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Tu che m`hai preso il cuor
www.edit.hr Anno LXIII - N. 12 | 30 giugno 2015 | Rivista quindicinale - kn 14,00 | EUR 1,89 - Spedizione in abbonamento postale a tariffa intera - Tassa pagata ISSN-0475-6401 Tu che m’hai preso il cuor L’operetta protagonista ad Abbazia con una mostra storica sommario n. 12 | 30 giugno “La Voce” alla Fiumanka Una equipe del nostro quotidiano “La Voce del Popolo” ha partecipato per la prima volta alla Fiumanka, la tradizionale regata organizzata in onore del patrono di Fiume. I nostri bravi ragazzi sono arrivarti in totale sesti aggiundicandosi il primo posto alla seconda gara per le barche a vela dei mass media. Un successo che speriamo di ripetere l’anno prossimo e forse anche alla Barcolana triestina in programma ad ottobre. 3 | Primo piano. Allarme siamo Fascisti . Le polemiche dopo una performance teatrale provocatoria a Fiume di Ilaria Rocchi 5| Eventi. Tu che m’hai preso il cuor. L’operetta da Trieste e Abbazia all’Europa di Rosanna Poletti 10 | Attualità. La comunicazione politica richiede sinergie e professionalità. L’incontro annuale degli addetti alle pubbliche relazioni che operano in Croazia 12 | La crisi che affrontiamo è più pericolosa di quella economica. Aleksandra Kolarić, presidente dell’Associazione che raccoglie le agenzie croate di PR critica aspramente il premier Milanović 14 | La British American Tobacco acquista la TDR di Diana Pirjavec Rameša 16 | Tutela delle minoranze in Slovenia, sì, no, nì. Il traforo di Monte San Marco suscita profonde riflessioni di Stefano Lusa 20 | Territorio. L’oro liquido del Mediterraneo targato Chiavalon. Il giovane imprenditore Sandi miete successi internazionali di Ardea Velikonja 26 | Dossier Comunità. Santa Domenica: tanti giovani inesauribile fonte di idee di Ardea Velikonja 31 | La storia oggi. Il sentimento repubblicano del Dovere. A 210 anni dalla nascita di Giuseppe Mazzini di Fulvio Salimbeni 34 | Italiani nel mondo. Anche gli italiani nel mondo hanno il proprio Inno “Italia Patria mia” di Ardea Velikonja 36 | Libri. Giuseppe Praga un’opera per ricordare. La pubblicazione raccoglie gli scritti sulla Dalmazia del grande studioso zaratino 42 | Bandito il Concorso del 56.esimo Premio Letterario “Leone di Muggia”. Scade il 15 luglio 43 | Arte. La guerra che verrà non è la prima. Al Mart di Trento e Rovereto una mostra dei migliori pittori della prima guerra mondiale di Erna Toncinich 46 | Psicologia. La resilienza - resistere alle avversità di Denis Stefan 48 | Tecnologia. New York Times, Bbc, Spiegel e Guardian: Facebook sposa il giornalismo on line 50 | In casa. Stratagemmi per lasciare l’afa fuori dalle mura di casa. a cura di Nerea Bulva 52 | Multimedia. Windows 10. Cosa sapere prima dell’uscita 54 | Apple. Novità 2015 di Igor Kramarsich 56 | Fioralia. Ma anche il carciofo ha il suo bel fiore di Daniela Mosena 57 | Soste di Ulisse. A Bakar...Bakarska konoba quasi... come a Portofino di Sostene Schena 58 | Scacchi pillole. David Bronštej e Paul Keres i re senza corona a cura di Sandro Damiani 59 | Passatempi. Parole crociate di Pinocchio Errata corrige Nel numero 10 di Panorama nella rubrica dossier comunità parlando della Comunità degli Italiani di Crevatini e del gemellaggio con San Genesio abbiamo erroneamente scritto che la presidente Maria Pia Casagrande è nata nelle Marche, invece la presidente è nata a Crevatini ma ha il marito marchigiano e da qui l’amicizia con il borgo italiano. Ce ne scusiamo con l’interessata e con i lettori. Progetto grafico-tecnico Sanjin Mačar REDAZIONE [email protected] Via re Zvonimir 20a Rijeka - Fiume, Tel. 051/228-770 Telefax: 051/672-128, direttore: tel. 672-153 Diffusione: tel. 228-766 e pubblicità: tel. 672-146 ISSN 0475-6401 Panorama (Rijeka) ISSN 1334-4692 Panorama (Online) Redattore grafico-tecnico Sanjin Mačar, Teo Superina TIPOGRAFIA Helvetica - Fiume-Rijeka Versamenti Per la Croazia sul cc. 2340009-1117016175 PBZ Riadria banka d.d. Rijeka. Per la Slovenia: Erste Steiermärkische Bank d.d. Rijeka 7001-3337421/EDIT SWIFT: ESBCHR22. Per l’Italia - EDIT Rijeka 3337421- presso PBZ 70000 - 183044 SWIFT: PBZGHR2X. Numeri arretrati a prezzo raddoppiato INSERZIONI: Croazia - retrocopertina 1.250,00 kn, retrocopertina interna 700,00 kn, pagine interne 550,00 kn; Slovenia e Italia - retrocopertina 250,00 euro, retrocopertina interna 150.00 euro, pagine interne 120,00 euro. Collegio redazionale Nerea Bulva Diana Pirjavec Rameša Ilaria Rocchi Ardea Velikonja ABBONAMENTI Tel. 228-782. Croazia: annuale (24 numeri) kn 300,00 (IVA inclusa), semestrale (12 numeri) kn 150,00 (IVA inclusa), una copia kn 14,00 (IVA inclusa). Slovenia: annuale (24 numeri) euro 62,59 , semestrale (12 numeri) euro 31,30, una copia euro 1,89. Italia: annuale (24 numeri) euro 70,00, una copia euro 1,89. PANORAMA esce con il concorso finanziario della Repubblica di Croazia e della Repubblica di Slovenia e viene parzialmente distribuita in convenzione con il sostegno del Governo italiano nell’ambito della collaborazione tra Unione Italiana (Fiume-Capodistria) e l’Università Popolare di Trieste Redattore capo responsabile Ilaria Rocchi [email protected] 2 18 | Società. Laudato si... da Langer a Bergoglio Nella lettera enciclica del Pontefice si possono riscoprire idee, concetti e proposte sui cui Alex e molti di noi hanno costruito la propria formazione culturale, sociale e politica di Marino Vocci Panorama Ente giornalistico-editoriale Rijeka - Fiume Zvonimirova 20A Direttore f.f. Errol Superina Consiglio di amministrazione Oskar Skerbec (presidente), Roberta Grassi Bartolić (vicepresidente), Roberto Bonifacio, Samuele Mori, Dario Saftich, Borna Giljević GORAN KOVAČIĆ /PIXSELL primo piano Ha fatto scalpore, scatenando una ridda di polemiche, il caso Fiume, scoppiato attorno a una provocatoria performance «teatrale». Pericolo presunto o reale? Fatto sta che è stata offuscata la sua immagine di città aperta Allarme siam fascisti di Ilaria Rocchi C’ era una volta una città aperta, tollerante, rispettosa delle diversità, amabile: Fiume. C’era e non c’è più. O, forse, non c’è mai stata – non almeno negli ultimi cent’anni – e finora ci eravamo nutriti di un’illusione, ben lontana dall’essere perfetta e quantomeno reale. Un mito. Ma ora... Ora il re è nudo e si mostra con il suo vero volto. Da fascista, ovvero – nell’estensione del termine – portatore di una prassi politica, di una concezione della vita, dei rapporti umani e sociali fondati sull’uso della forza e della sopraffazione. Almeno, è quanto oggi vorrebbero farci credere. A puntare il dito, come nella fiaba andersoniana, è l’enfant terrible dei palcoscenici della regione, il sovrintendente del Teatro nazionale croato “Ivan de Zajc” di Fiume, Oliver Frljić. Regista e protagonista – con il suo braccio destro Marin Blažević – della provocatoria performance che ha fatto da ouverture alla cerimonia d’apertura delle Notti Estive Fiumane, ha dato voce e al contempo scatenato le Panorama 3 primo piano passioni più sopite e basse, fatte di insofferenza, astio e volgarità; passioni dalle quali Fiume si riteneva immune o perlomeno sperava da tempo superate. Ciò che Frljić ha portato sul “palcoscenico” sono stati i messaggi a dir poco ostili che il web ha partorito sul suo conto e quello della dirigenza dello Stabile fiumano. L’obiettivo? Dare una prova, a corollario della sua “Trilogia sul fascismo croato”, di come batte il polso della società. Fondamentalmente, con un ritmo estremoestremista e (verbalmente) violento. Platea sorpresa, basita, disgustata. Per diversi motivi. Gli applausi non sono mancati, ma sono stati surclassati dalla contrarietà di un piccolo gruppo in t-shirt nere, ex difensori della guerra patriottica e altri oppositori della politica artistica di Frljić-Blažević e, più in generale, dell’attuale gestione della res publica fiumana. Media scatenati e lo spettacolo – pure quello vero, andato in scena nei giorni successivi, con tanto di croce uncinata fatta con pezzi di carne – è diventato un successone. Per lui un bel colpo, anche se era quasi prevedibile che Frljić ricorresse allo “scandalo” soffiando sul fuoco. Lo sta facendo da tempo, in Croazia denunciando i crimini commessi durante la guerra patriottica contro la popolazione non croata, in Serbia con il caso Đinđić, in Slovenia con quello dei “cancellati”. E potrebbe anche andare benissimo, come passaggio a quella forma di teatro civile che non vuole essere mero intrattenimento, ma espressione del confronto e delle riflessioni sulla collettività e sul vivere comune. Fiume fascista? Un pericolo concreto o montato ad arte? Possiamo, dobbiamo credere alla radiografia offerta da Frljić e, dunque, quello del capoluogo quarnerino è un corpo malato? C’è un’intolleranza latente che potrebbe degenerare? O, piuttosto, a essere sbagliata è la sua diagnosi, in quanto frutto di sintomi che ha via via accumulato altrove nel suo percorso personale e artistico, e che hanno poco a vedere con la realtà fiumana? Del resto, come non dubitare della sua visione, visto che Fiume è dal ’45 roccaforte della sinistra (in tutte le sue varianti) e gli abitanti di oggi sono i discendenti dei partigiani di una volta, che hanno liberato la città dal nazifascismo e l’hanno epurata dai rimasugli di questi regimi totalitari? A rigor di logica, la città dovrebbe essere saldamente ancorata ai valori antifascisti. Ma le riserve sono d’obbligo anche in virtù del fatto che la reazione è giunta da un manipolo di facinorosi, finora relegati ai margini, che in quanto tali difficilmente possono assurgere a paradigma delle tendenze presenti nella società fiumana. In altre parole, Frljić ha dato dignità pubblica a quelle che Umberto Eco definisce “legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel.” Era meglio ignorarli. O forse no. Forse il presunto, odierno, fascismo “nero” è organico e derivazione di un ipotetico fascismo “rosso”, di vecchia data, che ha generato l’esodo, che ha usato le foibe e altre forme di sopraffazione. E che continua a oscurare questa parte della sua storia, a non confrontarsi terapeuticamente con essa, condannato di conseguenza a ripeterla. In tal senso, si starebbe rinnovando. Era eventualmente di questo che il teatro civile di Frljić avrebbe potuto occuparsi trovandosi a Fiume. GORAN KOVAČIĆ /PIXSELL atto primo d’una notte di mezza estate 4 Panorama Il sovrintendente Oliver Frljić ha raggiunto il suo scopo: la sua provocazione ha ottenuto la reazione che si aspettava. Facendo parlare di sé, diventando l’hit del momento. Ma i fiumani, che cosa ci hanno guadagnato? eventi Tu che m’hai preso il cuor L’operetta ad Abbazia Una mostra storica, che il Museo croato del Turismo ospiterà nel Padiglione d’Arte Juraj Šporer dall’11 al 30 luglio prossimi, con la collaborazione della locale Comunità degli Italiani, dell’Archivio di Stato di Fiume e con il supporto della Regione Friuli Venezia Giulia di Rossana Poletti U n’orchestra di settanta elementi, il noto tenore Richard Tauber e a dirigere Franz Lehár sono gli ingredienti di grande successo per l’apertura della prima edizione del Festival dell’Operetta di Abbazia. Se si esclude il grande festival di Bad Ischl, che aveva luogo già dall’Ottocento, anche perché residenza estiva prediletta della corte imperiale asburgica, Abbazia rappresenta un esempio unico per l’epoca. È il 27 luglio 1935 e su un palcoscenico riccamente allestito la prima di Giuditta riscuote un enorme successo. La giovane Käthe Walter, nei panni di Giuditta, ottiene “vivissimi applausi” come riporta Il Piccolo di Trieste, che scrive anche “Tauber ha cantato per la prima volta in Italia. Alla rara bellezza del timbro, al caldo accento drammatico, alla deliziosa carezza del fraseggio, unisce un temperamento forte e spontaneo”. Già il 26 maggio era apparso sui maggiori giornali italiani ed esteri, tra cui, il Corriere della Sera, La Stampa di Torino, la Gazzetta del Mezzogiorno di Bari, La Vedetta d’Italia di Fiume, il Popolo di Roma, Il Piccolo di Trieste, Der Abend di Vienna, Nemzeti Ujsag e Figyelo di Budapest, il programma del festival, interamente dedicato a Franz Lehár: “Giuditta”, il 27 e 28 luglio, e poi “Il Paese del Sorriso”, il 30 e 31 luglio, e ancora “Federica”, Panorama 5 eventi il 3 e 4 agosto. Direttore della manifestazione era Renato Mordo, un viennese di origini triestine. L’Agenzia letteraria artistica pubblicò: “I giornali dell’estero rilevano l’importanza di questa manifestazione di classe e sottolineano il significato che essa acquista nello sviluppo sempre più intenso dei rapporti culturali ed artistici tra l’Italia e l’Austria”. fParte della cultura del territorio ccSpartiti di “Contessa Maritza”, di Emmerich (o Imre) Kálmán ccIl libretto dell’operetta “SI”, di Pietro Mascagni (1938) 6 Panorama In realtà era impossibile prescindere dall’operetta viennese e in particolare dalle composizioni di Lehár; ad Abbazia, a Trieste e Fiume, a Pola il gusto musicale era quello, anche se al tempo il governo di Mussolini avrebbe preferito la piccola lirica di compositori italiani. Intanto si vendono i biglietti, aumentano i collegamenti delle autocorriere e dei treni e si istituisce persino una linea aerea tra Trieste e Abbazia. Gli spettatori giungevano anche dalla vicina Sussak, la città croata oltre il ponte sulla Fiumara, che la divideva da Fiume, a conferma che l’operetta faceva parte della cultura del territorio, senza distinzioni nazionali o linguistiche. Negli alberghi si registravano presenze eccellenti dell’epoca da tutto il mondo, i botteghini furono letteralmente presi d’assalto e il 30 luglio “Il Paese del Sorriso” doveva essere trasmesso in diretta alla Radio, sennonché una terribile bufera determinò l’interruzione dello spettacolo che fu riproposto il 1° agosto. Franz Lehár dichiarava intanto al Corriere Istriano di Pola: “Attendo con gioia questa manifestazione di Abbazia, ben convinto che per l’eccezionale complesso artistico e lo sfarzo della messa in scena gli spettacoli assurgeranno ad un’attrattiva non comune a cui arriderà un successo indimenticabile”. “Due torri quadrangolari alte 6 metri e aventi, ad ogni lato uno scenario corrispondente. Fra le due torri un’apertura di circa 12 metri donde gli artisti potranno avanzare sino alla ribalta che avrà una lunghezza di 18 metri. Durante alcune scene singole saranno proiettati, sul palcoscenico, schermi opportunamente decorati sì da provocare suggestivi giochi di ombre sullo sfondo”: così molta stampa riportava la descrizione dell’allestimento faraonico del Teatro all’Aperto del Parco di Villa Angiolina, dove avrebbe avuto luogo il Festival tra il 1935 fino allo scoppio della guerra. fImportante progetto di recupero Facciamo un passo indietro per dire che quanto andiamo scrivendo è il frutto di approfondite ricerche di documenti ed immagini presso i vari archivi e musei che conservano i materiali dell’epoca. Molto, purtroppo, è andato distrutto in un incendio che, alla fine degli anni ’80, bruciò parte della memoria storica e documentaristica dell’Azienda di Soggiorno di Abbazia. Quel poco che si è recuperato andrà ad aggiungersi alla mostra storica dell’operetta “Tu che m’hai preso il cuor”, che l’Associazione Internazionale dell’Operetta, con la collaborazione del Civico Museo Teatrale Carlo Schmidl del Comune di Trieste, realizzò nel lontano 1995 e ripropose nel 2009 in una veste aggiornata. Era stata fortemente voluta, pensata e realizzata dal fondatore dell’Associazione, Danilo Soli, recentemente scomparso, che per lungo tempo è stato la memoria storica dell’operetta e del suo festival nella città giuliana. Il Museo Croato del Turismo di Abbazia la ospiterà nel Padiglione d’Arte Juraj Šporer, con la collaborazione della Comunità degli Italiani di Abbazia, dell’Archivio di Stato di Fiume e con il supporto della Regione Friuli Venezia Giulia, con il sottotitolo “L’operetta da Trieste e Abbazia all’Europa”. La mostra sarà inaugurata l’11 luglio prossimo e sarà visitabile fino al 30 luglio, tutti i giorni dalle 10 alle 22, ad ingresso libero. Al ter- mine dell’inaugurazione i cantanti Ilaria Zanetti e Andrea Binetti con al pianoforte Corrado Gulin proporranno un concerto, che percorrerà le arie più note delle famose operette che andarono in scena in quegli anni di festival, tra cui “Maine Lippen” da “Giuditta” di Lehár, “Vien Tzigan” da “Contessa Maritza” di Kálmán e l’“Aria di Sigismondo” dal “Cavallino bianco” di Stolz. Concluderà la serata un momento conviviale organizzato dalla Comunità degli Italiani di Abbazia. fSfarzo e mondanità Torniamo allora a quegli anni Trenta vissuti ad Abbazia con grande sfarzo e divertimento mondano. Nell’estate del 1936 infatti la magia si ripete con Emmerich Kálmán. “Sono in procinto di recarmi ad Abbazia con un complesso artistico di classe e intendo assicurare di dare tutta la mia fervida cooperazione perché questo secondo festival dell’operetta ottenga il suo massimo rilievo e la sua imponenza, sì da soddisfare appieno le esigenze artistiche del colto e intelligente pubblico italiano”, così dichiara il compositore ungherese alla stampa. Il 29 luglio il Festival apre con la premiere de “L’imperatrice Giuseppina”; ad assistervi trenta direttori dei maggiori teatri austriaci ed ungheresi. Per l’occasione Kálmán ingaggia il tenore Igo Guttman, grande interprete di Verdi, e la cantante Rita Georg. A lei in realtà il pubblico predilige la soubrette Rita Wotawa, nei panni della Duchessa di Aguillon, perché Kálmán aveva furbescamente inserito refrein orecchiabilissimi per comico e soubrette. In scena andarono oltre 350 costumi ad impreziosire un’operetta, l’ultima che il compositore ungherese scrisse prima di scappare in California perché di origini ebree, stessa sorte anche per la Georg, che si rifugerà in Canada. fGrandi nomi e scene Il 1° agosto debuttò “Contessa Maritza”, grande capolavoro di Kálmán, applaudita Sonia von Lewkova nel ruolo di Lisa, sorella del conte Tassilo, e il tenore Hans Eich. “Il cavaliere del diavolo” (5 e 6 agosto) fu in assoluto l’operetta che piacque di più quell’estate, Kálmán l’amava particolarmente, era considerata la più ungherese delle sue composizioni. Dominatrice della rappresentazione risultò Louise Leoff nel ruolo della ballerina Miramonti, benché in scena ci fossero da protagonisti cantanti del calibro di Rita Georg, Claire FuchsKaufmann e Hans Eich. Quarta e ultima operetta rappresentata al festival fu “la Principessa della csardas”, l’8 e il 9 agosto, che vide Rita Wotawa nei panni di Stasi e protagonista il tenore praghese Arno Velezky. Anche questa edizione del festival si era conclusa con il tutto esaurito ad ogni recita. Ed un’altra volta, nonostante i richiami scritti delle autorità, non venne inserita nessuna operetta italiana al Festival di Abbazia. “Alla ricerca di un’operetta italiana” reca in chiare lettere il titolo dell’articolo su Il Messaggero di Roma a firma di Matteo Incagliati il 30 agosto 1936. Ma dovremo attendere il 1938 per un tanto. Nel frattempo nell’estate 1937 vengono effettuati grandi lavori per rendere ancora più spettacolari le scene. Viene infatti costruito un palcoscenico girevole, come scrive Il Popolo del 5 agosto: “Un particolare degno di considerazione sarà dato dalle innovazioni tecniche apportate quest’anno alla scena … La piattaforma girevole avrà un diametro di 10 metri e divisa in tre spicchi, potrà contenere contemporaneamente tre scenari per tre diversi quadri”. Gli organizzatori propongono tre operette di autori diversi: il 7 e 8 agosto va in scena “Casanova”, di Ralph Benatzky, su musiche di Johann Strauss, il 12 e 14 agosto “Al Cavallino bianco”, di Ralph Benatzky, Robert Stolz e Robert Gilbert; conclude “Ballo al Savoy” (titolo italianizzato in “Savoia”), di Paul Abraham. Direttore dell’orchestra Walther Hahn e regista Emil ccRichard Tauber, il più importante tenore ccEmmerich Kálmán ccLa soubrette Sonia von Lewkova Panorama 7 eventi Schwarz. fAffascinati da Casanova “Casanova” si rivela essere l’operetta giusta per Abbazia, per il suo alto contenuto spettacolare. Si legge infatti: “Un grande spettacolo, degno di essere ricordato negli annali del festival come un modello della perfezione e dell’arte cui può assurgere una rappresentazione di operetta, quando essa sia intesa con elevato criterio estetico pur senza perdere di quella gaiezza gioconda e di quel brio che ne sono l’indispensabile condimento”. Cinque primedonne, quattro comici, baritono, tenore, buffo e uno stuolo di comprimari, un corpo di ballo di 50 elementi e l’orchestra, uno splendore di costumi sfavillanti e scenari montati su palcoscenico girevole. Il tenebroso baritono Georg Monthy, nel panni del “Casanova”, mostrò “voce brunita ed ottima scuola di canto”. Il maggior successo andò alla soubrette Lotte Menas, “briosa e spu- ccRichard Tauber, Franz Lehár, Tatiana Menotti e alcuni giornalisti nel parco di Villa Angiolina, prima dell’inizio del festival nel 1935 8 Panorama meggiante”. “Al Cavallino bianco” era ormai un’operetta famosa, aveva debuttato nel 1930, e non potè che riscuotere grandi consensi anche nella perla del Carnaro, portandovi tutto il sapore del Salzkammergut. La vera novità dell’edizione 1937 fu però “Ballo al Savoy”, di Paul Abraham. La coppia comica Daisy Parker e Mustafà Bey, interpretata dal duo Lotte Menas – Jozsef Sziklay, suscitò consensi esaltanti. La stampa riportava: “Per armonie di tinte, scioltezza e fusione di movimento, per leggerezza delle danze, le scene di ‘Ballo al Savoy’ resteranno nel ricordo del pubblico fra le più belle ammirate ad Abbazia ed è stato il successo più caloroso e cordiale di questo 3° Festival”. fPietro Mascagni in prima fila Nel 1938 per ideare le scene fu assoldato Acconaro, famoso per la sua attività alla Scala di Milano. I 1200 costumi invece furono commissionati alla casa Altay di Budapest. La “première” fu affidata a “SI”, di Pietro Mascagni, l’unica operetta italiana in tutte le stagioni del Festival di Abbazia. L’avvocato Barbieri, organizzatore delle varie edizioni in qualità di presidente dell’Azienda di Soggiorno di Abbazia, sapeva benissimo che solo la risonante presenza di Mascagni in riva al Carnaro, avrebbe consentito all’operetta un certo successo. A questo si aggiunge che il direttore artistico Gruder-Guntram e il regista Schulz-Breiden infusero un certo stile viennese allo spettacolo, trasformando gli artisti italiani in sorprendenti cantanti-attori. Pietro Mascagni sedette in prima fila e le cronache mondane con lui presente andarono a nozze. Il 4 agosto, giorno dopo il debutto sui giornali si scriveva “apprezzatissimo il programma ufficiale, compilato con molto buon gusto e contenente un sunto delle operette in quattro lingue” e ancora “peccato soltanto che il libretto non sia all’altezza del musicista e sopra tutto che non sia stato almeno sveltito e aggiornato un po’ alle esigenze del gusto odierno”. L’operetta fu replicata il 7 agosto, ebbe molto successo la cantante Alda Mangini. Il secondo titolo in programma, “Lo Zingaro Barone”, piacque molto al pubblico del