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Adesso lasciateci continuare - Associazione Amici di Peagna

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Adesso lasciateci continuare - Associazione Amici di Peagna
Anthia
Voce dell’associazione Amici di Peagna Anno 2012 - numero 14
POSTE ITALIANE – Spedizione in abbonamento postale
70% aut. DCB/Savona nr. 588 anno 2006
Adesso
lasciateci
continuare
Rassegna 2012: le immagini e il racconto delle serate
Luoghi, arte, cultura: i musei della Liguria
2 Anthia
Anthia
Voce dell’associazione Amici di Peagna Anno 2011 - numero 12
numero 14 - dicembre 2012
Registrazione del Tribunale di Savona
n. 565/06
Direttore responsabile
Andrea Carpi
Caporedattore
Gian Carlo Ascoli
Redazione
Mauro Bico, Ferdinanda Fantini,
Graziella Frasca Gallo,
Massimiliano Guido, Stefano Roascio
Hanno collaborato a questo numero
Monica Bruzzone, Francesco Gallea,
Claudia Ghirarldello, Angelita Mairani
Immagini
Archivio Amici di Peagna
Foto di copertina:
Gian Carlo Ascoli
Editore
Associazione Amici di Peagna
via Centrale 12
17023 Ceriale (Sv)
Impaginazione e grafica
Francesco Gennaro
Stampa
Studio Pixart srl
Via Brunacci 7
30174 Marghera (Ve)
Per contattare la redazione
e per ricevere regolarmente la rivista
Amici di Peagna - c.p. 115 17023 Ceriale
[email protected]
Sito Internet:
www.libridiliguria.it
Facebook:
facebook.com/PeagnaLibridiLiguria
La crisi e la cultura preventiva
Due concerti, di un cantautore ben noto al pubblico ligure come
Franco Boggero e di un gruppo nuovo, gli Uribà, che pesca nella
tradizione e nella cultura popolare, riadattando storie, musiche e
testi a sonorità più moderni. Una giornata intera, dal primo pomeriggio a sera inoltrata, dedicata all’enogastronomia, con l’allargamento verso Ceriale e il coinvolgimento di un’associazione
giovane ma decisamente improntata alla qualità, come Ligustibus. E poi serate più tradizionali ma con un bel seguito, il solito
grande lavoro che ha animato le serate di Peagna e messo in
mostra la produzione libraria della nostra regione; e ogni volta il
grande impegno dei volontari, sempre disponibili e sempre con
il sorriso, e la soddisfazione di un pubblico ogni sera numeroso.
Questo, in sintesi, il racconto della rassegna numero trentuno
dei Libri di Liguria. Il bilancio, va da sé, sembrerebbe più che
positivo: le serate sono piaciute, il pubblico è venuto a Peagna,
gli autori hanno ringraziato l’Associazione, l’Associazione ha fatto il massimo.
Eppure, tra le pagine di questo numero, che racconta meglio e
in modo più approfondito la rassegna 2012, oltre a ospitare interventi di grande prestigio e qualità, qualcosa non torna. Tra un
articolo e l’altro, tra un’immagine e una recensione, l’aria che si
respira è diversa. Perché, se la rassegna continua a funzionare, se
il Presidente della Repubblica decide di riconoscere e premiare
il lavoro dell’Associazione, perché il presidente Stefano Roascio deve lanciare un appello semplice e drammatico, perché
scrive aiutateci ad andare avanti, “fateci continuare”? L’Italia è
un paese strano, e dentro l’Italia la Liguria è una regione ben
particolare. Si parla di crisi, naturalmente. Crisi che è reale,
evidente, tragica per moltissime persone. Ma crisi che diventa
anche un alibi facile, un modo per giustificarsi, per lavarsene
le mani. La cultura ha un costo, e tante ricadute benefiche sul
territorio. Un po’ come la prevenzione, se vogliamo metterla
così: un costo se la si guarda oggi, un risparmio per il sistema
sanitario se si pensa a domani.
Ho avuto la fortuna di moderare la serata dedicata alla gastronomia, durante la rassegnadi quest’anno. Avevamo due ospiti
piemontesi, due sommelier che hanno scritto un bellissimo libro
sui vini liguri. Uno di loro, Roberto Marro, ha detto: “Nei ristoranti liguri i vini liguri sono pochi, pochissimi, se non assenti.
Eppure sono validi e interessanti come quelli del Trentino o delle
Marche, e lì nei ristoranti la carta dei vini si apre sempre con una
lunga proposta di scelte regionali. Sembra quasi che i liguri si
vergognino di quello che fanno, che pensino di non farlo bene”.
Dovremmo avere l’orgoglio di quello che siamo e di quello che
facciamo. Dobbiamo fare in modo che amministratori, fondazioni bancarie, imprenditori abbiamo voglia di sostenere e difendere quello che di buono c’è in questa regione. E la rassegna dei
Libri di Liguria, lasciatecelo dire, da trentuno anni fa un gran bel
servizio a questa regione.
Andrea Carpi
3 Anthia
Sommario
Soci onorari dell’associazione
Amici di Peagna
Cultura e identità ai tempi di spending review
(Francesco Gallea)
4
Lasciateci continuare (Stefano Roascio)
6
Franco Boggero, note e poesie di cantautore
(Stefano Roascio)
8
Musei liguri, lo stato dell’arte (Stefano Roascio)
9
Mari, navi e naviganti (Francesco Gallea)
10
Il legame storico tra Liguria e Piemonte (Stefano Roascio) 11
La cultura da bere e da mangiare (Andrea Carpi)
12
La musica degli Uribà sul palco di Peagna (Mauro Bico) 13
L’agricoltura del Ponente ligure (Francesco Gallea)
14
Le immagini della rassegna (Gian Carlo Ascoli)
15
Luoghi, arti, tradizioni, uomini illustri (Monica Bruzzone) 19
La diagnostica scientifica nella conservazione
dei beni culturali (Angelita Mairani)
23
Omaggio al Bambino Gesù tra Loano e Biella
(Claudia Ghiraldello)
27
I saraceno in Liguria (Francesco Gallea)
30
Poemi dal Golfo degi Dei (Francesco Macciò) 33
San Fruttuoso angolo di Paradiso (gieffegi) 35
Alla ricerca dei grandi alberi (gieffegi) 36
La via romana verso la Gallia (gieffegi) 37
Cronache della Consulta ligure (Francesco Gallea) 38
Intervista all’autore: Carmelo Prestipino
(Gian Carlo Ascoli)
38
Nominata nel 1995:
Sylvana De Riva
per l’affettuosa frequentazione
Nominato nel 2006:
Domenico D’Apolito
per l’impegno collaborativo
Nominata nel 2007:
Angela Franca Bellezza
per l’opera di collaborazione e diffusione
dell’attività culturale dell’Associazione
Nominato nel 2008:
Enrico Pelos
per l’opera di collaborazione e diffusione
dell’attività culturale dell’Associazione
Nominata nel 2012:
Carmen Oneto Baldassarre
per la particolare collaborazione svolta
nel Levante ligure in favore dell’attività
dell’Associazione e per la fornitura
di preziosi testi che contribuiscono
all’arricchimento della Biblioteca
“Libri di Liguria”
Errata Corrige Catalogo 2012
Per un problema di impaginazione l’Indice
degli Autori presenta valori aumentati di
due pagine rispetto alla reale posizione
delle opere nel testo del Catalogo. Ci scusiamo per l’inconveniente.
Ringraziamenti
L’Associazione Amici di Peagna ringrazia
sentitamente la Soprintendenza per i Beni
Architettonici della Liguria che ci ha donato tutti i volumi pubblicati negli ultimi
anni, consentendoci di potere disporre di
molte opere rare e preziose sul patrimonio artistico ed architettonico dell’intera
Regione. Un caloroso ringraziamento va
anche al prof. Franco Paolo Oliveri del
liceo D’Oria di Genova il quale ci ha donato un album fotografico degli anni 2030 del Novecento, con preziose immagini
delle campagne e delle colture ponentine
di allora.
4 Anthia
Libri di Liguria 2012
Cultura e identità ai tempi di spending review
di Francesco Gallea
R
ingrazio vivamente il Presidente e il Consiglio
Direttivo dell’Associazione “Amici di Peagna”
per avermi concesso uno spazio al fine di rivolgere il mio saluto al pubblico. Anzitutto devo riconoscere, al nuovo Consiglio Direttivo, di aver svolto un
ottimo lavoro, in un momento non facile, in cui tante
iniziative e istituzioni culturali hanno sospeso la loro
attività. Il Consiglio Direttivo è riuscito a tener viva la
rassegna, ha inserito nuove energie nell’Associazione,
ha aperto nuove vie nell’ottica dell’innovazione nella
continuità.
Per seri problemi personali che mi hanno condizionato nell’inverno e nella primavera, ho potuto seguire da
lontano il lavoro del nuovo Consiglio. Sono lieto che sia
stata sostenuta in modo egregio un’iniziativa a cui ho
dedicato 30 anni della mia vita. Ora non ho incarichi
esecutivi. Sono un socio, pur autorevole, e, in questa
veste, mi permetto a titolo personale di proporre alcune
riflessioni.
Nonostante si diffondano notizie ottimistiche sull’uscita del nostro Paese dalla crisi economica, io ho qualche
timore sia per il futuro della nostra iniziativa sia per
iniziative analoghe. Questo timore nasce da due ordini
di motivi. Motivi concreti: in questo dibattito politico
che ci separa dalle prossime elezioni del 2013, io non
ho ancora sentito, dai vari partiti politici, trattare il
tema “Cultura”. Chi ci governerà come pensa di affrontare questo problema? Quale modello di società i vari
schieramenti politici pensano di proporre agli elettori?
Andrea Carandini, Presidente del Consiglio superiore
per i Beni culturali, in un’intervista su “Sette” dice: “È
necessario affrontare il tema cultura come un problema
sistemico” ; e aggiunge: “Però non è facile la soluzione
perché la nostra è una società tribale, clanista, familista,
difficile da gestire”.
Poi motivi esistenziali: è stata affrontata in qualche
modo la crisi economica. Però non si è tenuto conto
che, sottintese ad essa, ci sono due realtà ben più importanti da affrontare: una crisi culturale e una crisi
morale. Se esaminiamo lo sviluppo ideologico degli ultimi 60 anni troviamo alcune ondate critiche che hanno travolto le certezze: negli anni Cinquanta-Sessanta
un modernismo esasperato che contestava ogni realtà
che avesse la parvenza di antichità; negli anni SettantaOttanta un antiautoritarismo che portava alla contestazione sia dal punto di vista culturale che politico; negli
anni Novanta-Duemila il globalismo, una sorta di cultura meticcia che cancellava ogni identità.
Questi fenomeni culturali imprimevano nella realtà sociale una velocità che portò Sigmund Bauman a parlare
di società liquida. È un modello sociale così veloce che
rende impossibile la costruzione di strutture da parte
della politica, che ha percorsi più lenti. Ne derivano due
gravi conseguenze: dal punto di vista soggettivo il relativismo, che si trasforma in individualismo esasperato
ed egoistico che condiziona ogni progresso. Di fatto di
fronte ai provvedimenti governativi sono scoppiate rabbie, frustrazioni, isterismi, ricerca di colpevoli da additare come untori e forme di autogiustificazione generica
per cui i colpevoli sono sempre gli altri. Dal punto di
vista collettivo sono entrate in crisi tutte le istituzioni e
le strutture educative: la famiglia, la scuola, le associazioni, i partiti ecc. Per questo è necessario recuperare il
valore della cultura come coscienza critica del passato e
progettazione del futuro, collegamento tra ieri, oggi e
domani, unione, dialogo, collaborazione sociale, riflessione sulla realtà ambientale dei nostri paesi. E’ necessario pensare quale futuro noi possiamo consegnare a
coloro che oggi sono giovani. Dal punto di vista morale
è urgente il riconoscimento di una scala di valori oggettivi (come diceva Kant) cioè universali (riconosciuti da
tutti) e necessari (obbligatoriamente tali).
L’uomo, cioè ciascuno di noi, deve diventare protagonista della sua storia: non ci si può aspettare da altri e
5 Anthia
dallo Stato aiuti definitivi. Lo Stato, sul piano culturale, diminuisce
i suoi stanziamenti; le Regioni e i
Comuni sono in difficoltà a gestire
l’ordinario; le Province non sanno
quale sarà il loro destino; le Fondazioni bancarie, ultimo baluardo
della cultura sul territorio, devono
subire assalti di ogni genere e cercano di non disperdere a pioggia le
loro risorse.
Se lo Stato stanzierà risorse finanziarie per la cultura andranno certamente a rafforzare grandi eventi,
prestigiose istituzioni, siti archeologici e museali che, peraltro, più
facilmente trovano sponsor ed
hanno ricavi da bigliettazione. In
crisi saranno quelle attività locali
gestite da volontari che sono le più
importanti, perché gestiscono l’ordinario quotidiano, assicurano la
diffusione della cultura, favoriscono il dialogo cittadino, garantiscono la crescita sociale ed educativa
della comunità, il crollo di queste
associazioni locali di tipo culturale, sociale, assistenziale è un danno
irreparabile per il tessuto della vita
cittadina.
Oggi si parla tanto di riduzione
della spesa: mia nonna Angiolina,
nata nel 1878, figlia di un valdese
e di una cattolica di Calice Ligure, una donnetta alta 1 metro e 48
cm, governava la casa e due famiglie col sorriso, ma con l’energia di
un sergente maggiore. Ogni tanto
diceva: “Besogna fo ecunumia”;
noi ignoranti la chiamavamo “Ecunumia”: oggi che siamo evoluti la
chiamiamo “Spending review”, ma
è la stessa cosa. Allora spariva da
tavola il vino, che beveva il nonno
(lo chiamava vino, ma in realtà era
una “vinetta” che aveva il colore
di un vino rosè, ma di fatto aveva
uno o due gradi più dell’acqua del
rubinetto); si viveva di minestroni,
che costituivano per alcuni giorni
colazione, pranzo, merenda e cena.
Il denaro risparmiato andava a fi-
nire in una scatola di latta con sopra scritto “caffè”, e questo denaro
serviva per comprare qualcosa di
utile alla famiglia. Tre cose però
non venivano toccate dalla “Spending review” di mia nonna: le spese
per la salute, per la scuola e per i
libri. Mia madre trasferì successivamente questi libri nel negozio in
cui mio padre faceva il mestiere di
ciabattino e mia madre ricamatrice
per bambini. I libri venivano offerti a qualunque cittadino lo volesse,
per diffondere la cultura e l’amore
per la lettura. Che ministro abile
sarebbe stata mia nonna, e con lei
tante altre nonne, che avevano la
cultura del buon senso e il valore
del sacrificio.
Oggi siamo un paese che rischia di
perdere l’anima non solo sul piano
culturale, ma anche perché la nostra casa ci sembra irriconoscibile.
Abbiamo perso ogni legame tra cultura popolare e cultura d’elite. Oggi
si parla tanto di federalismo: il vero
federalismo non è quello fiscale, ma
quello culturale. Ogni cultura degna di questo nome è una vittoria
dell’originalità sull’uniformità dei
gusti e dei valori. I nemici da vincere sono la cultura unica e il provincialismo estremo.
Martha Nussbaum insiste, in un
suo libro, sull’importanza dell’educazione nella ricostruzione della società. Bisogna ripartire dalla cultura
vera: le nazioni sempre più attratte
dalla crescita tecnologica stanno
accantonando, in modo scriteriato,
nell’istruzione di base quei saperi
indispensabili a mantener viva la libertà e la democrazia.
Eugenio Scalfari in un editoriale
scrisse: “Lo specchio si è rotto”. La
nostra è una società che sembra aver
smarrito ogni orientamento, ogni
immagine di sé, ogni memoria del
suo passato e ogni progettualità del
suo futuro. Se lo specchio si è rotto, l’unico modo di ricomporlo è
sul territorio: bisogna starci dentro,
prendere la parola, capirne le esigenze, recuperare coraggio, con un
po’ di senso utopico in un clima di
neocomunitarismo. Non si può tacere sulle cose che non vanno bene,
perché il tacere diventa connivenza.
