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ricostruire trieste
2. Politiche e pratiche
migratorie
1. Le migrazioni triestine
Tenteremo di delineare i diversi movimenti migratori verificatisi nel ventennio
successivo alla seconda guerra mondiale, sarebbe a dire nei primi dieci anni del dopoguerra, fino al termine dell’amministrazione alleata nella zona A del Tlt (1954), e
nel primo decennio dopo il ritorno alla piena sovranità italiana, fino alla metà degli
anni sessanta. Prenderemo come area di osservazione il territorio che fu della zona
A e che divenne poi, con quasi impercettibili modifiche, la provincia di Trieste, di
cui esamineremo gli spostamenti della popolazione in entrata e in uscita, identificandoli in base alla provenienza e alla destinazione. Questa scelta è dovuta al fatto
che, all’epoca cui questo studio rivolge l’attenzione, la zona A costituiva un’entità
a sé stante e, dato che anche in seguito, come provincia, è rimasta un’unità amministrativa a sé, essa ci consente di effettuare confronti coerenti su un periodo più
lungo. In qualche caso utilizzeremo anche dati riguardanti il comune di Trieste,
in cui si concentra gran parte (oltre il 90%) della popolazione della zona A, ovvero
della provincia di Trieste. Si tratta di una realtà urbana con un’esiguo territorio
circostante (cinque piccoli comuni), che è stata coinvolta, nel suo insieme, dalle
medesime vicende politiche e dalle stesse correnti migratorie. La crescita demografica naturale era pressoché nulla, per cui il movimento della popolazione era, in
pratica, il risultato del bilancio tra l’immigrazione e l’emigrazione.
Un flusso immigratorio importante, innescatosi già prima della fine della
guerra, era quello proveniente dall’Istria e dalla Dalmazia. In base alle stime
più recenti, erano giunti nella zona A del Tlt, provenienti dai territori ceduti alla
politiche e pratiche migratorie
29
Jugoslavia, 4.706 profughi entro il mese di luglio 1948, che raggiunsero quota
trentamila entro giugno del 1950, e un numero tra i 35.000 e i 47.500 entro
l’agosto del 1954 (di cui 31.500 erano presenti a Trieste alla stessa data). Entro il
1966, quando il fenomeno era ormai esaurito, gli arrivi ammontarono complessivamente tra 56.000 e 69.000 persone, ma non tutti si erano stabiliti in città, né
tutti erano destinati a fermarvisi1. Si stima che entro il 1960 si insediarono stabilmente a Trieste tra i cinquanta e i sessantamila profughi istriani e dalmati2.
Nei campi di accoglienza triestini vi erano diverse migliaia di rifugiati: nei
primi anni ‘50 vi si contavano costantemente tra le quattro e le seimila persone.
La loro provenienza era equamente divisa tra la Jugoslavia, la Russia e gli altri
paesi dell’Europa centrale e orientale (grafico 21)3. Da un’indagine svolta dall’Iro
tra alcuni funzionari e operatori a Trieste risulta che, sommando i profughi
istriani e gli altri rifugiati, dal giugno 1945 alla fine del 1951 circa 150.000 persone sarebbero passate per Trieste4.
Un’altro flusso, che si espletò soprattutto nei primi anni del dopoguerra, fu
costituito da quella parte degli immigrati dalla Slovenia che tornarono a Trieste
dopo esserne emigrati durante il ventennio fascista5. Si trattava in questo caso di
rientri, quantificabili in qualche migliaio di persone fino al 1950 (grafico 3)6.
All’immigrazione proveniente dai territori ceduti alla Jugoslavia, dalla Slovenia e dal resto della Jugoslavia, nonché dall’Europa centro-orientale e orientale, si
aggiungevano in particolare le assai numerose provenienze dall’Italia (grafico 2).
Così tra il 1948 e il 1954 le iscrizioni angrafiche nella zona A del Tlt furono
36.969 (tabella 3), una cifra che però non comprende le consistenti immigrazioni dei primissimi anni del dopoguerra, e in particolare non include le regolarizzazioni avvenute entro il 1947, quando il Gma bloccò la possibilità di nuove
iscrizioni anagrafiche. Nel comune di Trieste, tra il 1947 e il 1953 le iscrizioni
anagrafiche ammontarono complessivamente a 43.277 ed entro il 1961 arrivarono a 110.5207. Nel successivo quinquennio 1961-1965, nella provincia di Trieste le
nuove iscrizioni anagrafiche furono 30.582, di cui due terzi dall’Italia8, che portarono l’immigrazione nel ventennio successivo al secondo conflitto mondiale
intorno a quota 140.000 (comprensiva degli inurbamenti dai comuni minori e
dei rientri).
La città generava, però, anche una costante emigrazione di popolazione locale, come è possibile desumere dalle cancellazioni anagrafiche, che nel comune
di Trieste ammontarono a 2.659 nel 19479 e, nell’intera zona A del Tlt, a 27.633
nel periodo 1948-5410, per un totale di 30.292 persone (1947-54). Questo dato
comprende, in verità, anche emigrazioni (e sparizioni) avvenute fin negli ultimi
anni di guerra, in quanto include le cancellazioni effettuate dall’ufficio anagrafico triestino nella primavera-estate del 1950, quando fu effettuato un controllo
delle persone effettivamente residenti. Per questa ragione l’ufficio statistico del
Gma riteneva che i dati sull’emigrazione per il periodo 1948-1950 non avessero
alcun valore su base mensile, ma “potessero soltanto essere considerati come il
totale per l’intero periodo” (1948-1950)11. A parte le cancellazioni di un migliaio
di persone assenti riferibili alle vicende belliche e postbelliche degli anni 19441945, le cancellazioni d’ufficio, che nel complesso ammontarono a non più di
6.000 persone, aggiornarono i dati sull’emigrazione e li riportarono a un livello
realistico. Ciò che non è possibile determinare, è l’anno preciso in cui avvennero.