melodramma – l’operetta di Johann Strauss era ormai un classico –, e andò in scena l’11, il 13 e il 15 agosto. Ebbe grande successo Giulietta Simionato, che poi avrà una grande carriera alla Scala, solo dopo il crollo del regime fascista che non la sosteneva. Fu la migliore amica di Maria Callas e memorabile resta il loro duetto del 1957 in Anna Bolena di Donizetti. Sulla stampa però si annotava “… le grandi difficoltà che gli organizzatori dovettero affrontare dal lato artistico. Prima fra queste quella di presentare in lingua italiana un’opera che così tipicamente rispecchia l’ambiente del paese in cui è nata” e del tenore wagneriano Ettore Parmeggiani si scrisse “a parte la maestria del fraseggio o la dizione di esemplare chiarezza, la sua ugola d’oro ha vibrato qui ancora di squilli di metallica risonanza, di accenti di calda sonorità…”. “Roxy” fece ad Abbazia il suo esordio. L’operetta di Paul Abraham portava in scena l’ungherese Rosy Barsony, la stessa soubrette che nell’estate del 1955 infiammerà la caldera dei 10.000 spettatori stipati sugli spalti del Castello di San Giusto a Trieste. ”Un’esecuzione che è stata un capolavoro di realizzazione scenica” si scriveva sui giornali e della Barsony si diceva “ha mandato in visibilio anche con la sua flessuosa elasticità e la morbida leggerezza di danzatrice moderna”. Il 16 agosto sul Piccolo appariva questo titolo “Un originale concerto di giazzo (jazz italianizzato) e danze chiuderà oggi il Festival dell’Operetta”. In scena Rosy Barsony, sul palco a dirigere Paul Abraham. fAnni difficili, turismo in ribasso Il 20 gennaio 1939 il senatore Riccardo Gigante, presidente dell’Ente provinciale per il Turismo di Fiume scrive, anche per conto del prefetto Temistocle Testa, a Remigio Paone della ERREPI di Milano, società incaricata di realizzare i vari spettacoli, che la commissione istituita per predisporre il programma estivo ha rilevato, tra l’altro, che l’operetta proposta, “Il Venditore di Uccelli”, con il cantante Ettore Parmeggiani, risulta troppo antiquata per Abbazia, e che sarebbe più opportuno invece ricorrere nuovamente alla direzione di Lehár, che non si ritiene opportuno portare la Barsony, nelle “Nozze polacche” di Beer a solo un anno di distanza dalla sua precedente presenza al Festival. Non è dato avere altre informazione e dal materiale ritrovato non risulta che si sia celebrato il Festival in quell’estate, né che sia stata allestita alcuna operetta. Il 30 giugno 1940 il ministro della Cultura popolare, Alessandro Pavolini, scrive a S. E. Ettore Muti, segretario del Partito Nazionale Fascista: “È pervenuto al mio ministero il progetto per le manifestazioni all’aperto di Abbazia. Poiché tutte le manifestazioni all’aperto sono sospese, il progetto è ormai superato e la sovvenzione deliberata decade”. D’altronde il 25 maggio il sen. Gigante gli aveva mandato una nota che tra l’altro riportava le seguenti considerazioni: “La grave contrazione del movimento turistico degli ultimi due anni, dovuta a fattori politici, razziali, valutari, nonché all’entrata in vigore del R.D.L. 24.11.1938 n. 1926, relativo al nuovo ordinamento dell’imposta di soggiorno, hanno fatto notevolmente diminuire il gettito delle tasse turistiche che rappresentano l’unica fonte di entrata dell’Azienda”. Il ministro accordò un contributo straordinario di 160.000 lire per appianare il disavanzo della stagione precedente. fEsperienza favolosa Con questo atto termina la straordinaria e favolosa esperienza del Festival d’Operetta di Abbazia. Densi fumi e frastornanti rombi di guerra si affacciano in Europa e anche sul Carnaro. Si riprenderà la festa nell’estate del 1950 al Castello di San Giusto, in una Trieste sotto occupazione del Governo Militare Alleato. La Mostra Storica dell’Operetta “Tu che m’hai preso il cuor” propone un migliaio di immagini: vecchie fotografie di artisti e di scena, locandine e programmi, frontespizi illustrati di libretti e spartiti, documenti e autografi, cartoline d’epoca, bozzetti per le scene e i costumi, medaglie: sono copie di originali conservati al Civico Museo Teatrale “C. Schimidl”, cui si aggiunge il materiale ulteriormente raccolto da collezionisti privati e con i prestiti del Teatro Lirico “Giuseppe Verdi”. Uno spazio è dedicato per l’occasione, alle immagini provenienti dal Festival di Abbazia che, esauritosi con l’inizio della Seconda guerra mondiale, non fu mai ripreso. Gli organizzatori del festival triestino nel 1950 avevano ben in mente quello che era stata quella straordinaria esperienza nella perla dell’Adriatico e ad essa si ispirarono. I risultati sono ben visibili nella parte della mostra dedicata ai quarant’anni di Festival dal 1950, anno della sua prima edizione al Castello di San Giusto, fino all’ultimo documentato del 2008. Tante locandine e foto di questi sessant’anni per ripercorrere il cambiamento di un gusto, che nell’ultima fase vedrà emergere, ancora timidamente il moderno musical, con “Can Can”, di Cole Porter, e uno scatenato “Sette spose per sette fratelli”, con un danzatore degno di Gene Kelly, Raffaele Paganini, per citarne alcuni, senza dimenticare artisti del calibro di Rose Barsony, Marta Eggerth e Jan Kiepura, negli anni ’50, direttori d’orchestra della qualità di Cesare Gallino, ma anche protagonisti indimenticabili come Sandro Massimini, che calcò per la prima volta le scene di Trieste, proprio in quel famoso 1970 al ritrovato Rossetti. fTante immagini di un’epoca bella In una prima parte della mostra trovano collocazione le immagini e i documenti che vanno da metà Ottocento circa alla Seconda guerra mondiale. Avvenimenti di rilievo come la contestata prima de “La vedova allegra” al Teatro Filodrammatico nel 1907, le presenze di Lehár, Suppé e Kálmán, a Trieste, che si accostano alle esibizioni di artisti di fama europea (Mila Theren e Richard Tauber, Gea della Garisenda e Ines Lidelba, Amalia Soarez ed Emma Vecla) e a una vivacità anche editoriale: si pensi allo Schmidl che pubblica le prime musiche di Lehár per banda e Sangue triestin. Decine se non centinaia di rappresentazioni ogni anno nei vari tanti teatri, il Fenice in particolare, che pubblicano i libretti di operette famose. Trieste diviene subito il luogo deputato dell’operetta e trova nella prestigiosa figura di Mario Nordio, l’uomo simbolo del rapporto profondo tra Lehár, la città di Trieste e l’operetta. È il primo geniale traduttore di Lehár in occasione della prima rappresentazione in Italia di “Clo-Clo” nel 1924 e da allora diviene, per volontà di Lehár, il traduttore esclusivo delle sue operette. Sarà anche ad Abbazia con il maestro ritratto nelle foto d’archivio. Concludono la mostra le immagini che documentano l’attività dell’Associazione Internazionale dell’Operetta, dall’anno 1992 di fondazione ai giorni nostri: i due premi, l’Internazionale dell’Operetta, giunto a quota ventidue, e il Massimini arrivato alla decima edizione, le tante iniziative, gala, concerti e produzioni di questi anni. Panorama 9 attualità Incontro annuale degli addetti alle Pubbliche relazioni che operano argomenti affrontati pure un’analisi delle recenti elezioni presidenzi hanno avuto i consulenti nella conquista della vittoria, ovvero della La comunicazione polit richiede sinergie e profess di Diana Pirjavec Rameša C omunicazione politica e pubbliche relazioni, gestione e controllo della campagna elettorale, presentazione del programma e training per i candidati, nuovi media e promozione. Questi sono alcuni dei compiti di coloro che gestiscono le iniziative promozionali e quelle politiche e che hanno il compito di curare la comunicazione per conto di aziende, partiti politici, istituzioni culturali, sanitarie, organi del governo centrale, locale, regionale. Una fascia di iniziative diversificate ma molto importanti nel momento in cui si vuole lanciare un messaggio, illustrare un programma, presentare un nuovo prodotto. Un’attività dinamica, multidisciplinare quella appunto svolta da esperti della comunicazione o, se vogliamo, dagli addetti alle pubbliche relazioni. I PR croati si sono riuniti a metà giugno (11-12) ad Abbazia, per la consueta assemblea annuale della Società di pubbliche relazioni (HUOJ). Occasione per fare il punto su sfide e problemi che accompagnano questa attività. Numerosi e interessanti gli interventi in sede di convegno, tra cui va citato quello della prof. Anne Gregory dell’Università Huddersfield (Gran Bretagna) dal titolo “Voi siete ciò che comunicate”, oppure quello di Karen Sanders dal titolo “Comunicazione politica ed etica comunicativa”, per finire con Ilija Brajković, con un’analisi su come sviluppare una campagna sulla rete. Difatti, i social network sono le community più diffuse su Internet, all’interno delle quali milioni di utenti in tutto il mondo si ritrovano per dialogare e interagire. Giorno dopo giorno Facebook, Twitter, Pinterest, Youtube, Instagram, eLa e conferenza annuale dei PR croati si è svolta ad Abbazia presso il centro congressi Milenij 10 Panorama Foursquare, e altri network crescono in maniera esponenziale, registrando accessi sempre più frequenti e lunghe sessioni di navigazione. L’affermazione di queste nuove forme di aggregazione rende tali community una straordinaria opportunità per promuovere la propria azienda, ampliare la rete di contatti, relazionarsi con gli utenti o per fidelizzare i clienti attivi. Ed è questa una delle attività su di cui le agenzie croate si sono orientate recentemente. Promuoversi sui social network in maniera efficace è però possibile solo grazie a una strategia di marketing non convenzionale, ragionata per approcciare gli utenti in un contesto dove l’advertising tradizionale non attecchisce. fIl potere della rete “La comunicazione sulla rete ha un altro aspetto importante ed è quello del marketing che, se gestito con gli strumenti adatti, porta a considerevoli risultati che possono venir applicati per migliorare l’offerta dell’agenzia”, ha spiegato Brajković. La comunicazione politica si muove tantissimo attorno al comparto dei social, e da esso ormai trae un’ispirazione pratica che è impossibile ignorare. Sono stati presentati numerosi contributi che parlano di cosa fare per mettere in atto una strategia di comunicazione politica performante sui social media, ma è importante anche capire cosa non fare, onde evitare non solo dei semplici epic fail (che in in Croazia. Tra gli iali e del ruolo che sconfitta tica sionalità molti casi generano assuefazione e poi finiscono nel dimenticatoio) ma anche dei veri e propri passi falsi in grado di inficiare in maniera profonda la credibilità di una formazione politica o di una figura istituzionale. I social media offrono l’opportunità di un’interpretazione della politica decisamente sintonica tanto con gli esponenti politici, che con i cittadini: i primi possono tentare di superare la distanza e la sfiducia che i governati nutrono verso i governanti, attivando forme di interazione personale; i secondi possono finalmente esprimersi in prima persona ed esercitare una forma di sorveglianza sull’operato dei governanti. Tale interpretazione della politica trova i suoi elementi di forza dei seguenti elementi propri della comunicazione nei social media: personalizzazione, disintermediazione, semplificazione e velocizzazione. Si tratta, a ben vedere, di elementi da tempo presenti nell’ambito della comunicazione politica e della sua trasformazione - è stato rilevato al convegno. fPresidenziali sotto la lente Alla grande maratona “comunicativa” ad Abbazia c’è stato un’incontro che ha suscitato parecchio interesse vuoi per l’argomento trattato, vuoi per i partecipanti, molto loquaci e comodamente rilassati sulle poltroncine della sala congressi. Si tratta dell’analisi degli aspetti comunicativi, sia positivi che negativi della recen- te campagna elettorale per le presidenziali, appuntamento elettorale in cui la comunicazione ha giocato un ruolo molto particolare, portando alla vittoria una candidata che, partiva svantaggiata ed entrava nell’arena politica nazionale dopo molti anni di assenza. La vittoria di Kolinda Grabar Kitarović è stata scandagliata nei minimi particolari, come pure gli errori compiuti dal team del presidente uscente Ivo Josipović. Tra i partecipanti a questo dibattito ricordiamo Krešimir Macan, la cui agenzia ha gestito la campagna di Josipović, quindi Dražen Lalić e Berto Salaj, docenti alla Facoltà di Scienze politiche di Zagabria, Dražen Čurić e Tihana Tomičić, rispettivamente giornalisti del “Večenji” e del “Novi List”. La domanda posta dal moderatore al dibattito, Božo Skoko, a nome dell’agenzia Millenium, è stata un po’ la base di partenza della discussione. Egli ha chiesto, infatti, quanto i singoli team elettorali sono disposti a seguire i consigli delle agenzie di pubbliche relazioni e comunicazione a cui hanno affidato il compito di promuovere il proprio candidato, come pure capire se i PR possono ‘creare’ il vincitore. La campagna elettorale presidenziale e il risultato sono stati una vera e propria incognita – ha rilevato Skoko – ricordando che Josipović è il primo presidente croato che non viene rieletto e che perde per una manciata di voti. Di chi è la colpa se Josipović ha perso? Quanto i politici seguono i consigli dei PR? Che cosa possiamo imparare da queste elezioni? “Innan- zi tutto che il contro candidato non va mai sottovalutato, a prescindere se si abbia l’impressione che questi sia debole o impopolare. Questo è l’errore di Josipović, che in campagna elettorale ha sottovalutato l’attuale presidente Grabar Kitarović. Queste elezioni sono state decise dal voto di 32mila elettori che sono stati determinanti per la vittoria della Kitarović. Il team elettorale di Josipovic deve rispondere del suo debacle”, ha sostenuto Dražen Čurić. Quali gli errori dei candidati? A rispondere è stato Dražen Lalić: “Le campagne elettorali non servono solo alla promozione dei candidati, il compito dei PR è quello di innescare cambiamenti a livello sociale e nella politica. Le attività degli addetti alla comunicazione non devono limitarsi solo ad iniziative di marketing, ma devono entrare nel profondo del dibattito politico e migliorare la società entro cui queste elezioni si realizzano. La campagna elettorale non ha dato risposta a domande fondamentali su come uscire dalla crisi, in quale modo realizzare le riforme di cui abbiamo bisogno, su come mettere in atto la decentralizzazione, di cui ne hanno parlato tutti, cambiando più volte idea sul come procedere. La campagna è stata condotta in condizioni economiche molto difficili. Da questo confronto, purtroppo, non sono giunte risposte concrete. Non possiamo sostenere in nessun caso che la Croazia, nel periodo post elettorale, sia diventata un Paese migliore”, ha concluso Lalić. Panorama 11 attualità Aleksandra Kolarić, presidente dell’Associazione che raccoglie le age relazioni (HUOJ) critica aspramente il premier Milanović per il mod La crisi che affront è più pericolosa di quella ec C “Direi che sia in politica che nella società si comunica con metodi distruttivi, sfoggiando troppe emozioni, senza rispettare l’interlocutore né conoscere le regole del dialogo, il più delle volte, senza argomentazione, con attacchi ad hominem, a livello personale. Non lo fanno tutti, non vale per tutti, ma la tendenza a ricorrere ad una comunicazione impulsiva, che non viene tenuta sotto controllo, ma che procede in modo selvaggio, è purtroppo molto presente nel nostro spazio pubblico ed anche oltre”. In quale modo la crisi si riflette sul settore delle pubbliche relazioni? dustria, anzi, forse di più, perché le prime spese che le grandi aziende hanno tagliato sono state proprio le ricerche di mercato, le consulenze in ambito di comunicazione e pubbliche relazioni. Non condividiamo il parere di coloro che sostengono che questi sono stati dei tagli a fin di bene, perché molte corporazioni hanno avuto anche delle conseguenze negative per le mancate consulenze dei professionisti della comunicazione. Quello che ha poi particolarmente inciso sulla nostra attività è la decisione del Governo croato di vietare al settore pubblico l’impiego di agenzie per gestire le pubbliche relazioni. Il governo che si è insediato circa 4 anni fa invece di introdurre maggiore trasparenza in questo settore, invece di aprirsi agli specialisti, che avrebbero comunicato meglio, di quanto lo abbiano fatto fatto gli impiegati dei singoli ministeri, la politica adottata dal governo e le scelte compiute, ha chiuso le porte alle agenzie. Se mi chiede perché lo hanno fatto mi viene da dire che la causa sta nel fatto che le agenzie, o persone che le rappresentano, hanno osato, da buon principio, commentare e criticare la politica, e i modelli comunicativi, assolutamente privi di creatività, dell’attuale premier. Per fortuna il mercato in questi ultimi anni sta recuperando e i nostri professionisti stanno riguadagnando le loro posizioni”. “Per quanto riguarda la crisi economica va detto che ha colpito la nostra attività nello stesso modo in cui lo ha fatto con altri settori dell’in- Guardando la faccenda da un punto di vista professionale come si comunica in ambito pubblico in Croazia? “Un buon esempio è il modo in cui comunica il partito ecologista ORaH di Mirela Holy. Lo fa in modo chiaro, semplice, trasparente, il loro di Diana Pirjavec Rameša on Aleksandra Kolarić presidente dell’Associazione che raccoglie le agenzie croate che si occupano di Pubbliche relazioni (HUOJ) abbiamo fatto il punto sui problemi che attanagliano questa importante attività e sulle prospettive di sviluppo. Immancabile la domanda sui suoi rapporti con l’attuale dirigenza dell’SDP da cui è stata allontanata più di un anno fa. Ricordiamo che la Kolarić ha nel suo curriculum alcuni importanti incarichi istituzionali. È stata infatti la portavoce del governo di Ivica Račan, accompagnando l’allora premier nelle sue missioni più importanti, sia nel paese che all’estero. Erano anni in cui la sinistra croata riconquistava le simpatie delle cancellerie europee e quelle del corpo elettorale nazionale, si preparava all’ingresso nell’Unione Europea. Il resto fa parte della cronaca politica del nostro paese, inclusa la decisione della dirigenza SDP, di un anno fa di espellerla dall’SDP perché troppo critica nei confronti dell’attuale premier Milanović. Di di recente ha chiesto di venir reintegrata, ma anche questa volta le hanno detto di no. 12 Panorama Perché succede tutto ciò? “Probabilmente perché in un contesto di crisi tutte le emozioni diventano ancora più forti, incidendo anche sulla comunicazione. La nostra società sta attraversando una profonda crisi, che è più grande e più pericolosa dalla crisi economica stessa. Ci troviamo a dover fare i conti con la crisi del sistema di valori su di cui poggia la nostra vita. È chiaro che con l’impoverimento dei cittadini, causato dallo stallo economico, la crisi dei valori rende ancora più lacerato il tessuto sociale, crollano i valori e gli standard di civiltà che sarebbero auspicabili in una società democratica”. Possiamo individuare un esempio di buona prassi e uno di cattiva prassi nella comunicazione politica in Croazia? enzie croate di Pubbliche do in cui comunica tiamo problema è che non dispongono di mezzi sufficienti da investire nel PR, un altro problema è rappresentato dal fatto che sono, comunque, un partito piccolo. Un buon esempio di comunicazione è certamente quello della Lista indipendente “Most” fondata dall’attuale sindaco di Metković, Božo Petrov e del gruppo di persone che lo sostengono. Questa formazione raccoglie intorno a sé i nuovi conservatori i quali presentano contenuti piuttosto diversi rispetto a quelli tradizionali. Ciò che li distingue sono le tecniche comunicative adottate, tutte molto moderne. Sono molto presenti in rete, hanno capito che senza di questa piattaforma è impossibile portare avanti una campagna politica efficiente e facilmente raggiungibile da tutti” Se parliamo di cattiva prassi va detto che un pessimo comunicatore è l’attuale premier Milanović, il quale negli ŽELJKO JERNEIĆ conomica ccAleksandra Kolarić ultimi tempi ha cercato di migliorare grazie anche ad un team di consulenti stranieri. Ma nonostante gli sforzi profusi la sua comunicazione risulta incomprensibile, elitista, fatta dall’alto, poco trasparente e non si rivolge ai soggetti chiave”. Come comunica la presidente Grabar Kitarović? “In modo populista, ma con charme”. Continuerò ad essere la voce della dissidenza Perché ha insistito nel richiedere di venir reintegrata nell’SDP dopo che un anno fa è stata espulsa dall’attuale dirigenza? Che cosa cambierebbe in seno al partito se avesse la possibilità di farlo? “È chiaro che sarei voluta ritornare in politica, per questo ho atteso per una anno. Non ho accettato l’invito di nessun partito, anche se in molti me lo hanno chiesto. Rientrare avrebbe significato impegnarsi per cambiare l’SDP”. “Avevo annunciato di voler insistere sull’introduzione di nuovi standard in seno al partito e sulla sua democratizzazione, ovvero sulla necessaria, indispensabile, imprescindibile transizione dell’SDP dal 20.esimo secolo al 21. esimo secolo politico. Il mio intento era di formare una frazione in seno al partito e raccogliere forze riformiste che credono nel cambiamento e che condividono con me la tesi che questa gestione del partito risulta lesiva, sgretola la sinistra, non presenta ne è in grado di rappresentare le forze riformiste che indubbiamente esistono in seno alla nostra società. Da dissidente continuerò lungo questo percorso, sarò la voce forte e tenace della ragione e della socialdemocrazia.” Panorama 13 attualità di Diana Pirjavec Rameša D i recente il gruppo croato Adris ha ceduto la storica Fabbrica tabacchi di Rovigno (TDR) alla British American Tobacco (Bat) - la seconda più grande azienda mondiale produttrice di sigarette - a fronte di una somma pari a ben 505 milioni di euro. Si tratta peraltro di una delle più grosse operazioni finanziarie mai avvenute in Croazia. Stando ai termini dell’accordo firmato lo scorso 30 maggio, la produzione di sigarette deve essere mantenuta nella cittadina di Canfanaro per almeno 5 anni, altrimenti la Bat dovrà sborsare una penale di 50 milioni di euro. La Adris di Rovigno, in Istria, ha venduto alla British American Tobacco non solo il suo impero per la produzione e distribuzione di tabacchi, ma anche una serie di società collegate, per 505 milioni di euro. Luce verde deve arrivare ancora dall’assemblea degli azionisti del Gruppo Adris la cui convocazione è prevista per il 14 luglio. Si tratta in ogni caso di uno dei maggiori trasferimenti di proprietà in Croazia negli ultimi dieci anni. La Bat diventa così proprietaria di tre società collegate: la fabbrica per la produzione di tabacchi (Tdr) con una posizione quasi monopolistica sul mercato croato, di edicole e negozi per la vendita di stampa e tabacchi e di una società tipografica. La multinazionale britannica si è impegnata a mantenere la produzione di tabacchi nello stabilimento situato nell’entroterra dell’Istria per almeno cinque