...

Tu che m`hai preso il cuor

by user

on
Category: Documents
71

views

Report

Comments

Transcript

Tu che m`hai preso il cuor
www.edit.hr
Anno LXIII - N. 12 | 30 giugno 2015 | Rivista quindicinale - kn 14,00 | EUR 1,89 - Spedizione in abbonamento postale a tariffa intera - Tassa pagata ISSN-0475-6401
Tu che
m’hai
preso
il cuor
L’operetta
protagonista
ad Abbazia con
una mostra storica
sommario n. 12 | 30 giugno
“La Voce” alla Fiumanka
Una equipe del nostro quotidiano “La Voce del Popolo” ha partecipato
per la prima volta alla Fiumanka, la tradizionale regata organizzata in
onore del patrono di Fiume. I nostri bravi ragazzi sono arrivarti in totale sesti aggiundicandosi il primo posto alla seconda gara per le barche a
vela dei mass media. Un successo che speriamo di ripetere l’anno prossimo e forse anche alla Barcolana triestina in programma ad ottobre.
3 | Primo piano. Allarme
siamo Fascisti . Le polemiche
dopo una performance teatrale provocatoria a Fiume
di Ilaria Rocchi
5| Eventi. Tu che m’hai
preso il cuor. L’operetta da
Trieste e Abbazia all’Europa
di Rosanna Poletti
10 | Attualità. La comunicazione politica richiede
sinergie e professionalità.
L’incontro annuale degli
addetti alle pubbliche
relazioni che operano in
Croazia
12 | La crisi che affrontiamo è più pericolosa
di quella economica.
Aleksandra Kolarić, presidente dell’Associazione che
raccoglie le agenzie croate
di PR critica aspramente il
premier Milanović
14 | La British American
Tobacco acquista la TDR
di Diana Pirjavec Rameša
16 | Tutela delle minoranze
in Slovenia, sì, no, nì. Il
traforo di Monte San
Marco suscita profonde
riflessioni
di Stefano Lusa
20 | Territorio. L’oro
liquido del Mediterraneo
targato Chiavalon. Il giovane imprenditore Sandi miete successi internazionali
di Ardea Velikonja
26 | Dossier Comunità.
Santa Domenica: tanti
giovani inesauribile fonte
di idee
di Ardea Velikonja
31 | La storia oggi. Il
sentimento repubblicano
del Dovere. A 210 anni
dalla nascita di Giuseppe
Mazzini
di Fulvio Salimbeni
34 | Italiani nel mondo.
Anche gli italiani nel mondo hanno il proprio Inno
“Italia Patria mia”
di Ardea Velikonja
36 | Libri. Giuseppe Praga
un’opera per ricordare. La
pubblicazione raccoglie gli
scritti sulla Dalmazia del
grande studioso zaratino
42 | Bandito il Concorso
del 56.esimo Premio Letterario “Leone di Muggia”.
Scade il 15 luglio
43 | Arte. La guerra che
verrà non è la prima. Al Mart
di Trento e Rovereto una
mostra dei migliori pittori
della prima guerra mondiale
di Erna Toncinich
46 | Psicologia. La
resilienza - resistere alle
avversità
di Denis Stefan
48 | Tecnologia. New
York Times, Bbc, Spiegel e
Guardian: Facebook sposa
il giornalismo on line
50 | In casa. Stratagemmi
per lasciare l’afa fuori dalle
mura di casa.
a cura di Nerea Bulva
52 | Multimedia. Windows 10. Cosa sapere prima
dell’uscita
54 | Apple. Novità 2015
di Igor Kramarsich
56 | Fioralia. Ma anche il
carciofo ha il suo bel fiore
di Daniela Mosena
57 | Soste di Ulisse. A Bakar...Bakarska konoba quasi...
come a Portofino
di Sostene Schena
58 | Scacchi pillole. David
Bronštej e Paul Keres i re
senza corona
a cura di Sandro Damiani
59 | Passatempi. Parole
crociate
di Pinocchio
Errata corrige
Nel numero 10 di Panorama
nella rubrica dossier comunità parlando della Comunità degli Italiani di Crevatini e
del gemellaggio con San Genesio abbiamo erroneamente scritto che la presidente
Maria Pia Casagrande è nata
nelle Marche, invece la presidente è nata a Crevatini ma
ha il marito marchigiano e
da qui l’amicizia con il borgo
italiano. Ce ne scusiamo con
l’interessata e con i lettori.
Progetto grafico-tecnico
Sanjin Mačar
REDAZIONE
[email protected]
Via re Zvonimir 20a Rijeka - Fiume, Tel. 051/228-770
Telefax: 051/672-128, direttore: tel. 672-153
Diffusione: tel. 228-766 e pubblicità: tel. 672-146
ISSN 0475-6401 Panorama (Rijeka)
ISSN 1334-4692 Panorama (Online)
Redattore grafico-tecnico
Sanjin Mačar, Teo Superina
TIPOGRAFIA
Helvetica - Fiume-Rijeka
Versamenti
Per la Croazia sul cc. 2340009-1117016175 PBZ Riadria
banka d.d. Rijeka.
Per la Slovenia: Erste Steiermärkische Bank d.d. Rijeka
7001-3337421/EDIT SWIFT: ESBCHR22.
Per l’Italia - EDIT Rijeka 3337421- presso PBZ 70000 - 183044
SWIFT: PBZGHR2X.
Numeri arretrati a prezzo raddoppiato
INSERZIONI: Croazia - retrocopertina 1.250,00 kn, retrocopertina interna 700,00 kn, pagine interne 550,00 kn;
Slovenia e Italia - retrocopertina 250,00 euro, retrocopertina
interna 150.00 euro, pagine interne 120,00 euro.
Collegio redazionale
Nerea Bulva
Diana Pirjavec Rameša
Ilaria Rocchi
Ardea Velikonja
ABBONAMENTI Tel. 228-782. Croazia: an­nuale (24 numeri)
kn 300,00 (IVA inclusa), semestrale (12 numeri) kn 150,00 (IVA
inclusa), una copia kn 14,00 (IVA inclusa). Slovenia: annuale
(24 numeri) euro 62,59 , semestrale (12 numeri) euro 31,30,
una copia euro 1,89. Italia: annuale (24 numeri) euro 70,00, una
copia euro 1,89.
PANORAMA esce con il concorso finanziario della
Repubblica di Croazia e della Repubblica di Slovenia e viene
parzialmente distribuita in convenzione con il sostegno
del Governo italiano nell’ambito della collaborazione tra
Unione Italiana (Fiume-Capodistria) e l’Università Popolare
di Trieste
Redattore capo responsabile
Ilaria Rocchi
[email protected]
2
18 | Società. Laudato si...
da Langer a Bergoglio Nella
lettera enciclica del Pontefice si possono riscoprire
idee, concetti e proposte
sui cui Alex e molti di noi
hanno costruito la propria
formazione culturale,
sociale e politica
di Marino Vocci
Panorama
Ente giornalistico-editoriale
Rijeka - Fiume
Zvonimirova 20A
Direttore f.f.
Errol Superina
Consiglio di amministrazione
Oskar Skerbec (presidente),
Roberta Grassi Bartolić (vicepresidente),
Roberto Bonifacio, Samuele Mori,
Dario Saftich, Borna Giljević
GORAN KOVAČIĆ /PIXSELL
primo piano
Ha fatto scalpore,
scatenando
una ridda
di polemiche,
il caso Fiume,
scoppiato
attorno a una
provocatoria
performance
«teatrale».
Pericolo presunto
o reale? Fatto
sta che è stata
offuscata
la sua immagine
di città aperta
Allarme
siam fascisti
di Ilaria Rocchi
C’
era una volta una
città aperta, tollerante, rispettosa delle
diversità, amabile:
Fiume. C’era e non
c’è più. O, forse, non c’è mai stata –
non almeno negli ultimi cent’anni – e
finora ci eravamo nutriti di un’illusione, ben lontana dall’essere perfetta e
quantomeno reale. Un mito.
Ma ora... Ora il re è nudo e si mostra con il suo vero volto. Da fascista,
ovvero – nell’estensione del termine
– portatore di una prassi politica, di
una concezione della vita, dei rapporti umani e sociali fondati sull’uso della
forza e della sopraffazione. Almeno, è
quanto oggi vorrebbero farci credere.
A puntare il dito, come nella fiaba
andersoniana, è l’enfant terrible dei
palcoscenici della regione, il sovrintendente del Teatro nazionale croato
“Ivan de Zajc” di Fiume, Oliver Frljić.
Regista e protagonista – con il suo
braccio destro Marin Blažević – della
provocatoria performance che ha fatto da ouverture alla cerimonia d’apertura delle Notti Estive Fiumane, ha
dato voce e al contempo scatenato le
Panorama
3
primo piano
passioni più sopite e basse, fatte di insofferenza, astio e volgarità; passioni
dalle quali Fiume si riteneva immune
o perlomeno sperava da tempo superate.
Ciò che Frljić ha portato sul “palcoscenico” sono stati i messaggi a dir
poco ostili che il web ha partorito sul
suo conto e quello della dirigenza dello Stabile fiumano. L’obiettivo? Dare
una prova, a corollario della sua “Trilogia sul fascismo croato”, di come
batte il polso della società. Fondamentalmente, con un ritmo estremoestremista e (verbalmente) violento.
Platea sorpresa, basita, disgustata. Per
diversi motivi. Gli applausi non sono
mancati, ma sono stati surclassati dalla contrarietà di un piccolo gruppo in
t-shirt nere, ex difensori della guerra
patriottica e altri oppositori della politica artistica di Frljić-Blažević e, più
in generale, dell’attuale gestione della
res publica fiumana. Media scatenati e lo spettacolo – pure quello vero,
andato in scena nei giorni successivi,
con tanto di croce uncinata fatta con
pezzi di carne – è diventato un successone.
Per lui un bel colpo, anche se era quasi prevedibile che Frljić ricorresse allo
“scandalo” soffiando sul fuoco. Lo sta
facendo da tempo, in Croazia denunciando i crimini commessi durante
la guerra patriottica contro la popolazione non croata, in Serbia con il
caso Đinđić, in Slovenia con quello
dei “cancellati”. E potrebbe anche
andare benissimo, come passaggio a
quella forma di teatro civile che non
vuole essere mero intrattenimento,
ma espressione del confronto e delle
riflessioni sulla collettività e sul vivere
comune.
Fiume fascista? Un pericolo concreto
o montato ad arte? Possiamo, dobbiamo credere alla radiografia offerta da
Frljić e, dunque, quello del capoluogo
quarnerino è un corpo malato? C’è
un’intolleranza latente che potrebbe degenerare? O, piuttosto, a essere
sbagliata è la sua diagnosi, in quanto
frutto di sintomi che ha via via accumulato altrove nel suo percorso personale e artistico, e che hanno poco
a vedere con la realtà fiumana? Del
resto, come non dubitare della sua
visione, visto che Fiume è dal ’45 roccaforte della sinistra (in tutte le sue
varianti) e gli abitanti di oggi sono
i discendenti dei partigiani di una
volta, che hanno liberato la città dal
nazifascismo e l’hanno epurata dai
rimasugli di questi regimi totalitari?
A rigor di logica, la città dovrebbe
essere saldamente ancorata ai valori
antifascisti.
Ma le riserve sono d’obbligo anche in
virtù del fatto che la reazione è giunta
da un manipolo di facinorosi, finora
relegati ai margini, che in quanto tali
difficilmente possono assurgere a paradigma delle tendenze presenti nella
società fiumana. In altre parole, Frljić
ha dato dignità pubblica a quelle che
Umberto Eco definisce “legioni di
imbecilli che prima parlavano solo al
bar dopo un bicchiere di vino, senza
danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora
hanno lo stesso diritto di parola di un
Premio Nobel.” Era meglio ignorarli.
O forse no. Forse il presunto, odierno,
fascismo “nero” è organico e derivazione di un ipotetico fascismo “rosso”,
di vecchia data, che ha generato l’esodo, che ha usato le foibe e altre forme
di sopraffazione. E che continua a
oscurare questa parte della sua storia,
a non confrontarsi terapeuticamente
con essa, condannato di conseguenza a ripeterla. In tal senso, si starebbe rinnovando. Era eventualmente
di questo che il teatro civile di Frljić
avrebbe potuto occuparsi trovandosi
a Fiume.
GORAN KOVAČIĆ /PIXSELL
atto primo d’una notte di mezza estate
4
Panorama
Il sovrintendente
Oliver Frljić
ha raggiunto il
suo scopo: la sua
provocazione ha
ottenuto la reazione
che si aspettava.
Facendo parlare di
sé, diventando l’hit
del momento. Ma i
fiumani, che cosa ci
hanno guadagnato?
eventi
Tu che m’hai preso il cuor
L’operetta ad Abbazia
Una mostra
storica, che il
Museo croato del
Turismo ospiterà
nel Padiglione
d’Arte Juraj Šporer
dall’11 al 30 luglio
prossimi, con la
collaborazione della
locale Comunità
degli Italiani,
dell’Archivio di
Stato di Fiume e
con il supporto
della Regione Friuli
Venezia Giulia
di Rossana Poletti
U
n’orchestra di settanta elementi, il
noto tenore Richard
Tauber e a dirigere
Franz Lehár sono
gli ingredienti di grande successo
per l’apertura della prima edizione
del Festival dell’Operetta di Abbazia. Se si esclude il grande festival
di Bad Ischl, che aveva luogo già
dall’Ottocento, anche perché residenza estiva prediletta della corte
imperiale asburgica, Abbazia rappresenta un esempio unico per l’epoca.
È il 27 luglio 1935 e su un palcoscenico riccamente allestito la prima di Giuditta riscuote un enorme
successo. La giovane Käthe Walter,
nei panni di Giuditta, ottiene “vivissimi applausi” come riporta Il
Piccolo di Trieste, che scrive anche
“Tauber ha cantato per la prima
volta in Italia. Alla rara bellezza del
timbro, al caldo accento drammatico, alla deliziosa carezza del fraseggio, unisce un temperamento forte
e spontaneo”.
Già il 26 maggio era apparso sui
maggiori giornali italiani ed esteri, tra cui, il Corriere della Sera,
La Stampa di Torino, la Gazzetta
del Mezzogiorno di Bari, La Vedetta d’Italia di Fiume, il Popolo
di Roma, Il Piccolo di Trieste, Der
Abend di Vienna, Nemzeti Ujsag e
Figyelo di Budapest, il programma
del festival, interamente dedicato a
Franz Lehár: “Giuditta”, il 27 e 28
luglio, e poi “Il Paese del Sorriso”, il
30 e 31 luglio, e ancora “Federica”,
Panorama
5
eventi
il 3 e 4 agosto. Direttore della manifestazione era Renato Mordo, un
viennese di origini triestine. L’Agenzia letteraria artistica pubblicò:
“I giornali dell’estero rilevano l’importanza di questa manifestazione
di classe e sottolineano il significato che essa acquista nello sviluppo
sempre più intenso dei rapporti
culturali ed artistici tra l’Italia e
l’Austria”.
fParte della cultura
del territorio
ccSpartiti di “Contessa Maritza”, di
Emmerich (o Imre) Kálmán
ccIl libretto dell’operetta “SI”,
di Pietro Mascagni (1938)
6
Panorama
In realtà era impossibile prescindere dall’operetta viennese e in particolare dalle composizioni di Lehár;
ad Abbazia, a Trieste e Fiume, a
Pola il gusto musicale era quello,
anche se al tempo il governo di
Mussolini avrebbe preferito la piccola lirica di compositori italiani.
Intanto si vendono i biglietti, aumentano i collegamenti delle autocorriere e dei treni e si istituisce
persino una linea aerea tra Trieste e
Abbazia. Gli spettatori giungevano
anche dalla vicina Sussak, la città
croata oltre il ponte sulla Fiumara,
che la divideva da Fiume, a conferma che l’operetta faceva parte della
cultura del territorio, senza distinzioni nazionali o linguistiche.
Negli alberghi si registravano presenze eccellenti dell’epoca da tutto
il mondo, i botteghini furono letteralmente presi d’assalto e il 30
luglio “Il Paese del Sorriso” doveva
essere trasmesso in diretta alla Radio, sennonché una terribile bufera determinò l’interruzione dello
spettacolo che fu riproposto il 1°
agosto. Franz Lehár dichiarava intanto al Corriere Istriano di Pola:
“Attendo con gioia questa manifestazione di Abbazia, ben convinto
che per l’eccezionale complesso
artistico e lo sfarzo della messa in
scena gli spettacoli assurgeranno
ad un’attrattiva non comune a cui
arriderà un successo indimenticabile”.
“Due torri quadrangolari alte 6
metri e aventi, ad ogni lato uno
scenario corrispondente. Fra le due
torri un’apertura di circa 12 metri
donde gli artisti potranno avanzare
sino alla ribalta che avrà una lunghezza di 18 metri. Durante alcune
scene singole saranno proiettati,
sul palcoscenico, schermi opportunamente decorati sì da provocare suggestivi giochi di ombre sullo
sfondo”: così molta stampa riportava la descrizione dell’allestimento faraonico del Teatro all’Aperto
del Parco di Villa Angiolina, dove
avrebbe avuto luogo il Festival tra il
1935 fino allo scoppio della guerra.
fImportante progetto
di recupero
Facciamo un passo indietro per
dire che quanto andiamo scrivendo è il frutto di approfondite ricerche di documenti ed immagini
presso i vari archivi e musei che
conservano i materiali dell’epoca.
Molto, purtroppo, è andato distrutto in un incendio che, alla fine degli anni ’80, bruciò parte della memoria storica e documentaristica
dell’Azienda di Soggiorno di Abbazia. Quel poco che si è recuperato
andrà ad aggiungersi alla mostra
storica dell’operetta “Tu che m’hai
preso il cuor”, che l’Associazione
Internazionale dell’Operetta, con
la collaborazione del Civico Museo
Teatrale Carlo Schmidl del Comune di Trieste, realizzò nel lontano
1995 e ripropose nel 2009 in una
veste aggiornata.
Era stata fortemente voluta, pensata e realizzata dal fondatore dell’Associazione, Danilo Soli, recentemente scomparso, che per lungo
tempo è stato la memoria storica
dell’operetta e del suo festival nella
città giuliana. Il Museo Croato del
Turismo di Abbazia la ospiterà nel
Padiglione d’Arte Juraj Šporer, con
la collaborazione della Comunità
degli Italiani di Abbazia, dell’Archivio di Stato di Fiume e con il supporto della Regione Friuli Venezia
Giulia, con il sottotitolo “L’operetta
da Trieste e Abbazia all’Europa”.
La mostra sarà inaugurata l’11 luglio prossimo e sarà visitabile fino
al 30 luglio, tutti i giorni dalle 10
alle 22, ad ingresso libero. Al ter-
mine dell’inaugurazione i cantanti
Ilaria Zanetti e Andrea Binetti con
al pianoforte Corrado Gulin proporranno un concerto, che percorrerà le arie più note delle famose
operette che andarono in scena in
quegli anni di festival, tra cui “Maine Lippen” da “Giuditta” di Lehár,
“Vien Tzigan” da “Contessa Maritza” di Kálmán e l’“Aria di Sigismondo” dal “Cavallino bianco” di
Stolz. Concluderà la serata un momento conviviale organizzato dalla
Comunità degli Italiani di Abbazia.
fSfarzo e mondanità
Torniamo allora a quegli anni Trenta
vissuti ad Abbazia con grande sfarzo
e divertimento mondano. Nell’estate del 1936 infatti la magia si ripete
con Emmerich Kálmán. “Sono in
procinto di recarmi ad Abbazia con
un complesso artistico di classe e intendo assicurare di dare tutta la mia
fervida cooperazione perché questo
secondo festival dell’operetta ottenga
il suo massimo rilievo e la sua imponenza, sì da soddisfare appieno le esigenze artistiche del colto e intelligente pubblico italiano”, così dichiara il
compositore ungherese alla stampa.
Il 29 luglio il Festival apre con la
premiere de “L’imperatrice Giuseppina”; ad assistervi trenta direttori dei maggiori teatri austriaci ed
ungheresi. Per l’occasione Kálmán
ingaggia il tenore Igo Guttman,
grande interprete di Verdi, e la cantante Rita Georg. A lei in realtà il
pubblico predilige la soubrette Rita
Wotawa, nei panni della Duchessa
di Aguillon, perché Kálmán aveva furbescamente inserito refrein
orecchiabilissimi per comico e
soubrette. In scena andarono oltre
350 costumi ad impreziosire un’operetta, l’ultima che il compositore
ungherese scrisse prima di scappare in California perché di origini
ebree, stessa sorte anche per la Georg, che si rifugerà in Canada.
fGrandi nomi e scene
Il 1° agosto debuttò “Contessa
Maritza”, grande capolavoro di
Kálmán, applaudita Sonia von
Lewkova nel ruolo di Lisa, sorella
del conte Tassilo, e il tenore Hans
Eich. “Il cavaliere del diavolo” (5
e 6 agosto) fu in assoluto l’operetta che piacque di più quell’estate,
Kálmán l’amava particolarmente,
era considerata la più ungherese
delle sue composizioni. Dominatrice della rappresentazione risultò
Louise Leoff nel ruolo della ballerina Miramonti, benché in scena ci
fossero da protagonisti cantanti del
calibro di Rita Georg, Claire FuchsKaufmann e Hans Eich. Quarta e
ultima operetta rappresentata al festival fu “la Principessa della csardas”, l’8 e il 9 agosto, che vide Rita
Wotawa nei panni di Stasi e protagonista il tenore praghese Arno
Velezky. Anche questa edizione del
festival si era conclusa con il tutto
esaurito ad ogni recita. Ed un’altra
volta, nonostante i richiami scritti
delle autorità, non venne inserita
nessuna operetta italiana al Festival
di Abbazia. “Alla ricerca di un’operetta italiana” reca in chiare lettere
il titolo dell’articolo su Il Messaggero di Roma a firma di Matteo Incagliati il 30 agosto 1936. Ma dovremo attendere il 1938 per un tanto.
Nel frattempo nell’estate 1937 vengono effettuati grandi lavori per
rendere ancora più spettacolari le
scene. Viene infatti costruito un
palcoscenico girevole, come scrive
Il Popolo del 5 agosto: “Un particolare degno di considerazione
sarà dato dalle innovazioni tecniche apportate quest’anno alla scena
… La piattaforma girevole avrà un
diametro di 10 metri e divisa in tre
spicchi, potrà contenere contemporaneamente tre scenari per tre
diversi quadri”.
Gli organizzatori propongono tre
operette di autori diversi: il 7 e 8
agosto va in scena “Casanova”, di
Ralph Benatzky, su musiche di Johann Strauss, il 12 e 14 agosto “Al
Cavallino bianco”, di Ralph Benatzky, Robert Stolz e Robert Gilbert;
conclude “Ballo al Savoy” (titolo
italianizzato in “Savoia”), di Paul
Abraham. Direttore dell’orchestra Walther Hahn e regista Emil
ccRichard Tauber, il più importante tenore
ccEmmerich Kálmán
ccLa soubrette Sonia von Lewkova
Panorama
7
eventi
Schwarz.
fAffascinati
da Casanova
“Casanova” si rivela essere l’operetta giusta per Abbazia, per il
suo alto contenuto spettacolare.
Si legge infatti: “Un grande spettacolo, degno di essere ricordato
negli annali del festival come un
modello della perfezione e dell’arte cui può assurgere una rappresentazione di operetta, quando
essa sia intesa con elevato criterio
estetico pur senza perdere di quella gaiezza gioconda e di quel brio
che ne sono l’indispensabile condimento”. Cinque primedonne,
quattro comici, baritono, tenore,
buffo e uno stuolo di comprimari,
un corpo di ballo di 50 elementi e
l’orchestra, uno splendore di costumi sfavillanti e scenari montati su
palcoscenico girevole. Il tenebroso
baritono Georg Monthy, nel panni
del “Casanova”, mostrò “voce brunita ed ottima scuola di canto”. Il
maggior successo andò alla soubrette Lotte Menas, “briosa e spu-
ccRichard Tauber, Franz Lehár, Tatiana Menotti e
alcuni giornalisti nel parco di Villa Angiolina,
prima dell’inizio del festival nel 1935
8
Panorama
meggiante”.
“Al Cavallino bianco” era ormai
un’operetta famosa, aveva debuttato nel 1930, e non potè che riscuotere grandi consensi anche
nella perla del Carnaro, portandovi
tutto il sapore del Salzkammergut.
