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1 La violenza fascista e gli strascichi del dopoguerra Nel Giornale di

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1 La violenza fascista e gli strascichi del dopoguerra Nel Giornale di
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La violenza fascista e gli strascichi del dopoguerra
Nel Giornale di Massa del mese di novembre a pag.7 con il titolo “Dare pace e verità a chi era
dalla parte sbagliata” a firma Fabrizio Miccoli di Imola, si torna ai fatti tragici dell’immediato
dopoguerra.
Molto è stato scritto sull’argomento e periodicamente qualcuno solleva un polverone ideologico
che non porta a nulla di costruttivo che aiuti a capire e approfondire quel periodo storico.
Come ANPI non possiamo esimerci di cercare di fare ancora una volta, e speriamo ultima, un
po’ di chiarezza con pacatezza e serietà cercando di argomentare quanto affermiamo.
Insomma la premessa è sempre quella: da una parte i partigiani assassini e dall’altra innocenti la
cui unica colpa sarebbe stata quella di essere stati fascisti.
Ora tutti sanno (o dovrebbero sapere) che il fascismo fin dal suo sorgere, dal 1919 al 1922, si
impose grazie ad una violenza inaudita e inimmaginabile fino ad allora in Italia e con la
convivenza del re, del governo e delle forze dell’ordine.
La sostanziale impunità dei pesanti maltrattamenti, delle angherie, delle distruzioni e degli
assassinii perpetrati dapprima verso i socialisti, le loro sedi, i loro giornali, le cooperative e le case
del popolo poi verso i comunisti, i liberali, i democratici, hanno reso possibile la Marcia su Roma
(28 ottobre 1922) e il colpo di stato messo in campo dal re dando l’incarico di formare il governo a
Mussolini, capo dei fascisti bastonatori.
Da ciò ne discende che quegli individui, che si proclamavano “fascisti della prima ora”,
avevano abbracciato quella ideologia sapendo bene che la violenza, la prevaricazione era una
pratica costante come le spedizioni cosiddette “punitive” con pistole, bombe a mano, bastoni ecc..
Alla fine del 1938 il partito fascista deliberò alcune onorificenze e titoli onorifici (che molto
spesso garantivano posti di lavoro negli enti pubblici e privati, oppure cariche istituzionali ecc.) da
concedere a quei fascisti che si erano “distinti” nel periodo che andava dal marzo 1919 (fondazione
del movimento fascista) al 28 ottobre 1922 (Marcia su Roma).
Per concorrere a questi titoli occorreva fare un curriculum dettagliato non in base ad un lavoro
politico pulito e rispettoso della democrazia, ma in base al numero di teste rotte, di sedi di partito
assalite, di cooperative incendiate, di case del popolo distrutte ecc.; occorreva trovare dei testimoni
e poi il tutto veniva sottoposto ad una commissione locale che dava o meno il suo benestare e poi
l’ultima parola spettava al commissione federale di Ravenna.
I titoli erano: squadrista (fascisti della “primissima ora” della marcia su Roma) e quello di
Sciarpa Littorio (una sciarpa con medaglia che s’indossava nelle manifestazioni ufficiali del
fascismo).
Per ottenere quest’ultima occorreva avere il “Brevetto della Marcia su Roma”, istituito con
Legge (dello Stato!) N° 100 del 31 gennaio 1926 che certificava la partecipazione alla Marcia su
Roma e concedeva una serie di preferenze e benefici (se dipendenti pubblici si potevano ottenere
1000 o 2000 lire, cifra enorme per quei tempi).
Quindi avere il titolo di squadrista o di Sciarpa Littorio non era da tutti e significava
rappresentare lo zoccolo duro del fascismo che comprendeva quelli che si erano “distinti” ed
avevano avuto il riconoscimento “eterno” del partito.
Dopo il 1925-26 con l’avvento della dittatura fascista il controllo del fascismo sulla società
italiana divenne sempre più totale e repressivo (istituzione del Tribunale Speciale, messa al bando
dei partiti e dei sindacati; istituzione della polizia segreta OVRA che reclutava le sue spie fra i
cittadini ecc) con la conseguenza che chi voleva lavorare doveva iscriversi al PNF (Partito
Nazionale Fascista).
E così il fascismo ottenne una seconda ondata di iscritti non proprio tutti convinti, ma che
dovettero fare di “necessità virtù”.