anni e tenere tutti gli attuali operai. La società croata invece, che fino a dieci anni fa aveva come propria base il settore dei tabacchi, continua la propria trasformazione in una compagnia quasi completamente proiettata nel settore turistico in Istria. Nel giorno in cui è stata resa pubblica la notizia il mercato azionario ha registrato un aumento dei titoli del gurppo Adris di circa il 7 p.c. 14 Panorama Si tratta di una delle maggiori operazioni finanziare mai realizzate in Croazia, pesante ben 505 milioni di euro L’espansione della British American Tobacco (BAT) non si ferma qui: l’ obiettivo è quello di aumentare la presenza non solo in Croazia, ma anche in Bosnia e Serbia. Da oltre un secolo British American Tobacco è presente in modo stabile sul mercato mondiale. L’Azienda è stata fondata nel 1902 e, nel 1912, risultava già tra le dodici società con maggiore capitalizzazione di borsa. Con un portafoglio di oltre 200 marche, il Gruppo occupa una posizione solida in tutti i Paesi nei quali opera e in oltre 60 mercati è leader del settore. Negli ultimi dieci anni, British American Tobacco ha registrato a livello mondiale un aumento di circa il 50% della propria quota di mercato, raggiungendo il 13% circa, posizionandosi così al secondo posto a livello internazionale. Nel 2013, grazie anche all’apporto delle aziende consociate, il Gruppo BAT ha venduto 676 miliardi di sigarette in oltre 200 mercati in tutto il mondo. I governi dei Paesi in cui il Gruppo è presente hanno ottenuto gettiti fiscali per oltre 40 miliardi di euro, incluse le imposte di consu- La British American Tobacco acquista la TDR mo sui prodotti, pari a circa 6 volte l’utile netto del Gruppo. fIl personale e gli stabilimenti Le Aziende consociate producono all’incirca 705 miliardi di sigarette in 46 stabilimenti siti in 41 Paesi. Otto di queste, più uno stabilimento separato, producono anche sigari, trinciato per sigaretta e per pipa. Il Gruppo impiega oltre 57.000 persone in tutto il mondo. La struttura organizzativa è fortemente multiculturale e gode di ampia autonomia: ogni azienda è, infatti, autonomamente responsabile per la propria struttura produttiva. Le singole decisioni di business vengono prese in modo da essere il più vicino possibile agli interessi locali nel rispetto di principi, standard e politiche ben definiti. E se ci sono aziende che vendono, per investire poi in altri settore dell’economia come avvenuto all’interno del gruppo Adris, ci sono altre che acquistano e si espandono. Entro il prossimo agosto la più grande società alimentare croata, la Podravka, approderà ufficialmente nel mercato cinese, iniziando a mettere in commercio diversi marchi, tra cui quello degli alimenti per la prima infanzia, dell’acqua, del tè freddo e dei dolci. Ad annunciarlo è stato Goran Kapičić, direttore dell’ufficio di Podravka a Pechino, aperto lo scorso 13 gennaio, puntualizzando che l’azienda alimentare è la prima società croata a disporre di una struttura organizzativa in Cina. “La Podravka sta tentando di entrare nel mercato cinese da oltre 20 anni, ma solo adesso si sono realizzate le condizioni per portare a termine l’espansione. va rilevato che sono ben 27mila le aziende di tutto il mondo che hanno aperto i propri uffici a Pechino e che numerose catene alimentari lavorano oramai direttamente con la Cina senza servirsi dei tradizionali mediatori figure chiave per chi volesse fare affari in Cina. “Dalle analisi condotte finora, riteniamo che i più anziani non vorranno certo abbandonare la cucina tradizionale cinese, mentre la popolazione più giovane accetterà di buon grado le nostre novità. I prodotti che esporteremo inizialmente richiederanno un tempo di registrazione decisamente ridotto, dalle due alle quattro settimane. Per i prodotti di origine animale, invece, i tempi saranno molto più dilatati, ovvero anche tre-quattro anni - sostiene il neo direttore. La ccLa Podravka ha iniziato la scalata cinese con prodotti alimentari per l’infanzia Podravka inizia la sua scalata cinese con prodotti alimentari per l’infanzia, noti per la loro qualità e affidabilità. L’import di prodotti alimentari in Cina sta registrando una considerevole crescita. Nei primi dieci mesi del 2014 questa ha raggiunto vertiginosi 8,64 miliardi di dollari registrando un aumento, rispetto al 2013 del 30,52 p.c. Panorama 15 ccIl cartello della discordia Tutela delle minoranze di Stefano Lusa I n Slovenia la tutela delle minoranze è buona. In Slovenia la tutela delle minoranze è buonissima. In Slovenia la tutela delle minoranze è superlativa, sì ma il discorso vale solo per le minoranze “autoctone” e solo sulla carta. Lubiana in questi anni ha sempre sbandierato il suo elevato grado di tutela riservato agli italiani ed agli ungheresi. È stato un ottimo passaporto per presentarsi al cospetto dell’Europa. Le due minoranze godono di ampissimi diritti. Gli ungheresi possono contare su una certa compattezza sul territorio, gli italiani no. Per le altre minoranze nessuna tutela o quasi, mentre i rom, che sono da generazioni oramai stanziali, vivono in precarie condizioni igienico-sanitarie e devono fare i conti con i pesanti pregiudizi nei loro confronti che persistono soprattutto nella Bassa Carniola. Nonostante ciò la Slovenia oggi è molto più multiculturale di quanto appariva 10 anni fa. L’euforia nazionale - che aveva contraddistinto gli anni che avevano portato all’indipendenza ed il decennio successivo - sembra essere superata. 16 Panorama Goran Vojnović, elegante scrittore e sceneggiatore, con le sue storie di immigrati è oramai una stella di prima grandezza del firmamento letterario sloveno, mentre Magnifico è da tempo una vera e propria pop star in Slovenia e non solo. Al di là di questi fenomeni, però, un vero e proprio revival balcanico sta attraversando il paese. Lo si vede soprattutto dai giovani che hanno sostituito nei loro iPad i ritmi occidentali con quelli del pop folk balcanico, mentre nei reality show, che passano in televisione, lo slang giovanile si presenta infarcito di termini che provengono dalle altre lingue dell’ex federazione. Lubiana torna ad immergersi in un nuovo melting pot culturale ed economico “jugoslavo” e intanto spariscono in maniera sempre più evidente i tradizionali legami che il paese aveva con l’occidente. L’Italia è oramai lontana e la piccola minoranza italiana che vive sulla costa sta diventando sempre più insignificante. Lo si è visto con il traforo di monte San Marco che collega la superstrada tra Isola e Capodistria. Di fronte al tunnel il cartello con il nome della grande opera: “Markovec”. A pochi giorni dall’apertura se ne è accorta anche la Comunità Autoge- stita Costiera che ha mandato una circostanziata lettera di protesta alla Società autostrade chiedendo che si rispettino le leggi che la Slovenia stessa si è data in materia di bilinguismo. La notizia ripresa dai giornali ha subito scatenato un putiferio. C’è chi, nei commenti in Internet, ha pensato bene di invitare gli italiani a fare le valige e a tornarsene da dove sono venuti, chi si è lasciato andare a pesanti apprezzamenti all’indirizzo delle loro madri, mentre i più bonari hanno messo in rilievo la situazione degli sloveni in Italia e hanno paragonato la sparuta minoranza italiana ad un gruppo di parassiti che non sa far altro che lamentarsi e a vivere alle spalle dello stato. fLa tabella è conforme alle regole Pochi e isolati i segni di solidarietà. Significativi quelli arrivati dagli esponenti della minoranza slovena in Italia. Sta di fatto che la missiva della Can non ha sortito nessun effetto immediato. La Società autostrade si è limitata a rispondere, ad una domanda posta da Radio Capodistria, precisando che la tabella di fronte al tunnel è conforme alle regole, visto che quello in questio- attualità Il traforo di Monte San Marco suscita profonde riflessioni sui diritti della CNI nel Capodistriano, una presenza che risulta essere più di rappresentanza che di sostanza ccInaugurato in pompa magna il tunnel di Monte San Marco in Slovenia sì, no, nì ne non è un toponimo ma il nome del cantiere, che pertanto non necessita di traduzione. Insomma la tesi è che l’hanno chiamato Markovec, ma che avrebbero potuto anche chiamarlo anche solo Monte San Marco o Peter Pan. L’escamotage del resto è già comunemente usato a Capodistria dove la società che gestisce il porto si chiama “Luka Koper” e la banca “Banka Koper”. Scelte tutt’altro che casuali e che paiono voler affermare il carattere sloveno del territorio. Per Intesa Sanpaolo, il gruppo italiano che da anni, controlla l’istituto di credito capodistraino, il nome non è sicuramente un problema e non lo è nemmeno il bilinguismo all’interno dell’istituto, che con la nuova proprietà non ha fatto registrare significativi passi in avanti. Insomma la presenza della minoranza italiana sembra proprio essere una seccatura per tutti. La Slovenia, che si è data una serie di mirabolanti norme di tutela, gioca ad applicarle il meno possibile, ma intanto da decenni le usa a livello internazionale e nei rapporti bilaterali con l’Italia, per dimostrare quanta cura ha dei pochi italiani che vivono tra Capodistria, Isola e Pirano, di fronte alle scarse e carenti norme di tutela di cui godono gli sloveni in Italia. Agli italiani rimasti in Slovenia, che sono solo una reliquia dell’antica e massiccia presenza sulla costa, negli anni del regime comunista è stato fatto credere di essere protetti come dei panda giganti, ma è stato fatto anche loro capire che non devono lamentarsi troppo e soprattutto non devono “abusare” dei diritti concessi. fLa goccia che ha fatto traboccare il vaso Il traforo di “Markovec”, però, è stata forse la goccia che ha fatto traboccare il vaso, uno schiaffo dato in pieno volto, che non poteva passare inosservato. Presto, così, si è fatto notare che la Società autostrade ha “dimenticato” le diciture in italiano su gran parte dei cartelli messi sul tratto di strada che passa per il territorio bilingue. Alcuni stavano li da anni. Non se ne è accorto nessuno. Non li hanno visti i politici locali, non li hanno visti gli esponenti della minoranza, non li hanno visti le guardie municipali, che dovrebbero vigilare sull’applicazione del bilinguismo. Alla fine se la battaglia verrà vinta il cartello con il nome italiano del traforo sarà comunque errato. Al massimo verrà concessa la dicitura Monte Marco. Intollerabile per le amministrazioni locali far tornare in terra santi cancellati negli anni Cinquanta, così com’è intollerabile ripristinare, anche solo in parte, gli antichi nomi delle vie e delle piazze a Capodistria, Isola e Pirano. È accaduto nel resto della Slovenia, sulla costa no, qui la rivoluzione continua a vivere nelle piazze e nelle vie. È forse il segno più evidente dell’impotenza della comunità italiana, che non riesce ad incidere nemmeno in maniera simbolica nella vita del territorio, nonostante possa contare sui vicesindaci e su seggi garantiti nei consigli municipali. Una presenza che risulta essere più di rappresentanza che di sostanza, esattamente come tutto l’impianto che regola la tutela della minoranza italiana in Slovenia. Un modello che alla prova dei fatti si sta dimostrando fallimentare, ma che tutti continuano a difendere all’insegna dello slogan: “Le norme sono ottime, il problema sta nella loro applicazione”. Lo stesso ritornello si era sentito ripetere fino allo sfinimento dai politici jugoslavi negli anni Ottanta quando parlavano dell’autogestione socialista (sic!). Panorama 17 società di Marino Vocci I l 3 giugno scorso, al Parlamento Europeo di Bruxelles, il gruppo dei Verdi ha commemorato Alexander Langer. Un suo caro amico, il giornalista e scrittore Adriano Sofri, ha ricordato come nel 1961, a quindici anni, Alex, su un giornale di scuola, scriveva: “Vorremmo esistere per tutti, essere di aiuto ed entrare in contatto con tutti. Il nostro aiuto è aperto a tutti, per tutti vale la nostra preghiera. Venite a noi, e vi aiuteremo con tutte le nostre forze”. Sofri così continuava: “E’ l’esordio di Alex all’impegno pubblico. Nel suo biglietto d’addio, che avvenne il 3 luglio di trent’anni fa e dopo essersi levato i sandali si era impiccato a un albicocco sul Pian dei Giullari non lontano da Firenze, risuona quella stessa citazione di Matteo: “Venite a me, voi che siete stanchi ed oberati”. Nel 1995 però Alex scrive che è “più disperato che mai” e non ha più la forza di accogliere quell’invito. I pesi gli sono diventati insostenibili. Emulando il caro San Cristoforo, durante tutta la Sua vita dedicata a tutti e a tutto, con responsabilità ed estrema generosità aveva sempre preso sulle spalle carichi che gli erano via via sembrati leggeri come quello del bambinello del 1961. Ma nel mezzo del cammino della vita aveva ceduto: perché è più facile restare soli, quando si vuole essere per tutti. Di quel 3 luglio 1995 di Alex, oltre l’invito a tutti di continuare in ciò che è giusto, resta una solitudine sconfinata. L’aveva ricordata proprio Lui anni prima, nell’addio commosso a Petra Kelly, “Troppo grande il carico di amore per l’umanità e di amori umani…”. Alex era tutto per tutti, con il Suo andare nel mondo intero, senza smettere però di avere una casa e superando tutti, proprio tutti i confini. Proprio l’origine familiare e territoriale l’aveva fatto più esperto e sensibile ai confini. 18 Panorama LAUDATO da Langer a Ber Ma Alex si era liberato anche della logica politica del rinnegato-transfuga. Aveva accettato di tradire - di tradurre, di traghettare - ma non per passare dalla parte del nemico: piuttosto per occupare una terra di nessuno, e farne il luogo dell’incontro reciproco e dello scambio. Oggi il mondo sembra pericolosissimamente guardare solo al proprio “ombelico” e riscoprire muri e frontiere e feticci di sovranità statale. Proprio per questo se l’Unione Europea fosse degna di questo nome, oltre ad offrire come esempio il federalismo visionario dei suoi padri e Madre Terra tutta guarderebbe con speranza a questo suo figlio prezioso. Ma torniamo alla solitudine sconfinata del “viaggiatore leggero” per ricordare come per fortuna dal 2 all’11 luglio, la Fondazione/Stiftung a Lui intitolata insieme all’Associazione Tuzlanka Amica e il Forum dei Cittadini di Tuzla, non lo dimenticheranno; prima nella Sua città Bolzano, poi a Tuzla, Sarajevo e Srebrenica (a Trieste un incontro e concerto ci sarà domenica 2 agosto), con un programma rivolto a tutte e per tutti e a un pubblico di tutte le età. E’ la prima volta che la tradizionale manifestazione Euromediterranea giunta ormai alla tredicesima edizione, si svolge in Bosnia. Questo avviene in coincidenza con due importanti ventennali (io ricorderei anche i 20 anni degli Accordi di Dayton) quello della scomparsa di Alexander Langer e quello del genocidio di Srebrnica, e ccAlexander Langer Nella lettera enciclica del Pontefice si possono riscoprire idee, concetti e proposte sui cui Alex e molti di noi hanno costruito la propria formazione culturale, sociale e politica SI... rgoglio per questo è stato creato un percorso che unisce la riflessione sull’impegno e la figura di Langer, al lavoro svolto negli ultimi 10 anni dalla Fondazione Langer in Bosnia. Torneremo così sulle strade che proprio Alex aveva percorso dal 1991 per cercare di fermare una guerra che appariva ogni giorno più feroce. Questo insieme a molti interlocutori locali e internazionali che oggi lavorano per promuovere dialogo e convivenza in Bosnia e nel resto d’Europa. Quest’anno sarà proprio l’Associazione “ADOPT SREBRENICA” a ricevere il Premio Internazionale Alexander Langer 2015. Per l’impegno profuso quotidianamente nella promozione del dialogo interetnico in uno dei contesti più complessi della ex-Jugoslavia. Ma anche per la grande capacità maturata in questi anni, di coinvolgere un pubblico locale, italiano e internazionale nella riflessione su una parte fondamentale della storia europea. Ricordo che il “Progetto Adopt Srebrenica “ è nato nel 2005; in seguito era emersa la volontà di riportare l’attenzione internazionale a e su Srebrenica, avviando un progetto di part- nerariato con la città che prevedeva anche un coinvolgimento attivo di amministrazioni pubbliche (anche il Comune di Trieste) e associazioni italiane (anche il Gruppo/Skupina 85 che a Trieste organizza il Forum dedicato a un caro amico di Langer, Fulvio Tomizza) e internazionali. Da subito quindi c’è una doppia finalità: parlare di Srebrenica e operare con Srebrenica e i temi focalizzati sono quelli della memoria, giustizia ed elaborazione del conflitto. Alexander Langer non è stato solo un grande costruttore di ponti, in lui c’era anche il bisogno di ecumenismo. Quell’ecumenismo che deriva dalla conversione ecologica sostenibile. Ecco perchè chi crede che è importante non dimenticare Alex Langer, ma anzi che è altrettanto importante ripartire dal pensiero di questo profesa verde, la Lettera enciclica di Papa Francesco “Laudato si...” sulla cura della casa comune, è una vera benedizione. Perché viene “bene detta” la necessità di fare pace tra gli uomini e la natura. Il mondo è un organismo vivente: uomini, animali, piante, l’aria, l’acqua, ogni elemento fa parte di un equilibrio che rischia di essere infranto per sempre. Madre Terra può ospitare tutti, ma non può reggere l’egoismo di pochi. E così, scorrendo il testo – di cui scriverò in un prossimo articolo - del Pontefice (colui che si fa ponte…), si possono riscoprire idee, concetti e proposte sui cui Alex e molti di noi hanno costruito la propria formazione culturale, sociale e politica. Quelle della necessità della “conversione ecologica”, della “decrescita”, l’urgenza di passare dal “più” (più consumo, più sviluppo, più cemento, ecc…) al “meno” (meno consumismo, meno inquinamento, meno spreco, ecc…), l’idea di invertire la rotta “dall’espansione alla contrazione“. Mao Valpiana animatore e responsabile dal 1988 della Casa per la Nonviolenza di Verona, sede nazionale del Movimento Nonviolento e amico di Alex, ha ricordato come queste proposte furono presentate per la prima volta in versione politica, e non solo etica, nell’ottobre 1990 e proprio a Verona al Convegno nazionale “Sviluppo? Basta! A tutto c’è un limite”. Dove relatori furono Alexander Langer, Wolfgang Sachs, Christoph Baker (il meglio dell’ecologismo di allora), che muovevano i loro concetti dal pensiero filosofico di Ivan Illich, e volevano diventare una proposta di ecologia politica. Erano visioni profetiche. Allora però erano considerati ancora degli utopisti, una minoranza della minoranza, e persino le associazioni ambientaliste allora rifiutavano l’idea di “decrescita” e preferivano parlare di “sviluppo sostenibile”. Ora dopo un quarto di secolo le stesse idee di ecologia profonda si possono ritrovare nel documento del Vescovo di Roma, Papa Bergoglio. Un bel passo in avanti. E’ però assolutamente necessario che non passi un altro quarto di secolo perché da indicazioni autorevoli diventino politiche degli Stati. Sarebbe troppo tardi. Oggi è importante che tutti (cittadini ma soprattutto governanti) capiscano che si può “vivere meglio con meno”. Ti sia sempre lieve la terra CARO AMICO. GRAZIE amico FRANCESCO! Panorama 19 territorio testo e foto di Ardea Velikonja L ’olio d’oliva in Istria scrive pagine di storia che hanno più di un paio di migliaia di anni. Grazie al particolare suolo e al clima, la terra istriana è molto adatta per la coltivazione degli ulivi. Oggi in Istria viene prodotto uno dei migliori olii d’oliva nel mondo tanto che viene chiama l’oro liquido del mediterraneo. Con tecniche speciali e tanto amore, l’olio d’oliva istriano raggiunge una perfezione di gusto, odore e colore riconosciuta dai massimi esperti del campo in tutto il mondo. Per l’alta qualità dell’olio d’oliva istriano il più grande merito và agli olivocoltori locali. Al festival internazionale dell’olio d’oliva, dove competono e vengono presentati gli olii d’oliva provenienti da quasi 300 paesi, quelli istriani portano il titolo di migliori al mondo. Negli ultimi anni si distingue particolarmente l’olio d’oliva di Sandi Chiavalon che recentemente ha ricevuto prestigiosi premi internazionali. Sandi Chiavalon è un esempio per 20 Panorama Il giovane imprenditore Sandi miete successi internazionali e recentemente ha vinto il premio quale miglior olio biologico europeo e l’unico certificato in Croazia tutti i giovani istriani: ha appena 31 anni ma è un imprenditore che si è fatto valere a livello mondiale. Lo abbiamo intervistato nella sua casa attorniata logicamente da oliveti. fTutto cominciò quasi per hobby Ho cominciato da piccolo assieme a mio fratello. Avevo 13 anni quando ho iniziato ad occuparmi di olive per hobby. Purtroppo mio padre è mancato prestissimo come pure uno dei miei nonni, mentre l’altro aveva una trentina di olivi, una vigna e un orto per i prodotti che venivano usati in casa. Nessuno in famiglia si occupava solo di agricoltura, mentre io ero affascinato dalla terra, dalle varie piante che vi crescevano. Da grande decisi di iscrivere la scuola agraria e di mettermi seriamente al lavoro. Il nonno mi lasciò questi trenta olivi e la vigna e decisi di occuparmi di loro con l’idea di diventare un produttore di vino. Siccome non avevo soldi per investire e fare una cantina come si deve, decisi di estrarre le viti e piantare gli olivi. La mia idea, durante gli anni di scuola, era “come cresceranno gli olivi così cresceremo anche noi”. E così è stato. Ogni anno io e mio fratello piantavamo 100 - 200 olivi e piano piano siamo arrivati al 2006 con 1200 piante. Dopo di che a Dignano ci fu un bando di concorso per l’assegnazione in affitto dei terreni agricoli statali, abbiamo concorso e siamo riusciti ad avere ccIl giovane imprenditore Sandi Chiavalon L’oro liquido del Mediterraneo targato Chiavalon circa 22 ettari di terreno e da allora abbiamo deciso di non trattare più l’agricoltura come un secondo lavoro ma di diventare dei professionisti nel campo agricolo. Oggi abbiamo 7500 piante di olivo e abbiamo in piano di piantarne ancora 700. Accanto a ciò pianteremo un ettaro di fichi così avremo anche altri prodotti e non solo olio. In azienda siamo io e mio fratello e mia moglie. Io sono quello che segue i lavori nei campi, mio fratello segue il marketing e le vendite e mia moglie cura la contablità. Con noi lavora ancora una persona addetta al trattore e poi arrivano gli operai stagionali quando c’è il raccolto. Siamo una piccola azienda a conduzione familiare. Di tutti questi olivi oggi circa la metà sono in produzione mentre l’altra metà è fatta di olivi giovani ai quali serviranno ancora 5 o sei anni per porter dare frutti come si deve e avere quindi una produzione economica. All’olivo servono circa 20 anni per arrivare alla produzione massima e quindi ottimale, ma noi siamo contenti anche dopo dieci anni quando l’olivo fa circa 25 chili di frutti, e quindi c’è un tornaconto economico. Così per adesso con tutte le nostre piante e altre 3000 dei nostri vicini, cioè dieci piccole aziende che coltivano l’olivo, noi controlliamo la produzione e quindi acquistiamo le olive. Così in totale riusciamo a fare circa 9 - 10 mila litri di olio, ma la produzione cresce ogni anno di circa il 15 - 20 per cento perchè arrivaPanorama 21 territorio La busa istriana Varietà autoctona dell’Istria sudoccidentale. Si coltiva su tutto il territorio istriano e nelle zone olivicole situate sulle isole dell’Alto Adriatico. Recentemente è stata introdotta anche nelle regioni meridionali della Croazia. Si ritiene che sia una varietà autoctona dell’Istria sud-occidentale e con la Busa maschio di Dignano costituisce oltre il 50% del fondo olivicolo. Limpido, particolarmente verde per la forte presenza in clorofille, presenta dei riflessi gialli di lieve entità. All’odorato emergono note di frutta immatura, di mela, di clorofilla. In bocca si impongono i tratti del piccante, poi dell’amaro. Infine emergono i sentori della frutta secca, particolarmente persistenti. L’olio monovarietale di busa si presenta equilibrato per quanto riguarda le caratteristiche sensoriali, dimostrandosi molto versatile sia in ambito alimentare che commerciale. Il piccante e l’amaro sono perfettamente equilibrati, caratteristica che rende l’olio più gradevole e meno aggressivo al gusto. Il fruttato di questo olio si può definire molto forte e ciò è dovuto ad una elevata intensità di due flavor: mela e frutto dell’olivo. Altre caratteristiche associate sono radicchio e carciofo. 