La vera novità dell’edizione 1937 fu
però “Ballo al Savoy”, di Paul Abraham. La coppia comica Daisy Parker e Mustafà Bey, interpretata dal
duo Lotte Menas – Jozsef Sziklay,
suscitò consensi esaltanti. La stampa riportava: “Per armonie di tinte,
scioltezza e fusione di movimento,
per leggerezza delle danze, le scene
di ‘Ballo al Savoy’ resteranno nel
ricordo del pubblico fra le più belle
ammirate ad Abbazia ed è stato il
successo più caloroso e cordiale di
questo 3° Festival”.
fPietro Mascagni
in prima fila
Nel 1938 per ideare le scene fu assoldato Acconaro, famoso per la
sua attività alla Scala di Milano. I
1200 costumi invece furono commissionati alla casa Altay di Budapest. La “première” fu affidata
a “SI”, di Pietro Mascagni, l’unica
operetta italiana in tutte le stagioni del Festival di Abbazia. L’avvocato Barbieri, organizzatore delle
varie edizioni in qualità di presidente dell’Azienda di Soggiorno
di Abbazia, sapeva benissimo che
solo la risonante presenza di Mascagni in riva al Carnaro, avrebbe
consentito all’operetta un certo
successo. A questo si aggiunge che
il direttore artistico Gruder-Guntram e il regista Schulz-Breiden
infusero un certo stile viennese
allo spettacolo, trasformando gli
artisti italiani in sorprendenti
cantanti-attori.
Pietro Mascagni sedette in prima
fila e le cronache mondane con
lui presente andarono a nozze. Il 4
agosto, giorno dopo il debutto sui
giornali si scriveva “apprezzatissimo il programma ufficiale, compilato con molto buon gusto e contenente un sunto delle operette in
quattro lingue” e ancora “peccato
soltanto che il libretto non sia all’altezza del musicista e sopra tutto
che non sia stato almeno sveltito e
aggiornato un po’ alle esigenze del
gusto odierno”. L’operetta fu replicata il 7 agosto, ebbe molto successo la cantante Alda Mangini.
Il secondo titolo in programma,
“Lo Zingaro Barone”, piacque
molto al pubblico del melodramma – l’operetta di Johann Strauss
era ormai un classico –, e andò
in scena l’11, il 13 e il 15 agosto.
Ebbe grande successo Giulietta Simionato, che poi avrà una
grande carriera alla Scala, solo
dopo il crollo del regime fascista che non la sosteneva. Fu la
migliore amica di Maria Callas
e memorabile resta il loro duetto del 1957 in Anna Bolena di
Donizetti. Sulla stampa però si
annotava “… le grandi difficoltà
che gli organizzatori dovettero
affrontare dal lato artistico. Prima fra queste quella di presentare in lingua italiana un’opera che
così tipicamente rispecchia l’ambiente del paese in cui è nata” e
del tenore wagneriano Ettore
Parmeggiani si scrisse “a parte la
maestria del fraseggio o la dizione di esemplare chiarezza, la sua
ugola d’oro ha vibrato qui ancora
di squilli di metallica risonanza,
di accenti di calda sonorità…”.
“Roxy” fece ad Abbazia il suo esordio. L’operetta di Paul Abraham
portava in scena l’ungherese Rosy
Barsony, la stessa soubrette che
nell’estate del 1955 infiammerà la
caldera dei 10.000 spettatori stipati sugli spalti del Castello di San
Giusto a Trieste. ”Un’esecuzione
che è stata un capolavoro di realizzazione scenica” si scriveva sui
giornali e della Barsony si diceva
“ha mandato in visibilio anche
con la sua flessuosa elasticità e la
morbida leggerezza di danzatrice
moderna”. Il 16 agosto sul Piccolo
appariva questo titolo “Un originale concerto di giazzo (jazz italianizzato) e danze chiuderà oggi
il Festival dell’Operetta”. In scena
Rosy Barsony, sul palco a dirigere
Paul Abraham.
fAnni difficili,
turismo in ribasso
Il 20 gennaio 1939 il senatore Riccardo Gigante, presidente dell’Ente
provinciale per il Turismo di Fiume scrive, anche per conto del prefetto Temistocle Testa, a Remigio
Paone della ERREPI di Milano, società incaricata di realizzare i vari
spettacoli, che la commissione istituita per predisporre il programma
estivo ha rilevato, tra l’altro, che
l’operetta proposta, “Il Venditore di
Uccelli”, con il cantante Ettore Parmeggiani, risulta troppo antiquata
per Abbazia, e che sarebbe più opportuno invece ricorrere nuovamente alla direzione di Lehár, che
non si ritiene opportuno portare
la Barsony, nelle “Nozze polacche”
di Beer a solo un anno di distanza dalla sua precedente presenza
al Festival. Non è dato avere altre
informazione e dal materiale ritrovato non risulta che si sia celebrato
il Festival in quell’estate, né che sia
stata allestita alcuna operetta.
Il 30 giugno 1940 il ministro della Cultura popolare, Alessandro
Pavolini, scrive a S. E. Ettore Muti,
segretario del Partito Nazionale
Fascista: “È pervenuto al mio ministero il progetto per le manifestazioni all’aperto di Abbazia. Poiché
tutte le manifestazioni all’aperto
sono sospese, il progetto è ormai
superato e la sovvenzione deliberata decade”.
D’altronde il 25 maggio il sen. Gigante gli aveva mandato una nota
che tra l’altro riportava le seguenti considerazioni: “La grave contrazione del movimento turistico
degli ultimi due anni, dovuta a
fattori politici, razziali, valutari, nonché all’entrata in vigore del
R.D.L. 24.11.1938 n. 1926, relativo
al nuovo ordinamento dell’imposta
di soggiorno, hanno fatto notevolmente diminuire il gettito delle tasse turistiche che rappresentano l’unica fonte di entrata dell’Azienda”.
Il ministro accordò un contributo
straordinario di 160.000 lire per
appianare il disavanzo della stagione precedente.
fEsperienza favolosa
Con questo atto termina la straordinaria e favolosa esperienza
del Festival d’Operetta di Abbazia.
Densi fumi e frastornanti rombi
di guerra si affacciano in Europa e
anche sul Carnaro. Si riprenderà la
festa nell’estate del 1950 al Castello
di San Giusto, in una Trieste sotto
occupazione del Governo Militare
Alleato.
La Mostra Storica dell’Operetta “Tu
che m’hai preso il cuor” propone
un migliaio di immagini: vecchie
fotografie di artisti e di scena, locandine e programmi, frontespizi
illustrati di libretti e spartiti, documenti e autografi, cartoline d’epoca, bozzetti per le scene e i costumi,
medaglie: sono copie di originali
conservati al Civico Museo Teatrale “C. Schimidl”, cui si aggiunge il
materiale ulteriormente raccolto
da collezionisti privati e con i prestiti del Teatro Lirico “Giuseppe
Verdi”.
Uno spazio è dedicato per l’occasione, alle immagini provenienti
dal Festival di Abbazia che, esauritosi con l’inizio della Seconda
guerra mondiale, non fu mai ripreso. Gli organizzatori del festival
triestino nel 1950 avevano ben in
mente quello che era stata quella
straordinaria esperienza nella perla
dell’Adriatico e ad essa si ispirarono. I risultati sono ben visibili nella
parte della mostra dedicata ai quarant’anni di Festival dal 1950, anno
della sua prima edizione al Castello
di San Giusto, fino all’ultimo documentato del 2008.
Tante locandine e foto di questi sessant’anni per ripercorrere
il cambiamento di un gusto, che
nell’ultima fase vedrà emergere,
ancora timidamente il moderno
musical, con “Can Can”, di Cole
Porter, e uno scatenato “Sette spose per sette fratelli”, con un danzatore degno di Gene Kelly, Raffaele
Paganini, per citarne alcuni, senza dimenticare artisti del calibro
di Rose Barsony, Marta Eggerth
e Jan Kiepura, negli anni ’50, direttori d’orchestra della qualità
di Cesare Gallino, ma anche protagonisti indimenticabili come
Sandro Massimini, che calcò per
la prima volta le scene di Trieste,
proprio in quel famoso 1970 al ritrovato Rossetti.
fTante immagini
di un’epoca bella
In una prima parte della mostra
trovano collocazione le immagini
e i documenti che vanno da metà
Ottocento circa alla Seconda guerra mondiale. Avvenimenti di rilievo come la contestata prima de
“La vedova allegra” al Teatro Filodrammatico nel 1907, le presenze
di Lehár, Suppé e Kálmán, a Trieste, che si accostano alle esibizioni
di artisti di fama europea (Mila
Theren e Richard Tauber, Gea della
Garisenda e Ines Lidelba, Amalia
Soarez ed Emma Vecla) e a una vivacità anche editoriale: si pensi allo
Schmidl che pubblica le prime musiche di Lehár per banda e Sangue
triestin.
Decine se non centinaia di rappresentazioni ogni anno nei vari tanti
teatri, il Fenice in particolare, che
pubblicano i libretti di operette
famose. Trieste diviene subito il
luogo deputato dell’operetta e trova nella prestigiosa figura di Mario
Nordio, l’uomo simbolo del rapporto profondo tra Lehár, la città
di Trieste e l’operetta. È il primo
geniale traduttore di Lehár in occasione della prima rappresentazione in Italia di “Clo-Clo” nel 1924
e da allora diviene, per volontà di
Lehár, il traduttore esclusivo delle
sue operette. Sarà anche ad Abbazia con il maestro ritratto nelle foto
d’archivio.
Concludono la mostra le immagini che documentano l’attività
dell’Associazione Internazionale
dell’Operetta, dall’anno 1992 di
fondazione ai giorni nostri: i due
premi, l’Internazionale dell’Operetta, giunto a quota ventidue, e
il Massimini arrivato alla decima
edizione, le tante iniziative, gala,
concerti e produzioni di questi
anni.
Panorama
9
attualità
Incontro annuale degli addetti alle Pubbliche relazioni che operano
argomenti affrontati pure un’analisi delle recenti elezioni presidenzi
hanno avuto i consulenti nella conquista della vittoria, ovvero della
La comunicazione polit
richiede sinergie e profess
di Diana Pirjavec Rameša
C
omunicazione politica
e pubbliche relazioni,
gestione e controllo della campagna elettorale,
presentazione del programma e training per i candidati,
nuovi media e promozione. Questi
sono alcuni dei compiti di coloro che
gestiscono le iniziative promozionali
e quelle politiche e che hanno il compito di curare la comunicazione per
conto di aziende, partiti politici, istituzioni culturali, sanitarie, organi del
governo centrale, locale, regionale.
Una fascia di iniziative diversificate
ma molto importanti nel momento
in cui si vuole lanciare un messaggio,
illustrare un programma, presentare
un nuovo prodotto. Un’attività dinamica, multidisciplinare quella appunto svolta da esperti della comunicazione o, se vogliamo, dagli addetti
alle pubbliche relazioni. I PR croati si
sono riuniti a metà giugno (11-12) ad
Abbazia, per la consueta assemblea
annuale della Società di pubbliche
relazioni (HUOJ). Occasione per fare
il punto su sfide e problemi che accompagnano questa attività.
Numerosi e interessanti gli interventi
in sede di convegno, tra cui va citato quello della prof. Anne Gregory
dell’Università Huddersfield (Gran
Bretagna) dal titolo “Voi siete ciò che
comunicate”, oppure quello di Karen
Sanders dal titolo “Comunicazione
politica ed etica comunicativa”, per finire con Ilija Brajković, con un’analisi
su come sviluppare una campagna
sulla rete. Difatti, i social network
sono le community più diffuse su
Internet, all’interno delle quali milioni di utenti in tutto il mondo si
ritrovano per dialogare e interagire.
Giorno dopo giorno Facebook, Twitter, Pinterest, Youtube, Instagram,
eLa
e conferenza annuale dei PR croati si è svolta ad
Abbazia presso il centro congressi Milenij
10
Panorama
Foursquare, e altri network crescono
in maniera esponenziale, registrando
accessi sempre più frequenti e lunghe
sessioni di navigazione.
L’affermazione di queste nuove forme di aggregazione rende tali community una straordinaria opportunità per promuovere la propria
azienda, ampliare la rete di contatti,
relazionarsi con gli utenti o per fidelizzare i clienti attivi. Ed è questa
una delle attività su di cui le agenzie
croate si sono orientate recentemente. Promuoversi sui social network
in maniera efficace è però possibile
solo grazie a una strategia di marketing non convenzionale, ragionata
per approcciare gli utenti in un contesto dove l’advertising tradizionale
non attecchisce.
fIl potere della rete
“La comunicazione sulla rete ha un
altro aspetto importante ed è quello
del marketing che, se gestito con gli
strumenti adatti, porta a considerevoli risultati che possono venir applicati per migliorare l’offerta dell’agenzia”, ha spiegato Brajković.
La comunicazione politica si muove
tantissimo attorno al comparto dei
social, e da esso ormai trae un’ispirazione pratica che è impossibile ignorare. Sono stati presentati numerosi
contributi che parlano di cosa fare
per mettere in atto una strategia di
comunicazione politica performante
sui social media, ma è importante anche capire cosa non fare, onde evitare
non solo dei semplici epic fail (che in
in Croazia. Tra gli
iali e del ruolo che
sconfitta
tica
sionalità
molti casi generano assuefazione e
poi finiscono nel dimenticatoio) ma
anche dei veri e propri passi falsi in
grado di inficiare in maniera profonda la credibilità di una formazione
politica o di una figura istituzionale.
I social media offrono l’opportunità
di un’interpretazione della politica
decisamente sintonica tanto con gli
esponenti politici, che con i cittadini:
i primi possono tentare di superare
la distanza e la sfiducia che i governati nutrono verso i governanti,
attivando forme di interazione personale; i secondi possono finalmente esprimersi in prima persona ed
esercitare una forma di sorveglianza sull’operato dei governanti. Tale
interpretazione della politica trova
i suoi elementi di forza dei seguenti
elementi propri della comunicazione
nei social media: personalizzazione,
disintermediazione, semplificazione
e velocizzazione. Si tratta, a ben vedere, di elementi da tempo presenti
nell’ambito della comunicazione politica e della sua trasformazione - è
stato rilevato al convegno.
fPresidenziali sotto
la lente
Alla grande maratona “comunicativa” ad Abbazia c’è stato un’incontro
che ha suscitato parecchio interesse
vuoi per l’argomento trattato, vuoi
per i partecipanti, molto loquaci e
comodamente rilassati sulle poltroncine della sala congressi. Si tratta
dell’analisi degli aspetti comunicativi,
sia positivi che negativi della recen-
te campagna elettorale per le presidenziali, appuntamento elettorale in
cui la comunicazione ha giocato un
ruolo molto particolare, portando
alla vittoria una candidata che, partiva svantaggiata ed entrava nell’arena
politica nazionale dopo molti anni di
assenza. La vittoria di Kolinda Grabar Kitarović è stata scandagliata nei
minimi particolari, come pure gli errori compiuti dal team del presidente
uscente Ivo Josipović.
Tra i partecipanti a questo dibattito
ricordiamo Krešimir Macan, la cui
agenzia ha gestito la campagna di
Josipović, quindi Dražen Lalić e Berto Salaj, docenti alla Facoltà di Scienze
politiche di Zagabria, Dražen Čurić
e Tihana Tomičić, rispettivamente
giornalisti del “Večenji” e del “Novi
List”. La domanda posta dal moderatore al dibattito, Božo Skoko, a nome
dell’agenzia Millenium, è stata un po’
la base di partenza della discussione.
Egli ha chiesto, infatti, quanto i singoli
team elettorali sono disposti a seguire
i consigli delle agenzie di pubbliche
relazioni e comunicazione a cui hanno affidato il compito di promuovere
il proprio candidato, come pure capire se i PR possono ‘creare’ il vincitore.
La campagna elettorale presidenziale e il risultato sono stati una vera e
propria incognita – ha rilevato Skoko
– ricordando che Josipović è il primo
presidente croato che non viene rieletto e che perde per una manciata
di voti. Di chi è la colpa se Josipović
ha perso? Quanto i politici seguono
i consigli dei PR? Che cosa possiamo
imparare da queste elezioni? “Innan-
zi tutto che il contro candidato non
va mai sottovalutato, a prescindere
se si abbia l’impressione che questi
sia debole o impopolare. Questo è
l’errore di Josipović, che in campagna elettorale ha sottovalutato l’attuale presidente Grabar Kitarović.
Queste elezioni sono state decise dal
voto di 32mila elettori che sono stati determinanti per la vittoria della
Kitarović. Il team elettorale di Josipovic deve rispondere del suo debacle”, ha sostenuto Dražen Čurić.
Quali gli errori dei candidati? A rispondere è stato Dražen Lalić: “Le
campagne elettorali non servono
solo alla promozione dei candidati, il
compito dei PR è quello di innescare
cambiamenti a livello sociale e nella
politica. Le attività degli addetti alla
comunicazione non devono limitarsi solo ad iniziative di marketing, ma
devono entrare nel profondo del dibattito politico e migliorare la società
entro cui queste elezioni si realizzano.
La campagna elettorale non ha dato
risposta a domande fondamentali su
come uscire dalla crisi, in quale modo
realizzare le riforme di cui abbiamo
bisogno, su come mettere in atto la
decentralizzazione, di cui ne hanno
parlato tutti, cambiando più volte
idea sul come procedere. La campagna è stata condotta in condizioni
economiche molto difficili. Da questo confronto, purtroppo, non sono
giunte risposte concrete. Non possiamo sostenere in nessun caso che la
Croazia, nel periodo post elettorale,
sia diventata un Paese migliore”, ha
concluso Lalić.
Panorama
11
attualità
Aleksandra Kolarić, presidente dell’Associazione che raccoglie le age
relazioni (HUOJ) critica aspramente il premier Milanović per il mod
La crisi che affront
è più pericolosa di quella ec
C
“Direi che sia in politica che nella società si comunica con metodi distruttivi, sfoggiando troppe
emozioni, senza rispettare l’interlocutore né conoscere le regole del
dialogo, il più delle volte, senza argomentazione, con attacchi ad hominem, a livello personale. Non lo
fanno tutti, non vale per tutti, ma la
tendenza a ricorrere ad una comunicazione impulsiva, che non viene
tenuta sotto controllo, ma che procede in modo selvaggio, è purtroppo molto presente nel nostro spazio
pubblico ed anche oltre”.
In quale modo la crisi si riflette sul
settore delle pubbliche relazioni?
dustria, anzi, forse di più, perché le
prime spese che le grandi aziende
hanno tagliato sono state proprio le
ricerche di mercato, le consulenze
in ambito di comunicazione e pubbliche relazioni. Non condividiamo
il parere di coloro che sostengono
che questi sono stati dei tagli a fin
di bene, perché molte corporazioni hanno avuto anche delle conseguenze negative per le mancate
consulenze dei professionisti della
comunicazione. Quello che ha poi
particolarmente inciso sulla nostra
attività è la decisione del Governo
croato di vietare al settore pubblico
l’impiego di agenzie per gestire le
pubbliche relazioni. Il governo che si
è insediato circa 4 anni fa invece di
introdurre maggiore trasparenza in
questo settore, invece di aprirsi agli
specialisti, che avrebbero comunicato meglio, di quanto lo abbiano fatto
fatto gli impiegati dei singoli ministeri, la politica adottata dal governo e le scelte compiute, ha chiuso le
porte alle agenzie. Se mi chiede perché lo hanno fatto mi viene da dire
che la causa sta nel fatto che le agenzie, o persone che le rappresentano,
hanno osato, da buon principio,
commentare e criticare la politica,
e i modelli comunicativi, assolutamente privi di creatività, dell’attuale
premier. Per fortuna il mercato in
questi ultimi anni sta recuperando e
i nostri professionisti stanno riguadagnando le loro posizioni”.
“Per quanto riguarda la crisi economica va detto che ha colpito la
nostra attività nello stesso modo in
cui lo ha fatto con altri settori dell’in-
Guardando la faccenda da un
punto di vista professionale come
si comunica in ambito pubblico in
Croazia?
“Un buon esempio è il modo in
cui comunica il partito ecologista
ORaH di Mirela Holy. Lo fa in modo
chiaro, semplice, trasparente, il loro
di Diana Pirjavec Rameša
on Aleksandra Kolarić
presidente dell’Associazione che raccoglie
le agenzie croate che si
occupano di Pubbliche
relazioni (HUOJ) abbiamo fatto il
punto sui problemi che attanagliano questa importante attività e sulle
prospettive di sviluppo. Immancabile la domanda sui suoi rapporti
con l’attuale dirigenza dell’SDP da
cui è stata allontanata più di un
anno fa. Ricordiamo che la Kolarić
ha nel suo curriculum alcuni importanti incarichi istituzionali. È
stata infatti la portavoce del governo di Ivica Račan, accompagnando
l’allora premier nelle sue missioni
più importanti, sia nel paese che
all’estero. Erano anni in cui la sinistra croata riconquistava le simpatie delle cancellerie europee e quelle del corpo elettorale nazionale, si
preparava all’ingresso nell’Unione
Europea.
Il resto fa parte della cronaca politica del nostro paese, inclusa la
decisione della dirigenza SDP, di
un anno fa di espellerla dall’SDP
perché troppo critica nei confronti
dell’attuale premier Milanović. Di
di recente ha chiesto di venir reintegrata, ma anche questa volta le
hanno detto di no.
12
Panorama
Perché succede tutto ciò?
“Probabilmente perché in un contesto di crisi tutte le emozioni diventano ancora più forti, incidendo
anche sulla comunicazione. La nostra società sta attraversando una
profonda crisi, che è più grande e
più pericolosa dalla crisi economica stessa. Ci troviamo a dover fare i
conti con la crisi del sistema di valori su di cui poggia la nostra vita.
È chiaro che con l’impoverimento
dei cittadini, causato dallo stallo
economico, la crisi dei valori rende
ancora più lacerato il tessuto sociale, crollano i valori e gli standard di
civiltà che sarebbero auspicabili in
una società democratica”.
Possiamo individuare un esempio
di buona prassi e uno di cattiva
prassi nella comunicazione politica in Croazia?
enzie croate di Pubbliche
do in cui comunica
tiamo
problema è che non dispongono di
mezzi sufficienti da investire nel PR,
un altro problema è rappresentato
dal fatto che sono, comunque, un
partito piccolo. Un buon esempio di
comunicazione è certamente quello
della Lista indipendente “Most” fondata dall’attuale sindaco di Metković,
Božo Petrov e del gruppo di persone
che lo sostengono. Questa formazione raccoglie intorno a sé i nuovi conservatori i quali presentano
contenuti piuttosto diversi rispetto a
quelli tradizionali. Ciò che li distingue sono le tecniche comunicative
adottate, tutte molto moderne. Sono
molto presenti in rete, hanno capito
che senza di questa piattaforma è
impossibile portare avanti una campagna politica efficiente e facilmente
raggiungibile da tutti” Se parliamo
di cattiva prassi va detto che un
pessimo comunicatore è l’attuale
premier Milanović, il quale negli
ŽELJKO JERNEIĆ
conomica
ccAleksandra Kolarić
ultimi tempi ha cercato di migliorare grazie anche ad un team di consulenti stranieri. Ma nonostante gli
sforzi profusi la sua comunicazione
risulta incomprensibile, elitista, fatta dall’alto, poco trasparente e non
si rivolge ai soggetti chiave”.
Come comunica la presidente Grabar Kitarović?
“In modo populista, ma con charme”.
Continuerò ad essere la voce della dissidenza
Perché ha insistito nel richiedere di venir reintegrata
nell’SDP dopo che un anno fa è stata espulsa dall’attuale dirigenza? Che cosa cambierebbe in seno al
partito se avesse la possibilità di farlo?
“È chiaro che sarei voluta ritornare in politica, per
questo ho atteso per una anno. Non ho accettato l’invito di nessun partito, anche se in molti me lo hanno
chiesto. Rientrare avrebbe significato impegnarsi per
cambiare l’SDP”.
“Avevo annunciato di voler insistere sull’introduzione di nuovi standard in seno al partito e sulla
sua democratizzazione, ovvero sulla necessaria,
indispensabile, imprescindibile transizione dell’SDP dal 20.esimo secolo al 21. esimo secolo politico. Il mio intento era di formare una frazione in
seno al partito e raccogliere forze riformiste che
credono nel cambiamento e che condividono con
me la tesi che questa gestione del partito risulta lesiva, sgretola la sinistra, non presenta ne è in grado di rappresentare le forze riformiste che indubbiamente esistono in seno alla nostra società. Da
dissidente continuerò lungo questo percorso, sarò
la voce forte e tenace della ragione e della socialdemocrazia.”
Panorama
13
attualità
di Diana Pirjavec Rameša
D
i recente il gruppo
croato Adris ha ceduto la storica Fabbrica
tabacchi di Rovigno
(TDR) alla British
American Tobacco (Bat) - la seconda più grande azienda mondiale
produttrice di sigarette - a fronte di
una somma pari a ben 505 milioni
di euro. Si tratta peraltro di una delle più grosse operazioni finanziarie
mai avvenute in Croazia. Stando
ai termini dell’accordo firmato lo
scorso 30 maggio, la produzione
di sigarette deve essere mantenuta
nella cittadina di Canfanaro per almeno 5 anni, altrimenti la Bat dovrà sborsare una penale di 50 milioni di euro.
La Adris di Rovigno, in Istria, ha
venduto alla British American Tobacco non solo il suo impero per
la produzione e distribuzione di
tabacchi, ma anche una serie di società collegate, per 505 milioni di
euro. Luce verde deve arrivare ancora dall’assemblea degli azionisti
del Gruppo Adris la cui convocazione è prevista per il 14 luglio.