Chiudo il mio intervento proponendo alcuni quesiti. Che Paese
è quello in cui i ciechi totali hanno la patente e allenano squadre
di calcio, mentre i veri disabili e i
loro familiari devono decidere di
scendere in piazza per tutelare il diritto, per una parte di loro, ad un
assegno mensile di 256 euro?Che
Paese è quello in cui le associazioni
di volontariato si vedono, di fatto,
spolpare le striminzite casse dalle
poste e sono in difficoltà a spedire
le circolari agli iscritti? Che Paese è
quello in cui si bloccano gli organici
degli insegnanti di sostegno, vanificando e rendendo sempre più difficile l’integrazione degli alunni con
disabilità, senza che nessuno alzi la
voce? Che Paese è quello in cui le biglietterie delle stazioni sono chiuse,
e quelle meccaniche sono rotte, e i
viaggiatori fanno la coda dove c’è lo
scompartimento del capotreno per
autodenunciarsi ed evitare multe
salatissime?Che Paese è mai quello
in cui si riducono le prestazioni in
due “Pronto soccorso” su quattro,
intasando soprattutto nei week-end,
gli altri due? Che Paese è mai quello
in cui, nei 200 quiz proposti dal Ministero per l’ingresso degli insegnanti al tirocinio, 40 risultano sbagliati
e i responsabili, invece di essere cacciati con ignominia, non subiscono
alcun danno e le commissioni sono
invitate a ritenere esatte tutte le risposte date a quei quiz?
Io lo so che Paese è! È il mio, è il
nostro. Io ho ottanta anni, e se
qualcuno mi dà uno spintone casco
a terra come un sacco. Però mi resta un po’ di cervello e la parola e
finché mi sarà concesso uno spazio
pubblico di intervento continuerò a
combattere.
6 Anthia
Libri di Liguria 2012
Lasciateci continuare
L’appello del Presidente a lettori e sostenitori
di Stefano Roascio*
L
asciateci continuare: è con questo appello, inconsueto, che apro la mia comunicazione sullo stato
dell’Associazione e le prospettive per il futuro. Abbiamo appena concluso la XXXI rassegna ”Libri di Liguria” con un grande successo di pubblico e di critica,
un pubblico che – francamente – non vedevamo più in
rassegna da molti anni, segno che il profondo rinnovamento che il nuovo direttivo ha voluto imprimere è stato
compreso e apprezzato.
Addirittura, per la prima volta dopo trenta anni di lavoro, la proposta culturale che abbiamo organizzato questa
estate è stata premiata con un prestigioso riconoscimento
del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che
ci ha mandato una medaglia ufficiale per i meriti culturali
e la qualità del programma della XXXI Rassegna. Come
ho già detto alla stampa, si tratta di un premio importante, che fotografa tanti anni di impegno dei volontari e
del direttivo verso la salvaguardia e la valorizzazione della
cultura ligure, ma rappresenta anche il riconoscimento di
un’associazione forte, viva, che si proietta verso il futuro
con la forza delle sue salde radici, ma anche con idee e
progetti innovativi, volti sempre ad un maggiore coinvolgimento del territorio che ci ospita.
Tuttavia, a fronte di un tale successo di pubblico e di un
così significativo riconoscimento, dobbiamo amaramente constatare che la precaria situazione economica che
interessa il nostro Paese si sta riversando con devastante
e desolante forza sul settore della cultura e delle organizzazioni di volontariato che, come la nostra, hanno da
sempre puntato sulla qualità disinteressata della propria
offerta culturale, senza pensare a mere logiche di mercato
e a tornaconti di carattere economico che non fossero i
soli contributi degli enti pubblici, denaro che abbiamo
sempre impiegato con trasparenza e oculatezza, restituendo obbiettivamente alla collettività e a chi da anni
ci segue un “prodotto” culturale anche superiore rispetto
ai finanziamenti che, negli ultimi anni, andavano via via
rarefacendosi.
Ora, mentre vi scrivo queste righe, sono ben conscio
del fatto che - se non interverranno positive novità - gli
Amici di Peagna il prossimo anno non riusciranno a
garantire la XXXII Rassegna dei Libri di Liguria e, nel
contempo, saranno messe in forse le pubblicazioni che
ci hanno resi il soggetto più significativo a livello regionale per la valorizzazione del patrimonio librario ligure,
di autori che stentano a farsi riconoscere dalle più importanti case editrici nazionali e ad entrare nei canali
della grande distribuzione e di editori che, a fronte di
ottimi prodotti librari, spesso non escono dagli angusti
limiti locali. Il nostro Catalogo dei Libri Liguri ogni
anno è atteso da librai e bibliotecari di tutta la Regione perchè rappresenta l’unico strumento del suo genere
per la schedatura delle uscite librarie che riguardano la
nostra Regione e anch’esso - se non riusciremo a trovare
nuove fonti di finanziamento - è destinato a soccombe-
7 Anthia
re. Addirittura la nostra stessa rivista
Anthia, che con gli anni è cresciuta
a tale punto da ospitare molte firme
autorevoli esterne all’Associazione e
che ormai ha una diffusione capillare in tutta la Regione e addirittura viene regolarmente recapitata ai
gruppi di liguri all’estero in contatto con noi, rischia di essere limitata
a un solo numero annuale, se non
peggio.
Ho assunto da circa un anno la presidenza degli Amici di Peagna, ben
conscio degli enormi problemi che
il momento avrebbe posto a me in
veste di rappresentante dell’Associazione e a tutti noi cittadini che speriamo che un antidoto all’impoverimento umano, oltre che materiale,
che colpisce la nostra società possa
venire ancora dalla buona cultura,
fatta dalla base per la base. Ora non
ho alcuna intenzione di essere ricordato in futuro come il Presidente
che non ha saputo portare gli Amici
di Peagna oltre la presente crisi. Per
questo motivo, supportato da un
Consiglio direttivo sempre attento e partecipe, ho attuato qualsiasi
possibile forma di risparmio e razionalizzazione delle spese, portando le
uscite allo stretto indispensabile per
il mantenimento delle iniziative che
da sempre ci caratterizzano.
Tutto quello che è stato fatto in questo senso, tuttavia, non è sufficiente
a scongiurare la paralisi della nostra
attività e la progressiva defunzione
dell’Associazione. Il mio è quindi un appello a tutte le persone di
buona volontà che hanno a cuore la
vita culturale e civile del nostro territorio: ognuno può fare la propria
parte, ad iniziare dalle pubbliche
amministrazioni che ci hanno sempre sostenuto. In questo senso devo
ringraziare, a nome di tutta l’Associazione, il Comune di Ceriale che
fino ad ora ha mantenuto inalterato
il proprio contributo e ci sostiene
fattivamente da anni, dimostrando
di avere compreso quanto gli Ami-
ci di Peagna siano significativi non
solo per l’arricchimento della cultura locale e regionale, ma anche per
la vasta ricaduta turistica e di immagine che il nostro lavoro garantisce
a Ceriale stessa. Anche la Regione
Liguria - ente promotore assieme
al Comune - anche quest’anno, pur
nel desolante quadro di un taglio
scriteriato alle autonomie locali,
ci ha assicurato un piccolo, ma significativo, sostegno. I contributi
della Camera di Commercio, della
Fondazione “De Mari”, della Coop
Liguria e, sperabilmente visto che a
tutt’oggi non abbiamo notizie confortanti, della Provincia di Savona,
hanno garantito che la Rassegna del
2012 potesse essere svolta nel migliore dei modi.
Tuttavia gli annunciati ulteriori tagli
ai contributi per il 2013, come dicevo, rischiano di decretare la morte
della nostra Associazione o almeno
delle proposte e dei prodotti per cui
è riconosciuta a livello regionale.
Abbiamo lavorato per oltre trenta
anni per la crescita culturale regionale, sempre offrendo gratuitamente i nostri prodotti. Stampiamo e
spediamo svariate centinaia di riviste e cataloghi nel corso dell’anno e
li recapitiamo ad enti e privati italiani e stranieri in modo del tutto
gratuito. Nella nostra Associazione
non esistono quote di iscrizione e
neppure quote annuali e ogni nostro appuntamento, compresi i due
concerti di quest’anno, è aperto liberamente al pubblico fino all’esaurimento dei posti. Offriamo a studiosi e appassionati il libero accesso
in una biblioteca che conta oltre
12.000 volumi di ambito ligure e,
ogni anno, la Rassegna è una vetrina
libera ed ambita per autori ed editori. Infine il lavoro di tutti noi è, ovviamente, ripagato dal solo entusiasmo che percepiamo annualmente
attorno alle nostre manifestazioni,
che nell’ultima rassegna è ulteriormente cresciuto.
Ebbene cari amici, soci e lettori dobbiamo dirci con franchezza che un
simile modello, in questo momento
storico, non è più percorribile. Dobbiamo capire che la cultura non è un
costo, ma ha un costo. Mentre fino
ad ora eravamo riusciti ad impiegare
i finanziamenti pubblici per arrivare
al pareggio dell’esercizio, senza dovere chiedere alcunchè a tutti voi, ora
- nel quadro di queste ristrettezze desolanti - non ci è più possibile farlo.
Ci troviamo di fronte al bivio di
cessare di fatto l’attività scientifica
e divulgativa o chiamare tutti a una
compartecipazione attiva e responsabile nei confronti dell’Associazione. Credo che qualsiasi “buon
padre di famiglia”, prima di assistere alla rovina della propria gente,
cercherebbe un aiuto nei figli, nei
parenti e in quanti gli stanno vicino. Anche noi sentiamo il dovere di
fare altrettanto. Ora siete voi lettori, appassionati, amici a cui spetta
il compito di aiutarci. Con il Direttivo stiamo valutando quale forma
di partecipazione alle spese potere
chiedere, molto probabilmente - e
lo dico con grande amarezza, ma anche con la franchezza e la chiarezza
che il momento impone - non potremo più assicurare gratuitamente la
ricezione delle riviste e del catalogo.
Stiamo anche pensando a nuove forme di autofinanziamento, all’apertura alla pubblicità - magari circoscritta
ai soli prodotti culturali quali libri,
eventi di qualità, case editrici ecc. cercando di non snaturare la natura
delle nostre pubblicazioni. Speriamo
anche nell’innesto di forze nuove,
di sponsor e nella sensibilità di tutti
coloro che ci possono fattivamente
aiutare ad ogni livello. Per questo
l’appello iniziale “lasciateci continuare” può felicemente trasformarsi
in un più fattivo “fateci continuare”,
perchè da oggi gli Amici di Peagna si
dovranno reggere anche sulle gambe
di tutti voi
*presidente Amici di Peagna
8 Anthia
Libri di Liguria 2012
Franco Boggero, note e poesia di cantautore
di Stefano Roascio
ercoledì 22 agosto l’auditorium dell’oratorio di Peagna
ha ospitato uno straordinario concerto del cantautore genovese
Franco Boggero, accompagnato al
pianoforte dall’inseparabile ed eclettico musicista Marco Spiccio.
Franco Boggero, noto nel Ponente
anche come esperto storico dell’arte e
promotore di restauri e valorizzazioni
dei beni culturali come funzionario
e Soprintendente per i Beni Artistici della Liguria, da anni è anche un
appassionato musicista e autore e,
recentemente, ha partecipato come
finalista al prestigioso Premio Tenco
della canzone d’autore con l’album “Lo so che non c’entra
niente”, opera da cui sono state tratte numerose canzoni
per la serata, assieme ad alcuni inediti di grande qualità.
Con questa serata abbiamo voluto offrire ai nostri ospiti
un appuntamento di grande musica dal vivo, invitando
una delle figure più appassionanti e affascinanti del pur
ricco panorama cantautorale genovese. Il nostro intento
non è stato solo quello di passare una bella serata all’insegna della musica d’autore, ma anche quello di sottolineare
il valore letterario e poetico di testi di grande raffinatezza, dimostrando che fare cultura non vuole dire soltanto
occuparsi di libri, ma anche lasciare spazio a serate come
questa.
Le parole e la musica di Franco Boggero e Marco Spiccio,
nel suggestivo scenario dell’auditorium all’aperto dell’oratorio, hanno creato una serata di forte intensità e poesia e
la manifestazione ha avuto un grande successo di pubblico e di critica.
Franco Boggero è stato recentemente oggetto di un’analisi stilistica e linguistica in una tesi di laurea in Dialettologia italiana, discussa a Genova nel 1998 da Marzio
M
Angiolani. Ecco quanto afferma lo
studioso: “I brani di Franco Boggero
partono dalla descrizione della realtà per poi giungere ad un punto di
stasi in cui si aprono malinconie e
piccole depressioni personali, riflessioni interiori sulla vita e l’esistenza.
L’adesione a situazioni quotidiane
coinvolge il linguaggio, che, anche
quando non è un effettivo discorso diretto, risulta colloquiale perfino nella marcata cadenza genovese.
Gli spunti sono ritratti e bozzetti, tra
la periferia e la calma lentezza di un
mondo inattuale:
Avevo l’intenzione di brindare a questi
due che oggi si sposano
magari si ameranno anche domani ma non ci scommetterei
meglio star zitti, non si sa mai.
Sarà che con le donne ci vuole chimica
sapere di volta in volta il lato debole
spirito critico e solidarietà.
(Chimica) I nostri amici, come sempre,
erano buoni con noi
e fumavano lungo
e ridevano forte
e ci toccava rimanere lì.
Noi siamo avvolti di pensieri, e questo
è un limite:
ti trovi, non sai più far niente:
l’inaspettata rimozione di un ostacolo
ci lascia soli, ma sinceri, e prudenti.
(Se qualche volta la dolcezza ci preoccupa)
Insomma sempre di più Boggero, anche attraverso tesi di
laurea che ne esplorano la produzione, si sta sempre di più
affermando come un “classico” di valore nella produzione
cantautorale genovese attuale.
9 Anthia
Libri di Liguria 2012
Musei liguri, lo stato dell’arte
di Stefano Roascio
a XXXI Rassegna “Libri di Liguria” si è aperta domenica 26 agosto con la serata “Musei liguri - Strutture e allestimenti: realtà a confronto”, condotta da
chi vi scrive. Vi hanno preso parte la professoressa Monica
Bruzzone, architetto esperto di museologia e museografia
e docente presso l’Università di Parma, autrice della recente guida “Musei di Liguria”, un agile e completo volume
che rappresenta il censimento più aggiornato della realtà
museale regionale. Un altro ospite, Gianluca Spirito, è
funzionario della Regione Liguria, che si è recentemente
occupata di stilare un preciso standard dei musei liguri.
Con gli altri due intervenuti, invece, si è voluto coinvolgere da un lato un architetto professionista autore di una
recente e felice realizzazione museografica: Piero Fantoni,
progettista della Pinacoteca Carlo Levi di Alassio, piccolo
ma suggestivo scrigno d’arte che raccoglie una pregevole
e rappresentativa selezione di tele di Carlo Levi che, ad
Alassio, soggiornò lungamente. L’ultimo invitato è stato
l’archeologo Andrea De Pascale, curatore del museo archeologico di Finalborgo.
Monica Bruzzone e Gianluca Spirito hanno presentato
una realtà museale regionale che, accanto a poli significativi a livello nazionale, come i musei d’arte di Genova,
l’acquario, il Museo del Mare, vedono micro realtà locali,
spesso semplici raccolte di materiali neppure aperte al pubblico. In particolare la situazione eterogenea e polimorfa
ligure conta 230 musei, di cui 22 case museo, 62 musei
d’arte, 27 di storia e archeologia, 8 musei delle imprese,
7 del mare, 9 della memoria, 6 musei del territorio, 62
delle tradizioni popolari, tecniche, antropologi. Sembra
trattarsi di una sorta di “bulimia museale”, per altro estremamente inadeguata a reggere i colpi di una crisi economica, sicuramente più pungente per le piccole realtà locali
che non riescono a “fare sistema” tra di esse e a connettersi
felicemente con il territorio. Gianluca Spirito ha potuto
illustrare il senso degli standard museali regionali, emanati
per cercare di garantire un’uniformità del servizio erogato
L
ma ha anche sottolineato le evidenti difficoltà strutturali
ed economiche in cui molte strutture versano, che impediscono l’applicazione dei livelli qualitativi richiesti.
Fantoni ha illustrato la genesi di un progetto espositivo che
è terminato nel felice allestimento della Pinacoteca Levi,
che espone 22 tele dell’autore di “Cristo si è fermato ad
Eboli”, in vita probabilmente più noto come pittore che
come scrittore.
