emozioni, come se la vita scardinasse davvero
la semplice adesione a meccanismi imbalsamati.
Infine gli omaggi, con i restauri della Cineteca Nazionale di Terrore nello spazio
di Mario Bava e Giulietta degli spiriti, di
Federico Fellini, singolare e significativo
accostamento fra due maestri capaci di
far prevalere l’estro visivo e la contaminazione linguistica sulla componente più
strettamente narrativa. A questi si accosta
la riedizione di West and Soda, di Bruno
Bozzetto, in occasione dei cinquant’anni
dall’uscita in sala: opera ben incanalata nel
suo tempo (anticipa e ossequia tutto il filone dei nascenti western italiani), è ancora
capace di essere altro rispetto ai sentieri
dell’animazione coeva, per la stilizzazione
che diventa allo stesso tempo mitologia e
satira di un modo di concepire la narrazione. Il segno di come nel cinema del passato
si ritrovi spesso una capacità di guardare al
di là del proprio tempo e che spiega perché
i percorsi del Torino Film Festival amino
abbattere steccati ed essere trasversali rispetto alle epoche.
AFTER HOURS: VIEN DI NOTTE IL
GENERE NERO
Lo spazio dedicato al cinema di genere,
con un occhio particolare all’horror, ha
fatto registrare quest’anno una particolare
novità, con l’introduzione della maratona
notturna che, da mezzanotte fino all’alba,
ha attirato in sala un altissimo numero
di spettatori. La selezione ha inteso nel
complesso fornire uno specchio variegato
delle possibilità di declinazione dei generi
più “oscuri”, con una mini-personale dedicata a Sion Sono, arrivato a Torino con
tre delle ben cinque pellicole realizzate
nel 2015: Shinjuku Swan, bizzaro gangster
movie sull’ascesa di un ragazzo fra le fila
Film dei procacciatori di prostitute nell’eponimo quartiere di Tokyo; Real Oni Gokko/
Tag, sanguinolenta odissea in bilico fra
realtà e incubo, con una protagonista in
transito fra universi paralleli; e infine Love
& Peace, il migliore del trittico, in cui l’ascesa al successo del protagonista Kyo, da
imbranato impiegato vessato dai colleghi
a divo della musica pop, si accompagna al
rapporto con la tartaruga domestica destinata a diventare un gigantesco mostro da
Kaiju Eiga: al di là dell’amore per l’eccesso e la bizzarria, Sono continua a comporre intelligenti affreschi sul tema dell’identità nella società contemporanea, dove
emerge una vena satirica nei confronti dei
rigidi dettami della cultura e della società
giapponese e un forte desiderio di umanità, che si estrinseca in un recupero della
memoria e degli affetti nascosti.
Il resto della selezione sembra aver optato principalmente per un ritorno all’horror
d’atmosfera, dove anche gli eccessi sono
tenuti sotto controllo da una tendenza a
creare universi organici e compatti, di forte impatto visivo. Fra i migliori esempi va
citato February, di Osgood Perkins (figlio
del mai dimenticato Anthony), che ribalta
il classico tema della possessione demoniaca, declinandolo nel senso della privazione
d’affetto: l’entità che possiede il corpo diventa così non già una forza devastante che
priva la protagonista del sé, ma, al contrario, l’elemento mancante in una vita contrassegnata dalla mancanza degli affetti,
strappati anzitempo a questo mondo. Il tutto in una struttura a rompicapo che si rivela soltanto strada facendo, con esiti molto
interessanti. Da segnalare anche il francese
Evolution, di Lucile Hadzihalilovic, per
le atmosfere asfissianti e ossessive, rilette
in una chiave fiabesca, dove un bambino
Tutti i film della stagione
è prigioniero di strane infermiere-mostro
che praticano l’inseminazione artificiale,
aprendo spazi di morbosità in un tessuto
visivo straniante e in grado di creare sensazioni a metà strada.