Si tratta in ogni caso di uno dei
maggiori trasferimenti di proprietà
in Croazia negli ultimi dieci anni.
La Bat diventa così proprietaria di
tre società collegate: la fabbrica per
la produzione di tabacchi (Tdr) con
una posizione quasi monopolistica
sul mercato croato, di edicole e negozi per la vendita di stampa e tabacchi e di una società tipografica.
La multinazionale britannica si è
impegnata a mantenere la produzione di tabacchi nello stabilimento
situato nell’entroterra dell’Istria per
almeno cinque anni e tenere tutti
gli attuali operai. La società croata invece, che fino a dieci anni fa
aveva come propria base il settore
dei tabacchi, continua la propria
trasformazione in una compagnia
quasi completamente proiettata nel
settore turistico in Istria.
Nel giorno in cui è stata resa pubblica la notizia il mercato azionario
ha registrato un aumento dei titoli
del gurppo Adris di circa il 7 p.c.
14
Panorama
Si tratta di una delle maggiori operazioni
finanziare mai realizzate in Croazia,
pesante ben 505 milioni di euro
L’espansione della British American
Tobacco (BAT) non si ferma qui: l’
obiettivo è quello di aumentare la
presenza non solo in Croazia, ma
anche in Bosnia e Serbia.
Da oltre un secolo British American Tobacco è presente in modo
stabile sul mercato mondiale. L’Azienda è stata fondata nel 1902 e,
nel 1912, risultava già tra le dodici
società con maggiore capitalizzazione di borsa.
Con un portafoglio di oltre 200
marche, il Gruppo occupa una
posizione solida
in tutti i Paesi nei
quali opera e in
oltre 60 mercati è
leader del settore.
Negli ultimi dieci
anni, British American Tobacco ha
registrato a livello
mondiale un aumento di circa il
50% della propria
quota di mercato,
raggiungendo il 13% circa, posizionandosi così al secondo posto a
livello internazionale.
Nel 2013, grazie anche all’apporto
delle aziende consociate, il Gruppo
BAT ha venduto 676 miliardi di sigarette in oltre 200 mercati in tutto
il mondo. I governi dei Paesi in cui
il Gruppo è presente hanno ottenuto gettiti fiscali per oltre 40 miliardi
di euro, incluse le imposte di consu-
La British
American
Tobacco
acquista la TDR
mo sui prodotti, pari a circa 6 volte
l’utile netto del Gruppo.
fIl personale
e gli stabilimenti
Le Aziende consociate producono
all’incirca 705 miliardi di sigarette
in 46 stabilimenti siti in 41 Paesi.
Otto di queste, più uno stabilimento separato, producono anche sigari, trinciato per sigaretta e per pipa.
Il Gruppo impiega oltre 57.000
persone in tutto il mondo. La struttura organizzativa è fortemente
multiculturale e gode di ampia autonomia: ogni azienda è, infatti,
autonomamente responsabile per
la propria struttura produttiva. Le
singole decisioni di business vengono prese in modo da essere il più
vicino possibile agli interessi locali
nel rispetto di principi, standard e
politiche ben definiti.
E se ci sono aziende che vendono, per investire poi in altri settore dell’economia come avvenuto all’interno del gruppo Adris,
ci sono altre che acquistano e si
espandono. Entro il prossimo
agosto la più grande società alimentare croata, la Podravka, approderà ufficialmente nel mercato cinese, iniziando a mettere in
commercio diversi marchi, tra cui
quello degli alimenti per la prima
infanzia, dell’acqua, del tè freddo
e dei dolci. Ad annunciarlo è stato
Goran Kapičić, direttore dell’ufficio di Podravka a Pechino, aperto
lo scorso 13 gennaio, puntualizzando che l’azienda alimentare è
la prima società croata a disporre
di una struttura organizzativa in
Cina.
“La Podravka sta tentando di entrare nel mercato cinese da oltre
20 anni, ma solo adesso si sono realizzate le condizioni per portare a
termine l’espansione. va rilevato che
sono ben 27mila le aziende di tutto
il mondo che hanno aperto i propri uffici a Pechino e che numerose
catene alimentari lavorano oramai
direttamente con la Cina senza servirsi dei tradizionali mediatori figure chiave per chi volesse fare affari
in Cina.
“Dalle analisi condotte finora, riteniamo che i più anziani non vorranno certo abbandonare la cucina tradizionale cinese, mentre la
popolazione più giovane accetterà
di buon grado le nostre novità. I
prodotti che esporteremo inizialmente richiederanno un tempo di
registrazione decisamente ridotto,
dalle due alle quattro settimane.
Per i prodotti di origine animale,
invece, i tempi saranno molto più
dilatati, ovvero anche tre-quattro
anni - sostiene il neo direttore. La
ccLa Podravka ha iniziato la
scalata cinese con prodotti
alimentari per l’infanzia
Podravka inizia la sua scalata cinese con prodotti alimentari per
l’infanzia, noti per la loro qualità e
affidabilità.
L’import di prodotti alimentari in
Cina sta registrando una considerevole crescita. Nei primi dieci
mesi del 2014 questa ha raggiunto
vertiginosi 8,64 miliardi di dollari
registrando un aumento, rispetto al
2013 del 30,52 p.c.
Panorama
15
ccIl cartello della discordia
Tutela delle minoranze
di Stefano Lusa
I
n Slovenia la tutela delle minoranze è buona. In Slovenia la tutela delle minoranze
è buonissima. In Slovenia
la tutela delle minoranze è
superlativa, sì ma il discorso vale
solo per le minoranze “autoctone”
e solo sulla carta. Lubiana in questi anni ha sempre sbandierato il
suo elevato grado di tutela riservato agli italiani ed agli ungheresi.
È stato un ottimo passaporto per
presentarsi al cospetto dell’Europa. Le due minoranze godono di
ampissimi diritti. Gli ungheresi
possono contare su una certa compattezza sul territorio, gli italiani
no. Per le altre minoranze nessuna
tutela o quasi, mentre i rom, che
sono da generazioni oramai stanziali, vivono in precarie condizioni
igienico-sanitarie e devono fare i
conti con i pesanti pregiudizi nei
loro confronti che persistono soprattutto nella Bassa Carniola.
Nonostante ciò la Slovenia oggi è
molto più multiculturale di quanto
appariva 10 anni fa. L’euforia nazionale - che aveva contraddistinto
gli anni che avevano portato all’indipendenza ed il decennio successivo - sembra essere superata.
16
Panorama
Goran Vojnović, elegante scrittore
e sceneggiatore, con le sue storie
di immigrati è oramai una stella di
prima grandezza del firmamento
letterario sloveno, mentre Magnifico è da tempo una vera e propria
pop star in Slovenia e non solo. Al
di là di questi fenomeni, però, un
vero e proprio revival balcanico sta
attraversando il paese. Lo si vede
soprattutto dai giovani che hanno sostituito nei loro iPad i ritmi
occidentali con quelli del pop folk
balcanico, mentre nei reality show,
che passano in televisione, lo slang
giovanile si presenta infarcito di
termini che provengono dalle altre
lingue dell’ex federazione.
Lubiana torna ad immergersi in
un nuovo melting pot culturale ed
economico “jugoslavo” e intanto
spariscono in maniera sempre più
evidente i tradizionali legami che
il paese aveva con l’occidente. L’Italia è oramai lontana e la piccola
minoranza italiana che vive sulla
costa sta diventando sempre più
insignificante.
Lo si è visto con il traforo di monte
San Marco che collega la superstrada tra Isola e Capodistria. Di fronte al tunnel il cartello con il nome
della grande opera: “Markovec”. A
pochi giorni dall’apertura se ne è
accorta anche la Comunità Autoge-
stita Costiera che ha mandato una
circostanziata lettera di protesta
alla Società autostrade chiedendo
che si rispettino le leggi che la Slovenia stessa si è data in materia di
bilinguismo. La notizia ripresa dai
giornali ha subito scatenato un putiferio. C’è chi, nei commenti in Internet, ha pensato bene di invitare
gli italiani a fare le valige e a tornarsene da dove sono venuti, chi si è
lasciato andare a pesanti apprezzamenti all’indirizzo delle loro madri,
mentre i più bonari hanno messo in
rilievo la situazione degli sloveni in
Italia e hanno paragonato la sparuta
minoranza italiana ad un gruppo di
parassiti che non sa far altro che lamentarsi e a vivere alle spalle dello
stato.
fLa tabella è conforme
alle regole
Pochi e isolati i segni di solidarietà. Significativi quelli arrivati dagli
esponenti della minoranza slovena
in Italia. Sta di fatto che la missiva
della Can non ha sortito nessun effetto immediato. La Società autostrade si è limitata a rispondere, ad
una domanda posta da Radio Capodistria, precisando che la tabella
di fronte al tunnel è conforme alle
regole, visto che quello in questio-
attualità
Il traforo di Monte
San Marco suscita
profonde riflessioni
sui diritti della CNI
nel Capodistriano,
una presenza che
risulta essere più di
rappresentanza che
di sostanza
ccInaugurato in pompa magna il tunnel di Monte San Marco
in Slovenia sì, no, nì
ne non è un toponimo ma il nome
del cantiere, che pertanto non necessita di traduzione. Insomma la
tesi è che l’hanno chiamato Markovec, ma che avrebbero potuto
anche chiamarlo anche solo Monte
San Marco o Peter Pan.
L’escamotage del resto è già comunemente usato a Capodistria dove
la società che gestisce il porto si
chiama “Luka Koper” e la banca
“Banka Koper”. Scelte tutt’altro che
casuali e che paiono voler affermare il carattere sloveno del territorio. Per Intesa Sanpaolo, il gruppo
italiano che da anni, controlla l’istituto di credito capodistraino, il
nome non è sicuramente un problema e non lo è nemmeno il bilinguismo all’interno dell’istituto,
che con la nuova proprietà non ha
fatto registrare significativi passi in
avanti. Insomma la presenza della
minoranza italiana sembra proprio essere una seccatura per tutti.
La Slovenia, che si è data una serie di mirabolanti norme di tutela,
gioca ad applicarle il meno possibile, ma intanto da decenni le usa
a livello internazionale e nei rapporti bilaterali con l’Italia, per dimostrare quanta cura ha dei pochi
italiani che vivono tra Capodistria,
Isola e Pirano, di fronte alle scarse e carenti norme di tutela di cui
godono gli sloveni in Italia. Agli
italiani rimasti in Slovenia, che
sono solo una reliquia dell’antica
e massiccia presenza sulla costa,
negli anni del regime comunista
è stato fatto credere di essere protetti come dei panda giganti, ma
è stato fatto anche loro capire che
non devono lamentarsi troppo e
soprattutto non devono “abusare”
dei diritti concessi.
fLa goccia che ha fatto
traboccare il vaso
Il traforo di “Markovec”, però, è
stata forse la goccia che ha fatto
traboccare il vaso, uno schiaffo
dato in pieno volto, che non poteva
passare inosservato. Presto, così, si
è fatto notare che la Società autostrade ha “dimenticato” le diciture
in italiano su gran parte dei cartelli
messi sul tratto di strada che passa per il territorio bilingue. Alcuni
stavano li da anni. Non se ne è accorto nessuno. Non li hanno visti i
politici locali, non li hanno visti gli
esponenti della minoranza, non li
hanno visti le guardie municipali,
che dovrebbero vigilare sull’applicazione del bilinguismo.
Alla fine se la battaglia verrà vinta
il cartello con il nome italiano del
traforo sarà comunque errato. Al
massimo verrà concessa la dicitura
Monte Marco. Intollerabile per le
amministrazioni locali far tornare
in terra santi cancellati negli anni
Cinquanta, così com’è intollerabile
ripristinare, anche solo in parte, gli
antichi nomi delle vie e delle piazze a Capodistria, Isola e Pirano. È
accaduto nel resto della Slovenia,
sulla costa no, qui la rivoluzione
continua a vivere nelle piazze e
nelle vie.
È forse il segno più evidente
dell’impotenza della comunità italiana, che non riesce ad incidere
nemmeno in maniera simbolica
nella vita del territorio, nonostante
possa contare sui vicesindaci e su
seggi garantiti nei consigli municipali. Una presenza che risulta essere più di rappresentanza che di
sostanza, esattamente come tutto
l’impianto che regola la tutela della
minoranza italiana in Slovenia. Un
modello che alla prova dei fatti si
sta dimostrando fallimentare, ma
che tutti continuano a difendere
all’insegna dello slogan: “Le norme sono ottime, il problema sta
nella loro applicazione”. Lo stesso
ritornello si era sentito ripetere
fino allo sfinimento dai politici jugoslavi negli anni Ottanta quando
parlavano dell’autogestione socialista (sic!).
Panorama
17
società
di Marino Vocci
I
l 3 giugno scorso, al Parlamento Europeo di
Bruxelles, il gruppo dei Verdi ha commemorato Alexander Langer. Un suo caro amico, il
giornalista e scrittore Adriano Sofri, ha ricordato come nel 1961, a quindici anni, Alex,
su un giornale di scuola, scriveva: “Vorremmo
esistere per tutti, essere di aiuto ed entrare in
contatto con tutti. Il nostro aiuto è aperto a tutti,
per tutti vale la nostra preghiera. Venite a noi,
e vi aiuteremo con tutte le nostre forze”. Sofri
così continuava: “E’ l’esordio di Alex all’impegno
pubblico. Nel suo biglietto d’addio, che avvenne
il 3 luglio di trent’anni fa e dopo essersi levato i
sandali si era impiccato a un albicocco sul Pian
dei Giullari non lontano da Firenze, risuona
quella stessa citazione di Matteo: “Venite a me,
voi che siete stanchi ed oberati”. Nel 1995 però
Alex scrive che è “più disperato che mai” e non
ha più la forza di accogliere quell’invito. I pesi
gli sono diventati insostenibili. Emulando il caro
San Cristoforo, durante tutta la Sua vita dedicata
a tutti e a tutto, con responsabilità ed estrema
generosità aveva sempre preso sulle spalle carichi che gli erano via via sembrati leggeri come
quello del bambinello del 1961. Ma nel mezzo
del cammino della vita aveva ceduto: perché è
più facile restare soli, quando si vuole essere per
tutti.
Di quel 3 luglio 1995 di Alex, oltre l’invito a tutti
di continuare in ciò che è giusto, resta una solitudine sconfinata. L’aveva ricordata proprio Lui
anni prima, nell’addio commosso a Petra Kelly,
“Troppo grande il carico di amore per l’umanità
e di amori umani…”. Alex era tutto per tutti, con
il Suo andare nel mondo intero, senza smettere
però di avere una casa e superando tutti, proprio
tutti i confini. Proprio l’origine familiare e territoriale l’aveva fatto più esperto e sensibile ai
confini.
18
Panorama
LAUDATO
da Langer a Ber
Ma Alex si era liberato anche della logica politica del rinnegato-transfuga. Aveva accettato
di tradire - di tradurre, di traghettare - ma non
per passare dalla parte del nemico: piuttosto per
occupare una terra di nessuno, e farne il luogo
dell’incontro reciproco e dello scambio. Oggi il
mondo sembra pericolosissimamente guardare solo al proprio “ombelico” e riscoprire muri e
frontiere e feticci di sovranità statale. Proprio
per questo se l’Unione Europea fosse degna di
questo nome, oltre ad offrire come esempio il
federalismo visionario dei suoi padri e Madre
Terra tutta guarderebbe con speranza a questo
suo figlio prezioso.
Ma torniamo alla solitudine sconfinata del
“viaggiatore leggero” per ricordare come per fortuna dal 2 all’11 luglio, la Fondazione/Stiftung a
Lui intitolata insieme all’Associazione Tuzlanka
Amica e il Forum dei Cittadini di Tuzla, non lo
dimenticheranno; prima nella Sua città Bolzano,
poi a Tuzla, Sarajevo e Srebrenica (a Trieste un
incontro e concerto ci sarà domenica 2 agosto),
con un programma rivolto a tutte e per tutti e a
un pubblico di tutte le età.
E’ la prima volta che la tradizionale manifestazione Euromediterranea giunta ormai alla tredicesima edizione, si svolge in Bosnia. Questo
avviene in coincidenza con due importanti ventennali (io ricorderei anche i 20 anni degli Accordi di Dayton) quello della scomparsa di Alexander Langer e quello del genocidio di Srebrnica, e
ccAlexander Langer
Nella lettera enciclica del Pontefice si
possono riscoprire idee, concetti e proposte
sui cui Alex e molti di noi hanno costruito la
propria formazione culturale, sociale e politica
SI...
rgoglio
per questo è stato creato un percorso che unisce
la riflessione sull’impegno e la figura di Langer,
al lavoro svolto negli ultimi 10 anni dalla Fondazione Langer in Bosnia.
Torneremo così sulle strade che proprio Alex aveva percorso dal 1991 per cercare di fermare una
guerra che appariva ogni giorno più feroce. Questo insieme a molti interlocutori locali e internazionali che oggi lavorano per promuovere dialogo e convivenza in Bosnia e nel resto d’Europa.
Quest’anno sarà proprio l’Associazione “ADOPT
SREBRENICA” a ricevere il Premio Internazionale
Alexander Langer 2015. Per l’impegno profuso
quotidianamente nella promozione del dialogo
interetnico in uno dei contesti più complessi
della ex-Jugoslavia. Ma anche per la grande capacità maturata in questi anni, di coinvolgere un
pubblico locale, italiano e internazionale nella riflessione su una parte fondamentale della storia
europea. Ricordo che il “Progetto Adopt Srebrenica “ è nato nel 2005; in seguito era emersa la
volontà di riportare l’attenzione internazionale
a e su Srebrenica, avviando un progetto di part-
nerariato con la città che prevedeva anche un
coinvolgimento attivo di amministrazioni pubbliche (anche il Comune di Trieste) e associazioni
italiane (anche il Gruppo/Skupina 85 che a Trieste organizza il Forum dedicato a un caro amico
di Langer, Fulvio Tomizza) e internazionali. Da
subito quindi c’è una doppia finalità: parlare di
Srebrenica e operare con Srebrenica e i temi focalizzati sono quelli della memoria, giustizia ed
elaborazione del conflitto.
Alexander Langer non è stato solo un grande costruttore di ponti, in lui c’era anche il bisogno di
ecumenismo. Quell’ecumenismo che deriva dalla conversione ecologica sostenibile. Ecco perchè
chi crede che è importante non dimenticare Alex
Langer, ma anzi che è altrettanto importante
ripartire dal pensiero di questo profesa verde, la
Lettera enciclica di Papa Francesco “Laudato si...”
sulla cura della casa comune, è una vera benedizione.
Perché viene “bene detta” la necessità di fare
pace tra gli uomini e la natura. Il mondo è un organismo vivente: uomini, animali, piante, l’aria,
l’acqua, ogni elemento fa parte di un equilibrio
che rischia di essere infranto per sempre. Madre
Terra può ospitare tutti, ma non può reggere l’egoismo di pochi.
E così, scorrendo il testo – di cui scriverò in un
prossimo articolo - del Pontefice (colui che si fa
ponte…), si possono riscoprire idee, concetti
e proposte sui cui Alex e molti di noi hanno costruito la propria formazione culturale, sociale e
politica. Quelle della necessità della “conversione
ecologica”, della “decrescita”, l’urgenza di passare
dal “più” (più consumo, più sviluppo, più cemento, ecc…) al “meno” (meno consumismo, meno
inquinamento, meno spreco, ecc…), l’idea di invertire la rotta “dall’espansione alla contrazione“.
Mao Valpiana animatore e responsabile dal 1988
della Casa per la Nonviolenza di Verona, sede nazionale del Movimento Nonviolento e amico di
Alex, ha ricordato come queste proposte furono
presentate per la prima volta in versione politica, e non solo etica, nell’ottobre 1990 e proprio
a Verona al Convegno nazionale “Sviluppo? Basta! A tutto c’è un limite”. Dove relatori furono
Alexander Langer, Wolfgang Sachs, Christoph
Baker (il meglio dell’ecologismo di allora), che
muovevano i loro concetti dal pensiero filosofico
di Ivan Illich, e volevano diventare una proposta
di ecologia politica. Erano visioni profetiche. Allora però erano considerati ancora degli utopisti,
una minoranza della minoranza, e persino le associazioni ambientaliste allora rifiutavano l’idea
di “decrescita” e preferivano parlare di “sviluppo
sostenibile”.
Ora dopo un quarto di secolo le stesse idee di
ecologia profonda si possono ritrovare nel documento del Vescovo di Roma, Papa Bergoglio.
Un bel passo in avanti. E’ però assolutamente
necessario che non passi un altro quarto di secolo perché da indicazioni autorevoli diventino
politiche degli Stati. Sarebbe troppo tardi. Oggi
è importante che tutti (cittadini ma soprattutto
governanti) capiscano che si può “vivere meglio
con meno”.
Ti sia sempre lieve la terra CARO AMICO. GRAZIE
amico FRANCESCO!
Panorama
19
territorio
testo e foto di Ardea Velikonja
L
’olio d’oliva in Istria scrive pagine di storia che
hanno più di un paio di
migliaia di anni. Grazie al particolare suolo
e al clima, la terra istriana è molto adatta per la coltivazione degli
ulivi. Oggi in Istria viene prodotto uno dei migliori olii d’oliva nel
mondo tanto che viene chiama l’oro liquido del mediterraneo. Con
tecniche speciali e tanto amore,
l’olio d’oliva istriano raggiunge una
perfezione di gusto, odore e colore
riconosciuta dai massimi esperti
del campo in tutto il mondo. Per
l’alta qualità dell’olio d’oliva istriano il più grande merito và agli
olivocoltori locali. Al festival internazionale dell’olio d’oliva, dove
competono e vengono presentati
gli olii d’oliva provenienti da quasi
300 paesi, quelli istriani portano il
titolo di migliori al mondo. Negli
ultimi anni si distingue particolarmente l’olio d’oliva di Sandi Chiavalon che recentemente ha ricevuto prestigiosi premi internazionali.
Sandi Chiavalon è un esempio per
20
Panorama
Il giovane
imprenditore
Sandi miete
successi
internazionali e
recentemente ha
vinto il premio
quale miglior
olio biologico
europeo e l’unico
certificato in
Croazia
tutti i giovani istriani: ha appena 31
anni ma è un imprenditore che si è
fatto valere a livello mondiale. Lo
abbiamo intervistato nella sua casa
attorniata logicamente da oliveti.
fTutto cominciò
quasi per hobby
Ho cominciato da piccolo assieme a mio fratello. Avevo 13 anni
quando ho iniziato ad occuparmi
di olive per hobby. Purtroppo mio
padre è mancato prestissimo come
pure uno dei miei nonni, mentre
l’altro aveva una trentina di olivi,
una vigna e un orto per i prodotti
che venivano usati in casa. Nessuno in famiglia si occupava solo di
agricoltura, mentre io ero affascinato dalla terra, dalle varie piante
che vi crescevano. Da grande decisi di iscrivere la scuola agraria e
di mettermi seriamente al lavoro.
Il nonno mi lasciò questi trenta
olivi e la vigna e decisi di occuparmi di loro con l’idea di diventare
un produttore di vino. Siccome
non avevo soldi per investire e fare
una cantina come si deve, decisi di
estrarre le viti e piantare gli olivi.
La mia idea, durante gli anni di
scuola, era “come cresceranno gli
olivi così cresceremo anche noi”.
E così è stato. Ogni anno io e mio
fratello piantavamo 100 - 200 olivi e piano piano siamo arrivati al
2006 con 1200 piante. Dopo di che
a Dignano ci fu un bando di concorso per l’assegnazione in affitto
dei terreni agricoli statali, abbiamo
concorso e siamo riusciti ad avere
ccIl giovane imprenditore Sandi Chiavalon
L’oro liquido
del Mediterraneo
targato Chiavalon
circa 22 ettari di terreno e da allora abbiamo deciso di non trattare
più l’agricoltura come un secondo
lavoro ma di diventare dei professionisti nel campo agricolo. Oggi
abbiamo 7500 piante di olivo e abbiamo in piano di piantarne ancora
700. Accanto a ciò pianteremo un
ettaro di fichi così avremo anche
altri prodotti e non solo olio. In
azienda siamo io e mio fratello e
mia moglie. Io sono quello che segue i lavori nei campi, mio fratello
segue il marketing e le vendite e
mia moglie cura la contablità. Con
noi lavora ancora una persona addetta al trattore e poi arrivano gli
operai stagionali quando c’è il raccolto. Siamo una piccola azienda a
conduzione familiare.
Di tutti questi olivi oggi circa la
metà sono in produzione mentre
l’altra metà è fatta di olivi giovani
ai quali serviranno ancora 5 o sei
anni per porter dare frutti come
si deve e avere quindi una produzione economica. All’olivo servono circa 20 anni per arrivare alla
produzione massima e quindi ottimale, ma noi siamo contenti anche dopo dieci anni quando l’olivo
fa circa 25 chili di frutti, e quindi
c’è un tornaconto economico. Così
per adesso con tutte le nostre piante e altre 3000 dei nostri vicini, cioè
dieci piccole aziende che coltivano
l’olivo, noi controlliamo la produzione e quindi acquistiamo le olive.
