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La chemio è servita - Rete Oncologica Piemonte
05 Oncologia in rete giugno 08 3-07-2008 16:52 Pagina 1 oncologia IN RETE Giornale di formazione e informazione della Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta n. 5 giugno 2008 Sommario 1 3 4 8 10 13 Editoriale Editoriale Controeditoriale Casi clinici Dalle Reti della Rete Progetto Congressi Maria Antonia Polimeni, Alessandra Beano, Michela Donadio, Libero Ciuffreda Centro Oncologico Ematologico Subalpino, Azienda Sanitaria Ospedaliera Molinette S. Giovanni Battista, Torino La chemio è servita A parità di efficacia e di tollerabilità la chemioterapia orale costituisce una valida alternativa a quella endovenosa per i benefici che essa comporta in termini di riduzione dell’ospedalizzazione, di minimo impatto sulle abitudini quotidiane del paziente e di comodità di assunzione al proprio domicilio La qualità di vita dei pazienti sottoposti a chemioterapia (CT) rappresenta uno degli obiettivi principali della cura ed è pertanto un argomento alquanto dibattuto in oncologia. Lo scopo primario della CT in fase avanzata di malattia è quello di controllare i sintomi, prevenire gravi complicanze e, laddove possibile, prolungare la sopravvivenza mantenendo una buona qualità di vita. Risulta pertanto importante introdurre strategie terapeutiche innovative che abbiano un’efficacia pari o superiore ai trattamenti convenzionali, ma che siano caratterizzate da una minore tossicità. Tali approcci possono comprendere farmaci meglio tollerati, vie di somministrazione più agevoli o terapie a domicilio in sostituzione di quelle ospedaliere. 05 Oncologia in rete giugno 08 3-07-2008 16:52 Pagina 2 In questo senso i nuovi farmaci chemioterapici somministrabili per via orale, da soli o in combinazione, suscitano aspettative elevate: essi hanno infatti dimostrato un’efficacia terapeutica analoga alla formulazione endovenosa, ma aspetti positivi aggiuntivi, quale la possibilità di effettuare il trattamento a domicilio e di evitare l’impianto di dispositivi per l’accesso venoso. La CT orale non è una novità assoluta in campo oncologico. Agli albori dell’oncologia molti schemi prevedevano infatti l’impiego di alcuni componenti per tale via di somministrazione; ne è un esempio la classica combinazione ciclofosfamide-metotrexato-5-fluorouracile in cui la ciclofosfamide veniva somministrata oralmente per 14 giorni ogni 4 settimane. Negli ultimi anni si è registrato un progressivo incremento degli agenti antitumorali disponibili in formulazione orale, con ovvii benefici in termini di convenienza, somministrazione e preferenza dei pazienti. Numerosi farmaci sono stati approvati per la cura di diversi tipi di tumore (per esempio, capecitabina, erlotinib, gefitinib, imatinib, lapatinib, sunitib, sorafenib e tegafur) e molti altri attualmente in via di sviluppo saranno disponibili nel prossimo futuro esclusivamente per uso orale. Secondo i risultati di numerose indagini la maggior parte dei pazienti preferisce la terapia orale a quella endovenosa, sebbene una minoranza la ritenga meno efficace. In uno studio condotto su 59 donne sottoposte a CT orale per carcinoma mammario metastatico, una piccola percentuale (< 10%) temeva che il trattamento prescritto fosse l’ultima possibilità terapeutica. Ciò sottolinea quanto sia importante informare i pazienti sull’attività e sull’efficacia dei farmaci da assumere per bocca, sottolineando il concetto che essi non sono affatto inferiori rispetto alla terapia tradizionale. Per quanto riguarda la compliance la maggior parte delle pazienti intervistate (oltre il 70%) non era preoccupata di assumere in modo scorretto la terapia al domicilio. Tuttavia il timore di non aderire correttamente al trattamento sussiste e non è di appannaggio esclusivo dei soggetti più anziani, ma riguarda in generale tutte le fasce di età; la compliance può facilmente ridursi, per esempio, in coloro che devono assumere un quantitativo elevato di compresse ogni giorno ed ecco perché è considerata accettabile una posologia quotidiana massima di 6-8 pastiglie. Sempre dall’indagine prima citata è emerso che gran parte delle pazienti ritiene la CT orale capace di farle sentire meno malate e farle affrontare più serenamente la patologia; non bisogna infatti dimenticare che la terapia per via endovenosa comporta una notevole perdita di tempo legata al viaggio e all’attesa del trattamento, soprattutto per quei pazienti che vivono lontano dal centro oncologico di riferimento. In definitiva dunque il più importante sentimento suscitato dalla prospettiva di assumere una CT orale anziché endovenosa è la sensazione di una maggiore libertà. Ciò è particolarmente vero per i soggetti più giovani, che incontrano più difficoltà ad accettare una malattia cronica e le cure che questa richiede. Dal punto di vista medico il maggiore vantaggio delle terapie orali è dato dalla loro flessibilità e maneggevolezza, due caratteristiche che in caso di tossicità offrono l’opportunità di modificare e adattare il dosaggio nel corso del trattamento. Le terapie orali possono inoltre ridurre i disagi derivanti da una carenza di personale: secondo uno studio inglese il loro impiego permette di trattare un numero di pazienti circa 7 volte superiore rispetto a quello trattato con le somministrazioni endovenose, diminuendo notevolmente il carico di lavoro dei day hospital. Un ultimo aspetto vantaggioso delle terapie orali, rilevato da un’analisi italiana, è quello della riduzione dei costi complessivi del trattamento, sui quali incidono soprattutto le spese di ospedalizzazione del paziente: per esempio, il risparmio associato alla terapia orale a base di capecitabina in alternativa alla somministrazione endovenosa di fluorofolati si aggira intorno a 2.200 euro per paziente. 