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Tribunale di Torino – 25 novembre 2009 dep. 10.01.2010 – Est. Christillin
SENTENZA
N°__________________
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Fasc. N°________________
TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO
Cron. N°_______________
SEZIONE VII CIVILE
Rep. N°_______________
Il Giudice Unico dott. M. Francesca CHRISTILLIN
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 1745/09 R.G./A
avente per oggetto: risarcimento danni da diffamazione a mezzo stampa
promossa da:
T.M. elettivamente dom.to in ---- presso lo studio dell’avv. N.D. che lo rappresenta e
difende per procura in atti unitamente agli avv. I.F., A.F. e F.DE.C. del foro di Roma.
PARTE ATTRICE
contro
S.V. elettivamente dom.to in --- presso lo studio dell’avv. F.M. che lo rappresenta e
difende per procura in atti unitamente all’avv. G.C. del foro di Camerino.
PARTE CONVENUTA
CONCLUSIONI DELLE PARTI
Per parte attrice
Accertato e dichiarato che le espressioni, le frasi e gli epiteti pronunciati dal convenuto
nei confronti dell’attore durante la puntata televisiva di Anno Zero, intitolata “O Bella
Ciao”, trasmessa in diretta televisiva su Rai 2 il 1.5.2008, descritti in narrativa,
presentano singolarmente e/o gli uni per mezzo degli altri contenuti ingiuriosi e/o
diffamatori e comunque ed in ogni caso civilisticamente lesivi dell’onore, del decoro,
della reputazione, dell’identità personale, professionale dell’attore, condannare di
conseguenza V.S.: a) al risarcimento di tutti i danni non patrimoniali e morali subiti e
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subendi dall’attore, nella misura di € 300.000,00 o nella diversa misura che sarà
liquidata anche equitativamente dal Tribunale adito, oltre interessi legali dal 1.5.2008
alla data dell’effettivo soddisfo; b) ordinare la pubblicazione della emananda sentenza, a
spese del convenuto, sui quotidiani “Il Corriere della Sera”, “La Repubblica”, “L’Unità”
e “La Stampa”; c) in ogni caso rigettare, perché infondate in fatto e in diritto, tutte le
domande avanzate in via riconvenzionale dal convenuto assolvendosi conseguentemente
dalle stesse l’attore. Con vittoria di spese.
Per parte convenuta
Piaccia all’Ill.mo Tribunale adito, ogni contraria istanza disattesa e respinta,
In via preliminare: dichiarare – per i motivi in premessa ed ex art. 164 co. 1 c.p.c. – la
nullità dell’atto di citazione per omessa e/o inesatta indicazione della residenza
anagrafica dell’attore. Dichiarare – per le ragioni in narrativa – l’incompetenza
territoriale del Tribunale di Torino essendo, nella specie, competenti a decidere la
presente vertenza, ivi compresa la domanda riconvenzionale, i Tribunali di Roma,
Camerino e/o Ferrara, presso cui la causa dovrà essere riassunta dopo la declaratoria di
incompetenza del giudice adito.
In via principale nel merito: rigettare in toto le domande attoree, poiché infondate in
fatto e in diritto e comunque non costituenti illecito civile in quanto scriminate dal
diritto di critica politica e/o di satira, condannando in ogni caso l’attore ex art. 96 c.p.c.
(sempre ove egli non dovesse ammettere l’errore di trascrizione indicato in premessa) al
pagamento della somma di € 2.000,00 o a quella minore da liquidarsi in via equitativa.
In via subordinata: ridurre il quantum risarcitorio richiesto dall’attore, liquidando al
predetto, a titolo di danno non patrimoniale, una somma non superiore ad € 30.000,00.
In via riconvenzionale: per i motivi sopra illustrati, ritenuta la gravità delle ingiurie,
condannare l’attore medesimo al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dal
convenuto pari alla somma di € 200.000,00 o a quella minore ritenuta di giustizia e/o da
liquidarsi anche in via equitativa.