Così in totale riusciamo a fare circa
9 - 10 mila litri di olio, ma la produzione cresce ogni anno di circa
il 15 - 20 per cento perchè arrivaPanorama
21
territorio
La busa istriana
Varietà autoctona dell’Istria sudoccidentale. Si coltiva su tutto il
territorio istriano e nelle zone olivicole situate sulle isole dell’Alto
Adriatico. Recentemente è stata
introdotta anche nelle regioni
meridionali della Croazia. Si ritiene che sia una varietà autoctona dell’Istria sud-occidentale e
con la Busa maschio di Dignano
costituisce oltre il 50% del fondo
olivicolo.
Limpido, particolarmente verde
per la forte presenza in clorofille,
presenta dei riflessi gialli di lieve
entità.
All’odorato emergono note di
frutta immatura, di mela, di clorofilla. In bocca si impongono i
tratti del piccante, poi dell’amaro.
Infine emergono i sentori della
frutta secca, particolarmente persistenti. L’olio monovarietale di
busa si presenta equilibrato per
quanto riguarda le caratteristiche
sensoriali, dimostrandosi molto
versatile sia in ambito alimentare
che commerciale. Il piccante e l’amaro sono perfettamente equilibrati, caratteristica che rende l’olio
più gradevole e meno aggressivo
al gusto. Il fruttato di questo olio
si può definire molto forte e ciò è
dovuto ad una elevata intensità di
due flavor: mela e frutto dell’olivo. Altre caratteristiche associate
sono radicchio e carciofo.
22
Panorama
no sempre piante nuove in frutto.
Speriamo solo che questa stagione non sia come negli ultimi due
anni quando c’è stata tanta siccità o
tanta pioggia e non siamo riusciti
a fare il massimo. Ecco per esempio mentre noi stiamo parlando gli
olivi sono in fiore però le temperature sono troppo alte e vedremo
come tutto ciò influirà sul raccolto.
Noi non abbiamo il frantoio perchè è un investimento molto grande e per adesso finanziariamente
non ce la facciamo. Usiamo il frantoio Grubić di Valle. Una collaborazione belllissima: lui ha investito
nei macchinari e noi nei campi.
Come raccogliamo le olive così,
anche quattro volte al giorno, il
frantoio si mette in moto e dopo al
massimo sei ore abbiamo l’olio in
cantina. Questo è importante perchè solo così si possono sfruttare
al massimo tutte le vitamine, gli
antiossidanti e i fenoli che ci sono
nel frutto, le salvaguardiamo e le
proteggiamo anche nell’olio.ù
fIl nuovo salame
Fino a quest’anno facevamo solo
olio. Tre anni fa abbiamo cominciato con un nuovo esperimento.
Abbiamo preso alcuni suini, li teniamo allo stato brado, chiusi al
pascolo, sono sempre in bosco o
nell’oliveto e quest’anno dopo tre
anni di allevamento siamo riusciti
ad avere i primi animali per il prodotto: abbiamo cominciato a fare
un salame di tutto il suino. Non
un salame tradizionale istriano
ma vogliamo fare una nuova linea,
un nostro prodotto che per adesso
non ha un nome e non sappiamo
in che quantità riusciremo a farlo.
Quattro mesi fa abbiamo macellato la carne e fra una ventina di
giorni dovrebbero essere pronti
i primi salami. Un salume molto
buono fatto con tutte le parti del
maiale che vive almeno due anni
all’aperto e quindi mangia di tutto.
Non è chiuso in una stalla e quindi la carne ha tutto un altro gusto.
Quando il numero dei suini sarà
più grande pensiamo di fare anche
prodotti tipici come il prosciutto.
Per adesso abbiamo cento animali su sei ettari di bosco sia d’estate
che d’inverno, e per ora vogliamo
fare questo salame poi vedremo.
Più tardi pensiamo di trasportare
i maiali laddove gli olivi cresceranno, recinteremo e quindi li lasceremo tra gli alberi liberi al pascolo
così ci faranno il favore di mangiare l’erba e scavare un pò la terra e di fertilizzare anche il terreno
perchè tutta la nostra produzione
è biologica. Abbiamo tutti i certificati necessari, non usiamo alcun
pesticida nè concimi minerali,
anche se è difficile oggi trovare
fertilizzanti organici. Quindi con
ciò che resta delle olive facciamo
una composta e dopo due anni
ricopriamo il terreno con questo
aggiunta agli escrementi di una
fattoria vicina che ha tante capre.
I terreni vengono fertilizzati ogni
tre anni.Nel 30 per cento dei terreni c’è la concimazione verde ovvero si semina il quadrifoglio che
fissa l’azoto dell’aria in terra e in
primavera quando c’è la fioritura
con l’aratro si rovescia e si ottiene
un materiale organico che fertilizza il terreno in modo naturale. Un
modo molto faticoso pechè bisogna pensarci già un anno prima e
quindi seminare l’erba che si vuole
e dopo lavorare la terra in tempo.
fMedaglia d’oro
A Bari c’è stata la premiazione
dell’olio biol, al concorso sono ammessi solo campioni di agricoltori
che hanno un certificato biologico.
Quest’anno la giuria ha assaggiato
500 campioni e noi abbiamo ricevuto la medaglia d’oro e il premio
Biol Croatia come miglior olio
biologico croato. Questo non è l’unico premio che abbiamo ricevuto.
Negli ultimi otto nove anni siamo
una delle aziende più premiate
non solo in Istria ma in tutta la regione. Il premio più grande per noi
comunque è il cliente che sempre
ritorna ad acquistare il nostro olio.
Nel 2008 abbiamo fatto il nuovo
design della bottiglia che ha rice-
vuto dieci premi mondiali. Uno di
questi era anche il Graphys, che è
un catalogo che sceglie ogni anno i
trenta prodotti con design migliori nel mondo e qui sono incluse
aziende come la Chanel, la Porche,
la Ferrari ovvero i migliori brend
del mondo. Noi siamo la prima
azienda familiare che è stata inclusa in questo catalogo. Il design
della bottiglia è di due designer di
Zagabria ovvero Bruketa e Žilić,
oggi i migliori designer del mondo. Oltre a tutti questi premi abbiamo anche il riconoscimento del
Flos Olei di Marco Reggia che ogni
anno ci include nel catalogo, siamo
l’unica azienda che già otto anni
consecutivi ha 94 punti su 100.
Non siamo andati avanti ma non
siamo neppure scesi il che significa che la nostra qualità è costante
nonostante le brutte annate.
Noi lavoriamo con cultivar autoctone: busa dignanese, carbonazza, bianchera istriana morasola e
rossignola, abbiamo solo il 3 per
cento di leccino perchè negli anni
Novanta non c’erano altre piante. Quest’anno abbiamo avuto un
grande problema: un fungo ha attaccato gli alberi, un fungo che si
manifesta negli anni molto piovosi, ed ha fatto parecchi danni specie al leccino che non è una pianta autoctona dato che le “nostre”
piante sono oserei dire più forti
anche se poi dipende anche dal
terreno e da dove l’acqua ristagna,
e infatti solo una busa è stata attaccata da questo fungo e quindi si è
seccata. Questo fungo entra nella
pianta tramite la radici e ferma i
canali linfatici dell’albero e quindi si può rinsecchire un rametto
o una branca o addirittura tutto
l’albero. In primavera parecchi
rami hanno cominciato a seccarsi
e avevamo paura che fosse la xylella, quella che ha distrutto gli oliveti
in Puglia, però questo batterio non
ce la fa con il nostro clima freddo.
E poi i nostri oliveti sono lavorati
e la xylella ha fatto danni in Puglia
sugli oliveti non coltivati.
Circa il 60 per cento della nostra
produzione va esportata in tutta
Europa e devo dire che trattandosi
di piccole quantità non vendiamo
nei negozi ma direttamente ai ristoranti e alberghi di alta classe o
direttamente al pubblico. Mi spiego, basta telefonare qui da noi e
mandiamo l’olio direttamente al
cliente anche a Londra. L’Europa per noi è stata un passo avanti
per il commercio dell’olio perchè
prima dovevamo esportarlo, oggi
da quando la Croazia è membro
dell’UE non abbiamo alcun problema per esportare le nostre bottiglie. Si lavora più facilmente e
grazie ai fondi europei che finanzieranno l’agricoltura e lo sviluppo
rurale certamente si farà un grande passo avanti nell’agricoltura di
tutto il paese. Esportiamo pure in
Srebia e Montenegro e da quest’an-
no in Taiwan, e i partner sono
molto contenti.
Qui abbiamo una sala di degustazione dove arrivano le visite di
gruppo portate dalle varie agenzie,
specie passeggeri di cruiser che
vengono a Pola e quindi i turisti
di alta classe ai quali si racconta
la storia dell’Arena e dei romani
che facevano olio da queste parti,
vengono qui da noi ad assaggiarne e quindi ad acquistarne come
souvenir. Lavoriamo molto con gli
alberghi della Maistra di Rovigno
che ci mandano i loro ospiti e poi
internet con le pagine web fanno il
resto.
Nel Dignanese ci sono moltissimi
produttori di olio ma il problema
maggiore è che ci sono pochi professionisti. Molti lo fanno per hobby e con le nuove leggi sarà sempre
più difficile per un piccolo produttore, imbottigliare il proprio
prodotto. Dovete sapere che l’aagricoltura è produrre l’olivo, fare
olio è già industria alimentare e ci
sono tantissime leggi che regolano
questa industria, ci sono spese per
avere i certificati che servono. Noi
controlliamo già adesso dieci piccoli produttori dai quali acquistiamo le olive e pensiamo di allargare
questa rete di cooperazione perchè
solo facendo altissima qualità e
una certa quantità si può sopravvivere. Avendo un altissima qualità di piccolissimi numeri è impossibile resistere perchè ci sono
Panorama
23
territorio
tantissime cosa da pagare prima
di vendere la bottiglia. Oggi c’è
ancora tantissimo mercato nero,
la gente imbottiglia di tutto, anche
olii buoni vengono venduti sottobanco.ìù
fI tre nemici dell’olio
Noi abbiamo confezioni da 100
millilitri, da 250 e la bottiglia
più grande di mezzo litro. La
nostra bottiglia ha una etichetta
specificia e la confezione è for-
mata da un sacchetto di carta
riciclata, fatto a mano,e può un
bel souvenir dall’Istria. Dovete
sapere che l’olio ha tre nemici: la
luce, la temperartura alta e l’ossigeno. Anche l’olio migliore del
mondo messo in una bottiglia
chiara, viene distrutto dalla luce.
Il nostro olio viene confezionato
in atmosfera controllata: tutte le
botti in cantina sono sotto azoto di modo che l’olio non ossida.
Quando viene imbottigliato viene messo prima l’azoto poi l’olio e
infine di nuovo l’azoto. Questo è
un gas inerte che c’è nell’aria (78
per cento) e noi con questo sistema ne mettiamo in bottiglia il 99
per cento e così non si peremette
all’ossigeno di far danni. Quando
la bottiglia viene stappata, l’olio
viene a contatto con l’ossigeno e
dovrebbe essere usato in breve
tempo. Può anche stare tre quattro mesi. Però se un olio sta in un
atmosfera non controllata più a
lungo di sei mesi perde la qualità. Noi raccogliamo le olive verdi
a ottobre quando con 100 chili di
olive riusciamo a fare 7 o 8 litri
di olio per avere alta qualità ovvero un olio con grande carica di
fenoli e antiossidanti. Se questo
stesso olio non viene dopo rtenuto bene in cantina perde sia
gli antiossidanti che i fenoli ma
anche la vitamina E e tutto quello
che c’è di buono in un olio. Per
questo è molto importante come
viene custodito: la temperatura
ottimale è 16-18 grandi. Oltre i
venti gradi comincia già a d ossidare, oltre i 27 gradi comincia
una situazione molto precoce e
in due settimane perde la qualità. Non va bene congelarlo perchè perde le sue qualità, e quindi
bisogna consumarlo in tempo. Se
viene messo in bottiglie grandi è
chiaro che l’ossigeno lo distrugge.
Quindi suggeriamo a tutti di acquistare olio in piccole bottiglie.
Oggi purtroppo la categoria
dell’olio extra vergine è talmente
ampia che si riesce ad imbottigliare quasi tutto come un extra
vergine. Così quando il consumatore vede la bottiglia non sa
giusto cosa compra fin che non
assaggia l’olio. Perciò bisogna gustare l’olio per vedere se è fresco,
verde, al naso, se ha profumi di
erba, di oliva verde, se in bocca
è molto intenso fruttato con un
retrogusto piccante-amaro, vuol
dire che è un olio buono. Se non
ha queste tre caratteristiche vuol
eePrima l’azoto, poi l’olio e quindi ancora l’azoto
per imbottigliarelo come si deve
24
Panorama
dire che si tratta di un olio di
scarsa qualità che purtrppo con la
legge attuale viene imbottigliato
come olio extra vergine di oliva.
Noi per fortuna quest’anno abbiamo registrato il marchio DOP
e sicuramente è una garanzia in
più per il consumatore. Il nostro
olio come ho già detto ha il certificato biologico e come tale non
ha residui chimici all’interno nè
di pesticidi nè di minerali e quindi non danneggia la salute del
consumatore. Così diventa non
solo un condimento ma una risorsa di vitamine e antiossidanti
e un aggiunta all’alimentazione.
Con un solo cucchiaino di olio
di oliva il corpo riceve il 40 per
cento del fabbisogno quotidiano
di vitamina E e antiossidanti.
ccIl prestigioso premio ricevuto per il miglior olio biologico
I due olii
pregiati
fEx Albis Riserva
L’olio extravergine d’oliva monovarietà viene ottenuto dalla
carbonazza dignanese da piante
che superano i 300 anni. qQuesti antichi uliveti cresco nella
zona nella Riviera di Brioni nella località di Marana, conosciuta ancora ai tempi degli antichi
romani per il suo eccellente olio
di oliva. Grazie alla tecnologia
moderna e alle nozioni di cui
oggi facciamo tesoro in questi
uliveti la scorsa raccolta ci ha
donato 800 bottigliette di questo
eccellente olio d’oliva dal profumo molto sofisticato arricchito
da aromi eleganti di erba verde, carciofo e vaniglia. Il sapore
intenso e complesso è caratterizzato da un ricco gusto di rosmarino cicoria e da un aroma
accentuato di mandorla dolce.
Non è eccessivamente amaro
né piccante e perciò si abbina
benissimo alle insalate di verdure
miste, al carpaccio di scampi alle
lessate, al pesce alla griglia e ai
piatti più leggeri a base di carne.
fEx Albis
L’olio extra vergine d’olivo è ottenuto dalle varietà autoctone di
olivo: la busa dignanese, la carbonazza dignanese, la bianchera
istriana e la morasola. Caratterizzato da un profumo intenso
e molto raffinato è arricchito da
aromi di cicoria selvatica, carciofo e frutta fresca. Lo distin-
guono ricchi sapori balsamici
di menta, rosmarino, salvia ed
un gusto accentuato di mandorla dolce. Gli aromi amaro e
piccante sono presenti e opportunamente accentuati. Si sposa
eccellentemente con le insalate
miste di verdure, gli antipasti a
base di legumi, brodi di porcini,
piatti principali di molluschi, di
pesce alla griglia, tonno marinato, carne bianca e rossa, e vari
formaggi. Può venir anche servito assieme al dessert in particolare se abbinato al gelato alla
vaniglia o ai dolci al cioccolato.
Panorama
25
dossier
comunità
R
oberto Bravar, presidente della Comunità degli
Italiani di Santa Domenica è assente giustificato da parecchio tempo
e a farne le veci è la vicepresidente
Mirella Gasparini, che ci ha accolto
prima della cerimonia di apertura
del rinnovato sodalizio.
“Questa Comunità nasce nel 1992
grazie ad un gruppo di entusiasti bocciofili – introduce la vicepresidente –. Ne era a capo Valter
Krizmanich, che ha anche aperto
questa sede e ha ricoperto per vari
mandati il ruolo di presidente. L’attività all’epoca era praticamente
concentrata attorno al club di bocce, ma si organizzavano anche corsi
di lingua italiana. Nel 1994 il Comune di Visignano, a cui all’epoca
Santa Domenica apparteneva, donò
l’edificio dove ci troviamo oggi alla
Comunità degli Italiani. Grazie ai
successivi mezzi stanziati dal Governo italiano e dall’Unione Italiana nel 2000 sono iniziati i lavori di
ristrutturazione della CI e la sede
finalmente oggi è stata inaugurata”.
“Santa Domenica in tutto ha 400
abitanti ma assieme a Castellier al
cui comune facciamo capo ci sono
in tutto 1500 abitanti – dice Mirella Gasparini –. Di questi 163 sono
soci della CI effettivi e una cinquantina di sostenitori. Il signor Angelo
Beaković, che abbiamo incontrato
ccLa vicepresidente Mirella Gasparini
prima, è il socio più anziano, ha ben
89 anni e non manca mai alle nostre
manifestazioni. Per quanto riguarda
le attività devo dirle che prima di aggiungerne una nel nostro sodalizio
ascoltiamo i desideri dei membri e se
c’è qualche suggerimento che suscita
grande interesse allora la proponiamo alla Giunta esecutiva e quindi si
decide. Cerchiamo di ascoltare i giovani e i loro desideri. Abbiamo tanti
giovani che vengono in Comunità
ed essendo anche il presidente giovane sono una fonte inesauribile di
idee e voglia di fare”.
fIl gruppo etnovocale
“Di attività fisse abbiamo il gruppo
etnovocale Nigrignanum, con 16
ccIl socio più anziano Angelo Beaković sempre presente in Comunità
26
Panorama
Santa
i gio
idee
a Domenica:
ovani portano
e e continuità
attivisti, il gruppo che ci rappresenta nel Paese e all’estero e credo che rappresenti la Comunità e
quindi è il nostro fiore all’occhiello. Sono un coro impegnatissimo,
sono sempre presenti in tutta l’Istria, si esibiscono in canzoni popolari istriane ma cantano anche
tantissime altre canzoni”.
“Quindi come attività abbiamo i
minicantanti, entrambi i gruppi
cioè i mini e il gruppo Nigrignanum sono diretti dalla maestra
Diana Bernobić Sirotić che è la presidente della CI di Visinada, per cui
tutto in famiglia. Quindi abbiamo
la banda d’ottoni con il dirigente
Elvis Soldatić ed è mezza del Comune e mezza nostra, per così dire.
Volevamo includerla nella nostra
CI perchè guardando i nomi dei
ragazzi si vede che più del 30 per
cento sono iscritti al nostro sodalizio e vorremmo che facessero le
prove qui. Dovrebbero avere una
stanza tutta per loro in cui deporre
gli strumenti. Vedremo di torvarla.
La vicepresidente
Mirella Gasparini
li sostiene in
tutto, come pure il
presidente Roberto
Bravar, lui stesso
appartenente alle
nuove generazioni.
Fiore all’occhiello del
sodalizio è il coro
Nigrignanum,
che si è esibito
il 24 giugno
scorso all’apertura
solenne della sede
completamente
rinnovata
Panorama
27
dossier comunità
ccLa bellissima casetta in stile istriano in cui vengono allestite le mostre
ccIl bocciodromo della CI
Sono nella maggior parte giovani
che non solo suonano ma ci aiutano
quando abbiamo bisogno. Poi abbiamo il gruppo di ballo moderno,
dai 3 ai 12 anni, guidati da Elizabeth
Wertheim. Abbiamo anche attività
artigianali: ogni anno nei mesi di
febbraio marzo e aprile abbiamo
Ester Diklić organizza dei corsi.
Quest’anno hanno fatto tante belle
cose con materiale riciclato. Qui si
tratta di otto donne che hanno poù
tempo, quindi sono più anziane che
lavorano con piacere e si fanno belle
chiacchierate. Abbiamo quindi ginnastica ricreativa, corso di zumba.
Quindi la nostra sede è piena ogni
28
Panorama
giorno al pomeriggio”.
fIl 90 per cento dei
bimbi sutdia l’italiano
“Qui noi non abbiamo una scuola e
un asilo in lingua italiana, però alla
scuola croata si insegna facoltativamente la lingua italiana tanto che
più del 90 per cento dei ragazzi imparano la lingua italiana. Però tutti
in casa hanno un nonno o una nonna o la mamma e il papà che parlano italiano e quindi tutti ‘masticano’
l’italiano”, precisa Gasparini.
“Le nostre manifestazioni tradizionali sono la festa dell’8 marzo, una
bella manifestazione quando la sala
multifunzionale si trasforma in un
bar e secondo il tema le donne portano i dolci. Ogni anno c’è un tema e
per esempio quando la protagonista
è stata la cioccolata ben 100 donne
hanno portato le loro prelibatezze
fatte in casa e la Ci ha donato ad
ognuna di loro un fiore. Una bella
serata in cui ci si ritrova in allegria.
Poi abbiamo la Festa del patrono
che è San Giovanni in collaborazione con il Comune, il 24 giugno.
il giorno appunto scelto per l’apertura solenne della restaurata sede. E
infine abbiamo la Festa di fine anno
cui partecipano tutti i gruppi attivi
ccLe delizie alle mele per la Festa dell’8 marzo
ccLa sala riunioni appena restaurata
Enio Jugovac:
rapporti ad
altissimo livello
Enio Jugovac è sindaco del comune di Santa Domenica - Castellier e come sempre gli abbiamo
chiesto come sono i rapporti tra il
Comune e la CI. “I nostri rapporti
sono più che ottimi. Da quando è
stata costituita la CI di Santa Domenica i rapporti sono ad altissi-
ccLa mostra di gioielli in pasta polimerica
mo livello, il Comune ha più volte
aiutato il sodalizio sia finanziariamente che giuridicamente, parlo
della sede e del bocciodromo. La
CI è sempra incluse in tutte le manifestazioni del nostro Comune e
questa è una cosa molto importante. Grazie a questa collaborazione
la cultura sul territorio ha fatto un
grande passo avanti. Ai soci della
Comunità degli Italiani di Santa
Domenica vorrei dire di includere
sempre più giovani anche se ce ne
sono, ma sono il nostro futuro sia
del Comune che della CI.”
Panorama
29
dossier comunità
in seno alla Comunità. Ogni nostra manifestazione è seguita sì dal
pubblico minoritario ma anche da
quello di maggioranza dato che la
nostra CI è l’unico luogo in cui tutti
gli abitanti si ritrovano. Tutti sono
benvenuti”.
fUn desiderio?
Lavorare come finora
“Mi chiede quali sono i nostri desideri?. Ne abbiamo uno unico, che
si continui a lavorare come finora,
cercando di portare sempre più giovani, anche se ne abbiamo tanti. La
nostra è una sede definitiva e dobbiamo essere felici di averla. Abbiamo tutti i requisiti necessari, però
se avessimo ancora una sala per la
banda d’ottoni non sarebbe male.
Comunque va bene così. I rapporti
con il Comune di Santa Domenica
- Castellier sono ottimi, qualsiasi
cosa ci serve il Comune è sempre
pronto ad aiutarci e sostenerci”,
conclude la vicepresidente.
Infine, sull’ipotesi dell’introduzione
di una quota di iscrizione o partecipazione, a mo’ di contributo alle
attività della Comunità, afferma:
“Bisognerebbe suddividere i soci in
due gruppi, rispettivamente quelli attivi che lavorano, che danno il
proprio tempo libero per questa
Comunità, e sono tanti, e gli altri.
Non sarebbe giusto mettere una
quota d’iscrizione a coloro che già
danno tanto. Viceversa, credo che
bisognerebbe farla pagare a quelli
che non vengono mai in Comunità”.
ccIl corso di ballo per le bambine
30
Panorama
ccIl fiore all’occhiello della CI è il gruppo vocale Nigrignanum
ccIl corso di riciclo creativo
ccUna delle tante feste alla Comunità
Un’iniziativa
dell’Associazione
Mazziniana italiana
in occasione del
CCX anniversario
della nascita
dell’Apostolo ligure
di Fulvio Salimbeni
I
l 20-21 giugno a Roma, nella
prestigiosa Sala Margana, a
poca distanza dal Campidoglio, l’Associazione Mazziniana Italiana, in occasione
del CCX anniversario della nascita
di Mazzini, ha organizzato il VII
Colloquio mazziniano “Democrazia in azione”, articolato in una
giornata di studio su Il sentimento repubblicano del Dovere: etica
pubblica, cittadinanza e solidarietà, e in una conferenza nazionale
organizzativa, in cui sono state
messe a fuoco e discusse questioni
nodali e cruciali dell’attuale contingenza politica e dell’organizzazione e degli obiettivi della stessa
Associazione.
