Adesso lasciateci continuare - Associazione Amici di Peagna
by user
Comments
Transcript
Adesso lasciateci continuare - Associazione Amici di Peagna
Anthia Voce dell’associazione Amici di Peagna Anno 2012 - numero 14 POSTE ITALIANE – Spedizione in abbonamento postale 70% aut. DCB/Savona nr. 588 anno 2006 Adesso lasciateci continuare Rassegna 2012: le immagini e il racconto delle serate Luoghi, arte, cultura: i musei della Liguria 2 Anthia Anthia Voce dell’associazione Amici di Peagna Anno 2011 - numero 12 numero 14 - dicembre 2012 Registrazione del Tribunale di Savona n. 565/06 Direttore responsabile Andrea Carpi Caporedattore Gian Carlo Ascoli Redazione Mauro Bico, Ferdinanda Fantini, Graziella Frasca Gallo, Massimiliano Guido, Stefano Roascio Hanno collaborato a questo numero Monica Bruzzone, Francesco Gallea, Claudia Ghirarldello, Angelita Mairani Immagini Archivio Amici di Peagna Foto di copertina: Gian Carlo Ascoli Editore Associazione Amici di Peagna via Centrale 12 17023 Ceriale (Sv) Impaginazione e grafica Francesco Gennaro Stampa Studio Pixart srl Via Brunacci 7 30174 Marghera (Ve) Per contattare la redazione e per ricevere regolarmente la rivista Amici di Peagna - c.p. 115 17023 Ceriale [email protected] Sito Internet: www.libridiliguria.it Facebook: facebook.com/PeagnaLibridiLiguria La crisi e la cultura preventiva Due concerti, di un cantautore ben noto al pubblico ligure come Franco Boggero e di un gruppo nuovo, gli Uribà, che pesca nella tradizione e nella cultura popolare, riadattando storie, musiche e testi a sonorità più moderni. Una giornata intera, dal primo pomeriggio a sera inoltrata, dedicata all’enogastronomia, con l’allargamento verso Ceriale e il coinvolgimento di un’associazione giovane ma decisamente improntata alla qualità, come Ligustibus. E poi serate più tradizionali ma con un bel seguito, il solito grande lavoro che ha animato le serate di Peagna e messo in mostra la produzione libraria della nostra regione; e ogni volta il grande impegno dei volontari, sempre disponibili e sempre con il sorriso, e la soddisfazione di un pubblico ogni sera numeroso. Questo, in sintesi, il racconto della rassegna numero trentuno dei Libri di Liguria. Il bilancio, va da sé, sembrerebbe più che positivo: le serate sono piaciute, il pubblico è venuto a Peagna, gli autori hanno ringraziato l’Associazione, l’Associazione ha fatto il massimo. Eppure, tra le pagine di questo numero, che racconta meglio e in modo più approfondito la rassegna 2012, oltre a ospitare interventi di grande prestigio e qualità, qualcosa non torna. Tra un articolo e l’altro, tra un’immagine e una recensione, l’aria che si respira è diversa. Perché, se la rassegna continua a funzionare, se il Presidente della Repubblica decide di riconoscere e premiare il lavoro dell’Associazione, perché il presidente Stefano Roascio deve lanciare un appello semplice e drammatico, perché scrive aiutateci ad andare avanti, “fateci continuare”? L’Italia è un paese strano, e dentro l’Italia la Liguria è una regione ben particolare. Si parla di crisi, naturalmente. Crisi che è reale, evidente, tragica per moltissime persone. Ma crisi che diventa anche un alibi facile, un modo per giustificarsi, per lavarsene le mani. La cultura ha un costo, e tante ricadute benefiche sul territorio. Un po’ come la prevenzione, se vogliamo metterla così: un costo se la si guarda oggi, un risparmio per il sistema sanitario se si pensa a domani. Ho avuto la fortuna di moderare la serata dedicata alla gastronomia, durante la rassegnadi quest’anno. Avevamo due ospiti piemontesi, due sommelier che hanno scritto un bellissimo libro sui vini liguri. Uno di loro, Roberto Marro, ha detto: “Nei ristoranti liguri i vini liguri sono pochi, pochissimi, se non assenti. Eppure sono validi e interessanti come quelli del Trentino o delle Marche, e lì nei ristoranti la carta dei vini si apre sempre con una lunga proposta di scelte regionali. Sembra quasi che i liguri si vergognino di quello che fanno, che pensino di non farlo bene”. Dovremmo avere l’orgoglio di quello che siamo e di quello che facciamo. Dobbiamo fare in modo che amministratori, fondazioni bancarie, imprenditori abbiamo voglia di sostenere e difendere quello che di buono c’è in questa regione. E la rassegna dei Libri di Liguria, lasciatecelo dire, da trentuno anni fa un gran bel servizio a questa regione. Andrea Carpi 3 Anthia Sommario Soci onorari dell’associazione Amici di Peagna Cultura e identità ai tempi di spending review (Francesco Gallea) 4 Lasciateci continuare (Stefano Roascio) 6 Franco Boggero, note e poesie di cantautore (Stefano Roascio) 8 Musei liguri, lo stato dell’arte (Stefano Roascio) 9 Mari, navi e naviganti (Francesco Gallea) 10 Il legame storico tra Liguria e Piemonte (Stefano Roascio) 11 La cultura da bere e da mangiare (Andrea Carpi) 12 La musica degli Uribà sul palco di Peagna (Mauro Bico) 13 L’agricoltura del Ponente ligure (Francesco Gallea) 14 Le immagini della rassegna (Gian Carlo Ascoli) 15 Luoghi, arti, tradizioni, uomini illustri (Monica Bruzzone) 19 La diagnostica scientifica nella conservazione dei beni culturali (Angelita Mairani) 23 Omaggio al Bambino Gesù tra Loano e Biella (Claudia Ghiraldello) 27 I saraceno in Liguria (Francesco Gallea) 30 Poemi dal Golfo degi Dei (Francesco Macciò) 33 San Fruttuoso angolo di Paradiso (gieffegi) 35 Alla ricerca dei grandi alberi (gieffegi) 36 La via romana verso la Gallia (gieffegi) 37 Cronache della Consulta ligure (Francesco Gallea) 38 Intervista all’autore: Carmelo Prestipino (Gian Carlo Ascoli) 38 Nominata nel 1995: Sylvana De Riva per l’affettuosa frequentazione Nominato nel 2006: Domenico D’Apolito per l’impegno collaborativo Nominata nel 2007: Angela Franca Bellezza per l’opera di collaborazione e diffusione dell’attività culturale dell’Associazione Nominato nel 2008: Enrico Pelos per l’opera di collaborazione e diffusione dell’attività culturale dell’Associazione Nominata nel 2012: Carmen Oneto Baldassarre per la particolare collaborazione svolta nel Levante ligure in favore dell’attività dell’Associazione e per la fornitura di preziosi testi che contribuiscono all’arricchimento della Biblioteca “Libri di Liguria” Errata Corrige Catalogo 2012 Per un problema di impaginazione l’Indice degli Autori presenta valori aumentati di due pagine rispetto alla reale posizione delle opere nel testo del Catalogo. Ci scusiamo per l’inconveniente. Ringraziamenti L’Associazione Amici di Peagna ringrazia sentitamente la Soprintendenza per i Beni Architettonici della Liguria che ci ha donato tutti i volumi pubblicati negli ultimi anni, consentendoci di potere disporre di molte opere rare e preziose sul patrimonio artistico ed architettonico dell’intera Regione. Un caloroso ringraziamento va anche al prof. Franco Paolo Oliveri del liceo D’Oria di Genova il quale ci ha donato un album fotografico degli anni 2030 del Novecento, con preziose immagini delle campagne e delle colture ponentine di allora. 4 Anthia Libri di Liguria 2012 Cultura e identità ai tempi di spending review di Francesco Gallea R ingrazio vivamente il Presidente e il Consiglio Direttivo dell’Associazione “Amici di Peagna” per avermi concesso uno spazio al fine di rivolgere il mio saluto al pubblico. Anzitutto devo riconoscere, al nuovo Consiglio Direttivo, di aver svolto un ottimo lavoro, in un momento non facile, in cui tante iniziative e istituzioni culturali hanno sospeso la loro attività. Il Consiglio Direttivo è riuscito a tener viva la rassegna, ha inserito nuove energie nell’Associazione, ha aperto nuove vie nell’ottica dell’innovazione nella continuità. Per seri problemi personali che mi hanno condizionato nell’inverno e nella primavera, ho potuto seguire da lontano il lavoro del nuovo Consiglio. Sono lieto che sia stata sostenuta in modo egregio un’iniziativa a cui ho dedicato 30 anni della mia vita. Ora non ho incarichi esecutivi. Sono un socio, pur autorevole, e, in questa veste, mi permetto a titolo personale di proporre alcune riflessioni. Nonostante si diffondano notizie ottimistiche sull’uscita del nostro Paese dalla crisi economica, io ho qualche timore sia per il futuro della nostra iniziativa sia per iniziative analoghe. Questo timore nasce da due ordini di motivi. Motivi concreti: in questo dibattito politico che ci separa dalle prossime elezioni del 2013, io non ho ancora sentito, dai vari partiti politici, trattare il tema “Cultura”. Chi ci governerà come pensa di affrontare questo problema? Quale modello di società i vari schieramenti politici pensano di proporre agli elettori? Andrea Carandini, Presidente del Consiglio superiore per i Beni culturali, in un’intervista su “Sette” dice: “È necessario affrontare il tema cultura come un problema sistemico” ; e aggiunge: “Però non è facile la soluzione perché la nostra è una società tribale, clanista, familista, difficile da gestire”. Poi motivi esistenziali: è stata affrontata in qualche modo la crisi economica. Però non si è tenuto conto che, sottintese ad essa, ci sono due realtà ben più importanti da affrontare: una crisi culturale e una crisi morale. Se esaminiamo lo sviluppo ideologico degli ultimi 60 anni troviamo alcune ondate critiche che hanno travolto le certezze: negli anni Cinquanta-Sessanta un modernismo esasperato che contestava ogni realtà che avesse la parvenza di antichità; negli anni SettantaOttanta un antiautoritarismo che portava alla contestazione sia dal punto di vista culturale che politico; negli anni Novanta-Duemila il globalismo, una sorta di cultura meticcia che cancellava ogni identità. Questi fenomeni culturali imprimevano nella realtà sociale una velocità che portò Sigmund Bauman a parlare di società liquida. È un modello sociale così veloce che rende impossibile la costruzione di strutture da parte della politica, che ha percorsi più lenti. Ne derivano due gravi conseguenze: dal punto di vista soggettivo il relativismo, che si trasforma in individualismo esasperato ed egoistico che condiziona ogni progresso. Di fatto di fronte ai provvedimenti governativi sono scoppiate rabbie, frustrazioni, isterismi, ricerca di colpevoli da additare come untori e forme di autogiustificazione generica per cui i colpevoli sono sempre gli altri. Dal punto di vista collettivo sono entrate in crisi tutte le istituzioni e le strutture educative: la famiglia, la scuola, le associazioni, i partiti ecc. Per questo è necessario recuperare il valore della cultura come coscienza critica del passato e progettazione del futuro, collegamento tra ieri, oggi e domani, unione, dialogo, collaborazione sociale, riflessione sulla realtà ambientale dei nostri paesi. E’ necessario pensare quale futuro noi possiamo consegnare a coloro che oggi sono giovani. Dal punto di vista morale è urgente il riconoscimento di una scala di valori oggettivi (come diceva Kant) cioè universali (riconosciuti da tutti) e necessari (obbligatoriamente tali). L’uomo, cioè ciascuno di noi, deve diventare protagonista della sua storia: non ci si può aspettare da altri e 5 Anthia dallo Stato aiuti definitivi. Lo Stato, sul piano culturale, diminuisce i suoi stanziamenti; le Regioni e i Comuni sono in difficoltà a gestire l’ordinario; le Province non sanno quale sarà il loro destino; le Fondazioni bancarie, ultimo baluardo della cultura sul territorio, devono subire assalti di ogni genere e cercano di non disperdere a pioggia le loro risorse. Se lo Stato stanzierà risorse finanziarie per la cultura andranno certamente a rafforzare grandi eventi, prestigiose istituzioni, siti archeologici e museali che, peraltro, più facilmente trovano sponsor ed hanno ricavi da bigliettazione. In crisi saranno quelle attività locali gestite da volontari che sono le più importanti, perché gestiscono l’ordinario quotidiano, assicurano la diffusione della cultura, favoriscono il dialogo cittadino, garantiscono la crescita sociale ed educativa della comunità, il crollo di queste associazioni locali di tipo culturale, sociale, assistenziale è un danno irreparabile per il tessuto della vita cittadina. Oggi si parla tanto di riduzione della spesa: mia nonna Angiolina, nata nel 1878, figlia di un valdese e di una cattolica di Calice Ligure, una donnetta alta 1 metro e 48 cm, governava la casa e due famiglie col sorriso, ma con l’energia di un sergente maggiore. Ogni tanto diceva: “Besogna fo ecunumia”; noi ignoranti la chiamavamo “Ecunumia”: oggi che siamo evoluti la chiamiamo “Spending review”, ma è la stessa cosa. Allora spariva da tavola il vino, che beveva il nonno (lo chiamava vino, ma in realtà era una “vinetta” che aveva il colore di un vino rosè, ma di fatto aveva uno o due gradi più dell’acqua del rubinetto); si viveva di minestroni, che costituivano per alcuni giorni colazione, pranzo, merenda e cena. Il denaro risparmiato andava a fi- nire in una scatola di latta con sopra scritto “caffè”, e questo denaro serviva per comprare qualcosa di utile alla famiglia. Tre cose però non venivano toccate dalla “Spending review” di mia nonna: le spese per la salute, per la scuola e per i libri. Mia madre trasferì successivamente questi libri nel negozio in cui mio padre faceva il mestiere di ciabattino e mia madre ricamatrice per bambini. I libri venivano offerti a qualunque cittadino lo volesse, per diffondere la cultura e l’amore per la lettura. Che ministro abile sarebbe stata mia nonna, e con lei tante altre nonne, che avevano la cultura del buon senso e il valore del sacrificio. Oggi siamo un paese che rischia di perdere l’anima non solo sul piano culturale, ma anche perché la nostra casa ci sembra irriconoscibile. Abbiamo perso ogni legame tra cultura popolare e cultura d’elite. Oggi si parla tanto di federalismo: il vero federalismo non è quello fiscale, ma quello culturale. Ogni cultura degna di questo nome è una vittoria dell’originalità sull’uniformità dei gusti e dei valori. I nemici da vincere sono la cultura unica e il provincialismo estremo. Martha Nussbaum insiste, in un suo libro, sull’importanza dell’educazione nella ricostruzione della società. Bisogna ripartire dalla cultura vera: le nazioni sempre più attratte dalla crescita tecnologica stanno accantonando, in modo scriteriato, nell’istruzione di base quei saperi indispensabili a mantener viva la libertà e la democrazia. Eugenio Scalfari in un editoriale scrisse: “Lo specchio si è rotto”. La nostra è una società che sembra aver smarrito ogni orientamento, ogni immagine di sé, ogni memoria del suo passato e ogni progettualità del suo futuro. Se lo specchio si è rotto, l’unico modo di ricomporlo è sul territorio: bisogna starci dentro, prendere la parola, capirne le esigenze, recuperare coraggio, con un po’ di senso utopico in un clima di neocomunitarismo. Non si può tacere sulle cose che non vanno bene, perché il tacere diventa connivenza. Chiudo il mio intervento proponendo alcuni quesiti. Che Paese è quello in cui i ciechi totali hanno la patente e allenano squadre di calcio, mentre i veri disabili e i loro familiari devono decidere di scendere in piazza per tutelare il diritto, per una parte di loro, ad un assegno mensile di 256 euro?Che Paese è quello in cui le associazioni di volontariato si vedono, di fatto, spolpare le striminzite casse dalle poste e sono in difficoltà a spedire le circolari agli iscritti? Che Paese è quello in cui si bloccano gli organici degli insegnanti di sostegno, vanificando e rendendo sempre più difficile l’integrazione degli alunni con disabilità, senza che nessuno alzi la voce? Che Paese è quello in cui le biglietterie delle stazioni sono chiuse, e quelle meccaniche sono rotte, e i viaggiatori fanno la coda dove c’è lo scompartimento del capotreno per autodenunciarsi ed evitare multe salatissime?Che Paese è mai quello in cui si riducono le prestazioni in due “Pronto soccorso” su quattro, intasando soprattutto nei week-end, gli altri due? Che Paese è mai quello in cui, nei 200 quiz proposti dal Ministero per l’ingresso degli insegnanti al tirocinio, 40 risultano sbagliati e i responsabili, invece di essere cacciati con ignominia, non subiscono alcun danno e le commissioni sono invitate a ritenere esatte tutte le risposte date a quei quiz? Io lo so che Paese è! È il mio, è il nostro. Io ho ottanta anni, e se qualcuno mi dà uno spintone casco a terra come un sacco. Però mi resta un po’ di cervello e la parola e finché mi sarà concesso uno spazio pubblico di intervento continuerò a combattere. 