Ci furono però anche molti che rifiutarono la tessera e non piegarono la schiena: erano gli
antifascisti che pagarono questa loro scelta con pestaggi, confino, carcere e naturalmente
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disoccupazione e miseria; molti anche con la morte (Giacomo Matteotti, don Giovanni Minzoni, i
fratelli Rosselli, Piero Gobetti, Giovanni Amendola, Antonio Gramsci, solo i più noti).
A Massa Lombarda fino ai primi mesi del 1943 gli iscritti (maschi) al fascio avevano raggiunto
la cifra di 1.171 (con Villa Serraglio) su una popolazione di nemmeno 8.000 anime.
Dopo il 25 luglio (caduta del fascismo) e l’8 settembre 1943 (armistizio) il numero diminuì
enormemente; rimasero però diversi appartenenti allo “zoccolo duro” che aderirono alla
Repubblica di Salò di Mussolini, asservita a Hitler e ai suoi soldati che avevano occupato l’Italia.
Il 13 di ottobre l’Italia libera dichiarò guerra alla Germania: quindi collaborare con l’invasore e
(ora) nemico tedesco significava rinnegare l’Italia; combatterlo voleva dire essere dei patrioti.
Molti di quelli che avevano ricevuto onori e attestati non ne vollero più sapere del fascismo e si
ritirarono a vita privata. Qualcuno collaborò con i partigiani, come il medico Giorgio Babini,
insignito a suo tempo del titolo di squadrista (picchiatore fin dal 1920), che maturò questa sua
decisione al ritorno da uno dei tanti fronti di guerra scatenati da Mussolini.
I mesi che seguirono fino alla liberazione del paese (13 aprile 1945) furono per Massa Lombarda
un incubo, un inferno, pieni di paura, terrore e fame: c’erano gli occupanti nazisti in casa, i fascisti
“duri” pronti a collaborare con le SS per dare la caccia ai partigiani, per razziare e vendere poi al
mercato nero ecc. e dal 1944 i terrificanti bombardamenti aerei.
La popolazione e i partigiani poi portavano un particolare rancore verso le spie, i delatori che in
cambio di qualche migliaio di lire, di un sacco di sale o di altri benefici erano pronti a vendere
partigiani, e chi li aiutava, alle BBNN (Brigate Nere, formate da individui tra i più delinquenti e
feroci fascisti) e alle SS tedesche (veri e proprie carnefici di civili inermi e di partigiani).
Uno dei più tristi episodi che coinvolse “fascisti che non si macchiarono di delitti” ma che
resero il delitto possibile, è quello del partigiano Alvaro Pagani, avvenuta il 16 settembre 1944
grazie proprio a una spiata di un “innocuo fascista”. Per non citare l’assassinio dei fratelli Dalle
Vacche, di Arturo Chiarini e dei componenti le famiglie Baffè-Foletti, tutti continuamente spiati.
Ora veniamo al punto: non si può non comprendere che questa drammatica esperienza di vita
abbia inciso profondamente nelle persone che l’avevano subita e che il 13 aprile gli animi non
potevano essere tranquilli e sereni e non ci si poteva aspettare che ci fossero per tutti abbracci e
pacche nelle spalle e le passioni fossero represse.
Ed era tanto evidente questo pericolo che tra le disposizioni del CLN e del Partito Comunista
(che è stato la spina dorsale della Resistenza in Emilia Romagna pagando un prezzo altissimo di
vite umane) c’era proprio quella che all’atto della liberazione dei paesi e delle città si dovevano
evitare spargimenti di sangue. Poi tutto andava calato nella realtà dei territori.
A Massa Lombarda, come in altre realtà, purtroppo ci fu spargimento di sangue, un fatto
deplorevole e grave, da condannare.
La pietà per tutti i morti è cosa giusta e doverosa, ma non si possono mettere sullo stesso piano i
morti che hanno combattuto per la libertà e quelli che erano con i nazisti e hanno collaborato alla
caccia dei partigiani e a quella degli ebrei da mandare nei campi di sterminio.
Nell’articolo si fanno due nomi: siamo sinceramente imbarazzati a scendere sulle vicende delle
persone ma non si può non cercare di fare un po’ di chiarezza.
Uno è quello di Guerrini Aldo ucciso il 18 maggio 1945.