30
Grafico 1
Il movimento della popolazione di Trieste 1931-1961.
Fonte: dati tabella 1.
Grafico 2
Provenienze degli immigrati nella zona A del Tlt, 1948-1951.
Fonte: dati tabella 2.
politiche e pratiche migratorie
31
Ponendoci l’obiettivo di definire gli ordini di grandezza dei flussi migratori, ciò
non comporta in verità un problema, perché il nostro dato è comunque privo
delle cancellazioni correnti nei primissimi anni del dopoguerra. Il totale riportato rimane, quindi, comunque inferiore all’emigrazione realmente avvenuta nel
primo decennio del dopoguerra (grafico 5).
In questo periodo la destinazione della maggior parte degli emigrati fu l’Italia,
mentre una parte meno consistente, ma comunque rilevante, si diresse nel senso contrario alle correnti prevalenti, verso la Jugoslavia (grafico 4)12.
Dopo il ritorno alla sovranità italiana, le cancellazioni per l’estero nella provincia di Trieste furono 15.211 negli anni 1955-1960 e scesero a 3.436 nel quinquennio successivo (1961-65), per complessive 18.647 persone (1955-65), la cui
meta principale fu l’Australia13. A queste si aggiunsero 43.396 cancellazioni per
altre province italiane, per un totale complessivo di 62.043 emigrati (all’estero e
nelle altre province italiane) negli anni 1955-196514.
Tra la fine della guerra e il 1965 Trieste e il suo esiguo territorio subirono
quindi una costante emorragia di popolazione che, facendo la somma dei dati
qui proposti, importò oltre 90.000 emigrati (almeno 92.335). Ciò significa che
almeno un terzo di essi (30.292) partì prima del ritorno della città all’Italia, anche
in considerazione del fatto che la cancellazione anagrafica spesso segue con un
certo ritardo l’emigrazione effettiva (grafico 5).
Al fine di individuare con maggiore precisione l’emigrazione della popolazione locale, sarebbe necessario distinguerla dagli immigrati più recenti, per lo più
profughi e rifugiati dalla Jugoslavia, che ottennero la residenza a Trieste ma che
poi proseguirono sulla via migratoria, figurando perciò, sulla base delle cancellazioni, come emigrati. A tale proposito va comunque tenuto conto del fatto che la
struttura demografica della Trieste moderna è sempre stata caratterizzata da un
elevato tasso di popolazione nata altrove, non lontano dalla metà della popolazione rilevata nei vari censimenti otto e novecenteschi.
In tutto il dopoguerra, una parte considerevole degli emigranti triestini era
quindi composta da persone che vi erano immigrate in tempi più o meno recenti, né sarebbe nostro obiettivo stabilirne il grado di «triestinità». Nel triennio
1948-50, per esempio, il 30% degli emigrati era nato nella zona A (grafico 6), ma
molti degli altri erano immigrati da tempo, probabilmente altrettanti (insieme
comporterebbero dunque un 60% circa), se è vero che la popolazione di Trieste
era tradizionalmente composta circa a metà da nati sul posto e da nati altrove.
E dato che gran parte dei profughi e dei rifugiati iscrittisi all’anagrafe triestina
avevano gli stessi luoghi di nascita tradizionali a una parte rilevante della popolazione triestina, distinguerli non è agevole. D’altra parte è anche per cercare di
delineare un fenomeno poco visibile, quale fu l’emigrazione triestina negli anni
della ricostruzione, che nelle pagine seguenti indagheremo le politiche economiche e le politiche migratorie. A complicare ulteriormente il quadro vi sono
i rientri, che entro il 1965 non dovrebbero aver superato le diecimila persone,
e anche in questo caso i protagonisti furono più o meno «triestini»15. Ad ogni
modo, se entro il 1950, dunque negli anni precedenti i maggiori interventi in
favore dell’insediamento a Trieste dei “profughi giuliani”, la quota degli emigrati
locali si aggirava sul 60%, essa va verosimilmente considerata come una soglia
minima. Quelli furono infatti gli anni di attività dell’Iro, con cui, come avremo
32
Grafico 3
Luogo di nascita degli immigrati nella zona A del Tlt, 1948-1950.
Fonte: dati tabella 4.
Grafico 4
Destinazioni degli emigrati dalla zona A del Tlt, 1948-1951.
Fonte: dati tabella 2.
politiche e pratiche migratorie
33
Grafico 5
L’emigrazione dalla zona A del Tlt e dalla provincia di Trieste, 1945-1965 (medie)*.
Fonti: Bonifacio, Il movimento della popolazione...cit; UNHCRA, High Commissioner Doc., Amg, Natural Movement Immigration Emigration...cit., pp. 72-73 e Tavole Ia e Ib in Appendice; C. Donato, P.
Nodari, L’emigrazione giuliana nel mondo: note introduttive, in “Quaderni Vanoni”, 1995/3-4, pp.
103, 120; Istat, Annuario di statistiche...cit., 1955-1965.
* 1945-1954: stima (vedi testo).
Grafico 6
Luogo di nascita degli emigrati dalla zona A del Tlt, 1948-1950.
Fonti: dati tabella 4.
34
modo di vedere, emigrarono da Trieste alcune migliaia di rifugiati dai territoti
ceduti alla Jugoslavia, tra cui molti avevano nel frattempo acquisito la residenza anagrafica nella zona A del Tlt. Le cifre di queste emigrazioni assistite, che
peraltro non costituiscono tutte le partenze, non sono tuttavia tali da incidere
oltre la soglia proposta per quegli anni. Dopo il 1951 i programmi di emigrazione assistita dei “profughi giuliani” rallentarono fino alla fine del Gma, mentre
furono rafforzati i provvedimenti in favore del loro insediamento a Trieste, per
cui si può ragionevolmente ritenere che, nell’emigrazione da Trieste, la quota dei
profughi andò diminuendo16. Su queste basi è possibile stimare che almeno i due
terzi dell’emigrazione abbia coinvolto la popolazione locale e che, come ordine
di grandezza, nei due decenni successivi alla seconda guerra siano emigrati circa
60.000 «triestini».