6 Anthia Libri di Liguria 2012 Lasciateci continuare L’appello del Presidente a lettori e sostenitori di Stefano Roascio* L asciateci continuare: è con questo appello, inconsueto, che apro la mia comunicazione sullo stato dell’Associazione e le prospettive per il futuro. Abbiamo appena concluso la XXXI rassegna ”Libri di Liguria” con un grande successo di pubblico e di critica, un pubblico che – francamente – non vedevamo più in rassegna da molti anni, segno che il profondo rinnovamento che il nuovo direttivo ha voluto imprimere è stato compreso e apprezzato. Addirittura, per la prima volta dopo trenta anni di lavoro, la proposta culturale che abbiamo organizzato questa estate è stata premiata con un prestigioso riconoscimento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ci ha mandato una medaglia ufficiale per i meriti culturali e la qualità del programma della XXXI Rassegna. Come ho già detto alla stampa, si tratta di un premio importante, che fotografa tanti anni di impegno dei volontari e del direttivo verso la salvaguardia e la valorizzazione della cultura ligure, ma rappresenta anche il riconoscimento di un’associazione forte, viva, che si proietta verso il futuro con la forza delle sue salde radici, ma anche con idee e progetti innovativi, volti sempre ad un maggiore coinvolgimento del territorio che ci ospita. Tuttavia, a fronte di un tale successo di pubblico e di un così significativo riconoscimento, dobbiamo amaramente constatare che la precaria situazione economica che interessa il nostro Paese si sta riversando con devastante e desolante forza sul settore della cultura e delle organizzazioni di volontariato che, come la nostra, hanno da sempre puntato sulla qualità disinteressata della propria offerta culturale, senza pensare a mere logiche di mercato e a tornaconti di carattere economico che non fossero i soli contributi degli enti pubblici, denaro che abbiamo sempre impiegato con trasparenza e oculatezza, restituendo obbiettivamente alla collettività e a chi da anni ci segue un “prodotto” culturale anche superiore rispetto ai finanziamenti che, negli ultimi anni, andavano via via rarefacendosi. Ora, mentre vi scrivo queste righe, sono ben conscio del fatto che - se non interverranno positive novità - gli Amici di Peagna il prossimo anno non riusciranno a garantire la XXXII Rassegna dei Libri di Liguria e, nel contempo, saranno messe in forse le pubblicazioni che ci hanno resi il soggetto più significativo a livello regionale per la valorizzazione del patrimonio librario ligure, di autori che stentano a farsi riconoscere dalle più importanti case editrici nazionali e ad entrare nei canali della grande distribuzione e di editori che, a fronte di ottimi prodotti librari, spesso non escono dagli angusti limiti locali. Il nostro Catalogo dei Libri Liguri ogni anno è atteso da librai e bibliotecari di tutta la Regione perchè rappresenta l’unico strumento del suo genere per la schedatura delle uscite librarie che riguardano la nostra Regione e anch’esso - se non riusciremo a trovare nuove fonti di finanziamento - è destinato a soccombe- 7 Anthia re. Addirittura la nostra stessa rivista Anthia, che con gli anni è cresciuta a tale punto da ospitare molte firme autorevoli esterne all’Associazione e che ormai ha una diffusione capillare in tutta la Regione e addirittura viene regolarmente recapitata ai gruppi di liguri all’estero in contatto con noi, rischia di essere limitata a un solo numero annuale, se non peggio. Ho assunto da circa un anno la presidenza degli Amici di Peagna, ben conscio degli enormi problemi che il momento avrebbe posto a me in veste di rappresentante dell’Associazione e a tutti noi cittadini che speriamo che un antidoto all’impoverimento umano, oltre che materiale, che colpisce la nostra società possa venire ancora dalla buona cultura, fatta dalla base per la base. Ora non ho alcuna intenzione di essere ricordato in futuro come il Presidente che non ha saputo portare gli Amici di Peagna oltre la presente crisi. Per questo motivo, supportato da un Consiglio direttivo sempre attento e partecipe, ho attuato qualsiasi possibile forma di risparmio e razionalizzazione delle spese, portando le uscite allo stretto indispensabile per il mantenimento delle iniziative che da sempre ci caratterizzano. Tutto quello che è stato fatto in questo senso, tuttavia, non è sufficiente a scongiurare la paralisi della nostra attività e la progressiva defunzione dell’Associazione. Il mio è quindi un appello a tutte le persone di buona volontà che hanno a cuore la vita culturale e civile del nostro territorio: ognuno può fare la propria parte, ad iniziare dalle pubbliche amministrazioni che ci hanno sempre sostenuto. In questo senso devo ringraziare, a nome di tutta l’Associazione, il Comune di Ceriale che fino ad ora ha mantenuto inalterato il proprio contributo e ci sostiene fattivamente da anni, dimostrando di avere compreso quanto gli Ami- ci di Peagna siano significativi non solo per l’arricchimento della cultura locale e regionale, ma anche per la vasta ricaduta turistica e di immagine che il nostro lavoro garantisce a Ceriale stessa. Anche la Regione Liguria - ente promotore assieme al Comune - anche quest’anno, pur nel desolante quadro di un taglio scriteriato alle autonomie locali, ci ha assicurato un piccolo, ma significativo, sostegno. I contributi della Camera di Commercio, della Fondazione “De Mari”, della Coop Liguria e, sperabilmente visto che a tutt’oggi non abbiamo notizie confortanti, della Provincia di Savona, hanno garantito che la Rassegna del 2012 potesse essere svolta nel migliore dei modi. Tuttavia gli annunciati ulteriori tagli ai contributi per il 2013, come dicevo, rischiano di decretare la morte della nostra Associazione o almeno delle proposte e dei prodotti per cui è riconosciuta a livello regionale. Abbiamo lavorato per oltre trenta anni per la crescita culturale regionale, sempre offrendo gratuitamente i nostri prodotti. Stampiamo e spediamo svariate centinaia di riviste e cataloghi nel corso dell’anno e li recapitiamo ad enti e privati italiani e stranieri in modo del tutto gratuito. Nella nostra Associazione non esistono quote di iscrizione e neppure quote annuali e ogni nostro appuntamento, compresi i due concerti di quest’anno, è aperto liberamente al pubblico fino all’esaurimento dei posti. Offriamo a studiosi e appassionati il libero accesso in una biblioteca che conta oltre 12.000 volumi di ambito ligure e, ogni anno, la Rassegna è una vetrina libera ed ambita per autori ed editori. Infine il lavoro di tutti noi è, ovviamente, ripagato dal solo entusiasmo che percepiamo annualmente attorno alle nostre manifestazioni, che nell’ultima rassegna è ulteriormente cresciuto. Ebbene cari amici, soci e lettori dobbiamo dirci con franchezza che un simile modello, in questo momento storico, non è più percorribile. Dobbiamo capire che la cultura non è un costo, ma ha un costo. Mentre fino ad ora eravamo riusciti ad impiegare i finanziamenti pubblici per arrivare al pareggio dell’esercizio, senza dovere chiedere alcunchè a tutti voi, ora - nel quadro di queste ristrettezze desolanti - non ci è più possibile farlo. Ci troviamo di fronte al bivio di cessare di fatto l’attività scientifica e divulgativa o chiamare tutti a una compartecipazione attiva e responsabile nei confronti dell’Associazione. Credo che qualsiasi “buon padre di famiglia”, prima di assistere alla rovina della propria gente, cercherebbe un aiuto nei figli, nei parenti e in quanti gli stanno vicino. Anche noi sentiamo il dovere di fare altrettanto. Ora siete voi lettori, appassionati, amici a cui spetta il compito di aiutarci. Con il Direttivo stiamo valutando quale forma di partecipazione alle spese potere chiedere, molto probabilmente - e lo dico con grande amarezza, ma anche con la franchezza e la chiarezza che il momento impone - non potremo più assicurare gratuitamente la ricezione delle riviste e del catalogo. Stiamo anche pensando a nuove forme di autofinanziamento, all’apertura alla pubblicità - magari circoscritta ai soli prodotti culturali quali libri, eventi di qualità, case editrici ecc. cercando di non snaturare la natura delle nostre pubblicazioni. Speriamo anche nell’innesto di forze nuove, di sponsor e nella sensibilità di tutti coloro che ci possono fattivamente aiutare ad ogni livello. Per questo l’appello iniziale “lasciateci continuare” può felicemente trasformarsi in un più fattivo “fateci continuare”, perchè da oggi gli Amici di Peagna si dovranno reggere anche sulle gambe di tutti voi *presidente Amici di Peagna 8 Anthia Libri di Liguria 2012 Franco Boggero, note e poesia di cantautore di Stefano Roascio ercoledì 22 agosto l’auditorium dell’oratorio di Peagna ha ospitato uno straordinario concerto del cantautore genovese Franco Boggero, accompagnato al pianoforte dall’inseparabile ed eclettico musicista Marco Spiccio. Franco Boggero, noto nel Ponente anche come esperto storico dell’arte e promotore di restauri e valorizzazioni dei beni culturali come funzionario e Soprintendente per i Beni Artistici della Liguria, da anni è anche un appassionato musicista e autore e, recentemente, ha partecipato come finalista al prestigioso Premio Tenco della canzone d’autore con l’album “Lo so che non c’entra niente”, opera da cui sono state tratte numerose canzoni per la serata, assieme ad alcuni inediti di grande qualità. Con questa serata abbiamo voluto offrire ai nostri ospiti un appuntamento di grande musica dal vivo, invitando una delle figure più appassionanti e affascinanti del pur ricco panorama cantautorale genovese. Il nostro intento non è stato solo quello di passare una bella serata all’insegna della musica d’autore, ma anche quello di sottolineare il valore letterario e poetico di testi di grande raffinatezza, dimostrando che fare cultura non vuole dire soltanto occuparsi di libri, ma anche lasciare spazio a serate come questa. Le parole e la musica di Franco Boggero e Marco Spiccio, nel suggestivo scenario dell’auditorium all’aperto dell’oratorio, hanno creato una serata di forte intensità e poesia e la manifestazione ha avuto un grande successo di pubblico e di critica. Franco Boggero è stato recentemente oggetto di un’analisi stilistica e linguistica in una tesi di laurea in Dialettologia italiana, discussa a Genova nel 1998 da Marzio M Angiolani. Ecco quanto afferma lo studioso: “I brani di Franco Boggero partono dalla descrizione della realtà per poi giungere ad un punto di stasi in cui si aprono malinconie e piccole depressioni personali, riflessioni interiori sulla vita e l’esistenza. L’adesione a situazioni quotidiane coinvolge il linguaggio, che, anche quando non è un effettivo discorso diretto, risulta colloquiale perfino nella marcata cadenza genovese. Gli spunti sono ritratti e bozzetti, tra la periferia e la calma lentezza di un mondo inattuale: Avevo l’intenzione di brindare a questi due che oggi si sposano magari si ameranno anche domani ma non ci scommetterei meglio star zitti, non si sa mai. Sarà che con le donne ci vuole chimica sapere di volta in volta il lato debole spirito critico e solidarietà. (Chimica) I nostri amici, come sempre, erano buoni con noi e fumavano lungo e ridevano forte e ci toccava rimanere lì. Noi siamo avvolti di pensieri, e questo è un limite: ti trovi, non sai più far niente: l’inaspettata rimozione di un ostacolo ci lascia soli, ma sinceri, e prudenti. (Se qualche volta la dolcezza ci preoccupa) Insomma sempre di più Boggero, anche attraverso tesi di laurea che ne esplorano la produzione, si sta sempre di più affermando come un “classico” di valore nella produzione cantautorale genovese attuale. 9 Anthia Libri di Liguria 2012 Musei liguri, lo stato dell’arte di Stefano Roascio a XXXI Rassegna “Libri di Liguria” si è aperta domenica 26 agosto con la serata “Musei liguri - Strutture e allestimenti: realtà a confronto”, condotta da chi vi scrive. Vi hanno preso parte la professoressa Monica Bruzzone, architetto esperto di museologia e museografia e docente presso l’Università di Parma, autrice della recente guida “Musei di Liguria”, un agile e completo volume che rappresenta il censimento più aggiornato della realtà museale regionale. Un altro ospite, Gianluca Spirito, è funzionario della Regione Liguria, che si è recentemente occupata di stilare un preciso standard dei musei liguri. Con gli altri due intervenuti, invece, si è voluto coinvolgere da un lato un architetto professionista autore di una recente e felice realizzazione museografica: Piero Fantoni, progettista della Pinacoteca Carlo Levi di Alassio, piccolo ma suggestivo scrigno d’arte che raccoglie una pregevole e rappresentativa selezione di tele di Carlo Levi che, ad Alassio, soggiornò lungamente. L’ultimo invitato è stato l’archeologo Andrea De Pascale, curatore del museo archeologico di Finalborgo. Monica Bruzzone e Gianluca Spirito hanno presentato una realtà museale regionale che, accanto a poli significativi a livello nazionale, come i musei d’arte di Genova, l’acquario, il Museo del Mare, vedono micro realtà locali, spesso semplici raccolte di materiali neppure aperte al pubblico. In particolare la situazione eterogenea e polimorfa ligure conta 230 musei, di cui 22 case museo, 62 musei d’arte, 27 di storia e archeologia, 8 musei delle imprese, 7 del mare, 9 della memoria, 6 musei del territorio, 62 delle tradizioni popolari, tecniche, antropologi. Sembra trattarsi di una sorta di “bulimia museale”, per altro estremamente inadeguata a reggere i colpi di una crisi economica, sicuramente più pungente per le piccole realtà locali che non riescono a “fare sistema” tra di esse e a connettersi felicemente con il territorio. Gianluca Spirito ha potuto illustrare il senso degli standard museali regionali, emanati per cercare di garantire un’uniformità del servizio erogato L ma ha anche sottolineato le evidenti difficoltà strutturali ed economiche in cui molte strutture versano, che impediscono l’applicazione dei livelli qualitativi richiesti. Fantoni ha illustrato la genesi di un progetto espositivo che è terminato nel felice allestimento della Pinacoteca Levi, che espone 22 tele dell’autore di “Cristo si è fermato ad Eboli”, in vita probabilmente più noto come pittore che come scrittore. Andrea De Pascale ha chiarito le difficoltà di esporre al vasto pubblico i reperti preistorici, che sono i più distanti dalla quotidianità attuale. Il museo del Finale ha ovviato a ciò presentando gli oggetti nel loro contesto originario, ricostruito con attenzione filologica e dovizia di particolari, secondo un’ottica veramente comprensibile al più vasto pubblico. Complessivamente la serata è risultata utile per una fotografia di una realtà in rapida evoluzione e anche in palese difficoltà, in quanto molte strutture museali dipendono unicamente dai finanziamenti pubblici che, oggi giorno, sono sempre più carenti. Tutti gli intervenuti hanno comunque concordato che il modo migliore per uscire dall’attuale stato di crisi sarebbe quello di tentare di unire tutte le energie dei territori, superando localismi e campanilismi e cercando sempre più di arrivare ad una rete di servizi culturali territoriali che veda nei musei uno dei fattori stimolanti e di crescita, ma non l’unico. 