COSE CHE VERRANNO: IL
FUTURO VISTO DAL PASSATO
Lo spazio retrospettivo sembra, rispetto
alle edizioni precedenti, aver perso un po’
della sua centralità, complice la tendenza
a non concentrarsi più sulla riscoperta di
maestri erroneamente considerati “minori”, ma su filoni più consolidati. Nel caso
di questo nuovo percorso tematico, denominato Cose che verranno, il tema prediletto è la fantascienza e, in particolare, le
visioni del futuro più o meno distopico fra
gli anni Trenta e Novanta del XX secolo.
Una bella occasione di confronto con epoche in cui prevaleva, da un lato, la forte
inventiva nell’immaginazione di mondi
futuri spesso avveniristici: - si pensi a La
vita futura di William Cameron Menzies,
La decima vittima di Elio Petri, Brazil di
Terry Gilliam o Blade Runner di Ridley
Scott. Allo stesso tempo, però questo fermento creativo era spesso al servizio di un
clima di paranoia tipico dell’epoca in cui
le varie pellicole erano realizzate e pertanto si concretizzava in visioni ansiogene o
negative, da quella del Pianeta delle scimmie, a quella de L’uomo che visse nel futuro, fino a Mad Max, Arancia meccanica,
Akira o E la terra prese fuoco. La selezione nel complesso è apparsa attenta a riproporre grandi classici delle varie epoche,
si pensi a kolossal ante-litteram come La
guerra dei mondi di Byron Haskin (e George Pal), unitamente a titoli più defilati
48
ma non meno validi, dove spesso la collocazione nel futuro non è necessariamente
esplicitata (Crash di David Cronenberg
o Il Dr. Stranamore). Più significativa
senz’altro la riscoperta di capolavori misconosciuti come Fine agosto all’Hotel
Ozon, di Jan Schmidt che rappresenta un
interessante contributo dalla fiorente e
poco considerata fantascienza est europea,
in questo caso la Cecoslovacchia, che nel
caso specifico ci regala un’opera decadente e suggestiva su nove donne in viaggio in
un mondo post apocalisse, ritratto con pochi elementi naturalistici, ma grande forza evocativa. A questo si somma La terra
silenziosa, di Geoff Murphy, pure incentrato sull’odissea di pochi sopravvissuti a
un esperimento che ha cancellato il genere
umano: curioso notare come, a fronte di un
mondo futuro chiaramente percepito come
caotico e incapace di contenere l’istinto
vitalistico della nostra razza, le pellicole
si concentrino spesso su pochi personaggi,
su spazi aperti e inagibili, su comunità ridotte che cercano di resistere a un’indole
autodistruttiva destinata inevitabilmente a
cancellare tutto il nostro retaggio: segno
di una fobia che il cinema si faceva carico
di esorcizzare raffigurandone le pulsioni.
Una scelta che appare quasi avanguardistica in un tempo dove l’anticipazione
sembra essere uscita dal radar dei creativi, dove tutto è concentrato sul passato
o su un presente che sembra destinato a
protrarsi per sempre, senza le capacità di
immaginare un altro domani. La retrospettiva avrà una prosecuzione nell’edizione
2016, dove speriamo di trovare altre rarità
e visioni in grado di sorprenderci per capacità profetica e forza creativa.
Davide Di Giorgio
DADDY’S HOME - Sean Anders
CAROL - di Todd Haynes
Novembre-Dicembre 2015
138
REVENANT REDIVIVO
­­­­­­­Anno XXI (nuova serie) - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento postale 70% - DCB - Roma
di Alejandro Gonzáles Iñárritu
FRANCOFONIA
di Aleksandr Sokurov
LA CORRISPONDENZA
di Giuseppe Tornatore
IL FIGLIO
DI SAUL
di László Nemes
SPECTRE - di Sam Mendes
THE HATEFUL EIGHT
Euro 5,00
di Quentin Tarantino
Fly UP