22 Panorama no sempre piante nuove in frutto. Speriamo solo che questa stagione non sia come negli ultimi due anni quando c’è stata tanta siccità o tanta pioggia e non siamo riusciti a fare il massimo. Ecco per esempio mentre noi stiamo parlando gli olivi sono in fiore però le temperature sono troppo alte e vedremo come tutto ciò influirà sul raccolto. Noi non abbiamo il frantoio perchè è un investimento molto grande e per adesso finanziariamente non ce la facciamo. Usiamo il frantoio Grubić di Valle. Una collaborazione belllissima: lui ha investito nei macchinari e noi nei campi. Come raccogliamo le olive così, anche quattro volte al giorno, il frantoio si mette in moto e dopo al massimo sei ore abbiamo l’olio in cantina. Questo è importante perchè solo così si possono sfruttare al massimo tutte le vitamine, gli antiossidanti e i fenoli che ci sono nel frutto, le salvaguardiamo e le proteggiamo anche nell’olio.ù fIl nuovo salame Fino a quest’anno facevamo solo olio. Tre anni fa abbiamo cominciato con un nuovo esperimento. Abbiamo preso alcuni suini, li teniamo allo stato brado, chiusi al pascolo, sono sempre in bosco o nell’oliveto e quest’anno dopo tre anni di allevamento siamo riusciti ad avere i primi animali per il prodotto: abbiamo cominciato a fare un salame di tutto il suino. Non un salame tradizionale istriano ma vogliamo fare una nuova linea, un nostro prodotto che per adesso non ha un nome e non sappiamo in che quantità riusciremo a farlo. Quattro mesi fa abbiamo macellato la carne e fra una ventina di giorni dovrebbero essere pronti i primi salami. Un salume molto buono fatto con tutte le parti del maiale che vive almeno due anni all’aperto e quindi mangia di tutto. Non è chiuso in una stalla e quindi la carne ha tutto un altro gusto. Quando il numero dei suini sarà più grande pensiamo di fare anche prodotti tipici come il prosciutto. Per adesso abbiamo cento animali su sei ettari di bosco sia d’estate che d’inverno, e per ora vogliamo fare questo salame poi vedremo. Più tardi pensiamo di trasportare i maiali laddove gli olivi cresceranno, recinteremo e quindi li lasceremo tra gli alberi liberi al pascolo così ci faranno il favore di mangiare l’erba e scavare un pò la terra e di fertilizzare anche il terreno perchè tutta la nostra produzione è biologica. Abbiamo tutti i certificati necessari, non usiamo alcun pesticida nè concimi minerali, anche se è difficile oggi trovare fertilizzanti organici. Quindi con ciò che resta delle olive facciamo una composta e dopo due anni ricopriamo il terreno con questo aggiunta agli escrementi di una fattoria vicina che ha tante capre. I terreni vengono fertilizzati ogni tre anni.Nel 30 per cento dei terreni c’è la concimazione verde ovvero si semina il quadrifoglio che fissa l’azoto dell’aria in terra e in primavera quando c’è la fioritura con l’aratro si rovescia e si ottiene un materiale organico che fertilizza il terreno in modo naturale. Un modo molto faticoso pechè bisogna pensarci già un anno prima e quindi seminare l’erba che si vuole e dopo lavorare la terra in tempo. fMedaglia d’oro A Bari c’è stata la premiazione dell’olio biol, al concorso sono ammessi solo campioni di agricoltori che hanno un certificato biologico. Quest’anno la giuria ha assaggiato 500 campioni e noi abbiamo ricevuto la medaglia d’oro e il premio Biol Croatia come miglior olio biologico croato. Questo non è l’unico premio che abbiamo ricevuto. Negli ultimi otto nove anni siamo una delle aziende più premiate non solo in Istria ma in tutta la regione. Il premio più grande per noi comunque è il cliente che sempre ritorna ad acquistare il nostro olio. Nel 2008 abbiamo fatto il nuovo design della bottiglia che ha rice- vuto dieci premi mondiali. Uno di questi era anche il Graphys, che è un catalogo che sceglie ogni anno i trenta prodotti con design migliori nel mondo e qui sono incluse aziende come la Chanel, la Porche, la Ferrari ovvero i migliori brend del mondo. Noi siamo la prima azienda familiare che è stata inclusa in questo catalogo. Il design della bottiglia è di due designer di Zagabria ovvero Bruketa e Žilić, oggi i migliori designer del mondo. Oltre a tutti questi premi abbiamo anche il riconoscimento del Flos Olei di Marco Reggia che ogni anno ci include nel catalogo, siamo l’unica azienda che già otto anni consecutivi ha 94 punti su 100. Non siamo andati avanti ma non siamo neppure scesi il che significa che la nostra qualità è costante nonostante le brutte annate. Noi lavoriamo con cultivar autoctone: busa dignanese, carbonazza, bianchera istriana morasola e rossignola, abbiamo solo il 3 per cento di leccino perchè negli anni Novanta non c’erano altre piante. Quest’anno abbiamo avuto un grande problema: un fungo ha attaccato gli alberi, un fungo che si manifesta negli anni molto piovosi, ed ha fatto parecchi danni specie al leccino che non è una pianta autoctona dato che le “nostre” piante sono oserei dire più forti anche se poi dipende anche dal terreno e da dove l’acqua ristagna, e infatti solo una busa è stata attaccata da questo fungo e quindi si è seccata. Questo fungo entra nella pianta tramite la radici e ferma i canali linfatici dell’albero e quindi si può rinsecchire un rametto o una branca o addirittura tutto l’albero. In primavera parecchi rami hanno cominciato a seccarsi e avevamo paura che fosse la xylella, quella che ha distrutto gli oliveti in Puglia, però questo batterio non ce la fa con il nostro clima freddo. E poi i nostri oliveti sono lavorati e la xylella ha fatto danni in Puglia sugli oliveti non coltivati. Circa il 60 per cento della nostra produzione va esportata in tutta Europa e devo dire che trattandosi di piccole quantità non vendiamo nei negozi ma direttamente ai ristoranti e alberghi di alta classe o direttamente al pubblico. Mi spiego, basta telefonare qui da noi e mandiamo l’olio direttamente al cliente anche a Londra. L’Europa per noi è stata un passo avanti per il commercio dell’olio perchè prima dovevamo esportarlo, oggi da quando la Croazia è membro dell’UE non abbiamo alcun problema per esportare le nostre bottiglie. Si lavora più facilmente e grazie ai fondi europei che finanzieranno l’agricoltura e lo sviluppo rurale certamente si farà un grande passo avanti nell’agricoltura di tutto il paese. Esportiamo pure in Srebia e Montenegro e da quest’an- no in Taiwan, e i partner sono molto contenti. Qui abbiamo una sala di degustazione dove arrivano le visite di gruppo portate dalle varie agenzie, specie passeggeri di cruiser che vengono a Pola e quindi i turisti di alta classe ai quali si racconta la storia dell’Arena e dei romani che facevano olio da queste parti, vengono qui da noi ad assaggiarne e quindi ad acquistarne come souvenir. Lavoriamo molto con gli alberghi della Maistra di Rovigno che ci mandano i loro ospiti e poi internet con le pagine web fanno il resto. Nel Dignanese ci sono moltissimi produttori di olio ma il problema maggiore è che ci sono pochi professionisti. Molti lo fanno per hobby e con le nuove leggi sarà sempre più difficile per un piccolo produttore, imbottigliare il proprio prodotto. Dovete sapere che l’aagricoltura è produrre l’olivo, fare olio è già industria alimentare e ci sono tantissime leggi che regolano questa industria, ci sono spese per avere i certificati che servono. Noi controlliamo già adesso dieci piccoli produttori dai quali acquistiamo le olive e pensiamo di allargare questa rete di cooperazione perchè solo facendo altissima qualità e una certa quantità si può sopravvivere. Avendo un altissima qualità di piccolissimi numeri è impossibile resistere perchè ci sono Panorama 23 territorio tantissime cosa da pagare prima di vendere la bottiglia. Oggi c’è ancora tantissimo mercato nero, la gente imbottiglia di tutto, anche olii buoni vengono venduti sottobanco.ìù fI tre nemici dell’olio Noi abbiamo confezioni da 100 millilitri, da 250 e la bottiglia più grande di mezzo litro. La nostra bottiglia ha una etichetta specificia e la confezione è for- mata da un sacchetto di carta riciclata, fatto a mano,e può un bel souvenir dall’Istria. Dovete sapere che l’olio ha tre nemici: la luce, la temperartura alta e l’ossigeno. Anche l’olio migliore del mondo messo in una bottiglia chiara, viene distrutto dalla luce. Il nostro olio viene confezionato in atmosfera controllata: tutte le botti in cantina sono sotto azoto di modo che l’olio non ossida. Quando viene imbottigliato viene messo prima l’azoto poi l’olio e infine di nuovo l’azoto. Questo è un gas inerte che c’è nell’aria (78 per cento) e noi con questo sistema ne mettiamo in bottiglia il 99 per cento e così non si peremette all’ossigeno di far danni. Quando la bottiglia viene stappata, l’olio viene a contatto con l’ossigeno e dovrebbe essere usato in breve tempo. Può anche stare tre quattro mesi. Però se un olio sta in un atmosfera non controllata più a lungo di sei mesi perde la qualità. Noi raccogliamo le olive verdi a ottobre quando con 100 chili di olive riusciamo a fare 7 o 8 litri di olio per avere alta qualità ovvero un olio con grande carica di fenoli e antiossidanti. Se questo stesso olio non viene dopo rtenuto bene in cantina perde sia gli antiossidanti che i fenoli ma anche la vitamina E e tutto quello che c’è di buono in un olio. Per questo è molto importante come viene custodito: la temperatura ottimale è 16-18 grandi. Oltre i venti gradi comincia già a d ossidare, oltre i 27 gradi comincia una situazione molto precoce e in due settimane perde la qualità. Non va bene congelarlo perchè perde le sue qualità, e quindi bisogna consumarlo in tempo. Se viene messo in bottiglie grandi è chiaro che l’ossigeno lo distrugge. Quindi suggeriamo a tutti di acquistare olio in piccole bottiglie. Oggi purtroppo la categoria dell’olio extra vergine è talmente ampia che si riesce ad imbottigliare quasi tutto come un extra vergine. Così quando il consumatore vede la bottiglia non sa giusto cosa compra fin che non assaggia l’olio. Perciò bisogna gustare l’olio per vedere se è fresco, verde, al naso, se ha profumi di erba, di oliva verde, se in bocca è molto intenso fruttato con un retrogusto piccante-amaro, vuol dire che è un olio buono. Se non ha queste tre caratteristiche vuol eePrima l’azoto, poi l’olio e quindi ancora l’azoto per imbottigliarelo come si deve 24 Panorama dire che si tratta di un olio di scarsa qualità che purtrppo con la legge attuale viene imbottigliato come olio extra vergine di oliva. Noi per fortuna quest’anno abbiamo registrato il marchio DOP e sicuramente è una garanzia in più per il consumatore. Il nostro olio come ho già detto ha il certificato biologico e come tale non ha residui chimici all’interno nè di pesticidi nè di minerali e quindi non danneggia la salute del consumatore. Così diventa non solo un condimento ma una risorsa di vitamine e antiossidanti e un aggiunta all’alimentazione. Con un solo cucchiaino di olio di oliva il corpo riceve il 40 per cento del fabbisogno quotidiano di vitamina E e antiossidanti. ccIl prestigioso premio ricevuto per il miglior olio biologico I due olii pregiati fEx Albis Riserva L’olio extravergine d’oliva monovarietà viene ottenuto dalla carbonazza dignanese da piante che superano i 300 anni. qQuesti antichi uliveti cresco nella zona nella Riviera di Brioni nella località di Marana, conosciuta ancora ai tempi degli antichi romani per il suo eccellente olio di oliva. Grazie alla tecnologia moderna e alle nozioni di cui oggi facciamo tesoro in questi uliveti la scorsa raccolta ci ha donato 800 bottigliette di questo eccellente olio d’oliva dal profumo molto sofisticato arricchito da aromi eleganti di erba verde, carciofo e vaniglia. Il sapore intenso e complesso è caratterizzato da un ricco gusto di rosmarino cicoria e da un aroma accentuato di mandorla dolce. Non è eccessivamente amaro né piccante e perciò si abbina benissimo alle insalate di verdure miste, al carpaccio di scampi alle lessate, al pesce alla griglia e ai piatti più leggeri a base di carne. fEx Albis L’olio extra vergine d’olivo è ottenuto dalle varietà autoctone di olivo: la busa dignanese, la carbonazza dignanese, la bianchera istriana e la morasola. Caratterizzato da un profumo intenso e molto raffinato è arricchito da aromi di cicoria selvatica, carciofo e frutta fresca. Lo distin- guono ricchi sapori balsamici di menta, rosmarino, salvia ed un gusto accentuato di mandorla dolce. Gli aromi amaro e piccante sono presenti e opportunamente accentuati. Si sposa eccellentemente con le insalate miste di verdure, gli antipasti a base di legumi, brodi di porcini, piatti principali di molluschi, di pesce alla griglia, tonno marinato, carne bianca e rossa, e vari formaggi. Può venir anche servito assieme al dessert in particolare se abbinato al gelato alla vaniglia o ai dolci al cioccolato. Panorama 25 dossier comunità R oberto Bravar, presidente della Comunità degli Italiani di Santa Domenica è assente giustificato da parecchio tempo e a farne le veci è la vicepresidente Mirella Gasparini, che ci ha accolto prima della cerimonia di apertura del rinnovato sodalizio. “Questa Comunità nasce nel 1992 grazie ad un gruppo di entusiasti bocciofili – introduce la vicepresidente –. Ne era a capo Valter Krizmanich, che ha anche aperto questa sede e ha ricoperto per vari mandati il ruolo di presidente. L’attività all’epoca era praticamente concentrata attorno al club di bocce, ma si organizzavano anche corsi di lingua italiana. Nel 1994 il Comune di Visignano, a cui all’epoca Santa Domenica apparteneva, donò l’edificio dove ci troviamo oggi alla Comunità degli Italiani. Grazie ai successivi mezzi stanziati dal Governo italiano e dall’Unione Italiana nel 2000 sono iniziati i lavori di ristrutturazione della CI e la sede finalmente oggi è stata inaugurata”. “Santa Domenica in tutto ha 400 abitanti ma assieme a Castellier al cui comune facciamo capo ci sono in tutto 1500 abitanti – dice Mirella Gasparini –. Di questi 163 sono soci della CI effettivi e una cinquantina di sostenitori. Il signor Angelo Beaković, che abbiamo incontrato ccLa vicepresidente Mirella Gasparini prima, è il socio più anziano, ha ben 89 anni e non manca mai alle nostre manifestazioni. Per quanto riguarda le attività devo dirle che prima di aggiungerne una nel nostro sodalizio ascoltiamo i desideri dei membri e se c’è qualche suggerimento che suscita grande interesse allora la proponiamo alla Giunta esecutiva e quindi si decide. Cerchiamo di ascoltare i giovani e i loro desideri. Abbiamo tanti giovani che vengono in Comunità ed essendo anche il presidente giovane sono una fonte inesauribile di idee e voglia di fare”. fIl gruppo etnovocale “Di attività fisse abbiamo il gruppo etnovocale Nigrignanum, con 16 ccIl socio più anziano Angelo Beaković sempre presente in Comunità 26 Panorama Santa i gio idee a Domenica: ovani portano e e continuità attivisti, il gruppo che ci rappresenta nel Paese e all’estero e credo che rappresenti la Comunità e quindi è il nostro fiore all’occhiello. Sono un coro impegnatissimo, sono sempre presenti in tutta l’Istria, si esibiscono in canzoni popolari istriane ma cantano anche tantissime altre canzoni”. “Quindi come attività abbiamo i minicantanti, entrambi i gruppi cioè i mini e il gruppo Nigrignanum sono diretti dalla maestra Diana Bernobić Sirotić che è la presidente della CI di Visinada, per cui tutto in famiglia. Quindi abbiamo la banda d’ottoni con il dirigente Elvis Soldatić ed è mezza del Comune e mezza nostra, per così dire. Volevamo includerla nella nostra CI perchè guardando i nomi dei ragazzi si vede che più del 30 per cento sono iscritti al nostro sodalizio e vorremmo che facessero le prove qui. Dovrebbero avere una stanza tutta per loro in cui deporre gli strumenti. Vedremo di torvarla. La vicepresidente Mirella Gasparini li sostiene in tutto, come pure il presidente Roberto Bravar, lui stesso appartenente alle nuove generazioni. Fiore all’occhiello del sodalizio è il coro Nigrignanum, che si è esibito il 24 giugno scorso all’apertura solenne della sede completamente rinnovata Panorama 27 dossier comunità ccLa bellissima casetta in stile istriano in cui vengono allestite le mostre ccIl bocciodromo della CI Sono nella maggior parte giovani che non solo suonano ma ci aiutano quando abbiamo bisogno. Poi abbiamo il gruppo di ballo moderno, dai 3 ai 12 anni, guidati da Elizabeth Wertheim. Abbiamo anche attività artigianali: ogni anno nei mesi di febbraio marzo e aprile abbiamo Ester Diklić organizza dei corsi. Quest’anno hanno fatto tante belle cose con materiale riciclato. Qui si tratta di otto donne che hanno poù tempo, quindi sono più anziane che lavorano con piacere e si fanno belle chiacchierate. Abbiamo quindi ginnastica ricreativa, corso di zumba. Quindi la nostra sede è piena ogni 28 Panorama giorno al pomeriggio”. fIl 90 per cento dei bimbi sutdia l’italiano “Qui noi non abbiamo una scuola e un asilo in lingua italiana, però alla scuola croata si insegna facoltativamente la lingua italiana tanto che più del 90 per cento dei ragazzi imparano la lingua italiana. Però tutti in casa hanno un nonno o una nonna o la mamma e il papà che parlano italiano e quindi tutti ‘masticano’ l’italiano”, precisa Gasparini. “Le nostre manifestazioni tradizionali sono la festa dell’8 marzo, una bella manifestazione quando la sala multifunzionale si trasforma in un bar e secondo il tema le donne portano i dolci. Ogni anno c’è un tema e per esempio quando la protagonista è stata la cioccolata ben 100 donne hanno portato le loro prelibatezze fatte in casa e la Ci ha donato ad ognuna di loro un fiore. Una bella serata in cui ci si ritrova in allegria. Poi abbiamo la Festa del patrono che è San Giovanni in collaborazione con il Comune, il 24 giugno. il giorno appunto scelto per l’apertura solenne della restaurata sede. E infine abbiamo la Festa di fine anno cui partecipano tutti i gruppi attivi ccLe delizie alle mele per la Festa dell’8 marzo ccLa sala riunioni appena restaurata Enio Jugovac: rapporti ad altissimo livello Enio Jugovac è sindaco del comune di Santa Domenica - Castellier e come sempre gli abbiamo chiesto come sono i rapporti tra il Comune e la CI. “I nostri rapporti sono più che ottimi. Da quando è stata costituita la CI di Santa Domenica i rapporti sono ad altissi- ccLa mostra di gioielli in pasta polimerica mo livello, il Comune ha più volte aiutato il sodalizio sia finanziariamente che giuridicamente, parlo della sede e del bocciodromo. La CI è sempra incluse in tutte le manifestazioni del nostro Comune e questa è una cosa molto importante. Grazie a questa collaborazione la cultura sul territorio ha fatto un grande passo avanti. Ai soci della Comunità degli Italiani di Santa Domenica vorrei dire di includere sempre più giovani anche se ce ne sono, ma sono il nostro futuro sia del Comune che della CI.” Panorama 29 dossier comunità in seno alla Comunità. Ogni nostra manifestazione è seguita sì dal pubblico minoritario ma anche da quello di maggioranza dato che la nostra CI è l’unico luogo in cui tutti gli abitanti si ritrovano. Tutti sono benvenuti”. fUn desiderio? Lavorare come finora “Mi chiede quali sono i nostri desideri?. Ne abbiamo uno unico, che si continui a lavorare come finora, cercando di portare sempre più giovani, anche se ne abbiamo tanti. La nostra è una sede definitiva e dobbiamo essere felici di averla. Abbiamo tutti i requisiti necessari, però se avessimo ancora una sala per la banda d’ottoni non sarebbe male. Comunque va bene così. I rapporti con il Comune di Santa Domenica - Castellier sono ottimi, qualsiasi cosa ci serve il Comune è sempre pronto ad aiutarci e sostenerci”, conclude la vicepresidente. Infine, sull’ipotesi dell’introduzione di una quota di iscrizione o partecipazione, a mo’ di contributo alle attività della Comunità, afferma: “Bisognerebbe suddividere i soci in due gruppi, rispettivamente quelli attivi che lavorano, che danno il proprio tempo libero per questa Comunità, e sono tanti, e gli altri. Non sarebbe giusto mettere una quota d’iscrizione a coloro che già danno tanto. Viceversa, credo che bisognerebbe farla pagare a quelli che non vengono mai in Comunità”. ccIl corso di ballo per le bambine 30 Panorama ccIl fiore all’occhiello della CI è il gruppo vocale Nigrignanum ccIl corso di riciclo creativo ccUna delle tante feste alla Comunità Un’iniziativa dell’Associazione Mazziniana italiana in occasione del CCX anniversario della nascita dell’Apostolo ligure di Fulvio Salimbeni I l 20-21 giugno a Roma, nella prestigiosa Sala Margana, a poca distanza dal Campidoglio, l’Associazione Mazziniana Italiana, in occasione del CCX anniversario della nascita di Mazzini, ha organizzato il VII Colloquio mazziniano “Democrazia in azione”, articolato in una giornata di studio su Il sentimento repubblicano del Dovere: etica pubblica, cittadinanza e solidarietà, e in una conferenza nazionale organizzativa, in cui sono state messe a fuoco e discusse questioni nodali e cruciali dell’attuale contingenza politica e dell’organizzazione e degli obiettivi della stessa Associazione. Essa, fondata a Milano da un gruppo di personalità antifasciste subito dopo il 25 luglio1943 con l’intento di rilanciare gli ideali mazziniani - prima stravolti e strumentalizzati dal regime fascista ai fini della propria politica di potenza e poi ripresi nell’esperienza della Repubblica Sociale di Salò, proposta come ideale coronamento del repubblicanesimo dell’Apostolo ligure -, dopo aver partecipato attivamente alla Resistenza,vedendo i suoi aderenti prevalentemente attivi tanto in formazioni repub- Il sentimento repubblicano del Dovere blicane quanto azioniste, a guerra conclusa s’impegnò a fondo per la causa