Andrea De Pascale ha chiarito le difficoltà di esporre al vasto pubblico i reperti preistorici, che sono i più distanti
dalla quotidianità attuale. Il museo del Finale ha ovviato
a ciò presentando gli oggetti nel loro contesto originario,
ricostruito con attenzione filologica e dovizia di particolari, secondo un’ottica veramente comprensibile al più vasto
pubblico.
Complessivamente la serata è risultata utile per una fotografia di una realtà in rapida evoluzione e anche in palese
difficoltà, in quanto molte strutture museali dipendono
unicamente dai finanziamenti pubblici che, oggi giorno, sono sempre più carenti. Tutti gli intervenuti hanno
comunque concordato che il modo migliore per uscire
dall’attuale stato di crisi sarebbe quello di tentare di unire
tutte le energie dei territori, superando localismi e campanilismi e cercando sempre più di arrivare ad una rete
di servizi culturali territoriali che veda nei musei uno dei
fattori stimolanti e di crescita, ma non l’unico.
10 Anthia
Libri di Liguria 2012
Mari, navi e naviganti
di Francesco Gallea
ono parecchi i libri editi, tra il 2011 e il 2012
sul tema marinaro. Era opportuno dedicare
una serata a tale argomento. Il progetto prevedeva la volontà di affrontare il tema con una prospettiva molto ampia. Purtroppo gli impegni di due
relatori hanno impedito la loro presenza, e la discussione si è orientata su obiettivi più ristretti, ma di
grande interesse, incontrando un buon susccesso di
pubblico.
Protagonista della serata è stato Stefano Gallino, metereologo dell’Arpal (l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) e membro della Federazione
Italiana Vela, autore, insieme ad Alessandro Benedetti e Luca Onorato, di uno splendido volume “Wave
Watching: lo spettacolo delle mareggiate in Liguria”
(pubblicato da Hoepli). Si tratta di un testo unico
per il tema sviluppato con due punti di vista dominanti: scientifico (studio delle condizioni che favoriscono le mareggiate) e storico (ricostruzione di sei
violente mareggiate che hanno colpito la Liguria tra
il 1955 e il 2010).
Dall’analisi immediata di questi episodi, illustrati
con suggestive immagini proiettate, è stato agevole
il passaggio a temi più generali. Il mare per i Liguri è una caratteristica identitaria: incarna il senso
dell’infinito e il valore della libertà; ha condizionato lo sviluppo della storia regionale, di un popolo di “montanari rivolti verso il mare”. Mare come
luogo di interscambi culturali, considerando che tre
grandi continenti hanno tuffato nel Mediterraneo
le loro culture. Paul Valery scrisse: “Giammai e in
nessuna parte del mondo si è potuto osservare, in
un’area così ristretta e in così breve intervallo di
tempo, un tale fermento di spiriti e una tale produzione di ricchezza”. Ma il mare può essere molte
cose in più, specialmente in una regione come la
nostra: mare, quindi, come sviluppo di commerci,
S
creatore di attività industriali, sostegno dell’economia turistica.
A dare un valore concreto al tema ha contribuito l’intervento di Domenico Ruocco, campano, trapiantato da molti anni in Liguria, titolare insieme al figlio
Fabio del cantiere navale Nauticart, di natura artigianale ma con una produzione prestigiosa, inaugurato
agli inizi degli anni Settanta e da allora specializzato
in piccole imbarcazioni, i gozzi liguri in legno o in
vetroresina. Ceriale è famosa per i suoi tre cantieri
che, in un momento difficile per la nautica, continuano ad operare con clientela nazionale e internazionale.
Con l’aiuto di un video realizzato da Dino Gravano,
Ruocco ha illustrato le varie fasi della realizzazione di
un “gozzo”, costruito alla maniera antica. Il pubblico
ha potuto rendersi conto dell’uso del materiale, degli
strumenti, della fatica e anche dell’amore che Ruocco e i suoi figli ponevano nel lavoro.
Si smarrivano i confini della normalità artigianale
ed estro-artistico. Ruocco ha accompagnato il filmato con ricordi, suggeriti da un humour garbato che
ha conquistato gli spettatori. Il gozzo di Domenco
Ruocco è stato esposto sabato 1 e domenica 2 settembre nella piazzetta della Chiesa di Peagna.
11 Anthia
Libri di Liguria 2012
Il legame storico tra Liguria e Piemonte
di Stefano Roascio
artedì 28 agosto si è parlato di “Itinerari tra
Piemonte e Liguria. Scambi culturali, commerciali e di costume”. Era presente una nutrita rappresentanza dell’associazione culturale “ Gli
Spigolatori” di Mondovì, con il poeta Remigio Bertolino, l’esperto di storia locale e linguistica Nicola Duberti
e Yvonne Fracassetti Brondino, addetta culturale presso
l’Istituto italiano di Cultura di Tunisi ed esperta di sociologia e di interculturalità. Purtroppo non ha potuto
partecipare Sergio Arneodo, scrittore e responsabile del
centro culturale “Comboscuro”, nato per la difesa e la
valorizzazione delle parlate e delle tradizioni della cultura alpina di influenza provenzale, ancora diffusa in
alcune valli del cuneese. Molto interessante la presenza
del linguista e poeta pugliese Vincenzo Menichelli, che
ci ha parlato dell’esistenza di una curiosa isola linguistica francoprovenzale in provincia di Foggia, precisamente nei comuni di Celle e Faeto, nella Daunia Arpitana,
al confine dei territori di Foggia, Benevento ed Avellino, un ambito distante ben 800 km dalle frontiere francesi e svizzere e dalle aree italiane dove si parla ancora
questa lingua.
Con gli Spigolatori di Mondovì si sono affrontati in
particolare i rapporti culturali e commerciali che da
sempre hanno connesso le valli interne della Liguria,
specie la Val Bormida, con il basso Piemonte. Per un
giovane valbormidese, infatti, fino a pochi decenni orsono e, talvolta, ancora ora era consueto completare i
propri studi superiori proprio a Mondovì piuttosto che
a Savona, appoggiandosi sull’ottima tradizione dei collegi religiosi locali e la grande reputazione degli istituti
superiori monregalesi. Nicola Duberti, attraverso l’ausilio di interessanti immagini proiettate, ha poi gettato
nuova luce sui più antichi rapporti tra questi territori, legati spesso alle cosiddette “vie del sale”, percorsi
commerciali attraverso i quali si muovevano comunque
uomini, culture, idee. Del resto non è un caso che il
M
piatto principe piemontese, la bagna cauda, veda come
principale ingrediente proprio le acciughe che provengono dal Mar Ligure.
Quando si è affrontato specificamente il tema delle
parlate francoprovenzali e dei dialetti è intervenuto sul
palco anche il nostro socio Mauro Bico, esperto di dialettologia e linguistica italiana. Oltre a numerose poesie in monregalese lette da Bertolino e alcuni altri testi
di Arneodo proposti dai presenti, scritti nel misterioso dialetto che mescola il piemontese all’antica lingua
d’Oc, abbiamo potuto ascoltare le simpatiche poesie del
Menichelli che, sotto un non celato accento foggiano,
nascondono termini e costruzioni sintattiche tipicamente occitani. Nulla di preciso si sa sulle origini di
questa isola linguistica, probabilmente legata allo stanziamento di francesi durante la dominazione angioina
del XIII secolo o ad un più tardo stanziamento valdese
nel Quattrocento e al generale conservatorismo culturale dei pesi di Celle e Faeto, che sorgono in luoghi
isolati dell’Appennino.
La serata ha quindi sottolineato che anche la difesa e la
valorizzazione della cultura locale spesso coincide con
la comprensione di quanti legami storicamente esistono
tra uomini e territori non solo a livello extra-locale ma
anche su scala ben più vasta.
12 Anthia
Libri di Liguria 2012
La cultura da bere e da mangiare
di Andrea Carpi
na intera giornata dedicata ai sapori e ai saperi. Mercoledì 29 agosto Peagna e Ceriale hanno
ospitato un lungo appuntamento con il gusto
e la cultura enogastronomica, un evento inedito nella
pur decennale tradizione degli Amici di Peagna, che ha
trovato la risposta di un pubblico entusiasta. Durante
il pomeriggio, mentre gli autori incontravano i lettori
all’interno di locali ed esercizi commerciali di Ceriale, a
Peagna si preparava l’apericena in terrazza: un happening
curato dall’associazione Ligustibus e da 100prodotti, che
ha permesso di intrattenere oltre cento persone con piatti
particolari e vini di qualità, tutto rigorosamente di origine ligure, in attesa dell’incontro serale con gli autori in
Auditorium.
Un gustoso aperitivo per una serata ricca di contenuti: sul
palco sono saliti Domenico Abbo, sindaco di Lucinasco
ed esperto di olio extravergine di oliva; Sergio Rossi, erede e continuatore del lavoro di Giovanni Rebora e autore
(tra gli altri) di un libro sulle cento bellezze della Pasqualina; Umberto Curti, esperto di marketing territoriale e
curatore di una pubblicazione sulla focaccia genovese e
sugli altri, cosiddetti, finger food alla ligure; Mauro Carosso e Roberto Marro, sommelier dell’Ais Piemonte, che
a quattro mani hanno firmato una esauriente e completa
guida ai vini della Liguria.
Un parterre d’eccezione che ha dialogato per quasi due
ore di molti e diversi temi legati alla cultura enogastronomica. Cinque autori che si sono trovati in alcuni casi
d’accordo, per esempio nel sostenere l’importanza della
qualità nella produzione agroalimentare e nella proposta
enogastronomica di una regione come la Liguria, che per
le limitate dimensioni territoriali e le caratteristiche orografiche deve necessariamente puntare all’eccellenza per
emergere; ma anche cinque diversi punti di vista, tutti
originali e interessanti, su alcune questioni: la produzione e la distribuzione dell’olio e.v.o., campo nel quale la
cultura media è ancora molto indietro rispetto, per esem-
U
pio, al vino, o il ruolo che Slow Food e le sue emanazioni
commerciali hanno avuto e ancora hanno nella salvaguardia di determinate tradizioni e produzioni. Particolarmente interessante, poi, si è rivelato il punto divista
dei due ospiti piemontes, capaci di leggere la realtà ligure
in modo necessariamente diverso e originale: come mai
- si chidevano e chiedevano agli altri ospiti Marro e Carosso, è così difficile trovare una carta dei vini liguri nei
vostri ristoranti, come mai certi prodotti hanno così poca
visibilità, quasi i liguri non li ritenessero all’altezza di altri
importati da regioni diverse?
E se qualche momento di ilarità è emerso nel raccontare
al pubblico caratteristiche (e nefandezze) del pesto che
si trova in commercio, in Italia e all’estero, gli ospiti della serata hanno ritrovato unità di visione nel constatare,
amaramente, quanto la Regione Liguria e in generale
le istituzioni liguri siano indietro sul fronte della comunicazione e del marketing rispetto al podotti - pur
ottimi - che la nostra regione offre. Una lacuna storica e culturle che, insieme alle dimensioni ridottissime
delle aziende agricole liguri e alla burocrazia, che rende
difficile ogni cosa e rallenta il lavoro di imprese quasi
sempre familiari, non permette all’enogastronomia ligure di avere il ruolo di primo piano a livello nazionale
che pure meriterebbe.
13 Anthia
Libri di Liguria 2012
La musica degli Uribà sul palco di Peagna
di Mauro Bico
a sera del 30 agosto 2012 si è tenuto un incontroconcerto con gli Uribà, un nuovo gruppo musicale che si occupa di canti popolari liguri e non.
Prima del concerto l’animatore del gruppo Davide Baglietto (polistrumentista che suona vari tipi di cornamuse come musette du centre, ceccola polifonica e whistle) ha chiacchierato con Mauro Bico e Massimiliano
Guido sull’importanza del recupero e della conservazione del repertorio musicale della tradizione popolare. Innanzitutto il gruppo si è dato il nome dialettale Uribà,
che significa “alloro” in molti dialetti locali della zona
tra Albenga e Andora e il disco si intitola ironicamente
QB, ‘Quanto basta’, la vaga indicazione dei ricettari in
merito alla quantità di certi ingredienti, come per l’appunto l’alloro, lasciata all’arbitrio di chi cucina.
QB assembla canzoni e melodie provenienti dalla zona
alpina ligure (da Cadibona fino a Cima Marta, come
recita la fascetta interna del disco), che vengono riarrangiate dal gruppo con un gusto più contemporaneo e fatte dialogare con composizioni originali, create sull’onda
dell’ispirazione dettata dal contatto con questi “reperti”
della tradizione. Le fonti sono state sia le registrazioni raccolte sul campo da etnomusicologi di fama come
Alan Lomax, Giorgio Nataletti, Mauro Balma e Paul
Collaer, sia da testimoni scritti (raccolte di canti e folklore locale).
In particolare il disco permette di riascoltare filastrocche provenienti dalle valli ingaune Arroscia, Lerrone e
Pennavaire, come Vaggu aa fera, “Vado alla fiera” e Puve
de l’oru “Polvere dell’oro”, rispettivamente un canto
di festa e una serie di strofe nonsense. Sono presenti anche le ninne nanne Adormite Cuumbu della valle
Argentina (quella di Taggia e Triora) e O ciucciarella,
proveniente dalla Corsica, che sappiamo presentare,
nella zona centro meridionale, un dialetto (o lingua?)
simile al ligure. La pulayera, “La pollivendola” e Laggiù
in fondo a quel boschetto vengono da Realdo, nell’altis-
L
sima Valle Argentina, zona alla quale ha dato grandi
contributi scientifici Pierleone Massajoli, studioso del
brigasco e delle tradizioni popolari del ponente ligure. A Massajoli è stato esplicitamente dedicato il pezzo
Don Pirrone, storia da lui stesso raccolta, che parla di
un prete che ha rovinato in modo nefando la gioventù
dei brigascòn.
Puve de l’oru, filastrocca nonsense di Casanova Lerrone, paese nell’entroterra di Albenga, che il gruppo ha
adattato su una melodia in 7/8 dal “sapore” balcanico
(come affermano gli stessi musicisti). Il testo rimescola momenti della vita contadina: felici come quando
la “bianca Maria” dice a me spetu me paire cu veggne a
cà, da-a lumbardia, u me purtià scarpe scarpette, pendìn
d’oru e da indurà (‘aspetto mio padre che viene a casa
dalla Lombardia/ mi porterà scarpe e scarpette, orecchini d’oro e da indorare’); tristi come nel caso della “muie
du spessià” che “a l’è in tu lettu ch’a sta mà”. Gli animali, come numi tutelari, sono onnipresenti nei ritornelli:
U gallu u canta risponde a gaìna (‘il gallo canta risponde
la gallina’) e U ruscignö da-a gamba sutì nu me lasscia
mai durmì (‘l’usignolo dalla gamba sottile non mi lascia
mai dormire’). Il canto tira in ballo anche momenti del
lavoro maschile e femminile, delle nostre nonne e bisnonne casalinghe.
14 Anthia
Libri di Liguria 2012
L’agricoltura del Ponente ligure
di Francesco Gallea
idea di un incontro sul tema dell’agricoltura è stata suggerita, oltre che dal rilievo economico del settore, anche dall’alto
numero di testi relativi all’olivicoltura, floricoltura,
orticoltura e viticoltura, editi recentemente. L’incontro serale non ha avuto uno sviluppo tecnico,
ma ha affrontato i problemi del settore dal punto di
vista culturale.
Hanno partecipato al dialogo M. R. Benedetti (Coltivatori diretti), Luigi Bodini (olivicoltore), Davide
Michelini (florovivaista) e Giovanni Minuto (Direttore del centro sperimentale Camera di Commercio
di Savona).
Anzitutto sono stati resi pubblici i numeri della produzione agricola del ponente ligure. Per l’orticoltura: 40270 tonnellate di ortaggi; per la floricoltura:
38 milioni di vasi fioriti, 63 milioni di aromatiche,
480 milioni di fiori recisi e 421 milioni di fronde
recise. Già queste cifre fanno comprendere l’importanza economica del settore.