2 Controeditoriale 05 Oncologia in rete giugno 08 3-07-2008 16:52 Pagina 3 Enrica Manzin, Sebastiano Bombaci, Sergio Bretti, Giorgio Vellani A cura di Giorgio Vellani Oncologia Medica, Ospedale Civile, Ivrea L’importante è vigilare La chemioterapia somministrabile per via orale è destinata a svolgere un ruolo sempre più importante nel trattamento medico delle neoplasie: per questo è necessario, da parte dell’oncologo, un monitoraggio attento degli effetti collaterali associati e dell’aderenza del paziente al regime terapeutico prescritto Nel corso degli ultimi anni si è assistito in oncologia a una progressiva e significativa evoluzione in campo sia scientifico sia terapeutico. Ciò si è tradotto da un lato nell’immissione in clinica di nuovi farmaci antineoplastici caratterizzati da bersagli molecolari specifici e con effetti collaterali più contenuti anche in caso di impiego prolungato, dall’altro nello sviluppo di nuove modalità di somministrazione. In particolare il passaggio dalla terapia endovenosa classica, che costringe il paziente alla dipendenza dall’ospedale, a quella orale, che può essere assunta a domicilio, ha rappresentato un significativo vantaggio per il malato dal punto di vista non solo logistico e organizzativo ma anche psicologico. Infatti è ormai dimostrato che la chemioterapia orale, più flessibile e con un impatto minore sulla vita quotidiana, pur mantenendo la stessa efficacia dei trattamenti convenzionali si associa a un miglioramento della qualità di vita. Dai pochi studi finalizzati all’analisi delle reali preferenze dei pazienti circa le modalità di somministrazione dei farmaci chemioterapici emerge che circa il 90% dei pazienti predilige la chemioterapia per via orale, mentre sono pochi i soggetti che affermano di preferire la terapia iniettiva adducendo quali motivazioni la minor durata del trattamento, la paura di dimenticare l’assunzione del farmaco prescritto, il numero eccessivo di compresse da ingerire durante la giornata e il timore di una efficacia inferiore. Sebbene negli ultimi anni sia stato immesso sul mercato un numero crescente di chemioterapici orali, nel prescriverli è utile tenere presenti alcuni aspetti fondamentali che potrebbero compromettere i risultati del trattamento. In primo luogo, se da un lato il ruolo attivo del paziente nella gestione della terapia offre il vantaggio di renderlo più partecipe, dall’altro l’importanza dei trattamenti orali potrebbe essere talvolta sottovalutata (dimenticando per esempio l’assunzione del farmaco), con la conseguente compromissione dell’efficacia terapeutica. In secondo luogo, rispetto alla somministrazione endovenosa, in quella orale è più difficile il controllo del dosaggio realmente assunto dal paziente, così come meno accurato potrebbe essere il rilievo della tossicità. Prima della prescrizione è poi fondamentale valutare le possibili comorbilità. L’insufficienza renale moderata-severa, per esempio, ha dimostrato di modificare i parametri farmacocinetici della capecitabina, mentre un basso pH gastrico rende instabile la molecola, riducendone l’assorbimento intestinale. Il riflesso gastrocolico (pazienti colecistectomizzati e gastrectomizzati) si associa invece a un aumento della motilità gastrointestinale con una possibile variazione dell’assorbimento dei farmaci. Talvolta, inoltre, la compliance al trattamento viene compromessa dall’utilizzo di schemi terapeutici che prevedono un’associazione tra chemioterapici per via orale e per via endovenosa; in questi casi può succedere che l’assunzione orale del farmaco sia autonomamente sospesa a causa dell’emesi acuta o tardiva indotta dalla terapia iniettiva. Altri problemi da tenere presenti al momento della prescrizione sono poi le abitudini voluttuarie, quali per esempio l’assunzione di alcool - che potrebbe modificare la solubilità di alcuni farmaci oppure indurre una maggiore irrorazione a livello gastroenterico o uno spasmo pilorico - o quella concomitante di cibo. Un capitolo a parte merita la prescrizione ai pazienti anziani, per le loro caratteristiche peculiari. Le complicazioni da tenere presenti in questo caso sono legate alla diversa farmacocinetica, alle comorbilità e alla conseguente polifarmacologia, ma soprattutto alla ridotta compliance legata alle alterazioni cognitive di questi soggetti. Da quanto detto ne emerge che le chemioterapie orali, offrendo indubbi vantaggi ai malati ma riducendo al contempo anche il carico di lavoro per le oncologie, appaiono destinate a svolgere un ruolo sempre più importante nel trattamento medico delle neoplasie. La sfida per il futuro è allora quella, da parte dell’oncologo, di assicurarsi che i pazienti seguano correttamente il regime prescritto e di monitorare attentamente gli effetti collaterali della terapia. In quest’ottica emerge il ruolo cardine dell’educazione del malato e dei suoi familiari e quindi l’importanza di una stretta collaborazione dell’oncologo con l’infermiere ospedaliero e con il medico di famiglia, che più da vicino seguono il paziente. 3 05 Oncologia in rete giugno 08 3-07-2008 16:52 Pagina 4 Caso clinico A cura di Elena Seles Le due facce della medaglia CASO CLINICO 1 Carcinoma renale a cellule chiare Stefania Miraglia, Oscar Alabiso Dipartimento Oncologico, Azienda Ospedaliera Maggiore della Carità, Novara Paziente di sesso maschile di 44 anni. Nell’agosto del 1999 è sottoposto a enucleoresezione di lesione eteroformativa a carico del polo superiore del rene destro. L’esame istologico diagnostica un carcinoma a cellule chiare del rene, di grado 2 secondo Fuhrman e stadio patologico pT1. Il successivo follow up clinico e strumentale di malattia risulta negativo fino all’ottobre del 2004, quando alla tomografia computerizzata (TC) addominale si riscontra una lesione del diametro di 1,9 cm in corrispondenza del pilastro diaframmatico di destra, riferibile a recidiva di malattia; l’esame TC esteso al torace e la tomografia a emissione di positroni (PET) total body escludono la presenza di ulteriori localizzazioni patologiche. Nel novembre del 2004 il paziente viene pertanto sottoposto a intervento chirurgico di enucleazione della lesione infiltrante il pilastro diaframmatico principale destro, con conferma istologica di “infiltrazione di tessuto fibroadiposo perisurrenale da parte di carcinoma a cellule chiare del rene.” Successivamente all’intervento viene avviato un trattamento immunoterapico con interleuchina 2 (IL-2) (3 MUI per 6-7 giorni ogni 4-6 settimane); dopo 2 cicli di immunoterapia le indagini TC e PET rilevano una nuova recidiva di malattia, delle dimensioni di 24 x 27 mm a livello del pilastro diaframmatico di destra, sede del pregresso intervento chirurgico. Il paziente viene quindi sottoposto a un terzo intervento chirurgico con asportazione della lesione secondaria: l’esame istologico risulta nuovamente diagnostico per “tessuto fibromuscolare infiltrato da carcinoma a cellule chiare a morfologia coerente con origine renale”. Viene proseguito il trattamento immunoterapico con IL-2 fino al settembre del 2005, per un totale di 6 cicli. Il follow up di malattia risulta negativo fino all’aprile del 2007, quando alla TC total body si evidenziano plurime localizzazioni