repubblicana in vista del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, vinto il quale, ribadendo la propria piena autonomia e indipendenza rispetto ai partiti politici, pur se chiaramente vicina a quello repubblicano, senza, peraltro, mai confondersi con esso, si diede a svolgere una meritoria opera d’educazione politica nazionale democratica e di divulgazione degli scritti e del pensiero del maestro genovese. potuto vantare quali direttori personaggi di spicco nel campo degli studi storici repubblicani come Terenzio Grandi, Vittorio Parmentola, Pier Giovanni Permoli, Sauro Mattarelli, grazie a loro e ai numerosi valenti collaboratori, taluni semplicemente appassionati militanti, ma altri nomi tra i più prestigiosi nell’ambito della ricerca storica risorgimentale e con- fLa rivista “Pensiero Mazziniano” Organizzatasi in una rete di comitati periferici diffusi capillarmente sul territorio, con prevalenza per l’Italia centro-settentrionale, la Mazziniana per raggiungere un pubblico quanto più vasto possibile, oltre ai propri militanti, varò sin dal 1944, in piena lotta per la libertà, la rivista “Il Pensiero Mazziniano”, che dopo la stagione clandestina, a partire dal 1946 è uscito a cadenza prima trimestrale e poi, dal 2005, quadrimestrale, da tale data venendo affiancato dal supplemento “L’Azione Mazziniana”, di taglio più informativo e sede di dibattito sulle questioni d’attualità. Il “Pensiero Mazziniano”, che ha Panorama 31 la storia oggi eeSebastiano Maffettone, uno dei maggiori politologi italiani - del quale, per i tipi della LUISS, nel 2014 è uscito Filosofia politica temporaneistica o della riflessione politologica, s’ affermato come una delle migliori e più qualificate riviste nazionali di cultura politica, svolgendo una funzione essenziale di formazione civile. Proprio la sua autonomia e indipendenza ha fatto sì che la crisi della I Repubblica e il tracollo dei partiti tradizionali in essa operanti, che hanno portato alla scomparsa o al drastico ridimensionamento di periodici e istituzioni culturali a essi collegate, non incidesse sul “PM”, che anzi ha finito con l’imporsi come una delle poche riviste di respiro nazionale e d’elevata qualità scientifica nel campo della cultura politica, reggendo in maniera egregia il confronto con un organo prestigioso come “Il Mulino”. Se a ciò s’aggiungono i seminari e i colloqui periodici promossi dalla sede centrale e le conferenze organizzate dai comitati regionali e locali su questioni storiche e d’attualità, oltre ai convegni nazionali, sempre ben riusciti e frequentati, si comprende l’importanza del ruolo pubblico che la Mazziniana tuttora svolge, sempre fedele agli obiettivi che l’autore dei Doveri dell’uomo, apparso nel 1860, aveva allora fissato per la costruzione di un’Italia moderna, capace di sostanziare l’unità, libertà e indipendenza appena conseguite con contenuti d’effettiva valenza sociale e civile. A suo avviso per dare concretezza 32 Panorama al Risorgimento nazionale in atto bisognava affrontare e risolvere tre questioni di primaria importanza: il lavoro, l’emancipazione femminile e l’Educazione (scritta con la E maiuscola a rilevarne e ribadirne la centralità), che non consisteva soltanto nell’insegnare a leggere, scrivere, far di conto, bensì nella formazione vera e propria del cittadino, consapevole dei propri diritti e doveri. fRiflessioni sull’etica pubblica Fedele a tali indicazioni, la Mazziniana ha sempre posto al centro delle proprie meritorie iniziative tali punti programmatici, che sono stati al centro pure dell’iniziativa romana segnalata all’inizio di queste note. Nella prima giornata, infatti, i lavori si sono articolati in due sessioni, incentrate rispettivamente sulle relazioni di Sebastiano Maffettone, uno dei maggiori politologi italiani - del quale, per i tipi della LUISS, nel 2014 è uscito Filosofia politica. Una piccola introduzione -, e di Giovanni Vetritto, una delle firme più autorevoli della rivista “Critica Liberale”, mentre le correlate discussioni, tutte vive e partecipate, sono state introdotte da Pietro Finelli e Milena Mosci. In un momento di crisi gravissima della moralità pubblica (lo scandalo della corruzione romana, che quotidianamente riserva la rivelazione di sempre nuove bassezze) e della partecipazione alla vita politica dei cittadini, che, disgustati dal degrado istituzionale, s’astengono sempre più dalla partecipazione alle competizioni elettorali - come s’è visto pure nelle ultime elezioni regionali - e alla vita dei partiti, i cui tesserati sono in calo continuo, è sembrato giusto e opportuno discutere tali questioni alla luce della permanente attualità del magistero mazziniano, in cui un termine pregnante come “Dovere” non è una vuota declamazione retorica, bensì un concetto, profondamente sentito, che impone la dedizione diuturna al bene comune nell’ambito del proprio ambito di competenza, la democrazia non essendo un dono calato dall’alto, ma un qualche cosa che va praticato, difeso e vissuto quotidianamente nei rispettivi ambiti di competenza. Da qui, pertanto, la riflessione sull’etica pubblica e su quel che essa comporta, sulla pratica effettiva della cittadinanza, sulla solidarietà, esplicantesi nelle maniere più varie e che è fondamento di quel cooperativismo già teorizzato da Mazzini (ed egregiamente studiato da Nello Rosselli nel pionieristico Mazzini e Bakunin. Dodici anni di movimento operaio in Italia, 1860-1872, del 1927), e incominciato a mettere in pratica lui vivente in contrapposizione allo scontro tra le classi quasi negli stessi anni teorizzato da Marx. Etica pubblica, cittadinanza e solidarietà - un concetto, questo, oggi più drammaticamente d’attualità che mai pensando a quanto succede giorno dopo giorno nel Mediterraneo -, che non sono circoscritti al contesto nazionale, riguardando, invece, pure quello europeo, al fondatore, nel 1834, della Giovine Europa sempre ben presente, posto che il suo sogno era quello d’una libera federazione di repubbliche tra loro solidali, donde l’attenzione per tutti i Risorgimenti nazionali del continente, in particolare dell’area danubiana e balcanica, cui, nel 1857, avrebbe dedicato le famose Lettere slave. fAssente l’educazione civica nei programmi scolastici A tale europeismo quale obiettivo permanente dell’impegno della Mazziniana s’è, d’altronde, richiamato il suo presidente, Mario Di Napoli (ricordando, tra l’altro, l’apporto del mazziniano Ernesto Rossi alla stesura del Manifesto di Ventotene), nella seconda giornata dei lavori, dedicata agli aspetti organizzativi, in cui si sono prese in esame e discusse prima la presenza sul territorio dell’AMI, che può vantare decine di comitati locali, e poi la situazione della stampa e della comunicazione. Ribadita la centralità e importanza d’una rivista come “Il Pensiero Mazziniano”, di cui va conservata e potenziata l’impostazione, attenta tanto alla dimensione storica con le rubriche su I e II Risorgimento quanto all’attualità, s’è presa in esame la possibilità di trasformare in una pubblicazione telematica “L’Azione Mazziniana”,così da ridurre i costi e, nel contempo, raggiungere un più vasto pubblico, a tal fine pensando anche a un potenziamento del sito istituzionale (www.associazionemazziniana.it), onde coinvolgere maggiormente i giovani, più sensibili a tali nuove forme di comunicazione. E a proposito d’essi nell’ampia e vivace discussione, cui hanno partecipato quasi tutti i rappresentanti dei comitati e dei membri della direzione nazionale, s’è ragionato pure dell’attuale drammatica situazione del sistema educativo nazionale, prendendo anche spunto dai progetti del governo Renzi di “buona scuola”, già discussi criticamente e contestati in un documento edito in un recente fascicolo de “L’Azione Maz- ziniana”, e denunciando la pressoché totale assenza dell’educazione civica nei programmi scolastici, il degrado delle conoscenze storiche e linguistiche, a vantaggio del diffondersi dell’inglese e di anglicismi d’accatto, quando Mazzini già in gioventù aveva pubblicato saggi di grande valore sull’importanza della lingua e della letteratura nazionale per la formazione di un’autentica coscienza italiana ed europea; da qui la presa d’atto della necessità di sviluppare più stretti collegamenti con il mondo della scuola a livello generale, pensando, inoltre, data la sempre più diffusa ignoranza da parte degli studenti della storia patria (a un esame universitario di storia contemporanea il sottoscritto ha scoperto che “Mazzini era monarchico”!), a possibili “Letture mazziniane” sulla falsariga di quelle “dantesche”, onde far conoscere almeno le sue pagine più importanti. In tale ottica, inoltre, è stata denunciata pure la difficile situazione dell’italianità adriatica istriana e dalmata, prospettando iniziative a tutela e valorizzazione d’essa in occasione, ad esempio, del centenario, nel 2016, dell’impiccagione a Pola di Nazario Sauro, irredentista mazziniano di Capodistria. Le fila di tutti questi ragionamenti, proposte e riflessioni, che, dato il loro livello qualitativo, trovano raro riscontro nel dibattito culturale politico nazionale, verranno tratte nel convegno nazionale che nella seconda metà di novembre avrà luogo a Terni, una delle roccaforti del repubblicanesimo italiano. ccUna delle pagine della rivista “Pensiero Mazziniano” Panorama 33 italiani nel mondo di Ardea Velikonja A nche gli italiani nel mondo hanno il proprio inno. Infatti, il 2 giugno, in Argentina, una standing ovation è stata tributata al tenore Giuseppe Gambi per l’esecuzione in anteprima mondiale dell’Inno degli italiani nel mondo “Italia Patria mia”, scritto con la giornalista e studiosa di emigrazione Tiziana Grassi, su spartito del compositore Luigi Polge e con gli arrangiamenti del M° Armando De Simone. Il tenore napoletano – una vera promessa della Fondazione Pavarotti – è stato invitato dall’Ambasciatore d’Italia in Argentina, Teresa Castaldo, per eseguire l’Inno per la prima volta all’estero, in Ambasciata, durante le celebrazioni della Festa della Repubblica Italiana, e dal console generale d’Italia a Buenos Aires, Giuseppe Scognamiglio, per celebrare poi solennemente presso il Senado de la Nacion il “Dia del Inmigrante Italiano”, festività nazionale sancita da una legge del 1995 del Parlamento argentino emanata per riconoscere il contributo determinante dell’emigrazione italiana alla costruzione e allo sviluppo del Paese. fGentile concessione degli autori Per avere il testo completo dell’inno (riportato qui a lato) abbiamo contattato Tiziana Grassi coautrice – nota studiosa di Emigrazione italiana e per 10 anni autrice di programmi di servizio per gli italiani nel mondo a Rai International (oggi Rai Italia), e della redazione del giornale CorrierePL.it e componente dell’Osservatorio dell’Emigrazione Italiana nel Mondo – che molto gentilmente ci ha messo in contatto con il compositore Luigi Polge il quale ci ha inviato il testo dell’Inno. Il manager del M° Gambi è Angelo Giovanni Capoccia, che dal giorno della presentazione dell’Inno è stato travolto da richieste di concerti del M° Gambi, che oltre all’Inno ha un repertorio straordinario di opera classica (“Nessun dorma”, “’O sole mio”, “Un amore così grande”, ecc.), e come detto è una delle grandi promesse della Fondazione Pavarotti istituita da sua moglie dopo la scomparsa del Maestro (6 settembre 2007), a lui dedicata e con un duplice obiettivo: quello di mantenere viva la memoria di Luciano Pavarotti e quello di aiutare i suoi allievi, e più in generale i giovani che si affacciano al canto lirico, a trovare opportunità per farsi ascoltare e conoscere. In forte empatia con i legami degli italiani verso il proprio Paese d’origine e quello che 34 Panorama a cura di Ardea Velikonja Anche gli italian hanno il proprio li ha accolti, e con il costante invito del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla coesione e alla solidarietà – valori alla base della nostra Repubblica che, insieme al lavoro, sono stati portati dagli emigrati italiani in Argentina, dando un forte impulso allo sviluppo del Paese – l’Inno è sintesi della storia di 27 milioni di italiani partiti oltreconfine tra Otto e Novecento alla ricerca di una vita migliore. Una storia che oggi si riverbera in 80 milioni di oriundi, gli “italiani col trattino”. fCollettività laboriosa Nel suo messaggio per la Festa della Repubblica Italiana, celebrata presso l’Ambasciata a Buenos Aires, l’ambasciatore Castaldo ha voluto sottolineare la lotta per la democrazia e la libertà che accomuna i popoli argentino e italiano, oltre ai profondi vincoli storici, culturali e di sangue. Teresa Castaldo ha inoltre messo in evidenza l’impegno che negli ultimi anni sia l’Ambasciata sia tutto il Sistema Italia hanno messo in campo per rilanciare i rapporti bilaterali, tanto da raggiun- ccIl giovane tenore napoletano Giuseppe Gambi Autori il tenore Giuseppe Gambi e Tiziana Grassi su spartito del compositore Luigi Polge. La canzone ha destato grande emozione all’anteprima mondiale ni all’estero o Inno gere nuovi ed eccellenti livelli di cooperazione in ogni settore di attività. Al riguardo, l’ambasciatore ha messo in risalto “il grande contributo della collettività italiana, che non è soltanto la più numerosa ma è tra le più attive, laboriose ed entusiaste comunità all’estero”. fUn testo che invita a sognare e riflettere L’Inno, composto su musica di grande efficacia evocativa e un testo che invita a sognare, ma anche a riflettere, sulla storia dei milioni di connazionali nel mondo, è simbolo dell’italianità e dell’appartenenza. Anche nel testo si sottolinea, infatti, il coraggio, l’orgoglio, i sogni e le conquiste di milioni di emigrati italiani. Milioni di persone che, partendo oltreconfine, hanno assicurato lo sviluppo dell’Italia e il suo prestigio nel mondo, distinguendosi per i valori di cui sono stati portatori con impegno e tenacia, e rappresentando – ieri come oggi – una risorsa preziosa per l’Italia. Il tenore Giuseppe Gambi, di origine parte- nopea, con una storia familiare di emigrazione che da Napoli l’ha portata negli Stati Uniti, emozionato per le reazioni entusiastiche che il suo Inno ha suscitato a Buenos Aires, e vicino alle comunità italiane all’estero per le quali si esibirà in una tournée partita proprio dall’Argentina. fAl Columbus Day Gambi ha espresso il grande desiderio di cantare l’Inno degli Italiani nel Mondo “Italia Patria mia” a New York, al prossimo Columbus Day – evento significativo che celebra l’Italianità e l’orgoglio italiano negli States – come suo personale e partecipe omaggio musicale a tutti i connazionali nel mondo che “con le loro storie hanno scritto una pagina fondamentale della nostra Storia di cui essere orgogliosi – ha dichiarato Gambi –, una storia che è parte di noi, del nostro passato e del nostro futuro, e a cui dovremmo guardare con maggiore rispetto e attenzione”. Il testo originale ITALIA PATRIA MIA Guardo il mondo intorno a me Ricordi sparsi e poi “ITALIA PATRIA MIA” Pensieri in fondo al cuor Lasciati dietro noi Paese mio ritornerò. Nei miei occhi ancora c’è Il tricolore SI con storia dentro se. Il suono della nave. Il volto dei miei cari. In lontananza me ne andai. Rit: Siamo noi italiani nel mondo Uniti da tre parole: Coraggio speranza orgoglio in noi Sogni e libertà. Viva gli italiani nel mondo Un canto in cor L’Italia s’è desta Conquista, libertà nei cuor Italia Patria mia. Tutti uniti qui vorrei Con mano intorno a noi Mai più dividerci Il sole sorgerà Il domani brillerà un italiano canterà Rit: Siamo noi italiani del mondo Uniti da tre parole: Coraggio speranza orgoglio in noi sogni e libertà. Viva gli italiani del mondo Un canto in cor L’Italia s’è desta Conquista, libertà nei cuor Italia Patria mia. Musicale/coro: Siamo noi italiani nel mondo Un canto in cor L’Italia s’è desta! Finale: verde bianco rosso è il cor Italia Patria mia Panorama 35 libri LA PAROLA AGLI EDITORI Cerniera tra mondi diversi ma comunicanti “[...] la conoscenza approfondita del tedesco e del serbo-croato – e in particolare delle forme linguistiche vetero-slave in tutte le loro complesse grafie – gli permise di sviluppare le proprie ricerche e i lavori che ne derivarono in qualità e quantità rare negli studiosi italiani di allora e, forse, di oggi. I suoi articoli, monografie, saggi e recensioni trattano non solo degli aspetti storici, artistici e linguistici, ma anche di uomini e problemi specifici di civiltà e di costume della Dalmazia, che è stata per oltre un millennio la cerniera tra il mondo slavo e quello latinoveneto e poi italiano. Questi suoi lavori sono però sparsi in decine di fonti e pubblicazioni, spesso difficili da consultare nelle sedi originali”. È con queste parole che il presidente della Società Dalmata di Storia Patria di Venezia, Franco Luxardo, e il direttore del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, Giovanni Radossi, introducono Giuseppe Praga, che le due istituzioni hanno ritenuto opportuno e doverso omaggiare, ”ma in questo modo anche rinsaldare la collaborazione scientifica e culturale tra due enti d’eccellenza nel loro campo, ma anche due associazioni rappresentative del popolo giuliano-dalmata, un popolo forzatamente separato dalla storia del secolo scorso”. “Quale migliore occasione, dunque, se non l’opera omnia di Praga – rilevano Luxardo e Radossi nella Premessa –, sempre rispettato dagli studiosi di entrambe le sponde dell’Adriatico”. D’altra parte occorre tenere presente che “nel lontano 1979 l’Istituto rovignese acquisì quattro grossi volumi contenenti copia di tutta la vasta produzione storiografica di Giusepp Praga, che erano stati di sua proprietà e che egli stesso era andato approntando nel corso della sua vita, creando un unico esemplare di questa 36 Panorama preziosa testimonianza; ne sono usciti tre tomi di oltre duemila pagine complessive, che permetteranno agli studiosi del XXI secolo di averne una visione completa e di approfondirne i temi”. I lavori erano stati riportati in ordine cronologico e fatti rilegare dallo stesso Praga, come una sorta di opera omnia. fUn nuovo spirito tra le nazioni Ora dunque escono negli Atti dei due enti “a conferma di quanto sia produttiva la collaborazione tra istituzioni culturali poste sulle due sponde dell’Adriatico, che del resto avevamo già sperimentato nel 1998-2000 con la ristampa integrata della ‘Dalmazia nell’arte italiana’ di Alessandro Dudan. Gli incontri del presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, con quello della Repubblica di Croazia, Ivo Josipović, a Trieste nel 2010 ed a Pola nel 2011, hanno creato uno nuovo spirito anche nei rapporti culturali fra le due nazioni. Ad essi ha fatto seguito l’entrata della Croazia nell’Unione europea nel luglio 2012 e noi ci auguriamo che anche questa pubblicazione serva a sviluppare la conoscenza della nostra storia basata sui documenti e con quella reciproca tolleranza indispensabile per l’avanzamento della scienza”, concludono Luxardo e Radossi. Ringraziamenti alla prof.ssa Nives Giuricin, per la preziosa trascrizione di tutti i testi; al prof. Rino Cigui, per la compilazione degli indici; al prof. Marino Budicin, per il lavoro di redazione; al prof. Egidio Ivetic dell’Università di Padova, che è stato il coordinatore scientifico e il curatore dell’operazione e ha svolto un attento processo di rilettura e revisione dei due tomi; al dr. Stefano Trovato della Biblioteca Marciana di Venezia, per le preziose notizie sulla carriera e sui lavori del prof. Praga durante la sua permanenza alla Marciana, ed alla stessa Biblioteca per la concessione delle fotografie che appaiono nel testo; all’Università Popolare di Trieste, per il sostegno organizzativo nella complessa fase di realizzazione grafica. a cura di Ilaria Rocchi A Padova, nello storico Palazzo del Bo, sede centrale di uno degli atenei più antichi al mondo, sbarca la pubblicazione che raccoglie gli scritti sulla Dalmazia del grande studioso zaratino. Un volume prestigioso, coedito dalla Società Dalmata di Storia Patria di Venezia e dal Centro di Ricerche Storiche di Rovigno Giuseppe Praga un’opera per ricordare E ra giunto a Padova per potersi laureare, lui che il suo curriculum studiorum era stato costretto a interromperlo – sebbene avesse la tesi già pronta – a causa dello scoppio della Grande Guerra. Oggi, a distanza di 95 anni, la sua figura e la sua opera tornano nell’Ateneo patavino per la promozione di una pubblicazione prestigiosissima, che ne raccoglie gli scritti. A Palazzo del Bo – quattrocentesco edificio situato nel centro storico della città, sede dell’Università degli Studi di Padova, una delle più antiche al mondo – il 30 giugno di quest’anno è stato all’insegna di Giuseppe Praga, figura emblematica, come uomo e intellettuale, della Dalmazia italiana fra gli anni Venti e Quaranta, uno dei suoi maggiori storici, archivisti e, in generale, intellet- tuali. Presso l’Aula Nievo-Cortile Antico, si parla di lui e di questo cofanetto-omaggio voluto dalla Società Dalmata di Storia Patria di Venezia e dal Centro di Ricerche Storiche di Rovigno. Oltre duemila pagine articolate in tre tomi, due copertine, nel rispetto dei colori dei coeditori (nella versione del CRS di Rovigno lo sfondo è azzurro, quello che caratterizza la Collana degli Atti, di cui questa pubblicazione costituisce il numero 38, mentre la SSDP di Venezia ha optato per il giallo-ocra). Questa raccolta sistematica dei contributi che Praga ci ha lasciato in eredità – e che riguarda i saggi prodotti tra il 1923 e il 1956, riproposti secondo l’ordine cronologico voluto dall’autore stesso, e rispettando lo stile originario nelle note e nella bibliografia di riferimento – è stata curata da Egidio ccGiuseppe Praga Ivetic, professore dell’Università di Padova, specializzato in storia moderna e, in particolare Europa sud-orientale, Adriatico (Mediterraneo), Repubblica di Venezia, da anni collaboratore del Centro di Rovigno e di altri Panorama 37 libri istituti di ricerca. “In questi Scritti c’è il Praga più genuino, fine conoscitore, come pochi altri, del medioevo adriatico. C’è qui tutto, dalla guida ai monumenti di Zara, alle monografie paleografiche, ai saggi, tutto ad eccezione della Storia di Dalmazia – osserva Ivetic –. Questi scritti precedono la Storia di Dalmazia e la completano. Perché ripubblicarli oggi? Essi rappresentano la testimonianza di uno studioso, di un tempo, di una vita culturale fatta di erudizione e di ricerca umanistica”. fRitratto di una regione europea Erudizione, perizia paleografica, precisione, capacità di richiamare e rappresentare la vita delle comunità dalmate medievali, rievocazione di un mondo adriatico vivissimo negli scambi tra le due sponde, rendono ancora attuali questi studi, che dopo il 1945 non hanno avuto degno seguito. Ma Ivetic riconosce a Praga e alla sua impostazione anche un’ulteriore qualità: la sua prospettiva. La sua storia è sì locale, ma non è localistica l’ottica che contraddistingue e dissemina nei suoi scritti, dotato com’era di una formidabile capacità di contestualizzare il fatto nella