Guerrini si era iscritto al PNF il 1 ottobre del 1922, aveva ottenuto nel 1926 il Brevetto marcia
su Roma (n.85843) e più tardi la Sciarpa Littorio; era stato “legionario” nella guerra coloniale in
Etiopia. Quindi non era un fascista di complemento, ma i suoi titoli parlano chiaro (su un totale di
1.171 iscritti al fascio fra Massa Lombarda e Villa Serraglio i titolari di Fascia Littorio erano appena
29). Dopo l’8 settembre 1943 rimase fascista e non rinnegò nulla.
Massa Lombarda è un piccolo paese e si sa tutto e di tutti e quindi anche dell’attività del
Guerrini.
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Ecco come i partigiani lo descrivono: “Rastrellatore e identificatore di partigiani, operai e
contadini per il lavoro coatto. Razziatore di bestiame assieme ai tedeschi, responsabile di aver
denunciato al comando tedesco l’esistenza di un deposito di marmellata del fronte della resistenza,
di averne rivelata l’ubicazione e chiesto l’aiuto di una pattuglia della feldegendarmerie
ordinandone il sequestro”.
Si può discutere ora, a distanza di quasi 70 anni, se fossero vere o meno quelle accuse e se
quelle motivazioni fossero tali da portare alla sua uccisione, ma quello era il periodo storico e da
esso non si può prescindere.
Lo sforzo di tutti dovrebbe essere quindi quello di contestualizzare quei tragici avvenimenti
cercando di capire quanto fossero complicati quei momenti.
Infine vogliamo anche ricordare che la giustizia procedette contro coloro che furono considerati
gli autori e li condannò a pene detentive. Poi arriverà per loro l’amnistia come per molti altri
(compresi molti fascisti, tra cui Mario Renier, il fascista che pianificò coi tedeschi la strage BaffèFoletti), a riprova del riconoscimento della particolarità di quel terribile periodo storico.
L’altro nome è quello del dottor Antonio Venturini (medico), anche lui, a leggere l’estensore
dell’articolo, vittima della “barbarie”. Peccato che sia falso.
Antonio Venturini si era iscritto al PNF il 5 marzo 1922, era stato poi “eletto” nel primo
consiglio comunale fascista nelle elezioni dell’aprile 1923 (molto “libere e democratiche”: infatti
due componenti la milizia fascista muniti di manganelli erano ai lati dell’urna dove si dovevano
depositare le schede votate e pretendevano di vedere il voto espresso! Altrimenti …). Sarà poi
nominato assessore.
Anch’egli aveva brigato per avere il Brevetto di Marcia su Roma (n. 86127) e poi Sciarpa
Littorio vantando, tra l’altro, il merito di essere stato l’unico medico fascista della zona e di avere
litigato con i suoi colleghi perché ai bastonati dai fascisti, che ricorrevano alle cure del pronto
soccorso, non fosse rilasciato loro un certificato con ferite guaribili superiori ai 10 giorni perché in
quel caso sarebbe scattata la denuncia e l’arresto (Dalla dichiarazione di suo pugno).
Nel 1937 aveva rivestito il grado di ufficiale della MVSN più semplicemente detta “Milizia”
(praticamente una polizia di Mussolini i cui componenti raccoglievano informazioni, giravano in
servizio di pattuglia in uniforme per il paese, chiedevano i documenti e, al caso, bastonavano
qualche antifascista). Nel 1939 era componente del direttorio del fascio (organismo supremo di
governo e controllo del territorio) e ne faceva parte ancora nell’ottobre 1941.
Anch’egli aveva un discreto curriculum, ma dopo il 25 luglio e l’8 settembre non risulta abbia
svolto attività politica e prestata collaborazione attiva alle BBNN e ai nazisti.
E’ morto nel suo letto il 2 settembre del 1953.
Altrettanto è accaduto per moltissimi con un passato da fascista, a cui non è mai stato torto un
capello.
Infine vorremmo ricordare che all’indomani della liberazione, a Milano, ma anche in tutta l’Italia
del nord, si assistette al risorgere di squadracce fasciste che davano la caccia ai partigiani e a chi li
aveva aiutati uccidendone molti. E questi morti non sono vittime di “barbarie”? Bastava essere
partigiani o averli aiutati per essere “trucidati”? ( cfr. La guerra non era finita di Francesco Trento Laterza 2014)
E ora poniamoci tutti una riflessione e una domanda: senza il fascismo ci sarebbero state tutte
queste guerre, questi lutti, queste violenze e questa impressionante carica di odio?
Il direttivo dell’ANPI
Sez. G. Baffè di Massa Lombarda e S.Agata
Massa Lombarda 29 novembre 2014
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