Essa, fondata a Milano da un
gruppo di personalità antifasciste
subito dopo il 25 luglio1943 con
l’intento di rilanciare gli ideali
mazziniani - prima stravolti e strumentalizzati dal regime fascista ai
fini della propria politica di potenza e poi ripresi nell’esperienza della
Repubblica Sociale di Salò, proposta come ideale coronamento del
repubblicanesimo dell’Apostolo
ligure -, dopo aver partecipato attivamente alla Resistenza,vedendo
i suoi aderenti prevalentemente
attivi tanto in formazioni repub-
Il sentimento
repubblicano
del Dovere
blicane quanto azioniste, a guerra
conclusa s’impegnò a fondo per
la causa repubblicana in vista del
referendum istituzionale del 2 giugno 1946, vinto il quale, ribadendo la propria piena autonomia e
indipendenza rispetto ai partiti
politici, pur se chiaramente vicina
a quello repubblicano, senza, peraltro, mai confondersi con esso,
si diede a svolgere una meritoria
opera d’educazione politica nazionale democratica e di divulgazione
degli scritti e del pensiero del maestro genovese.
potuto vantare quali direttori personaggi di spicco nel campo degli
studi storici repubblicani come
Terenzio Grandi, Vittorio Parmentola, Pier Giovanni Permoli,
Sauro Mattarelli, grazie a loro e ai
numerosi valenti collaboratori, taluni semplicemente appassionati
militanti, ma altri nomi tra i più
prestigiosi nell’ambito della ricerca storica risorgimentale e con-
fLa rivista “Pensiero
Mazziniano”
Organizzatasi in una rete di comitati periferici diffusi capillarmente
sul territorio, con prevalenza per
l’Italia centro-settentrionale, la
Mazziniana per raggiungere un
pubblico quanto più vasto possibile, oltre ai propri militanti, varò
sin dal 1944, in piena lotta per la libertà, la rivista “Il Pensiero Mazziniano”, che dopo la stagione clandestina, a partire dal 1946 è uscito
a cadenza prima trimestrale e poi,
dal 2005, quadrimestrale, da tale
data venendo affiancato dal supplemento “L’Azione Mazziniana”,
di taglio più informativo e sede di
dibattito sulle questioni d’attualità.
Il “Pensiero Mazziniano”, che ha
Panorama
31
la storia oggi
eeSebastiano Maffettone, uno dei maggiori
politologi italiani - del quale, per i tipi della
LUISS, nel 2014 è uscito Filosofia politica
temporaneistica o della riflessione
politologica, s’ affermato come una
delle migliori e più qualificate riviste nazionali di cultura politica,
svolgendo una funzione essenziale
di formazione civile. Proprio la sua
autonomia e indipendenza ha fatto
sì che la crisi della I Repubblica e
il tracollo dei partiti tradizionali
in essa operanti, che hanno portato alla scomparsa o al drastico
ridimensionamento di periodici e
istituzioni culturali a essi collegate,
non incidesse sul “PM”, che anzi ha
finito con l’imporsi come una delle
poche riviste di respiro nazionale
e d’elevata qualità scientifica nel
campo della cultura politica, reggendo in maniera egregia il confronto con un organo prestigioso
come “Il Mulino”.
Se a ciò s’aggiungono i seminari e
i colloqui periodici promossi dalla
sede centrale e le conferenze organizzate dai comitati regionali e
locali su questioni storiche e d’attualità, oltre ai convegni nazionali,
sempre ben riusciti e frequentati, si
comprende l’importanza del ruolo
pubblico che la Mazziniana tuttora
svolge, sempre fedele agli obiettivi
che l’autore dei Doveri dell’uomo,
apparso nel 1860, aveva allora fissato per la costruzione di un’Italia
moderna, capace di sostanziare l’unità, libertà e indipendenza
appena conseguite con contenuti
d’effettiva valenza sociale e civile.
A suo avviso per dare concretezza
32
Panorama
al Risorgimento nazionale in atto
bisognava affrontare e risolvere tre
questioni di primaria importanza:
il lavoro, l’emancipazione femminile e l’Educazione (scritta con la
E maiuscola a rilevarne e ribadirne
la centralità), che non consisteva
soltanto nell’insegnare a leggere,
scrivere, far di conto, bensì nella
formazione vera e propria del cittadino, consapevole dei propri diritti e doveri.
fRiflessioni sull’etica
pubblica
Fedele a tali indicazioni, la Mazziniana ha sempre posto al centro
delle proprie meritorie iniziative
tali punti programmatici, che sono
stati al centro pure dell’iniziativa romana segnalata all’inizio di
queste note. Nella prima giornata,
infatti, i lavori si sono articolati in
due sessioni, incentrate rispettivamente sulle relazioni di Sebastiano
Maffettone, uno dei maggiori politologi italiani - del quale, per i tipi
della LUISS, nel 2014 è uscito Filosofia politica. Una piccola introduzione -, e di Giovanni Vetritto,
una delle firme più autorevoli della
rivista “Critica Liberale”, mentre le
correlate discussioni, tutte vive e
partecipate, sono state introdotte
da Pietro Finelli e Milena Mosci.
In un momento di crisi gravissima
della moralità pubblica (lo scandalo della corruzione romana, che
quotidianamente riserva la rivelazione di sempre nuove bassezze) e
della partecipazione alla vita politica dei cittadini, che, disgustati dal
degrado istituzionale, s’astengono
sempre più dalla partecipazione
alle competizioni elettorali - come
s’è visto pure nelle ultime elezioni
regionali - e alla vita dei partiti, i
cui tesserati sono in calo continuo,
è sembrato giusto e opportuno discutere tali questioni alla luce della
permanente attualità del magistero
mazziniano, in cui un termine pregnante come “Dovere” non è una
vuota declamazione retorica, bensì
un concetto, profondamente sentito, che impone la dedizione diuturna al bene comune nell’ambito
del proprio ambito di competenza, la democrazia non essendo un
dono calato dall’alto, ma un qualche cosa che va praticato, difeso
e vissuto quotidianamente nei rispettivi ambiti di competenza. Da
qui, pertanto, la riflessione sull’etica pubblica e su quel che essa
comporta, sulla pratica effettiva
della cittadinanza, sulla solidarietà, esplicantesi nelle maniere più
varie e che è fondamento di quel
cooperativismo già teorizzato da
Mazzini (ed egregiamente studiato
da Nello Rosselli nel pionieristico
Mazzini e Bakunin. Dodici anni
di movimento operaio in Italia,
1860-1872, del 1927), e incominciato a mettere in pratica lui vivente in contrapposizione allo scontro
tra le classi quasi negli stessi anni
teorizzato da Marx. Etica pubblica, cittadinanza e solidarietà - un
concetto, questo, oggi più drammaticamente d’attualità che mai
pensando a quanto succede giorno
dopo giorno nel Mediterraneo -,
che non sono circoscritti al contesto nazionale, riguardando, invece,
pure quello europeo, al fondatore,
nel 1834, della Giovine Europa
sempre ben presente, posto che il
suo sogno era quello d’una libera
federazione di repubbliche tra loro
solidali, donde l’attenzione per tutti i Risorgimenti nazionali del continente, in particolare dell’area danubiana e balcanica, cui, nel 1857,
avrebbe dedicato le famose Lettere
slave.
fAssente l’educazione
civica nei programmi
scolastici
A tale europeismo quale obiettivo permanente dell’impegno della
Mazziniana s’è, d’altronde, richiamato il suo presidente, Mario Di
Napoli (ricordando, tra l’altro,
l’apporto del mazziniano Ernesto
Rossi alla stesura del Manifesto di
Ventotene), nella seconda giornata
dei lavori, dedicata agli aspetti organizzativi, in cui si sono prese in
esame e discusse prima la presenza sul territorio dell’AMI, che può
vantare decine di comitati locali,
e poi la situazione della stampa e
della comunicazione. Ribadita la
centralità e importanza d’una rivista come “Il Pensiero Mazziniano”,
di cui va conservata e potenziata
l’impostazione, attenta tanto alla
dimensione storica con le rubriche su I e II Risorgimento quanto
all’attualità, s’è presa in esame la
possibilità di trasformare in una
pubblicazione telematica “L’Azione
Mazziniana”,così da ridurre i costi
e, nel contempo, raggiungere un
più vasto pubblico, a tal fine pensando anche a un potenziamento
del sito istituzionale (www.associazionemazziniana.it), onde coinvolgere maggiormente i giovani,
più sensibili a tali nuove forme di
comunicazione. E a proposito d’essi nell’ampia e vivace discussione,
cui hanno partecipato quasi tutti
i rappresentanti dei comitati e dei
membri della direzione nazionale, s’è ragionato pure dell’attuale
drammatica situazione del sistema
educativo nazionale, prendendo
anche spunto dai progetti del governo Renzi di “buona scuola”, già
discussi criticamente e contestati
in un documento edito in un recente fascicolo de “L’Azione Maz-
ziniana”, e denunciando la pressoché totale assenza dell’educazione
civica nei programmi scolastici, il
degrado delle conoscenze storiche
e linguistiche, a vantaggio del diffondersi dell’inglese e di anglicismi
d’accatto, quando Mazzini già in
gioventù aveva pubblicato saggi di
grande valore sull’importanza della
lingua e della letteratura nazionale
per la formazione di un’autentica
coscienza italiana ed europea; da
qui la presa d’atto della necessità di
sviluppare più stretti collegamenti
con il mondo della scuola a livello
generale, pensando, inoltre, data
la sempre più diffusa ignoranza
da parte degli studenti della storia
patria (a un esame universitario di
storia contemporanea il sottoscritto ha scoperto che “Mazzini era
monarchico”!), a possibili “Letture
mazziniane” sulla falsariga di quelle
“dantesche”, onde far conoscere almeno le sue pagine più importanti.
In tale ottica, inoltre, è stata denunciata pure la difficile situazione dell’italianità adriatica istriana
e dalmata, prospettando iniziative
a tutela e valorizzazione d’essa in
occasione, ad esempio, del centenario, nel 2016, dell’impiccagione a
Pola di Nazario Sauro, irredentista
mazziniano di Capodistria.
Le fila di tutti questi ragionamenti, proposte e riflessioni, che, dato
il loro livello qualitativo, trovano
raro riscontro nel dibattito culturale politico nazionale, verranno
tratte nel convegno nazionale che
nella seconda metà di novembre
avrà luogo a Terni, una delle roccaforti del repubblicanesimo italiano.
ccUna delle pagine della rivista “Pensiero Mazziniano”
Panorama
33
italiani nel mondo
di Ardea Velikonja
A
nche gli italiani nel mondo hanno il
proprio inno. Infatti, il 2 giugno, in Argentina, una standing ovation è stata
tributata al tenore Giuseppe Gambi
per l’esecuzione in anteprima mondiale dell’Inno degli italiani nel mondo “Italia
Patria mia”, scritto con la giornalista e studiosa di
emigrazione Tiziana Grassi, su spartito del compositore Luigi Polge e con gli arrangiamenti del
M° Armando De Simone. Il tenore napoletano
– una vera promessa della Fondazione Pavarotti – è stato invitato dall’Ambasciatore d’Italia in
Argentina, Teresa Castaldo, per eseguire l’Inno
per la prima volta all’estero, in Ambasciata, durante le celebrazioni della Festa della Repubblica
Italiana, e dal console generale d’Italia a Buenos
Aires, Giuseppe Scognamiglio, per celebrare poi
solennemente presso il Senado de la Nacion il
“Dia del Inmigrante Italiano”, festività nazionale
sancita da una legge del 1995 del Parlamento
argentino emanata per riconoscere il contributo
determinante dell’emigrazione italiana alla costruzione e allo sviluppo del Paese.
fGentile concessione
degli autori
Per avere il testo completo dell’inno (riportato
qui a lato) abbiamo contattato Tiziana Grassi coautrice – nota studiosa di Emigrazione
italiana e per 10 anni autrice di programmi di
servizio per gli italiani nel mondo a Rai International (oggi Rai Italia), e della redazione del
giornale CorrierePL.it e componente dell’Osservatorio dell’Emigrazione Italiana nel Mondo
– che molto gentilmente ci ha messo in contatto con il compositore Luigi Polge il quale ci
ha inviato il testo dell’Inno.
Il manager del M° Gambi è Angelo Giovanni
Capoccia, che dal giorno della presentazione
dell’Inno è stato travolto da richieste di concerti del M° Gambi, che oltre all’Inno ha un repertorio straordinario di opera classica (“Nessun
dorma”, “’O sole mio”, “Un amore così grande”,
ecc.), e come detto è una delle grandi promesse della Fondazione Pavarotti istituita da sua
moglie dopo la scomparsa del Maestro (6 settembre 2007), a lui dedicata e con un duplice
obiettivo: quello di mantenere viva la memoria
di Luciano Pavarotti e quello di aiutare i suoi
allievi, e più in generale i giovani che si affacciano al canto lirico, a trovare opportunità per
farsi ascoltare e conoscere.
In forte empatia con i legami degli italiani
verso il proprio Paese d’origine e quello che
34
Panorama
a cura di Ardea Velikonja
Anche gli italian
hanno il proprio
li ha accolti, e con il costante invito del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla
coesione e alla solidarietà – valori alla base
della nostra Repubblica che, insieme al lavoro,
sono stati portati dagli emigrati italiani in Argentina, dando un forte impulso allo sviluppo
del Paese – l’Inno è sintesi della storia di 27
milioni di italiani partiti oltreconfine tra Otto
e Novecento alla ricerca di una vita migliore.
Una storia che oggi si riverbera in 80 milioni di
oriundi, gli “italiani col trattino”.
fCollettività laboriosa
Nel suo messaggio per la Festa della Repubblica
Italiana, celebrata presso l’Ambasciata a Buenos
Aires, l’ambasciatore Castaldo ha voluto sottolineare la lotta per la democrazia e la libertà che
accomuna i popoli argentino e italiano, oltre ai
profondi vincoli storici, culturali e di sangue. Teresa Castaldo ha inoltre messo in evidenza l’impegno che negli ultimi anni sia l’Ambasciata sia
tutto il Sistema Italia hanno messo in campo per
rilanciare i rapporti bilaterali, tanto da raggiun-
ccIl giovane
tenore napoletano Giuseppe
Gambi
Autori il tenore
Giuseppe
Gambi e
Tiziana Grassi
su spartito del
compositore
Luigi Polge.
La canzone ha
destato grande
emozione
all’anteprima
mondiale
ni all’estero
o Inno
gere nuovi ed eccellenti livelli di cooperazione
in ogni settore di attività. Al riguardo, l’ambasciatore ha messo in risalto “il grande contributo
della collettività italiana, che non è soltanto la
più numerosa ma è tra le più attive, laboriose ed
entusiaste comunità all’estero”.
fUn testo che invita
a sognare e riflettere
L’Inno, composto su musica di grande efficacia
evocativa e un testo che invita a sognare, ma
anche a riflettere, sulla storia dei milioni di
connazionali nel mondo, è simbolo dell’italianità e dell’appartenenza. Anche nel testo si
sottolinea, infatti, il coraggio, l’orgoglio, i sogni
e le conquiste di milioni di emigrati italiani.
Milioni di persone che, partendo oltreconfine,
hanno assicurato lo sviluppo dell’Italia e il suo
prestigio nel mondo, distinguendosi per i valori
di cui sono stati portatori con impegno e tenacia, e rappresentando – ieri come oggi – una
risorsa preziosa per l’Italia.
Il tenore Giuseppe Gambi, di origine parte-
nopea, con una storia familiare di emigrazione che da Napoli l’ha portata negli
Stati Uniti, emozionato per le reazioni
entusiastiche che il suo Inno ha suscitato
a Buenos Aires, e vicino alle comunità italiane all’estero per le quali si esibirà in una
tournée partita proprio dall’Argentina.
fAl Columbus Day
Gambi ha espresso il grande desiderio di
cantare l’Inno degli Italiani nel Mondo
“Italia Patria mia” a New York, al prossimo
Columbus Day – evento significativo che
celebra l’Italianità e l’orgoglio italiano negli States – come suo personale e partecipe omaggio musicale a tutti i connazionali
nel mondo che “con le loro storie hanno
scritto una pagina fondamentale della
nostra Storia di cui essere orgogliosi – ha
dichiarato Gambi –, una storia che è parte di noi, del nostro passato e del nostro
futuro, e a cui dovremmo guardare con
maggiore rispetto e attenzione”.
Il testo originale
ITALIA PATRIA MIA
Guardo il mondo intorno a me
Ricordi sparsi e poi
“ITALIA PATRIA MIA”
Pensieri in fondo al cuor
Lasciati dietro noi
Paese mio ritornerò.
Nei miei occhi ancora c’è
Il tricolore SI con storia dentro se.
Il suono della nave. Il volto dei miei cari.
In lontananza me ne andai.
Rit:
Siamo noi italiani nel mondo
Uniti da tre parole:
Coraggio speranza orgoglio in noi
Sogni e libertà.
Viva gli italiani nel mondo
Un canto in cor L’Italia s’è desta
Conquista, libertà nei cuor
Italia Patria mia.
Tutti uniti qui vorrei
Con mano intorno a noi
Mai più dividerci
Il sole sorgerà
Il domani brillerà
un italiano canterà
Rit:
Siamo noi italiani del mondo
Uniti da tre parole:
Coraggio speranza orgoglio in noi
sogni e libertà.
Viva gli italiani del mondo
Un canto in cor L’Italia s’è desta
Conquista, libertà nei cuor
Italia Patria mia.
Musicale/coro:
Siamo noi italiani nel mondo
Un canto in cor L’Italia s’è desta!
Finale:
verde bianco rosso è il cor
Italia Patria mia
Panorama
35
libri
LA PAROLA AGLI EDITORI
Cerniera tra
mondi diversi
ma comunicanti
“[...] la conoscenza approfondita del tedesco e del serbo-croato – e in particolare delle forme linguistiche vetero-slave in tutte le loro complesse grafie – gli
permise di sviluppare le proprie ricerche
e i lavori che ne derivarono in qualità e
quantità rare negli studiosi italiani di
allora e, forse, di oggi. I suoi articoli,
monografie, saggi e recensioni trattano
non solo degli aspetti storici, artistici e
linguistici, ma anche di uomini e problemi specifici di civiltà e di costume
della Dalmazia, che è stata per oltre un
millennio la cerniera tra il mondo slavo e
quello latinoveneto e poi italiano. Questi
suoi lavori sono però sparsi in decine di
fonti e pubblicazioni, spesso difficili da
consultare nelle sedi originali”. È con
queste parole che il presidente della Società Dalmata di Storia Patria di Venezia,
Franco Luxardo, e il direttore del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, Giovanni Radossi, introducono Giuseppe
Praga, che le due istituzioni hanno ritenuto opportuno e doverso omaggiare,
”ma in questo modo anche rinsaldare la
collaborazione scientifica e culturale tra
due enti d’eccellenza nel loro campo, ma
anche due associazioni rappresentative
del popolo giuliano-dalmata, un popolo
forzatamente separato dalla storia del
secolo scorso”.
“Quale migliore occasione, dunque, se
non l’opera omnia di Praga – rilevano
Luxardo e Radossi nella Premessa –,
sempre rispettato dagli studiosi di entrambe le sponde dell’Adriatico”. D’altra
parte occorre tenere presente che “nel
lontano 1979 l’Istituto rovignese acquisì
quattro grossi volumi contenenti copia
di tutta la vasta produzione storiografica di Giusepp Praga, che erano stati di
sua proprietà e che egli stesso era andato approntando nel corso della sua vita,
creando un unico esemplare di questa
36
Panorama
preziosa testimonianza; ne sono usciti
tre tomi di oltre duemila pagine complessive, che permetteranno agli studiosi del XXI secolo di averne una visione
completa e di approfondirne i temi”. I lavori erano stati riportati in ordine cronologico e fatti rilegare dallo stesso Praga,
come una sorta di opera omnia.
fUn nuovo spirito
tra le nazioni
Ora dunque escono negli Atti dei due
enti “a conferma di quanto sia produttiva la collaborazione tra istituzioni culturali poste sulle due sponde
dell’Adriatico, che del resto avevamo
già sperimentato nel 1998-2000 con
la ristampa integrata della ‘Dalmazia
nell’arte italiana’ di Alessandro Dudan.
Gli incontri del presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, con
quello della Repubblica di Croazia, Ivo
Josipović, a Trieste nel 2010 ed a Pola
nel 2011, hanno creato uno nuovo spirito anche nei rapporti culturali fra le
due nazioni. Ad essi ha fatto seguito
l’entrata della Croazia nell’Unione europea nel luglio 2012 e noi ci auguriamo
che anche questa pubblicazione serva
a sviluppare la conoscenza della nostra
storia basata sui documenti e con quella reciproca tolleranza indispensabile
per l’avanzamento della scienza”, concludono Luxardo e Radossi.
Ringraziamenti alla prof.ssa Nives Giuricin, per la preziosa trascrizione di tutti
i testi; al prof. Rino Cigui, per la compilazione degli indici; al prof. Marino Budicin, per il lavoro di redazione; al prof.
Egidio Ivetic dell’Università di Padova,
che è stato il coordinatore scientifico e
il curatore dell’operazione e ha svolto
un attento processo di rilettura e revisione dei due tomi; al dr. Stefano Trovato
della Biblioteca Marciana di Venezia,
per le preziose notizie sulla carriera e
sui lavori del prof. Praga durante la sua
permanenza alla Marciana, ed alla stessa Biblioteca per la concessione delle
fotografie che appaiono nel testo; all’Università Popolare di Trieste, per il sostegno organizzativo nella complessa fase
di realizzazione grafica.
a cura di Ilaria Rocchi
A Padova, nello
storico Palazzo del
Bo, sede centrale
di uno degli atenei
più antichi al
mondo, sbarca la
pubblicazione che
raccoglie gli scritti
sulla Dalmazia
del grande
studioso zaratino.
Un volume
prestigioso,
coedito dalla
Società Dalmata
di Storia Patria
di Venezia e dal
Centro di Ricerche
Storiche di Rovigno
Giuseppe Praga
un’opera per ricordare
E
ra giunto a Padova per
potersi laureare, lui
che il suo curriculum
studiorum era stato
costretto a interromperlo – sebbene avesse la tesi già
pronta – a causa dello scoppio
della Grande Guerra. Oggi, a distanza di 95 anni, la sua figura e
la sua opera tornano nell’Ateneo
patavino per la promozione di
una pubblicazione prestigiosissima, che ne raccoglie gli scritti. A
Palazzo del Bo – quattrocentesco
edificio situato nel centro storico della città, sede dell’Università degli Studi di Padova, una
delle più antiche al mondo – il
30 giugno di quest’anno è stato
all’insegna di Giuseppe Praga, figura emblematica, come uomo e
intellettuale, della Dalmazia italiana fra gli anni Venti e Quaranta, uno dei suoi maggiori storici,
archivisti e, in generale, intellet-
tuali. Presso l’Aula Nievo-Cortile
Antico, si parla di lui e di questo
cofanetto-omaggio voluto dalla
Società Dalmata di Storia Patria
di Venezia e dal Centro di Ricerche Storiche di Rovigno.
Oltre duemila pagine articolate
in tre tomi, due copertine, nel
rispetto dei colori dei coeditori
(nella versione del CRS di Rovigno lo sfondo è azzurro, quello
che caratterizza la Collana degli
Atti, di cui questa pubblicazione
costituisce il numero 38, mentre
la SSDP di Venezia ha optato per
il giallo-ocra). Questa raccolta
sistematica dei contributi che
Praga ci ha lasciato in eredità –
e che riguarda i saggi prodotti
tra il 1923 e il 1956, riproposti
secondo l’ordine cronologico voluto dall’autore stesso, e rispettando lo stile originario nelle
note e nella bibliografia di riferimento – è stata curata da Egidio
ccGiuseppe Praga
Ivetic, professore dell’Università di Padova, specializzato in
storia moderna e, in particolare
Europa sud-orientale, Adriatico
(Mediterraneo), Repubblica di
Venezia, da anni collaboratore
del Centro di Rovigno e di altri
Panorama
37
libri
istituti di ricerca.
“In questi Scritti c’è il Praga più
genuino, fine conoscitore, come
pochi altri, del medioevo adriatico. C’è qui tutto, dalla guida
ai monumenti di Zara, alle monografie paleografiche, ai saggi,
tutto ad eccezione della Storia
di Dalmazia – osserva Ivetic –.
Questi scritti precedono la Storia di Dalmazia e la completano.
Perché ripubblicarli oggi? Essi
rappresentano la testimonianza
di uno studioso, di un tempo, di
una vita culturale fatta di erudizione e di ricerca umanistica”.
fRitratto di una
regione europea
Erudizione, perizia paleografica,
precisione, capacità di richiamare e rappresentare la vita delle
comunità dalmate medievali, rievocazione di un mondo adriatico
vivissimo negli scambi tra le due
sponde, rendono ancora attuali questi studi, che dopo il 1945
non hanno avuto degno seguito.
Ma Ivetic riconosce a Praga e alla
sua impostazione anche un’ulteriore qualità: la sua prospettiva.
La sua storia è sì locale, ma non
è localistica l’ottica che contraddistingue e dissemina nei suoi
scritti, dotato com’era di una formidabile capacità di contestualizzare il fatto nella più ampia
cornice storica europea.