secondarie di malattia: - 1 lesione nodulare al segmento basale del lobo polmonare inferiore destro del diametro di 4 mm; - 1 lesione tra il I e il V segmento epatico (SE) del diametro di 4,6 cm; - 1 lesione al pilastro diaframmatico di destra del diametro di 2 cm; - 3 impianti diaframmatici di malattia del diametro compreso fra 1 e 1,3 cm; - 1 lesione del diametro di 1 cm in sede interporto-cavale. Nel maggio del 2007 il paziente avvia un trattamento con sunitinib al dosaggio di 50 mg/die per os, per 4 settimane ogni 6 settimane. Dopo 4 cicli la TC total body mostra remissione completa di malattia (valutata secondo i criteri RECIST), in particolare: - non c’è evidenza di alterazioni nodulari polmonari; - non è più apprezzabile la lesione secondaria a carico del I e V SE; - non sono più apprezzabili gli impianti solidi di malattia a carico di pilastro e cupola diaframmatici; - non è più evidente la lesione secondaria in sede interporto-cavale. La tossicità registrata durante la terapia con sunitinib è di lieve entità e non si rende necessaria alcuna sospensione del trattamento né riduzione di dosaggio; in particolare, si osservano: un episodio di diarrea di grado 1 e di durata limitata (1 giorno), vomito saltuario di grado 1, ipertensione lieve occasionale. Il paziente è attualmente asintomatico, in ottime condizioni generali. È in corso il 5° ciclo di trattamento. 4 05 Oncologia in rete giugno 08 3-07-2008 16:52 Pagina 5 Un caso di carcinoma renale a cellule chiare e un altro relativo a tumore mammario metastatico esemplificano due diversi aspetti legati alla terapia orale: da una parte l’efficacia ottimale in assenza di tossicità che non pone ostacoli al trattamento per bocca, dall’altra la preferenza della paziente - solo apparentemente immotivata - nei confronti della terapia endovenosa classica CASO CLINICO 2 Carcinoma mammario duttale Vittorio Fusco Dipartimento Onco-Ematologico, Azienda Sanitaria Ospedaliera, Alessandria Paziente di sesso femminile di 71 anni. Nel 2001 è sottoposta a quadrantectomia mammaria destra per carcinoma duttale pT2 (diametro 2,2 cm) G2 pN0 (18 linfonodi negativi), ormonodipendente (RE+ 90%, RPg+ 50%), Ki67 15%, HER2 negativo. Si imposta una radioterapia mammaria destra secondo gli usuali protocolli e l’ormonoterapia adiuvante con tamoxifene 20 mg/die (standard in quel momento). Nel febbraio del 2005 a un controllo di follow up la paziente presenta valori elevati di dosaggio di Ca15.3 sierico, che sono confermati ai controlli successivi con ulteriore incremento dei livelli. La donna non presenta sintomi sicuramente riferibili a ripresa di malattia, ma lamenta algìe diffuse e variabili che si sono intensificate a livello lombosacrale negli ultimi mesi. Vengono eseguite radiografia del torace ed ecografia dell’addome, oltre a mammografia ed ecografia della mammella e delle stazioni linfonodali ascellari e sopraclaveari, che risultano tutte negative. Una scintigrafia ossea rivela la presenza di numerose ipercaptazioni diffuse (costali, al rachide dorsale e lombare, alla regione sacroiliaca destra), in parte confermate da radiografie mirate (che dimostrano lesioni osteolitiche costali, sclerosi sacroiliaca destra, alterazioni non severe ad alcune vertebre dorsali e lombari). Sono quindi prescritte ormonoterapia con letrozolo per os e terapia per la prevenzione degli eventi scheletrici (SRE, dall’anglosassone skeletal related events: ipercalcemia, fratture patologiche, compressione midollare, necessità di radioterapia o interventi chirurgici, etc.) con acido zoledronico (4 mg ev in infusione di almeno 20 minuti, ogni 4 settimane). Nel novembre del 2005, dopo 6 mesi di terapia, la paziente è sostanzialmente asintomatica; il dosaggio di Ca15.3 sierico si è ridotto da 58 a 23 ng/ml; la calcemia è ai limiti inferiori della norma (8,5 mg/dl, valori normali 8,5-10,5 mg/dl) e la creatininemia si è lievemente alzata (da 0,8 a 1,1 mg/dl). In seguito alla sempre maggiore evidenza in letteratura e nella pratica clinica di osteonecrosi mandibolare e mascellare da bisfosfonati (osteonecrosis of the jaw, ONJ), viene formulato in quei mesi un percorso aziendale per lo screening e la prevenzione della ONJ; la paziente è pertanto sottoposta a ortopanoramica delle arcate dentarie e a visita odontostomatologica. In considerazione della ipocalcemia relativa e del lieve aumento di creatininemia, si stabilisce di prescrivere alla paziente un supporto per os con calcio e vitamina D e di eseguire un controllo di creatininemia e calcemia mensilmente, prima dell’infusione di acido zoledronico (in quel periodo tale pratica non è standard nel nostro centro, mentre lo diventa successivamente sulla base delle evidenze di letteratura). Nell’ottobre del 2006 una scintigrafia ossea conferma la riduzione di intensità e del numero delle ipercaptazioni segnalate alla diagnosi di malattia metastatica (sono negative le proiezioni laterali del cranio, effettuate per evidenziare eventuali foci sulle ossa mascellari come segno aspecifico di possibile area di ONJ). Il dosaggio di Ca15.3 sierico è stabilmente nella norma e la calcemia oscilla tra 8,3 e 8,7 mg/dl. Tuttavia la creatininemia risulta progressivamente in aumento nelle ultime rilevazioni, da 1,1 a 1,3 a 1,5 mg/dl. Si decide pertanto di sospendere l’acido zoledronico e di passare all’ibandronato come terapia di prevenzione delle SRE. 5 05 Oncologia in rete giugno 08 3-07-2008 16:52 Pagina 6 COMMENTO L’ibandronato può essere somministrato per infusione endovenosa ogni 3-4 settimane (analogamente a pamidronato e ad acido zoledronico) o per os (1 compressa al giorno); la paziente sceglie la terapia endovenosa, che dichiara di preferire per non aggiungere ulteriori farmaci per bocca a quelli che già assume ogni giorno (letrozolo, calcio, vitamina D, digitalico, antipertensivo, statina per ipercolesterolemia, allopurinolo per iperuricemia, inibitore di pompa per ernia iatale con gastrite, occasionali antinfiammatori non steroidei per algìe migranti di tipo artrosico, occasionale furosemide), oltre che per sentirsi più controllata dagli operatori sanitari. A oltre un anno e mezzo di distanza, la donna è tuttora in trattamento con letrozolo e ibandronato, senza segni di progressione di malattia. Elena Seles Polo Oncologico, Azienda Sanitaria Locale 12, Biella Negli ultimi anni gli oncologi hanno avuto a disposizione un numero sempre più crescente di farmaci a somministrazione orale, tra i quali chemioterapici come capecitabina, tegafur e vinorelbina o