Si profila con ciò un bilancio nell’ordine di grandezza di sessantamila «triestini» emigrati per sessantamila «profughi» immigrati tra l’immediato dopoguerra e la metà degli anni sessanta, ma nel bilancio migratorio complessivo fu
rilevante anche l’apporto del flusso proveniente dall’Italia, di entità inferiore ma
non molto lontana dai due appena ricordati, e che ancora non ha riscosso grande
interesse tra gli studiosi, probabilmente in quanto riconducibile, almeno dopo il
1954, a forme di migrazione interna. Si può dunque ragionevolmente parlare di
un processo di ristrutturazione demografica, anche perché questi ordini di grandezza vanno compresi in rapporto alle dimensioni di Trieste, la cui popolazione
residente nel secondo dopoguerra sfiorava le 300.000 persone. In ogni caso, se
un terzo dell’emigrazione triestina del periodo 1945-1965 avvenne entro il 1954,
vale senz’altro la pena indagarne il contesto.
2. La ricostruzione e le migrazioni
Sebbene con il ritorno all’Italia l’emigrazione da Trieste aumentò, molti partirono già entro il 1954 e una parte rilevante dell’emigrazione triestina del secondo
dopoguerra avvenne prima della fine del Gma. Ciò implica la necessità di un
almeno parziale riorientamento della ricerca e dell’interpretazione dei meccanismi che hanno caratterizzato i movimenti migratori triestini nel secondo
dopoguerra, che qui tenteremo di approfondire alla luce della politica economica
e della politica migratoria attuata fino al 1954. Non tratteremo, invece, i possibili
(e verosimili) moventi migratori di altro tipo, quali potevano essere considerazioni di carattere politico, nazionale o anche culturale.
Le migrazioni triestine verranno qui innanzitutto messe in relazione con le
politiche economiche attuate a Trieste dal Gma e dall’Italia, cercando di leggerne
gli esiti dal punto di vista dei movimenti migratori, ma anche, in prospettiva inversa, dei condizionamenti che gli stessi fenomeni migratori ebbero sulle scelte
economiche dei governi. A tal fine ci si concentrerà sul periodo della ricostruzione e in particolare sugli anni del programma di ricostruzione europea, il Piano
Marshall o European Recovery Programme (Erp, 1948-1951).
Con l’Erp gli Stati Uniti intentendevano far sì che i paesi europei coinvolti si
riprendessero il prima possibile dalle conseguenze della guerra, creare una coalizione in grado di resistere all’Unione Sovietica e ai suoi satelliti, “neutralizzare,
politiche e pratiche migratorie
35
in virtù degli aiuti americani, il rischio di un’avanzata dei partiti di estrema sinistra all’interno di alcuni paesi più sconvolti e immiseriti” dalla guerra, e creare
un’area commerciale aperta alle merci statunitensi. Il Piano Marshall “contribuì
in modo decisivo a garantire sia la ricostruzione economica che la stabilizzazione politica”, oltre a rivelarsi “determinante” per il processo di integrazione tra i
paesi dell’Europa occidentale, che procedeva insieme a livello politico, economico e militare, ma che ebbe concreto avvio proprio sul versante della cooperazione
in ambito economico17. Trieste fu particolarmente esposta e fortemente coinvolta nella lotta per la difesa della “nuova razza dell’uomo atlantico” e dell’unità del
“mondo civile”, come si espresse il presidente della zona A del Tlt generale Airey18.
Le qualità dell’uomo e del mondo atlantico che si volevano preservare a Trieste,
attraverso la permanenza della città nello schieramento democratico occidentale,
non erano solo di carattere squisitamente politico, quale la libertà di espressione
in un sistema democratico pluripartitico, ma comprendevano il diritto alla proprietà privata e la libertà d’iniziativa imprenditoriale, in altre parole l’economia
di mercato. Entrambi questi aspetti costituivano un insieme alternativo al sistema composto dalla democrazia popolare e dall’economia comunista. Nella ricostruzione di Trieste come dell’Europa, l’intreccio tra fattori politici ed economici
era dunque forte, e non avrebbe potuto essere altrimenti, dato che a fronteggiarsi
erano due sistemi non solo politici, ma anche economici alternativi.
Insieme ai rifornimenti alimentari, alla ricostruzione industriale e al problema degli alloggi, la disoccupazione costituiva il principale problema di carattere
economico e sociale agli occhi dell’amministrazione alleata, non soltanto in
quanto tale, ma anche perché veniva considerata un terreno di coltura ideale dell’instabilità sociale, delle idee comuniste e filojugoslave, già molto diffuse tra le
fila dei lavoratori industriali, in particolare nei cantieri navali, e che il Gma intendeva contrastare. La lotta alla disoccupazione si trovava quindi in cima all’agenda
politico-economica del Gma19 al punto da condizionarne le scelte:
L’alleviamento della disoccupazione è stato un problema sempre presente nei piani e
nell’effettuazione del programma di ricostruzione di Trieste. Quasi tutte le decisioni
in fatto di economia sia che riguardassero il controllo sui prezzi oppure il bilancio [del
Gma, ndr.] od il finanziamento all’industria, sono state fortemente influenzate dal
problema della disoccupazione. In molti casi questo problema ha limitato la libertà
d’azione; in altri ha prescritto un corso di azioni che, in sua assenza, non sarebbero
state prese20.
In effetti in quegli anni Trieste era piena di disoccupati. Nella zona A del Tlt tra
il 1947 e il 1953 gli iscritti alle liste di collocamento andavano da un minimo di
diciassettemila a un massimo di trentaduemila, ma si aggiravano per lo più nell’ordine delle diciotto-ventimila persone (tabella 9). L’intenso afflusso di profughi
dalle terre cedute alla Jugoslavia aggravava la precaria situazione locale, in quanto
i nuovi arrivati premevano sul mercato del lavoro triestino sia attraverso l’inserimento nelle liste dell’ufficio di collocamento, se erano riusciti a iscriversi tra la
popolazione residente, sia con l’offerta di manodopera disponibile al lavoro nero.