In estremo subordine: compensare, in ogni caso, quanto verrà liquidato all’attore con
quanto riconosciuto al convenuto per effetto della riconvenzionale proposta.
Il tutto comunque con vittoria di spese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con atto di citazione in data 10.12.2008 il giornalista M.T. conveniva in giudizio V.S.
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per sentirlo condannare al risarcimento dei danni da lui patiti a causa delle espressioni
diffamatorie ed ingiuriose da quest’ultimo pronunciate nel corso della trasmissione
televisiva Anno Zero del 1.5.2008, alla quale avevano partecipato entrambe le parti.
Il convenuto V.S. si costituiva in giudizio contestando gli assunti avversari e
formulando le eccezioni e le domande indicate in epigrafe.
Il G.I. concedeva alle parti i termini per il deposito di memorie ex art. 183 c.p.c., decorsi
i quali, con ordinanza in data 24.8.2009, rilevato che non erano state formulate istanze
istruttorie (ad eccezione di una richiesta di CTU volta alla trascrizione dell’intera
registrazione del programma televisivo, richiesta peraltro irrilevante a fronte del fatto
che l’attore – sull’unico punto in contestazione - aveva riconosciuto l’errore nel quale
era incorso nella trascrizione da lui prodotta) e all’udienza del 5.10.2009, precisate le
conclusioni come in epigrafe, la causa veniva trattenuta a decisione.
L’eccezione di nullità dell’atto di citazione è infondata e deve pertanto essere rigettata.
Il convenuto ha sollevato tale eccezione sul presupposto della “omessa o assoluta
incertezza del requisito relativo alla residenza anagrafica dell’attore”. Sul punto è
sufficiente rilevare che a pag. 6 §17 dell’atto di citazione è espressamente indicato che
“l’attore ha la propria residenza anagrafica e il proprio domicilio a Torino”: tale
indicazione è precisa ed inequivoca, sicché nessuna nullità è ravvisabile nell’atto di
citazione. Deve evidenziarsi che il convenuto – pur avendola riproposta in sede di
precisazione delle conclusioni – nella propria comparsa conclusionale ha espressamente
rinunciato all’eccezione (pag. 2 punto 6); parte attrice tuttavia nella propria memoria di
replica ha dichiarato di non accettare la rinuncia, ai fini della “soccombenza virtuale”
per la condanna alla spese.
L’eccezione di incompetenza territoriale è infondata e deve pertanto essere rigettata.
Già in passato, secondo l’orientamento prevalente della Suprema Corte, in tema di
risarcimento del danno extracontrattuale per la lesione del diritto alla reputazione
conseguente alla diffusione di una trasmissione televisiva, ai fini dell’individuazione del
giudice territorialmente competente ai sensi dell’art. 20 c.p.c. “non rileva, quale luogo
in cui sorge l’obbligazione risarcitoria, il luogo in cui si è verificato il fatto, bensì
quello in cui si è prodotta l’altra componente dell’illecito civile, il danno, atteso che ai
fini della responsabilità civile ciò che si imputa è il danno consequenziale, patrimoniale
o non patrimoniale e non il fatto quanto tale. In considerazione delle caratteristiche del
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mezzo, il danno di cui si chiede il risarcimento si verifica nel momento della diffusione
della trasmissione, poiché è il luogo in cui il soggetto in quel tempo aveva il domicilio
quello in cui si verificano gli effetti negativi dell’offesa alla reputazione, in quanto nel
contesto ambientale in cui il danneggiato vive ed opera si realizza la percezione del
contenuto diffamatorio della trasmissione, restando così individuato il giudice
territorialmente competente” (Cass. Sez. 3^ - 1.12.2004 n. 22586 – Cass. Sez. 3^
8.5.2002 n. 6591; Cass. Sez. 1^ 13.1.2000 n. 269). Tale principio è stato di recente
ribadito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con ordinanza 29.9/13.10.2009 n.