più ampia cornice storica europea. Emerge così il ritratto di una Dalmazia intesa come regione mediterranea ed estrema regione Le sue ricerche confermano gli stretti legami tra le due spo Giuseppe Praga è oggi unanimemente riconosciuto fra i più importanti storici della Dalmazia di tutti i tempi. Le sue ricerche confermano gli stretti legami tra le sponde dell’Adriatico in secoli in cui il confine non era la frontiera invalicabile degli stati-nazione. Figlio di Cristoforo e Maria Nani, nasce il 19 marzo 1893 nella piccola località di Sant’Eufemia nell’isola di Ugliano, vicino a Zara, ai tempi della dominazione austriaca della Dalmazia. Si diploma nel 1911 presso il Ginnasio Superiore “San Grisogono” di Zara. Iscrittosi all’Università di Vienna, frequenta gli studi di filologia classica, dove segue i corsi di Wilhelm Meyer-Lübke per la linguistica e la filologia romanza, di Milan Rešetar per la filologia slava, di Carlo Battisti per la filologia italiana e di Paul Kretschmer per la filologia bizantina e neo-greca. Qui acquisisce una padronanza assoluta delle lingue slave e soprattutto delle forme linguistiche veteroslave, il che gli permetterà in seguito di approfondire con rara perizia gli studi medievali della sua terra natale. Dunque, una preparazione di notevole spessore, della quale si sarebbe avvalso più avanti per il suo impegno di studioso e di intellettuale in un arco di tempo che avrebbe visto la sua Dalmazia investita da due conflitti mondiali e 38 Panorama da drammatiche contese nazionali. Scoppiata la Prima guerra mondiale, prima di riuscire a discutere la tesi di laurea, è richiamato alle armi nell’esercito austroungarico, salvo poi venir dispensato nel 1915 a causa della morte del padre. Per le disagiate condizioni economiche familiari, Praga è costretto ad impiegarsi e a sospendere l’iscrizione all’università, ultimando gli studi solo ad ottobre del 1918. Nel 1920 la sua tesi sul dalmatico – tradotta dal tedesco – viene depositata presso l’Università degli Studi di Padova, che di conseguenza lo ammette direttamente all’esame di laurea, superato col massimo dei voti e la lode. Nel 1919 si trasferisce ad Arbe, dove lavora come segretario in un ufficio pubblico (in attesa delle determinazioni del tavolo di pace: l’isola, promessa all’Italia dal patto di Londra del 1915, era stata occupata dal Regio Esercito italiano). È in questo periodo, grazie alla frequentazione dei locali archivi, precedentemente quasi inesplorati, che Praga scopre la vocazione per la storia. La passione trentennale per Arbe lo porterà a raccogliere un enorme materiale: oltre mille documenti suddivisi in tre gruppi, che lui trascriverà minuziosamente fino a ricostruire il Codex diplomaticus arbensis, ora depositato presso la Biblioteca Marciana di Venezia. Nel 1921 lascia Arbe (qui conosce Antonietta Sbisà, che diventerà sua moglie) e, iniziato l’insegnamento a Idria (all’epoca in provincia di Gorizia), dopo alcuni anni torna a Zara, dove occuperà per quasi un decennio la cattedra di italiano e storia presso l’istituto tecnico “Francesco Rismondo”. Ben presto si afferma come erudito locale e animatore della vita intellettuale zaratina tra le due guerre. È del 1925 una sua “Guida di Zara. Sito, storia, monumenti” (Zara, Tipografia E. de Schonfeld). Nel 1926 è tra i fondatori della Società Dalmata di Storia Patria, della quale sarà il presidente fino al 1934. Sempre nel 1926, viene nominato vicepresidente della Lega Nazionale (carica che manterrà fino al 1930) e nel 1928 è ispettore onorario per l’arte medievale e moderna della provincia di Zara. Nel 1930 consegue la libera docenza in paleografia latina e diplomatica presso l’Università di Roma, seguita nel 1932 dalla libera docenza in storia medievale e moderna (chiederà e otterrà l’esenzione dall’insegnamento pubblico, per potersi dedicare ai suoi studi). A partire dal 1932 dirige la Biblioteca Comunale “Pier Alessandro Paravia” di Zara, divenendo italiana, “affollata certo di nomi slavi, ma romana e latina nella tradizione delle istituzioni”, precisa il curatore degli “Scritti” –. Una rappresentazione della Dalmazia che si staglia di netto rispetto all’alternativa costituita dalla realtà storica e culturale delle contermini regioni: la Croazia storica, attaccata alla Dalmazia (a partire dalla stessa Nona), la Bosnia, l’Erzegovina, la Serbia storica (la Rascia), il Montenegro e l’Albania. Praga conosceva come nessun altro in Italia queste regioni storiche e le rispettive culture. E rispetto a cotale contesto, secondo Praga, la civiltà comunale dalmata si distingueva e si saldava, tramite mare, con la sponda adriatica opposta”. onde dell’Adriatico collaboratore della Sovrintendenza Bibliografica di Venezia. Nel 1933 ottiene per i suoi studi l’ambito premio dell’Accademia d’Italia. Nel 1936 assume il ruolo di sovrintendente dell’Archivio di Stato di Zara. In queste duplice vesti si dedica a una profonda e razionale riorganizzazione dei fondi e dei cataloghi e all’implementazione delle raccolte. Socio effettivo dal 1927 e dal 1929 consigliere della Deputazione di Storia Patria per le Venezie, fra il 1939 e il 1940 è presidente della Sezione Dalmazia della Deputazione stessa. Nel 1944, a seguito dei bombardamenti di Zara, sfolla a Venezia. Nel dopoguerra è bibliotecario aggiunto alla Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, curando in modo particolare il catalogo per soggetti delle pubblicazioni di argomento veneto. Collaboratore dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, scrive sulla “Rivista dalmatica”, sugli “Atti e memorie della Società Dalmata di Storia Patria” e a Roma sull’“Archivio storico per la Dalmazia”, ha contatti con i maggiori storici italiani e jugoslavi, ma anche con belgi e polacchi. Morto a Venezia il 19 febbraio 1958, il suo notevole archivio è stato donato dagli eredi alla Biblioteca Marciana. Un saggio fondamentale STORIA DI DALMAZIA Giuseppe Praga è oggi unanimemente riconosciuto fra i più importanti storici della Dalmazia di tutti i tempi. La sua produzione storiografica è vastissima: oltre un centinaio fra libri e articoli (apparsi sia sulle riviste specialistiche di storia dalmata – la “Rivista Dalmatica”, gli “Atti e Memorie della Società Dalmata di Storia Patria”, l’”Archivio storico per la Dalmazia” – sia su una serie di altre riviste storiche come l’”Archivio Veneto”, l’”Archeografo Triestino”, il “Museum” di San Marino, la “Nuova Antologia”, la “Rivista Storica Italiana” e altre), più 76 fascicoli di materiale inedito della Marciana, che comprendono un repertorio bio-bibliografico degli scrittori dalmati, una serie di documenti per la storia dell’arte bizantina e veneziana (1350-1530) e un repertorio bio-bibliografico degli artisti dalmati. Fra i suoi scritti più importanti ricordiamo: alcune voci sulla Dalmazia per l’Enciclopedia Italiana; “Guida di Zara” (1925); “Testi volgari spalatini del Trecento” (1927); “Indagini e studi sull’umanesimo in Dalmazia” (serie di monografie apparse a partire dal 1932); “Zara nel Rinascimento” (1935); “Atti e diplomi di Nona (1284-1509)” (1936-1937): “Storiografia dei paesi balcanici” (1937); “Guida di Zara: aspetti, storia, monumenti” (1938); “La chiesa di Roma e la Croazia” (1941-1942); “Index auctorum latinitatis Medii Aevi antiquioris. Supplementum Dalmaticum” (1948); “Documenti del 1848-1849 a Zara e in Dalmazia” (1949); “L’Evangelario dei Sacramenti di Zara” (1956). Ma l’opera per la quale è soprattutto noto Giuseppe Praga è la “Storia di Dalmazia”, divenuta nel tempo l’esempio migliore della storiografia di lingua italiana dedicata a quella regione, snodo obbligato per tutti gli studi successivi. ln questo volume Praga ha condensato quarant’anni di studi basati su una vastissima conoscenza dei fatti, sulla padronanza delle fonti specifiche (ha potuto consultare i documenti degli archivi dalmati), una notevole capacità di rapportarsi con storiografie non fami- liari e una profonda comprensione della sua terra. La “Storia di Dalmazia”, compilata negli anni a cavallo della Seconda guerra mondiale, venne pubblicata una prima volta in formato ridotto e in sole sedici copie non destinate al commercio nel 1941, poi in una seconda edizione del 1943 – andata persa nelle concitate fasi belliche – e infine vide la luce definitiva edita dalla CEDAM di Padova nel 1954. Quasi quarant’anni dopo, la Società Dalmata di Storia Patria di Venezia – che tra l’altro, nel 2009, nel cinquantenario della morte del prestigioso esponente della cultura e della storiografia dalmate italiane, ha pensato di ricordarne la figura promuovendo nella città lagunare il convegno “Giuseppe Praga storico dalmata, da Zara a Venezia”– la riproporrà nuovamente. Così nel 1981 la casa editrice dall’Oglio di Varese darà alle stampe il lavoro di Giuseppe Praga in un’edizione arricchita da un’appendice appositamente curata dallo storico fiumano Mario Dassovich, che per l’occasione trattò la storia dalmata dal 1870 al trattato di pace di Parigi del 1947, ossia il periodo non coperto da Praga. La struttura dell’opera è di tipo cronologico, suddivisa in tre grandi capitoli, a loro volta suddivisi in vari paragrafi, che vanno dalla colonizzazione greca e dalla conquista romana (385 a.C.- 9 d. C.) al Risorgimento. “Una Storia a tesi, per forza. È ciò che gli italiani di Dalmazia avrebbero voluto che della loro terra si raccontasse. Praga ha assecondato questo bisogno, cercando di convincere nel contempo la nazione madre che la Dalmazia era terra integrante dell’Italia – rileva Ivetic nel suo intervento all’interno del volume SDSP-CRS, che non comprende il fondamentale contributo dello storico zaratino sulla sua regione –. Eppure, la periodizzazione, l’impalcatura, della ‘Storia di Dalmazia’, nelle sue linee essenziali, rimane interessante ancora oggi. Si può dire che il capolavoro del Praga sembra un romanzo: il romanzo della Dalmazia”. “Oggi sono maturi i tempi per scrivere una nuova, completamente diversa, storia della Dalmazia”, conclude Ivetic. Panorama 39 libri fCostante confronto “E poi, infine, a rileggere le rassegne sulla storiografia relativa ai paesi balcanici, le schermaglie con i paleografi Vjekoslav Novak e Mihovil Barada, scritti che oggi ci testimoniano un’epoca, non possiamo non riflettere su che cosa ha significato fare storia ai confini d’Italia in modo attivo, militante. In fin dei conti, Praga, in un costante confronto con la concorrente storiografia croata, ha ricostruito quella che secondo lui era l’Italia dei confini, un’Italia a parte, ma non meno importante del centro, attraverso tutte le fasi storiche, attraverso le varie sedimentazioni culturali di una romanità, a suo parere, inestinguibile, in perenne rinnovamento. In questo fare storia, Praga ancora oggi impressiona i contenuti dei tre tomi Scorriamo l’indice dei tre tomi che racchiudono l’opera di Praga, ai quali si affiancano anche saggi di altri autori (si vedano, ad esempio, Alessandro Dudan e la sua “La Dalmazia nell’Arte italiana”, i cenni sulla costituzione della Società di Storia Patria per la Dalmazia, la “Storia dell’isola di Cherso-Ossero dal 476 al 1409” di Silvio Mitis, i cenni su vita e cultura italiana nel mondo slavo). Al centro della sua attenzione è in primis il microcosmo di Zara, gli eventi che ne hanno plasmato il passato e l’eredità storico-culturale, i suoi protagonisti; ma vi troviamo pure diversi riferimenti su Spalato, Sebenico e Arbe, dove il Nostro trascorse i primi anni della sua carriera di ricercatori. Ma seguiamo la struttura di questi “Scritti sulla Dalmazia”, prodotti tra il 1923 e il 1956 e riproposti rispettando l’ordine cronologico e lo stile originario delle note e della buibliografia indicati dallo stesso Praga. Dunque, dello studioso zaratino troviamo, nel primo tomo – dopo la premessa degli editori, l’introduzione del curatore e altri tre testi –, un contributo su Beatrice Speraz (1843-1923), attiva emancipazionista, fervida sostenitrice del 40 Panorama – ribadisce Ivetic – per le sue conoscenze del mondo posto subito oltre la sua frontiera, per le precise conoscenze linguistiche in ambito della slavistica, per un senso dello spessore del fatto storico e dell’interpretazione della fonte, anche in chiave comparativa, con altri luoghi d’Europa”. “Non ci sono solo la Dalmazia e le terre contigue, ma anche l’Adriatico da Bari a Venezia, un Adriatico (e dunque Mediterraneo ed Europa) costantemente percorso, attraversato dalle genti che ci vivono, romagnoli o marchigiani, notai o militari in Dalmazia, e dalmati che fanno il tragitto inverso – sottolinea il professore –. E sono in definitiva le fonti, che in questi Scritti costituiscono una parte notevole, che ci rivelano mondi, parole, nomi ormai remoti, testimonianze del- Un cofanetto che racchiud diritto femminile al voto, all’istruzione e alla parità salariale, traduttrice, giornalista e non da ultimo, scrittrice feconda di una produzione letteraria varia e intensa che si presentò al pubblico (come fecero tante altre autrici donne) con lo pseudonimo maschile di Bruno Sperani. Seguono: “Di Niccolò Tommaseo traduttore”; “Scuole e maestri in Arbe nel Medioevo e nel Rinascimento”; “Zaratini e Veneziani nel 1190. La battaglia di Treni”; “Bibliografia dalmata”; “La mariegola della Confraternita di San Marco in Zara (1321)”; “La ‘Storia di Cherso-Ossero dal 476 al 1409’ di Silvio Mitis”; “Guida di Zara”; “Vicende quattrocentesche del Palazzo di Diocleziano a Spalato”; “Baiamonte Tiepolo dopo la congiura. Con appendice di documenti inediti”; “La storia di Arbe in una recente monografia”; “Studi jugoslavi di paleografia e diplomatica”; “I Assemblea generale della Società Dalmata di Storia Patria (Statuto, Atti, Verbale)”; “Testi volgari spalatini del Trecento”; “Note di bibliografia dalmata”; “La Dalmazia nella storiografia croata”; “Alcuni documenti su Giorgio da Sebenico: I. La cappella di Santa Maria delle Grazie in S. Francesco di Zara”; “Giuseppe Sa- balich (necrologio e bibliografia)”; “Arbe nella storia dell’arte, delle lettere e del pensiero italiano”; “Documenti intorno ad Andrea Alessi”; “Giovanni Smirich (necrologio e bibliografia)”; “Documenti trecenteschi d’interesse triestino e istriano nell’archivio dei Francescani di Zara”; “Lo ‘Scriptorium’ dell’abbazia benedettina di San Grisogono in Zara”. A comporre il secondo tomo sono i seguenti testi: “Della patria e del casato di Andrea Meldola”; “Documenti intorno all’Arca di San Simeone in Zara e al suo autore Francesco da Milano”; “Un poemetto di Alvise Cippico sulla guerra di Ferrara del 1482”; “Un prestito di Francesco il Vecchio da Carrara al Comune di Zara (1366)”; “La traslazione di San Niccolò e i primordi delle guerre normanne nell’Adriatico”; “L’arcivescovo di Spalato fra Zanettino da Udine e il priorato benedettino di San Leonardo di Padova”; “Documenti su Giorgio da Sebenico: II. Gli angioli della scuola di Agostino di Duccio nella Cattedrale di Sebenico”; “Il tempio di San Donato di Zara”; “Il San Donato e i nostri interessi storici”; “La suppellettile serica ed aurea dell’Arca di San Simeone in Zara”; “Indagini e la contiguità del mare Adriatico, che l’età delle nazioni ha poi cancellato”. Tracce che i giuliano dalmati esuli e rimasti ora hanno recuperato. Consegnadole a tutta la comunità: a chi vuole leggere per il piacere di farlo, ma anche e forse soprattutto a quanti vorranno approfondire il discorso storiografico, trovando in un unico luogo fonti e riferimenti dai quali iniziare il proprio cammino con strumenti aggiornati ai più recenti sviluppi della ricerca scientifica. de autentiche perle di microstoria studi sull’umanesimo in Dalmazia: I. Il codice marciano di Giorgio Begna e Pietro Cippico”; “Indagini e studi sull’umanesimo in Dalmazia: II. Ciriaco de Pizzicolli e Marino de Resti”; “La mariegola della Confraternita di Sant’Eufemia di Arbe”; “I leoni di Traù”; “Maestri a Spalato nel Quattrocento”; “Tomaso Negri da Spalato umanista e uomo politico del secolo XVI”; “Una ‘Descriptio Europae Orientalis’ del 1308 e le caratteristiche delle fonti. Per la storia delle crociate nel secolo XIV”; “Resistenze europee all’imperialismo turco nei secoli XV e XVI”; “Oreficeria e incisione in Dalmazia a mezzo il Quattrocento”; “Un diploma inedito del duca Andrea Arpad e la storia di Spalato nel primo Duecento”; “Le relazioni di Niccolò Tommaseo con il musicista zaratino Giovanni Salghetti Drioli”; “L’arte sacra dalmata in una imminente mostra zaratina (15 agosto – 15 settembre 1934)”; “Vitaliano Brunelli (1848 - 1922)”; “Note di storia benedettina. Il monastero di San Pietro in Istmo sull’isola di Pago”; “Lo ‘scriptorium’ di San Grisogono in Zara. Nota polemica”; “Studi e documenti sul Risorgimento italiano in Dalmazia. La spedizione garibaldina del 1860”; “L’itinerario dalmata di Amedeo VI di Savoia, il Conte Verde (13661367)”; “Indagine e studi sull’umanesimo in Dalmazia. Il lexicon di Elio Lampridio Cerva”. “Zara nel Rinascimento” apre la terza e ultima parte di questo cofanetto, che racchiude ancora: “Lettere di Pier Alessandro Paravia e di Francesco Maria Appendini a Niccolò Giaxich”; “Antichi inventari del tesoro di San Doimo di Spalato”; “Storiografia dei paesi balcanici”; “L’organizzazione militare della Dalmazia nel Quattrocento e la costruzione di Castel Cippico Vecchio di Traù”; “L’opera letteraria di Antonio Guidi vescovo di Traù (c. 1530 - 1604)”; “Atti e diplomi di Nona (1284 - 1509)”; “Poesie latine inedite di Marco Marulo da Spalato (1450 1524)”; “Poesie di Pascasio da Lezze, Tranquillo Andronico e Marino Statilio in onore di patrizi di Casa Cippico”; “La difesa di Zara in un diario militare del 1571”; “La biblioteca comunale ‘Paravia’ di Zara”; “Note bibliografiche di storia orientale e balcanica. Serie prima (Bratianu, Gegaj, Seton-Watson)”; “Il ritorno di Niccolò Tommaseo dal primo esilio”; “Di un’edizione svizzera del 1513 di Marco Marulo”; “La leggenda di S. Ilarione a Epidauro in Adelmo scrittore anglosassone del secolo VII”; “Note bibliografiche di storia orientale e balcanica. Serie seconda (Banfi, Berza, Nitti, Šišić)”; “Nuovi documenti su Alvise Cippico”; “La topografia del castello e dell’isola di Malconsiglio presso Zara”; “Le rime amorose di Giorgio Bisanti da Cattaro”; “Battista da Arbe fonditore dalmata del Cinquecento”; “Un carme di Giovanni Aurelio Augurello per Alvise Cippico”; “Bernardino Gallelli da Zara vicario e officiale generale di Cracovia (1509 - 1517)”; “Lo stato attuale degli studi sull’Albania e i compiti della storiografia italiana”; “Il vescovado albanese al principio del secolo XVI”; “Di alcuni fonditori dalmati dei secoli XVI-XVII”; “Arnolfo Bacotich”; “La chiesa di Roma e i Croati”; “Index auctorum latinitatis italicae medii aevi antiquioris supplementum dalmaticum”; “Documenti del 1848-1849 a Zara e in Dalmazia”; “Guido Matafari statista zaratino del Trecento”; “Un amico di Dante nella cancelleria del comune di Zara. Minghino Mezzani”; L’evangeliario dei sacramenti di Zara (XI sec. ex. - 1117)”. Chiudono le riflessioni di Egidio Ivetic su “Medioevo adriatico orientale e Giuseppe Praga” . Panorama 41 concorso Scade il 15 luglio Torna il Premio Letterario «Leone di Muggia» Siamo alla 56.esima edizione L’ Università Popolare di Trieste e il Comune di Muggia, in collaborazione con l’Unione Italiana – Fiume, bandiscono il 56° Premio Letterario “Leone di Muggia”, che si svolge con il contributo del Ministero degli Affari Esteri. Il Premio si articola in due sezioni distinte: la prima, riservata ai cittadini italiani residenti in Italia ed agli appartenenti alla Comunità nazionale italiana residenti in Slovenia e Croazia, la seconda, agli scolari e studenti del Comune di Muggia. Limite minimo d’età: 16 anni. La prima sezione, letteraria, è suddivisa in due concorsi: per una collana di almeno cinque poesie inedite in lingua italiana (non superiore ai trecento versi complessivi); per un racconto inedito in lingua italiana, che non superi le 20 cartelle dattiloscritte (in corpo 12). In palio, rispettivamente per la lirica e per la narrativa, un primo premio lordo di 1.500, un secondo di 1.000 e un terzo premio di 500 euro (gli importi sono al lordo). Sono previste, inoltre, segnalazioni per le opere particolarmente meritevoli. I premi sono indivisibili e non possono essere assegnati a concorrenti vincitori di un primo premio negli ultimi cinque anni. 42 Panorama La seconda sezione riguarda un compito scritto in lingua italiana su argomento fissato dalla Commissione giudicatrice. Il tema medesimo dovrà essere svolto nei locali delle diverse scuole di Muggia. Al concorso possono partecipare gli alunni delle due ultime classi della scuola elementare e gli studenti della scuola media inferiore del Comune di Muggia. Per questi concorrenti sono previsti premi consistenti in buoni acquisto di libri in ragione di tre premi per ogni gruppo di classi parallele e in una medaglia in vermeil, una medaglia d’argento e una medaglia di bronzo per i primi tre classificati di ogni categoria, e, inoltre, a discrezione della giuria, l’assegnazione di ulteriori premi. La Presidenza dell’Università Popolare nominerà una giuria competente per ciascuna delle due sezioni di concorso. La giuria della prima sezione (letteraria) sarà formata da cinque membri, di cui uno Presidente e uno Segretario. Uno dei membri di questa giuria sarà designato dal Comune di Muggia e uno dall’Unione Italiana – Fiume. La giuria della seconda sezione (scolari e studenti di Muggia) sarà formata da nove membri, di cui uno Presidente ed uno Segretario. Le decisioni delle Commissioni giudicatrici sono inappellabili. L’esito delle decisioni verrà comunicato solo ai vincitori. La presentazione dei lavori per il concorso letterario (prima sezione) dovrà essere effettuata in sei copie dattiloscritte contrassegnate da un motto e accompagnate da una busta chiusa con la ripetizione del motto all’esterno e, all’interno, l’indicazione del nome, cognome e indirizzo del concorrente. Nella busta chiusa i concorrenti accluderanno una loro sintetica biografia. In caso di vittoria o di segnalazione la giuria si riserva di pubblicarla sul sito web del Premio. È lasciata ai partecipanti la scelta se accludere nella busta chiusa l’indirizzo e-mail o il loro sito web per la pubblicazione nel sito del Leone di Muggia in caso di vittoria o segnalazione. I partecipanti danno inoltre il loro consenso alla pubblicazione degli elaborati presentati sul sito web del Premio. I lavori presentati non verranno restituiti. Solo i lavori presentati formalmente in modo corretto saranno inviati alla Commissione giudicatrice, previo controllo da parte della Segreteria dell’Ente. Gli autori degli elaborati non presentati correttamente saranno avvisati e potranno ripresentare i lavori, rispettando comunque le scadenza stabilita per la consegna degli elaborati. Il termine ultimo per la presentazione dei dattiloscritti alla Segreteria Generale dell’Università Popolare, in piazza del Ponterosso n. 6, 34121 Trieste, è fissato al 15 luglio 2015. Le premiazioni avranno luogo a Muggia in data da destinarsi, entro