Il dialogo però ha toccato temi più specifici, come
la salvaguardia del suolo agricolo, minacciato fortemente da una dissennata espansione edilizia che
mette in crisi la piramide economica a scapito
dell’economia primaria; il ricambio generazionale
nel settore agricolo, nel quale i giovani imprenditori sono solo il 6% del totale; l’usurpazione dei
marchi e delle denominazioni, piaga che coinvolge tutto il made in Italy agroalimentare, nonché il
problema della contraffazioni, soprattutto per l’olio
extravergine di oliva; la difesa di prodotti caratteristici (che nel Ponente non mancano, come il chinotto di Savona, l’ asparago violetto della piana di
Albenga, le rape della Val Pennavaire, le ciliegie di
Castelbianco, le albicocche di Valleggia e tanti altri
ancora); i rapporti tra la scuola agraria e il mondo
della ristorazione, una cooperazione, ancora minac-
L’
ciata dall’individualismo, chiara contraddizione per
un mondo come quello contadino che, sul piano
festivo e sacrale, sente forti i vincoli sociali; il cambiamento nei gusti del consumatore e la riscoperta
di sapori antichi.
Come si può notare si tratta di argomenti importanti, che rientrano a pieno merito in un discorso
di cultura. Oggi le nuove tecnologie e la crescita di
nuove consapevolezze propongono progettualità e
approcci di collaborazione comprensionale più rilevanti del passato. Un particolare spazio nel dialogo
è stato riservato al settore dell’olivicoltura, campo
in cui esiste una varietà qualitativa regionale notevole (oltretutto protetta da una delle pochissime
dop liguri) e allo stesso tempo un rischio altissimo
di contraffazioni.
L’olio extravergine d’oliva ligure genuino ha caratteristiche di gusto eccezionali, è stato valorizzato
da produttori accorti, e spesso è legato ad aziende
piccole e piccolissime, magari aziende agrituristiche con vendite dirette che promettono riduzioni
di prezzo nella filiera, con guadagni maggiori per i
produttori, sicurezza dei prodotti e risparmio per i
consumatori. Lo slogan degli olivicoltori è “L’olio
ligure extravergine condisce la vita”
15 Anthia
Libri di Liguria 2012
Le immagini della rassegna
16 Anthia
Nella pagina a fianco:
- Il cantautore Franco Boggero
e il pianista Mauro Spiccio sul palco
dell’Auditorium, il 26 agosto;
- Il taglio del nastro:
l’assessore regionale al Turismo
Angelo Berlangieri, l’assessore
provinciale Roberto Schneck
e il sindaco di Ceriale Ennio Fazio
aprono ufficialmente la rassegna
In questa pagina:
- Due immagini
di Casa Girardenghi, prima
dell’inaugurazione e con il pubblico
intento a consultare la raccolta
- L’architetto Piero Fantoni
nella serata dedicata ai musei
17 Anthia
18 Anthia
Nella pagina a fianco:
- Dopo la serata dedicata all’enogastronomia,
il pubblico partecipa al buffet nella piazza di Peagna
offerto da alcuni esercizi commerciali di Ceriale
- Stefano Gallino, uno degli auori intevistati
da Francesco Gallea nella serata dedicata al mare
- Remigio Bartolini e Yvonne Fracassetti
dell’associazione “Spigolatori” di Mondovì
raccontano i legami tra Liguria e Piemonte
In questa pagina:,
- Uno dei componenti del gruppo degli Uribà
si esibisce al contrabbasso durante la performance
del 30 agosto sul palco di Peagna
- Francesco Cavanna, con il suo romanzo
“L’uomo che non contava i giorni” (Mondadori)
ha vinto il premio “Libro ligure dell’anno” per il 2012.
Il riconoscimento è stato consegnato
da Marinella Fasano, assessore del Comune di Ceriale
19 Anthia
Beni culturali
Luoghi, arti, tradizioni, uomini illustri
La Liguria dei musei
di Monica Bruzzone
È
facile riconoscere la Liguria nell’immagine scabra
della scarsa lingua di terra che orla il mare e chiude
la schiena arida dei monti; morsa dal sale. Nella realistica visione poetica di Camillo Sbarbaro si colgono due
questioni senza tempo che sintetizzano la regione nelle
sue caratteristiche geologiche e topografiche ma anche
nel carattere delle sue genti: i monti, il mare e in mezzo a
essi tutta la vita di una terra ostica e faticosa da attraversare tanto quanto dura da conoscere fino in fondo.
Troppo densa e al tempo stesso, a tratti, troppo sottile,
la Liguria è un bricolage d’infinite culture e immagini
di mondi analoghi, luogo di confine dove l’arrivo e la
partenza dal mare non sono fenomeni migratori recenti,
ma attitudini secolari, dove il rapporto con la montagna
che incombe a ridosso della costa è incessante lotta per
l’equilibrio tra l’uomo e il territorio, dove la gravità e la
leggerezza sono atteggiamenti opposti, ma quasi sempre
compresenti nelle azioni che gli uomini compiono, da
tempi remoti, per addolcire o addomesticare questi luoghi.
Gli orizzonti di paesaggio, il ritmo interrotto di città e
paesi che costruiscono l’arco di costa e il suo l’entroterra
dall’estremità occidentale della Mortola fino a Ortonovo
al confine con la Toscana, sono come microcosmi circoscritti e bene identificati, caratterizzati da riferimenti
particolari, suggestioni o emozioni che preludono e presuppongono una specifica visione poetica.
Il racconto di questa varietà culturale e la narrazione delle
sue molte declinazioni, sono azioni indispensabili se non
si vuole disperdere l’importante patrimonio di memorie
collettive, di tradizioni colte e popolari, di tecniche e di
produzioni locali che hanno caratterizzato il costruirsi di
identità particolari fin dai tempi più lontani.
La forma della città storica, la tipologia delle sue architetture, i toponimi che legano con filo robustissimo i luoghi
alle loro origini arcaiche, sono segni della storica combi-
ne tra uomo e terra, le cui radici permangono oggi nelle
consuetudini, nelle tradizioni materiali, nei riti sociali.
Proprio ai musei può essere affidato l’incarico narrativo
di farsi custodi e portavoce delle molteplici e spesso poco
note vocazioni culturali liguri. André Malraux, nel libro
“Il museo dei musei” indicava nell’origine del luogo per
esporre, il bisogno condiviso dalla società di conservare
ed esibire gli oggetti dell’arte e i patrimoni delle culture, poiché strumenti di crescita civile. Il museo era così
un interlocutore privilegiato in cui ogni oggetto, perse
per sempre le relazioni formali con la società che l’aveva prodotto, acquisiva il nuovo significato di indagare le
identità contemporanee a partire dai resti di un passato
lontano e in questo modo permetteva di ottenere nuove
consapevolezze per il futuro.
Da un censimento compiuto grazie a Icom Liguria
nell’anno 2011, è emerso un dato significativo: nella
regione vi sono oltre 230 istituzioni che conservano e
espongono al pubblico le proprie collezioni e che possono almeno in senso lato essere definite museo. Oggi,
quasi due anni dopo quella ricerca svolta anche grazie
alla collaborazione scientifica dell’Università di Parma, si
sono inaugurati in Liguria almeno 10 nuovi musei.
Tutte queste realtà, proprio come recita la definizione
data dall’Icom, vanno intese come istituzioni permanenti
(…) al servizio della società e del suo sviluppo, il cui compito principale è testimoniare l’importanza degli innumerevoli microcosmi che compongono l’identità ligure.
La “scoperta” di un patrimonio tanto vasto ha effettivamente colto di sorpresa, in una regione dove i grandi musei, quelli ben noti anche a livello internazionale, sono
invece molto pochi.
Un turista che ad esempio arrivasse a Genova, potrebbe
visitare l’Acquario e il Galata Museo del Mare, entrerebbe ammirato nei musei di Strada Nuova, grazie anche al
ruolo divulgativo dell’Unesco che li ha inclusi tra i luoghi
patrimonio dell’umanità. Vedrebbe il piccolo gioiello del
museo del Tesoro di San Lorenzo, il museo di Palazzo
20 Anthia
Reale, il museo di Storia Naturale
Doria, o il museo del Risorgimento
in via Lomellini, ma già avrebbe alcune difficoltà, se non informative
almeno logistiche, a recarsi nell’eccezionale polo museale di Genova Nervi che ospita anche la Galleria d’Arte
Moderna e la collezione Wolfsoniana
d’arti decorative; oppure nel museo
archeologico di Pegli, straordinariamente ricco di reperti e collocato
nell’eccezionale - oggi purtroppo decadente - cornice di Villa Pallavicini.
Infine, anche il turista meglio informato, avrebbe non pochi problemi
ad apprezzare la presenza di piccoli
ma significativi poli espositivi come
la casa museo dello scultore Luigi
Venzano a Sestri Ponente, il museo
garibaldino a Quarto dei Mille, e i
musei delle arti sacre: dal più noto in
Santa Maria di Castello ai musei diocesani di Genova e di Chiavari.
Bisogna rilevare così che se gli oltre
230 musei della Liguria sono quasi
tutti custodi di eccezionali specificità
culturali, ma anche di vere e proprie
vocazioni collettive, al tempo stesso
molti di essi sembrano volersi appropriare di una caratteristica tipica del
territorio ligure e dei suoi abitanti:
quella dell’impenetrabilità. La loro
capacità di raccontare infinite storie,
la loro seduttività nel mettere in scena le differenti tradizioni e nel curare
gli aspetti educativi delle collezioni,
si scontra con un’inspiegabile chiusura culturale, che vede molti piccoli
musei non adeguatamente valorizzati
proprio perché difficili da raggiungere o peggio ancora perché sconosciuti
anche alla cittadinanza.
Riprendere il filo conduttore di alcune vocazioni culturali della Liguria
diventa, proprio per questo motivo,
un’azione importantissima al fine
di conoscere e far conoscere i musei
come patrimonio comune, archivi
inesauribili di risorse educative e conoscitive, ma anche luoghi piacevoli
da vivere.
Il mondo del collezionismo e, nel
Il Museo del Tesoro di San Lorenzo, a Genova
passato, del mecenatismo, ha dato
alla Liguria un numero considerevole di musei d’arte. Questi, se da
un lato fissano la fisionomia storico
culturale del territorio poiché rappresentano approssimativamente il
26% dell’intero patrimonio museale
ligure, dall’altro testimoniano il radicamento alla migliore tradizione
museografica del XX secolo, grazie
a capolavori come i musei di Palazzo Rosso e Palazzo Bianco a Genova,
allestiti da Franco Albini quali irripetibili opportunità di inventare una
nuova idea di spazio espositivo nel
secondo dopoguerra.
Non si può dire di conoscere il patrimonio culturale savonese se non si
coglie, ad esempio, il ruolo dell’arte
moderna e contemporanea. Come
nel polo museale di Palazzo Gavotti, che ospita una pinacoteca storica
ricca di autentici capolavori, quale è
la Crocifissione di Donato de’ Bardi,
ma che include anche la collezione
Milena Milani in memoria di Carlo
Cardazzo, una celebrazione del ruolo del gallerista con pregevoli pitture
di De Chirico, Campigli, Fontana
e Magritte. La Pinacoteca Levi di
Alassio è uno spazio espositivo da
non perdere: alcune stanze di Palazzo
Morteo sono allestite appositamente per ospitare opere specifiche che
Carlo Levi dipinse nei lunghi sog-
giorni in Liguria e offre l’opportunità
di apprezzare un’identità sospesa tra
la vegetazione rigogliosa che si coglie nell’antropomorfismo dei celebri
carrubi e il mare, che è quasi sempre
un orizzonte sottinteso. Il Priamar
ospita due eccellenti collezioni d’arte, sebbene l’inaugurazione dei nuovi
spazi già allestiti sia ancora in sospeso: si tratta della collezione Renata
Cuneo e di quella appartenente al
Presidente della Repubblica Sandro
Pertini, donata alla città dalla moglie
Paola. Il nuovo museo mette a confronto due forti personalità grazie a
un centinaio di opere del XX secolo
di artisti come Morandi, Messina,
Pomodoro, Vedova, Guttuso, Turcato, oltre naturalmente all’opera plastica di Renata Cuneo.
Ma il luogo che ha davvero immerso la provincia di Savona nell’arte
contemporanea, oggi chiuso e purtroppo quasi dimenticato, è il Centro Internazionale di sperimentazioni artistiche fondato a Boissano da
Marie Louise Jeanneret, nipote del
celeberrimo architetto Le Corbusier.
Uno spazio dedicato alle avanguardie
artistiche sperimentali che, sul finire
degli anni Sessanta e nei primi Settanta, consentiva di respirare autenticamente lo spirito internazionale,
con ospiti come Andy Wahrol, Vito
Acconci, Mario e Marisa Merz, Den-
21 Anthia
La Casa Studio Museo dello scultore Luigi Venzano a Genova Sestri Ponente
nis Oppenheim e Georges Mathieu
intenti a produrre arte, ma anche a
dialogare e a trasmettere conoscenze.
Anche il tema delle arti sacre vanta,
nel savonese, eccellenze e piccole scoperte come il bel museo della Cattedrale di Noli e quello del Santuario
di Nostra Signora della Misericordia,
che testimonia la devozione popolare
e il rito liturgico del passato grazie a
un percorso riallestito nel 2009.
Un’autentica vocazione della provincia è legata alle arti decorative in rapporto al ruolo di Albissola nella produzione ceramica del XX secolo. Il
museo della ceramica Manlio Trucco, la fabbrica casa museo Giuseppe
Mazzotti, il centro studi Asger Jorn
purtroppo oggi chiuso al pubblico,
sono insieme al giardino della fabbrica di ceramiche Ernan, luoghi dove
la memoria di una tecnica produttiva
si confronta con il ruolo artistico che
la ceramica ha rivestito nella società
del secolo scorso. Un ideale percorso attraversa quattro musei estremamente differenti per tipologia e con-
cezione, ed è testimonianza di una
vocazione forte, che ha avuto un’importanza senza eguali nella cultura
e nell’economia albisolese. Vi è poi
il Museo dell’arte vetraria Altarese,
ospitato nell’edificio liberty di Villa
Rosa, edificato all’inizio del XX secolo sul sedime di un’antica vetreria. Si
tratta di uno spazio dedicato allo studio del vetro e dell’arte vetraria che,
mettendo in scena il ruolo del vetro
tra la metà del 1800 e il 1978, offre
il pretesto per raccontare un sistema
produttivo e una cultura materiale
importante da conoscere.
La vocazione per l’archeologia accomuna tutta la regione, con un
numero di musei e siti distribuiti
nelle quattro province, che rappresenta circa l’11% sul totale di musei.
La Liguria è una terra antica, dove
le città si costruiscono da sempre
sopra sé stesse e dove ogni cantiere
può trasformarsi in un inedito scavo
archeologico: l’episodio più importante si verifica a Chiavari. Nel 1959
uno scavo edile porta alla luce acci-
dentalmente una necropoli cineraria risalente all’età del ferro: spesso è
proprio un evento fortuito a dare origine a un nuovo museo. Così accade
a Vado Ligure per il piccolo museo
Don Cesare Queirolo, oggi chiuso
al pubblico, che racconta la storia
più arcaica di Vada Sabatia. E così
avviene nel ben più vasto museo del
Priamar, dove le campagne di scavi
degli anni Cinquanta nel nucleo antico di Savona sono divenute parte
integrante del più vasto patrimonio
allestito nelle sale del Civico Museo
Storico Archeologico. Anche le antiche memorie di Albenga, l’antica
Albingaunum, sono oggi conservate
nei locali del Palazzo Vecchio e nel
Battistero del duomo, così come i ritrovamenti archeologici del Parco del
Beigua hanno sede all’interno della
mostra permanente di Alpicella, vicino Varazze.
Eppure la Liguria è stata teatro,
specie nel passato, di campagne di
scavo di notevole importanza, a partire dalle spedizioni ottocentesche
22 Anthia
per giungere alla figura autorevole
dell’archeologo Nino Lamboglia. Vi
sono due musei che vale la pena visitare in un ideale itinerario dedicato
all’archeologia savonese. Si tratta del
museo Navale Romano di Albenga, e
del Museo Archeologico del Finale.
Il primo è un luogo dedicato all’archeologia marittima e ai ritrovamenti subacquei nell’albenganese e nel
dianese. I resti di una nave oneraria
risalente al I secolo a.C. affondata nei
pressi dell’isola Gallinara diventano
occasione di scoprire l’importanza
degli antichi scambi commerciali ma
anche opportunità di conoscere lo
speciale legame che avvicina la Liguria al suo mare. Il Museo del Finale,
che ha sede nel complesso di Santa
Caterina a Finalborgo, è invece una
piccola perla della museografia ligure. Esso conserva reperti rinvenuti in
oltre un secolo di campagne di scavo,
a partire dai resti preistorici delle numerose grotte del savonese e dell’imperiese, fino a comprendere collezioni d’età romana e medievale. La
grande qualità del museo di Finale è
proprio la sua capacità di rinnovarsi e
valorizzare attraverso mostre, eventi,
attività rivolte alle scuole, l’archeologia come disciplina che può coinvolgere e appassionare un pubblico
molto eterogeneo.