21661. Poiché l’attore danneggiato ha la propria residenza ed il proprio domicilio in
Torino, deve ritenersi la competenza territoriale del Tribunale di Torino. Anche con
riferimento a tale eccezione deve rilevarsi che il convenuto – pur avendola riproposta in
sede di precisazione delle conclusioni – vi ha espressamente rinunciato nella propria
comparsa conclusionale (pag. 2 punto 5), ma che parte attrice nella propria memoria di
replica ha dichiarato di non accettare la rinuncia, ai fini della “soccombenza virtuale”
per la condanna alla spese.
Passando alla valutazione del merito della causa, devono preliminarmente essere svolte
alcune considerazioni in ordine al diritto di critica e/o al diritto di satira (quest’ultimo
invocato dal solo convenuto).
Il diritto di critica è considerato manifestazione essenziale del diritto soggettivo di
libera manifestazione del pensiero, garantito dall’art. 21 della Costituzione e consiste
nell’espressione di un giudizio o di un’opinione che quindi, come tale, non può essere
rigorosamente obiettiva, essendo conseguenza di un’interpretazione soggettiva di un
determinato fatto. La critica deve ritenersi lecita – anche se pubblicizzata attraverso gli
organi di stampa, nel caso in cui abbia ad oggetto fatti di interesse pubblico – quando
non trascenda in espressioni sconvenienti, pur dovendosi considerare che – secondo la
costante e condivisibile giurisprudenza - può raggiungere punte particolarmente ‘calde’
nel settore politico, ove sono abituali espressioni anche vivaci e colorite, che potrebbero
essere ritenute oggettivamente lesive del decoro della persona, sicché può estrinsecarsi
anche nell’utilizzo di espressioni forti, che sono proprie di quel settore, purché non
trascenda nella contumelia o nell’inutile discredito di un soggetto.
A ciò consegue che il diritto di critica deve ritenersi legittimamente esercitato laddove:
a) vi sia un interesse pubblico alla critica, in relazione all’idoneità dei soggetti e dei
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comportamenti criticati a richiamare su di sé un’apprezzabile attenzione dell’opinione
pubblica; b) le espressioni utilizzate siano corrette e non trascendano in attacchi
personali nei confronti di un soggetto, volti esclusivamente a screditarne l’integrità
personale, senza finalità di pubblico interesse.
La satira, invece, è una modalità di rappresentazione di fatti e/o di persone che mira a
suscitare ilarità nel pubblico, proponendo le vicende o i personaggi di cui si occupa con
forme espressive umoristiche e paradossali (tipiche, ad esempio, le vignette, le
caricature, le imitazioni televisive). Tali caratteristiche non sono in alcun modo
ravvisabili (come meglio si vedrà di seguito) nel caso in esame, posto che né la
trasmissione “Anno Zero”, né le opinioni espresse dalle parti nel corso del programma
avevano alcun intento umoristico; si trattava infatti di un serio dibattito su temi politici,
ove al più gli interlocutori utilizzavano talora un tono ironico o sarcastico (che nulla ha
a che vedere con la “satira”). A ciò consegue che, nel caso di specie, nessuna rilevanza
può avere il “diritto di satira”.
Per contro, in ossequio al “diritto di critica” (nei termini sopra indicati, con riferimento
alla critica politica) devono ritenersi lecite le espressioni anche forti e astrattamente
lesive dell’onore di un soggetto, ove finalizzate esclusivamente a rafforzare la propria
opinione ed a provare l’infondatezza dell’opinione altrui, mentre devono ritenersi
illecite tutte quelle espressioni che consistono in contumelie fini a se stesse.
Fatta questa premessa, occorre ora analizzare le espressioni che l’attore e/o il convenuto
ritengono lesive della loro reputazione, nei limiti di quanto da costoro espressamente
dedotto nei rispettivi atti.