principi attivi nuovi e con diverso meccanismo d’azione come sorafenib e sunitinib; per la cura delle metastasi ossee, in particolare, si è passati dal pamidronato, che impone una lunga infusione endovenosa, all’acido zoledronico, che riduce il tempo di infusione a pochi minuti, o all’ibandronato, disponibile anche in compresse. I vantaggi della terapia orale sono evidenti e si traducono in una maggiore praticità di somministrazione e nell’eliminazione di alcuni problemi tipici delle terapie tradizionali: basti pensare al rischio di stravaso che riguarda la vinorelbina o alla possibilità di evitare il posizionamento di un catetere venoso centrale quando al fluorouracile in infusione continua si sostituisce la capecitabina o il tegafur. Il primo caso clinico preso in esame, dove la diagnosi è di carcinoma renale a cel- 6 lule chiare, è un evidente esempio di come la scelta di utilizzare un farmaco a somministrazione orale al manifestarsi di localizzazioni secondarie plurime di malattia si riveli ottimale, determinando la remissione completa del tumore senza evidente tossicità. Gli eventi avversi di natura gastrointestinale che si osservano durante la terapia - diarrea di grado 1 di breve durata e vomito saltuario di grado 1 - sono infatti di lieve entità e non richiedono né la riduzione del dosaggio né la sospensione del trattamento. Una considerazione importante è che il paziente è attualmente asintomatico e in ottime condizioni generali. La buona tollerabilità del farmaco rappresenta in questo caso particolare un fattore decisivo per il proseguimento della terapia orale. Nella pratica clinica quotidiana, infatti, questa modalità di cura non è esente dagli stessi rischi di sicurezza che caratterizzano i trattamenti tradizionali. La tossicità di tipo gastroenterico, per esempio, tende ad aumentare soprattutto nei pazienti affetti da varie comorbilità e quindi già costretti ad assumere numerosi farmaci a domicilio; eventuale vomito e diarrea possono inoltre CASO CLINICO 2 BIBLIOGRAFIA 05 Oncologia in rete giugno 08 3-07-2008 16:52 Pagina 7 Aguiar Bujanda D et al. Assessment of renal toxicity and osteonecrosis of the jaws in patients receiving zoledronic acid for bone metastasis. Ann Oncol 2007; 18(3): 556-560 Tanvetyanon T et al. Management of the adverse effects associated with intravenous bisphosphonates. Ann Oncol 2006; 17(6): 897-907 Durie BG et al. Osteonecrosis of the jaw and bisphosphonates. N Engl J Med 2005; 353(1): 99-102 Marx RE et al. Bisphosphonate-induced exposed bone (osteonecrosis/osteopetrosis) of the jaws: risk factors, recognition, prevention, and treatment. J Oral Maxillofac Surg 2005; 63(11): 1567-1575 comprometterne l’assorbimento. In tutti i casi in cui l’antineoplastico indicato esista unicamente in formulazione orale è dunque determinante che il paziente sia correttamente informato e cosciente dei suoi possibili effetti collaterali, affinché l’efficacia del risultato (talora notevole, come nel caso della neoplasia renale illustrata) non sia inficiata da un’eccessiva tossicità. Talvolta i problemi correlati alla chemioterapia orale sono di natura strettamente comportamentale, legati da una parte alla difficoltà dell’oncologo di controllare la corretta assunzione del farmaco in termini di modalità e di dosaggio, dall’altra all’ansia del paziente - spesso anziano - di non essere ben assistito o di non ricevere un trattamento abbastanza efficace. Al contrario il fatto che il trattamento consista in “una pastiglia” potrebbe farne sottovalutare al paziente la pericolosità. Potrebbe infine succedere che il malato rifiuti la terapia avendo già troppe medicine da prendere o per problemi di deglutizione. Il secondo caso clinico presentato, che riguarda una donna anziana affetta da can- cro della mammella, ben esemplifica alcuni di questi aspetti. Quando i medici discutono con la paziente sulle due possibilità terapeutiche nella convinzione che la scelta ricada sulla terapia per bocca (scelta che eviterebbe la necessità di recarsi periodicamente agli ambulatori di cura), senza alcuna esitazione la donna dichiara di preferire la terapia endovenosa. Alla richiesta delle motivazioni, la paziente fa un lungo elenco di tutte le compresse, pastiglie e pillole che deve assumere ogni giorno, oltre ai farmaci prescritti per periodi limitati. La donna dichiara inoltre di sentirsi più sicura a recarsi mensilmente agli ambulatori e a essere “vista” spesso da infermieri e medici (seppure con qualche sacrificio per farsi accompagnare in ospedale) piuttosto che soltanto ogni 3 o 4 mesi per la periodica visita oncologica di controllo. Questo caso clinico evidenzia dunque quanto sia importante - qualora esista l’opportunità di scegliere tra diverse modalità di somministrazione - che siano presi in considerazione tutti gli aspetti legati alla sfera personale del malato durante il colloquio preliminare. 7 05 Oncologia in rete giugno 08 3-07-2008 16:52 Pagina 8 Dalle Reti della Rete A cura di Emanuela Negru Fino all’ultimo respiro Carlo Peruselli Struttura Complessa Cure Palliative, Azienda Sanitaria Locale 12, Biella Nell’ambito di una crescente attenzione nei confronti dell’assistenza ai malati terminali, in Piemonte è attiva da diversi anni la Rete di Cure Palliative che attraverso i suoi 9 hospice e le sue unità organizzative create ad hoc, gli UOCP, interviene sul territorio per garantire un’assistenza continua ai pazienti giunti ormai al termine della loro vita Negli ultimi anni l’aumento delle malattie invalidanti, associato a un’attenzione crescente verso una maggiore umanizzazione della medicina, ha condotto all’esigenza di organizzare servizi di cure palliative che abbiano quale obiettivo la cura e l’assistenza dei pazienti affetti da patologie inguaribili (in primo luogo il cancro) nel loro ultimo periodo di vita. In questo contesto, nel nostro Paese si sono susseguiti numerosi atti legislativi che hanno riconosciuto la crescente importanza delle cure palliative nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale e Regionale (vedi il box). La Rete Piemontese di Cure Palliative si occupa di “malati affetti da malattie progressive e in fase avanzata, a rapida evoluzione e a prognosi infausta, per i quali ogni terapia finalizzata alla guarigione o alla stabilizzazione della patologia non è possibile né appropriata”. Questa definizione, che ha soprattutto caratteristiche di operatività e di valutazione dell’adeguatezza degli interventi, permette di chiarire alcuni elementi specifici della realtà