Le risorse impiegate a Trieste nel periodo dell’Erp furono ingenti. La zona A
del Tlt ricevette infatti complessivamente 37,5 milioni di dollari in aiuti Erp, che
dettero un fondo di contropartita di 22 miliardi di lire21. Sulla base di questi dati
a Trieste furono erogati 126 dollari di aiuti Erp per abitante (residente), quasi cinque volte più che in Italia (27 dollari), per fare un paragone (grafico 7).
36
Grafico 7
Aiuti Erp per abitante nei diversi paesi europei.
Fonte: dati tabella 21.
Nel triennio 1948-1951 Trieste ottenne inoltre dal governo italiano oltre 28
miliardi di lire, contribuiti in grandissima parte colmando il deficit di bilancio
del Gma, ma anche attraverso meccanismi valutari e fiscali. A ciò si aggiungeva
l’attività delle imprese pubbliche italiane esistenti a Trieste22. I governi e gli enti
pubblici italiani, tra gli altri l’Iri e l’Imi, svolsero in effetti un ruolo fondamentale
nell’indirizzare le scelte e le azioni economiche, oltre che politiche, nella zona A
del Tlt23. In base agli accordi economico-finanziari firmati nel 1948, a parte le questioni valutarie, il governo italiano era chiamato ad approvare i bilanci semestrali
del Gma e si obbligava a ripianarne il deficit24. In compenso, “il sistema di collaborazione economica italo-triestina fissato dagli accordi valutari e finanziari del
9 marzo” assicurava “praticamente, la perfetta conformità del regime economico
triestino con quello italiano”25. L’Italia seguiva molto da vicino la situazione triestina26. Alla fine del 1949 il governo italiano istituì la “Commissione Permanente
Interministeriale per il Coordinamento fra l’Economia italiana e l’Economia triestina”, il cui scopo era “il rafforzamento dell’unità di indirizzo circa le questioni
economiche di Trieste tra i diversi Dicasteri ed Enti competenti e l’acceleramento
delle procedure”. Al suo interno venivano definite le posizioni italiane che sarebbero poi state discusse nelle sessioni della “Commissione mista italo-triestina
[anglo-americana]”27. L’ordine del giorno della sessione della “Commissione Mista” del dicembre 1951 rende bene l’ampiezza dello spettro degli interessi e degli
interventi italiani nella zona A: si discusse del bilancio del Gma, del programma
delle importazioni, del programma delle costruzioni navali, del controllo dei
materiali scarsi, del “Villaggio del Fanciullo”, degli alloggi per l’“Opera Giuliani e
Dalmati”, del prestito alla Sade-Selveg, di un ulteriore prestito all’Acegat (azienda
di servizi municipalizzati), del programma edilizio dell’università, del prezzo
delle sigarette, dei corsi professionali per lavoratori, delle assicurazioni di Trieste
politiche e pratiche migratorie
37
e del “fondo speciale di riserva”28. La cooperazione tra il Gma e il governo italiano
in materia economica, a livello sia decisionale sia finanziario, costituiva del resto
la realizzazione di un aspetto importante dell’Erp su scala europea, l’integrazione
tra i paesi coinvolti. In effetti, nello stesso programma del Piano Marshall triestino del maggio 1948 si affermava che
“il problema della ricostruzione di Trieste è prima di tutto il problema dell’integrazione
della sua economia con quella italiana, il cui programma di ricostruzione non può
non influenzare quello di Trieste. [...] Perciò Trieste, a causa della sua struttura di
dipendenza [...], presenta il problema di una integrazione che ricostruisca piuttosto
che quello, largamente comune agli altri paesi partecipanti, di una ricostruzione che
integri”29.
Era proposito tanto degli alleati quanto degli italiani di integrare l’economia triestina con l’Italia e l’Europa occidentale30. Anche in seguito il Gma, nei suoi documenti, continuò a considerare “Trieste collegata con l’economia italiana”. D’altra
parte, scorrendo i dibattiti interni al governo italiano e in particolare tra le diverse
Direzioni generali del Ministero degli affari esteri, si nota come ogni questione
triestina, non solo politica ma anche economica, sociale e sindacale, venisse sempre letta o analizzata anche (se non esclusivamente) in chiave etnico-nazionale,
ovvero con un’attenzione particolare alle conseguenze che le scelte all’ordine del
giorno avrebbero potuto comportare sul carattere etnico e sulle prospettive nazionali della città31. Così anche la Camera di commercio di Trieste era schierata
sulla linea dell’integrazione con l’Italia e ricorreva all’argomento dell’interesse
nazionale nel richiedere una politica fiscale più mite, perché l’intransigenza
dell’esazione sarebbe risultata “antieconomica oltre che antinazionale”, in quanto
avrebbe indebolito le aziende italiane e facilitato la “penetrazione straniera”32:
“la smobilitazione dell’attrezzatura economica italiana apporterà un innegabile vantaggio a ditte jugoslave [...], o meglio a organismi politico-economici che sotto forma
di società commerciali già hanno acquistato, o stanno tentando di acquistare, senza
limitazione di mezzi, stabili, terreni e addirittura aziende [...] la guerra non la si combatte soltanto con le armi, ma bensì anche, e forse soprattutto, con il denaro, i titoli di
credito e le iniziative economiche [...] ed è di ieri il tentativo fino ad oggi rintuzzato
d’istituire una banca jugoslava”33.