Preliminarmente è bene precisare che parte attrice in corso di causa ha dato atto del
seguente errore nel quale era incorsa, che costituiva oggetto di specifica domanda del
convenuto di condanna al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. (per il solo caso in cui
l’attore non avesse ammesso l’errore). Nell’atto di citazione e nella trascrizione da lui
prodotta, l’attore ha indicato, tra le espressioni “incriminate” pronunciate da V.S., la
seguente: “dì la verità, diffamatore, condannato a Torino perché hai insultato me” (pag.
5 atto di citazione – pag. 45 trascrizione – CD titolo 4 minuto 14,55), mentre il
convenuto ha affermato che l’espressione da lui pronunciata era: “dì la verità
diffamatore, condannato a Torino perché hai insultato Mediaset”. Orbene, in relazione
a tale espressione la difesa di M.T. ha espressamente riconosciuto che “all’esito di una
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nuova audizione del filmato (…) si dà atto che lo V.S. ha effettivamente pronunciato la
seguente frase ‘quindi dì la verità diffamatore condannato a Torino perché ha insultato
Mediaset’. Trattasi di mero errore dovuto alla cattiva registrazione audio del dvd (…)”
(pag. 3 memoria 3.7.2009). In relazione a tale questione (ivi compresa la domanda di
risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c.), pertanto, nulla deve essere ulteriormente
valutato e/o deciso.
Passando ora al merito della causa, è necessario precisare che per una corretta e
completa valutazione delle espressioni pronunciate dalle parti del presente giudizio nel
corso della trasmissione “Anno Zero”, non può che rinviarsi all’esame della
registrazione del programma (contenuta nel CD prodotto in causa), giacché lo scritto
(ivi compresa la trascrizione fedele di tutta la trasmissione) non può rendere
compiutamente l’idea del tenore delle espressioni utilizzate dalle parti, stante la
rilevanza non solo delle “parole”, ma anche dei toni, dei gesti, delle pause e così via. In
questa sede si può e si deve tuttavia rilevare che dalla visione e dall’ascolto di tale
registrazione emerge che tra M.T. e V.S. vi sono stati (inframmezzati da numerosi
filmati ed interventi di altri ospiti) molteplici “duetti” alquanto accesi, caratterizzati per
lo più: a) per quanto riguarda M.T., da un tono di voce sempre pacato, anche se talvolta
ironico e sarcastico e da una costante compostezza nella postura; b) per quanto riguarda
V.S., da un tono di voce molto acceso (quasi sempre “urlato”), accompagnato da un
continuo gesticolare in modo agitato e da ripetute interruzioni degli interventi di M.T.,
sordo ai plurimi inviti del conduttore a tenere un comportamento che consentisse da un
lato alla trasmissione di proseguire e dall’altro lato agli altri ospiti di esprimere le loro
opinioni.
Passando ad un’analisi più dettagliata della vicenda, le espressioni pronunciate da V.S.
nei confronti di M.T. e da questi ritenute lesive della propria persona, sono le seguenti:
1) “A mia sorella non dico Fassino perché mia sorella vale venti volte te che sei
un pezzo di merda, pezzo di merda puro” (pag. 8 trascrizione – titolo 2 min.
16,29 del CD).
La prima parte della frase (“A mia sorella non dico Fassino perché mia sorella vale
venti volte te”), che estrapolata dal suo contesto appare poco comprensibile, nasce
dal fatto che immediatamente prima V.S. aveva detto a M.T. “sembri Fassino” e
questi aveva replicato “Fassino glielo dici a tua sorella” (di tale espressione si
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tratterà comunque più approfonditamente in seguito, in relazione alla doglianze
avanzate dal convenuto): si tratta comunque di un’espressione del tutto neutra e
priva di valenza offensiva.