Emerge così il ritratto di una
Dalmazia intesa come regione
mediterranea ed estrema regione
Le sue ricerche confermano gli stretti legami tra le due spo
Giuseppe Praga è oggi unanimemente riconosciuto fra i più importanti storici della Dalmazia
di tutti i tempi. Le sue ricerche confermano gli
stretti legami tra le sponde dell’Adriatico in
secoli in cui il confine non era la frontiera invalicabile degli stati-nazione. Figlio di Cristoforo
e Maria Nani, nasce il 19 marzo 1893 nella piccola località di Sant’Eufemia nell’isola di Ugliano, vicino a Zara, ai tempi della dominazione
austriaca della Dalmazia. Si diploma nel 1911
presso il Ginnasio Superiore “San Grisogono” di
Zara. Iscrittosi all’Università di Vienna, frequenta gli studi di filologia classica, dove segue i
corsi di Wilhelm Meyer-Lübke per la linguistica
e la filologia romanza, di Milan Rešetar per la
filologia slava, di Carlo Battisti per la filologia
italiana e di Paul Kretschmer per la filologia bizantina e neo-greca. Qui acquisisce una padronanza assoluta delle lingue slave e soprattutto
delle forme linguistiche veteroslave, il che gli
permetterà in seguito di approfondire con rara
perizia gli studi medievali della sua terra natale. Dunque, una preparazione di notevole spessore, della quale si sarebbe avvalso più avanti
per il suo impegno di studioso e di intellettuale
in un arco di tempo che avrebbe visto la sua
Dalmazia investita da due conflitti mondiali e
38
Panorama
da drammatiche contese nazionali.
Scoppiata la Prima guerra mondiale, prima di
riuscire a discutere la tesi di laurea, è richiamato
alle armi nell’esercito austroungarico, salvo poi
venir dispensato nel 1915 a causa della morte
del padre. Per le disagiate condizioni economiche familiari, Praga è costretto ad impiegarsi
e a sospendere l’iscrizione all’università, ultimando gli studi solo ad ottobre del 1918. Nel
1920 la sua tesi sul dalmatico – tradotta dal
tedesco – viene depositata presso l’Università
degli Studi di Padova, che di conseguenza lo
ammette direttamente all’esame di laurea,
superato col massimo dei voti e la lode.
Nel 1919 si trasferisce ad Arbe, dove lavora
come segretario in un ufficio pubblico (in attesa delle determinazioni del tavolo di pace:
l’isola, promessa all’Italia dal patto di Londra
del 1915, era stata occupata dal Regio Esercito italiano). È in questo periodo, grazie alla
frequentazione dei locali archivi, precedentemente quasi inesplorati, che Praga scopre la
vocazione per la storia. La passione trentennale per Arbe lo porterà a raccogliere un enorme
materiale: oltre mille documenti suddivisi in
tre gruppi, che lui trascriverà minuziosamente
fino a ricostruire il Codex diplomaticus arbensis,
ora depositato presso la Biblioteca Marciana
di Venezia. Nel 1921 lascia Arbe (qui conosce
Antonietta Sbisà, che diventerà sua moglie)
e, iniziato l’insegnamento a Idria (all’epoca in
provincia di Gorizia), dopo alcuni anni torna a
Zara, dove occuperà per quasi un decennio la
cattedra di italiano e storia presso l’istituto tecnico “Francesco Rismondo”.
Ben presto si afferma come erudito locale e
animatore della vita intellettuale zaratina tra
le due guerre. È del 1925 una sua “Guida di
Zara. Sito, storia, monumenti” (Zara, Tipografia E. de Schonfeld). Nel 1926 è tra i fondatori
della Società Dalmata di Storia Patria, della
quale sarà il presidente fino al 1934. Sempre
nel 1926, viene nominato vicepresidente della Lega Nazionale (carica che manterrà fino
al 1930) e nel 1928 è ispettore onorario per
l’arte medievale e moderna della provincia di
Zara. Nel 1930 consegue la libera docenza in
paleografia latina e diplomatica presso l’Università di Roma, seguita nel 1932 dalla libera
docenza in storia medievale e moderna (chiederà e otterrà l’esenzione dall’insegnamento
pubblico, per potersi dedicare ai suoi studi).
A partire dal 1932 dirige la Biblioteca Comunale “Pier Alessandro Paravia” di Zara, divenendo
italiana, “affollata certo di nomi
slavi, ma romana e latina nella tradizione delle istituzioni”,
precisa il curatore degli “Scritti”
–. Una rappresentazione della
Dalmazia che si staglia di netto
rispetto all’alternativa costituita dalla realtà storica e culturale
delle contermini regioni: la Croazia storica, attaccata alla Dalmazia (a partire dalla stessa Nona),
la Bosnia, l’Erzegovina, la Serbia
storica (la Rascia), il Montenegro e l’Albania. Praga conosceva
come nessun altro in Italia queste regioni storiche e le rispettive
culture. E rispetto a cotale contesto, secondo Praga, la civiltà
comunale dalmata si distingueva
e si saldava, tramite mare, con la
sponda adriatica opposta”.
onde dell’Adriatico
collaboratore della Sovrintendenza Bibliografica di Venezia. Nel 1933 ottiene per i suoi
studi l’ambito premio dell’Accademia d’Italia.
Nel 1936 assume il ruolo di sovrintendente
dell’Archivio di Stato di Zara. In queste duplice vesti si dedica a una profonda e razionale
riorganizzazione dei fondi e dei cataloghi e
all’implementazione delle raccolte. Socio effettivo dal 1927 e dal 1929 consigliere della
Deputazione di Storia Patria per le Venezie,
fra il 1939 e il 1940 è presidente della Sezione
Dalmazia della Deputazione stessa.
Nel 1944, a seguito dei bombardamenti di
Zara, sfolla a Venezia. Nel dopoguerra è bibliotecario aggiunto alla Biblioteca Nazionale
Marciana di Venezia, curando in modo particolare il catalogo per soggetti delle pubblicazioni di argomento veneto. Collaboratore
dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, scrive
sulla “Rivista dalmatica”, sugli “Atti e memorie della Società Dalmata di Storia Patria” e a
Roma sull’“Archivio storico per la Dalmazia”,
ha contatti con i maggiori storici italiani e jugoslavi, ma anche con belgi e polacchi. Morto
a Venezia il 19 febbraio 1958, il suo notevole
archivio è stato donato dagli eredi alla Biblioteca Marciana.
Un saggio fondamentale
STORIA DI DALMAZIA
Giuseppe Praga è oggi unanimemente riconosciuto fra i più importanti storici della
Dalmazia di tutti i tempi. La sua produzione
storiografica è vastissima: oltre un centinaio fra libri e articoli (apparsi sia sulle riviste
specialistiche di storia dalmata – la “Rivista
Dalmatica”, gli “Atti e Memorie della Società Dalmata di Storia Patria”, l’”Archivio
storico per la Dalmazia” – sia su una serie
di altre riviste storiche come l’”Archivio Veneto”, l’”Archeografo Triestino”, il “Museum”
di San Marino, la “Nuova Antologia”, la
“Rivista Storica Italiana” e altre), più 76 fascicoli di materiale inedito della Marciana,
che comprendono un repertorio bio-bibliografico degli scrittori dalmati, una serie di
documenti per la storia dell’arte bizantina
e veneziana (1350-1530) e un repertorio
bio-bibliografico degli artisti dalmati.
Fra i suoi scritti più importanti ricordiamo: alcune voci sulla Dalmazia per l’Enciclopedia Italiana; “Guida di Zara” (1925);
“Testi volgari spalatini del Trecento”
(1927); “Indagini e studi sull’umanesimo
in Dalmazia” (serie di monografie apparse a partire dal 1932); “Zara nel Rinascimento” (1935); “Atti e diplomi di Nona
(1284-1509)” (1936-1937): “Storiografia
dei paesi balcanici” (1937); “Guida di Zara:
aspetti, storia, monumenti” (1938); “La
chiesa di Roma e la Croazia” (1941-1942);
“Index auctorum latinitatis Medii Aevi
antiquioris. Supplementum Dalmaticum”
(1948); “Documenti del 1848-1849 a Zara
e in Dalmazia” (1949); “L’Evangelario dei
Sacramenti di Zara” (1956).
Ma l’opera per la quale è soprattutto noto
Giuseppe Praga è la “Storia di Dalmazia”,
divenuta nel tempo l’esempio migliore
della storiografia di lingua italiana dedicata a quella regione, snodo obbligato per
tutti gli studi successivi. ln questo volume
Praga ha condensato quarant’anni di studi basati su una vastissima conoscenza dei
fatti, sulla padronanza delle fonti specifiche (ha potuto consultare i documenti degli archivi dalmati), una notevole capacità
di rapportarsi con storiografie non fami-
liari e una profonda comprensione della
sua terra. La “Storia di Dalmazia”, compilata negli anni a cavallo della Seconda
guerra mondiale, venne pubblicata una
prima volta in formato ridotto e in sole
sedici copie non destinate al commercio
nel 1941, poi in una seconda edizione del
1943 – andata persa nelle concitate fasi
belliche – e infine vide la luce definitiva
edita dalla CEDAM di Padova nel 1954.
Quasi quarant’anni dopo, la Società Dalmata di Storia Patria di Venezia – che
tra l’altro, nel 2009, nel cinquantenario
della morte del prestigioso esponente
della cultura e della storiografia dalmate
italiane, ha pensato di ricordarne la figura
promuovendo nella città lagunare il convegno “Giuseppe Praga storico dalmata,
da Zara a Venezia”– la riproporrà nuovamente. Così nel 1981 la casa editrice
dall’Oglio di Varese darà alle stampe il
lavoro di Giuseppe Praga in un’edizione
arricchita da un’appendice appositamente curata dallo storico fiumano Mario Dassovich, che per l’occasione trattò la storia
dalmata dal 1870 al trattato di pace di Parigi del 1947, ossia il periodo non coperto
da Praga. La struttura dell’opera è di tipo
cronologico, suddivisa in tre grandi capitoli, a loro volta suddivisi in vari paragrafi,
che vanno dalla colonizzazione greca e
dalla conquista romana (385 a.C.- 9 d. C.)
al Risorgimento.
“Una Storia a tesi, per forza. È ciò che gli
italiani di Dalmazia avrebbero voluto che
della loro terra si raccontasse. Praga ha
assecondato questo bisogno, cercando di
convincere nel contempo la nazione madre che la Dalmazia era terra integrante
dell’Italia – rileva Ivetic nel suo intervento
all’interno del volume SDSP-CRS, che non
comprende il fondamentale contributo
dello storico zaratino sulla sua regione –.
Eppure, la periodizzazione, l’impalcatura,
della ‘Storia di Dalmazia’, nelle sue linee essenziali, rimane interessante ancora oggi.
Si può dire che il capolavoro del Praga sembra un romanzo: il romanzo della Dalmazia”. “Oggi sono maturi i tempi per scrivere
una nuova, completamente diversa, storia
della Dalmazia”, conclude Ivetic.
Panorama
39
libri
fCostante confronto
“E poi, infine, a rileggere le rassegne sulla storiografia relativa
ai paesi balcanici, le schermaglie
con i paleografi Vjekoslav Novak
e Mihovil Barada, scritti che oggi
ci testimoniano un’epoca, non
possiamo non riflettere su che
cosa ha significato fare storia ai
confini d’Italia in modo attivo,
militante. In fin dei conti, Praga,
in un costante confronto con la
concorrente storiografia croata,
ha ricostruito quella che secondo
lui era l’Italia dei confini, un’Italia a parte, ma non meno importante del centro, attraverso
tutte le fasi storiche, attraverso
le varie sedimentazioni culturali di una romanità, a suo parere,
inestinguibile, in perenne rinnovamento. In questo fare storia,
Praga ancora oggi impressiona
i contenuti dei tre tomi
Scorriamo l’indice dei tre tomi che racchiudono l’opera di Praga, ai quali si affiancano
anche saggi di altri autori (si vedano, ad esempio, Alessandro Dudan e la sua “La Dalmazia
nell’Arte italiana”, i cenni sulla costituzione
della Società di Storia Patria per la Dalmazia,
la “Storia dell’isola di Cherso-Ossero dal 476
al 1409” di Silvio Mitis, i cenni su vita e cultura
italiana nel mondo slavo). Al centro della sua
attenzione è in primis il microcosmo di Zara, gli
eventi che ne hanno plasmato il passato e l’eredità storico-culturale, i suoi protagonisti; ma
vi troviamo pure diversi riferimenti su Spalato,
Sebenico e Arbe, dove il Nostro trascorse i primi
anni della sua carriera di ricercatori.
Ma seguiamo la struttura di questi “Scritti
sulla Dalmazia”, prodotti tra il 1923 e il 1956
e riproposti rispettando l’ordine cronologico
e lo stile originario delle note e della buibliografia indicati dallo stesso Praga. Dunque,
dello studioso zaratino troviamo, nel primo
tomo – dopo la premessa degli editori, l’introduzione del curatore e altri tre testi –, un
contributo su Beatrice Speraz (1843-1923), attiva emancipazionista, fervida sostenitrice del
40
Panorama
– ribadisce Ivetic – per le sue conoscenze del mondo posto subito
oltre la sua frontiera, per le precise conoscenze linguistiche in ambito della slavistica, per un senso
dello spessore del fatto storico e
dell’interpretazione della fonte,
anche in chiave comparativa, con
altri luoghi d’Europa”.
“Non ci sono solo la Dalmazia e
le terre contigue, ma anche l’Adriatico da Bari a Venezia, un
Adriatico (e dunque Mediterraneo ed Europa) costantemente percorso, attraversato dalle
genti che ci vivono, romagnoli o
marchigiani, notai o militari in
Dalmazia, e dalmati che fanno
il tragitto inverso – sottolinea il
professore –. E sono in definitiva
le fonti, che in questi Scritti costituiscono una parte notevole, che
ci rivelano mondi, parole, nomi
ormai remoti, testimonianze del-
Un cofanetto che racchiud
diritto femminile al voto, all’istruzione e alla
parità salariale, traduttrice, giornalista e non
da ultimo, scrittrice feconda di una produzione
letteraria varia e intensa che si presentò al pubblico (come fecero tante altre autrici donne)
con lo pseudonimo maschile di Bruno Sperani.
Seguono: “Di Niccolò Tommaseo traduttore”;
“Scuole e maestri in Arbe nel Medioevo e nel
Rinascimento”; “Zaratini e Veneziani nel 1190.
La battaglia di Treni”; “Bibliografia dalmata”;
“La mariegola della Confraternita di San Marco
in Zara (1321)”; “La ‘Storia di Cherso-Ossero dal
476 al 1409’ di Silvio Mitis”; “Guida di Zara”; “Vicende quattrocentesche del Palazzo di Diocleziano a Spalato”; “Baiamonte Tiepolo dopo la
congiura. Con appendice di documenti inediti”;
“La storia di Arbe in una recente monografia”;
“Studi jugoslavi di paleografia e diplomatica”;
“I Assemblea generale della Società Dalmata
di Storia Patria (Statuto, Atti, Verbale)”; “Testi
volgari spalatini del Trecento”; “Note di bibliografia dalmata”; “La Dalmazia nella storiografia croata”; “Alcuni documenti su Giorgio da
Sebenico: I. La cappella di Santa Maria delle
Grazie in S. Francesco di Zara”; “Giuseppe Sa-
balich (necrologio e bibliografia)”; “Arbe nella
storia dell’arte, delle lettere e del pensiero italiano”; “Documenti intorno ad Andrea Alessi”;
“Giovanni Smirich (necrologio e bibliografia)”;
“Documenti trecenteschi d’interesse triestino
e istriano nell’archivio dei Francescani di Zara”;
“Lo ‘Scriptorium’ dell’abbazia benedettina di
San Grisogono in Zara”.
A comporre il secondo tomo sono i seguenti testi: “Della patria e del casato di Andrea
Meldola”; “Documenti intorno all’Arca di San
Simeone in Zara e al suo autore Francesco da
Milano”; “Un poemetto di Alvise Cippico sulla
guerra di Ferrara del 1482”; “Un prestito di
Francesco il Vecchio da Carrara al Comune di
Zara (1366)”; “La traslazione di San Niccolò e
i primordi delle guerre normanne nell’Adriatico”; “L’arcivescovo di Spalato fra Zanettino da
Udine e il priorato benedettino di San Leonardo
di Padova”; “Documenti su Giorgio da Sebenico:
II. Gli angioli della scuola di Agostino di Duccio
nella Cattedrale di Sebenico”; “Il tempio di San
Donato di Zara”; “Il San Donato e i nostri interessi storici”; “La suppellettile serica ed aurea
dell’Arca di San Simeone in Zara”; “Indagini e
la contiguità del mare Adriatico, che l’età delle nazioni ha poi
cancellato”. Tracce che i giuliano
dalmati esuli e rimasti ora hanno
recuperato. Consegnadole a tutta
la comunità: a chi vuole leggere
per il piacere di farlo, ma anche
e forse soprattutto a quanti vorranno approfondire il discorso
storiografico, trovando in un
unico luogo fonti e riferimenti
dai quali iniziare il proprio cammino con strumenti aggiornati ai
più recenti sviluppi della ricerca
scientifica.
de autentiche perle di microstoria
studi sull’umanesimo in Dalmazia: I. Il codice
marciano di Giorgio Begna e Pietro Cippico”;
“Indagini e studi sull’umanesimo in Dalmazia:
II. Ciriaco de Pizzicolli e Marino de Resti”; “La
mariegola della Confraternita di Sant’Eufemia
di Arbe”; “I leoni di Traù”; “Maestri a Spalato nel
Quattrocento”; “Tomaso Negri da Spalato umanista e uomo politico del secolo XVI”; “Una ‘Descriptio Europae Orientalis’ del 1308 e le caratteristiche delle fonti. Per la storia delle crociate
nel secolo XIV”; “Resistenze europee all’imperialismo turco nei secoli XV e XVI”; “Oreficeria e
incisione in Dalmazia a mezzo il Quattrocento”;
“Un diploma inedito del duca Andrea Arpad e
la storia di Spalato nel primo Duecento”; “Le
relazioni di Niccolò Tommaseo con il musicista
zaratino Giovanni Salghetti Drioli”; “L’arte sacra
dalmata in una imminente mostra zaratina (15
agosto – 15 settembre 1934)”; “Vitaliano Brunelli (1848 - 1922)”; “Note di storia benedettina. Il monastero di San Pietro in Istmo sull’isola
di Pago”; “Lo ‘scriptorium’ di San Grisogono in
Zara. Nota polemica”; “Studi e documenti sul
Risorgimento italiano in Dalmazia. La spedizione garibaldina del 1860”; “L’itinerario dalmata
di Amedeo VI di Savoia, il Conte Verde (13661367)”; “Indagine e studi sull’umanesimo in
Dalmazia. Il lexicon di Elio Lampridio Cerva”.
“Zara nel Rinascimento” apre la terza e ultima parte di questo cofanetto, che racchiude
ancora: “Lettere di Pier Alessandro Paravia e di
Francesco Maria Appendini a Niccolò Giaxich”;
“Antichi inventari del tesoro di San Doimo di
Spalato”; “Storiografia dei paesi balcanici”;
“L’organizzazione militare della Dalmazia nel
Quattrocento e la costruzione di Castel Cippico
Vecchio di Traù”; “L’opera letteraria di Antonio
Guidi vescovo di Traù (c. 1530 - 1604)”; “Atti e
diplomi di Nona (1284 - 1509)”; “Poesie latine
inedite di Marco Marulo da Spalato (1450 1524)”; “Poesie di Pascasio da Lezze, Tranquillo
Andronico e Marino Statilio in onore di patrizi
di Casa Cippico”; “La difesa di Zara in un diario
militare del 1571”; “La biblioteca comunale
‘Paravia’ di Zara”; “Note bibliografiche di storia
orientale e balcanica. Serie prima (Bratianu,
Gegaj, Seton-Watson)”; “Il ritorno di Niccolò
Tommaseo dal primo esilio”; “Di un’edizione svizzera del 1513 di Marco Marulo”; “La
leggenda di S. Ilarione a Epidauro in Adelmo
scrittore anglosassone del secolo VII”; “Note
bibliografiche di storia orientale e balcanica.
Serie seconda (Banfi, Berza, Nitti, Šišić)”; “Nuovi documenti su Alvise Cippico”; “La topografia
del castello e dell’isola di Malconsiglio presso
Zara”; “Le rime amorose di Giorgio Bisanti da
Cattaro”; “Battista da Arbe fonditore dalmata
del Cinquecento”; “Un carme di Giovanni Aurelio Augurello per Alvise Cippico”; “Bernardino
Gallelli da Zara vicario e officiale generale di
Cracovia (1509 - 1517)”; “Lo stato attuale degli
studi sull’Albania e i compiti della storiografia
italiana”; “Il vescovado albanese al principio
del secolo XVI”; “Di alcuni fonditori dalmati dei
secoli XVI-XVII”; “Arnolfo Bacotich”; “La chiesa
di Roma e i Croati”; “Index auctorum latinitatis
italicae medii aevi antiquioris supplementum
dalmaticum”; “Documenti del 1848-1849 a
Zara e in Dalmazia”; “Guido Matafari statista
zaratino del Trecento”; “Un amico di Dante
nella cancelleria del comune di Zara. Minghino
Mezzani”; L’evangeliario dei sacramenti di Zara
(XI sec. ex. - 1117)”. Chiudono le riflessioni di
Egidio Ivetic su “Medioevo adriatico orientale e
Giuseppe Praga” .
Panorama
41
concorso
Scade il 15 luglio
Torna il Premio Letterario
«Leone di Muggia»
Siamo alla 56.esima edizione
L’
Università Popolare di Trieste e il Comune di Muggia, in collaborazione con l’Unione Italiana – Fiume, bandiscono il
56° Premio Letterario “Leone di Muggia”, che si svolge con il
contributo del Ministero degli Affari Esteri. Il Premio si articola
in due sezioni distinte: la prima, riservata ai cittadini italiani
residenti in Italia ed agli appartenenti alla Comunità nazionale italiana
residenti in Slovenia e Croazia, la seconda, agli scolari e studenti del
Comune di Muggia. Limite minimo d’età: 16 anni.
La prima sezione, letteraria, è suddivisa in due concorsi: per una collana
di almeno cinque poesie inedite in lingua italiana (non superiore ai trecento versi complessivi); per un racconto inedito in lingua italiana, che
non superi le 20 cartelle dattiloscritte (in corpo 12). In palio, rispettivamente per la lirica e per la narrativa, un primo premio lordo di 1.500,
un secondo di 1.000 e un terzo premio di 500 euro (gli importi sono al
lordo). Sono previste, inoltre, segnalazioni per le opere particolarmente meritevoli. I premi sono indivisibili e non possono essere assegnati a
concorrenti vincitori di un primo premio negli ultimi cinque anni.
42
Panorama
La seconda sezione riguarda un compito scritto in lingua italiana su
argomento fissato dalla Commissione giudicatrice. Il tema medesimo
dovrà essere svolto nei locali delle diverse scuole di Muggia. Al concorso possono partecipare gli alunni delle due ultime classi della scuola
elementare e gli studenti della scuola media inferiore del Comune di
Muggia. Per questi concorrenti sono previsti premi consistenti in buoni
acquisto di libri in ragione di tre premi per ogni gruppo di classi parallele e in una medaglia in vermeil, una medaglia d’argento e una medaglia di bronzo per i primi tre classificati di ogni categoria, e, inoltre,
a discrezione della giuria, l’assegnazione di ulteriori premi.
La Presidenza dell’Università Popolare nominerà una giuria competente per ciascuna delle due sezioni di concorso. La giuria della prima
sezione (letteraria) sarà formata da cinque membri, di cui uno Presidente e uno Segretario. Uno dei membri di questa giuria sarà designato dal Comune di Muggia e uno dall’Unione Italiana – Fiume. La giuria
della seconda sezione (scolari e studenti di Muggia) sarà formata da
nove membri, di cui uno Presidente ed uno Segretario. Le decisioni
delle Commissioni giudicatrici sono inappellabili. L’esito delle decisioni
verrà comunicato solo ai vincitori.
La presentazione dei lavori per il concorso letterario (prima sezione)
dovrà essere effettuata in sei copie dattiloscritte contrassegnate da
un motto e accompagnate da una busta chiusa con la ripetizione
del motto all’esterno e, all’interno, l’indicazione del nome, cognome
e indirizzo del concorrente. Nella busta chiusa i concorrenti accluderanno una loro sintetica biografia. In caso di vittoria o di segnalazione
la giuria si riserva di pubblicarla sul sito web del Premio. È lasciata ai
partecipanti la scelta se accludere nella busta chiusa l’indirizzo e-mail
o il loro sito web per la pubblicazione nel sito del Leone di Muggia
in caso di vittoria o segnalazione. I partecipanti danno inoltre il loro
consenso alla pubblicazione degli elaborati presentati sul sito web del
Premio. I lavori presentati non verranno restituiti. Solo i lavori presentati formalmente in modo corretto saranno inviati alla Commissione
giudicatrice, previo controllo da parte della Segreteria dell’Ente. Gli
autori degli elaborati non presentati correttamente saranno avvisati
e potranno ripresentare i lavori, rispettando comunque le scadenza
stabilita per la consegna degli elaborati.