Sembra quasi che nella città si stesse combattendo una guerra economica italo-jugoslava. Anche l’Associazione Piccole Industrie di Trieste, di orientamento
cattolico e contrario ai grandi industriali, si presentava al governo come un’organizzazione filoitaliana, sebbene dovesse affidarsi all’intercessione del vescovo
e del Vaticano per ottenere maggiore ascolto a Roma34. Posizioni che mostrano
chiaramente come la lotta politico-nazionale italo-jugoslava si combattesse (anche) in campo economico. L’intreccio non era solo tra economia e politica, ma
anche tra questioni economiche e questioni nazionali: è forse appena il caso di
ricordarlo, ma bisogna tenerne conto.
Ma l’aspetto della politica economica nella zona A del Tlt che più interessa l’argomento qui trattato è la corrispondenza dell’intervento pubblico al problema
della lotta alla disoccupazione, a causa delle sue eventuali ricadute sui comportamenti migratori della popolazione triestina. A ben vedere, i risultati ottenuti dal
Gma nella lotta alla disoccupazione furono tutt’altro che insignificanti, se tra il
1948 e il 1953 si registrò una diminuzione degli iscritti alle liste di collocamento
38
vicina al 25%. I dati sulla disoccupazione sono tuttavia da prendere con una certa
cautela, come avvertono tutti i commentatori, a causa dello scarto esistente tra la
disoccupazione registrata e quella «reale», in particolare perché vi erano iscritte
persone che non sempre ne avevano titolo, al fine di pecepire sussidi35. Sono da
tenere nel debito conto anche i provvedimenti amministrativi che influirono sul
movimento della disoccupazione, come la repentina diminuzione del numero
degli iscritti in seguito alla revisione degli elenchi dei disoccupati nel marzoaprile 1947, il blocco delle iscrizioni anagrafiche con il 31 dicembre 1947 (Ordine
64 del Gma), ma anche alla revisione dei registri anagrafici e la conseguente concellazione della popolazione rivelatasi assente (primavera-estate 1950). D’altro
canto, gli aumenti degli iscritti alle liste di collocamento può essere collegata con
la riapertura delle iscrizioni anagrafiche, per il resto bloccate dal Gma (sebbene
di fatto l’iscrizione non fosse del tutto impossibile), che nel novembre 1950 consentì a molti immigrati relativamente recenti (da almeno un anno) di registrarsi
tra la popolazione residente. La residenza era importante perché dava il diritto di
accedere alle liste di collocamento e al mercato del lavoro della zona A. Tenendo
conto di queste osservazioni, dal movimento della disoccupazione registrata su
base mensile risulta comunque evidente che l’andamento della disoccupazione si
stabilizzò solo verso la metà del 1951 attestandosi, dalla fase finale dell’Erp in poi,
sotto la soglia delle ventimila persone fino al termine del periodo alleato (grafico
8)36. Ci vollero quindi quasi l’intero piano Erp e i contemporanei interventi italiani, per rendere più tranquilla la situazione della disoccupazione triestina, ma
non bastarono per risolverla.
Sia in quanto elemento importante nella lotta alla disoccupazione sia al fine
di interpetare correttamente i dati sui risultati della stessa, va comunque tenuto
conto del fatto che fin dall’immediato dopoguerra le grandi industrie triestine
mantennero livelli di occupazione superiori al necessario. Commentando il
grande sciopero operaio durato venti giorni nel febbraio del 1950, anche il
rappresentante diplomatico italiano sostenne che le grandi aziende (Cantieri
Riuniti dell’Adriatico, Ilva ecc.), che da sole davano lavoro quasi alla metà degli
occupati nell’industria, avevano “un personale esuberante”, erano “normalmente in deficit” ed erano “sotto il controllo dell’Iri e sovvenzionate da questo”37. Si
trattava di un’evidente scelta del governo italiano di sostenere l’occupazione e
il reddito dei ceti operai, attraverso l’erogazione di salari delle grandi imprese
a partecipazione statale. Il fatto che molti operai fossero “tenuti in paga senza
lavoro da eseguire” risultava però non solo “demoralizzante per gli operai stessi”,
ma, come osservava il Gma, anche oneroso per i datori di lavoro e teneva alti i
prezzi, portava a fallimenti e consumava risorse che avrebbero altrimenti potuto
essere investite in miglioramenti. Tale prassi finiva anche per rendere apparentemente meno incisivi i risultati della sua lotta alla disoccupazione, perché molto
personale sotto-occupato risultava ufficialmente impiegato, per cui le statistiche
sull’occupazione non davano conto di tutto il lavoro che era stato creato. Così, nei
cantieri “l’esecuzione del grandioso programma di costruzioni non provocò un
grande aumento della manodopera impiegata”38.
Il settore a cui apparteneva la maggior parte dei disoccupati era quello industriale, con quasi il 60% dei senza lavoro, seguito dal commercio, che contribuiva
con un 30% e dal comparto dei marittimi, che costituivano quasi un decimo dei
politiche e pratiche migratorie
39
Grafico 8
Il movimento della disoccupazione su base mensile, 1947-1953.
Fonte: dati tabella 10.
disoccupati della città. A fronte degli innegabili, seppur limitati, successi della
lotta alla disoccupazione in termini assoluti, risulta interessante notare come la
composizione della disoccupazione in base ai settori mutò invece in misura appena percettibile negli anni del governo militare alleato (grafico 9). Anche prendendo in considerazione singolarmente i tre principali settori della disoccupazione
triestina, si nota come tra il 1948 e il 1955 soltanto nell’ambito del commercio si
ebbe un miglioramento del rapporto tra occupati e disoccupati, mentre sia nell’ambito della forza lavoro industriale sia di quella marittima gli interventi non
portarono a una significativa riduzione dei livelli di disoccupazione (grafico 10).