Ben diverso, invece, deve essere il giudizio sulla seconda parte della frase (“sei un
pezzo di merda, pezzo di merda puro”) che è palesemente un’espressione
gravemente ingiuriosa e che non può in alcun modo rientrare nell’ambito del “diritto
di critica”, non essendo volta a “criticare” l’avversario ma solo ed esclusivamente ad
“offendere”. Né può ritenersi che tale espressione ingiuriosa sia in qualche modo
giustificata dalla provocazione, giacché la frase precedente pronunciata da M.T.
(“Fassino glielo dici a tua sorella”) non può essere ritenuta in alcun modo
provocatoria e, in ogni caso, altro non era che una replica alla precedente
affermazione di V.S. (“sembri Fassino”).
Sul punto non può che condividersi l’assunto dell’attore, laddove afferma che tali
ingiurie “nonostante l’imbarbarimento del dibattito politico, nulla hanno a che
vedere con la politica, risolvendosi esclusivamente in volgari e gratuiti insulti”.
In ordine alla frase “sei un pezzo di merda, pezzo di merda puro” deve pertanto
ritenersi provata l’illiceità della condotta del convenuto.
2) “Non dire stronzate (…). Ma non dici frasi, dici stronzate, siamo in
democrazia, c’è Santoro, ci sei tu, che diffamate continuamente (…). Stai
dicendo stronzate” (…) Non dire stronzate” (pagg. 25-26 trascrizione – titolo 3
min. da 1.10 a 3,04 del CD).
A tali espressioni (in particolare con riferimento alla ripetuta affermazione secondo
la quale M.T. diceva “stronzate”)
deve riconoscersi una valenza puramente
offensiva, giacché per dissentire dalle opinioni del proprio interlocutore non vi è
alcuna necessità di ricorrente all’utilizzo di vocaboli indiscutibilmente ingiuriosi
(quale indubbiamente è la parola sopra richiamata), ben potendosi esprimere il
proprio dissenso con l’uso di vocaboli altrettanto pregnanti ma non integranti
l’insulto.
Anche in relazione a tali parole, pertanto, deve ritenersi provata l’illiceità della
condotta del convenuto.
3) “Applaudite questa testa di…” (pag. 27 trascrizione – titolo 3 min. 3,21 del
CD).
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A tale espressione non può riconoscersi valenza ingiuriosa; è indubbio che
abitualmente l’espressione “testa di…” è seguita dall’utilizzo di un vocabolo a
contenuto offensivo, ma nel caso di specie il convenuto ha interrotto la frase senza
profferire alcuna parola ingiuriosa, sicché non può ritenersi integrata alcuna offesa.
Nessun illecito è pertanto ravvisabile in relazione a tale espressione.
4) “Sei un bugiardo, sei un bugiardo” (pag. 27 trascrizione – titolo 3 min. 4,23 del
CD).
Deve premettersi che non è chiaro se tali espressioni siano o meno oggetto delle
doglianze dell’attore, in quanto sono state evidenziate nell’atto di citazione, ma non
sono più state richiamate nei successivi atti né nella comparsa conclusionale.
Sul punto, in ogni caso, deve rilevarsi che non si ritiene sia ravvisabile alcun illecito,
giacché nell’ambito di un acceso dibattito tali parole potevano servire effettivamente
a rafforzare la propria tesi circa l’inattendibilità delle opinioni contrapposte
sostenute dal contraddittore.
5) “Siamo un grande paese con un pezzo di merda come te. Siamo un grande
paese con un diffamatore abituale” (pag. 28 trascrizione – titolo 32 min. 4,51
del CD).
In ordine a tali espressioni deve ribadirsi quanto espresso al punto 1) (seconda
parte).
E’ infatti evidente che l’espressione “pezzo di merda” riveste i caratteri dell’ingiuria
e che è fine a se stessa, non avendo alcuna utilità ma il solo scopo di offendere
l’avversario.