Uno speciale spaccato di storia moderna può essere visitato nel piccolo museo Napoleonico. Il borgo di
Millesimo, nell’entroterra savonese, è
stato teatro di una celebre vittoria di
Napoleone Bonaparte. Il museo, che
viene visitato annualmente da turisti
francesi appassionati di storia prima
ancora che dai savonesi, offre una testimonianza autorevole delle battaglie
napoleoniche di Cairo Montenotte,
Dego, Cosseria, attraverso documenti
e oggetti, ma soprattutto con le pregevoli rappresentazioni del pittore topografo Giuseppe Pietro Bagetti.
Esporre gli oggetti come testimonianze di una cultura popolare condivisa
e oggi perduta, ha un valore speciale
nella memoria collettiva: quello di restituire ad alcuni manufatti, ma anche
a documenti e ricordi individuali un
nuovo significato comune. Perdute
per sempre le connessioni funzionali
con la società d’oggi, i resti della cultura materiale di un tempo possono diventare simboli di un’identità da non
disperdere. I primi musei che nascono
in Liguria con questa finalità, riguardano la cultura contadina. Il rapporto
con la coltivazione è sempre stato sinonimo di lotta con il pendio, con gli
agenti atmosferici, con la terra stessa.
La variazione culturale che a metà del
XX secolo ha permesso all’agricoltura
italiana di adottare nuove tecniche, ha
decretato in Liguria, orograficamente
svantaggiata all’impiego dei macchinari moderni, la fine dell’agricoltura
come risorsa economica e l’abbandono generale delle terre alte d’Appennino.
Il primo esempio di museo della cultura contadina nasce a Monteghirfo,
nella val Fontanabuona nel 1975. È
l’artista Claudio Costa che, insieme
al pittore Aurelio Carminati decide
di costruire, su modello di quanto già
stava avvenendo in Francia, un’installazione di oggetti, arredi e strumenti
all’interno di una casa contadina,
come opportunità narrativa utile alla
memoria collettiva.
I cosiddetti musei della società rappresentano quasi il 30% dell’intero patrimonio della Liguria. Un dato importante se si considera che quasi tutti i
musei di nuova inaugurazione hanno
per tema le culture popolari, da quella
contadina, a quella produttiva alla gastronomica all’antropologia.
Il museo della 500 Dante Giacosa
è quasi un luogo di culto con cui il
paese di Garlenda celebra il progettista della più nota utilitaria italiana. Si
tratta di uno spazio multimediale in
cui all’esposizione di oggetti si alternano postazioni per visionare filmati e
documenti d’archivio, ma anche due
simulatori che permettono a tutti di
sperimentare la guida del mitico au-
toveicolo.
La cultura dei mestieri tradizionali
è rappresentata a Savona dal museo
dell’olivo di Arnasco, dal museo etnografico della Val Varatella di Toriano,
che racconta i mestieri tradizionali tra
cui anche la produzione dell’olio, dal
Museo di Rialto incentrato sulla civiltà contadina, e dalla mostra permanente sulla civiltà dell’olivo dell’oleificio Sommariva, che racconta come
la produzione dell’olio sia un fatto
culturale prima ancora che un dato
economico.
Una produzione eccezionale da valorizzare riguarda gli orologi da Torre
della storica ditta Bergallo. Oggi nel
piccolo centro di Tovo San Giacomo, di quell’attività produttiva che
tra il 1860 e il 1980 ha costruito una
ricchezza e un’autentica tradizione si
trova il piccolo ma importante museo
dell’orologio da Torre, un luogo da
scoprire.
Mentre si osserva come i musei delle
arti, delle scienze, degli uomini e dei
territori siano già oggi accomunati
da una convergenza di destini, non si
può che considerare, a partire da questo viaggio nella Liguria dei musei,
quanto il ruolo dell’esporre sia oggi
cambiato.
Persa per sempre la monoliticità ottocentesca di un luogo che custodisce e trasmette attraverso gli oggetti l’eterogeneità di infiniti saperi, il
museo diviene sede di nuovi contenuti semantici. La lettura della realtà
ci dimostra che oltre alle arti e alle
scienze possono essere messe in scena pure le narrazioni di eterogenee
storie. Storie di uomini e di territori,
di produzioni e di imprese, di tradizioni colte, ma anche di tradizioni
popolari e di riti collettivi che sembrano ricalcare con la loro varietà,
la complessità della società contemporanea. Quasi che ogni soggetto
esposto possa rappresentare, prima
ancora che un oggetto d’arte o di artigianato, un frammento irripetibile
della propria cultura..
23 Anthia
Beni culturali
La diagnostica scientifica
nella conservazione dei beni culturali
di Angelita Mairani
O
rmai sempre più frequentemente il restauro
di un’opera d’arte prevede il conseguimento di una approfondita e precisa conoscenza sia dei materiali costitutivi che dei fenomeni e
dei sottoprodotti di alterazione e degrado, nonché
dei residui di precedenti interventi succedutisi nei
secoli. Inoltre, esistono materiali (quali pigmenti,
consolidanti, adesivi, protettivi) il cui impiego è
circoscrivibile ad un ben determinato periodo: tali
materiali possono quindi agire quali “indicatori
cronologici” e la loro identificazione permette spesso di circoscrivere la datazione dell’opera, ponendo
delle date “ante-quem” o “post-quem” circa la sua
composizione.
A tale scopo, le indagini scientifiche rappresentano una fonte di informazioni importanti: la corretta impostazione di una campagna diagnostica può
dunque essere un passaggio utile, e spesso fondamentale, all’interno del progetto di restauro.
L’individuazione delle finalità analitiche, la tipologia di indagini strumentali necessarie, la scelta dei
punti e delle modalità di campionamento sono alcune delle fasi della campagna diagnostica e devono
essere accuratamente pianificate in pieno accordo
tra le diverse figure professionali coinvolte.
Purtroppo, spesso le indagini diagnostiche vengono
commissionate quando le operazioni dell’intervento conservativo sono già in corso, come tentativo
ultimo di risposta a problematiche contingenti altrimenti non risolvibili. In realtà il progetto diagnostico dovrebbe andare di pari passo con il progetto
di restauro vero e proprio, e prevedere campagne
conoscitive a monte, controlli in corso d’opera e verifiche finali. La messa a punto della più corretta
metodologia diagnostica, in grado di ottimizzare la
quantità e la qualità delle informazioni ricavate nel
rispetto del criterio di minima invasività, di solito
nasce dalla collaborazione quanto più stretta possibile tra le diverse figure professionali coinvolte:
storici dell’arte, architetti, archeologi, restauratori
ed esperti scientifici devono pertanto dialogare con
linguaggi comuni. Per questo motivo la formazione
delle professionalità è importante: non è sufficiente
il titolo di studio, ma è necessaria una esperienza
approfondita nel settore per acquisire quella sensibilità che permette di comprendere le diverse e
complesse esigenze di un settore così particolare
come quello del restauro dei manufatti di interesse
artistico.
In termini generali, qualunque tecnica di tipo diagnostica si basa sull’interazione tra radiazione e materia: un’onda elettromagnetica che investe un corpo è in grado di sollecitare quest’ultimo in modo
diverso a seconda delle caratteristiche fisiche della
radiazione incidente e delle proprietà chimico fisiche del materiale indagato (fig.1). In considerazione
delle informazioni che si desiderano, si dovranno
scegliere tipi differenti di radiazioni (luce visibile,
ultravioletta, infrarossa, RX, fasci elettronici ecc.),
canalizzate sulla superficie del materiale da investigare in modo diverso a seconda della specifica apparecchiatura. Una volta effettuata la scelta della
tecnica strumentale da applicare, la risposta diagnostica dipenderà dalla natura e dalle caratteristiche
dell’oggetto sottoposto ad analisi.
Le indagini scientifiche possono essere suddivise in
due categorie: tecniche non invasive, ovvero misurazioni per lo più di tipo ottico e fisico per le quali non è necessario il campionamento di materiale
dall’opera; tecniche micro-distruttive, ovvero analisi
chimiche, mineralogiche, biologiche ecc. che prevedono l’asportazione di uno o più campioni.
E’ evidente che, laddove non strettamente necessario, si debba evitare di prelevare parti, per quanto
24 Anthia
piccole, di opere d’arte. Ma è altresì vero che la quantità di informazioni che si possono ottenere
da una analisi micro-distruttiva è
estremamente ampia e sicuramente più esaustiva per la conoscenza
dei materiali, della tecnica pittorica e dello stato di conservazione
dell’opera stessa. Al fine di ridurre al minimo il numero di campionamenti, è buona norma prevedere l’impiego di tecniche non
invasive all’inizio della campagna
diagnostica (spesso le informazioni ricavate sono già sufficienti
per una approfondita conoscenza
del manufatto), e solo successivamente passare eventualmente alla
fase di campionamento.
Esistono anche analisi chimiche
che possono essere considerate a
tutti gli effetti tecniche non invasive, per quanto i risultati che
forniscono siano in molti casi
dati non specifici, ovvero non
perfettamente localizzabili all’intero spessore della porzione di
materia indagata. Tali tecniche
mancano cioè del senso della profondità, per cui sono in grado di
caratterizzare la presenza di un
determinato materiale ma non di
identificarlo nella complessa stratigrafia che un’opera, ad esempio
policroma, presenta solitamente:
preparazione, imprimitura, varie
stesure pittoriche, velature, ridipinture, verniciature, patine o
patinature. Inoltre, tali tecniche
registrano un valore mediato sulla profondità del materiale attraversato, che rischia di essere poco
significativo da un punto di vista
anche quantitativo, soprattutto
in particolari casi o in presenza
di determinate specie chimiche,
come ad esempio nel caso della
presenza di specie saline all’interno di materiali lapidei naturali o
artificiali. Nonostante tali limiti,
queste tecniche risultano spesso
utilissime per risolvere un’ampia
serie di interrogativi e permettono di limitare il campionamento
solo ai punti non risolti.
Per quanto riguarda invece le indagini micro-distruttive, come
accennato precedentemente le
modalità ed i quantitativi di materiale da prelevare sono parametri da scegliere a seconda delle
esigenze specifiche e del tipo di
informazioni richieste, ma anche
della strumentazione analitica
che si intende utilizzare o della
sequenza di analisi a cui il campione deve essere sottoposto. La
scelta dell’appropriata metodologia di campionamento è di solito
fondamentale per la buona riuscita dell’intera campagna diagnostica (fig. 2).
Più specificamente, se è necessario analizzare solo la parte superficiale del manufatto (depositi
atmosferici, patine o patinature,
trattamenti protettivi, vernici) il
campione deve essere prelevato
sottoforma di polvere, ponendo particolare attenzione affinché non venga “inquinato” dagli
strati sottostanti. Se invece la
campagna diagnostica prevede
la caratterizzazione massiva dei
materiali costitutivi, il campione
dovrà essere prelevato in forma
di frammento; se poi è necessario identificare la natura di più
strati, il frammento dovrà essere
inglobato in opportuna resina e
tagliato perpendicolarmente così
da ottenere una sezione lucida in
25 Anthia
cui sia ben evidente la successione
stratigrafica. Tale allestimento ha
senso se la metodologia analitica
a cui il campione viene sottoposto è associabile a tecniche di microscopia che consentano di controllare che l’acquisizione dei dati
venga fatta distintamente strato
per strato. In caso contrario, si
deve procedere con un prelievo
selettivo e multigraduale, che raccolga e poi analizzi separatamente
strato per strato.
Un caso particolarmente interessante di approfondimento diagnostico, che ha visto la stretta
collaborazione tra vari istituti di
ricerca, è stato quello del Polittico della Cervara di Gerard David
(1506).
La mostra che si è tenuta nel
2005 ha visto per la prima volta
riunite le tavole appartenute al
grandioso complesso della Cervara: la Madonna col Bambino, il
San Gerolamo, il San Benedetto, e
la Crocifissione, conservate presso il Museo di Palazzo Bianco di
Genova, l’Angelo annunciante e la
Madonna annunciata del Metropolitan Museum of Art di New
York, e la lunetta con Dio Padre
benedicente fra due cherubini proveniente dal Musée du Louvre di
Parigi.
L’evento ha offerto l’occasione di
nuove riflessioni sulle vicende legate alla commissione del polittico, sul significato che esso assunse all’interno della produzione di
Gerard David, e sulla tavolozza
e la tecnica dell’autore, che sono
state indagate grazie all’attenta
pianificazione di una campagna
diagnostica.
Una prima campagna di indagini
non invasive, ha consentito di raccogliere informazioni fondamentali per una migliore conoscenza
del manufatto. La tecnica della
riflettografia infrarossa ha permesso di mettere in luce il disegno preparatorio e di considerare
il lavoro del pittore fiammingo a
confronto con quello di altri maestri precedenti o coevi, tracciando importanti parallelismi per la
comprensione del modus operandi
degli artisti di quell’ambito. La
radiografia ha parallelamente permesso di verificare la presenza di
più strati preparatori al di sotto
della pellicola pittorica superficiale e di evidenziare un sapiente
impiego dei materiali pittorici: in
particolare, l’identificazione della
biacca – fortemente radiopaca – è
associata alle campiture più luminose mentre, conformemente alla
tecnica fiamminga, gli incarnati
vengono ottenuti facendo trasparire il biancore della sottostante
preparazione a base di carbonato
di calcio (fig. 3).
I pannelli sono stati analizzati anche per mezzo della dendrocronologia, confermando il 1502 come
data post quem per la realizzazione
dell’opera.
Dopo l’indagine radiografica e
riflettografica, si è proceduto con
l’analisi della superficie per mezzo della fluorescenza X (XRF),
che ha fornito spettri elementari
attraverso i quali identificare la
natura chimica dei pigmenti impiegati. Poiché tale tecnica manca
del senso di profondità, per stabilire la collocazione stratigrafica
dei materiali si è proceduto ad
ispezionare i pannelli attraverso
un’ampia campagna di microfotografie, che hanno evidenziato e
spesso chiarito la complessa composizione degli impasti cromatici.
Questa prima parte di indagini,
26 Anthia
condotta con metodi non invasivi, ha portato a limitare i dubbi
residui a cui cercare risposta attraverso l’analisi stratigrafica di
campioni selettivamente prelevati. I frammenti sono a tal scopo
stati inglobati per ottenere una
sezione lucida, osservati e fotografati al microscopio ottico, e
quindi analizzati al microscopio
elettronico a scansione (SEM) associato a microsonda EDS per la
caratterizzazione elementare dei
materiali presenti. Tale indagine
ha fornito risposte interessanti
non solo per l’identificazione della tavolozza, ma soprattutto per
comprendere alcuni aspetti peculiari della tecnica pittorica.
I risultati delle analisi hanno
permesso di rilevare una tecnica
omogenea in tutti i pannelli indagati; l’uniformità riscontrata
nei modi di costruzione della pellicola pittorica sembra escludere
la possibilità che Gerard David
abbia delegato parte del lavoro
agli aiuti di bottega, se non negli
scomparti laterali, la cui stesura più sommaria può far pensare
all’intervento di un collaboratore.
La tecnica osservata, pur coerente
con la coeva pittura fiamminga,
presenta alcune particolarità che
testimoniano la complessità e
l’accuratezza con cui il polittico
fu concepito e realizzato.
Il dato più interessante riguarda l’uso di una vernice pigmentata con terre brune, impiegata
dall’artista per abbassare i toni
cromatici (per esempio nelle ombre degli incarnati e dei panneggi
o negli effetti crepuscolari degli
sfondi, in particolare quello della
Crocifissione) (fig. 4).
Un altro aspetto che merita di
essere segnalato è la particolarità della preparazione pittorica: i
campioni analizzati con il SEMEDS comprendevano gli strati
preparatori nella loro completezza, a partire dalla base di carbonato di calcio tipica delle prepa-
razioni di area fiamminga. Il dato
sorprendente riguarda lo strato
di imprimitura sovrastante che,
oltre a contenere come di consueto molto materiale organico e
biacca, ha mostrato, nei prelievi
provenienti da campiture verdi,
la presenza di una certa quantità
di solfato di calcio, ossia di quel
gesso che caratterizza in modo
inequivocabile le preparazioni di
ambito italiano.