Il principale strumento con cui si perseguì la riduzione della disoccupazione
furono i lavori pubblici, coerentemente con quanto avveniva anche in Italia39 (tabella 7). L’altro aspetto preminente dell’intervento pubblico nella zona A del Territorio libero di Trieste fu la ricostruzione industriale, con importanti intenti di
carattere anche occupazionale. Anche in questo ambito le scelte furono coerenti
con le pratiche politico-economiche dell’epoca e con l’indirizzo complessivo
degli aiuti statunitensi alla ripresa dell’economia italiana, impiegati “per aumentare la capacità produttiva delle industrie di base […] al fine di sostenere la concorrenza internazionale”, mentre gli interventi Imi-Efim “andavano soprattutto
verso il settore meccanico” (e soprattutto alle imprese pubbliche), per agevolarne
la riconversione, il rafforzamento “e con l’obiettivo dichiarato di combattere la
disoccupazione”40. Nell’ambito dell’economia triestina, il settore considerato di
base era quello della cantieristica e della navigazione. Tale visione è chiaramente
40
espressa dagli stessi funzionari americani dell’Economic Cooperation Administration (Eca), che gestiva l’Erp, quando sostenevano che “Trieste’s principal industries
are shipping, shipbuilding, ship repairing, and the performance of port services”41. Esso
era anche tra i pochi settori ritenuti capaci di un’attività significativa sul mercato
internazionale, sebbene gli stessi funzionari dell’Eca fin da principio fossero stati
espressi dubbi sull’opportunità di dare un indirizzo così monocolturale agli aiuti
economici, una scelta che altrove si tendeva a evitare42. Ciò nonostante, a Trieste
i finanziamenti Erp (circa il 50% dei complessivi), del Fondo per investimenti e
dei crediti dell’Iri effettivamente assunsero in gran parte la forma di sovvenzioni
armatoriali e cantieristiche (83%); in questo quadro, tanto gli aiuti Erp quanto i
mutui e le agevolazioni interessarono essenzialmente la grande industria, che
ne ottenne infatti ben il 98,7%43. L’assenza quasi completa delle piccole imprese
in questo quadro costituisce una situazione che si discostava anche da quella italiana, dove pure i comparti di maggiore intervento nel settore industriale furono
quelli “delle costruzioni navali, della siderurgia, dei trasporti affidati all’Iri”44.
Indirizzandosi in prevalenza sull’industria navale e sui lavori pubblici, le scelte dell’intervento pubblico a Trieste risultavano dunque, almeno a grandi linee,
coerenti con le contemporanee tendenze a livello europeo e italiano, sebbene la
doppia concentrazione degli interventi sull’industria marittima e sulla grande
impresa costituisse un aspetto specifico dell’Erp triestino rispetto alla prassi
europea e italiana. Tuttavia, la concentrazione dello sforzo sui lavori pubblici, e
quindi sull’edilizia, da una parte, e sull’industria marittima dall’altra, dirigeva al
contempo l’intervento verso i due comparti storicamente più importanti a Trieste per quanto riguarda la capacità di occupazione: l’edilizia e la navalmeccanica45
(tabella 8). Si trattava quindi di scelte in buona misura conformi sia agli orientamenti allora attuali, sia alla specifica tradizione economica della città. Considerando che il 60% circa della disoccupazione complessiva riguardava il settore industriale (grafico 9) e che oltre l’87% della disoccupazione operaia ricadeva nello
stesso settore (1952, tabella 10), a prima vista tutto indurrebbe a ritenere ottimali
le scelte di intervento effettuate. Ma una diversa scomposizione dei dati indica
anche altro. A ben vedere, se è vero che il 50% della manodopera occupata erano
operai industriali, solo il 30% di essi, e quindi il 15% del totale degli occupati a
Trieste, lavorava nella grande industria, che era invece beneficiaria della quasi totalità dell’intervento pubblico. I due settori di maggiore intervento, l’edilizia e la
navalmeccanica, davano insieme lavoro ai due terzi della manodopera industriale, che significavano però solo un terzo dell’occupazione complessiva46. In questo
modo il sostegno pubblico in favore delle attività produttive e dell’occupazione si
riversava, in sostanza, in grandissima parte su settori che rappresentavano una
quota minoritaria degli occupati.
Il rischio di privilegiare una parte minoritaria della forza lavoro triestina, cui
si andava incontro concentrando gli aiuti sul settore marittimo, fu del resto rilevato già dai funzionari dell’Eca all’avvio dell’Erp47. Anche più in generale, l’almeno
parziale inadeguatezza dell’intervento pubblico alleato e italiano nell’economia
triestina del secondo dopoguerra è stata rilevata già all’epoca ed è in seguito stata
oggetto di discussione anche in sede storiografica48. Pare quindi lecito chidersi
se e come gli indirizzi politico-economici attuati con ingenti risorse dal Gma e
dall’Italia abbiano potuto influire sulla disposizione della popolazione triestina
politiche e pratiche migratorie
41
Grafico 9
I principali settori della disoccupazione*, 1948-1955.
Fonte: dati tabella 6, elaborazione.
*Percentuale dei disoccupati per settore sul totale dei disoccupati (al 31. 12 di ogni
anno).
Grafico 10
Tasso di disoccupazione per settori*, 1948-1955 (al 31. 12.).
Fonte: dati tabella 6, elaborazione.
*Percentuale dei disoccupati sul totale dei lavoratori (occupati e disoccupati)
dello stesso settore (al 31. 12. di ogni anno).
42
nei confronti dell’emigrazione, e risulta perciò interessante andare a vedere le
posizioni dello stesso Gma riguardo alla ricostruzione a Trieste in sede di consuntivo dell’Erp.
Nell’estate del 1951, a tre anni dall’inizio dell’Erp, il Gma si riteneva soddisfatto dei risultati conseguiti, “ma forse non più di quanto si potesse ragionevolmente aspettarsi con riflesso al forte apporto dell’estero”, intendendo con ciò
gli strumenti dello stesso Erp e del governo italiano, e molto restava da fare: la
disoccupazione era “ancora eccessivamente rilevante”, l’industria aveva “ancora
una lunga strada da percorrere” per raggiungere parametri moderni di produttività, le consuetudini imprenditoriali erano “ancora troppo improntate ad una
mentalità monopolistica” che rifuggiva la concorrenza, l’economia nel suo complesso era “ancora troppo subordinata” alla cantieristica e al porto. Un quadro che
induceva preoccupazione soprattutto in previsione della fine dell’Erp49.