Per quanto attiene all’espressione “diffamatore abituale” trattasi parimenti di una
frase volta esclusivamente a screditare la personalità dell’avversario e non
rispondente a verità, almeno secondo quanto emerge dagli atti di causa (dal
certificato penale prodotto risulta che l’attore è incensurato e la condanna, in una
causa civile, per un illecito relativo alla pubblicazione di un articolo, non consente
di attribuire ad un soggetto lo stato di “diffamatore abituale”).
6) “Non voglio far andare avanti questo che dice solo delle balle (…) Non ha
argomenti dice bugie (…) Non ascolto bugie ne ho ascoltate fin troppe qua
(…) Ma non sfottere, che tu sei il popolo del nulla, questo sei tu (…) Perché
sfrutta le stronzate” (pag. 29-30 trascrizione – titolo 3 min. da 6,19 a 6,45 del
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CD).
In ordine a tali espressioni valgono le stesse considerazioni svolte in relazione al
punto 4), sicché non può ravvisarsi alcun illecito. Anche in questo caso, infatti,
nell’ambito dell’acceso dibattito in corso tali parole erano volte a rafforzare la
propria tesi circa l’inattendibilità della tesi contrapposta sostenuta dal contraddittore.
Anche la (volgare) parola “stronzate” non può ritenersi ingiuriosa, in quanto non
riferita direttamente a M.T., ma ad altri ai quali lui si richiamava.
7) “Quindi dì la verità, diffamatore, condannato a Torino perché hai insultato
Mediaset” (pag. 45 trascrizione – titolo 4 min. 14,55 del CD).
Come già rilevato in relazione al punto 4), anche con riferimento a tali espressioni
deve premettersi che non è chiaro se queste siano o meno oggetto delle doglianze
dell’attore, in quanto sono state evidenziate nell’atto di citazione, ma (dopo il
riconoscimento dell’errore sul tenore effettivo della frase) non sono più state
richiamate nei successivi atti né nella comparsa conclusionale.
In ogni caso non si ritiene che sul punto possa ravvisarsi una condotta illecita del
convenuto, giacché M.T. risulta essere stato parzialmente soccombente in una causa
civile intentata contro di lui da Mediaset in conseguenza della pubblicazione di un
articolo il cui contenuto era ritenuto diffamatorio.
8) “Perché tu ridi con quella faccia che ti ritrovi? (…) Faccia da tonto” (pag. 53
trascrizione – titolo 4 min. 35,10 del CD).
A tali espressioni (in particolare con riferimento all’affermazione “faccia da tonto”)
deve riconoscersi una valenza puramente offensiva, giacché per dissentire dalle
opinioni del proprio interlocutore non vi è alcuna necessità di ricorrere all’utilizzo di
vocaboli indiscutibilmente ingiuriosi, che nulla hanno a che fare con l’oggetto della
discussione e che sono volti esclusivamente a denigrare l’avversario.
Anche in relazione a tali parole, pertanto, deve ritenersi provata l’illiceità della
condotta del convenuto.
Le espressioni pronunciate da M.T. all’indirizzo di V.S., da questi ritenute lesive ed
oggetto della domanda riconvenzionale di risarcimento danni, sono le seguenti:
1) “Fassino lo dici a tua sorella” (pag. 8 trascrizione – titolo 2 min. 16,26 del CD).
Come si è già avuto modo di accennare in precedenza, tale espressione nasce dal
fatto che immediatamente prima V.S. aveva detto a M.T. “sembri Fassino” e questi
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aveva replicato “Fassino glielo dici a tua sorella”; deve qui ribadirsi che tale
espressione è del tutto neutra e priva di valenza offensiva (tanto più nei confronti di
V.S., poiché al più potrebbe offendere la di lui sorella, che non è dato neppure
sapere se esista), giacché il significato comune di una simile espressione è
semplicemente quello di dire ad un soggetto che non si vuole essere apostrofati in un
certo modo e che una determinata espressione non deve essere utilizzata nei
confronti del proprio interlocutore, ma al più nei confronti di persona con la quale si
è in confidenza.