10 Anthia Libri di Liguria 2012 Mari, navi e naviganti di Francesco Gallea ono parecchi i libri editi, tra il 2011 e il 2012 sul tema marinaro. Era opportuno dedicare una serata a tale argomento. Il progetto prevedeva la volontà di affrontare il tema con una prospettiva molto ampia. Purtroppo gli impegni di due relatori hanno impedito la loro presenza, e la discussione si è orientata su obiettivi più ristretti, ma di grande interesse, incontrando un buon susccesso di pubblico. Protagonista della serata è stato Stefano Gallino, metereologo dell’Arpal (l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) e membro della Federazione Italiana Vela, autore, insieme ad Alessandro Benedetti e Luca Onorato, di uno splendido volume “Wave Watching: lo spettacolo delle mareggiate in Liguria” (pubblicato da Hoepli). Si tratta di un testo unico per il tema sviluppato con due punti di vista dominanti: scientifico (studio delle condizioni che favoriscono le mareggiate) e storico (ricostruzione di sei violente mareggiate che hanno colpito la Liguria tra il 1955 e il 2010). Dall’analisi immediata di questi episodi, illustrati con suggestive immagini proiettate, è stato agevole il passaggio a temi più generali. Il mare per i Liguri è una caratteristica identitaria: incarna il senso dell’infinito e il valore della libertà; ha condizionato lo sviluppo della storia regionale, di un popolo di “montanari rivolti verso il mare”. Mare come luogo di interscambi culturali, considerando che tre grandi continenti hanno tuffato nel Mediterraneo le loro culture. Paul Valery scrisse: “Giammai e in nessuna parte del mondo si è potuto osservare, in un’area così ristretta e in così breve intervallo di tempo, un tale fermento di spiriti e una tale produzione di ricchezza”. Ma il mare può essere molte cose in più, specialmente in una regione come la nostra: mare, quindi, come sviluppo di commerci, S creatore di attività industriali, sostegno dell’economia turistica. A dare un valore concreto al tema ha contribuito l’intervento di Domenico Ruocco, campano, trapiantato da molti anni in Liguria, titolare insieme al figlio Fabio del cantiere navale Nauticart, di natura artigianale ma con una produzione prestigiosa, inaugurato agli inizi degli anni Settanta e da allora specializzato in piccole imbarcazioni, i gozzi liguri in legno o in vetroresina. Ceriale è famosa per i suoi tre cantieri che, in un momento difficile per la nautica, continuano ad operare con clientela nazionale e internazionale. Con l’aiuto di un video realizzato da Dino Gravano, Ruocco ha illustrato le varie fasi della realizzazione di un “gozzo”, costruito alla maniera antica. Il pubblico ha potuto rendersi conto dell’uso del materiale, degli strumenti, della fatica e anche dell’amore che Ruocco e i suoi figli ponevano nel lavoro. Si smarrivano i confini della normalità artigianale ed estro-artistico. Ruocco ha accompagnato il filmato con ricordi, suggeriti da un humour garbato che ha conquistato gli spettatori. Il gozzo di Domenco Ruocco è stato esposto sabato 1 e domenica 2 settembre nella piazzetta della Chiesa di Peagna. 11 Anthia Libri di Liguria 2012 Il legame storico tra Liguria e Piemonte di Stefano Roascio artedì 28 agosto si è parlato di “Itinerari tra Piemonte e Liguria. Scambi culturali, commerciali e di costume”. Era presente una nutrita rappresentanza dell’associazione culturale “ Gli Spigolatori” di Mondovì, con il poeta Remigio Bertolino, l’esperto di storia locale e linguistica Nicola Duberti e Yvonne Fracassetti Brondino, addetta culturale presso l’Istituto italiano di Cultura di Tunisi ed esperta di sociologia e di interculturalità. Purtroppo non ha potuto partecipare Sergio Arneodo, scrittore e responsabile del centro culturale “Comboscuro”, nato per la difesa e la valorizzazione delle parlate e delle tradizioni della cultura alpina di influenza provenzale, ancora diffusa in alcune valli del cuneese. Molto interessante la presenza del linguista e poeta pugliese Vincenzo Menichelli, che ci ha parlato dell’esistenza di una curiosa isola linguistica francoprovenzale in provincia di Foggia, precisamente nei comuni di Celle e Faeto, nella Daunia Arpitana, al confine dei territori di Foggia, Benevento ed Avellino, un ambito distante ben 800 km dalle frontiere francesi e svizzere e dalle aree italiane dove si parla ancora questa lingua. Con gli Spigolatori di Mondovì si sono affrontati in particolare i rapporti culturali e commerciali che da sempre hanno connesso le valli interne della Liguria, specie la Val Bormida, con il basso Piemonte. Per un giovane valbormidese, infatti, fino a pochi decenni orsono e, talvolta, ancora ora era consueto completare i propri studi superiori proprio a Mondovì piuttosto che a Savona, appoggiandosi sull’ottima tradizione dei collegi religiosi locali e la grande reputazione degli istituti superiori monregalesi. Nicola Duberti, attraverso l’ausilio di interessanti immagini proiettate, ha poi gettato nuova luce sui più antichi rapporti tra questi territori, legati spesso alle cosiddette “vie del sale”, percorsi commerciali attraverso i quali si muovevano comunque uomini, culture, idee. Del resto non è un caso che il M piatto principe piemontese, la bagna cauda, veda come principale ingrediente proprio le acciughe che provengono dal Mar Ligure. Quando si è affrontato specificamente il tema delle parlate francoprovenzali e dei dialetti è intervenuto sul palco anche il nostro socio Mauro Bico, esperto di dialettologia e linguistica italiana. Oltre a numerose poesie in monregalese lette da Bertolino e alcuni altri testi di Arneodo proposti dai presenti, scritti nel misterioso dialetto che mescola il piemontese all’antica lingua d’Oc, abbiamo potuto ascoltare le simpatiche poesie del Menichelli che, sotto un non celato accento foggiano, nascondono termini e costruzioni sintattiche tipicamente occitani. Nulla di preciso si sa sulle origini di questa isola linguistica, probabilmente legata allo stanziamento di francesi durante la dominazione angioina del XIII secolo o ad un più tardo stanziamento valdese nel Quattrocento e al generale conservatorismo culturale dei pesi di Celle e Faeto, che sorgono in luoghi isolati dell’Appennino. La serata ha quindi sottolineato che anche la difesa e la valorizzazione della cultura locale spesso coincide con la comprensione di quanti legami storicamente esistono tra uomini e territori non solo a livello extra-locale ma anche su scala ben più vasta. 12 Anthia Libri di Liguria 2012 La cultura da bere e da mangiare di Andrea Carpi na intera giornata dedicata ai sapori e ai saperi. Mercoledì 29 agosto Peagna e Ceriale hanno ospitato un lungo appuntamento con il gusto e la cultura enogastronomica, un evento inedito nella pur decennale tradizione degli Amici di Peagna, che ha trovato la risposta di un pubblico entusiasta. Durante il pomeriggio, mentre gli autori incontravano i lettori all’interno di locali ed esercizi commerciali di Ceriale, a Peagna si preparava l’apericena in terrazza: un happening curato dall’associazione Ligustibus e da 100prodotti, che ha permesso di intrattenere oltre cento persone con piatti particolari e vini di qualità, tutto rigorosamente di origine ligure, in attesa dell’incontro serale con gli autori in Auditorium. Un gustoso aperitivo per una serata ricca di contenuti: sul palco sono saliti Domenico Abbo, sindaco di Lucinasco ed esperto di olio extravergine di oliva; Sergio Rossi, erede e continuatore del lavoro di Giovanni Rebora e autore (tra gli altri) di un libro sulle cento bellezze della Pasqualina; Umberto Curti, esperto di marketing territoriale e curatore di una pubblicazione sulla focaccia genovese e sugli altri, cosiddetti, finger food alla ligure; Mauro Carosso e Roberto Marro, sommelier dell’Ais Piemonte, che a quattro mani hanno firmato una esauriente e completa guida ai vini della Liguria. Un parterre d’eccezione che ha dialogato per quasi due ore di molti e diversi temi legati alla cultura enogastronomica. Cinque autori che si sono trovati in alcuni casi d’accordo, per esempio nel sostenere l’importanza della qualità nella produzione agroalimentare e nella proposta enogastronomica di una regione come la Liguria, che per le limitate dimensioni territoriali e le caratteristiche orografiche deve necessariamente puntare all’eccellenza per emergere; ma anche cinque diversi punti di vista, tutti originali e interessanti, su alcune questioni: la produzione e la distribuzione dell’olio e.v.o., campo nel quale la cultura media è ancora molto indietro rispetto, per esem- U pio, al vino, o il ruolo che Slow Food e le sue emanazioni commerciali hanno avuto e ancora hanno nella salvaguardia di determinate tradizioni e produzioni. Particolarmente interessante, poi, si è rivelato il punto divista dei due ospiti piemontes, capaci di leggere la realtà ligure in modo necessariamente diverso e originale: come mai - si chidevano e chiedevano agli altri ospiti Marro e Carosso, è così difficile trovare una carta dei vini liguri nei vostri ristoranti, come mai certi prodotti hanno così poca visibilità, quasi i liguri non li ritenessero all’altezza di altri importati da regioni diverse? E se qualche momento di ilarità è emerso nel raccontare al pubblico caratteristiche (e nefandezze) del pesto che si trova in commercio, in Italia e all’estero, gli ospiti della serata hanno ritrovato unità di visione nel constatare, amaramente, quanto la Regione Liguria e in generale le istituzioni liguri siano indietro sul fronte della comunicazione e del marketing rispetto al podotti - pur ottimi - che la nostra regione offre. Una lacuna storica e culturle che, insieme alle dimensioni ridottissime delle aziende agricole liguri e alla burocrazia, che rende difficile ogni cosa e rallenta il lavoro di imprese quasi sempre familiari, non permette all’enogastronomia ligure di avere il ruolo di primo piano a livello nazionale che pure meriterebbe. 13 Anthia Libri di Liguria 2012 La musica degli Uribà sul palco di Peagna di Mauro Bico a sera del 30 agosto 2012 si è tenuto un incontroconcerto con gli Uribà, un nuovo gruppo musicale che si occupa di canti popolari liguri e non. Prima del concerto l’animatore del gruppo Davide Baglietto (polistrumentista che suona vari tipi di cornamuse come musette du centre, ceccola polifonica e whistle) ha chiacchierato con Mauro Bico e Massimiliano Guido sull’importanza del recupero e della conservazione del repertorio musicale della tradizione popolare. Innanzitutto il gruppo si è dato il nome dialettale Uribà, che significa “alloro” in molti dialetti locali della zona tra Albenga e Andora e il disco si intitola ironicamente QB, ‘Quanto basta’, la vaga indicazione dei ricettari in merito alla quantità di certi ingredienti, come per l’appunto l’alloro, lasciata all’arbitrio di chi cucina. QB assembla canzoni e melodie provenienti dalla zona alpina ligure (da Cadibona fino a Cima Marta, come recita la fascetta interna del disco), che vengono riarrangiate dal gruppo con un gusto più contemporaneo e fatte dialogare con composizioni originali, create sull’onda dell’ispirazione dettata dal contatto con questi “reperti” della tradizione. Le fonti sono state sia le registrazioni raccolte sul campo da etnomusicologi di fama come Alan Lomax, Giorgio Nataletti, Mauro Balma e Paul Collaer, sia da testimoni scritti (raccolte di canti e folklore locale). In particolare il disco permette di riascoltare filastrocche provenienti dalle valli ingaune Arroscia, Lerrone e Pennavaire, come Vaggu aa fera, “Vado alla fiera” e Puve de l’oru “Polvere dell’oro”, rispettivamente un canto di festa e una serie di strofe nonsense. Sono presenti anche le ninne nanne Adormite Cuumbu della valle Argentina (quella di Taggia e Triora) e O ciucciarella, proveniente dalla Corsica, che sappiamo presentare, nella zona centro meridionale, un dialetto (o lingua?) simile al ligure. La pulayera, “La pollivendola” e Laggiù in fondo a quel boschetto vengono da Realdo, nell’altis- L sima Valle Argentina, zona alla quale ha dato grandi contributi scientifici Pierleone Massajoli, studioso del brigasco e delle tradizioni popolari del ponente ligure. A Massajoli è stato esplicitamente dedicato il pezzo Don Pirrone, storia da lui stesso raccolta, che parla di un prete che ha rovinato in modo nefando la gioventù dei brigascòn. Puve de l’oru, filastrocca nonsense di Casanova Lerrone, paese nell’entroterra di Albenga, che il gruppo ha adattato su una melodia in 7/8 dal “sapore” balcanico (come affermano gli stessi musicisti). Il testo rimescola momenti della vita contadina: felici come quando la “bianca Maria” dice a me spetu me paire cu veggne a cà, da-a lumbardia, u me purtià scarpe scarpette, pendìn d’oru e da indurà (‘aspetto mio padre che viene a casa dalla Lombardia/ mi porterà scarpe e scarpette, orecchini d’oro e da indorare’); tristi come nel caso della “muie du spessià” che “a l’è in tu lettu ch’a sta mà”. Gli animali, come numi tutelari, sono onnipresenti nei ritornelli: U gallu u canta risponde a gaìna (‘il gallo canta risponde la gallina’) e U ruscignö da-a gamba sutì nu me lasscia mai durmì (‘l’usignolo dalla gamba sottile non mi lascia mai dormire’). Il canto tira in ballo anche momenti del lavoro maschile e femminile, delle nostre nonne e bisnonne casalinghe. 