Questo aspetto, che deve essere
tuttavia ulteriormente indagato
nel tentativo di riuscire a trovare
maggiori riscontri anche in altre
opere, rappresenterebbe la prova
di una sorta di “contaminazione”
tecnica, stimolata da una personale esperienza dell’autore con
la pittura italiana. Solo ulteriori
ricerche potranno confermare se
davvero Gerard David ebbe modo
di entrare in contatto con autori
italiani, scambiando e sperimentando con essi materiali e metodi
operativi.
Bibliografia:
M. Matteini, A. Moles, Scienza e Restauro. Metodi di indagine, Nardini Editore, Firenze, 1990
A. Aldrovandi, M. Picollo, Metodi di documentazione e indagini non invasive sui dipinti, Il Prato Editore, Collana I Talenti, Padova, 2007
S. Volpin, L. Appolonia, Le analisi di laboratorio applicate ai beni artistici policromi, Il Prato Editore, Collana I Talenti, Padova, 1999
G. Luciano, A. Mairani, E. Pedemonte, E. Princi, S. Vicini, Analisi chimiche su campioni prelevati dal Polittico della Cervara, Palazzo Bianco, Genova in Il Polittico della Cervara di Gerard David, AA.VV., a cura di Clario di Fabio, Silvana Editoriale, Milano, 2005
27 Anthia
Arte
Omaggio al Bambino Gesù
Tra Loano e Biella
di Claudia Ghiraldello
S
ul finire del Cinquecento parecchi artisti
toscani raggiunsero Genova. Da Lucca,
tra gli altri, venne Benedetto Brandimarte. Genova, come ricorda il Torriti, in quel tempo
non aveva una batteria di artisti locali, dunque si
adattò ad accettare “il raffinato, talvolta bizzarro
ed irrequieto manierismo di questi toscani che pur
tenendo salda l’impostazione data loro dalla prima maniera, si abbandona(va)no a delicati trapassi
pittorici e chiaroscurali, ad esperienze di un cangiante cromatismo dal quale oltre che il romano
non era certo estraneo l’insegnamento veneto”.
Di Benedetto non si conosce la data di nascita né
quella di morte. Secondo il Martini fu allievo di
Agostino Garlanda da Fivizzano. Giunse a Genova
al servizio di Gio. Andrea Doria grazie al suggerimento del segretario del principe lucchese Pompeo Arnolfini. Nel 1581, il 12 ottobre, il nostro
pittore sottoscrisse a Lucca l’atto con cui accettava
di mettersi a stipendio del Doria per 120 scudi
all’anno. Riceveva contemporaneamente 6 scudi
per il viaggio, fatto questo che fa presumere che
si sarebbe trasferito a Genova di lì a poco. Come
indicato dalla Terminiello Rotondi, l’artista venne
ingaggiato dal Doria in una missione in Spagna al
servizio di Juan de Idiàquez, ambasciatore spagnolo a Genova e consigliere di Filippo II; nel 1585 e
nell’anno seguente egli si trovava per l’appunto in
Spagna.
Di tale pittore sono rimaste poche opere. Tra quelle lucchesi conservate si hanno un Martirio di
Sant’Andrea nella chiesa parrocchiale di Sant’Andrea di Compito e la Lapidazione di Santo Stefano
già nella chiesina della villa Altogradi, oggi Luiso,
a Colognora di Compito.
In terra ligure risulta perduta la pala dell’Annun-
ciazione datata al 1592 in San Benedetto a Genova, mentre per tale realtà religiosa rimangono le
quattro tele per gli sportelli dell’organo, databili
al 1590. Il nostro artista per il committente Saluzzo dipinse, inoltre, la Decollazione del Battista
collocata nella chiesa di San Pietro in Banchi.
Rimangono, altresì, due affascinanti tele conservate nella chiesa di Sant’Agostino a Loano. Firmate,
28 Anthia
sono datate al 1590 e raffigurano
una Natività (che si può ammirare nella figura numero 1 della pagina precedente) e un’Assunzione
della Vergine. Legate alla committenza del Doria, sono una
vera chicca pittorica. La Natività, in particolare, colpisce per il
nitore esecutivo e per l’emozione
incantata, potrebbe dirsi fiabesca, che trasmette. In tale opera
l’artista, dichiaratamente manierista, si rivela quanto mai raffinato nella creazione di figure
tornite uscenti con agilità dalle
ombre degli sfondi.
Diversi i vezzi manifestati, quasi
tic nervosi, tipici del suo pennello, come quello di sfrangiare
i bordi dei manti (qui avviene in
uno dei pastori). Caustica altresì la commistione dell’aria calda
senese nei bagliori rossastri dello
sfondo con quella algida di un
paesaggio nordico sulla sinistra.
Senese-fiorentina la scelta di inventare un bovaro accanto al bue
e all’asino, sulla destra, mentre
va puntualmente notato che il
pastore in secondo piano sfoggia una sciarpa che ricorda quelle liguri del tempo. La Natività
loanese è stata accostata dalla
Terminiello Rotondi ad opere di
Andrea del Sarto e del Pontormo, con derivazioni parmigianinesche.
La scena di Natività ligure-toscana testé ammirata mi porta
ad un confronto, per delicatezza
di mano e di colore, con la scena
di Natività che si trova dipinta a
fresco nella chiesa della Santissima Trinità a Biella. In tale realtà
religiosa, Vincenzo Costantino
firma e data al 1640 gli affreschi
che, sulle pareti del presbiterio,
sono prospicienti la navata. Vanno, invece, attribuiti ad Anselmo
Allasina, ed in parte al figlio Giovanni Francesco, gli altri quattro
affreschi collocati dietro l’altare,
riferibili agli anni 1640-1641,
due dei quali consistono in una
Natività (che riportiamo nell’immagine in alto di questa pagina)
e una Adorazione dei Magi (nella
figura numero 3, in questa pagina
in basso).
L’Allasina era membro della confraternita di San Cassiano in
Riva di Biella, mentre il Costantino lo era di quella della Santissima Trinità. Il fatto che il primo sia stato preferito al secondo
per il maggior numero di lavori
alla Trinità porta a dedurre che
l’Allasina, ispiratosi alle opere
di Gaudenzio Ferrari e dei suoi
seguaci, sia stato evidentemente
superiore al Costantino. Nella nostra Natività biellese, sulla
destra, in un piccolo canto, si
vede la figura di un confratello
della Santissima Trinità, probabile immagine del committente.
I due Genitori sono compresi
nell’adorazione del Bambino e
29 Anthia
sono accompagnati, oltre che da
un pastore, da due angeli musicanti. Sulla destra della scena si
ha lo stilema del bovaro ritratto
accanto alle bestie della stalla già
evidenziato nel quadro ligure.
Anselmo Allasina, come il Brandimarte, non era originario del
posto in cui si produsse artisticamente. Era di origine valse-
siana e si era trasferito a Biella
a seguito del matrimonio con la
biellese Anna Barberi, dalla quale avrebbe avuto numerosa prole.
Due figli, il già qui menzionato
Giovanni Francesco e Paolo, ne
proseguirono l’attività lavorando
anche come scultori ed indoratori. Anselmo, che come il figlio
Giovanni Francesco fu anche
architetto, lasciò grande abbondanza di lavori nel Biellese. Di
lui, tra l’altro, si possono ricordare le tele con la Santissima Trinità eseguite per la parrocchiale
di Cossila San Grato e per l’omonima confraternita di Biella, la
tela con la Madonna del Rosario
per la parrocchiale di Ronco e
quella con Madonna, Bambino,
i Santi Nicola da Tolentino e
Giacomo Apostolo e due confratelli per la confraternita di San
Nicola a Salussola. L’Allasina lavorò anche per la chiesa di Santa Lucia a Vigliano Biellese con
un ciclo di affreschi tra i quali
una Natività (nell’illustrazione numero 4), posta in facciata,
che anticipa quella alla Santissima Trinità di Biella. A Vigliano
Maria e Giuseppe, compresi dal
mistero dell’evento, pregano sul
figlioletto mentre angeli paiono
commentare l’evento.
Un dettaglio: il San Giuseppe tiene le braccia incrociate al
petto in segno di compunzione
secondo un gesto che a Loano
è mostrato dal pastore inginocchiato parimenti alla sinistra
della scena. Va, infine, notato
che mentre a Loano il Bambino
compare su un giaciglio su cui è
stato posato un lenzuolino, a Vigliano il Bimbo posa sulla conca
formata a terra dal manto della
Madre, secondo una cifra figurativa che ebbe notevolissima fortuna nell’iconografia del tempo e
che deriva dalle visioni di Santa
Brigida di Svezia.
Bibliografia:
PP. Agostiniani di Loano, Guida storico-artistica della Chiesa di N. S. della Misericordia-Sant’Agostino di Loano, Ed. PP. Agostiniani Loano 1988.
P. Torriti, Apporti toscani e lombardi, in AA. VV. La pittura a Genova e in Liguria dal Seicento al primo Novecento, Ed. Sagep, Genova ried. 1988.
C. Ghiraldello, Natività nell’Arte, Edizioni Hever, Ivrea 2003.
A. Bocco, Brandimarte, Benedetto, in Dizionario Enciclopedico Bolaffi dei pittori e degli incisori italiani, vol. II, Ed. Giulio Bolaffi, Torino 1972
I. Belli Barsali, Brandimarti, Benedetto, in Dizionario biografico degli italiani, vol. XIV, Edizioni Treccani, Roma 1972
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Storia
I saraceni in Liguria
spetto a quella economica: molti comandanti e bey erano
mussulmani per convenienza: le conversioni di comodo
a ragione di questo intervento sta nella constata- erano frequenti, la pirateria era un vero e proprio mezione che, ancora oggi, molti fanno confusione stiere, i rinnegati siciliani, calabresi e liguri facevano da
tra Saraceni e Barbareschi, identificandoli. Proba- padroni raggiungendo spesso i vertici del potere. La loro
bilmente questo errore nasce dalla considerazione che i azione si espletava in assalti in mare aperto e in rapidi sacmetodi usati dagli uni e dagli altri coincidono: saccheg- cheggi costieri. Non lasciarono nessuna eredità culturale
gi, devastazioni, deportazioni di prigionieri ecc. Però le tranne influssi linguistici.
differenze epocali e le motivazioni politiche, distinguono nettamente gli interventi dei due gruppi. Inoltre, in I Saraceni
tempi recenti, la storiografia sui Barbareschi ha prodotto Il termine “Mori” viene attribuito a popolazioni islamiche
studi importanti, mentre, per quanto riguarda i Sarace- che dall’Africa sbarcarono in Spagna e deriva da “Maurus”
ni, soprattutto nella nostra regione, sono scarsi; infatti si (abitante della Mauritania); il termine si identifica con
fa riferimento ancora al volume del Luppi “I Saraceni in “Saraceni”, denominazione che ha varie etimologie, la
Liguria” edito dall’Istituto Internazionale di Studi Liguri meno probabile delle quali è quella riferita a Sara, moglie
una cinquantina di anni fa.
di Abramo; più convincente è l’opinione di coloro che
I Saraceni operarono nel Tirreno e nel Mar Ligure tra fanno derivare il termine da “Scarkin” (sorgere del sole);
l’VIII e il X secolo. Chiamati anche “Mori” provenivano “Saraceno” significherebbe perciò “Orientali”.
dalla Spagna, erano animati da un fervore religioso isla- Con la morte di Maometto (632) subentrarono nella guimico molto forte, non si limitavano ai saccheggi costieri, da dei popoli arabi i Califfi (successori). Il primo califfato
ma penetravano nell’entroterra (tracce della loro presenza fu quello “Rashidun” di Medina: ebbe vita breve, e si consi trovano in Piemonte a Oulx, alla Novalesa e nelle pro- cluse nel 661 a causa di disordini e di una guerra civile.
vince di Cuneo e di Alessandria), guidati da una volon- Presero campo i Califfi della dinastia “Omayyade” di Datà stanziale, di occupazione stabile del territorio. Erano masco, che deposero il loro potere quando vennero sconsudditi dei califfati occidentali della dinastia Abasside di fitti nella battaglia di Zab (750). Questo episodio avviò
Baghdad che presenta nella sua attività politica elementi l’ascesa del califfato Abbaside di Baghdad, che peraltro,
contraddittori: da una parte un massimalismo rigido sul a partire dal ‘700, esercitava un potere locale. Questo gopiano dell’espansione militare; dall’altra un illuminismo vernò a lungo l’Islam fino al 1258, quando la capitale iramolto aperto che la portava ad assorbire molti elementi chena venne conquistata dall’esercito mongolo di Hulago
culturali delle aree occupate. Grazie a questo sincretismo, Khan. Fu sotto la spinta dei califfi abbasidi che si sviluppò
attraverso Arabi e Saraceni, è giunto in Occidente molto l’espansione nei territorio del Nord Africa (711), che eradella cultura greca ed anche contributi in campo medico, no, formalmente, dipendenze dell’Impero Bizantino, già
linguistico, matematico ed artistico.
invasi dai Vandali e frazionati in comunità autonome.
I Barbareschi o Turchi hanno operato fra il XVI e il XVII La conquista abbaside, con la contemporanea diffusione
secolo: provenivano dall’Africa settentrionale ed erano della religione mussulmana, fu facile. Il periodo dei Califfi
sudditi dell’Impero Ottomano, legati alla Sacra Porta di di Baghdad è ricordato come età dell’oro del mondo islaCostantinopoli, pur con una certa autonomia politica e mico. I primi credenti (Al Salaf) ebbero la forza di costigestionale. La matrice religiosa era molto attenuata ri- tuire un’unità, un legame delle tribù beduine, nell’obbedi Francesco Gallea
L
31 Anthia
dienza al Corano: vennero rovesciati
gli antichi privilegi con nuovi vincoli di equità. Il nuovo popolo arabo,
monoteista, sottomise nazioni di tradizione millenaria e seppe fare delle
proprie carenze una risorsa.
I Califfi abbasidi ritennero utile imparare ed assimilare da tutti. Il patrimonio scientifico greco-ellenistico,
siriaco ed egiziano venne tradotto in
arabo; da ogni angolo del Mediterraneo vennero cooptati a Baghdad
esperti: i cristiani come traduttori e
letterati (Hunayn Ibn Ishar), i persiani come astrologi di corte (Nawbath),
gli egiziani come medici e matematici. Grazie all’Illuminismo di questi
Califfi arrivarono nell’Europa cristiana, tramite Averroè (1126-1198) i
testi aristotelici, la numerazione e le
tecniche scientifiche tramite Avicenna.
Questa cultura sincretica tuttavia,
come si è detto, si univa, in modo
piuttosto contraddittorio, con un
fondamentalismo religioso che spinse
le turbe islamiche a considerarsi detentrici assolute della verità, luogotenenti di Dio nel mondo e quindi
pronte ad usare ogni metodo, anche
eterodosso, per convertire al Corano
gli infedeli.
Nel 711 le forze arabe dei Mori sbarcarono in Spagna conquistandola in
una ventina di anni. Nel 732, superati i Pirenei, si spinsero in Francia ma
vennero sconfitte da Carlo Martello
nella battaglia di Poitiers; rientrarono in Spagna e, nel 756 fondarono
l’Emirato di Cordova, che si trasformò in Califfato, con assoluta autonomia, nel 929. Se l’espansione saracena
fu bloccata in Francia, le loro conquiste mediterranee continuarono:
fu saccheggiata la Sardegna: le ossa
di Sant’Agostino furono traslate dai
monaci nel Canton Ticino. Nell’831
fu conquistata Palermo. Secondo una
leggenda, gli arabi erano un popolo terranio. Però avevano imparato
l’arte della navigazione in Egitto e a
Cartagine, e questo facilitò il loro dilagare nel Mediterraneo occidentale.
Nell’846 sbarcarono ad Ostia ed arrivarono fino alle mura Aureliane. Tra
l’840 e l’880 si stabilirono in Puglia
e fondarono gli emirati di Taranto e
Bari (847-871).
I Saraceni in Liguria
Al tempo del tentativo fallito dei Saraceni di invadere la Francia, la Liguria era sotto il dominio Longobardo.