organizzativa di tali cure, in particolare per quanto riguarda il Piemonte: 8 05 Oncologia in rete giugno 08 3-07-2008 16:52 Pagina 9 Le norme della sofferenza • l’intervento della Rete ha quale obiettivo prioritario quello di curare i malati alla fine della loro vita, per i quali i trattamenti eziologici non sono più possibili o appropriati. Ciò naturalmente non significa non occuparsi anche della qualità di vita di coloro nei quali è in corso un trattamento; quest’ultimo è tuttavia un obiettivo più ampio, che rientra nel miglioramento globale dell’approccio palliativo da parte di tutti coloro che si occupano di questi pazienti. L’intervento più diretto e specifico della Rete di Cure Palliative è invece riservato alle persone alla fine della vita; • i malati potenzialmente assistiti dalla Rete non sono solo oncologici, sebbene nel nostro Paese essi costituiscano l’assoluta maggioranza (ogni anno in Piemonte oltre 10.000 pazienti necessitano di interventi palliativi domiciliari e/o residenziali nel loro ultimo periodo di vita), ma possono essere affetti da molte altre patologie, quali quelle neurologiche, pneumologiche, cardiache e via dicendo; • le cure palliative non coincidono con la terapia del dolore, che pure è parte fondamentale dell’approccio terapeutico: i bisogni dei malati alla fine della vita e dei loro familiari sono estremamente complessi e variabili e non possono essere ricondotti soltanto a un sintomo, se pur rilevante e frequente. Nella normativa regionale, l’Unità Organizzativa di Cure Palliative (UOCP) assume un ruolo particolarmente importante di regia e di gestione concreta dell’intera Rete: essa è infatti “la struttura specialistica coordinatrice della Rete di Cure Palliative, per una gestione unitaria e di un continuum assistenziale per i malati che va dall’ospedale alle cure a casa sino al ricovero in hospice”. Attualmente in Piemonte sono operativi 9 hospice (Alessandria, Biella, Busca, Galliate, Gattinara, Ivrea, Lanzo Torinese, Torino, Verbania) e altri sono in via di apertura. Molte aziende sanitarie locali e ospedaliere piemontesi hanno da tempo istituito proprie UOCP, anche se in alcuni casi la loro operatività reale, soprattutto a livello domiciliare, è purtroppo ancora insufficiente. Tutte le informazioni costantemente aggiornate sullo sviluppo delle attività delle singole reti locali di cure palliative e di molte iniziative regionali (formative, culturali, organizzative, di ricerca) in questo settore possono essere reperite sul sito della Rete piemontese ( www.retecurepalliative.it). Il percorso nazionale • Il Decreto Legislativo 450 del 28 dicembre 1998, convertito nella Legge 39 del 26 febbraio 1999, ha previsto l’adozione da parte del Ministero della Salute di un Programma nazionale per la realizzazione di strutture dedicate alle cure palliative (hospice) • L’Accordo del 19 Aprile 2001 della Conferenza Unificata Stato-Regioni per l’organizzazione della Rete dei Servizi di Cure Palliative (Gazzetta Ufficiale 110 del 14 maggio 2001) fornisce una valutazione dell’utenza potenziale del servizio e definisce i livelli assistenziali che tale Rete deve essere in grado di garantire • Il Decreto Legislativo 43 del 22 febbraio 2007 (Gazzetta Ufficiale del 6 aprile 2007) definisce gli standard relativi all’assistenza dei malati terminali in trattamento palliativo • Il recente Decreto sulla nuova definizione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) stabilisce due livelli specifici che tutte le Regioni devono garantire rispetto alle cure palliative domiciliari (Articolo 23) e agli hospice (Articolo 31) Il percorso piemontese • La Regione Piemonte ha approvato una Delibera di Giunta Regionale (DGR 17-24510 del 6 maggio 1998) contenente le linee guida che indicano i requisiti organizzativi, tecnici e strutturali del sistema delle cure palliative in Regione. Questo intervento è stato successivamente aggiornato e parzialmente modificato, con la pubblicazione della DGR 15-7336 del 14 ottobre 2002, che costituisce l’atto di indirizzo regionale più importante per la programmazione e l’organizzazione dei servizi di cure palliative in Piemonte. Ulteriori atti normativi regionali significativi sono la DGR 16-3259 del 18 giugno 2001, che stabilisce la revisione della tariffazione giornaliera a carico del Servizio Sanitario Regionale delle prestazioni di ricovero degli hospice, e la DGR 55-13238 del 3 agosto 2004 che definisce una valorizzazione economica per le attività delle cure palliative domiciliari Pur considerando in modo positivo l’interesse crescente per le cure palliative in Piemonte e i significativi sviluppi organizzativi della Rete regionale di assistenza, è doveroso sottolineare alcuni punti critici ancora irrisolti sul nostro territorio: • a fronte di una domanda di assistenza in rapida crescita da parte dei pazienti e delle famiglie, l’offerta per i malati che necessitano di cure palliative è debole per quanto riguarda la quantità dei servizi, difficilmente valutabile in termini di qualità ed eterogenea nei modelli organizzativi fra le diverse aziende sanitarie, in particolare per quanto concerne gli interventi a domicilio. Ciò pone evidenti problemi di forte disuguaglianza nelle prestazioni assistenziali che comportano un elemento di grande criticità se consideriamo che le cure palliative, sia a domicilio sia in hospice, sono ormai definite come un livello essenziale di assistenza (LEA) da garantire su tutto il territorio regionale; • i modelli organizzativi e assistenziali previsti dalle singole aziende sanitarie per le reti locali, soprattutto per le cure palliative domiciliari, oltre a essere fortemente differenziati non sempre sono coerenti con quanto indicato dalla normativa regionale. Fra gli elementi positivi dello sviluppo della Rete di Cure Palliative è doveroso ricordare i numerosi corsi di formazione che la Regione ha promosso e finanziato in questi anni e i Master in Cure Palliative organizzati dalle Università di Torino e Novara. Questi corsi hanno coinvolto centinaia di figure sanitarie tra medici, infermieri, psicologi e altre ancora: il Piemonte è oggi una delle Regioni con il più grande numero di operatori formati in cure palliative, un elemento certamente a supporto degli sviluppi futuri di questi servizi. 