14 Anthia Libri di Liguria 2012 L’agricoltura del Ponente ligure di Francesco Gallea idea di un incontro sul tema dell’agricoltura è stata suggerita, oltre che dal rilievo economico del settore, anche dall’alto numero di testi relativi all’olivicoltura, floricoltura, orticoltura e viticoltura, editi recentemente. L’incontro serale non ha avuto uno sviluppo tecnico, ma ha affrontato i problemi del settore dal punto di vista culturale. Hanno partecipato al dialogo M. R. Benedetti (Coltivatori diretti), Luigi Bodini (olivicoltore), Davide Michelini (florovivaista) e Giovanni Minuto (Direttore del centro sperimentale Camera di Commercio di Savona). Anzitutto sono stati resi pubblici i numeri della produzione agricola del ponente ligure. Per l’orticoltura: 40270 tonnellate di ortaggi; per la floricoltura: 38 milioni di vasi fioriti, 63 milioni di aromatiche, 480 milioni di fiori recisi e 421 milioni di fronde recise. Già queste cifre fanno comprendere l’importanza economica del settore. Il dialogo però ha toccato temi più specifici, come la salvaguardia del suolo agricolo, minacciato fortemente da una dissennata espansione edilizia che mette in crisi la piramide economica a scapito dell’economia primaria; il ricambio generazionale nel settore agricolo, nel quale i giovani imprenditori sono solo il 6% del totale; l’usurpazione dei marchi e delle denominazioni, piaga che coinvolge tutto il made in Italy agroalimentare, nonché il problema della contraffazioni, soprattutto per l’olio extravergine di oliva; la difesa di prodotti caratteristici (che nel Ponente non mancano, come il chinotto di Savona, l’ asparago violetto della piana di Albenga, le rape della Val Pennavaire, le ciliegie di Castelbianco, le albicocche di Valleggia e tanti altri ancora); i rapporti tra la scuola agraria e il mondo della ristorazione, una cooperazione, ancora minac- L’ ciata dall’individualismo, chiara contraddizione per un mondo come quello contadino che, sul piano festivo e sacrale, sente forti i vincoli sociali; il cambiamento nei gusti del consumatore e la riscoperta di sapori antichi. Come si può notare si tratta di argomenti importanti, che rientrano a pieno merito in un discorso di cultura. Oggi le nuove tecnologie e la crescita di nuove consapevolezze propongono progettualità e approcci di collaborazione comprensionale più rilevanti del passato. Un particolare spazio nel dialogo è stato riservato al settore dell’olivicoltura, campo in cui esiste una varietà qualitativa regionale notevole (oltretutto protetta da una delle pochissime dop liguri) e allo stesso tempo un rischio altissimo di contraffazioni. L’olio extravergine d’oliva ligure genuino ha caratteristiche di gusto eccezionali, è stato valorizzato da produttori accorti, e spesso è legato ad aziende piccole e piccolissime, magari aziende agrituristiche con vendite dirette che promettono riduzioni di prezzo nella filiera, con guadagni maggiori per i produttori, sicurezza dei prodotti e risparmio per i consumatori. Lo slogan degli olivicoltori è “L’olio ligure extravergine condisce la vita” 15 Anthia Libri di Liguria 2012 Le immagini della rassegna 16 Anthia Nella pagina a fianco: - Il cantautore Franco Boggero e il pianista Mauro Spiccio sul palco dell’Auditorium, il 26 agosto; - Il taglio del nastro: l’assessore regionale al Turismo Angelo Berlangieri, l’assessore provinciale Roberto Schneck e il sindaco di Ceriale Ennio Fazio aprono ufficialmente la rassegna In questa pagina: - Due immagini di Casa Girardenghi, prima dell’inaugurazione e con il pubblico intento a consultare la raccolta - L’architetto Piero Fantoni nella serata dedicata ai musei 17 Anthia 18 Anthia Nella pagina a fianco: - Dopo la serata dedicata all’enogastronomia, il pubblico partecipa al buffet nella piazza di Peagna offerto da alcuni esercizi commerciali di Ceriale - Stefano Gallino, uno degli auori intevistati da Francesco Gallea nella serata dedicata al mare - Remigio Bartolini e Yvonne Fracassetti dell’associazione “Spigolatori” di Mondovì raccontano i legami tra Liguria e Piemonte In questa pagina:, - Uno dei componenti del gruppo degli Uribà si esibisce al contrabbasso durante la performance del 30 agosto sul palco di Peagna - Francesco Cavanna, con il suo romanzo “L’uomo che non contava i giorni” (Mondadori) ha vinto il premio “Libro ligure dell’anno” per il 2012. Il riconoscimento è stato consegnato da Marinella Fasano, assessore del Comune di Ceriale 19 Anthia Beni culturali Luoghi, arti, tradizioni, uomini illustri La Liguria dei musei di Monica Bruzzone È facile riconoscere la Liguria nell’immagine scabra della scarsa lingua di terra che orla il mare e chiude la schiena arida dei monti; morsa dal sale. Nella realistica visione poetica di Camillo Sbarbaro si colgono due questioni senza tempo che sintetizzano la regione nelle sue caratteristiche geologiche e topografiche ma anche nel carattere delle sue genti: i monti, il mare e in mezzo a essi tutta la vita di una terra ostica e faticosa da attraversare tanto quanto dura da conoscere fino in fondo. Troppo densa e al tempo stesso, a tratti, troppo sottile, la Liguria è un bricolage d’infinite culture e immagini di mondi analoghi, luogo di confine dove l’arrivo e la partenza dal mare non sono fenomeni migratori recenti, ma attitudini secolari, dove il rapporto con la montagna che incombe a ridosso della costa è incessante lotta per l’equilibrio tra l’uomo e il territorio, dove la gravità e la leggerezza sono atteggiamenti opposti, ma quasi sempre compresenti nelle azioni che gli uomini compiono, da tempi remoti, per addolcire o addomesticare questi luoghi. Gli orizzonti di paesaggio, il ritmo interrotto di città e paesi che costruiscono l’arco di costa e il suo l’entroterra dall’estremità occidentale della Mortola fino a Ortonovo al confine con la Toscana, sono come microcosmi circoscritti e bene identificati, caratterizzati da riferimenti particolari, suggestioni o emozioni che preludono e presuppongono una specifica visione poetica. Il racconto di questa varietà culturale e la narrazione delle sue molte declinazioni, sono azioni indispensabili se non si vuole disperdere l’importante patrimonio di memorie collettive, di tradizioni colte e popolari, di tecniche e di produzioni locali che hanno caratterizzato il costruirsi di identità particolari fin dai tempi più lontani. La forma della città storica, la tipologia delle sue architetture, i toponimi che legano con filo robustissimo i luoghi alle loro origini arcaiche, sono segni della storica combi- ne tra uomo e terra, le cui radici permangono oggi nelle consuetudini, nelle tradizioni materiali, nei riti sociali. Proprio ai musei può essere affidato l’incarico narrativo di farsi custodi e portavoce delle molteplici e spesso poco note vocazioni culturali liguri. André Malraux, nel libro “Il museo dei musei” indicava nell’origine del luogo per esporre, il bisogno condiviso dalla società di conservare ed esibire gli oggetti dell’arte e i patrimoni delle culture, poiché strumenti di crescita civile. Il museo era così un interlocutore privilegiato in cui ogni oggetto, perse per sempre le relazioni formali con la società che l’aveva prodotto, acquisiva il nuovo significato di indagare le identità contemporanee a partire dai resti di un passato lontano e in questo modo permetteva di ottenere nuove consapevolezze per il futuro. Da un censimento compiuto grazie a Icom Liguria nell’anno 2011, è emerso un dato significativo: nella regione vi sono oltre 230 istituzioni che conservano e espongono al pubblico le proprie collezioni e che possono almeno in senso lato essere definite museo. Oggi, quasi due anni dopo quella ricerca svolta anche grazie alla collaborazione scientifica dell’Università di Parma, si sono inaugurati in Liguria almeno 10 nuovi musei. Tutte queste realtà, proprio come recita la definizione data dall’Icom, vanno intese come istituzioni permanenti (…) al servizio della società e del suo sviluppo, il cui compito principale è testimoniare l’importanza degli innumerevoli microcosmi che compongono l’identità ligure. La “scoperta” di un patrimonio tanto vasto ha effettivamente colto di sorpresa, in una regione dove i grandi musei, quelli ben noti anche a livello internazionale, sono invece molto pochi. Un turista che ad esempio arrivasse a Genova, potrebbe visitare l’Acquario e il Galata Museo del Mare, entrerebbe ammirato nei musei di Strada Nuova, grazie anche al ruolo divulgativo dell’Unesco che li ha inclusi tra i luoghi patrimonio dell’umanità. Vedrebbe il piccolo gioiello del museo del Tesoro di San Lorenzo, il museo di Palazzo 20 Anthia Reale, il museo di Storia Naturale Doria, o il museo del Risorgimento in via Lomellini, ma già avrebbe alcune difficoltà, se non informative almeno logistiche, a recarsi nell’eccezionale polo museale di Genova Nervi che ospita anche la Galleria d’Arte Moderna e la collezione Wolfsoniana d’arti decorative; oppure nel museo archeologico di Pegli, straordinariamente ricco di reperti e collocato nell’eccezionale - oggi purtroppo decadente - cornice di Villa Pallavicini. Infine, anche il turista meglio informato, avrebbe non pochi problemi ad apprezzare la presenza di piccoli ma significativi poli espositivi come la casa museo dello scultore Luigi Venzano a Sestri Ponente, il museo garibaldino a Quarto dei Mille, e i musei delle arti sacre: dal più noto in Santa Maria di Castello ai musei diocesani di Genova e di Chiavari. Bisogna rilevare così che se gli oltre 230 musei della Liguria sono quasi tutti custodi di eccezionali specificità culturali, ma anche di vere e proprie vocazioni collettive, al tempo stesso molti di essi sembrano volersi appropriare di una caratteristica tipica del territorio ligure e dei suoi abitanti: quella dell’impenetrabilità. La loro capacità di raccontare infinite storie, la loro seduttività nel mettere in scena le differenti tradizioni e nel curare gli aspetti educativi delle collezioni, si scontra con un’inspiegabile chiusura culturale, che vede molti piccoli musei non adeguatamente valorizzati proprio perché difficili da raggiungere o peggio ancora perché sconosciuti anche alla cittadinanza. Riprendere il filo conduttore di alcune vocazioni culturali della Liguria diventa, proprio per questo motivo, un’azione importantissima al fine di conoscere e far conoscere i musei come patrimonio comune, archivi inesauribili di risorse educative e conoscitive, ma anche luoghi piacevoli da vivere. Il mondo del collezionismo e, nel Il Museo del Tesoro di San Lorenzo, a Genova passato, del mecenatismo, ha dato alla Liguria un numero considerevole di musei d’arte. Questi, se da un lato fissano la fisionomia storico culturale del territorio poiché rappresentano approssimativamente il 26% dell’intero patrimonio museale ligure, dall’altro testimoniano il radicamento alla migliore tradizione museografica del XX secolo, grazie a capolavori come i musei di Palazzo Rosso e Palazzo Bianco a Genova, allestiti da Franco Albini quali irripetibili opportunità di inventare una nuova idea di spazio espositivo nel secondo dopoguerra. Non si può dire di conoscere il patrimonio culturale savonese se non si coglie, ad esempio, il ruolo dell’arte moderna e contemporanea. Come nel polo museale di Palazzo Gavotti, che ospita una pinacoteca storica ricca di autentici capolavori, quale è la Crocifissione di Donato de’ Bardi, ma che include anche la collezione Milena Milani in memoria di Carlo Cardazzo, una celebrazione del ruolo del gallerista con pregevoli pitture di De Chirico, Campigli, Fontana e Magritte. La Pinacoteca Levi di Alassio è uno spazio espositivo da non perdere: alcune stanze di Palazzo Morteo sono allestite appositamente per ospitare opere specifiche che Carlo Levi dipinse nei lunghi sog- giorni in Liguria e offre l’opportunità di apprezzare un’identità sospesa tra la vegetazione rigogliosa che si coglie nell’antropomorfismo dei celebri carrubi e il mare, che è quasi sempre un orizzonte sottinteso. Il Priamar ospita due eccellenti collezioni d’arte, sebbene l’inaugurazione dei nuovi spazi già allestiti sia ancora in sospeso: si tratta della collezione Renata Cuneo e di quella appartenente al Presidente della Repubblica Sandro Pertini, donata alla città dalla moglie Paola. Il nuovo museo mette a confronto due forti personalità grazie a un centinaio di opere del XX secolo di artisti come Morandi, Messina, Pomodoro, Vedova, Guttuso, Turcato, oltre naturalmente all’opera plastica di Renata Cuneo. Ma il luogo che ha davvero immerso la provincia di Savona nell’arte contemporanea, oggi chiuso e purtroppo quasi dimenticato, è il Centro Internazionale di sperimentazioni artistiche fondato a Boissano da Marie Louise Jeanneret, nipote del celeberrimo architetto Le Corbusier. Uno spazio dedicato alle avanguardie artistiche sperimentali che, sul finire degli anni Sessanta e nei primi Settanta, consentiva di respirare autenticamente lo spirito internazionale, con ospiti come Andy Wahrol, Vito Acconci, Mario e Marisa Merz, Den- 21 Anthia La Casa Studio Museo dello scultore Luigi Venzano a Genova Sestri Ponente nis Oppenheim e Georges Mathieu intenti a produrre arte, ma anche a dialogare e a trasmettere conoscenze. Anche il tema delle arti sacre vanta, nel savonese, eccellenze e piccole scoperte come il bel museo della Cattedrale di Noli e quello del Santuario di Nostra Signora della Misericordia, che testimonia la devozione popolare e il rito liturgico del passato grazie a un percorso riallestito nel 2009. Un’autentica vocazione della provincia è legata alle arti decorative in rapporto al ruolo di Albissola nella produzione ceramica del XX secolo. Il museo della ceramica Manlio Trucco, la fabbrica casa museo Giuseppe Mazzotti, il centro studi Asger Jorn purtroppo oggi chiuso al pubblico, sono insieme al giardino della fabbrica di ceramiche Ernan, luoghi dove la memoria di una tecnica produttiva si confronta con il ruolo artistico che la ceramica ha rivestito nella società del secolo scorso. Un ideale percorso attraversa quattro musei estremamente differenti per tipologia e con- cezione, ed è testimonianza di una vocazione forte, che ha avuto un’importanza senza eguali nella cultura e nell’economia albisolese. Vi è poi il Museo dell’arte vetraria Altarese, ospitato nell’edificio liberty di Villa Rosa, edificato all’inizio del XX secolo sul sedime di un’antica vetreria. Si tratta di uno spazio dedicato allo studio del vetro e dell’arte vetraria che, mettendo in scena il ruolo del vetro tra la metà del 1800 e il 1978, offre il pretesto per raccontare un sistema produttivo e una cultura materiale importante da conoscere. La vocazione per l’archeologia accomuna tutta la regione, con un numero di musei e siti distribuiti nelle quattro province, che rappresenta circa l’11% sul totale di musei. La Liguria è una terra antica, dove le città si costruiscono da sempre sopra sé stesse e dove ogni cantiere può trasformarsi in un inedito scavo archeologico: l’episodio più importante si verifica a Chiavari. Nel 1959 uno scavo edile porta alla luce acci- dentalmente una necropoli cineraria risalente all’età del ferro: spesso è proprio un evento fortuito a dare origine a un nuovo museo. Così accade a Vado Ligure per il piccolo museo Don Cesare Queirolo, oggi chiuso al pubblico, che racconta la storia più arcaica di Vada Sabatia. E così avviene nel ben più vasto museo del Priamar, dove le campagne di scavi degli anni Cinquanta nel nucleo antico di Savona sono divenute parte integrante del più vasto patrimonio allestito nelle sale del Civico Museo Storico Archeologico. Anche le antiche memorie di Albenga, l’antica Albingaunum, sono oggi conservate nei locali del Palazzo Vecchio e nel Battistero del duomo, così come i ritrovamenti archeologici del Parco del Beigua hanno sede all’interno della mostra permanente di Alpicella, vicino Varazze. Eppure la Liguria è stata teatro, specie nel passato, di campagne di scavo di notevole importanza, a partire dalle spedizioni ottocentesche 22 Anthia per giungere alla figura autorevole dell’archeologo Nino Lamboglia. Vi sono due musei che vale la pena visitare in un ideale itinerario dedicato all’archeologia savonese. Si tratta del museo Navale Romano di Albenga, e del Museo Archeologico del Finale. Il primo è un luogo dedicato all’archeologia marittima e ai ritrovamenti subacquei nell’albenganese e nel dianese. I resti di una nave oneraria risalente al I secolo a.C. affondata nei pressi dell’isola Gallinara diventano occasione di scoprire l’importanza degli antichi scambi commerciali ma anche opportunità di conoscere lo speciale legame che avvicina la Liguria al suo mare. Il Museo del Finale, che ha sede nel complesso di Santa Caterina a Finalborgo, è invece una piccola perla della museografia