Nel 774 il re Desiderio fu vinto da
Carlo Magno, che assunse a Pavia il
titolo di “Rex Francorum et Longobardorum”. Per quattro anni Liguria
e Toscana costituirono il “Regnum
Longobardorum”. Ma nel 780 furono assorbite nel “Regnum Italicum”
e la Liguria fu chiamata “Litora Maris”. Per contrastare l’espansione e i
saccheggi dei Saraceni nel Mar Ligure e nel Tirreno fino a Roma, Carlo
Magno allestì due flotte: la “Classis
Aquitania” per la difesa delle coste
francesi e la “Classis Italica” per le
coste liguri e tirreniche. Quest’ultima
fu affidata ai genovesi, che per l’impegno vennero affrancati dai tributi.
La Liguria occidentale fu governata
da Enrico di Strasburgo mentre a Genova acquistò prestigio un “Comes”
(conte), Hudomarus, che guidò la
flotta per liberare la Corsica dai Saraceni, e morì in battaglia nell’806.
Nelle difficoltà in cui si trovarono i
successori di Carlo Magno, i liguri
furono abbandonati a se stessi, e i Saraceni intensificarono le loro scorrerie
sulle coste liguri, addentrandosi sino
alle Alpi Occidentali (842-849).
La situazione subì un grave peggioramento nell’889, anno in cui un gruppo di Saraceni si stabilì a Frassineto
(oggi La Garde Freinet in Provenza).
Da questa base partirono spedizioni
che provocarono saccheggi in Liguria
e Provenza. I Saraceni dilagarono sulle Alpi occidentali arrivando sino alla
Novalesa (abbazia) e ad Oulx. Provocarono danni a Villa Matutia (Sanremo) e a Villa Tabiensis (Taggia).
In occasione di queste vicende intervenne la flotta genovese: i Sanremesi
superstiti furono trasferiti a Genova
e, con loro, le venerate reliquie di San
Romolo.
Nel 924 si verificò un episodio singolare: un gruppo di cristiani Franchi
si unì ai Saraceni di Frassineto: for-
32 Anthia
tunatamente fu un caso unico e circoscritto nel tempo. Nel 931 avvenne
il primo attacco saraceno a Genova
per ordine del califfo Obeid: una
flotta di 30 navi e 100 galee, guidate
da Salian, partì dalla Sicilia. I Genovesi reagirono e respinsero l’assalto
affondando 17 navi saracene. Dopo
tre anni (maggio 934) per vendicare la sconfitta, il califfo Abu Al Qasim Muhammad ordinò un nuovo
attacco a Genova. Una flotta di 30
navi agli ordini di Yacub Ibn Ishar
si presentò sulle coste liguri. Furono
saccheggiati i sobborghi di Genova
e molte persone furono fatte prigioniere. Però Genova città, ben difesa
da una poderosa cinta muraria, fu
indenne.
Un nuovo assalto avvenne l’anno successivo (935). Questa volta la città fu
sottoposta a saccheggio e grande fu la
preda: furono uccisi molti cittadini,
molti furono fatti prigionieri e deportati. L’episodio è citato da Jacopo
da Varagine nella sua “Cronaca”: nel
ritorno, la flotta saracena si scontrò,
con successo, davanti alle coste sarde,
con le navi imperiali-bizantine che
presidiavano l’isola.
Gli anni tra il 920 e il 940 furono
quelli in cui maggiormente si sviluppò l’offensiva saracena. Nel 936
i saraceni di Frassineto sbracarono
nel finalese e dilagarono nell’interno, percorrendo la valle del Bormida
fino ad Acqui. La situazione diventava insostenibile per gli abitanti delle
contrade litoranee. Nel 942 Ugo di
Provenza, con l’aiuto degli imperiali,
vinse i saraceni nella Battaglia navale di Saint Tropez; occupò Frassineto e costrinse i saraceni alla fuga sui
monti (la moure). Il successo militare
tuttavia venne frustrato dai successivi accordi, che concessero ai saraceni
il ritorno alla loro base; inoltre venne loro affidato un territorio alpino
dalle Alpi Cozie alle Pennine, perché
fungessero da guardie di frontiera per
bloccare un eventuale attacco di Berengario, marchese di Ivrea, che stava
raccogliendo un esercito, con l’aiuto
di Ottone I, per costituire un regno
italico.
L’instabilità e le rivalità politiche dei
successori di Carlo Magno azzerarono il successo di Saint Tropez.
Contemporaneamente la Liguria
venne riorganizzata con gli eredi di
Berengario II in tre Marche: l’Arduinica (Ventimiglia, Cuneo e Saluzzo),
l’Aleramica (Albenga, Savona, Acqui,
Asti) e L’Obertenga (Genova) – Anno
950. Questa strutturazione costituì
una forma di efficace difesa che limitò molto le incursioni saracene, anche
se un brutto episodio si verificò nel
962, quando un figlio di Berengario,
in lite con i fratelli, si rifugiò a Frassineto affidandosi alla “Saracenorum
Fidei”. Fu un caso isolato e senza
conseguenze, anche se l’episodio prova la confusione e le contraddizioni
dell’epoca.
La base di Frassineto fu smantellata
definitivamente 10 anni dopo, nel
972, da Guglielmo di Arles che, con
l’aiuto di Aleramo, Arduino ed Oberto, sconfisse i saraceni e li costrinse a
ritirarsi in Spagna e in Sardegna.
La Liguria fu salva dalle minacce, ma
le incursioni continuarono sulle coste
tirreniche toscane e laziali per opera
dei Saraceni sardi. Tra essi si distinse in guerriero Al Muwafaqq (9601044), chiamato dai genovesi “Mugetto”. Costui, partito dalla Spagna,
aveva conquistato il Giudicato Sardo
di Torres (a nord-ovest) e Bonifacio
in Corsica. A lui e alle sue truppe
fu dovuto il saccheggio di Pisa del
1004, ma un intervento delle flotte
genovesi e pisane, nel 1016, sconfisse i saraceni e pose fine alle scorrerie
di Mugetto.
Le incursioni continuarono nel Lazio per opera dei Saraceni siciliani:
incominciate nell’846 durante il
papato di Sergio II (844-847), continuarono finché la flotta papalina
con l’aiuto di Gaeta e Amalfi non
pose fine alle scorrerie. La sconfitta
saracena fu totale con la conquista
normanna della Sicilia. (Vd. Gregorovius “Storia della città di Roma
nel Medioevo”).
L’eredità dei Saraceni
Oltre alle conoscenze scientifiche e
filosofiche, l’eredità positiva dei Saraceni si può riscontrare sul piano
linguistico, artistico ed anche nella
toponomastica. Ricordo che la Scuola Medica Salernitana (che può essere considerata la prima Università
Scientifica Italiana), utilizzò gli scritti
medici di Avicenna e annoverò tra i
suoi insegnanti un arabo, Costantino
Africano.
Sul piano linguistico, moltissimi
sono i vocaboli di origine araba nella lingua italiana: per citarne alcuni
“zucchero” deriva da “Sukkar”, “caffè” deriva da “Qahwa”, “algebra” da
“Al-Giabr”, “tariffa” da “Tarif”, ecc.
Sono alcuni casi. Rimando i lettori ai
testi di Lorenzo Lanteri, che forniscono un’ informazione completa. Tracce di rilievo si possono riconoscere
nella toponomastica non solo ligure,
ma anche piemontese: la baia di Varigotti, chiamata “dei Saraceni”; Frassino (frazione di Calizzano) potrebbe
derivare da “frassineto”. Come pure
l’altra frazione di Calizzano “Moretto” si richiamerebbe al termine
“moro”. Altrettanto significativi sono
i toponimi dell’area monferrina e del
territorio Acquese.
Però il patrimonio più cospicuo
dell’eredità saracena si ritrova sul piano artistico e architettonico (arte e
stile moresco). Particolarmente consistente nelle regioni in cui il loro dominio è stato più duraturo (Spagna
meridionale e Sicilia), ha espresso in
Liguria alcune strutture urbanistiche
(Verezzi e Varigotti) e, soprattutto, alcune torri a base quadrata-rettangolare che si differenziano nettamente dai
torrioni antibarbareschi costruiti nel
secolo XVI. Ne rimangono alcune
nel cuneese e nell’alessandrino e, nella tradizione popolare, sono chiamate
“Torri Saracene”.
33 Anthia
Poesia
Poemi dal Golfo degli Dei
L’universo in periferia (II)
di Francesco Macciò
P
oemi dal Golfo degli Dei/ Poems from the Gulf of
the Gods, edito nel 2003 e recentemente ristampato per Agora&Co, Lugano 2012, è una plaquette di versi di Angelo Tonelli, proposti, testo a fronte,
anche in lingua inglese nella convincente traduzione di
Luciano S. Gatta.
Il libro si offre in una successione di “movimenti”,
che in accezione musicale indicano le singole sezioni di un disegno unitario, e si fa specchio interiore
di un paesaggio vivificato da luminose presenze e
promosso, nel divenire luogo d’elezione del poetico, a titolo complessivo dell’opera. Ma la formulazione che acquisisce questi scenari liguri in prossimità della baia di Lerici a una sorta di personale
decantazione metafisica del poeta svia rispetto alle
viete, per quanto romanticamente ancora vitali,
indicazioni da turismo d’antan e rinomina il pur
suggestivo “Golfo dei Poeti”, centro simbolico della mediazione spirituale dello scrittore lericino, nel
tanto più emblematico ed evocativo “Golfo degli
Dei”. Siamo di fronte a un nuovo ordine cosmico
che si fa testimonianza di esperienze reali e visionarie: una sorta di viaggio dantesco nella luce cui
segue, anche in questo caso, la parola scritta, con
la sua dichiarata inadeguatezza nel cogliere in unità
con l’io poetico le forze misteriose della natura e
degli dèi. Tale disposizione contemplativa si annoda
in un intreccio anamorfico di luoghi del Levante,
già cantati da molti illustri visitatori anglofoni (da
Shelley a Lawrence, da Henry James a Virginia Woolf ), con le memorie personali di viaggi in luoghi
dell’Ellade consacrati agli dèi, la cui presenza, in
una sorta di percezione dell’oltre per via junghiana e
mistica, anche come liberazione dai limiti dell’umano, si rinnova tra i monti di San Lorenzo e l’isola
Palmaria, e più in generale in tutti gli spazi marini
e montani evocati che si protendono sul Golfo di
Lerici. Al centro di queste sicure coordinate orficocontemplative è un’opera che ci mostra il paesaggio
ligure con uno scarto e una novità rispetto alla rappresentazione che di esso ci hanno lasciato i grandi autori del nostro recente passato: da Sbarbaro a
Montale, da Caproni a Biamonti. Qui il paesaggio
non è intransitivo, non è quel geroglifico inaccessibile, nella sua crudezza e indecifrabilità, che è stato
per molti aspetti lo specchio della nostra prosciugata anima novecentesca. Caso mai il paesaggio –
cui guardiamo anche attraverso il filtro delle parole
che lo descrivono e nella complessa biunivocità del
suo contatto con l’autore, che lo arricchisce essendone a sua volta arricchito – risulta permeato di
sostanze orfiche, quelle che a Ponente ritroviamo,
ad esempio, in tante importanti poesie di Giuseppe Conte e a Levante in questi versi di luce e di
ombra che si affacciano sul mare di Lerici, come
annuncia il bellissimo movimento inaugurale con il
suo carattere di invocazione, di preghiera: “o angelo
del mare, trasparente/ signore degli abissi, tu che
vegli/ l’equilibrio delle acque, tu che intendi/ quale
forza segreta muova onde/ e maree [...]”. Come si
vede, i conti e i debiti con la parte migliore di quel
panismo vitalistico dannunziano, rimosso o sbrigativamente liquidato da tanta critica militante della
seconda metà del secolo scorso, in questo inizio di
millennio non sono ancora finiti!
Ma il titolo dell’opera di Tonelli, nella sua marcata
componente simbolica e nella sua precisa localizzazione topografica, annuncia esplicitamente anche la
forma poematica in cui si dispiega il suo canto (per
far ricorso a un termine privilegiato dallo stesso autore, che esordì, appunto, con la raccolta Canti del
Tempo). Di tale assetto, di tale misura, forse l’esito
più compiuto, almeno nell’accezione che comunemente si dà al termine “poema”, può ritrovarsi in
34 Anthia
della casa dove l’acqua ce la portavano a spalla
mezzadri e contadini, per versarla
nel grande serbatoio di marmo in
sottotetto, e gocciolando
scandiva le ore quiete dell’estate [...]
Tale forma, tale modalità compositiva che privilegia il poema,
con tutta la sua importance e la
sua compiutezza, lontana (neodannunzianamente?) da tanti
imperanti minimalismi di maniera, vale anche per i testi più brevi, anch’essi conchiusi, pur nella
disposizione di un movimento
circolare ininterrotto, nella loro
singolarità di “poemi”, o per richiamare un altro titolo tonelliano, di “frammenti” di uno stesso
poema. Ne può essere un esempio
il breve componimento che segue
dappresso l’incipitario o angelo del
mare..., componimento anch’esso
privo di titolo:
Dal folto. Collocato significativamente a metà libro, questo componimento fa riferimento a un
luogo situato nelle colline sopra
Lerici – ci spiegano le Note – un
luogo di potere magico, come
indicano le tradizioni popolari,
“al centro del quale si ergono le
rovine di una villa dei primi del
Novecento, adesso in abbandono”. Eccone, nel loro andamento
narrativo, alcuni versi:
che poi è tutto quanto uno sgomento
dall’albero mezzo tramortito
al sole che ristagna sui pavimenti
la sabbia dove corpo e mente posano
e l’onda la lambisce è cosa viva
che affonda dentro sé, io sono niente
e sono l’orizzonte, il mare, immobile
gabbiano sullo scoglio, sono l’isola
che l’onda già sommerse e adesso
vigila
sul giorno e sulla notte, inamovibile
madre di ogni guizzo, di ogni esile
risorgere di vita. È canto, musica
il fremito attutito, non visibile
che agita la pietra, la congiunge
al cuore di cristallo delle acque
che scorrono profonde, senza limite
Come si vede, la poesia – il poema, appunto – che come tutte le
altre del libro riporta in calce il
luogo e la data di composizione
(Fiascherino, ottobre 2000), presenta un paesaggio appena abbozzato, uno scenario di sabbia, di
isole e di scogli dell’estrema Liguria di Levante. Tale raffigurazione
si slarga immediatamente in una
tensione orfica verso un “io” totalizzante, che pervade, anche per
via di negazione (“io sono niente”), gli elementi terrestri e acquatici del paesaggio, ricondotti a
una dimensione sacrale e unitaria.
C’è pienezza, compenetrazione di
vita che fluisce in armonia, anima
mundi che congiunge prodigiosamente cose lontane. E si osservi
anche la metrica sorvegliatissima
e ad alta frequenza di endecasillabi sdruccioli, che sanno ricreare
nei loro prolungamenti atonali
un respiro più ampio, reso ancora
più efficace dalle inarcature (“immobile/ gabbiano”; “inamovibile/ madre”; “esile/ risorgere”) che
impongono al lettore significative
pause di meditazione.
Credo che la cultura italiana contemporanea nei suoi risvegli più
autentici debba molto ad Angelo
Tonelli, sia per la capacità straordinaria che egli ha di ricreare, in
uno spazio di misteriosa bellezza
com’è la piazzetta dell’oratorio di
Tellaro, un luogo consacrato, non
esposto cioè alla “volgarità delle
politiche culturali di mercato”,
che diventa ogni anno teatro di
un grande appuntamento con la
Poesia, sia soprattutto per la sua
attitudine a spingersi costantemente oltre ciò che è scontato ed
esangue.
Ma una cospicua parte del debito che la cultura ufficiale, ingessata nei suoi giochini truccati,
ha verso di lui resta insolvibile,
ed è data dal soporifero ritardo,
dalla inadeguatezza costituzionale a intraprendere la via tracciata dallo scrittore ligure – che è
anche performer, autore e regista
teatrale, oltreché uno tra i maggiori studiosi e traduttori italiani
di classici greci – di riallacciare la
poesia ai suoi archetipi sapienziali
e renderla così “cosa viva”, operante nella nostra società sempre
più distopica e disgregata.