A Trieste il Programma di ricostruzione europea (Erp) affrontò innanzitutto la precaria situazione dei rifornimenti alimentari, dato che la produzione
locale era largamente insufficiente, il problema degli alloggi, acuito dalla forte
immigrazione, la ricostruzione industriale e la disoccupazione. In accordo con
il governo italiano, il Gma decise infatti innanzitutto di “ricostruire la marina
mercantile triestina con i fondi Erp in contropartita”, sperando in questo modo
“di dare lavoro” ai cantieri locali e alle industrie collegate, ma di procurare al contempo occupazione “ai molti marinai, camerieri ecc. di Trieste” che “erano stati
privati dei loro mezzi naturali di sostentamento”. Almeno per quanto riguarda
i marinai, però, la scelta si rivelò poco efficace, perché le navi costruite a Trieste
con l’Erp non necessariamente avevano per base il porto di Trieste, ragion per cui
il reclutamento degli equipaggi avveniva anche altrove in Italia50 (vedi anche i
grafici 2 e 3).
Il Gma ad ogni modo si rendeva ben conto del fatto che concentrando gli aiuti
sulla sola grande industria non si sarebbe riusciti a risolvere il problema della disoccupazione, né quella che considerava una condizione di relativo sottosviluppo
industriale della città. Secondo il governo alleato infatti a Trieste c’era poca industria fin da prima della guerra: l’economia cittadina si fondava soprattutto sul
porto, ma le trasformazioni avvenute dopo la guerra con la “meccanizzazione e le
cambiate consuetudini commerciali”, avevano ridotto il personale necessario alle
operazioni portuali, mentre l’aumento della popolazione rendeva la situazione
vieppiù difficile. Si riteneva quindi necessaria una politica particolarmente decisa
in favore dell’aumento delle opportunità di occupazione, e la soluzione veniva individuata in “una politica di incoraggiamento ad una maggiore industrializzazione”, che attraverso un aumento della produzione avrebbe portato “più lavoro e un
tenore di vita più elevato”. Su queste basi il Gma promosse quella che definiva una
“politica di industrializzazione”, che si estrinsecò in un programma di riparazioni
dei danni causati dalla guerra, di ampliamenti e modernizzazioni degli impianti
esistenti e di “incoraggiamento alla creazione di nuove industrie”:
Il benessere economico di Trieste dipende dall’aumento del potenziale industriale.
Devono sorgere nuove industrie ed industrie esistenti devono venir rese più produttive. [...] Solo un’inflessibile, vigorosa spinta verso un’accresciuta produttività darà un
livello di benessere che assicurerà la stabilità sociale51.
Tuttavia, in sede di consuntivo sul finire dell’Erp, il Gma non nascondeva le
politiche e pratiche migratorie
43
difficoltà che la sua “politica di industrializzazione” aveva incontrato, né che i
risultati non fossero del tutto soddisfacenti. Ritenendo che le grandi industrie
dovessero possedere da sé i capitali e l’esperienza necessari, tale programma
doveva essere mirato soprattutto verso le piccole e medie imprese, ma “incoraggiare e finanziare la modernizzazione e l’espansione di centinaia di piccoli stabilimenti industriali assume l’aspetto di un processo lento e complicato”, anche
perché richiedendo “nuovi usi di gestione” incontrava “apatia e forti dubbi” tra
gli imprenditori. La debole disposizione al cambiamento che si riscontrava nella
piccola imprenditoria triestina, veniva fatta risalire al fatto che l’industria triestina era sempre stata “intimamente collegata con le costruzioni navali” locali e con
il loro andamento. “Ciò ha scoraggiato l’ingrandimento e la modernizzazione. Si
è giunti al punto di chiedersi: ‘Perché cercare altrove mercati e tentare concorrenze con l’estero se un vasto programma di costruzioni navali risolverebbe tutti
i problemi?’ I nuovi metodi di gestione avrebbero necessariamente richiesto
l’ammodernamento dei “sistemi di produzione, sviluppo delle vendite, spirito
di concorrenza ed un’illuminata politica dei rapporti di lavoro” da parte della
imprenditoria triestina, che invece mancava di dinamica e modernità52. Erano,
queste, critiche presenti già nel 1949, e che da parte americana venivano rivolte
anche all’imprenditoria italiana nel suo complesso53. Ma, come lo stesso Gma
ammetteva, seppure solo in nota, la mancanza d’iniziativa privata era altresì dovuta alla difficile situazione economica, alla scarsità dei risparmi e all’incertezza
sul futuro assetto politico del Tlt, che scoraggiavano gli investimenti54.
Nell’ambito della politica in favore dell’industrializzazione furono effettivamente prese iniziative volte ad aiutare le cooperative, l’artigianato e le piccole
imprese (che come si è visto davano lavoro a una quota rilevante della manodopera operaia triestina) a rafforzarsi e ingrandirsi. Al contempo si tese a facilitare
la creazione di nuove imprese, in particolare nel nuovo porto industriale di Zaule.
Allo scopo di sostenere la politica in favore delle piccole imprese fu creato, ma
appena nel 1951, un fondo specifico, che fu però dotato soltanto con 150 milioni
di lire provenienti dal fondo di contropartita dell’Erp e da altrettanti dal bilancio
del Gma. I prestiti in favore degli artigiani e delle piccole imprese venivano concessi a tassi nettamente più elevati rispetto a quelli in favore della grande industria. Altri prestiti, traendo le risorse dal bilancio del Gma (e quindi con risorse
finanziarie in parte provenienti dal governo italiano), furono dati per esempio
al comparto turistico (140 milioni), e alla Fiera di Trieste (285 milioni), per un
totale di 6,6 miliardi di lire55.