ligure. Esso conserva reperti rinvenuti in oltre un secolo di campagne di scavo, a partire dai resti preistorici delle numerose grotte del savonese e dell’imperiese, fino a comprendere collezioni d’età romana e medievale. La grande qualità del museo di Finale è proprio la sua capacità di rinnovarsi e valorizzare attraverso mostre, eventi, attività rivolte alle scuole, l’archeologia come disciplina che può coinvolgere e appassionare un pubblico molto eterogeneo. Uno speciale spaccato di storia moderna può essere visitato nel piccolo museo Napoleonico. Il borgo di Millesimo, nell’entroterra savonese, è stato teatro di una celebre vittoria di Napoleone Bonaparte. Il museo, che viene visitato annualmente da turisti francesi appassionati di storia prima ancora che dai savonesi, offre una testimonianza autorevole delle battaglie napoleoniche di Cairo Montenotte, Dego, Cosseria, attraverso documenti e oggetti, ma soprattutto con le pregevoli rappresentazioni del pittore topografo Giuseppe Pietro Bagetti. Esporre gli oggetti come testimonianze di una cultura popolare condivisa e oggi perduta, ha un valore speciale nella memoria collettiva: quello di restituire ad alcuni manufatti, ma anche a documenti e ricordi individuali un nuovo significato comune. Perdute per sempre le connessioni funzionali con la società d’oggi, i resti della cultura materiale di un tempo possono diventare simboli di un’identità da non disperdere. I primi musei che nascono in Liguria con questa finalità, riguardano la cultura contadina. Il rapporto con la coltivazione è sempre stato sinonimo di lotta con il pendio, con gli agenti atmosferici, con la terra stessa. La variazione culturale che a metà del XX secolo ha permesso all’agricoltura italiana di adottare nuove tecniche, ha decretato in Liguria, orograficamente svantaggiata all’impiego dei macchinari moderni, la fine dell’agricoltura come risorsa economica e l’abbandono generale delle terre alte d’Appennino. Il primo esempio di museo della cultura contadina nasce a Monteghirfo, nella val Fontanabuona nel 1975. È l’artista Claudio Costa che, insieme al pittore Aurelio Carminati decide di costruire, su modello di quanto già stava avvenendo in Francia, un’installazione di oggetti, arredi e strumenti all’interno di una casa contadina, come opportunità narrativa utile alla memoria collettiva. I cosiddetti musei della società rappresentano quasi il 30% dell’intero patrimonio della Liguria. Un dato importante se si considera che quasi tutti i musei di nuova inaugurazione hanno per tema le culture popolari, da quella contadina, a quella produttiva alla gastronomica all’antropologia. Il museo della 500 Dante Giacosa è quasi un luogo di culto con cui il paese di Garlenda celebra il progettista della più nota utilitaria italiana. Si tratta di uno spazio multimediale in cui all’esposizione di oggetti si alternano postazioni per visionare filmati e documenti d’archivio, ma anche due simulatori che permettono a tutti di sperimentare la guida del mitico au- toveicolo. La cultura dei mestieri tradizionali è rappresentata a Savona dal museo dell’olivo di Arnasco, dal museo etnografico della Val Varatella di Toriano, che racconta i mestieri tradizionali tra cui anche la produzione dell’olio, dal Museo di Rialto incentrato sulla civiltà contadina, e dalla mostra permanente sulla civiltà dell’olivo dell’oleificio Sommariva, che racconta come la produzione dell’olio sia un fatto culturale prima ancora che un dato economico. Una produzione eccezionale da valorizzare riguarda gli orologi da Torre della storica ditta Bergallo. Oggi nel piccolo centro di Tovo San Giacomo, di quell’attività produttiva che tra il 1860 e il 1980 ha costruito una ricchezza e un’autentica tradizione si trova il piccolo ma importante museo dell’orologio da Torre, un luogo da scoprire. Mentre si osserva come i musei delle arti, delle scienze, degli uomini e dei territori siano già oggi accomunati da una convergenza di destini, non si può che considerare, a partire da questo viaggio nella Liguria dei musei, quanto il ruolo dell’esporre sia oggi cambiato. Persa per sempre la monoliticità ottocentesca di un luogo che custodisce e trasmette attraverso gli oggetti l’eterogeneità di infiniti saperi, il museo diviene sede di nuovi contenuti semantici. La lettura della realtà ci dimostra che oltre alle arti e alle scienze possono essere messe in scena pure le narrazioni di eterogenee storie. Storie di uomini e di territori, di produzioni e di imprese, di tradizioni colte, ma anche di tradizioni popolari e di riti collettivi che sembrano ricalcare con la loro varietà, la complessità della società contemporanea. Quasi che ogni soggetto esposto possa rappresentare, prima ancora che un oggetto d’arte o di artigianato, un frammento irripetibile della propria cultura.. 23 Anthia Beni culturali La diagnostica scientifica nella conservazione dei beni culturali di Angelita Mairani O rmai sempre più frequentemente il restauro di un’opera d’arte prevede il conseguimento di una approfondita e precisa conoscenza sia dei materiali costitutivi che dei fenomeni e dei sottoprodotti di alterazione e degrado, nonché dei residui di precedenti interventi succedutisi nei secoli. Inoltre, esistono materiali (quali pigmenti, consolidanti, adesivi, protettivi) il cui impiego è circoscrivibile ad un ben determinato periodo: tali materiali possono quindi agire quali “indicatori cronologici” e la loro identificazione permette spesso di circoscrivere la datazione dell’opera, ponendo delle date “ante-quem” o “post-quem” circa la sua composizione. A tale scopo, le indagini scientifiche rappresentano una fonte di informazioni importanti: la corretta impostazione di una campagna diagnostica può dunque essere un passaggio utile, e spesso fondamentale, all’interno del progetto di restauro. L’individuazione delle finalità analitiche, la tipologia di indagini strumentali necessarie, la scelta dei punti e delle modalità di campionamento sono alcune delle fasi della campagna diagnostica e devono essere accuratamente pianificate in pieno accordo tra le diverse figure professionali coinvolte. Purtroppo, spesso le indagini diagnostiche vengono commissionate quando le operazioni dell’intervento conservativo sono già in corso, come tentativo ultimo di risposta a problematiche contingenti altrimenti non risolvibili. In realtà il progetto diagnostico dovrebbe andare di pari passo con il progetto di restauro vero e proprio, e prevedere campagne conoscitive a monte, controlli in corso d’opera e verifiche finali. La messa a punto della più corretta metodologia diagnostica, in grado di ottimizzare la quantità e la qualità delle informazioni ricavate nel rispetto del criterio di minima invasività, di solito nasce dalla collaborazione quanto più stretta possibile tra le diverse figure professionali coinvolte: storici dell’arte, architetti, archeologi, restauratori ed esperti scientifici devono pertanto dialogare con linguaggi comuni. Per questo motivo la formazione delle professionalità è importante: non è sufficiente il titolo di studio, ma è necessaria una esperienza approfondita nel settore per acquisire quella sensibilità che permette di comprendere le diverse e complesse esigenze di un settore così particolare come quello del restauro dei manufatti di interesse artistico. In termini generali, qualunque tecnica di tipo diagnostica si basa sull’interazione tra radiazione e materia: un’onda elettromagnetica che investe un corpo è in grado di sollecitare quest’ultimo in modo diverso a seconda delle caratteristiche fisiche della radiazione incidente e delle proprietà chimico fisiche del materiale indagato (fig.1). In considerazione delle informazioni che si desiderano, si dovranno scegliere tipi differenti di radiazioni (luce visibile, ultravioletta, infrarossa, RX, fasci elettronici ecc.), canalizzate sulla superficie del materiale da investigare in modo diverso a seconda della specifica apparecchiatura. Una volta effettuata la scelta della tecnica strumentale da applicare, la risposta diagnostica dipenderà dalla natura e dalle caratteristiche dell’oggetto sottoposto ad analisi. Le indagini scientifiche possono essere suddivise in due categorie: tecniche non invasive, ovvero misurazioni per lo più di tipo ottico e fisico per le quali non è necessario il campionamento di materiale dall’opera; tecniche micro-distruttive, ovvero analisi chimiche, mineralogiche, biologiche ecc. che prevedono l’asportazione di uno o più campioni. E’ evidente che, laddove non strettamente necessario, si debba evitare di prelevare parti, per quanto 24 Anthia piccole, di opere d’arte. Ma è altresì vero che la quantità di informazioni che si possono ottenere da una analisi micro-distruttiva è estremamente ampia e sicuramente più esaustiva per la conoscenza dei materiali, della tecnica pittorica e dello stato di conservazione dell’opera stessa. Al fine di ridurre al minimo il numero di campionamenti, è buona norma prevedere l’impiego di tecniche non invasive all’inizio della campagna diagnostica (spesso le informazioni ricavate sono già sufficienti per una approfondita conoscenza del manufatto), e solo successivamente passare eventualmente alla fase di campionamento. Esistono anche analisi chimiche che possono essere considerate a tutti gli effetti tecniche non invasive, per quanto i risultati che forniscono siano in molti casi dati non specifici, ovvero non perfettamente localizzabili all’intero spessore della porzione di materia indagata. Tali tecniche mancano cioè del senso della profondità, per cui sono in grado di caratterizzare la presenza di un determinato materiale ma non di identificarlo nella complessa stratigrafia che un’opera, ad esempio policroma, presenta solitamente: preparazione, imprimitura, varie stesure pittoriche, velature, ridipinture, verniciature, patine o patinature. Inoltre, tali tecniche registrano un valore mediato sulla profondità del materiale attraversato, che rischia di essere poco significativo da un punto di vista anche quantitativo, soprattutto in particolari casi o in presenza di determinate specie chimiche, come ad esempio nel caso della presenza di specie saline all’interno di materiali lapidei naturali o artificiali. Nonostante tali limiti, queste tecniche risultano spesso utilissime per risolvere un’ampia serie di interrogativi e permettono di limitare il campionamento solo ai punti non risolti. Per quanto riguarda invece le indagini micro-distruttive, come accennato precedentemente le modalità ed i quantitativi di materiale da prelevare sono parametri da scegliere a seconda delle esigenze specifiche e del tipo di informazioni richieste, ma anche della strumentazione analitica che si intende utilizzare o della sequenza di analisi a cui il campione deve essere sottoposto. La scelta dell’appropriata metodologia di campionamento è di solito fondamentale per la buona riuscita dell’intera campagna diagnostica (fig. 2). Più specificamente, se è necessario analizzare solo la parte superficiale del manufatto (depositi atmosferici, patine o patinature, trattamenti protettivi, vernici) il campione deve essere prelevato sottoforma di polvere, ponendo particolare attenzione affinché non venga “inquinato” dagli strati sottostanti. Se invece la campagna diagnostica prevede la caratterizzazione massiva dei materiali costitutivi, il campione dovrà essere prelevato in forma di frammento; se poi è necessario identificare la natura di più strati, il frammento dovrà essere inglobato in opportuna resina e tagliato perpendicolarmente così da ottenere una sezione lucida in 25 Anthia cui sia ben evidente la successione stratigrafica. Tale allestimento ha senso se la metodologia analitica a cui il campione viene sottoposto è associabile a tecniche di microscopia che consentano di controllare che l’acquisizione dei dati venga fatta distintamente strato per strato. In caso contrario, si deve procedere con un prelievo selettivo e multigraduale, che raccolga e poi analizzi separatamente strato per strato. Un caso particolarmente interessante di approfondimento diagnostico, che ha visto la stretta collaborazione tra vari istituti di ricerca, è stato quello del Polittico della Cervara di Gerard David (1506). La mostra che si è tenuta nel 2005 ha visto per la prima volta riunite le tavole appartenute al grandioso complesso della Cervara: la Madonna col Bambino, il San Gerolamo, il San Benedetto, e la Crocifissione, conservate presso il Museo di Palazzo Bianco di Genova, l’Angelo annunciante e la Madonna annunciata del Metropolitan Museum of Art di New York, e la lunetta con Dio Padre benedicente fra due cherubini proveniente dal Musée du Louvre di Parigi. L’evento ha offerto l’occasione di nuove riflessioni sulle vicende legate alla commissione del polittico, sul significato che esso assunse all’interno della produzione di Gerard David, e sulla tavolozza e la tecnica dell’autore, che sono state indagate grazie all’attenta pianificazione di una campagna diagnostica. Una prima campagna di indagini non invasive, ha consentito di raccogliere informazioni fondamentali per una migliore conoscenza del manufatto. La tecnica della riflettografia infrarossa ha permesso di mettere in luce il disegno preparatorio e di considerare il lavoro del pittore fiammingo a confronto con quello di altri maestri precedenti o coevi, tracciando importanti parallelismi per la comprensione del modus operandi degli artisti di quell’ambito. La radiografia ha parallelamente permesso di verificare la presenza di più strati preparatori al di sotto della pellicola pittorica superficiale e di evidenziare un sapiente impiego dei materiali pittorici: in particolare, l’identificazione della biacca – fortemente radiopaca – è associata alle campiture più luminose mentre, conformemente alla tecnica fiamminga, gli incarnati vengono ottenuti facendo trasparire il biancore della sottostante preparazione a base di carbonato di calcio (fig. 3). I pannelli sono stati analizzati anche per mezzo della dendrocronologia, confermando il 1502 come data post quem per la realizzazione dell’opera. Dopo l’indagine radiografica e riflettografica, si è proceduto con l’analisi della superficie per mezzo della fluorescenza X (XRF), che ha fornito spettri elementari attraverso i quali identificare la natura chimica dei pigmenti impiegati. Poiché tale tecnica manca del senso di profondità, per stabilire la collocazione stratigrafica dei materiali si è proceduto ad ispezionare i pannelli attraverso un’ampia campagna di microfotografie, che hanno evidenziato e spesso chiarito la complessa composizione degli impasti cromatici. Questa prima parte di indagini, 26 Anthia condotta con metodi non invasivi, ha portato a limitare i dubbi residui a cui cercare risposta attraverso l’analisi stratigrafica di campioni selettivamente prelevati. I frammenti sono a tal scopo stati inglobati per ottenere una sezione lucida, osservati e fotografati al microscopio ottico, e quindi analizzati al microscopio elettronico a scansione (SEM) associato a microsonda EDS per la caratterizzazione elementare dei materiali presenti. Tale indagine ha fornito risposte interessanti non solo per l’identificazione della tavolozza, ma soprattutto per comprendere alcuni aspetti peculiari della tecnica pittorica. I risultati delle analisi hanno permesso di rilevare una tecnica omogenea in tutti i pannelli indagati; l’uniformità riscontrata nei modi di costruzione