Nessuna valenza ingiuriosa, pertanto, può essere riconosciuta alla frase in esame.
2) “Non c’è la neurodeliri che lo porta via, un TSO obbligatorio” (pag. 31
trascrizione – titolo 3 min. 7,55 del CD).
Anche in questo caso non può ritenersi sussistente alcun illecito nella frase pronunciata
da M.T.. Dall’esame della registrazione emerge infatti che M.T. aveva iniziato un
intervento su un argomento sul quale V.S. dissentiva totalmente (M.T. sosteneva che
Enzo BIAGI era stato “cacciato” dalla RAI, mentre V.S. contestava tale circostanza).
Orbene, quando M.T. ha iniziato il suo intervento sulla “presunta” cacciata di Enzo
BIAGI dalla RAI, V.S. gli ha ripetutamente impedito di parlare; ogni volta che l’attore
iniziava il suo discorso il convenuto lo interrompeva (ciò è avvenuto per una quindicina
di volte consecutive), urlando, agitandosi sulla sedia, gesticolando e in alcune occasioni
pronunciando anche ingiurie all’indirizzo di M.T., sordo anche ai ripetuti inviti del
conduttore a consentire a M.T. di terminare l’intervento (cfr. pagg. da 27 a 31
trascrizione – titolo 3 min. da 4,20 a 7,50 CD).
A fronte di una tale condotta, pertanto, appare giustificato il commento di M.T. (in
sottofondo e sempre con tono di voce pacato, anche se sarcastico), che con tutta
evidenza non aveva la finalità di attribuire a V.S. “turbe psichiche o malattie mentali”
ma era esclusivamente volto a sottolineare che solo un intervento “di forza” avrebbe
potuto porre un freno alla furia del suo contraddittore, per consentirgli di portare avanti
il suo intervento, interrotto sul nascere per un numero infinito di volte.
In conclusione pertanto:
● deve riconoscersi l’illiceità (esclusivamente) delle espressioni pronunciate da V.S.
nei confronti di M.T. nel corso della trasmissione “Anno Zero” del 1.5.2008 sopra
richiamate ai punti 1) – 2) – 5) – 8);
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● deve escludersi la sussistenza di qualunque condotta illecita in relazione alle altre
espressioni pronunciate da V.S. nei confronti di M.T. e a tutte le espressioni pronunciate
da M.T. nei confronti di V.S. nel corso della citata trasmissione.
Il danno
La parte attrice ha chiesto nell’atto di citazione il risarcimento dei “danni non
patrimoniali e morali”. La recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione (n.
26972 del 11.11.2008) ha riesaminato approfonditamente i presupposti del danno non
patrimoniale, affermando – tra l’altro – che quest’ultimo costituisce una categoria ampia
ed omnicomprensiva, all’interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori
sottocategorie, se non con valenza meramente descrittiva. Nel caso di specie il danno
non patrimoniale può essere ravvisato nella sofferenza psichica derivante dalla
diffusione delle frasi aventi contenuto ingiurioso. Per la sussistenza di tale titolo di
danno occorre fare ricorso, quanto al nesso di causalità, alle leggi statistiche o di
probabilità in base alle quali può affermarsi che la condotta dell’agente è stata
condizione necessaria e sufficiente per il patimento dell’offeso, mentre per quanto
attiene alla prova del danno, questo deve ritenersi sussistente in re ipsa, nel senso che
dalla condotta diffamatoria non può non discendere un’incidenza negativa sul
patrimonio morale e psichico della persona offesa; come argutamente osservato dalla
Corte d’Appello di Milano in una recente sentenza “solo il soggetto psicopatico ‘puro’
non si cura della considerazione che gli altri hanno della sua personalità, laddove
l’individuo sano, nella assoluta normalità dei casi, riceve turbamento e soffre quando i
tratti del proprio essere morale ed umano vengono aggrediti e distorti”.