35 Anthia
Editoria di Liguria / In libreria
San Fruttuoso
angolo di paradiso
L
a presidentessa onoraria del Fai, Giulia Maria
Mozzoni Crespi definisce San Fruttuoso un sogno
ed è impossibile contraddirla, vista la meraviglia del
luogo, che ha incantato e continua ad incantare generazioni su generazioni. L’autrice ha voluto ricordare, in questo
volume, la sua famiglia e il gruppo di amici, che in un
“mitico” campeggio del 1946 hanno dato inizio al loro innamoramento perpetuo al “Paradiso dietro l’angolo” cioè a
San Fruttuoso sul monte di Portofino, dove sorge la gotica
abbazia benedettina, “…incastonata in una piccola baia
color smeraldo, costruita proprio sulla spiaggia ed esposta
alle onde del mare da quasi ottocento anni…”.
Il libro narra l’avventura di questi 6 amici un po’ pazzi
a soli 15 chilometri da Genova, ma immersi in un autentico eden. Durante il campeggio i sei hanno tenuto
un diario, su cui non c’erano solo osservazioni, ma anche schizzi e disegni, spesso ironici, di quanto accadeva
al campo. Il librone di ricordi ha ora trovato una degna
pubblicazione (ricca di foto e di riproduzioni dei disegni,
che sono anche presentati in un dvd allegato al libro).
Uno dei sei era il futuro padre dell’autrice, che ha poi
continuato la tradizione di frequenza estiva del luogo,
che tra l’altro è stato anche meta del viaggio di nozze dei
suoi genitori. L’album è la riproposta del soggiorno dei
sei, abituati normalmente ad altre comodità, ed è la riprova dello spirito goliardico con cui avevano sperimentato l’isolamento del campeggio solitario e totalmente
privo di qualsiasi comfort.
Il racconto è suddiviso tra i vari partecipanti ed è centrale
la “parte” dell’autrice, che ha continuato la vita estiva a
San Fruttuoso nell’infanzia e nell’adolescenza con i suoi
genitori, che per un paio di mesi estivi, abbandonavano i
lussi cittadini per vivere nell’eden in piena libertà.
Un doveroso omaggio agli affetti, fatto senza particolari
sdolcinature ma piutosto con ironia, nel ricordo di quei
tempi ormai lontani, in cui San Fruttuoso era un angolo
incontaminato e non ancora invaso da “orde” di turisti,
non sempre rispettosi del luogo.
Carla Scarsi – Il paradiso dietro l’angolo, San Fruttuoso
di Camogli” – Erga edizioni – Genova 2011 – pp. 96
Ci sono i disegni del 1946, in cui vengono rappresentate
in modo decisamente caricaturale le caratteristiche fisiche e psicologiche dei protagonisti, giovani “affamati”di
libertà post bellica, che in seguito sono diventati noti ed
affermati professionisti nei campi più svariati. Per vivere,
oltre alle scatolette, c’era la pesca, affrontata spesso con i
pescatori veri, cioè i locali.
Il fascino del volume deriva in gran parte dalle foto, le
più vecchie rigorosamente in bianco e nero, in cui sono
ritratti i protagonisti, nelle varie fasi di vita, (bimbi che
crescono e diventano allampanati adolescenti), gli abbigliamenti anni Sessanta, le prime mute da sub per le immersioni, l’abbazia prima del restauro, ancora abitata dal
parroco e dai pescatori, con i vasi di gerani alle finestre.
Ogni narratore mette in comune i suoi ricordi, fatti anche di bagni notturni sotto la luce della luna, di amicizie e
amori con stranieri capitati li per caso e immediatamente
sedotti dal fascino del posto. Una marea di ricordi, privi
di doloroso rimpianto, ricchi invece dell’incanto derivante dalle memorie di una giovinezza ormai passata, che
ha lasciato comunque il prezioso sedimento dei ricordi
magici, forse resi ancora più magici dai decenni ormai
trascorsi; denominatore comune per tutti è l’amore per
San Fruttuoso.
gieffegi
36 Anthia
Editoria di Liguria / In libreria
Alla ricerca
dei grandi alberi
A
ngela White, con la sua macchina fotografica ha
perlustrato Piemonte, Liguria e Val d’Aosta ottenendo un risultato veramente degno di nota, perché oltre ai “fenomeni” già conosciuti e segnalati è riuscita a scovarne nuovi, che ci presenta con belle immagini,
stampate con accurata grafica; l’edizione economica, consente a tutti di fruirne, per mettersi in cammino.
Per rispettarli è necessario conoscere gli alberi monumentali vicino ai quali è spesso passata la storia o è trascorsa la
vita.
Il testo è diviso in tre parti (relative alle regioni prese in
considerazione) e gli alberi segnalati sono presentati per
aree geografiche tra loro vicine, in modo da produrre un
fattibile percorso per incontrarli. Sulle colline dell’astigiano e dell’alessandrino troviamo platani monumentali (tra
cui quello di Marengo, di napoleonica memoria), pioppi
e olmi che svettano vicini ad antichi campanili, o una singolare cerro sughera cresciuta tra filari di viti; tra Biella e
Vercelli prosperano sequoie nel parco Sella, o monumentali Ginkgo byloba in quello della Burcina di Pollone. Le
foto mettono in risalto i colori delle stagioni e la singolarità
di certi tronchi, ripresi da angolazioni inusuali (è quasi da
“favola” la foto del Monte Mucrone imbiancato dalle nevi,
che fa da sfondo a un albero dalle autunnali chiome rosseggianti).
Novarese, Verbano e Cusio Ossola, con la loro ricchezza
di laghi e di parchi ci mostrano il rigoglio degli alberi di
canfora sull’isola Bella, del cipresso del Kashmir sull’isola
Madre, i cedri di Villa Taranto, la monumentalità del Taxus Baccata di una frazione sperduta sopra i laghi. Non da
meno sono Torino e la sua provincia, con gli importanti
parchi della Tesoriera, del Valentino o della Mandria con
tigli, frassini, bagolari e platani. La provincia di Cuneo ha
olmi e platani di incredibile grandezza nella reggia di Racconigi, nonché i faggi ad Entraque, il castagno secolare di
Melle e la sequoia gigante di Roccavione.
La Liguria, non è seconda a nessuno in fatto di patriarchi,
perché nel Levante il parco di Nervi possiede araucarie,
Angela White – Alberi monumentali in Piemonte, Liguria
e Valle d’Aosta – Ed. la Stampa – Torino 2012 – pp. 160
palme del Cile, yucche, eucalipti incredibili e pini d’Aleppo di altezze inverosimili; il cipresso sito davanti all’Abbazia di Borzonasca è veramente “da vedere”, come le querce
monumentali in provincia della Spezia.
Il Ponente ha dalla sua i famosi faggi di Benevento a Mallare, i canfori della Villa Negrotto ad Arenzano, l’incredibile ficus davanti al museo Bicknel di Bordighera (il cui
apparato radicale ha addirittura inglobato un muro), ma
soprattutto le ricchezze del parco di Villa Hanbury con
esemplari delle più svariate specie mondiali, che qui per
opera del lungimirante inglese, favoriti dal particolare
microclima hanno permesso la crescita di alberi di incredibile bellezza e monumentalità: sono agavi, yucche,
melograni, ficus, ulivi e tanti altri (l’elenco è veramente
interminabile).
In Val d’Aosta, la fanno da padroni sequoie, pini, larici, tigli e faggi che popolano da secoli i numerosi parchi
(spesso segnalati da precise, antiche targhe e forniti di
panchine, per un’ammirazione di tutto riposo). La devozione popolare ha addirittura creato un piccolo altare
votivo nell’incavo di un enorme tronco di larice ad Arolla
in Valgrisence.
gieffegi
37 Anthia
Editoria di Liguria / In libreria
La via romana
verso la Gallia
L
a pubblicazione fa il punto sulle ricerche condotte dal Museo di Ventimiglia e la Francia su
questa via romana transfrontaliera, voluta da
Augusto per mettere in comunicazione la parte ligure
della allora IX Regio, con le province della Gallia di
recente conquista.
La Via Iulia Augusta, costruita tra il 13 e il 12 a.C.
, cioè poco dopo la conquista dei territori delle Alpi
marittime avvenuta nel 14 a.C. “…. oltre a costituire
l’unica strada carreggiabile della Liguria occidentale …
rappresentò l’asse portante dell’organizzazione dei territori che attraversava: attorno ad essa si aggregarono e si
svilupparono le città e le loro necropoli, le ville extraurbane e gli insediamenti rustici, le infrastrutture di servizio, i collegamenti con la rete stradale minore e il sistema
di porti e approdi”.
Con sintetica efficacia Daniela Gandolfi ci parla di
questo tracciato, indagato negli anni Cinquanta dal
professor Nino Lamboglia e dei più recenti studi sulla
via consolare romana.
Nel territorio prettamente ligure i resti del tracciato
stradale originario sono individuabili solo in pochi
casi: ben noto il tratto tra Albenga ed Alassio ed i
ponti rimasti nel territorio finalese, ma la pubblicazione mette in particolare evidenza nove tappe significative del percorso: 1 trofeo di Augusto, 2 Monte de
Mules, 3 mausoleo di Lumone, 4 museo di preistoria
regionale di Mentone, 5 caverne e museo preistorico
dei Balzi Rossi, 6 giardini botanici Hanbury e piana
di Latte, 7 museo civico archeologico Rossi di Ventimiglia, 8 chiesa di San Michele, 9 scavi della romana
Albintimilium.
Una attenta descrizione dei luoghi e soprattutto dei ritrovamenti archeologici è corredata da numerose foto
a colori e da riproduzioni di antiche stampe o cartine.
Tra Mentone e Nizza, ed oltre sino ad Arles, non c’è
solo il noto Trofeo des Alpes, ma numerosi miliari,
tracce nel vallone del Laghet, frammenti di “ville”
AA.VV. – Via Iulia Augusta: un itinéraire romain exceptionel – reperibile presso il “Museo civico Archeologico” di
Ventimiglia – pp. 142
agricole, gli scenografci resti della villa Lumone a Roquebrune - Cap Martin, le strutture a Monts des Mules, altri resti al Mont Bastides di Eze, insomma un
insieme di interessanti ritrovamenti che meritano una
conoscenza diretta.
Il lavoro mette in evidenza il grande patrimonio archeologico di Ventimiglia: dal reimpiego dei miliari romani
nella Chiesa di San Michele, ai resti della via Iulia, alla
cosiddetta Porta Provenza, dal decumano massimo del
centro antico allo splendido mosaico delle terme, dal
teatro romano, alle tombe di Porta Marina o ai recentissimi ritrovamenti alla Villa Eva di Pian del Latte. Non
mancano le citazioni e le foto della necropoli albenganese, del grande piatto di vetro blu della necropoli ingauna, dei ritrovamenti in quel di Noli, della villa rustica di Lusignano o del materiale fittile rinvenuto in un
deposito votivo ad Alto - Caprauna.
L’apparato bibliografico e le illustrazioni rendono il
volume, in italiano e in francese, una agile e documentata guida, che si presta anche ad ulteriori approfondimenti e potrà divenire : “ … un momento di vera
emozione per un ritorno nel passato…”.
gieffegi
38 Anthia
Cronache della Consulta ligure
Nelle ultime due riunioni del 2012 della “Consulta Ligure” (Rapallo e Sestri Levante), sono stati discussi tre temi
sui quali le Associazioni locali hanno sviluppato il loro impegno. Il Presidente Bazzano ha tenuto una relazione sullo
stato finanziario e gestionale della Consulta, che presenta
alcuni problemi per la morosità di qualche associazione e
per le difficoltà di distribuzione dei libri editi rimasti in
giacenza nella sede savonese, anche perché, per il settimo
volume, è venuto a mancare il sostegno finanziario della
Carige.
L’assemblea ha approvato l’impegno ad acquisire, da parte
di ciascuna delle associazioni locali, nove copie dei volumi,
con un contributo straordinario che consentirebbe di reperire fondi alla fine di consentire la pubblicazione dei nuovi
volumi del “Dizionario Biografico dei Liguri”.
Per i volumi successivi, la Giunta della Consulta ha chiesto
l’intervento dell’Assessorato per la Cultura della Regione
Liguria, che si è dimostrato disponibile all’acquisto di un
numero di copie dei volumi di prossima pubblicazione che
verranno distribuiti alle Biblioteche Comunali. Per fruire
di questo sostegno sarà necessario accelerare i lavori redazionali, ritornando alla metodologia usata per i primi due
volumi, redatti dal compianto William Piastra.
Il Presidente ha comunicato i risultati sinora ottenuti nella raccolta dei dati relativi al Censimento dei monumenti
minori che ha coinvolto, sino ad oggi il 60% del territorio
regionale.
Infine si è discusso sull’organizzazione, nella primavera
del 2013, di un convegno sul tema “L’insegnamento della
storia con metodo induttivo a partire dal tessuto locale”.
Dal convegno dovrebbe nascere una sperimentazione attuata, inizialmente, nella scuola primaria e in alcune scuole
locali. Secondo i risultati ottenuti l’esperienza sarà estesa
negli altri organi scolastici. L’inserimento della realtà locale
consentirà di realizzare, in un contesto curricolare, un insegnamento interdisciplinare che abbraccerà storia, dialetto,
etnografia, economia, architettura, ambiente.
Si darà concretezza alla didattica, si punterà alla conoscenza della storia regionale come specchio riflesso ed integrazione di quella generale. Non ultimo obiettivo sarà quello
di offrire applicazione pratica alla legge regionale per la difesa delle parlate liguri, di cui si vuole investire anche il Ministero della Pubblica Istruzione per un riconoscimento di
merito in sede europea del dialetto ligure nelle sue varietà.
La sperimentazione sarà accompagnata da testi adeguati.
Francesco Gallea
Intervista all’autore: Carmelo Prestipino
Carmelo Prestipino ha iniziato la sua attività di ricercatore agli inizi degli anni Ottanta; da allora si è dedicato allo
studio della terra ligure; le sue ricerche vertono soprattutto sulla analisi delle fonti archivistiche e sullo studio del
territorio; oggi lavora sul bacino del Mediterraneo.
Come si è sviluppata la sua attività letteraria?
Le mie ricerche mirano alla ricostruzione degli elementi
culturali del territorio in cui opero. Sull’arte rupestre
ho prodotto studi come: “Oltre il segno. Proposta di
metodologia e schedatura per le incisioni rupestri”, e
“Segni nel tempo. Sulle tracce dell’arte rupestre in provincia di Savona” ma ricordo anche con piacere lavori divulgativi sulla storia locale, come: “Una storia di
contese e spartizioni, (An Age-Old Story of Disputes
and Divisions)” sintesi storica inserita in “La Rocca
dell’Adelasia. Riserva naturalistica nell’alta Val Bormida” ed altri studi simili, sino all’edizione bilingue (italiano-inglese) di: “Quaderni del Mediterraneo, Studi
sulle rocce incise del bacino del Mediterraneo. Mediterranean Notebooks-Studies on the carved rocks in the
Mediterranean basin” del 2011.
Quali ritiene siano gli aspetti più caratteristici della
sua attività di ricerca?
Credo siano il rigore nella ricerca e il tentativo di sviluppare ipotesi che siano valutabili e attendibili, evitando le
visioni apologetiche in cui cade talvolta la storia locale. È
importante restituire a un gruppo umano o a una comunità la sua identità storica e il suo passato; non è detto che
ci riesca sempre al meglio, ma questo è il mio obiettivo
Come sta la cultura, in Liguria e in Italia?
I tagli alla formazione scolastica, alle associazioni e agli
enti di cultura sono il prodotto di una visione in cui
l’aspetto economico è prevalente. Visione fallimentare a
mio giudizio: servirebbe una svolta decisa verso i valori
della cultura per uscire da questa situazione di stallo.
Un forte richiamo all’etica e alla nostra identità culturale
darebbe speranza a un futuro che pare oggi tutto da inventare, ma che dovrà essere figlio di un risveglio intellettuale della società nel suo insieme.
Cosa significa scrivere?
Scrivere e trasmettere conoscenza implica una forte responsabilità: è nostro dovere farlo nel modo più corretto,
senza personalismi o visioni preconcette.
Gian Carlo Ascoli
La cena degli auguri
mercoledì 15 dicembre ore 20
Incontro conviviale per gli auguri
nei locali adiacenti al santuario N. S. delle Grazie
(Regione Capriolo - Ceriale)
Quota individuale 25 euro
Buon Natale
e felice 2013
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