della pellicola pittorica sembra escludere la possibilità che Gerard David abbia delegato parte del lavoro agli aiuti di bottega, se non negli scomparti laterali, la cui stesura più sommaria può far pensare all’intervento di un collaboratore. La tecnica osservata, pur coerente con la coeva pittura fiamminga, presenta alcune particolarità che testimoniano la complessità e l’accuratezza con cui il polittico fu concepito e realizzato. Il dato più interessante riguarda l’uso di una vernice pigmentata con terre brune, impiegata dall’artista per abbassare i toni cromatici (per esempio nelle ombre degli incarnati e dei panneggi o negli effetti crepuscolari degli sfondi, in particolare quello della Crocifissione) (fig. 4). Un altro aspetto che merita di essere segnalato è la particolarità della preparazione pittorica: i campioni analizzati con il SEMEDS comprendevano gli strati preparatori nella loro completezza, a partire dalla base di carbonato di calcio tipica delle prepa- razioni di area fiamminga. Il dato sorprendente riguarda lo strato di imprimitura sovrastante che, oltre a contenere come di consueto molto materiale organico e biacca, ha mostrato, nei prelievi provenienti da campiture verdi, la presenza di una certa quantità di solfato di calcio, ossia di quel gesso che caratterizza in modo inequivocabile le preparazioni di ambito italiano. Questo aspetto, che deve essere tuttavia ulteriormente indagato nel tentativo di riuscire a trovare maggiori riscontri anche in altre opere, rappresenterebbe la prova di una sorta di “contaminazione” tecnica, stimolata da una personale esperienza dell’autore con la pittura italiana. Solo ulteriori ricerche potranno confermare se davvero Gerard David ebbe modo di entrare in contatto con autori italiani, scambiando e sperimentando con essi materiali e metodi operativi. Bibliografia: M. Matteini, A. Moles, Scienza e Restauro. Metodi di indagine, Nardini Editore, Firenze, 1990 A. Aldrovandi, M. Picollo, Metodi di documentazione e indagini non invasive sui dipinti, Il Prato Editore, Collana I Talenti, Padova, 2007 S. Volpin, L. Appolonia, Le analisi di laboratorio applicate ai beni artistici policromi, Il Prato Editore, Collana I Talenti, Padova, 1999 G. Luciano, A. Mairani, E. Pedemonte, E. Princi, S. Vicini, Analisi chimiche su campioni prelevati dal Polittico della Cervara, Palazzo Bianco, Genova in Il Polittico della Cervara di Gerard David, AA.VV., a cura di Clario di Fabio, Silvana Editoriale, Milano, 2005 27 Anthia Arte Omaggio al Bambino Gesù Tra Loano e Biella di Claudia Ghiraldello S ul finire del Cinquecento parecchi artisti toscani raggiunsero Genova. Da Lucca, tra gli altri, venne Benedetto Brandimarte. Genova, come ricorda il Torriti, in quel tempo non aveva una batteria di artisti locali, dunque si adattò ad accettare “il raffinato, talvolta bizzarro ed irrequieto manierismo di questi toscani che pur tenendo salda l’impostazione data loro dalla prima maniera, si abbandona(va)no a delicati trapassi pittorici e chiaroscurali, ad esperienze di un cangiante cromatismo dal quale oltre che il romano non era certo estraneo l’insegnamento veneto”. Di Benedetto non si conosce la data di nascita né quella di morte. Secondo il Martini fu allievo di Agostino Garlanda da Fivizzano. Giunse a Genova al servizio di Gio. Andrea Doria grazie al suggerimento del segretario del principe lucchese Pompeo Arnolfini. Nel 1581, il 12 ottobre, il nostro pittore sottoscrisse a Lucca l’atto con cui accettava di mettersi a stipendio del Doria per 120 scudi all’anno. Riceveva contemporaneamente 6 scudi per il viaggio, fatto questo che fa presumere che si sarebbe trasferito a Genova di lì a poco. Come indicato dalla Terminiello Rotondi, l’artista venne ingaggiato dal Doria in una missione in Spagna al servizio di Juan de Idiàquez, ambasciatore spagnolo a Genova e consigliere di Filippo II; nel 1585 e nell’anno seguente egli si trovava per l’appunto in Spagna. Di tale pittore sono rimaste poche opere. Tra quelle lucchesi conservate si hanno un Martirio di Sant’Andrea nella chiesa parrocchiale di Sant’Andrea di Compito e la Lapidazione di Santo Stefano già nella chiesina della villa Altogradi, oggi Luiso, a Colognora di Compito. In terra ligure risulta perduta la pala dell’Annun- ciazione datata al 1592 in San Benedetto a Genova, mentre per tale realtà religiosa rimangono le quattro tele per gli sportelli dell’organo, databili al 1590. Il nostro artista per il committente Saluzzo dipinse, inoltre, la Decollazione del Battista collocata nella chiesa di San Pietro in Banchi. Rimangono, altresì, due affascinanti tele conservate nella chiesa di Sant’Agostino a Loano. Firmate, 28 Anthia sono datate al 1590 e raffigurano una Natività (che si può ammirare nella figura numero 1 della pagina precedente) e un’Assunzione della Vergine. Legate alla committenza del Doria, sono una vera chicca pittorica. La Natività, in particolare, colpisce per il nitore esecutivo e per l’emozione incantata, potrebbe dirsi fiabesca, che trasmette. In tale opera l’artista, dichiaratamente manierista, si rivela quanto mai raffinato nella creazione di figure tornite uscenti con agilità dalle ombre degli sfondi. Diversi i vezzi manifestati, quasi tic nervosi, tipici del suo pennello, come quello di sfrangiare i bordi dei manti (qui avviene in uno dei pastori). Caustica altresì la commistione dell’aria calda senese nei bagliori rossastri dello sfondo con quella algida di un paesaggio nordico sulla sinistra. Senese-fiorentina la scelta di inventare un bovaro accanto al bue e all’asino, sulla destra, mentre va puntualmente notato che il pastore in secondo piano sfoggia una sciarpa che ricorda quelle liguri del tempo. La Natività loanese è stata accostata dalla Terminiello Rotondi ad opere di Andrea del Sarto e del Pontormo, con derivazioni parmigianinesche. La scena di Natività ligure-toscana testé ammirata mi porta ad un confronto, per delicatezza di mano e di colore, con la scena di Natività che si trova dipinta a fresco nella chiesa della Santissima Trinità a Biella. In tale realtà religiosa, Vincenzo Costantino firma e data al 1640 gli affreschi che, sulle pareti del presbiterio, sono prospicienti la navata. Vanno, invece, attribuiti ad Anselmo Allasina, ed in parte al figlio Giovanni Francesco, gli altri quattro affreschi collocati dietro l’altare, riferibili agli anni 1640-1641, due dei quali consistono in una Natività (che riportiamo nell’immagine in alto di questa pagina) e una Adorazione dei Magi (nella figura numero 3, in questa pagina in basso). L’Allasina era membro della confraternita di San Cassiano in Riva di Biella, mentre il Costantino lo era di quella della Santissima Trinità. Il fatto che il primo sia stato preferito al secondo per il maggior numero di lavori alla Trinità porta a dedurre che l’Allasina, ispiratosi alle opere di Gaudenzio Ferrari e dei suoi seguaci, sia stato evidentemente superiore al Costantino. Nella nostra Natività biellese, sulla destra, in un piccolo canto, si vede la figura di un confratello della Santissima Trinità, probabile immagine del committente. I due Genitori sono compresi nell’adorazione del Bambino e 29 Anthia sono accompagnati, oltre che da un pastore, da due angeli musicanti. Sulla destra della scena si ha lo stilema del bovaro ritratto accanto alle bestie della stalla già evidenziato nel quadro ligure. Anselmo Allasina, come il Brandimarte, non era originario del posto in cui si produsse artisticamente. Era di origine valse- siana e si era trasferito a Biella a seguito del matrimonio con la biellese Anna Barberi, dalla quale avrebbe avuto numerosa prole. Due figli, il già qui menzionato Giovanni Francesco e Paolo, ne proseguirono l’attività lavorando anche come scultori ed indoratori. Anselmo, che come il figlio Giovanni Francesco fu anche architetto, lasciò grande abbondanza di lavori nel Biellese. Di lui, tra l’altro, si possono ricordare le tele con la Santissima Trinità eseguite per la parrocchiale di Cossila San Grato e per l’omonima confraternita di Biella, la tela con la Madonna del Rosario per la parrocchiale di Ronco e quella con Madonna, Bambino, i Santi Nicola da Tolentino e Giacomo Apostolo e due confratelli per la confraternita di San Nicola a Salussola. L’Allasina lavorò anche per la chiesa di Santa Lucia a Vigliano Biellese con un ciclo di affreschi tra i quali una Natività (nell’illustrazione numero 4), posta in facciata, che anticipa quella alla Santissima Trinità di Biella. A Vigliano Maria e Giuseppe, compresi dal mistero dell’evento, pregano sul figlioletto mentre angeli paiono commentare l’evento. Un dettaglio: il San Giuseppe tiene le braccia incrociate al petto in segno di compunzione secondo un gesto che a Loano è mostrato dal pastore inginocchiato parimenti alla sinistra della scena. Va, infine, notato che mentre a Loano il Bambino compare su un giaciglio su cui è stato posato un lenzuolino, a Vigliano il Bimbo posa sulla conca formata a terra dal manto della Madre, secondo una cifra figurativa che ebbe notevolissima fortuna nell’iconografia del tempo e che deriva dalle visioni di Santa Brigida di Svezia. Bibliografia: PP. Agostiniani di Loano, Guida storico-artistica della Chiesa di N. S. della Misericordia-Sant’Agostino di Loano, Ed. PP. Agostiniani Loano 1988. P. Torriti, Apporti toscani e lombardi, in AA. VV. La pittura a Genova e in Liguria dal Seicento al primo Novecento, Ed. Sagep, Genova ried. 1988. C. Ghiraldello, Natività nell’Arte, Edizioni Hever, Ivrea 2003. A. Bocco, Brandimarte, Benedetto, in Dizionario Enciclopedico Bolaffi dei pittori e degli incisori italiani, vol. II, Ed. Giulio Bolaffi, Torino 1972 I. Belli Barsali, Brandimarti, Benedetto, in Dizionario biografico degli italiani, vol. XIV, Edizioni Treccani, Roma 1972 30 Anthia Storia I saraceni in Liguria spetto a quella economica: molti comandanti e bey erano mussulmani per convenienza: le conversioni di comodo a ragione di questo intervento sta nella constata- erano frequenti, la pirateria era un vero e proprio mezione che, ancora oggi, molti fanno confusione stiere, i rinnegati siciliani, calabresi e liguri facevano da tra Saraceni e Barbareschi, identificandoli. Proba- padroni raggiungendo spesso i vertici del potere. La loro bilmente questo errore nasce dalla considerazione che i azione si espletava in assalti in mare aperto e in rapidi sacmetodi usati dagli uni e dagli altri coincidono: saccheg- cheggi costieri. Non lasciarono nessuna eredità culturale gi, devastazioni, deportazioni di prigionieri ecc. Però le tranne influssi linguistici. differenze epocali e le motivazioni politiche, distinguono nettamente gli interventi dei due gruppi. Inoltre, in I Saraceni tempi recenti, la storiografia sui Barbareschi ha prodotto Il termine “Mori” viene attribuito a popolazioni islamiche studi importanti, mentre, per quanto riguarda i Sarace- che dall’Africa sbarcarono in Spagna e deriva da “Maurus” ni, soprattutto nella nostra regione, sono scarsi; infatti si (abitante della Mauritania); il termine si identifica con fa riferimento ancora al volume del Luppi “I Saraceni in “Saraceni”, denominazione che ha varie etimologie, la Liguria” edito dall’Istituto Internazionale di Studi Liguri meno probabile delle quali è quella riferita a Sara, moglie una cinquantina di anni fa. di Abramo; più convincente è l’opinione di coloro che I Saraceni operarono nel Tirreno e nel Mar Ligure tra fanno derivare il termine da “Scarkin” (sorgere del sole); l’VIII e il X secolo. Chiamati anche “Mori” provenivano “Saraceno” significherebbe perciò “Orientali”. dalla Spagna, erano animati da un fervore religioso isla- Con la morte di Maometto (632) subentrarono nella guimico molto forte, non si limitavano ai saccheggi costieri, da dei popoli arabi i Califfi (successori). Il primo califfato ma penetravano nell’entroterra (tracce della loro presenza fu quello “Rashidun” di Medina: ebbe vita breve, e si consi trovano in Piemonte a Oulx, alla Novalesa e nelle pro- cluse nel 661 a causa di disordini e di una guerra civile. vince di Cuneo e di Alessandria), guidati da una volon- Presero campo i Califfi della dinastia “Omayyade” di Datà stanziale, di occupazione stabile del territorio. Erano masco, che deposero il loro potere quando vennero sconsudditi dei califfati occidentali della dinastia Abasside di fitti nella battaglia di Zab (750). Questo episodio avviò Baghdad che presenta nella sua attività politica elementi l’ascesa del califfato Abbaside di Baghdad, che peraltro, contraddittori: da una parte un massimalismo rigido sul a partire dal ‘700, esercitava un potere locale. Questo gopiano dell’espansione militare; dall’altra un illuminismo vernò a lungo l’Islam fino al 1258, quando la capitale iramolto aperto che la portava ad assorbire molti elementi chena venne conquistata dall’esercito mongolo di Hulago culturali delle aree occupate. Grazie a questo sincretismo, Khan. Fu sotto la spinta dei califfi abbasidi che si sviluppò attraverso Arabi e Saraceni, è giunto in Occidente molto l’espansione nei territorio del Nord Africa (711), che eradella cultura greca ed anche contributi in campo medico, no, formalmente, dipendenze dell’Impero Bizantino, già linguistico, matematico ed artistico. invasi dai Vandali e frazionati in comunità autonome. I Barbareschi o Turchi hanno operato fra il XVI e il XVII La conquista abbaside, con la contemporanea diffusione secolo: provenivano dall’Africa settentrionale ed erano della religione mussulmana, fu facile. Il periodo dei Califfi sudditi dell’Impero Ottomano, legati alla Sacra Porta di di Baghdad è ricordato come età dell’oro del mondo islaCostantinopoli, pur con una certa autonomia politica e mico. I primi credenti (Al Salaf) ebbero la forza di costigestionale. La matrice religiosa era molto attenuata ri- tuire un’unità, un legame delle tribù beduine, nell’obbedi Francesco Gallea L 31 Anthia dienza al Corano: vennero rovesciati gli antichi privilegi con nuovi vincoli di equità. Il nuovo popolo arabo, monoteista, sottomise nazioni di tradizione millenaria e seppe fare delle proprie carenze una risorsa. I Califfi abbasidi ritennero utile imparare ed assimilare da tutti. Il patrimonio scientifico greco-ellenistico, siriaco ed egiziano venne tradotto in arabo; da ogni angolo del Mediterraneo vennero cooptati a Baghdad esperti: i cristiani come traduttori e letterati (Hunayn Ibn Ishar), i persiani come astrologi di corte (Nawbath), gli egiziani come medici e matematici. Grazie all’Illuminismo di questi Califfi arrivarono nell’Europa cristiana, tramite Averroè (1126-1198) i testi aristotelici, la numerazione e le tecniche scientifiche tramite Avicenna. Questa cultura sincretica tuttavia, come si è detto, si univa, in modo piuttosto contraddittorio, con un fondamentalismo religioso che spinse le turbe islamiche a considerarsi detentrici assolute della verità, luogotenenti di Dio nel mondo e quindi pronte ad usare ogni metodo, anche eterodosso, per convertire al Corano gli infedeli. Nel 711 le forze arabe dei Mori sbarcarono in Spagna conquistandola in una ventina di anni. Nel 732, superati i Pirenei, si spinsero in Francia ma vennero sconfitte da Carlo Martello nella battaglia di Poitiers; rientrarono in Spagna e, nel 756 fondarono l’Emirato di Cordova, che si trasformò in Califfato, con assoluta autonomia, nel 929. Se l’espansione saracena fu bloccata in Francia, le loro conquiste mediterranee continuarono: fu saccheggiata la