Nel caso di lesione dell’integrità morale di un soggetto, non essendovi elementi
specifici ai quali ancorarsi per la valutazione del danno non patrimoniale, occorre
necessariamente ricorrere alla liquidazione in via equitativa, attenendosi a parametri di
carattere generale quali la gravità dell’offesa, l’intensità del dolo o della colpa, il
clamore suscitato dalla pubblicazione, la notorietà e la posizione sociale del soggetto
leso.
In relazione a tali parametri devono svolgersi le seguenti considerazioni:
• la trasmissione in esame è andata in onda su un canale nazionale, in prima serata ed
aveva pertanto un pubblico di telespettatori sicuramente molto consistente;
• nel corso del programma sono state ripetutamente pronunciate espressioni
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oggettivamente e gravemente ingiuriose, tali da ledere sia la personalità che la
professionalità di M.T.;
• la responsabilità del convenuto deve ritenersi di non minima gravità, sia per la
tipologia delle espressioni ingiuriose, sia perché gli insulti non sono stati circoscritti ad
un unico momento del programma, ma sono stati ripetuti in diverse occasioni e a
distanza di tempo (sicché non si è trattato di un fatto occasionale).
• il programma
in questione, per il tipo di temi trattati e per le modalità
di
svolgimento, è tale per cui non è insolito che il dibattito arrivi a trascendere, il che – se
certo non esclude l’illiceità delle offese – ne limita comunque la portata.
A fronte di tutto quanto sopra esposto, si ritiene equo liquidare all’attore, a titolo di
risarcimento del danno non patrimoniale – tenuto anche conto di quanto si dirà in
seguito con riferimento alla pubblicazione della sentenza - la somma di € 30.000,00.
La parte attrice ha domandato altresì la pubblicazione della sentenza
su diversi
quotidiani. In ordine a tale domanda deve osservarsi che la pubblicazione viene
uniformemente considerata come una forma di “risarcimento in forma specifica con
altissima efficacia risarcitoria dell’onore e della reputazione dell’offeso” e come tale,
quindi, idonea a ridurre il quantum del risarcimento. In parziale accoglimento della
domanda dell’attore, pertanto, si ritiene di ordinare la pubblicazione per estratto della
presente sentenza, a cura e spese del convenuto sui quotidiani “La Stampa” e “La
Repubblica”, dovendosi ritenere sufficiente la pubblicazione sui due quotidiani che sono
maggiormente collegati al domicilio dell’attore (uno perché di Torino e l’altro perché
ha anche l’edizione torinese).
Le spese
In base al principio della soccombenza le spese del giudizio – da liquidarsi secondo lo
scaglione della tariffa prevista per la somma attribuita e non per quella domandata devono essere poste a carico del convenuto V.S..
P.Q.M.
Il Giudice, respinta ogni diversa istanza, in contraddittorio delle parti,
dichiara il convenuto
V.S. responsabile degli illeciti di cui in motivazione e lo
condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dall’attore M.T., che liquida
in complessivi € 30.000,00, oltre interessi legali dal 1.5.2008 al saldo.
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Ordina la pubblicazione della presente sentenza, per estratto, a cura e spese del
convenuto V.S., sui quotidiani “La Stampa” e “La Repubblica”.
Rigetta le domande formulate in via riconvenzionale dal convenuto V.S. nei confronti
di M.T..
CONDANNA il convenuto al pagamento delle spese processuali sostenute dall’attore,
che liquida in complessivi € 5.661,46, di cui € 4.000,00 per onorari, € 1.659,00 per
diritti ed € 2,46 per esposti, oltre 12,5% spese forfetarie, CPA ed IVA.
Così deciso in Torino in data 25.11.2009.
IL GIUDICE UNICO
DR. M. F. CHRISTILLIN
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