l’anno. Per ulteriori informazioni, gli interessati possono rivolgersi alla sig.ra Susanna Isernia (UPT), in orario d’ufficio: dal lunedì al venerdì, dalle 8 alle 14 (tel. 0039 040 6705206; fax 0039 040 631967; e-mail: [email protected]). arte ccUmberto Boccioni morì dopo un anno in seguito alla caduta di un cavallo imbizzarrito durante un’ esercitazione militare Al MART, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, fino al 20 settembre una mostra di un chilometro di opere d’arte documenti storici, installazioni, fotografie, manifesti, illustrazioni di propaganda, giornali, cartoline, santini La guerra che verrà non è la prima di Erna Toncinich C ome funghi dopo la pioggia. Finita la prima guerra mondiale, l’Italia, che nei quarantun mesi di belligeranza, sebbene “inferiore per uomini e per mezzi” ne esce vittoriosa, si vede “adornare” la penisola, da nord a sud, di monumenti pubblici, testimonianze doverose per onorare la memoria dei propri figli che hanno immolato la vita per la Patria. Dall’obelisco o dalla semplice lastra marmorea al monumento imponente e complesso, un’ ampia e svariata tipologia di soluzioni. Pregevoli e meno. E se nel dopoguerra l’attività di architetti e scultori è molto vivace proprio in questo settore, durante il conflitto sono i pittori che hanno voce in capitolo: dipinti, disegni, incisioni, acqueforti ed altro documentano per bene la vita dei soldati italiani nei tre anni di guerra. E sono personaggi dell’ arte italiana più o meno noti che ci lasciano le testimonianze visive oggi in gran numero conservate nel Panorama 43 arte Museo centrale del Risorgimento, il superdenigrato Altare della Patria o Vittoriano di Giuseppe Sacconi, definito ora “coppa di panna montata”, ora “macchina da scrivere”. Il Primo conflitto mondiale è già iniziato da un anno quando anche l’Italia dichiara guerra all’impero austroungarico che già da tempo è in fase di declino. Alla Patria che chiama rispondono prontamente numerosi pittori del tempo, primi tra tutti quelli che hanno abbracciato il movimento futurista. “Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo...” predicava il profeta Filippo Tommaso Marinetti, che pochi anni prima aveva stilato il programma del futurismo, movimento esclusivamente italiano dell’arte moderna. Tra i primi ad arruolarsi sono il pittore e scultore Umberto Boccioni e l’architetto Antonio Sant’Elia, che dopo un solo anno perderanno la vita, il pittore calabrese in seguito alla caduta di un cavallo imbizzarrito durante un’ esercitazione militare, l’architetto comasco nel corso di un’azione di guerra. Anche Mario Sironi, tra i maggiori artisti del Novecento, vive la guerra in prima persona, con tanti altri artisti si arruola come membro del “battaglione volontario ciclisti” e nessun altro pittore-soldato produr- ccCartella di dodici litografie di Anselmo Bucci rà quanto lui documenti figurativi della vita militare del tempo e in una larga varietà di tecniche e di soggetti figurativi - oltre al disegno a matita e china, ad acquerello, tempera, olio, collage, in xilografia ecc., ritratti di commilitoni, vignette e caricature per vari giornali del tempo. Aldo Carpi, milanese, assidua presenza della Biennale di Venezia, pittoresoldato imbarcato sull’incrociatore San Marco, prende parte a delle azioni militari per Fiume, Pola e Durazzo, partecipazioni che diventeranno i temi di alcuni suoi lavori. A quasi ccUna delle litografie di Bucci 44 Panorama sessant’anni di età va a combattere un altro pittore, Lodovico Pogliaghi, pure lui milanese, artista poliedrico, pittore, architetto, scultore (opera sua è la porta centrale del Duomo di Milano), decoratore che opera nel già citato Vittoriale. Autore di numerosi disegni, scene di vita militare rese molto efficacemente, è il goriziano Italico Brass, presente a numerose edizioni della Biennale veneziana, ad una di queste addirittura con una quarantina di opere. Più che la pittura ad olio è la litografia, come altre tecniche grafiche in gene- ccMonumento ai caduti della I Guerra Mondiale rale, che fungono da veicolo privilegiato per la diffusione delle immagini. Anselmo Bucci, marchigiano, noto come incisore, formatosi all’Accademia di Brera e nei prolungati soggiorni a Parigi, uno dei fondatori del movimento artistico Novecento, movimento che guarda alle epoche storiche del Quattro e Cinquecento italiani, a conflitto concluso realizza una cartella di dodici litografie, Finis Austriae, immagini del passato di un impero austroungarico sconfitto e di una Italia vittoriosa.Tra i pittori che prendono parte alla grande guerra, da ricordare, tra quelli più rilevanti e quasi al completo seguaci della dottrina marinettiana, Massimo Campigli, fiorentino, con lunghi soggiorni a Parigi, ammiratore di Picasso, oltre che pittore, corrispondente dalla capitale francese del Corriere della Sera; Giacomo Balla, tra i maggiori rappresentanti del futurismo e maestro di alcuni pittori che per periodi più o meno lunghi seguono la corrente futurista, come Carlo Carrà, uno dei novatori della pittura italiana del Novecento; Fortunato Depero, il protagonista dell’Aeropittura, Gerardo Dottori, perugino, seguace anch’ egli della stessa tendenza moderna, poi Lorenzo Viani, Tommaso Cascella, Amos Scorzoni, Achille Funi, ecc. Ma non è solo il Vittoriale a offrire al pubblico testimonianze visive della Grande Guerra, né a ricordare l’importante centenario. Nel nord della Penisola c’è il MART, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, che fino al 20 settembre prossimo invita a La guerra che verrà non è la prima. E che si tratti di una mostra davvero imponente parla chiaramente il suo lunghissimo percorso espositivo. Un chilometro di opere d’arte (anche di artisti menzionati più sopra), di documenti storici, di installazioni, fotografie, manifesti, illustrazioni di propaganda, giornali, cartoline, santini, ecc. “La più importante mostra d’ Europa sul tema”, lo ha detto il ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo italiano, Dario Franceschini. ccMario Sironi nessun altro pittore-soldato produrrà quanto lui documenti figurativi della vita militare del tempo ccAltro quadro di Mario Sironi Panorama 45 psicologia di Denis Stefan L a perdita di una persona cara o del lavoro, una malattia o un incidente gravi sono esempi di esperienze di vita che possono turbare gli equilibri psicologici di una persona; in coincidenza di questi eventi sono in molti a provare emozioni forti ed un senso di profonda incertezza. Generalmente, col tempo, le persone trovano il modo di adattarsi bene a queste situazioni.Ma cos’è che consente l’adattamento alle avversità? Appunto la “resilienza”. Resilienza (come pure il termine stress) è un termine derivato dalla scienza dei materiali e indica la proprietà che alcuni materiali hanno di conservare la propria struttura o di riacquistare la forma originaria dopo essere stati sottoposti a schiacciamento o deformazione. In psicologia connota proprio la capacità delle persone di far fronte agli eventi stressanti o traumatici e di riorganizzare in maniera positiva la propria vita dinanzi alle difficoltà. Le persone resilienti sono coloro che immerse in circostanze avverse riescono, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e anche a raggiungere mete importanti. L’esposizione alle avversità sembra rafforzarle piuttosto che indebolirle. Esse tendenzialmente sono ottimiste, flessibili e creative; sanno lavorare in gruppo e fanno facilmente tesoro delle proprie e delle altrui esperienze. Si può concepire la resilienza come una funzione, anche modificabile nel tempo in rapporto con l’esperienza, i vissuti e, soprattutto, con il modificarsi dei meccanismi mentali soggiacenti. fIstintivi e cognitivi Proprio per questo troviamo capacità resilienti di tipo istintivo: caratteristico dei primi anni di vita quando i meccanismi mentali sono dominati da egocentrismo infantile; personologico-emotivo che rispecchia i tratti della personalità e la maturazione affettiva, i valori individuali e socioculturali e la socializzazione; cognitivo: legate all’uso delle capacità intellettive razionali. Da queste considerazioni, si può dedurre che una resilienza adeguata è il risultato dell’integrazione di elementi istintivi, affettivi, emotivi e cognitivi. In questo 46 Panorama La resilienza - resi modo, la persona “resiliente” può essere considerata quella che ha avuto uno sviluppo psicoaffettivo e psicocognitivo sufficientemente integrati, sostenuti dall’esperienza, da capacità mentali sufficientemente valide, dalla possibilità di giudicare sempre non solo i benefici, ma anche i conflitti e le interferenze emotivo-affettive che si realizzano nel rapporto con gli altri. La resilienza è una capacità che può essere parzialmente appresa soprattutto grazie alla qualità degli ambienti di vita e i contesti educativi, qualora sappiano promuovere l’acquisizione di comportamenti resilienti. Secondo Susanna Kobasa, una psicologa dell’università di Chicago, le persone che meglio riescono a fronteggiare le contrarietà della vita, quelle più resilienti appunto, mostrano contemporaneamente tre tratti di personalità: l’impegno; il controllo; il gusto per le sfide. Per impegno s’intende la tendenza a lasciarsi coinvolgere nelle attività. La persona con questo tratto si dà da fare, è attiva, non è spaventata dalla fatica; non abbandona facilmente il campo; è attenta e vigile, ma non ansiosa; valuta le difficoltà realisticamente. Perché ci sia impegno è necessario avere degli obiettivi, qualcosa da raggiungere, per cui lottare e in cui credere. Per controllo s’intende la convinzione di poter dominare in qualche modo ciò che si fa o le iniziative che si prendono, ovvero la convinzione di non essere in balia degli eventi. La persona con questo tratto per riuscire a dominare le diverse situazioni della vita è pronta a modificare anche radicalmente la strategia da adottare, per esempio, in alcuni casi intervenendo con grande tempestività, in altri casi indietreggiando, prendendo tempo, aspettando. L’espressione gusto per le sfide fa riferimento alla disposizione ad accettare i cambiamenti. La persona con questo tratto vede gli aspetti positivi delle trasformazioni e minimizza quelli negativi. Il cambiamento viene vissuto più come incentivo a crescere che come difficoltà da evitare a tutti i costi, Il fenomeno ovvero la capacità delle persone di far fronte agli eventi stressanti o traumatici e di riorganizzare in maniera positiva la propria vita dinanzi alle difficoltà è diventato attuale anche nei Tribunali istere alle avversità e le sfide vengono considerate stimolanti piuttosto che minacciose. La persona generalmente è aperta e flessibile. fImpegno, controllo e gusto Impegno, controllo e gusto per le sfide sono tratti di personalità di cui si può avere consapevolezza e perciò possono essere coltivati e incoraggiati. Nella ricerca della strategia più idonea per migliorare il proprio livello di resilienza può essere d’aiuto focalizzare l’attenzione sulle esperienze del passato cercando di individuare le risorse che rappresentano i punti di forza personali. Un sistema che facilita l’individuazione delle risorse personali è quello di cercare di fornire risposte a queste semplici domande: • quali eventi sono risultati particolarmente stressanti per me? • in che maniera questi eventi mi hanno condizionato? • nei momenti difficili ho trovato utile rivolgermi a persone per me significative? • nei momenti difficili quanto ho appreso di me stesso e del mio modo d’interagire con gli altri? • è risultato utile per me fornire assistenza a qualcuno che stava attraversando momenti difficili come quelli da me sperimentati? • sono stato capace di superare le difficoltà ed, eventualmente, in che modo? • che cosa mi ha consentito di guardare con maggiore fiducia al mio futuro? In questi ultimi anni, la resilienza è stata oggetto di una serie di studi e di riflessioni della comunità scientifica che le hanno consentito di affrancarsi dal novero astratto entro cui si collocava, per diventare prassi e anche studio di metodologia di lavoro per tutte quelle professioni che vengono a contatto con situazioni di crisi delle famiglie, o di minori che hanno vissuti vere e proprie condizioni traumatiche: terremoti, violenza, guerra, abbandono, maltrattamento, abuso sessuale fL’arte di navigare sui torrenti Secondo Boris Cyrulnik, psichiatra e psicanalista, docente all’Università di Tolone (Francia) la resilienza “è l’arte di navigare sui torrenti. Un trauma sconvolge il soggetto trascinandolo in una direzione che non avrebbe seguito. Ma una volta risucchiato dai gorghi del torrente che lo portano verso una cascata, il soggetto resiliente deve ricorrere alle risorse interne impresse nella sua memoria, deve lottare contro le rapide che lo sballottano incessantemente. A un certo punto, potrà trovare una mano tesa che gli offrirà una risorsa esterna, una relazione affettiva, un’istituzione sociale o culturale che gli permetteranno di salvarsi. La metafora sull’arte di navigare i torrenti mette in evidenza come l’acquisizione di risorse interne abbia offerto al soggetto resiliente fiducia e allegria. Se osserviamo gli esseri umani nel loro “divenire”, constateremo che chi è stato privato di tali acquisizioni precoci potrà metterle in atto successivamente, pur con maggiore lentezza, a condizione che l’ambiente umano, consapevole di come si costruisce un temperamento, offra al soggetto ferito qualche tutore di resilienza”. Il termine resilienza è stato mutuato dalla fisica per indicare “la capacità di riuscire, di vivere e svilupparsi positivamente, in maniera socialmente accettabile, nonostante lo stress o un evento traumatico che generalmente comportano il grave rischio di un esito negativo. Certo, al momento del trauma, si vede solo la ferita. Sarà possibile parlare di resilienza soltanto molto tempo dopo. Essere resilienti è più che resistere, significa anche imparare a vivere. Purtroppo, costa caro”. Quando la ferita è aperta, siamo orientati al rifiuto. Per tornare a vivere, non dobbiamo pensare troppo alla ferita. “Con il distacco dato dal tempo, l’emozione provocata dal trauma tende a spegnersi lentamente lasciando nei ricordi soltanto la rappresentazione del trauma.” Il fenomeno della resilienza, ovvero la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici e di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà è diventato oggi sempre più motivo di interesse e di approfondimento non solo per addetti ai lavori nel campo della psicologia e della cura, anche nelle aule dei Tribunali. Alla prossima vedremo un po’ cosa ci dicono gli studi psicologici sulla resilienza. Panorama 47 tecnologia a cura di Nerea Bulva I l “New York Times” c’è, lo ha confermato il suo Ceo: alcuni articoli saranno pubblicati direttamente su Facebook. L’operazione è stata annunciata con entusiasmo da uno dei manager del social network, che in un post mostra come sarà la sezione in cui leggeremo notizie e commenti. Si chiama “Instant Article” e il quotidiano della Grande Mela non è il solo ad aver aderito, “non senza qualche ansia in redazione”. fAlla ricerca dei lettori Forse in futuro i giornalisti lavoreranno direttamente per Facebook, ed è per questo che l’accordo fra il “New York Times” e il gigante di Menlo Park ha causato reazioni opposte in redazione. Mark Thompson, Presidente e Amministratore delegato del quotidiano, sostiene l’operazione rassicurando: “Il NYT è sempre andato a cercare i lettori là dove si trovano e gran parte delle notizie oggi viaggiano su Facebook”. Allo stesso tempo la maggior parte dei commenti e del traffico del social vengono generati da argomenti di attualità contenuti in articoli che condividiamo. fPiù veloce e più interattivo Oggi il post pubblicato sul social rimanda alla pagina del giornale su cui poi sarà letta la notizia. Questa operazione necessita di qualche secondo (fino ad un massimo di otto). Con la nuova modalità, l’obiettivo è eliminare l’attesa e rendere immediato l’accesso al testo. Ma non solo: “Instant Article” conterrà anche video e foto, proprio come una pagina web di un quotidiano, ma con delle caratteristiche in più: la velocità, la presenza di video che partono in automatico, l’interattività, la possibilità di mettere “like” (il pollice in su che già usiamo per i normali post) e di commentare anche a singole parti 48 Panorama del contenuto. La modalità sarà disponibile immediamente per mobile, dove l’ottimizzazione e la grafica sono state programmate per essere più leggere e immediate. fLa sfida economica I primi ad aderire, oltre al quotidiano di New York, sono stati altri otto grandi media: “National Geographic”, “BuzzFeed”, “NBC”, “The Atlantic”, gli inglesi “The Guardian” e “BBC News” e i tedeschi “Spiegel” e “Bild”. Non si sa dove porterà questa operazione, in primo luogo per una questione di pubblicità. Il product manager di Facebook, Michael Reckhow, spiega che “Instant Article” renderà più facile per gli editori creare spazi per le inserzioni pubblicitarie, ma non è chiaro quanto del ricavato dalla lettura di un articolo andrà alla testata e quanto al social network. Oltre ad una questione di monopolio del mercato, l’avvenimento segna uno spartiacque nel mondo del giornalismo, perché pone domande sulla libertà di stampa. Thompson, Ceo del NYT, ha però spiegato la ragione economica di questa scelta: “La app per mobile che il nostro quotidiano aveva creato non ha creato gli effetti sperati. Il ‘Times’ sta mettendo il suo destino nelle mani di Facebook”. E non solo lui. New York Times, B Facebook sposa Bbc, Spiegel e Guardian: a il giornalismo online Con l’applicazione Instant Article i grandi giornali pubblicheranno articoli direttamente sul social network. I benefici per gli editori saranno nel «controllo sui contenuti» e nella possibilità di tenere per sé tutti i ricavi pubblicitari (se venduti con proprie risorse) o parte di essi (se venduti tramite Facebook Panorama 49 C’ è chi ce l’ha e ne abusa, trasformando la casa in una ghiacciaia; chi non ce l’ha e se la sogna di notte, mentre si rigira nel letto cercando l’angolo più fresco di cuscino: l’aria condizionata, croce e delizia della stagione afosa appena iniziata, se non utilizzata con criterio rischia di trasformare le nostre bollette della luce nel conto di un resort a cinque stelle, e di causare un surplus di consumi di energia elettrica. Come rinfre- Stratagemm fuori dalle mur Con l’arrivo dell’estate anche il cald all’interno dell’ambiente domestico fronte a questo problema Perché in città fa più caldo che fuori? I climatologi hanno coniato per le città il termine di isola di calore: la temperatura urbana, nei mesi estivi, può superare di tre gradi quella delle campagne circostanti. La prima causa di questo fenomeno è l’assenza di vegetazione. 50 Panorama Le piante infatti fanno ombra. In più la fotosintesi è una reazione che consuma calore, sottraendolo all’ambiente esterno. In città poi si accumula molto calore perché i materiali utilizzati per gli edifici e le strade sono scuri e assorbono i raggi solari: cemento, mattoni e asfalto hanno la tendenza a riscaldarsi durante il giorno e si raffreddano lentamente durante la notte. Rispetto poi ad un ambiente naturale che copre la stessa area, una città ha una superficie maggiore: vanno conteggiate infatti anche le facce verticali degli edifici. E i muri riflettono verso il suolo, e non verso il cielo, la maggior parte della radiazione solare che li colpisce. Infine le temperature salgono per l’effetto canyon: i palazzi alti e molto vicini creano corridoi verticali all’interno dei quali la radiazione viene intrappolata da una serie di riflessioni multiple tra una parete e l’altra. L’effetto isola di calore è maggiore qualche ora dopo il tramonto, soprattutto perché la campagna inizia prima a raffreddarsi. Durante la notte la differenza tra città e campagna è meno evidente: mentre all’alba il primo sole riesce a scaldare più facilmente la vegetazione, gli edifici per qualche ora restano più freddi. Nelle città però gran parte del calore proviene anche dalle attività umane: automobili, condizionatori, elettrodomestici. Perfino ciascuno di noi dà il proprio contributo: ogni metro quadro di superficie della nostra pelle emana calore, e dieci persone in una stanza scaldano come una stufetta da 1000 watt. In alcune località l’energia immessa nell’atmosfera con le attività umane, è 3,4 volte maggiore di quella dovuta alla radiazione del sole. in casa scare la casa utilizzandola il meno possibile? E come sopravvivere al grande caldo se non possediamo un impianto? Ecco il decalogo basic per affrontare la calura estiva. Risparmiate voi. E risparmia l’ambiente. trosenso, ma servirà a non far entrare aria umida e pesante in casa. Spalancate i vetri, invece, nelle prime ore del mattino o - sicurezza permettendo - di notte: rinfrescherete le stanze. 1 - Abbassate le tapparelle o chiudete le persiane nelle ore più calde del giorno, in modo da creare ombra e riparare la casa dai raggi solari. Durante i picchi d’afa chiudete anche le finestre: può sembrare un con- 2 - Dove possibile, montate delle tende o un ombrellone da balcone: tenendole aperte ricaverete un avamposto ombreggiato alle finestre di casa, e nei momenti meno caldi potrete passare qualche ora all’aperto. mi per lasciare l’afa ra domestiche do oppressivo si introduce o. Esistono contromisure per far 3 - Se possedete un piccolo spazio esterno, una terrazza, un balcone o un giardino, specie se sul lato più esposto e assolato della casa, riempitelo di piante e rampicanti, aiuteranno a schermare e assorbire parte del calore. 4 - Cercate di non creare ulteriore umidità all’interno della vostra abitazione: fate il bucato e la doccia nelle ore più fresche, per evitare che condensa e vapore peggiorino la situazione. 5 - Spegnete tutti gli elettrodomestici che non usate: oltre a consumare energia, riscaldano l’ambiente. 6- Niente phon, forno, luci intense, asciugatrice: fa già molto caldo, non facciamoci del male! Anche a luci spente la casa sarà luminosa fino a tardi, sono le giornate più lunghe dell’anno. 7 - Consumate cibi freschi e ricchi d’acqua. Soprattutto, limitate all’essenziale l’utilizzo del piano cottura. 8 - Coibentate la vostra abitazione. Se avete un solaio o un sottotetto, isolate le superfici più esposte ai raggi solari. 9 - Per le tende da interno, preferite il bianco, che aiuta a riflettere i raggi solari. 