Il termine ultimo per la presentazione dei dattiloscritti alla Segreteria
Generale dell’Università Popolare, in piazza del Ponterosso n. 6, 34121
Trieste, è fissato al 15 luglio 2015. Le premiazioni avranno luogo a
Muggia in data da destinarsi, entro l’anno. Per ulteriori informazioni,
gli interessati possono rivolgersi alla sig.ra Susanna Isernia (UPT), in
orario d’ufficio: dal lunedì al venerdì, dalle 8 alle 14 (tel. 0039 040
6705206; fax 0039 040 631967; e-mail: [email protected]).
arte
ccUmberto Boccioni morì dopo un anno in seguito alla caduta di un cavallo imbizzarrito durante un’ esercitazione militare
Al MART, Museo
di Arte Moderna
e Contemporanea
di Trento e
Rovereto, fino
al 20 settembre
una mostra di un
chilometro
di opere d’arte
documenti storici,
installazioni,
fotografie,
manifesti,
illustrazioni di
propaganda,
giornali, cartoline,
santini
La guerra
che verrà
non è la prima
di Erna Toncinich
C
ome funghi dopo la
pioggia. Finita la prima
guerra mondiale, l’Italia,
che nei quarantun mesi
di belligeranza, sebbene
“inferiore per uomini e per mezzi”
ne esce vittoriosa, si vede “adornare” la penisola, da nord a sud, di
monumenti pubblici, testimonianze
doverose per onorare la memoria
dei propri figli che hanno immolato la vita per la Patria. Dall’obelisco
o dalla semplice lastra marmorea al
monumento imponente e complesso, un’ ampia e svariata tipologia di
soluzioni. Pregevoli e meno. E se
nel dopoguerra l’attività di architetti
e scultori è molto vivace proprio in
questo settore, durante il conflitto
sono i pittori che hanno voce in capitolo: dipinti, disegni, incisioni, acqueforti ed altro documentano per
bene la vita dei soldati italiani nei tre
anni di guerra. E sono personaggi
dell’ arte italiana più o meno noti che
ci lasciano le testimonianze visive
oggi in gran numero conservate nel
Panorama
43
arte
Museo centrale del Risorgimento, il
superdenigrato Altare della Patria o
Vittoriano di Giuseppe Sacconi, definito ora “coppa di panna montata”,
ora “macchina da scrivere”.
Il Primo conflitto mondiale è già
iniziato da un anno quando anche
l’Italia dichiara guerra all’impero austroungarico che già da tempo è in
fase di declino. Alla Patria che chiama rispondono prontamente numerosi pittori del tempo, primi tra
tutti quelli che hanno abbracciato il
movimento futurista. “Noi vogliamo
glorificare la guerra – sola igiene del
mondo...” predicava il profeta Filippo
Tommaso Marinetti, che pochi anni
prima aveva stilato il programma del
futurismo, movimento esclusivamente italiano dell’arte moderna.
Tra i primi ad arruolarsi sono il pittore e scultore Umberto Boccioni e l’architetto Antonio Sant’Elia, che dopo
un solo anno perderanno la vita, il
pittore calabrese in seguito alla caduta di un cavallo imbizzarrito durante
un’ esercitazione militare, l’architetto comasco nel corso di un’azione
di guerra. Anche Mario Sironi, tra i
maggiori artisti del Novecento, vive
la guerra in prima persona, con tanti
altri artisti si arruola come membro
del “battaglione volontario ciclisti” e
nessun altro pittore-soldato produr-
ccCartella di dodici litografie di Anselmo Bucci
rà quanto lui documenti figurativi
della vita militare del tempo e in una
larga varietà di tecniche e di soggetti
figurativi - oltre al disegno a matita
e china, ad acquerello, tempera, olio,
collage, in xilografia ecc., ritratti di
commilitoni, vignette e caricature
per vari giornali del tempo. Aldo
Carpi, milanese, assidua presenza
della Biennale di Venezia, pittoresoldato imbarcato sull’incrociatore
San Marco, prende parte a delle azioni militari per Fiume, Pola e Durazzo, partecipazioni che diventeranno
i temi di alcuni suoi lavori. A quasi
ccUna delle litografie di Bucci
44
Panorama
sessant’anni di età va a combattere
un altro pittore, Lodovico Pogliaghi,
pure lui milanese, artista poliedrico,
pittore, architetto, scultore (opera
sua è la porta centrale del Duomo
di Milano), decoratore che opera nel
già citato Vittoriale. Autore di numerosi disegni, scene di vita militare
rese molto efficacemente, è il goriziano Italico Brass, presente a numerose edizioni della Biennale veneziana,
ad una di queste addirittura con una
quarantina di opere.
Più che la pittura ad olio è la litografia,
come altre tecniche grafiche in gene-
ccMonumento ai caduti della I Guerra Mondiale
rale, che fungono da veicolo privilegiato per la diffusione delle immagini. Anselmo Bucci, marchigiano,
noto come incisore, formatosi all’Accademia di Brera e nei prolungati
soggiorni a Parigi, uno dei fondatori
del movimento artistico Novecento,
movimento che guarda alle epoche
storiche del Quattro e Cinquecento
italiani, a conflitto concluso realizza
una cartella di dodici litografie, Finis
Austriae, immagini del passato di un
impero austroungarico sconfitto e di
una Italia vittoriosa.Tra i pittori che
prendono parte alla grande guerra,
da ricordare, tra quelli più rilevanti e
quasi al completo seguaci della dottrina marinettiana, Massimo Campigli, fiorentino, con lunghi soggiorni
a Parigi, ammiratore di Picasso, oltre che pittore, corrispondente dalla
capitale francese del Corriere della
Sera; Giacomo Balla, tra i maggiori
rappresentanti del futurismo e maestro di alcuni pittori che per periodi
più o meno lunghi seguono la corrente futurista, come Carlo Carrà,
uno dei novatori della pittura italiana del Novecento; Fortunato Depero, il protagonista dell’Aeropittura,
Gerardo Dottori, perugino, seguace
anch’ egli della stessa tendenza moderna, poi Lorenzo Viani, Tommaso Cascella, Amos Scorzoni, Achille
Funi, ecc.
Ma non è solo il Vittoriale a offrire al
pubblico testimonianze visive della
Grande Guerra, né a ricordare l’importante centenario. Nel nord della
Penisola c’è il MART, Museo di Arte
Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, che fino al 20 settembre prossimo invita a La guerra che
verrà non è la prima. E che si tratti
di una mostra davvero imponente
parla chiaramente il suo lunghissimo
percorso espositivo. Un chilometro
di opere d’arte (anche di artisti menzionati più sopra), di documenti storici, di installazioni, fotografie, manifesti, illustrazioni di propaganda,
giornali, cartoline, santini, ecc. “La
più importante mostra d’ Europa sul
tema”, lo ha detto il ministro dei Beni
e delle Attività culturali e del Turismo italiano, Dario Franceschini.
ccMario Sironi nessun altro pittore-soldato produrrà quanto
lui documenti figurativi della vita militare del tempo
ccAltro quadro di Mario Sironi
Panorama
45
psicologia
di Denis Stefan
L
a perdita di una persona cara o del
lavoro, una malattia o un incidente
gravi sono esempi di esperienze di
vita che possono turbare gli equilibri
psicologici di una persona; in coincidenza di questi eventi sono in molti a provare emozioni forti ed un senso di profonda
incertezza. Generalmente, col tempo, le
persone trovano il modo di adattarsi bene a
queste situazioni.Ma cos’è che consente l’adattamento alle avversità? Appunto la “resilienza”. Resilienza (come pure il termine
stress) è un termine derivato dalla scienza
dei materiali e indica la proprietà che alcuni materiali hanno di conservare la propria
struttura o di riacquistare la forma originaria dopo essere stati sottoposti a schiacciamento o deformazione. In psicologia
connota proprio la capacità delle persone
di far fronte agli eventi stressanti o traumatici e di riorganizzare in maniera positiva la propria vita dinanzi alle difficoltà. Le
persone resilienti sono coloro che immerse
in circostanze avverse riescono, nonostante
tutto e talvolta contro ogni previsione, a
fronteggiare efficacemente le contrarietà, a
dare nuovo slancio alla propria esistenza e
anche a raggiungere mete importanti. L’esposizione alle avversità sembra rafforzarle
piuttosto che indebolirle. Esse tendenzialmente sono ottimiste, flessibili e creative;
sanno lavorare in gruppo e fanno facilmente
tesoro delle proprie e delle altrui esperienze. Si può concepire la resilienza come una
funzione, anche modificabile nel tempo in
rapporto con l’esperienza, i vissuti e, soprattutto, con il modificarsi dei meccanismi
mentali soggiacenti.
fIstintivi e cognitivi
Proprio per questo troviamo capacità resilienti di tipo istintivo: caratteristico dei
primi anni di vita quando i meccanismi
mentali sono dominati da egocentrismo
infantile; personologico-emotivo che rispecchia i tratti della personalità e la maturazione affettiva, i valori individuali e
socioculturali e la socializzazione; cognitivo: legate all’uso delle capacità intellettive
razionali. Da queste considerazioni, si può
dedurre che una resilienza adeguata è il
risultato dell’integrazione di elementi istintivi, affettivi, emotivi e cognitivi. In questo
46
Panorama
La resilienza - resi
modo, la persona “resiliente” può essere
considerata quella che ha avuto uno sviluppo psicoaffettivo e psicocognitivo sufficientemente integrati, sostenuti dall’esperienza, da capacità mentali sufficientemente
valide, dalla possibilità di giudicare sempre
non solo i benefici, ma anche i conflitti e le
interferenze emotivo-affettive che si realizzano nel rapporto con gli altri. La resilienza
è una capacità che può essere parzialmente
appresa soprattutto grazie alla qualità degli
ambienti di vita e i contesti educativi, qualora sappiano promuovere l’acquisizione di
comportamenti resilienti.
Secondo Susanna Kobasa, una psicologa
dell’università di Chicago, le persone che
meglio riescono a fronteggiare le contrarietà della vita, quelle più resilienti appunto,
mostrano contemporaneamente tre tratti di
personalità: l’impegno; il controllo; il gusto
per le sfide. Per impegno s’intende la tendenza a lasciarsi coinvolgere nelle attività.
La persona con questo tratto si dà da fare,
è attiva, non è spaventata dalla fatica; non
abbandona facilmente il campo; è attenta
e vigile, ma non ansiosa; valuta le difficoltà realisticamente. Perché ci sia impegno è
necessario avere degli obiettivi, qualcosa da
raggiungere, per cui lottare e in cui credere.
Per controllo s’intende la convinzione di poter
dominare in qualche modo ciò che si fa o le
iniziative che si prendono, ovvero la convinzione di non essere in balia degli eventi. La
persona con questo tratto per riuscire a dominare le diverse situazioni della vita è pronta
a modificare anche radicalmente la strategia da adottare, per esempio, in alcuni casi
intervenendo con grande tempestività, in
altri casi indietreggiando, prendendo tempo,
aspettando. L’espressione gusto per le sfide
fa riferimento alla disposizione ad accettare
i cambiamenti. La persona con questo tratto
vede gli aspetti positivi delle trasformazioni
e minimizza quelli negativi. Il cambiamento
viene vissuto più come incentivo a crescere
che come difficoltà da evitare a tutti i costi,
Il fenomeno
ovvero la
capacità delle
persone di
far fronte
agli eventi
stressanti o
traumatici e
di riorganizzare
in maniera
positiva la propria
vita dinanzi
alle difficoltà
è diventato
attuale anche nei
Tribunali
istere alle avversità
e le sfide vengono considerate stimolanti
piuttosto che minacciose. La persona generalmente è aperta e flessibile.
fImpegno, controllo
e gusto
Impegno, controllo e gusto per le sfide sono
tratti di personalità di cui si può avere consapevolezza e perciò possono essere coltivati e incoraggiati. Nella ricerca della strategia
più idonea per migliorare il proprio livello
di resilienza può essere d’aiuto focalizzare
l’attenzione sulle esperienze del passato
cercando di individuare le risorse che rappresentano i punti di forza personali. Un
sistema che facilita l’individuazione delle risorse personali è quello di cercare di fornire
risposte a queste semplici domande:
• quali eventi sono risultati particolarmente
stressanti per me?
• in che maniera questi eventi mi hanno
condizionato?
• nei momenti difficili ho trovato utile rivolgermi a persone per me significative?
• nei momenti difficili quanto ho appreso di
me stesso e del mio modo d’interagire con
gli altri?
• è risultato utile per me fornire assistenza a
qualcuno che stava attraversando momenti
difficili come quelli da me sperimentati?
• sono stato capace di superare le difficoltà
ed, eventualmente, in che modo?
• che cosa mi ha consentito di guardare con
maggiore fiducia al mio futuro?
In questi ultimi anni, la resilienza è stata oggetto di una serie di studi e di riflessioni della
comunità scientifica che le hanno consentito
di affrancarsi dal novero astratto entro cui si
collocava, per diventare prassi e anche studio
di metodologia di lavoro per tutte quelle professioni che vengono a contatto con situazioni di crisi delle famiglie, o di minori che hanno
vissuti vere e proprie condizioni traumatiche:
terremoti, violenza, guerra, abbandono, maltrattamento, abuso sessuale
fL’arte di navigare
sui torrenti
Secondo Boris Cyrulnik, psichiatra e psicanalista, docente all’Università di Tolone
(Francia) la resilienza “è l’arte di navigare
sui torrenti. Un trauma sconvolge il soggetto trascinandolo in una direzione che non
avrebbe seguito. Ma una volta risucchiato
dai gorghi del torrente che lo portano verso
una cascata, il soggetto resiliente deve ricorrere alle risorse interne impresse nella sua
memoria, deve lottare contro le rapide che
lo sballottano incessantemente. A un certo
punto, potrà trovare una mano tesa che gli
offrirà una risorsa esterna, una relazione affettiva, un’istituzione sociale o culturale che
gli permetteranno di salvarsi. La metafora
sull’arte di navigare i torrenti mette in evidenza come l’acquisizione di risorse interne
abbia offerto al soggetto resiliente fiducia e
allegria. Se osserviamo gli esseri umani nel
loro “divenire”, constateremo che chi è stato
privato di tali acquisizioni precoci potrà metterle in atto successivamente, pur con maggiore lentezza, a condizione che l’ambiente
umano, consapevole di come si costruisce un
temperamento, offra al soggetto ferito qualche tutore di resilienza”. Il termine resilienza
è stato mutuato dalla fisica per indicare “la
capacità di riuscire, di vivere e svilupparsi
positivamente, in maniera socialmente accettabile, nonostante lo stress o un evento
traumatico che generalmente comportano
il grave rischio di un esito negativo. Certo, al
momento del trauma, si vede solo la ferita.
Sarà possibile parlare di resilienza soltanto
molto tempo dopo. Essere resilienti è più che
resistere, significa anche imparare a vivere.
Purtroppo, costa caro”. Quando la ferita è
aperta, siamo orientati al rifiuto. Per tornare a vivere, non dobbiamo pensare troppo
alla ferita. “Con il distacco dato dal tempo,
l’emozione provocata dal trauma tende a
spegnersi lentamente lasciando nei ricordi
soltanto la rappresentazione del trauma.” Il
fenomeno della resilienza, ovvero la capacità
di far fronte in maniera positiva agli eventi
traumatici e di riorganizzare positivamente
la propria vita dinanzi alle difficoltà è diventato oggi sempre più motivo di interesse e
di approfondimento non solo per addetti ai
lavori nel campo della psicologia e della cura,
anche nelle aule dei Tribunali. Alla prossima
vedremo un po’ cosa ci dicono gli studi psicologici sulla resilienza.
Panorama
47
tecnologia
a cura di Nerea Bulva
I
l “New York Times” c’è, lo ha
confermato il suo Ceo: alcuni articoli saranno pubblicati direttamente su Facebook.
L’operazione è stata annunciata con entusiasmo da uno dei
manager del social network, che in
un post mostra come sarà la sezione in cui leggeremo notizie e commenti. Si chiama “Instant Article”
e il quotidiano della Grande Mela
non è il solo ad aver aderito, “non
senza qualche ansia in redazione”.
fAlla ricerca dei lettori
Forse in futuro i giornalisti lavoreranno direttamente per Facebook,
ed è per questo che l’accordo fra
il “New York Times” e il gigante
di Menlo Park ha causato reazioni opposte in redazione. Mark
Thompson, Presidente e Amministratore delegato del quotidiano,
sostiene l’operazione rassicurando:
“Il NYT è sempre andato a cercare
i lettori là dove si trovano e gran
parte delle notizie oggi viaggiano
su Facebook”. Allo stesso tempo la
maggior parte dei commenti e del
traffico del social vengono generati
da argomenti di attualità contenuti
in articoli che condividiamo.
fPiù veloce
e più interattivo
Oggi il post pubblicato sul social
rimanda alla pagina del giornale su
cui poi sarà letta la notizia. Questa
operazione necessita di qualche secondo (fino ad un massimo di otto).
Con la nuova modalità, l’obiettivo è
eliminare l’attesa e rendere immediato l’accesso al testo. Ma non solo:
“Instant Article” conterrà anche video e foto, proprio come una pagina
web di un quotidiano, ma con delle
caratteristiche in più: la velocità, la
presenza di video che partono in automatico, l’interattività, la possibilità
di mettere “like” (il pollice in su che
già usiamo per i normali post) e di
commentare anche a singole parti
48
Panorama
del contenuto. La modalità sarà disponibile immediamente per mobile, dove l’ottimizzazione e la grafica
sono state programmate per essere
più leggere e immediate.
fLa sfida economica
I primi ad aderire, oltre al quotidiano di New York, sono stati altri otto grandi media: “National
Geographic”, “BuzzFeed”, “NBC”,
“The Atlantic”, gli inglesi “The
Guardian” e “BBC News” e i tedeschi “Spiegel” e “Bild”. Non si sa
dove porterà questa operazione,
in primo luogo per una questione
di pubblicità. Il product manager
di Facebook, Michael Reckhow,
spiega che “Instant Article” renderà più facile per gli editori creare
spazi per le inserzioni pubblicitarie, ma non è chiaro quanto del
ricavato dalla lettura di un articolo
andrà alla testata e quanto al social
network. Oltre ad una questione
di monopolio del mercato, l’avvenimento segna uno spartiacque
nel mondo del giornalismo, perché pone domande sulla libertà di
stampa. Thompson, Ceo del NYT,
ha però spiegato la ragione economica di questa scelta: “La app per
mobile che il nostro quotidiano
aveva creato non ha creato gli effetti sperati. Il ‘Times’ sta mettendo il suo destino nelle mani di Facebook”. E non solo lui.
New York Times, B
Facebook sposa
Bbc, Spiegel e Guardian:
a il giornalismo online
Con l’applicazione Instant Article i
grandi giornali pubblicheranno articoli
direttamente sul social network. I
benefici per gli editori saranno nel
«controllo sui contenuti» e nella
possibilità di tenere per sé tutti i ricavi
pubblicitari (se venduti con proprie
risorse) o parte di essi (se venduti
tramite Facebook
Panorama
49
C’
è chi ce l’ha e ne abusa, trasformando la casa in una ghiacciaia; chi non ce l’ha e se la sogna
di notte, mentre si rigira nel letto cercando l’angolo più fresco
di cuscino: l’aria condizionata, croce e delizia
della stagione afosa appena iniziata, se non
utilizzata con criterio rischia di trasformare
le nostre bollette della luce nel conto di un
resort a cinque stelle, e di causare un surplus
di consumi di energia elettrica. Come rinfre-
Stratagemm
fuori dalle mur
Con l’arrivo dell’estate anche il cald
all’interno dell’ambiente domestico
fronte a questo problema
Perché in città fa più caldo che fuori?
I climatologi hanno coniato per le
città il termine di isola di calore:
la temperatura urbana, nei mesi
estivi, può superare di tre gradi
quella delle campagne circostanti. La prima causa di questo fenomeno è l’assenza di vegetazione.
50
Panorama
Le piante infatti fanno ombra. In
più la fotosintesi è una reazione che
consuma calore, sottraendolo all’ambiente esterno. In città poi si accumula molto calore perché i materiali
utilizzati per gli edifici e le strade
sono scuri e assorbono i raggi solari:
cemento, mattoni e asfalto hanno
la tendenza a riscaldarsi durante il
giorno e si raffreddano lentamente
durante la notte. Rispetto poi ad un
ambiente naturale che copre la stessa area, una città ha una superficie
maggiore: vanno conteggiate infatti
anche le facce verticali degli edifici. E
i muri riflettono verso il suolo, e non
verso il cielo, la maggior parte della
radiazione solare che li colpisce. Infine le temperature salgono per l’effetto canyon: i palazzi alti e molto vicini
creano corridoi verticali all’interno
dei quali la radiazione viene intrappolata da una serie di riflessioni multiple tra una parete e l’altra.
L’effetto isola di calore è maggiore qualche ora dopo il tramonto,
soprattutto perché la campagna
inizia prima a raffreddarsi. Durante la notte la differenza tra città e campagna è meno evidente:
mentre all’alba il primo sole riesce a scaldare più facilmente la
vegetazione, gli edifici per qualche ora restano più freddi.
Nelle città però gran parte del calore proviene anche dalle attività
umane: automobili, condizionatori, elettrodomestici. Perfino ciascuno di noi dà il proprio
contributo: ogni metro quadro di
superficie della nostra pelle emana calore, e dieci persone in una
stanza scaldano come una stufetta da 1000 watt. In alcune località
l’energia immessa nell’atmosfera
con le attività umane, è 3,4 volte
maggiore di quella dovuta alla radiazione del sole.
in casa
scare la casa utilizzandola il meno possibile?
E come sopravvivere al grande caldo se non
possediamo un impianto? Ecco il decalogo
basic per affrontare la calura estiva. Risparmiate voi. E risparmia l’ambiente.
trosenso, ma servirà a non far entrare aria
umida e pesante in casa. Spalancate i vetri,
invece, nelle prime ore del mattino o - sicurezza permettendo - di notte: rinfrescherete
le stanze.
1 - Abbassate le tapparelle o chiudete le
persiane nelle ore più calde del giorno, in
modo da creare ombra e riparare la casa dai
raggi solari. Durante i picchi d’afa chiudete
anche le finestre: può sembrare un con-
2 - Dove possibile, montate delle tende o
un ombrellone da balcone: tenendole aperte
ricaverete un avamposto ombreggiato alle
finestre di casa, e nei momenti meno caldi
potrete passare qualche ora all’aperto.
mi per lasciare l’afa
ra domestiche
do oppressivo si introduce
o. Esistono contromisure per far
3 - Se possedete un piccolo spazio esterno, una terrazza, un balcone o un giardino,
specie se sul lato più esposto e assolato della
casa, riempitelo di piante e rampicanti, aiuteranno a schermare e assorbire parte del
calore.
4 - Cercate di non creare ulteriore umidità all’interno della vostra abitazione: fate il
bucato e la doccia nelle ore più fresche, per
evitare che condensa e vapore peggiorino la
situazione.
5 - Spegnete tutti gli elettrodomestici che
non usate: oltre a consumare energia, riscaldano l’ambiente.
6- Niente phon, forno, luci intense, asciugatrice: fa già molto caldo, non facciamoci del
male! Anche a luci spente la casa sarà luminosa fino a tardi, sono le giornate più lunghe
dell’anno.
7 - Consumate cibi freschi e ricchi d’acqua.
Soprattutto, limitate all’essenziale l’utilizzo
del piano cottura.
8 - Coibentate la vostra abitazione. Se avete un solaio o un sottotetto, isolate le superfici più esposte ai raggi solari.
9 - Per le tende da interno, preferite il
bianco, che aiuta a riflettere i raggi solari.
10 - Se anche con tutti questi accorgimenti non resistete al caldo, optate per un ventilatore portatile o a pale. A parità di utilizzo,
un ventilatore portatile consuma circa 15 volte meno di un condizionatore medio.
Per gli irriducibili dell’aria condizionata:
accendete l’impianto solo nelle ore più calde
e spegnetelo se uscite di casa. Ricordatevi di
chiudere le finestre, per mantenere il fresco
in casa, e non impostatelo a più di 6 gradi al
di sotto della temperatura esterna (la temperatura ideale in casa è di 24-25 °C, anche
se si usa il condizionatore).
Panorama
51
multimedia
a cura di Igor Kramarsich
D
opo il recente annuncio di Microsoft che
finalmente ha dichiarato pubblicamente
la data di uscita di Windows 10, milioni
di utenti si preparano per l’aggiornamento al nuovo sistema operativo. Ad
ogni modo però in tanti hanno ancora alcuni dubbi
riguardo l’aggiornamento a Windows 10. Tanti i
dubbi a cui bisogna far chiarezza e arrivare così
pronti e sicuri alla sua uscita. Ecco tutte le risposte
di Guidami.info:
Quando esce Windows 10?
“Microsoft lancerà ufficialmente in tutto il mondo e
per tutti gli utenti la versione stabile di Windows 10
il prossimo 29 Luglio 2015”.
Il mio PC può essere aggiornato a
Windows 10 gratuitamente?
“Per poter aggiornare a Windows 10 è necessario
che sul proprio computer sia attualmente installato
Windows 7 SP1 oppure Windows 8.1 Update 1; per
cellulari e tablet deve essere installato Windows
Phone 8.1. L’aggiornamento è gratis se verrà effettuato entro un anno dalla data di uscita del sistema
operativo (ovvero entro il 28 Luglio 2016)”.