9 05 Oncologia in rete giugno 08 3-07-2008 16:52 Pagina 10 Progetto A cura di Anna Novarino Occhi puntati sulla qualità Anna Novarino Centro Oncologico ed Ematologico Subalpino, Azienda Sanitaria Ospedaliera Molinette S. Giovanni Battista, Torino Anna Sapino, Lorenzo Daniele Dipartimento Scienze Biomediche e Oncologia Umana, Università di Torino La lettura corretta dei marcatori prognostico/predittivi del carcinoma mammario è determinante per individuare la migliore cura e la risposta alla terapia. A garanzia della riproducibilità diagnostica è stato avviato dalla Regione Piemonte un Progetto di Controllo Qualità che coinvolge un numero elevato di servizi di anatomia patologica Progetto: Organizzazione dei controlli di qualità dei fattori prognostico/predittivi del carcinoma della mammella Responsabile del progetto: Anna Sapino La definizione dei fattori prognostici del carcinoma mammario - quali la presenza all’immunoistochimica dei recettori per gli estrogeni (ER), per il progesterone (PR) e per la proteina recettoriale del fattore di crescita epidermico HER2/neu con la valutazione dell’indice proliferativo Ki67 - riveste un ruolo fondamentale nell’indirizzare la corretta strategia terapeutica oncologica; si osserva inoltre, specie per ER, PR e HER2/neu, una predittività di risposta alla terapia mirata. Tutto ciò comporta la conoscenza, la competenza e la consapevolezza di quali siano le responsabilità diagnostiche del personale medico e tecnico dei servizi di anatomia patologica nell’indirizzare il clinico nella scelta del “farmaco giusto”. Alcuni studi segnalano inoltre la possibile insorgenza di problemi medico-legali in seguito a una diagnosi non corretta (con conseguente ricaduta terapeutica), dovuta a procedure d’allestimento non standardizzate dei fattori predittivi di risposta a trattamenti oncologici specifici. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna le linee guida nazionali definiscono i criteri minimi di qualità a cui il patologo deve attenersi per garantire il corretto allestimento e la lettura dei marcatori prognostico/predittivi. Tra questi criteri vi è la partecipazione ai progetti di controlli di qualità (CQ). Tali progetti sono attivati anche in Italia su base nazionale e internazionale, ma i singoli laboratori risentono di difficoltà pratiche e il tentativo di migliorare i risultati e di raggiungere gli standard richiesti non riceve per il momento la sufficiente attenzione. La tecnica del tissue micro array (TMA) si è dimostrata un valido strumento per il controllo della riproducibilità diagnostica dei marcatori del carcinoma mammario, garantendo la standardizzazione delle sezioni esaminate ed evitando il consumo eccessivo di tessuti e materiali. Sulla base di tali osservazioni 10 05 Oncologia in rete giugno 08 9-07-2008 10:18 Pagina 11 Figura 1. Concordanza diagnostica per il recettore degli estrogeni (ER) tra i diversi centri osservata dopo 1 anno di attività coordinata. 100 90 80 70 60 31 maggio 2006 11 giugno 2007 50 40 30 20 Bologna (Ospedale Bellaria) Savona (Ospedale S. Paolo) Torino (Ospedale Valdese) Asti Torino (San Giovanni Antica Sede) Candiolo Pinerolo (ASL 10) Verbania (ASL 14) Cuneo Ivrea Torino (Maria Vittoria) Moncalieri (Santa Croce) Torino (Sant’Anna e OIRM) Alessandria Mondovì Aosta Vercelli (ASL 11) 0 Borgomanero (ASL 13) 10 I centri coinvolti nel Progetto “Organizzazione dei controlli di qualità dei fattori prognostico/ predittivi del carcinoma della mammella” Anna Sapino, segretario regionale della Società Italiana di Anatomia Patologica e Citologia (SIAPEC) del Piemonte, ha proposto di avviare a livello regionale un progetto di CQ che utilizzasse questa tecnologia avanzata, con la partecipazione attiva di patologi e tecnici coinvolti quotidianamente nella diagnostica dei fattori prognostici e predittivi del carcinoma della mammella. Avviato nel 2005, il progetto ha ottenuto il primo finanziamento dalla Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta nel marzo del 2006. L’obiettivo era la definizione e la standardizzazione delle procedure immunocitochimiche e diagnostiche. L’attività si è articolata attraverso passaggi graduali. Il primo è stata la definizione delle figure partecipanti; a questo proposito il III servizio di Anatomia Patologica del Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana dell’Ospedale Molinette di Torino ha operato in qualità di centro coordinatore dei servizi di anatomia patologica della Regione Piemonte insieme a 2 centri di altre Regioni, per ognuno dei quali sono stati identificati il patologo e il tecnico di riferimento. Si è poi proceduto: • allo studio dei marcatori prognostico/predittivi - ER, PR, HER2/neu, Ki67 - fondamentali per l’iter terapeutico secondo la consensus conference tenutasi a San Gallen, in Svizzera, nel 2005; 3 Borgomanero (ASL 13) Vercelli (ASL 11) Aosta Mondovì Alessandria Torino (Sant’Anna e OIRM) Moncalieri (Santa Croce) Torino (Maria Vittoria) Ivrea Cuneo Verbania (ASL 14) Pinerolo (ASL 10) Candiolo Torino (San Giovanni Antica Sede) Asti Torino (Ospedale Valdese) Casale Monferrato (ASL 21) Savigliano Alba Torino (Gradenigo) Torino (Mauriziano) Torino (San Luigi Orbassano) Torino (Molinette) Savona (Ospedale S. Paolo) Bologna (Ospedale Bellaria) 2 Bologna (Ospedale Bellaria) Savona (Ospedale S. Paolo) Torino (Ospedale Valdese) Asti Torino (San Giovanni Antica Sede) Candiolo Pinerolo (ASL 10) Verbania (ASL 14) Cuneo Ivrea Torino (Maria Vittoria) Moncalieri (Santa Croce) Torino (Sant’Anna e OIRM) Alessandria Mondovì Aosta Vercelli (ASL 11) 0 Borgomanero (ASL 13) 1 Figura 2. Concordanza diagnostica per il recettore del fattore di crescita epidermico (HER2) tra i diversi centri osservata dopo 1 anno di attività coordinata. 31 maggio 2006 11 giugno 2007 11 05 Oncologia in rete giugno 08 3-07-2008 16:52 Pagina 12 • alla definizione delle procedure tecniche e di diagnosi sui casi controllo, con standardizzazione dei protocolli di allestimento (tempi di fissazione, metodiche di immunocitochimica, anticorpi utilizzati); • all’individuazione dei criteri di lettura delle reazioni immunocitochimiche; • alla standardizzazione del referto diagnostico a livello regionale, con la produzione di una scheda comune di refertazione. Dal punto di vista pratico il centro coordinatore ha inviato tramite corriere le sezioni analizzate con TMA dei casi controllo a tutti i servizi di anatomia patologica coinvolti. Le reazioni immunocitochimiche sono state eseguite il giorno successivo al ricevimento dei campioni, per evitare il deterioramento antigenico. La partecipazione è stata attiva e nel corso del primo anno si sono svolti incontri mensili che prevedevano la discussione delle diverse metodiche utilizzate, la presentazione dei dati