Sardegna: le ossa di Sant’Agostino furono traslate dai monaci nel Canton Ticino. Nell’831 fu conquistata Palermo. Secondo una leggenda, gli arabi erano un popolo terranio. Però avevano imparato l’arte della navigazione in Egitto e a Cartagine, e questo facilitò il loro dilagare nel Mediterraneo occidentale. Nell’846 sbarcarono ad Ostia ed arrivarono fino alle mura Aureliane. Tra l’840 e l’880 si stabilirono in Puglia e fondarono gli emirati di Taranto e Bari (847-871). I Saraceni in Liguria Al tempo del tentativo fallito dei Saraceni di invadere la Francia, la Liguria era sotto il dominio Longobardo. Nel 774 il re Desiderio fu vinto da Carlo Magno, che assunse a Pavia il titolo di “Rex Francorum et Longobardorum”. Per quattro anni Liguria e Toscana costituirono il “Regnum Longobardorum”. Ma nel 780 furono assorbite nel “Regnum Italicum” e la Liguria fu chiamata “Litora Maris”. Per contrastare l’espansione e i saccheggi dei Saraceni nel Mar Ligure e nel Tirreno fino a Roma, Carlo Magno allestì due flotte: la “Classis Aquitania” per la difesa delle coste francesi e la “Classis Italica” per le coste liguri e tirreniche. Quest’ultima fu affidata ai genovesi, che per l’impegno vennero affrancati dai tributi. La Liguria occidentale fu governata da Enrico di Strasburgo mentre a Genova acquistò prestigio un “Comes” (conte), Hudomarus, che guidò la flotta per liberare la Corsica dai Saraceni, e morì in battaglia nell’806. Nelle difficoltà in cui si trovarono i successori di Carlo Magno, i liguri furono abbandonati a se stessi, e i Saraceni intensificarono le loro scorrerie sulle coste liguri, addentrandosi sino alle Alpi Occidentali (842-849). La situazione subì un grave peggioramento nell’889, anno in cui un gruppo di Saraceni si stabilì a Frassineto (oggi La Garde Freinet in Provenza). Da questa base partirono spedizioni che provocarono saccheggi in Liguria e Provenza. I Saraceni dilagarono sulle Alpi occidentali arrivando sino alla Novalesa (abbazia) e ad Oulx. Provocarono danni a Villa Matutia (Sanremo) e a Villa Tabiensis (Taggia). In occasione di queste vicende intervenne la flotta genovese: i Sanremesi superstiti furono trasferiti a Genova e, con loro, le venerate reliquie di San Romolo. Nel 924 si verificò un episodio singolare: un gruppo di cristiani Franchi si unì ai Saraceni di Frassineto: for- 32 Anthia tunatamente fu un caso unico e circoscritto nel tempo. Nel 931 avvenne il primo attacco saraceno a Genova per ordine del califfo Obeid: una flotta di 30 navi e 100 galee, guidate da Salian, partì dalla Sicilia. I Genovesi reagirono e respinsero l’assalto affondando 17 navi saracene. Dopo tre anni (maggio 934) per vendicare la sconfitta, il califfo Abu Al Qasim Muhammad ordinò un nuovo attacco a Genova. Una flotta di 30 navi agli ordini di Yacub Ibn Ishar si presentò sulle coste liguri. Furono saccheggiati i sobborghi di Genova e molte persone furono fatte prigioniere. Però Genova città, ben difesa da una poderosa cinta muraria, fu indenne. Un nuovo assalto avvenne l’anno successivo (935). Questa volta la città fu sottoposta a saccheggio e grande fu la preda: furono uccisi molti cittadini, molti furono fatti prigionieri e deportati. L’episodio è citato da Jacopo da Varagine nella sua “Cronaca”: nel ritorno, la flotta saracena si scontrò, con successo, davanti alle coste sarde, con le navi imperiali-bizantine che presidiavano l’isola. Gli anni tra il 920 e il 940 furono quelli in cui maggiormente si sviluppò l’offensiva saracena. Nel 936 i saraceni di Frassineto sbracarono nel finalese e dilagarono nell’interno, percorrendo la valle del Bormida fino ad Acqui. La situazione diventava insostenibile per gli abitanti delle contrade litoranee. Nel 942 Ugo di Provenza, con l’aiuto degli imperiali, vinse i saraceni nella Battaglia navale di Saint Tropez; occupò Frassineto e costrinse i saraceni alla fuga sui monti (la moure). Il successo militare tuttavia venne frustrato dai successivi accordi, che concessero ai saraceni il ritorno alla loro base; inoltre venne loro affidato un territorio alpino dalle Alpi Cozie alle Pennine, perché fungessero da guardie di frontiera per bloccare un eventuale attacco di Berengario, marchese di Ivrea, che stava raccogliendo un esercito, con l’aiuto di Ottone I, per costituire un regno italico. L’instabilità e le rivalità politiche dei successori di Carlo Magno azzerarono il successo di Saint Tropez. Contemporaneamente la Liguria venne riorganizzata con gli eredi di Berengario II in tre Marche: l’Arduinica (Ventimiglia, Cuneo e Saluzzo), l’Aleramica (Albenga, Savona, Acqui, Asti) e L’Obertenga (Genova) – Anno 950. Questa strutturazione costituì una forma di efficace difesa che limitò molto le incursioni saracene, anche se un brutto episodio si verificò nel 962, quando un figlio di Berengario, in lite con i fratelli, si rifugiò a Frassineto affidandosi alla “Saracenorum Fidei”. Fu un caso isolato e senza conseguenze, anche se l’episodio prova la confusione e le contraddizioni dell’epoca. La base di Frassineto fu smantellata definitivamente 10 anni dopo, nel 972, da Guglielmo di Arles che, con l’aiuto di Aleramo, Arduino ed Oberto, sconfisse i saraceni e li costrinse a ritirarsi in Spagna e in Sardegna. La Liguria fu salva dalle minacce, ma le incursioni continuarono sulle coste tirreniche toscane e laziali per opera dei Saraceni sardi. Tra essi si distinse in guerriero Al Muwafaqq (9601044), chiamato dai genovesi “Mugetto”. Costui, partito dalla Spagna, aveva conquistato il Giudicato Sardo di Torres (a nord-ovest) e Bonifacio in Corsica. A lui e alle sue truppe fu dovuto il saccheggio di Pisa del 1004, ma un intervento delle flotte genovesi e pisane, nel 1016, sconfisse i saraceni e pose fine alle scorrerie di Mugetto. Le incursioni continuarono nel Lazio per opera dei Saraceni siciliani: incominciate nell’846 durante il papato di Sergio II (844-847), continuarono finché la flotta papalina con l’aiuto di Gaeta e Amalfi non pose fine alle scorrerie. La sconfitta saracena fu totale con la conquista normanna della Sicilia. (Vd. Gregorovius “Storia della città di Roma nel Medioevo”). L’eredità dei Saraceni Oltre alle conoscenze scientifiche e filosofiche, l’eredità positiva dei Saraceni si può riscontrare sul piano linguistico, artistico ed anche nella toponomastica. Ricordo che la Scuola Medica Salernitana (che può essere considerata la prima Università Scientifica Italiana), utilizzò gli scritti medici di Avicenna e annoverò tra i suoi insegnanti un arabo, Costantino Africano. Sul piano linguistico, moltissimi sono i vocaboli di origine araba nella lingua italiana: per citarne alcuni “zucchero” deriva da “Sukkar”, “caffè” deriva da “Qahwa”, “algebra” da “Al-Giabr”, “tariffa” da “Tarif”, ecc. Sono alcuni casi. Rimando i lettori ai testi di Lorenzo Lanteri, che forniscono un’ informazione completa. Tracce di rilievo si possono riconoscere nella toponomastica non solo ligure, ma anche piemontese: la baia di Varigotti, chiamata “dei Saraceni”; Frassino (frazione di Calizzano) potrebbe derivare da “frassineto”. Come pure l’altra frazione di Calizzano “Moretto” si richiamerebbe al termine “moro”. Altrettanto significativi sono i toponimi dell’area monferrina e del territorio Acquese. Però il patrimonio più cospicuo dell’eredità saracena si ritrova sul piano artistico e architettonico (arte e stile moresco). Particolarmente consistente nelle regioni in cui il loro dominio è stato più duraturo (Spagna meridionale e Sicilia), ha espresso in Liguria alcune strutture urbanistiche (Verezzi e Varigotti) e, soprattutto, alcune torri a base quadrata-rettangolare che si differenziano nettamente dai torrioni antibarbareschi costruiti nel secolo XVI. Ne rimangono alcune nel cuneese e nell’alessandrino e, nella tradizione popolare, sono chiamate “Torri Saracene”. 33 Anthia Poesia Poemi dal Golfo degli Dei L’universo in periferia (II) di Francesco Macciò P oemi dal Golfo degli Dei/ Poems from the Gulf of the Gods, edito nel 2003 e recentemente ristampato per Agora&Co, Lugano 2012, è una plaquette di versi di Angelo Tonelli, proposti, testo a fronte, anche in lingua inglese nella convincente traduzione di Luciano S. Gatta. Il libro si offre in una successione di “movimenti”, che in accezione musicale indicano le singole sezioni di un disegno unitario, e si fa specchio interiore di un paesaggio vivificato da luminose presenze e promosso, nel divenire luogo d’elezione del poetico, a titolo complessivo dell’opera. Ma la formulazione che acquisisce questi scenari liguri in prossimità della baia di Lerici a una sorta di personale decantazione metafisica del poeta svia rispetto alle viete, per quanto romanticamente ancora vitali, indicazioni da turismo d’antan e rinomina il pur suggestivo “Golfo dei Poeti”, centro simbolico della mediazione spirituale dello scrittore lericino, nel tanto più emblematico ed evocativo “Golfo degli Dei”. Siamo di fronte a un nuovo ordine cosmico che si fa testimonianza di esperienze reali e visionarie: una sorta di viaggio dantesco nella luce cui segue, anche in questo caso, la parola scritta, con la sua dichiarata inadeguatezza nel cogliere in unità con l’io poetico le forze misteriose della natura e degli dèi. Tale disposizione contemplativa si annoda in un intreccio anamorfico di luoghi del Levante, già cantati da molti illustri visitatori anglofoni (da Shelley a Lawrence, da Henry James a Virginia Woolf ), con le memorie personali di viaggi in luoghi dell’Ellade consacrati agli dèi, la cui presenza, in una sorta di percezione dell’oltre per via junghiana e mistica, anche come liberazione dai limiti dell’umano, si rinnova tra i monti di San Lorenzo e l’isola Palmaria, e più in generale in tutti gli spazi marini e montani evocati che si protendono sul Golfo di Lerici. Al centro di queste sicure coordinate orficocontemplative è un’opera che ci mostra il paesaggio ligure con uno scarto e una novità rispetto alla rappresentazione che di esso ci hanno lasciato i grandi autori del nostro recente passato: da Sbarbaro a Montale, da Caproni a Biamonti. Qui il paesaggio non è intransitivo, non è quel geroglifico inaccessibile, nella sua crudezza e indecifrabilità, che è stato per molti aspetti lo specchio della nostra prosciugata anima novecentesca. Caso mai il paesaggio – cui guardiamo anche attraverso il filtro delle parole che lo descrivono e nella complessa biunivocità del suo contatto con l’autore, che lo arricchisce essendone a sua volta arricchito – risulta permeato di sostanze orfiche, quelle che a Ponente ritroviamo, ad esempio, in tante importanti poesie di Giuseppe Conte e a Levante in questi versi di luce e di ombra che si affacciano sul mare di Lerici, come annuncia il bellissimo movimento inaugurale con il suo carattere di invocazione, di preghiera: “o angelo del mare, trasparente/ signore degli abissi, tu che vegli/ l’equilibrio delle acque, tu che intendi/ quale forza segreta muova onde/ e maree [...]”. Come si vede, i conti e i debiti con la parte migliore di quel panismo vitalistico dannunziano, rimosso o sbrigativamente liquidato da tanta critica militante della seconda metà del secolo scorso, in questo inizio di millennio non sono ancora finiti! Ma il titolo dell’opera di Tonelli, nella sua marcata componente simbolica e nella sua precisa localizzazione topografica, annuncia esplicitamente anche la forma poematica in cui si dispiega il suo canto (per far ricorso a un termine privilegiato dallo stesso autore, che esordì, appunto, con la raccolta Canti del Tempo). Di tale assetto, di tale misura, forse l’esito più compiuto, almeno nell’accezione che comunemente si dà al termine “poema”, può ritrovarsi in 34 Anthia della casa dove l’acqua ce la portavano a spalla mezzadri e contadini, per versarla nel grande serbatoio di marmo in sottotetto, e gocciolando scandiva le ore quiete dell’estate [...] Tale forma, tale modalità compositiva che privilegia il poema, con tutta la sua importance e la sua compiutezza, lontana (neodannunzianamente?) da tanti imperanti minimalismi di maniera, vale anche per i testi più brevi, anch’essi conchiusi, pur nella disposizione di un movimento circolare ininterrotto, nella loro singolarità di “poemi”, o per richiamare un altro titolo tonelliano, di “frammenti” di uno stesso poema. Ne può essere un esempio il breve componimento che segue dappresso l’incipitario o angelo del mare..., componimento anch’esso privo di titolo: Dal folto. Collocato significativamente a metà libro, questo componimento fa riferimento a un luogo situato nelle colline sopra Lerici – ci spiegano le Note – un luogo di potere magico, come indicano le tradizioni popolari, “al centro del quale si ergono le rovine di una villa dei primi del Novecento, adesso in abbandono”. Eccone, nel loro andamento narrativo, alcuni versi: che poi è tutto quanto uno sgomento dall’albero mezzo tramortito al sole che ristagna sui pavimenti la sabbia dove corpo e mente posano e l’onda la lambisce è cosa viva che affonda dentro sé, io sono niente e sono l’orizzonte, il mare, immobile gabbiano sullo scoglio, sono l’isola che l’onda già sommerse e adesso vigila sul giorno e sulla notte, inamovibile madre di ogni guizzo, di ogni esile risorgere di vita. È canto, musica il fremito attutito, non visibile che agita la pietra, la congiunge al cuore di cristallo delle acque che scorrono profonde, senza limite Come si vede, la poesia – il poema, appunto – che come tutte le altre del libro riporta in calce il luogo e la data di composizione (Fiascherino, ottobre 2000), presenta un paesaggio appena abbozzato, uno scenario di sabbia, di isole e di scogli dell’estrema Liguria di Levante. Tale raffigurazione si slarga immediatamente in una tensione orfica verso un “io” totalizzante, che pervade, anche per via di negazione (“io sono niente”), gli elementi terrestri e acquatici del paesaggio, ricondotti a una dimensione sacrale e unitaria. C’è pienezza, compenetrazione di vita che fluisce in armonia, anima mundi che congiunge prodigiosamente cose lontane. E si osservi anche la metrica sorvegliatissima e ad alta frequenza di endecasillabi sdruccioli, che sanno ricreare nei loro prolungamenti atonali un respiro più ampio, reso ancora più efficace dalle inarcature (“immobile/ gabbiano”; “inamovibile/ madre”; “esile/ risorgere”) che impongono al lettore significative pause di meditazione. Credo che la cultura italiana contemporanea nei suoi risvegli più autentici debba molto ad Angelo Tonelli, sia per la capacità straordinaria che egli ha di ricreare, in uno spazio di misteriosa bellezza com’è la piazzetta dell’oratorio di Tellaro, un luogo consacrato, non esposto cioè alla “volgarità delle politiche culturali di mercato”, che diventa ogni anno teatro di un grande appuntamento con la Poesia, sia soprattutto per la sua attitudine a spingersi costantemente oltre ciò che è scontato ed esangue. Ma una cospicua parte del debito che la cultura ufficiale, ingessata nei suoi giochini truccati, ha verso di lui resta insolvibile, ed è data dal soporifero ritardo, dalla inadeguatezza costituzionale a intraprendere la via tracciata dallo scrittore ligure – che è anche performer, autore e regista teatrale, oltreché uno tra i maggiori studiosi e traduttori italiani di classici greci – di riallacciare la poesia ai suoi archetipi sapienziali e renderla così “cosa viva”, operante nella nostra società sempre più distopica e disgregata. 