10 - Se anche con tutti questi accorgimenti non resistete al caldo, optate per un ventilatore portatile o a pale. A parità di utilizzo, un ventilatore portatile consuma circa 15 volte meno di un condizionatore medio. Per gli irriducibili dell’aria condizionata: accendete l’impianto solo nelle ore più calde e spegnetelo se uscite di casa. Ricordatevi di chiudere le finestre, per mantenere il fresco in casa, e non impostatelo a più di 6 gradi al di sotto della temperatura esterna (la temperatura ideale in casa è di 24-25 °C, anche se si usa il condizionatore). Panorama 51 multimedia a cura di Igor Kramarsich D opo il recente annuncio di Microsoft che finalmente ha dichiarato pubblicamente la data di uscita di Windows 10, milioni di utenti si preparano per l’aggiornamento al nuovo sistema operativo. Ad ogni modo però in tanti hanno ancora alcuni dubbi riguardo l’aggiornamento a Windows 10. Tanti i dubbi a cui bisogna far chiarezza e arrivare così pronti e sicuri alla sua uscita. Ecco tutte le risposte di Guidami.info: Quando esce Windows 10? “Microsoft lancerà ufficialmente in tutto il mondo e per tutti gli utenti la versione stabile di Windows 10 il prossimo 29 Luglio 2015”. Il mio PC può essere aggiornato a Windows 10 gratuitamente? “Per poter aggiornare a Windows 10 è necessario che sul proprio computer sia attualmente installato Windows 7 SP1 oppure Windows 8.1 Update 1; per cellulari e tablet deve essere installato Windows Phone 8.1. L’aggiornamento è gratis se verrà effettuato entro un anno dalla data di uscita del sistema operativo (ovvero entro il 28 Luglio 2016)”. In quali casi si deve pagare per installare Windows 10? “Come appena detto solo chi possiede Windows 7 SP1 oppure Windows 8.1 Update 1 o Windows Phone 8.1 potrà aggiornare gratis a Windows 10 entro un anno dalla data di uscita di quest’ultimo. Si dovrà invece pagare se: - si decide di aggiornare Windows 7 SP1 o Windows 8.1 Update 1 dopo il termine della promozione gratuita - sul proprio computer è installato un sistema operativo diverso da Windows 7 SP1 o Windows 8.1 Update 1, dunque non qualificato alla ricezione dell’aggiornamento gratuito. Microsoft ha rivelato anche i prezzi di Windows 10 che nell’edizione Home costa 119 dollari e in versione Pro 199 dollari”. Come si fa l’aggiornamento a Windows 10? “Quando Windows 10 verrà rilasciato ufficialmente si potrà effettuare l’aggiornamento da Windows Update di Windows 7 e 8.1 (ovviamente il computer deve essere connesso a internet e Windows Update deve essere abilitato). Ma volendo già da adesso è possibile prenotare l’aggiornamento gratuito a Windows 10 con l’applicazione ‘Ottieni Windows 10’ che, come visto nel dettaglio in questo articolo, si occuperà di scaricare il nuovo sistema operativo 52 Panorama Windo Cosa sapere pri automaticamente non appena disponibile consentendo all’utente di installarlo subito al termine del download oppure in un secondo momento”. L’hardware del mio PC supporta Windows 10? “Microsoft ha pubblicato anche i requisiti hardware minimi che deve avere un computer per supportare Windows 10; nello specifico: - Sistema operativo: sul computer deve essere installata la versione più recente di Windows 7 o Windows 8 ovvero Windows 7 SP1 o Windows 8.1 Update 1; - Processore: 1 gigahertz (GHz) o superiore oppure SOC - RAM: 1 gigabyte (GB) per sistemi a 32-bit o 2 GB per sistemi a 64 bit - Spazio su disco rigido: 16 GB per sistemi a 32 bit, 20 - Windows 8.1 Pro per studenti a Windows10 Pro - Windows 8.1 Pro con Windows Media Center a Windows10 Pro - Windows Phone 8.1 a Windows 10 Mobile”. Aggiornando Windows 7 o 8.1 a Windows 10 verranno conservati tutti i dati? “Sì, aggiornando a Windows 10 verranno mantenuti tutti i file, programmi e applicazioni; è comunque possibile che alcune applicazioni e impostazioni non vengano trasferite ma in tal caso verranno preventivamente segnalate all’utente così da poter prenderne nota e installarle successivamente. Ad ogni modo per maggiore sicurezza, prima di procedere con l’aggiornamento si consiglia di effettuare una copia di backup almeno dei dati più importanti”. ows 10 ima dell’uscita GB per sistemi a 64 bit - Scheda video: DirectX 9 o versioni successive con driver WDDM 1.0 - Schermo: 1024x600”. Quale versione di Windows 10 verrà installata sul mio PC? “In base alla versione Windows 7 SP1 o Windows 8.1 Update 1 attualmente installata sul computer si potrà aggiornare a una specifica edizione di Windows 10. Più nello specifico: - Windows 7 Starter a Windows 10 Home - Windows 7 Home Basic a Windows 10 Home - Windows 7 Home Premium a Windows 10 Home - Windows 7 Professional a Windows 10 Pro - Windows 7 Ultimate a Windows 10 Pro - Windows 8.1 a Windows 10 Home - Windows 8.1 Pro a Windows10 Pro Quali funzionalità di Windows 7 e 8.1 non ci saranno su Windows 10? “Aggiornando a Windows 10, alcune funzionalità e caratteristiche di Windows 7 e 8.1 non saranno più disponibili su Windows 10. Ecco quelle che verranno deprecate: - Windows Media Center verrà rimosso - per riprodurre DVD sarà necessario installare un lettore di terze parti come ad esempio VLC - i gadget per il desktop di Windows 7 verranno rimossi - i giochi Solitario, Prato fiorito e Hearts preinstallati in Windows 7 verranno rimossi e sostituiti con le corrispondenti versioni Windows 10 - se sul PC si dispone di un’unità floppy USB per poterla utilizzare sarà necessario scaricare e installare la versione dei driver più recente agendo da Windows Update o dal sito del produttore - l’applicazione Microsoft OneDrive fornita con Windows Essentials verrà rimossa e sostituita con la nuova app universale Microsoft OneDrive”. Si può fare l’installazione pulita di Windows 10? “Sì, una volta aggiornato Windows 7 o Windows 8.1 a Windows 10 sarà possibile fare l’installazione da zero di Windows 10 in ogni momento e tutte le volte che si desidera sullo stesso dispositivo. Presumibilmente attraverso l’immagine ISO di Windows 10 che Microsoft renderà disponibile al download come è stato per Windows 8.1”. Si può tornare a Windows 7 o 8.1 da Windows 10? “Se si è effettuato l’aggiornamento a Windows 10 da Windows 7 o Windows 8.1 e non si è soddisfatti del nuovo sistema operativo si potrà fare il downgrade per tornare alla versione di Windows precedentemente installata”. Panorama 53 multimedia A lla WWDC, la Worldwide Developers Conference 2015, ossia la conferenza annuale degli sviluppatori dell’azienda di Cupertino di inizio giugno, l’Apple ha presentato le sue novità. Ecco in sintesi quelle più importanti. fOS X El Capitan Apple ha annunciato il nuovo aggiornamento software per Mac. Si chiama OS X El Capitan che rimane basato sulla grafica flat di Yosemite ma aggiunge diverse nuove funzionalità che ne semplificano e migliorano l’utilizzo. Come il supporto alle Gestures, che potremo utilizzare per eliminare email come faremmo su iPhone, la possibilità di riordinare velocemente le finestre aperte semplicemente trascinandone una in un lato, e la possibilità di dividere lo schermo in due parti utilizzando due applicazioni simultaneamente senza altre distrazioni. Migliorata anche la ricerca di Spotlight, che appare più potente e fornisce maggiori risultati, Safari e Foto. Con El Capitan, Apple introduce Metal sul Mac. Si tratta di un motore grafico molto più veloce che permetterà agli sviluppatori di realizzare giochi ancora più sorprendenti. fiOS 9 Il nuovo software di iPhone ed iPad vede un’evoluzione per Siri rap- 54 Panorama presentata dall’Assistente Proattivo. Si tratta di un sistema molto simile a Google Now, che però non basa i propri suggerimenti sui dati raccolti e caricati su internet bensì unicamente con i dati disponibili all’interno del telefono stesso. Proactive può essere utilizzato per ricordarci di determinati eventi, per suggerirci determinate azioni, applicazioni e punti di interesse in base alle nostre abitudini ed operazioni ricorrenti. Si evolve anche la tastiera QuickType, che su iPad adesso mostra nuove opzioni rapide. Sempre in merito alla tastiera, adesso potrà essere utilizzata come un trackpad semplicemente posizionando due dita sopra e trascinandole. Questo ci aiuterà a muovere il cursore o selezionare parti di testo facilmente. Su iPad viene introdotto un vero multitasking che permette di dividere lo schermo in due parti utilizzando due applicazioni contemporaneamente; infine, Picture in Picture permetterà di continuare la riproduzione di un video anche quando usciamo dall’applicazione che fornisce lo streaming. Potremo muovere il riquadro del video liberamente in qualsiasi area dello schermo ed eseguire nel frattempo altre operazioni. Su iOS 9 la batteria dura di più e si evolvono anche le applicazioni Mappe, Note, Foto, mostrando miglioramenti minori anche in Messaggi, Mail, Safari e via discorrendo. fwatchOS 2 Apple novità 2015 Sul nuovo software per Apple Watch è stato aggiunto tutto quello che gli utenti stavano chiedendo. Si parte da nuovi quadranti personalizzabili con una foto o con un album di foto. Introdotti anche bellissimi quadranti con effetti Time-Lapse. Altra importante novità riguarda un nuovo SDK che permette agli sviluppatori di realizzare applicazioni native, che funzionano anche senza iPhone e che possono sfruttare tutti i sensori dell’orologio oltre che a nuove funzioni come la riproduzione video, riproduzione e registrazione audio. Piccoli progressi riguardano inoltre l’applicazione Friends e il Digital Touch. fApple Music È un servizio che arriva il 30 giugno e sarà integrato nell’applicazione Musica di iOS. Permetterà di ascoltare brani in streaming senza limiti, di ascoltare la Radio, di ottenere consigli su nuovi brani in base alle nostre preferenze e di collegarci con gli artisti attraverso una sorta di social network integrato. Panorama 55 fioralia Ma anche il carciofo ha il suo bel fiore! di Daniela Mosena C onosciamo il carciofo soltanto quando lo vediamo sui banchi del verduraio ma il carciofo ha anche un bel fiore. Sicuramente è conosciuto per essere una pianta salutare che i Romani importarono dall’Africa e dalla Spagna; avrebbe dovuto ispirare perlomeno una piccola leggenda, considerata la sua immediata popolarità ma invece non solo fu ignorato dai mitografi, ma scomparve persino dalle tavole di molte regioni italiane fino a quando, nel 1466, Filippo Strozzi ne introdusse la coltivazione intensiva in Toscana importandone i semi dal regno di Napoli... il quale, a sua volta, li aveva avuti dai Mori: proprio per questo motivo è stata chiamata carciofo (dall’arabo kharehui), mentre in botanica se ne è usato il nome latino, Cynara cardunculus, sottospecie scolymus. Agli Arabi andalusi il carciofo ispirò un simbolo galante, come ci ricordano i versi del poeta Ben al-Talla, vissuto nell’XI secolo, nei quali il frutto, la alcachofa, è di genere femminile: Figlia dell’acqua e della terra, la sua abbondanza si offre a chi la sospetta chiusa in un castello di avarizia. Sembra, per il suo biancore e per l’inaccessibile rifugio, una vergine greca nascosta in un velo di spade. Nel nostro Paese non ha evocato immagini così delicate, come testimonia un episodio pseudostorico: con Emanuele Filiberto i duchi di Savoia avevano spostato alla metà del XVI secolo la capitale da Chambéry a Torino, volendo estendere il loro dominio nella penisola, una strategia che 56 Panorama Non molto colorato, nemmeno profumato ma ricco di elementi preziosi per la nostra salute e la nostra bellezza doveva svilupparsi lentamente per non suscitare sospetti e reazioni nelle grandi potenze del tempo e nel Papato. Si racconta dunque che un giorno il Duca sussurrasse ai ministri una frase leggendaria, inventata in realtà durante il Risorgimento: “L’Italia è come un carciofo: bisogna mangiarla foglia per foglia”. In Piemonte infatti il carciofo, o meglio il fiore, lo si preferisce ancora oggi crudo intingendo nell’olio quelle che impropriamente si chiamano foglie, ma sono brattee; ed è il modo migliore per godere delle sue proprietà medicinali, perché quando è cotto si altera rapidamente, sviluppando tossine. Sia il fiore, sia la vera foglia contengono, oltre ad altre sostanze, la cinarina, che opera non sul fegato ma nello stomaco, predisponendo gli alimenti destinati alle vie biliari. L’intervento della cinarina in questa funzione preliminare ed essenziale fa sì che il fegato non si affatichi e che la cistifellea espella la bile. Le qualità del carciofo erano ben conosciute nel Rinascimento, come testimonia Castore Durante che scrive fra l’altro: ”Mangiati i carciofi corroborano lo stomaco, fanno buon fiato e cotti in brodo e mangiati fanno buono odore a tutto il corpo e provocano l’urina ma puzzolente; bevuta la decottion della radice fatta in vino leva ogni noioso odore del corpo”. Secondo quanto riferisce il botanico, serviva anche per stabilire lo stato di gravidanza e il sesso del nascituro: ”A conoscere se una donna è gravida le se dia a bevere quattro once del succo di queste foglie, e se lo vomiterà è gravida. Al che si fa ancora la pruova tenendo l’orina della donna per tre dì in vetro, poi si cola con una pezza di lino bianca, nella quale rimarranno (s’è la donna gravida) certi animaletti, che rossi denotano il maschio e bianchi la femina”. Il fiore del carciofo aveva ispirato a Orazio il nome di una giovane amante, forse per il suo aspetto polposo e saporito ma fors’anche per le spine delle brattee. Senza spine, semplicemente buona in ogni senso, appare la giovane in cerca di marito alla quale la madre dispensa consigli nella celebre canzone di Salvatore Di Giacomo, Carcioffolà, dove ricorre il ritornello: “Che bona figliola! Carcioffolà!... “. Meno solare e più bilioso, Leo Longanesi amava definirsi non senza ragione - un “carciofino sott’odio”. Per un motivo che non conosciamo, il carciofo, buono, saporito, ricco di proprietà benefiche, è diventato anche sinonimo di persona sciocca, di un minchione. È invece spiegabile, data la sua forma, che a Napoli alluda a un naso grosso e deforme: “Una carcioffola”. Infine ha dato il nome a un fuoco d’artificio: una sorta di razzo che, poggiato su un piano, gira velocemente su se stesso, poi sempre girando si leva in aria. soste di ulisse A Bakar, Bakarska konoba quasi... come a Portofino di Sostene Schena S e guardiamo Bakar (Buccari), quel magnifico paesino adagiato al fondo di quella baia (naturalmente voltando le spalle a quella orrenda ciminiera che si innalza fino al livello della strada statale superiore) e togliendo lo sguardo dall’orribile autostrada che sovrasta il paese) ci viene in mente il Portofino di una volta; e non siamo i soli a essere stati tentati di scendere (dalla strada litoranea che da Fiume porta a Spalato), fino al mare per vedere da vicino quelle case che ci appaiono sempre come se fossimo a bordo di un aereo. La baia di Buccari (Bakar appunto) un luogo indimenticabile, per gli italiani che hanno studiato la storia della prima Grande Guerra dove si svolse la famosa “beffa” (11 febbraio 1918). Se pensate di trovarvi una miriade di ristoranti vi sbagliate. C’è un’unica buona trattoria lì (sempre chiusa d’inverno) ma il fatto che sia l’unica non vi “costringe” - come capita, a volte, dove c’è un’esclusività - di mangiare male e a prezzi proibitivi. Al contrario. Appena scesi dall’auto vi accoglie Asim, un personaggio... non soltanto il proprietario; è il factotum del suo locale; lo gestisce da una trentina d’anni: oltre a deliziarvi con le sue storie vi consiglia su ciò che è preferibile mangiare quel giorno (dopo che avete deciso per la carne o il pesce) e poi va lui stesso ai fornelli, a cucinare mentre le donne badano al resto. Alla fine ecco ancora Asim a portarvi il conto e a offrirvi una delle sue grappe. Inutile affermare che qui alla “Bakarska Konoba” è preferibile “buttarsi” sul pesce (sempre che la nottata precedente sia stata fruttuosa per i pescatori locali) e Asim, con la sua grande esperienza (ha imparato tanti anni fa negli alberghi di Abbazia), non vi rovinerà certamente i doni di un mare cosi prolifico e “vocato” a far crescere scampi, orate e tutti gli ottimi pesci che nuotano nelle acque del Golfo. LA NOSTRA PAGELLA Nome: BAKARSKA KONOBA. Località: Bakar (Buccari). Indirizzo: Primorje 103 Tipo di locale: Konoba. Coperti: 40/50; in terrazza 50/60. Gestione: Asim Bilajac. Aperto dalle 7 alle 24. Chiuso: per ferie gennaio-febbraio. Numeri di telefono: 51/761247. Lingue parlate: italiano, tedesco, inglese. Pagamento: anche credit cards Prenotazione: consigliabile. Distanze: km 15 da Fiume. Per arrivarci: da Fiume seguire la strada litoranea per Split (Spalato) fino al bivio per Bakar (Buccari) e quindi scendere al mare; il locale si trova proprio al centro del paese; si può arrivare anche dall’autostrada Rijeka-Split, uscendo appunto a Bakar; il parcheggio è sufficiente. Ambiente 87 Atmosfera 88 Servizio 87 Qualità 88 Vino 75 Prezzo 80 Rapporto qualità/prezzo 86 Giudizio finale 87 Panorama 57 scacchi pillole David Bronštejn e Paul Keres re senza corona a cura di Sandro Damiani A ccPaul Petrovič Keres ccDavid Ionovič Bronštejn 58 Panorama bbiamo ricordato la forza dello scacchismo sovietico dall’immediato dopoguerra alla prima metà degli anni Settanta attraverso i risultati conseguiti alle Olimpiadi. Nell’occasione ci siamo imbattuti in due nomi che non sono mai riusciti a imporsi nel mondiale individuale: Paul Petrovič Keres (Narva, 1916 – Helsinki, 1975) e David Ionovič Bronštejn (Bila Cerkva, 1924 – Minsk, 2006). Keres lo avevamo nominato già in due occasioni. La prima, allorché si impose al Torneo AVRO di Amsterdam nel 1938, sfidante ufficiale del campione Aleksandr Alekhine. Al torneo presero parte pure gli ex campioni Capablanca ed Euwe, gli statunitensi Fine e Reshewsky; il giovane sovietico Botvinnik e il cecoslovacco-russo Flohr. La seconda volta, quando nel 1948, al torneo che designava il nuovo campione del mondo essendo Alekhine nel frattempo morto, non riuscì a far sua la gara a cinque (vinta dal Botvinnik, con Smislov, Keres, Reshewsky, Euwe a ruota). Fino alla fine degli anni ’60, l’Estone è stato quattro volte secondo al Torneo dei Candidati... in pratica, un “eterno” secondo. Ma lo fu effettivamente? No. Per almeno un decennio fu il migliore. Ma, a parte l’interruzione a causa della guerra, non godeva dei favori della federazione sovietica; non perché pro-Botvinnik, bensì a causa di una visione “iper(stupidamente) politica”. Il Keres, quando l’Estonia era sotto occupazione nazista, prese parte a numerose competizioni che tutto il mondo libero, invece, disertava. Era in buona compagnia: spesso, infatti, c’erano Alekhine e Bogoljubov, al quale nel 1950 si tenterà addirittura di non far assegnare il titolo di Grande Maestro, appena istituito e con cui si premiarono 27 giocatori; ebbene, il russotedesco divenne il ventottesimo, in extremis un anno prima della morte. Insomma, il fortissimo Paul dovette “pagare” per il resto dei suoi giorni una sorta di “peccato di origine”. Anzi, ancora oggi, nonostante l’analisi degli incontri non lo confermi, c’è chi è convinto che nei quattro scontri diretti del torneo mondiale del 1948, egli ne abbia persi tre per “imposizione”... Essendo gli scacchi, più di ogni altra attività sportiva, in continuo “work in progress”, legato anche e soprattutto all’emergere di nuovi talenti che a loro volta apportano novità di vario tipo. Insomma, per queste ed altre ragioni, Keres è rimasto sempre al palo. Ma con 12 medaglie d’oro (7 a squadre e 5 individuali) olimpiche e un amore da parte del proprio popolo incredibile: oltre centomila estoni seguirono i suoi funerali. Come avverrà anni dopo all’armeno Petrosjan e al lettone Tal. Anche David Bronštejn ha avuto la sua bella chance di diventare campione del mondo, ma non l’ha saputa sfruttare. È successo nel 1951, quando Botvinnik mise in palio il titolo per la prima volta. La gara è equilibrata: le vittorie, ovvero le sconfitte (5-5) sono state sempre nette. Le patte, ben 14 , tra cui l’ultima partita, la 24esima, quella che sancirà la vittoria di Michail Botvinnik in quanto, regolamento alla mano, in caso di punteggio pari, il titolo resta al detentore. Non fortissimo psicologicamente, a differenza di Keres, Bronštejn non avrà se non un “ritorno” ai vertici. La non conquista del titolo, anche a causa degli errori madornali commessi, lo hanno reso ulteriormente insicuro e proprio laddove era considerato uno dei più grandi esperti: nelle aperture. Alle volte, pur giocando con i bianchi e conoscendo l’avversario, ci mette fino a dieci minuti prima di muovere la pedina, perdendo quel tempo prezioso che poi gli mancherà nei finali, portandolo appunto a errori imperdonabili. Quando avrebbe ancora potuto dare tanto agli scacchi, a 54 anni si vide “mettere in castigo” dalla federazione sovietica, per essersi rifiutato di sottoscrivere una petizione contro Viktor Korchnoj, il futuro “eterno Numero 2”, accusato dai paranoici di Mosca di “tradimento”... passatempi 1 2 3 4 15 5 6 16 21 24 29 10 22 30 34 11 31 33 36 37 40 43 45 46 49 50 54 63 ORIZZONTALI: 1. La voce di chi ha il mal di gola – 5. Città tedesca sul Danubio – 12. Distingue vino da vino (sigla) – 15. La musa dell’astronomia – 17. Si porta con rancore – 18. Vani, inutili – 20. I mangiatutto sono dolci – 22. Si sente quando qualcuno bussa – 23. Vive nelle Grotte di Postumia – 24. Il… gigante sulla neve – 26. La paga l’inquilino – 28. Ragno degli araneidi – 30. Il sim- 14 19 32 42 55 59 13 27 39 44 12 23 26 35 41 53 9 18 25 38 8 17 20 28 7 60 47 51 56 52 57 61 58 62 64 bolo dell’osmio – 32. Si dice canti prima di morire – 33. Sondrio su targa d’auto – 34. Quelli degli Apostoli fanno parte del Nuovo Testamento – 35. Monotono, scialbo – 37. Sistema della televisione a colori – 38. La civetta… usata dalla polizia – 39. Sostituisce un altro – 40. Cala all’imbrunire – 41. In posizione intermedia – 42. Precede la realizzazione – 43. Lo segna la Stella Polare – 44. In fin di vita – 45. Soluzione del numero precedente Immediatamente – 46. La metà di otto – 47. Il Tony padre di Jamie Lee – 49. Indumenti per dormienti – 51. Simboleggia la vittoria – 53. Quella Grande precedette la Se- 48 65 conda mondiale – 55. Leandro la raggiungeva a nuoto – 57. Rassegne… revisionate – 59. Lo infila chi se ne va – 60. Scoscendimento di terreno – 62. Fu presidente dell’Egitto – 63. Spiazzi colonici – 64. Viene considerata la creatrice della minigonna – 65. Solo s’è macchiata ride. VERTICALI: l. Monete indiane – 2. Oggetti preziosi – 3. Recipiente… per lettere – 4. Ardente desiderio – 5. Untume nero attorno al mozzo delle ruote – 6. Supportare senza supporre – 7. Istituto nelle abbreviazioni – 8. Impone la fermata – 9. Sta in piedi solo se corre – 10. Una partita senza reti – 11. Grosso uccello trampoliere di palude – 12. Le cita lo storiografo – 13. È meno di two – 14. Una scodella senza manico – 16. Allegri e contenti – 19. Lo prece- dono in otto – 21. Noi al singolare – 23. Ama oziare – 25. Giaccone con gli alamari – 27. Umilia i sottomessi – 29. Nella cabala fa novanta – 31. Le porte di Troia – 33. Italiani della Gallura – 35. Schiavo spartano – 36. Si zappa stando coi frati – 37. Malattia infettiva delle vie respiratorie – 38. Molto vicina – 39. Centro minerario dell’Istria – 40. Fanno… mostrare i denti – 42. La persecuzione degli ebrei in Russia – 43. Notizia recente – 45. Possono essere mancini – 47. Il nome di Eastwood – 48. La lancetta dell’orologio – 49. Quella greca è colofonia – 50. È attraversata dal Tigri e dall’Eufrate – 52. Il simbolo del laurenzio – 54. Avvezzi… coi costumi – 56. Impiega i Caschi blu – 58. Dieci inglesi – 60. Frosinone su targa d’auto – 61. I limiti dell’autarchia. Pinocchio Panorama 59 60 Panorama