ottenuti dalle schede (procedure e concordanza diagnostica) e la rivalutazione al microscopio multiplo dei casi discrepanti. Il centro di riferimento ha inviato ai vari servizi il verbale degli incontri, segnalando le maggiori discrepanze con le possibili variazioni metodologiche e/o di valutazione dei risultati per raggiungere l’uniformità diagnostica. I risultati sono stati poi inseriti in una banca dati per l’elaborazione statistica e lo studio della concordanza diagnostica ha dimostrato un miglioramento nelle varie fasi lavorative (Figure 1 e 2, pag. 11). Infine sono iniziati i controlli di qualità di sola lettura delle reazioni: sono state inviate le immagini scansite con il sistema Olympus di telepatologia di vetrini colorati con immunocitochimica; i lettori hanno avuto accesso al sito SIAPEC Piemonte alla sezione CQ e i risultati della lettura sono stati analizzati con un sistema Excel. I casi sono stati discussi in seduta plenaria allo scopo di uniformare i parametri di lettura. L’attività è proseguita con la definizione dei centri di riferimento per le analisi basate sulle metodiche fluorescent in situ hybridization (FISH)/chromogenic in situ hybridization (CISH) e sono stati attivati i controlli di qualità per la FISH di HER2/neu a livello interregionale con la partecipazione di 10 centri, tra cui le Università di Firenze, Parma e Bologna, l’Ospedale San Raffaele di Milano, l’Ospedale di Treviso e l’Istituto Tumori e il Galliera di Genova. A turno, con calendario mensile, i vari centri invieranno una sezione di carcinoma della mammella su cui eseguire le indagini FISH. Anche in questo caso è disponibile sul sito SIAPEC Piemonte uno spazio dedicato all’inserimento dei risultati, analizzabili poi con Excel. BIBLIOGRAFIA Per quanto riguarda le prospettive future è in itinere l’attivazione di un gemellaggio con la Regione Campania per controlli di qualità analoghi. Il progetto non prevede al momento una data di chiusura in quanto i CQ dei fattori prognostico/predittivi del carcinoma della mammella, rivestendo un ruolo fondamentale nella scelta della terapia oncologica, sono oggetto di continui rinnovamenti e aggiornamenti. In una consensus conference dei patologi italiani è emersa a tale riguardo la necessità di un confronto istituzionalmente riconosciuto a livello regionale e nazionale. 12 Di Palma S et al. A quality assurance exercise to evaluate the accuracy and reproducibility of CISH for HER 2 analysis in breast cancer. J Clin Pathol. 2008; 61(6): 757-760 Pietribiasi F et al. Protocol for diagnostic assessment of sentinel lymph node in breast pathology: a proposal of SIAPEC-IAP, Piemonte Region, Italy. Pathologica 2006; 98(3): 167-170 Ellis IO et al. Updated recommendations for HER2 testing in the UK. Best Practice No 176. J Clin Pathol 2004; 57(3): 233-237 Hsi ED et al. Guidelines for HER2 testing in the UK. J Clin Pathol 2004; 57(3): 241-242 Zarbo RJ et al. Her-2/neu testing of breast cancer patients in clinical practice. Conference summary. Strategic Science symposium. Arch Pathol Lab Med 2003; 127(5): 549-553 05 Oncologia in rete giugno 08 3-07-2008 16:52 Pagina 13 Congressi all’estero A cura di Marcella Occelli Buone nuove dalla Francia III Simposio Internazionale Europeo sul Tumore del Rene Parigi 2-3 maggio 2008 Il congresso ha focalizzato l’interesse generale sulle sempre maggiori opportunità di cura offerte dal trattamento chirurgico conservativo e dalla chemioterapia basata sull’impiego di nuove molecole ad attività elevata Parigi Marcella Occelli Oncologia Medica Ospedale S. Croce e Carle, Cuneo Il 2 e 3 maggio del 2008 si è svolto a Parigi il III Congresso Internazionale Europeo sul Tumore del Rene che ha riunito nei pressi dell’Arco di Trionfo oncologi, urologi e ricercatori provenienti da tutto il mondo. Il meeting è stato organizzato dalla Kidney Cancer Association, un ente senza fini di lucro che sostiene pazienti, familiari, clinici e infermieri negli Stati Uniti e in altri 102 Stati nell’ambito della ricerca clinica, dell’educazione e degli aspetti pratici/legali relativi al carcinoma renale. I lavori congressuali sono stati avviati dagli specialisti urologi che hanno sottolineato le sempre maggiori possibilità offerte dal trattamento chirurgico conservativo. In breve la nefrectomia parziale per neoplasie localizzate e solitarie inferiori a 7 cm di diametro massimo consente un miglioramento della qualità di vita dei pazienti e della funzionalità renale nel tempo; l’intervento eseguito a cielo aperto - che vanta più di 10 anni di efficacia - rimane il trattamento gold standard mentre quello in laparoscopia è applicabile in casi selezionati, con precise limitazioni tecniche; la nefrectomia radicale con dissezione linfonodale in caso di malattia renale non metastatica, anche in presenza di estese trombosi venose profonde, è invece riservata a situazioni ad alto rischio di sviluppare metastasi linfonodali. Infine sarebbero in via di sviluppo nuove tecniche ablative che richiedono al momento ulteriori studi. Per quanto concerne la radioterapia in fase adiuvante non sembra esserci attualmente alcuna indicazione a tale trattamento dopo la chirurgia, tranne la presenza di margini microscopicamente infiltrati. Rimane indiscusso il suo ruolo nella palliazione, mentre non vi sarebbe unanimità di pensiero riguardo al trattamento postmetastasectomia cerebrale. 13 05 Oncologia in rete giugno 08 3-07-2008 16:52 Pagina 14 A cura di Marcella Occelli Terapia di seconda linea Indicazione terapeutica Rischio alto o intermedio Rischio basso Altre opzioni terapeutiche Sunitinib IL-2 ad alte dosi Bevacizumab + IFN Altre citochine Temsirolimus Refrattario alle citochine Sorafenib Sunitinib Temsirolimus Refrattario a VEGF/VEGFR ? Inibitori sequenziali della tirosinchinasi o del VEGF Tabella 1. Indicazioni terapeutiche delle nuove molecole attive nel trattamento di prima e di seconda linea del carcinoma renale in base alle più recenti evidenze di efficacia. IL-2 = interleuchina 2 IFN = interferone VEGF = fattore di crescita endoteliale vascolare VEGFR = recettore del fattore di crescita endoteliale vascolare Terapia In tema di terapia farmacologica si è evidenziato come la maggiore caratterizzazione istologica, immunoistochimica e biologica del tumore renale abbia permesso lo sviluppo di molecole altamente attive. In particolare quattro farmaci bevacizumab, sunitinib, temsirolimus e sorafenib - hanno ottenuto in soli 18 mesi l’approvazione per l’uso su larga scala, conseguenza dei brillanti risultati