35 Anthia Editoria di Liguria / In libreria San Fruttuoso angolo di paradiso L a presidentessa onoraria del Fai, Giulia Maria Mozzoni Crespi definisce San Fruttuoso un sogno ed è impossibile contraddirla, vista la meraviglia del luogo, che ha incantato e continua ad incantare generazioni su generazioni. L’autrice ha voluto ricordare, in questo volume, la sua famiglia e il gruppo di amici, che in un “mitico” campeggio del 1946 hanno dato inizio al loro innamoramento perpetuo al “Paradiso dietro l’angolo” cioè a San Fruttuoso sul monte di Portofino, dove sorge la gotica abbazia benedettina, “…incastonata in una piccola baia color smeraldo, costruita proprio sulla spiaggia ed esposta alle onde del mare da quasi ottocento anni…”. Il libro narra l’avventura di questi 6 amici un po’ pazzi a soli 15 chilometri da Genova, ma immersi in un autentico eden. Durante il campeggio i sei hanno tenuto un diario, su cui non c’erano solo osservazioni, ma anche schizzi e disegni, spesso ironici, di quanto accadeva al campo. Il librone di ricordi ha ora trovato una degna pubblicazione (ricca di foto e di riproduzioni dei disegni, che sono anche presentati in un dvd allegato al libro). Uno dei sei era il futuro padre dell’autrice, che ha poi continuato la tradizione di frequenza estiva del luogo, che tra l’altro è stato anche meta del viaggio di nozze dei suoi genitori. L’album è la riproposta del soggiorno dei sei, abituati normalmente ad altre comodità, ed è la riprova dello spirito goliardico con cui avevano sperimentato l’isolamento del campeggio solitario e totalmente privo di qualsiasi comfort. Il racconto è suddiviso tra i vari partecipanti ed è centrale la “parte” dell’autrice, che ha continuato la vita estiva a San Fruttuoso nell’infanzia e nell’adolescenza con i suoi genitori, che per un paio di mesi estivi, abbandonavano i lussi cittadini per vivere nell’eden in piena libertà. Un doveroso omaggio agli affetti, fatto senza particolari sdolcinature ma piutosto con ironia, nel ricordo di quei tempi ormai lontani, in cui San Fruttuoso era un angolo incontaminato e non ancora invaso da “orde” di turisti, non sempre rispettosi del luogo. Carla Scarsi – Il paradiso dietro l’angolo, San Fruttuoso di Camogli” – Erga edizioni – Genova 2011 – pp. 96 Ci sono i disegni del 1946, in cui vengono rappresentate in modo decisamente caricaturale le caratteristiche fisiche e psicologiche dei protagonisti, giovani “affamati”di libertà post bellica, che in seguito sono diventati noti ed affermati professionisti nei campi più svariati. Per vivere, oltre alle scatolette, c’era la pesca, affrontata spesso con i pescatori veri, cioè i locali. Il fascino del volume deriva in gran parte dalle foto, le più vecchie rigorosamente in bianco e nero, in cui sono ritratti i protagonisti, nelle varie fasi di vita, (bimbi che crescono e diventano allampanati adolescenti), gli abbigliamenti anni Sessanta, le prime mute da sub per le immersioni, l’abbazia prima del restauro, ancora abitata dal parroco e dai pescatori, con i vasi di gerani alle finestre. Ogni narratore mette in comune i suoi ricordi, fatti anche di bagni notturni sotto la luce della luna, di amicizie e amori con stranieri capitati li per caso e immediatamente sedotti dal fascino del posto. Una marea di ricordi, privi di doloroso rimpianto, ricchi invece dell’incanto derivante dalle memorie di una giovinezza ormai passata, che ha lasciato comunque il prezioso sedimento dei ricordi magici, forse resi ancora più magici dai decenni ormai trascorsi; denominatore comune per tutti è l’amore per San Fruttuoso. gieffegi 36 Anthia Editoria di Liguria / In libreria Alla ricerca dei grandi alberi A ngela White, con la sua macchina fotografica ha perlustrato Piemonte, Liguria e Val d’Aosta ottenendo un risultato veramente degno di nota, perché oltre ai “fenomeni” già conosciuti e segnalati è riuscita a scovarne nuovi, che ci presenta con belle immagini, stampate con accurata grafica; l’edizione economica, consente a tutti di fruirne, per mettersi in cammino. Per rispettarli è necessario conoscere gli alberi monumentali vicino ai quali è spesso passata la storia o è trascorsa la vita. Il testo è diviso in tre parti (relative alle regioni prese in considerazione) e gli alberi segnalati sono presentati per aree geografiche tra loro vicine, in modo da produrre un fattibile percorso per incontrarli. Sulle colline dell’astigiano e dell’alessandrino troviamo platani monumentali (tra cui quello di Marengo, di napoleonica memoria), pioppi e olmi che svettano vicini ad antichi campanili, o una singolare cerro sughera cresciuta tra filari di viti; tra Biella e Vercelli prosperano sequoie nel parco Sella, o monumentali Ginkgo byloba in quello della Burcina di Pollone. Le foto mettono in risalto i colori delle stagioni e la singolarità di certi tronchi, ripresi da angolazioni inusuali (è quasi da “favola” la foto del Monte Mucrone imbiancato dalle nevi, che fa da sfondo a un albero dalle autunnali chiome rosseggianti). Novarese, Verbano e Cusio Ossola, con la loro ricchezza di laghi e di parchi ci mostrano il rigoglio degli alberi di canfora sull’isola Bella, del cipresso del Kashmir sull’isola Madre, i cedri di Villa Taranto, la monumentalità del Taxus Baccata di una frazione sperduta sopra i laghi. Non da meno sono Torino e la sua provincia, con gli importanti parchi della Tesoriera, del Valentino o della Mandria con tigli, frassini, bagolari e platani. La provincia di Cuneo ha olmi e platani di incredibile grandezza nella reggia di Racconigi, nonché i faggi ad Entraque, il castagno secolare di Melle e la sequoia gigante di Roccavione. La Liguria, non è seconda a nessuno in fatto di patriarchi, perché nel Levante il parco di Nervi possiede araucarie, Angela White – Alberi monumentali in Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta – Ed. la Stampa – Torino 2012 – pp. 160 palme del Cile, yucche, eucalipti incredibili e pini d’Aleppo di altezze inverosimili; il cipresso sito davanti all’Abbazia di Borzonasca è veramente “da vedere”, come le querce monumentali in provincia della Spezia. Il Ponente ha dalla sua i famosi faggi di Benevento a Mallare, i canfori della Villa Negrotto ad Arenzano, l’incredibile ficus davanti al museo Bicknel di Bordighera (il cui apparato radicale ha addirittura inglobato un muro), ma soprattutto le ricchezze del parco di Villa Hanbury con esemplari delle più svariate specie mondiali, che qui per opera del lungimirante inglese, favoriti dal particolare microclima hanno permesso la crescita di alberi di incredibile bellezza e monumentalità: sono agavi, yucche, melograni, ficus, ulivi e tanti altri (l’elenco è veramente interminabile). In Val d’Aosta, la fanno da padroni sequoie, pini, larici, tigli e faggi che popolano da secoli i numerosi parchi (spesso segnalati da precise, antiche targhe e forniti di panchine, per un’ammirazione di tutto riposo). La devozione popolare ha addirittura creato un piccolo altare votivo nell’incavo di un enorme tronco di larice ad Arolla in Valgrisence. gieffegi 37 Anthia Editoria di Liguria / In libreria La via romana verso la Gallia L a pubblicazione fa il punto sulle ricerche condotte dal Museo di Ventimiglia e la Francia su questa via romana transfrontaliera, voluta da Augusto per mettere in comunicazione la parte ligure della allora IX Regio, con le province della Gallia di recente conquista. La Via Iulia Augusta, costruita tra il 13 e il 12 a.C. , cioè poco dopo la conquista dei territori delle Alpi marittime avvenuta nel 14 a.C. “…. oltre a costituire l’unica strada carreggiabile della Liguria occidentale … rappresentò l’asse portante dell’organizzazione dei territori che attraversava: attorno ad essa si aggregarono e si svilupparono le città e le loro necropoli, le ville extraurbane e gli insediamenti rustici, le infrastrutture di servizio, i collegamenti con la rete stradale minore e il sistema di porti e approdi”. Con sintetica efficacia Daniela Gandolfi ci parla di questo tracciato, indagato negli anni Cinquanta dal professor Nino Lamboglia e dei più recenti studi sulla via consolare romana. Nel territorio prettamente ligure i resti del tracciato stradale originario sono individuabili solo in pochi casi: ben noto il tratto tra Albenga ed Alassio ed i ponti rimasti nel territorio finalese, ma la pubblicazione mette in particolare evidenza nove tappe significative del percorso: 1 trofeo di Augusto, 2 Monte de Mules, 3 mausoleo di Lumone, 4 museo di preistoria regionale di Mentone, 5 caverne e museo preistorico dei Balzi Rossi, 6 giardini botanici Hanbury e piana di Latte, 7 museo civico archeologico Rossi di Ventimiglia, 8 chiesa di San Michele, 9 scavi della romana Albintimilium. Una attenta descrizione dei luoghi e soprattutto dei ritrovamenti archeologici è corredata da numerose foto a colori e da riproduzioni di antiche stampe o cartine. Tra Mentone e Nizza, ed oltre sino ad Arles, non c’è solo il noto Trofeo des Alpes, ma numerosi miliari, tracce nel vallone del Laghet, frammenti di “ville” AA.VV. – Via Iulia Augusta: un itinéraire romain exceptionel – reperibile presso il “Museo civico Archeologico” di Ventimiglia – pp. 142 agricole, gli scenografci resti della villa Lumone a Roquebrune - Cap Martin, le strutture a Monts des Mules, altri resti al Mont Bastides di Eze, insomma un insieme di interessanti ritrovamenti che meritano una conoscenza diretta. Il lavoro mette in evidenza il grande patrimonio archeologico di Ventimiglia: dal reimpiego dei miliari romani nella Chiesa di San Michele, ai resti della via Iulia, alla cosiddetta Porta Provenza, dal decumano massimo del centro antico allo splendido mosaico delle terme, dal teatro romano, alle tombe di Porta Marina o ai recentissimi ritrovamenti alla Villa Eva di Pian del Latte. Non mancano le citazioni e le foto della necropoli albenganese, del grande piatto di vetro blu della necropoli ingauna, dei ritrovamenti in quel di Noli, della villa rustica di Lusignano o del materiale fittile rinvenuto in un deposito votivo ad Alto - Caprauna. L’apparato bibliografico e le illustrazioni rendono il volume, in italiano e in francese, una agile e documentata guida, che si presta anche ad ulteriori approfondimenti e potrà divenire : “ … un momento di vera emozione per un ritorno nel passato…”. gieffegi 38 Anthia Cronache della Consulta ligure Nelle ultime due riunioni del 2012 della “Consulta Ligure” (Rapallo e Sestri Levante), sono stati discussi tre temi sui quali le Associazioni locali hanno sviluppato il loro impegno. Il Presidente Bazzano ha tenuto una relazione sullo stato finanziario e gestionale della Consulta, che presenta alcuni problemi per la morosità di qualche associazione e per le difficoltà di distribuzione dei libri editi rimasti in giacenza nella sede savonese, anche perché, per il settimo volume, è venuto a mancare il sostegno finanziario della Carige. L’assemblea ha approvato l’impegno ad acquisire, da parte di ciascuna delle associazioni locali, nove copie dei volumi, con un contributo straordinario che consentirebbe di reperire fondi alla fine di consentire la pubblicazione dei nuovi volumi del “Dizionario Biografico dei Liguri”. Per i volumi successivi, la Giunta della Consulta ha chiesto l’intervento dell’Assessorato per la Cultura della Regione Liguria, che si è dimostrato disponibile all’acquisto di un numero di copie dei volumi di prossima pubblicazione che verranno distribuiti alle Biblioteche Comunali. Per fruire di questo sostegno sarà necessario accelerare i lavori redazionali, ritornando alla metodologia usata per i primi due volumi, redatti dal compianto William Piastra. Il Presidente ha comunicato i risultati sinora ottenuti nella raccolta dei dati relativi al Censimento dei monumenti minori che ha coinvolto, sino ad oggi il 60% del territorio regionale. Infine si è discusso sull’organizzazione, nella primavera del 2013, di un convegno sul tema “L’insegnamento della storia con metodo induttivo a partire dal tessuto locale”. Dal convegno dovrebbe nascere una sperimentazione attuata, inizialmente, nella scuola primaria e in alcune scuole locali. Secondo i risultati ottenuti l’esperienza sarà estesa negli altri organi scolastici. L’inserimento della realtà locale consentirà di realizzare, in un contesto curricolare, un insegnamento interdisciplinare che abbraccerà storia, dialetto, etnografia, economia, architettura, ambiente. Si darà concretezza alla didattica, si punterà alla conoscenza della storia regionale come specchio riflesso ed integrazione di quella generale. Non ultimo obiettivo sarà quello di offrire applicazione pratica alla legge regionale per la difesa delle parlate liguri, di cui si vuole investire anche il Ministero della Pubblica Istruzione per un riconoscimento di merito in sede europea del dialetto ligure nelle sue varietà. La sperimentazione sarà accompagnata da testi adeguati. Francesco Gallea Intervista all’autore: Carmelo Prestipino Carmelo Prestipino ha iniziato la sua attività di ricercatore agli inizi degli anni Ottanta; da allora si è dedicato allo studio della terra ligure; le sue ricerche vertono soprattutto sulla analisi delle fonti archivistiche e sullo studio del territorio; oggi lavora sul bacino del Mediterraneo. Come si è sviluppata la sua attività letteraria? Le mie ricerche mirano alla ricostruzione degli elementi culturali del territorio in cui opero. Sull’arte rupestre ho prodotto studi come: “Oltre il segno. Proposta di metodologia e schedatura per le incisioni rupestri”, e “Segni nel tempo. Sulle tracce dell’arte rupestre in provincia di Savona” ma ricordo anche con piacere lavori divulgativi sulla storia locale, come: “Una storia di contese e spartizioni, (An Age-Old Story of Disputes and Divisions)” sintesi storica inserita in “La Rocca dell’Adelasia. Riserva naturalistica nell’alta Val Bormida” ed altri studi simili, sino all’edizione bilingue (italiano-inglese) di: “Quaderni del Mediterraneo, Studi sulle rocce incise del bacino del Mediterraneo. Mediterranean Notebooks-Studies on the carved rocks in the Mediterranean basin” del 2011. Quali ritiene siano gli aspetti più caratteristici della sua attività di ricerca? Credo siano il rigore nella ricerca e il tentativo di sviluppare ipotesi che siano valutabili e attendibili, evitando le visioni apologetiche in cui cade talvolta la storia locale. È importante restituire a un gruppo umano o a una comunità la sua identità storica e il suo passato; non è detto che ci riesca sempre al meglio, ma questo è il mio obiettivo Come sta la cultura, in Liguria e in Italia? I tagli alla formazione scolastica, alle associazioni e agli enti di cultura sono il prodotto di una visione in cui l’aspetto economico è prevalente. Visione fallimentare a mio giudizio: servirebbe una svolta decisa verso i valori della cultura per uscire da questa situazione di stallo. Un forte richiamo all’etica e alla nostra identità culturale darebbe speranza a un futuro che pare oggi tutto da inventare, ma che dovrà essere figlio di un risveglio intellettuale della società nel suo insieme. Cosa significa scrivere? Scrivere e trasmettere conoscenza implica una forte responsabilità: è nostro dovere farlo nel modo più corretto, senza personalismi o visioni preconcette. Gian Carlo Ascoli La cena degli auguri mercoledì 15 dicembre ore 20 Incontro conviviale per gli auguri nei locali adiacenti al santuario N. S. delle Grazie (Regione Capriolo - Ceriale) Quota individuale 25 euro Buon Natale e felice 2013