In quali casi si deve pagare per installare Windows 10?
“Come appena detto solo chi possiede Windows
7 SP1 oppure Windows 8.1 Update 1 o Windows
Phone 8.1 potrà aggiornare gratis a Windows 10
entro un anno dalla data di uscita di quest’ultimo.
Si dovrà invece pagare se:
- si decide di aggiornare Windows 7 SP1 o Windows
8.1 Update 1 dopo il termine della promozione gratuita
- sul proprio computer è installato un sistema operativo diverso da Windows 7 SP1 o Windows 8.1
Update 1, dunque non qualificato alla ricezione
dell’aggiornamento gratuito.
Microsoft ha rivelato anche i prezzi di Windows 10
che nell’edizione Home costa 119 dollari e in versione Pro 199 dollari”.
Come si fa l’aggiornamento a Windows 10?
“Quando Windows 10 verrà rilasciato ufficialmente
si potrà effettuare l’aggiornamento da Windows
Update di Windows 7 e 8.1 (ovviamente il computer
deve essere connesso a internet e Windows Update
deve essere abilitato). Ma volendo già da adesso
è possibile prenotare l’aggiornamento gratuito a
Windows 10 con l’applicazione ‘Ottieni Windows
10’ che, come visto nel dettaglio in questo articolo,
si occuperà di scaricare il nuovo sistema operativo
52
Panorama
Windo
Cosa sapere pri
automaticamente non appena disponibile consentendo all’utente di installarlo subito al termine del
download oppure in un secondo momento”.
L’hardware del mio PC supporta Windows 10?
“Microsoft ha pubblicato anche i requisiti hardware
minimi che deve avere un computer per supportare
Windows 10; nello specifico:
- Sistema operativo: sul computer deve essere
installata la versione più recente di Windows 7 o
Windows 8 ovvero Windows 7 SP1 o Windows 8.1
Update 1;
- Processore: 1 gigahertz (GHz) o superiore oppure
SOC
- RAM: 1 gigabyte (GB) per sistemi a 32-bit o 2 GB
per sistemi a 64 bit
- Spazio su disco rigido: 16 GB per sistemi a 32 bit, 20
- Windows 8.1 Pro per studenti a Windows10 Pro
- Windows 8.1 Pro con Windows Media Center a
Windows10 Pro
- Windows Phone 8.1 a Windows 10 Mobile”.
Aggiornando Windows 7 o 8.1 a Windows 10 verranno conservati tutti i
dati?
“Sì, aggiornando a Windows 10 verranno mantenuti tutti i file, programmi e applicazioni; è comunque
possibile che alcune applicazioni e impostazioni non
vengano trasferite ma in tal caso verranno preventivamente segnalate all’utente così da poter prenderne nota e installarle successivamente. Ad ogni
modo per maggiore sicurezza, prima di procedere
con l’aggiornamento si consiglia di effettuare una
copia di backup almeno dei dati più importanti”.
ows
10
ima dell’uscita
GB per sistemi a 64 bit
- Scheda video: DirectX 9 o versioni successive con
driver WDDM 1.0
- Schermo: 1024x600”.
Quale versione di Windows 10 verrà
installata sul mio PC?
“In base alla versione Windows 7 SP1 o Windows
8.1 Update 1 attualmente installata sul computer
si potrà aggiornare a una specifica edizione di Windows 10. Più nello specifico:
- Windows 7 Starter a Windows 10 Home
- Windows 7 Home Basic a Windows 10 Home
- Windows 7 Home Premium a Windows 10 Home
- Windows 7 Professional a Windows 10 Pro
- Windows 7 Ultimate a Windows 10 Pro
- Windows 8.1 a Windows 10 Home
- Windows 8.1 Pro a Windows10 Pro
Quali funzionalità di Windows 7 e 8.1
non ci saranno su Windows 10?
“Aggiornando a Windows 10, alcune funzionalità e
caratteristiche di Windows 7 e 8.1 non saranno più
disponibili su Windows 10. Ecco quelle che verranno deprecate:
- Windows Media Center verrà rimosso
- per riprodurre DVD sarà necessario installare un
lettore di terze parti come ad esempio VLC
- i gadget per il desktop di Windows 7 verranno
rimossi
- i giochi Solitario, Prato fiorito e Hearts preinstallati in Windows 7 verranno rimossi e sostituiti con le
corrispondenti versioni Windows 10
- se sul PC si dispone di un’unità floppy USB per poterla utilizzare sarà necessario scaricare e installare
la versione dei driver più recente agendo da Windows Update o dal sito del produttore
- l’applicazione Microsoft OneDrive fornita con
Windows Essentials verrà rimossa e sostituita con
la nuova app universale Microsoft OneDrive”.
Si può fare l’installazione pulita di
Windows 10?
“Sì, una volta aggiornato Windows 7 o Windows
8.1 a Windows 10 sarà possibile fare l’installazione
da zero di Windows 10 in ogni momento e tutte le
volte che si desidera sullo stesso dispositivo. Presumibilmente attraverso l’immagine ISO di Windows
10 che Microsoft renderà disponibile al download
come è stato per Windows 8.1”.
Si può tornare a Windows 7 o 8.1 da
Windows 10?
“Se si è effettuato l’aggiornamento a Windows 10
da Windows 7 o Windows 8.1 e non si è soddisfatti
del nuovo sistema operativo si potrà fare il downgrade per tornare alla versione di Windows precedentemente installata”.
Panorama
53
multimedia
A
lla WWDC, la
Worldwide Developers Conference
2015, ossia la conferenza annuale
degli sviluppatori dell’azienda di
Cupertino di inizio giugno, l’Apple
ha presentato le sue novità. Ecco in
sintesi quelle più importanti.
fOS X El Capitan
Apple ha annunciato il nuovo aggiornamento software per Mac. Si
chiama OS X El Capitan che rimane basato sulla grafica flat di Yosemite ma aggiunge diverse nuove
funzionalità che ne semplificano e
migliorano l’utilizzo. Come il supporto alle Gestures, che potremo
utilizzare per eliminare email come
faremmo su iPhone, la possibilità di
riordinare velocemente le finestre
aperte semplicemente trascinandone una in un lato, e la possibilità
di dividere lo schermo in due parti
utilizzando due applicazioni simultaneamente senza altre distrazioni.
Migliorata anche la ricerca di Spotlight, che appare più potente e
fornisce maggiori risultati, Safari
e Foto. Con El Capitan, Apple introduce Metal sul Mac. Si tratta di
un motore grafico molto più veloce
che permetterà agli sviluppatori di
realizzare giochi ancora più sorprendenti.
fiOS 9
Il nuovo software di iPhone ed iPad
vede un’evoluzione per Siri rap-
54
Panorama
presentata dall’Assistente
Proattivo. Si tratta di un
sistema molto simile a
Google Now, che però
non basa i propri suggerimenti sui dati raccolti e caricati su internet bensì unicamente
con i dati disponibili
all’interno del telefono
stesso. Proactive può essere utilizzato per ricordarci di
determinati eventi, per suggerirci
determinate azioni, applicazioni e
punti di interesse in base alle nostre
abitudini ed operazioni ricorrenti.
Si evolve anche la tastiera QuickType, che su iPad adesso mostra
nuove opzioni rapide. Sempre in
merito alla tastiera, adesso potrà
essere utilizzata come un trackpad
semplicemente posizionando due
dita sopra e trascinandole. Questo
ci aiuterà a muovere il cursore o selezionare parti di
testo facilmente.
Su iPad viene introdotto un
vero multitasking che permette
di dividere lo schermo in due parti
utilizzando due applicazioni contemporaneamente; infine, Picture
in Picture permetterà di continuare
la riproduzione di un video anche
quando usciamo dall’applicazione
che fornisce lo streaming. Potremo
muovere il riquadro del video liberamente in qualsiasi area dello schermo ed eseguire nel frattempo altre
operazioni. Su iOS 9 la batteria dura
di più e si evolvono anche le applicazioni Mappe, Note, Foto, mostrando
miglioramenti minori anche in Messaggi, Mail, Safari e via discorrendo.
fwatchOS 2
Apple
novità 2015
Sul nuovo software per Apple Watch
è stato aggiunto tutto quello che gli
utenti stavano chiedendo. Si parte
da nuovi quadranti personalizzabili
con una foto o con un album di foto.
Introdotti anche bellissimi quadranti con effetti Time-Lapse.
Altra importante novità riguarda un
nuovo SDK che permette agli sviluppatori di realizzare applicazioni
native, che funzionano anche senza
iPhone e che possono sfruttare tutti i
sensori dell’orologio oltre che a nuove funzioni come la riproduzione
video, riproduzione e registrazione
audio. Piccoli progressi riguardano
inoltre l’applicazione Friends e il Digital Touch.
fApple Music
È un servizio che arriva il 30 giugno e sarà integrato nell’applicazione Musica di iOS. Permetterà di
ascoltare brani in streaming senza
limiti, di ascoltare la Radio, di ottenere consigli su nuovi brani in base
alle nostre preferenze e di collegarci
con gli artisti attraverso una sorta
di social network integrato.
Panorama
55
fioralia
Ma anche
il carciofo
ha il suo
bel fiore!
di Daniela Mosena
C
onosciamo il carciofo soltanto quando
lo vediamo sui banchi del verduraio
ma il carciofo ha anche un bel fiore.
Sicuramente è conosciuto per essere
una pianta salutare che i Romani importarono dall’Africa e dalla Spagna; avrebbe
dovuto ispirare perlomeno una piccola leggenda, considerata la sua immediata popolarità
ma invece non solo fu ignorato dai mitografi,
ma scomparve persino dalle tavole di molte regioni italiane fino a quando, nel 1466, Filippo
Strozzi ne introdusse la coltivazione intensiva
in Toscana importandone i semi dal regno di
Napoli... il quale, a sua volta, li aveva avuti dai
Mori: proprio per questo motivo è stata chiamata carciofo (dall’arabo kharehui), mentre in
botanica se ne è usato il nome latino, Cynara
cardunculus, sottospecie scolymus.
Agli Arabi andalusi il carciofo ispirò un simbolo galante, come ci ricordano i versi del poeta
Ben al-Talla, vissuto nell’XI secolo, nei quali il
frutto, la alcachofa, è di genere femminile: Figlia dell’acqua e della terra, la sua abbondanza
si offre a chi la sospetta chiusa in un castello di
avarizia. Sembra, per il suo biancore e per l’inaccessibile rifugio, una vergine greca nascosta in
un velo di spade.
Nel nostro Paese non ha evocato immagini così
delicate, come testimonia un episodio pseudostorico: con Emanuele Filiberto i duchi di Savoia
avevano spostato alla metà del XVI secolo la capitale da Chambéry a Torino, volendo estendere
il loro dominio nella penisola, una strategia che
56
Panorama
Non molto
colorato, nemmeno
profumato ma
ricco di elementi
preziosi per la
nostra salute e la
nostra bellezza
doveva svilupparsi lentamente per non suscitare sospetti e reazioni nelle grandi potenze del
tempo e nel Papato. Si racconta dunque che
un giorno il Duca sussurrasse ai ministri una
frase leggendaria, inventata in realtà durante il
Risorgimento: “L’Italia è come un carciofo: bisogna mangiarla foglia per foglia”.
In Piemonte infatti il carciofo, o meglio il fiore,
lo si preferisce ancora oggi crudo intingendo
nell’olio quelle che impropriamente si chiamano foglie, ma sono brattee; ed è il modo
migliore per godere delle sue proprietà medicinali, perché quando è cotto si altera rapidamente, sviluppando tossine. Sia il fiore, sia la
vera foglia contengono, oltre ad altre sostanze,
la cinarina, che opera non sul fegato ma nello
stomaco, predisponendo gli alimenti destinati alle vie biliari. L’intervento della cinarina in
questa funzione preliminare ed essenziale fa sì
che il fegato non si affatichi e che la cistifellea
espella la bile.
Le qualità del carciofo erano ben conosciute
nel Rinascimento, come testimonia Castore
Durante che scrive fra l’altro: ”Mangiati i carciofi corroborano lo stomaco, fanno buon fiato e
cotti in brodo e mangiati fanno buono odore a
tutto il corpo e provocano l’urina ma puzzolente;
bevuta la decottion della radice fatta in vino leva
ogni noioso odore del corpo”. Secondo quanto
riferisce il botanico, serviva anche per stabilire
lo stato di gravidanza e il sesso del nascituro:
”A conoscere se una donna è gravida le se dia a
bevere quattro once del succo di queste foglie, e
se lo vomiterà è gravida. Al che si fa ancora la
pruova tenendo l’orina della donna per tre dì in
vetro, poi si cola con una pezza di lino bianca,
nella quale rimarranno (s’è la donna gravida)
certi animaletti, che rossi denotano il maschio e
bianchi la femina”.
Il fiore del carciofo aveva ispirato a Orazio il
nome di una giovane amante, forse per il suo
aspetto polposo e saporito ma fors’anche per
le spine delle brattee. Senza spine, semplicemente buona in ogni senso, appare la giovane
in cerca di marito alla quale la madre dispensa
consigli nella celebre canzone di Salvatore Di
Giacomo, Carcioffolà, dove ricorre il ritornello:
“Che bona figliola! Carcioffolà!... “. Meno solare
e più bilioso, Leo Longanesi amava definirsi non senza ragione - un “carciofino sott’odio”.
Per un motivo che non conosciamo, il carciofo,
buono, saporito, ricco di proprietà benefiche, è
diventato anche sinonimo di persona sciocca,
di un minchione. È invece spiegabile, data la
sua forma, che a Napoli alluda a un naso grosso e deforme: “Una carcioffola”. Infine ha dato il
nome a un fuoco d’artificio: una sorta di razzo
che, poggiato su un piano, gira velocemente su
se stesso, poi sempre girando si leva in aria.
soste di ulisse
A Bakar, Bakarska konoba­
quasi... come a Portofino
di Sostene Schena
S
e guardiamo Bakar (Buccari), quel
magnifico paesino adagiato al fondo
di quella baia (naturalmente voltando le spalle a quella orrenda ciminiera
che si innalza fino al livello della strada statale superiore) e togliendo lo sguardo
dall’orribile autostrada che sovrasta il paese)
ci viene in mente il Portofino di una volta; e
non siamo i soli a essere stati tentati di scendere (dalla strada litoranea che da Fiume porta a Spalato), fino al mare per vedere da vicino
quelle case che ci appaiono sempre come se
fossimo a bordo di un aereo. La baia di Buccari
(Bakar appunto) un luogo indimenticabile,
per gli italiani che hanno studiato la storia
della prima Grande Guerra dove si svolse la
famosa “beffa” (11 febbraio 1918).
Se pensate di trovarvi una miriade di ristoranti vi sbagliate. C’è un’unica buona trattoria lì
(sempre chiusa d’inverno) ma il fatto che sia
l’unica non vi “costringe” - come capita, a volte, dove c’è un’esclusività - di mangiare male e
a prezzi proibitivi. Al contrario.
Appena scesi dall’auto vi accoglie Asim, un
personaggio... non soltanto il proprietario; è
il factotum del suo locale; lo gestisce da una
trentina d’anni: oltre a deliziarvi con le sue
storie vi consiglia su ciò che è preferibile mangiare quel giorno (dopo che avete deciso per la
carne o il pesce) e poi va lui stesso ai fornelli, a
cucinare mentre le donne badano al resto. Alla
fine ecco ancora Asim a portarvi il conto e a
offrirvi una delle sue grappe.
Inutile affermare che qui alla “Bakarska Konoba” è preferibile “buttarsi” sul pesce (sempre che la nottata precedente sia stata fruttuosa per i pescatori locali) e Asim, con la sua
grande esperienza (ha imparato tanti anni fa
negli alberghi di Abbazia), non vi rovinerà
certamente i doni di un mare cosi prolifico e
“vocato” a far crescere scampi, orate e tutti
gli ottimi pesci che nuotano nelle acque del
Golfo.
LA NOSTRA PAGELLA
Nome: BAKARSKA KONOBA.
Località: Bakar (Buccari).
Indirizzo: Primorje 103
Tipo di locale: Konoba.
Coperti: 40/50; in terrazza 50/60.
Gestione: Asim Bilajac.
Aperto dalle 7 alle 24. Chiuso: per ferie
gennaio-febbraio.
Numeri di telefono: 51/761247.
Lingue parlate: italiano, tedesco, inglese.
Pagamento: anche credit cards
Prenotazione: consigliabile.
Distanze: km 15 da Fiume.
Per arrivarci: da Fiume seguire la strada litoranea per Split (Spalato) fino al bivio per Bakar (Buccari) e quindi scendere
al mare; il locale si trova proprio al centro
del paese; si può arrivare anche dall’autostrada Rijeka-Split, uscendo appunto a
Bakar; il parcheggio è sufficiente.
Ambiente 87
Atmosfera 88
Servizio 87 Qualità 88
Vino 75
Prezzo 80
Rapporto qualità/prezzo 86
Giudizio finale 87
Panorama
57
scacchi pillole
David Bronštejn
e Paul Keres
re senza corona
a cura di Sandro Damiani
A
ccPaul Petrovič Keres
ccDavid Ionovič Bronštejn
58
Panorama
bbiamo ricordato la forza dello scacchismo sovietico dall’immediato dopoguerra alla prima metà degli anni
Settanta attraverso i risultati conseguiti alle Olimpiadi. Nell’occasione
ci siamo imbattuti in due nomi che non sono
mai riusciti a imporsi nel mondiale individuale:
Paul Petrovič Keres (Narva, 1916 – Helsinki,
1975) e David Ionovič Bronštejn (Bila Cerkva,
1924 – Minsk, 2006).
Keres lo avevamo nominato già in due occasioni. La prima, allorché si impose al Torneo AVRO
di Amsterdam nel 1938, sfidante ufficiale del
campione Aleksandr Alekhine. Al torneo presero
parte pure gli ex campioni Capablanca ed Euwe,
gli statunitensi Fine e Reshewsky; il giovane sovietico Botvinnik e il cecoslovacco-russo Flohr. La
seconda volta, quando nel 1948, al torneo che
designava il nuovo campione del mondo essendo Alekhine nel frattempo morto, non riuscì a
far sua la gara a cinque (vinta dal Botvinnik, con
Smislov, Keres, Reshewsky, Euwe a ruota). Fino
alla fine degli anni ’60, l’Estone è stato quattro
volte secondo al Torneo dei Candidati... in pratica,
un “eterno” secondo.
Ma lo fu effettivamente? No. Per almeno un decennio fu il migliore. Ma, a parte l’interruzione a
causa della guerra, non godeva dei favori della
federazione sovietica; non perché pro-Botvinnik,
bensì a causa di una visione “iper(stupidamente)
politica”. Il Keres, quando l’Estonia era sotto
occupazione nazista, prese parte a numerose
competizioni che tutto il mondo libero, invece,
disertava. Era in buona compagnia: spesso, infatti, c’erano Alekhine e Bogoljubov, al quale nel
1950 si tenterà addirittura di non far assegnare il
titolo di Grande Maestro, appena istituito e con
cui si premiarono 27 giocatori; ebbene, il russotedesco divenne il ventottesimo, in extremis un
anno prima della morte.
Insomma, il fortissimo Paul dovette “pagare” per
il resto dei suoi giorni una sorta di “peccato di origine”. Anzi, ancora oggi, nonostante l’analisi degli
incontri non lo confermi, c’è chi è convinto che nei
quattro scontri diretti del torneo mondiale del
1948, egli ne abbia persi tre per “imposizione”...
Essendo gli scacchi, più di ogni altra attività sportiva, in continuo “work in progress”, legato anche
e soprattutto all’emergere di nuovi talenti che a
loro volta apportano novità di vario tipo. Insomma, per queste ed altre ragioni, Keres è rimasto
sempre al palo. Ma con 12 medaglie d’oro (7 a
squadre e 5 individuali) olimpiche e un amore da
parte del proprio popolo incredibile: oltre centomila estoni seguirono i suoi funerali. Come avverrà anni dopo all’armeno Petrosjan e al lettone Tal.
Anche David Bronštejn ha avuto la sua bella
chance di diventare campione del mondo, ma
non l’ha saputa sfruttare. È successo nel 1951,
quando Botvinnik mise in palio il titolo per la
prima volta. La gara è equilibrata: le vittorie, ovvero le sconfitte (5-5) sono state sempre nette. Le
patte, ben 14 , tra cui l’ultima partita, la 24esima,
quella che sancirà la vittoria di Michail Botvinnik
in quanto, regolamento alla mano, in caso di
punteggio pari, il titolo resta al detentore.
Non fortissimo psicologicamente, a differenza
di Keres, Bronštejn non avrà se non un “ritorno”
ai vertici. La non conquista del titolo, anche a
causa degli errori madornali commessi, lo hanno
reso ulteriormente insicuro e proprio laddove
era considerato uno dei più grandi esperti: nelle
aperture. Alle volte, pur giocando con i bianchi e
conoscendo l’avversario, ci mette fino a dieci minuti prima di muovere la pedina, perdendo quel
tempo prezioso che poi gli mancherà nei finali,
portandolo appunto a errori imperdonabili.
Quando avrebbe ancora potuto dare tanto agli
scacchi, a 54 anni si vide “mettere in castigo”
dalla federazione sovietica, per essersi rifiutato di sottoscrivere una petizione contro Viktor
Korchnoj, il futuro “eterno Numero 2”, accusato
dai paranoici di Mosca di “tradimento”...
passatempi
1
2
3
4
15
5
6
16
21
24
29
10
22
30
34
11
31
33
36
37
40
43
45
46
49
50
54
63
ORIZZONTALI: 1. La voce di chi
ha il mal di gola – 5. Città tedesca sul Danubio – 12. Distingue
vino da vino (sigla) – 15. La musa
dell’astronomia – 17. Si porta con
rancore – 18. Vani, inutili – 20. I
mangiatutto sono dolci – 22. Si
sente quando qualcuno bussa –
23. Vive nelle Grotte di Postumia
– 24. Il… gigante sulla neve
– 26. La paga l’inquilino – 28.
Ragno degli araneidi – 30. Il sim-
14
19
32
42
55
59
13
27
39
44
12
23
26
35
41
53
9
18
25
38
8
17
20
28
7
60
47
51
56
52
57
61
58
62
64
bolo dell’osmio – 32. Si dice canti
prima di morire – 33. Sondrio su
targa d’auto – 34. Quelli degli
Apostoli fanno parte del Nuovo
Testamento – 35. Monotono,
scialbo – 37. Sistema della televisione a colori – 38. La civetta…
usata dalla polizia – 39. Sostituisce un altro – 40. Cala all’imbrunire – 41. In posizione intermedia
– 42. Precede la realizzazione –
43. Lo segna la Stella Polare – 44.
In fin di vita – 45.
Soluzione del numero precedente
Immediatamente – 46. La metà
di otto – 47. Il
Tony padre di
Jamie Lee – 49.
Indumenti per
dormienti – 51.
Simboleggia la
vittoria – 53.
Quella Grande
precedette la Se-
48
65
conda mondiale – 55. Leandro la
raggiungeva a nuoto – 57. Rassegne… revisionate – 59. Lo infila
chi se ne va – 60. Scoscendimento di terreno – 62. Fu presidente
dell’Egitto – 63. Spiazzi colonici
– 64. Viene considerata la creatrice della minigonna – 65. Solo s’è
macchiata ride.
VERTICALI: l. Monete indiane – 2.
Oggetti preziosi – 3. Recipiente…
per lettere – 4. Ardente desiderio – 5. Untume nero attorno al
mozzo delle ruote – 6. Supportare senza supporre – 7. Istituto
nelle abbreviazioni – 8. Impone
la fermata – 9. Sta in piedi solo se
corre – 10. Una partita senza reti
– 11. Grosso uccello trampoliere
di palude – 12. Le cita lo storiografo – 13. È meno di two – 14.
Una scodella senza manico – 16.
Allegri e contenti – 19. Lo prece-
dono in otto – 21. Noi al singolare
– 23. Ama oziare – 25. Giaccone
con gli alamari – 27. Umilia i sottomessi – 29. Nella cabala fa novanta – 31. Le porte di Troia – 33.
Italiani della Gallura – 35. Schiavo
spartano – 36. Si zappa stando coi
frati – 37. Malattia infettiva delle
vie respiratorie – 38. Molto vicina
– 39. Centro minerario dell’Istria
– 40. Fanno… mostrare i denti –
42. La persecuzione degli ebrei in
Russia – 43. Notizia recente – 45.
Possono essere mancini – 47. Il
nome di Eastwood – 48. La lancetta dell’orologio – 49. Quella greca
è colofonia – 50. È attraversata dal
Tigri e dall’Eufrate – 52. Il simbolo
del laurenzio – 54. Avvezzi… coi
costumi – 56. Impiega i Caschi
blu – 58. Dieci inglesi – 60. Frosinone su targa d’auto – 61. I limiti
dell’autarchia.
Pinocchio
Panorama
59
60
Panorama
Fly UP