pubblicati nel corso del 2007: bevacizumab associato all’interferone (IFN) e somministrato in prima linea aumenterebbe la sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto a IFN da solo; sunitinib in prima linea induce rispetto a IFN un incremento significativo della PFS; nei pazienti con prognosi peggiore temsirolimus in prima linea di trattamento aumenta in modo significativo la sopravvivenza globale rispetto a IFN; infine sorafenib aumenta significativamente rispetto al placebo la PFS, dopo il fallimento di una prima linea di terapia (Tab.1). BIBLIOGRAFIA Dopo la presentazione delle evidenze di efficacia dei singoli farmaci in prima o in seconda linea è stato mostrato un algoritmo per la terapia del carcinoma renale metastatico sulla base dei nuovi parametri per la definizione del rischio. Si sono quindi delineate le prospettive future, che saranno chiarite una volta completati gli studi ancora in corso. L’utilizzo di sorafenib dopo sunitinib o bevacizumab è previsto dal trial CONCERT; sorafenib in fase adiuvante è oggetto di due studi, uno europeo (SORCE) e uno statunitense (ASSURE), mentre in fase neoadiuvante è utilizzato nel trial MDACC di fase II. Nuove combinazioni di sorafenib con bevacizumab o temsirolimus o RAD001 (everolimus) o perifosina saranno oggetto di ulteriori studi. Anche sunitib sarà testato quale terapia adiuvante in confronto a placebo e altri trial stanno valutando le diverse molecole attive in sequenza o come combinazione di farmaci. Per finire l’ultima parte del congresso ha dato spazio alle nuove conoscenze istologiche e biologiche del tumore renale e alle future possibilità terapeutiche. 14 Escudier B et al. Bevacizumab plus interferon alfa-2a for treatment of metastatic renal cell carcinoma: a randomised, double-blind phase III trial. Lancet 2007; 370(9605): 2103-2111 Hudes G et al. Temsirolimus, interferon alfa, or both for advanced renal-cell carcinoma. N Engl J Med. 2007; 356(22): 2271-2281 Motzer RJ et al. Sunitinib versus interferon alfa in metastatic renal-cell carcinoma. N Engl J Med 2007; 356(2): 115-124 Bukowski RM et al. Prognostic factors in patients with advanced renal cell carcinoma: development of an international kidney cancer working group. Clin Cancer Res. 2004; 10(18): 6310S-6314S Congressi all’estero Linea di trattamento Trattamento dei pazienti naïve Come ogni anno il Meeting Annuale dell’American Association for Cancer Research ha attratto migliaia di persone tra accademici, ricercatori e scienziati di tutto il mondo per un aggiornamento ad ampio raggio sullo stato dell’arte della ricerca oncologica e sulle prospettive future nella terapia dei tumori 05 Oncologia in rete giugno 08 3-07-2008 16:52 Pagina 15 Dal laboratorio al letto del malato Meeting Annuale AACR: “Translating the Latest Discoveries into Cancer Prevention and Cures” San Diego 12-14 aprile 2008 Cristiana Lo Nigro Oncologia Medica, Ospedale S. Croce e Carle, Cuneo San Diego I traguardi raggiunti e i limiti del targeting molecolare e della ricerca traslazionale oncologica sono stati i temi chiave che hanno convogliato più di 17.000 ricercatori da ogni parte del mondo al Convention Center di San Diego, in California, per il Meeting Annuale dell’American Association for Cancer Research (AACR). In questa platea internazionale sono stati presentati i risultati chiave degli ultimi studi clinici sulle nuove terapie oncologiche altamente mirate ed efficaci, con oltre 6.000 abstract selezionati a completamento del programma scientifico ed educazionale. Nelle sessioni plenarie late-breaking sulla ricerca di base sono stati presentati i risultati degli ultimi trial preclinici e le prospettive del loro potenziale trasferimento alla clinica. Si sono poi tenute sessioni speciali sugli studi di fase I e II riguardanti terapie innovative, così come sono stati mostrati gli ultimi dati sui trial clinici di fase III. Per favorire la comunicazione dei risultati scientifici sono stati selezionati 50 abstract per la presentazione da parte degli autori in nove conferenze stampa, ognuna caratterizzata da un tema critico ed emergente tra cui: • le modalità con cui le terapie personalizzate stanno cambiando il quadro del trattamento delle neoplasie; • l’iter dei nuovi farmaci, dagli studi di sicurezza e di efficacia di fase I ai risultati degli studi clinici di fase III; • come la dieta e lo stile di vita sono in grado di influenzare il rischio individuale di tumore; • le basi genetiche delle disparità nella salute legata ai tumori tra le minoranze etniche; • i nuovi vaccini in sviluppo per il tumore del pancreas e della mammella; • il ruolo delle nanotecnologie nella diagnosi e nel trattamento; • le nuove metodiche di imaging a servizio dell’oncologo; • le possibilità di prevenzione più innovative. Inoltre sessioni contemporanee hanno affrontato le ultime ricerche sulla prognosi, la diagnosi e l’immunoterapia del tumore. Per finire, con l’obiettivo di ispirare le prossime generazioni di ricercatori, l’AACR ha invitato 300 studenti di 10 scuole superiori a partecipare al programma di un giorno “The Conquest of Cancer and the Next Generation”, con lezioni educazionali, poster ed esibizioni guidate. «Insieme, negli anni, si è costruito il progresso scientifico e accelerato il processo di avvicinamento della ricerca scientifica di base a quella clinica e viceversa», ha dichiarato Eileen P. White, responsabile del Program Committee del 2008 e direttore associato per la ricerca di base alla Rutgers University nel New Jersey, concludendo: «Con i progressi delle tecnologie diagnostiche e l’identificazione di nuovi farmaci e terapie si riuscirà a essere sempre più efficaci nella lotta al cancro, a prolungare la vita media dei pazienti e a migliorare la loro qualità di vita». 15 05 Oncologia in rete giugno 08 3-07-2008 16:52 Pagina 16 Trimestrale della Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta Direttore scientifico: Oscar Alabiso Comitato scientifico ed editoriale: Vittorio Fusco, Emanuela Negru, Anna Novarino, Marcella Occelli, Elena Seles, Giorgio Vellani Direttore responsabile: Rosella Rebuglio - [email protected] Coordinamento editoriale e redazionale: Aretré srl - via Savona 19/A - 20144 Milano Responsabile della redazione: Grazia Tubiello - [email protected] Progetto grafico e impaginazione: Manuela Gazzola - [email protected] Editore: Aretré srl - via Savona 19/A - 20144 Milano Stampa: la Neograf srl - Sesto Ulteriano, Milano Autorizzazione del Tribunale di Milano: n. 426 del 2 luglio 2007