A conferma del fatto che la questione delle piccole imprese era all’attenzione
delle autorità economiche, nel 1951 il Gma effettuò uno studio sulle capacità
produttive delle industrie triestine per eventuali rifornimenti alla Nato, esclusi
gli armamenti, anche sull’esempio di quanto si andava facendo a Berlino Ovest.
Un’attenzione particolare fu rivolta alle piccole imprese, ritenendo però necessaria un’opera di coordinamento “per il piazzamento di ordinazioni che a Trieste si
presenta particolarmente difficile data la relativa modesta capacità di produzione delle singole aziende” proprio a causa delle limitate dimensioni e capacità di
un gran numero di esse56.
L’importo di 6,6 miliardi di lire menzionato più sopra come somma complessiva delle risorse erogate in favore dei lavori pubblici e delle piccole imprese,
44
indubbiamente ingente, comprendeva appunto fondi destinati alla costruzione
di opere e servizi pubblici o di pubblica utilità. Il Gma fece dei lavori pubblici
(scuole, ospedali, uffici pubblici, strade, installazioni portuali e marittime) una
delle attività “più importanti” del suo “programma di ricostruzioni” Per quanto
riguarda gli alloggi in particolare, “le perdite di locali d’abitazione causate dalla
guerra, l’aumento di popolazione dovuto ad immigrazioni dalle regioni jugoslave
che prima facevano parte del territorio italiano, l’arrivo di famiglie del personale
degli Alleati ed, in grado minore, le deteriorazioni di case lasciate senza manutenzione per un lungo periodo, si sono uniti per rendere estremamente acuto il
problema di provvedere locali d’abitazione”. Gran parte delle costruzioni furono
effettuate con il finanziamento totale o parziale del Gma, pratica resa “necessaria
a causa delle condizioni esistenti”, che vanno intese nel senso dell’assenza della
capacità o della volontà di investire da parte dei privati, nell’edilizia come in altri
settori industriali. Tra il 1948 e il 1951 furono così edificate oltre duemila nuove
case, mentre altre duemila circa erano in costruzione57.
Il Gma intendeva la spesa per i lavori pubblici anche come una forma di sostegno alle piccole imprese, il che, a rigore, è indubbiamente corretto, dato che
nel comparto delle costruzioni non mancavano le imprese di piccole dimensioni.
Tuttavia, se è vero che una della priorità era costituita dalla promozione e dal
sostegno all’occupazione, nella pratica le cose andavano in parte in direzione diversa da quella auspicata, come dimostra l’immigrazione di manodopera specializzata su richiesta di aziende triestine e autorizzata dal Gma tra il 1948 e il 1954
(tabella 13). Come si spiega l’immigrazione di lavoratori dall’Italia, quando una
delle priorità dell’intervento pubblico in campo economico era costituita dalla
lotta alla disoccupazione locale?
A tutela della manodopera locale, la regolamentazione del mercato del lavoro
triestino prevedeva che le imprese dovessero dare la precedenza nelle assunzioni
ai lavoratori residenti e invece ai lavoratori non residenti quando licenziavano. A
partire dal 1948 il Gma consentiva l’immigrazione per motivi di lavoro su richiesta di un’azienda, previa domanda nominativa all’Ufficio del lavoro di Trieste e
relativa autorizzazione del Gma: l’assunzione di personale da fuori zona poteva
avvenire a tempo determinato ed era consentita nel caso in cui l’impresa riscontrasse la mancanza di una specifica professionalità sul mercato del lavoro locale
e che il lavoratore esterno fosse cittadino italiano58. Negli anni 1948-1953, furono
in media presenti a Trieste tra i mille e i millesettecento lavoratori immigrati in
base a permessi di questo tipo. Essi rappresentano una percentuale non certo elevata, ma nemmeno del tutto insignificante rispetto ai disoccupati triestini, soprattutto se si tiene conto del fatto che la lotta alla disoccupazione costituiva uno
dei principali obiettivi dell’amministrazione. I lavoratori immigrati autorizzati
erano infatti pari al 5 - 9% dei disoccupati locali, con una tendenza alla crescita
con il passare degli anni (grafico 11).
Mettendo a confronto i dati sulla struttura professionale della disoccupazione (tabella 10) e dell’immigrazione specializzata (tabella 15) nella zona A del
Tlt, si rilevano piuttosto chiaramente due tratti salienti. Il primo concerne il
fatto che nell’industria manifatturiera (in cui ricade anche la navalmeccanica)
la quota degli operai specializzati e qualificati ma disoccupati era ragguardevole
e, di riflesso, inferiore l’immigrazione dall’esterno. Tuttavia, anche l’industria
politiche e pratiche migratorie
45
Grafico 11
Il movimento degli occupati, dei disoccupati e dei lavoratori immigrati autorizzati, 19481953.
Fonte: dati tabelle 5 e 13.
navalmeccanica, come si vedrà più avanti, richiamò una quota di immigrati
dall’esterno, la cui prevalente provenienza da Monfalcone rinvia ai legami tra i
cantieri dell’Adriatico e al persistere dell’intervento pubblico di indirizzo «unitario» da parte dell’Italia in questo campo. Il secondo consiste invece nel fatto
che nell’ambito dell’industria edilizia tra i disoccupati locali prevalevano largamente i manovali generici e, specularmente, aumentava la quota di immigrati
specializzati. Da questo punto di vista, l’accento posto sulle opere pubbliche e
sulla cantieristica riattivava quindi vecchi legami e l’integrazione dell’economia
triestina nell’economia italiana, ma faceva almeno in parte mancare il bersaglio
della lotta alla disoccupazione triestina. Tenteremo quindi di individuare alcune
spiegazioni immediate dell’immigrazione di lavoratori specializzati nella zona A
del Tlt.
Un’importante spiegazione all’immigrazione di manodopera specializzata
va cercata nel fatto che il comparto edilizio triestino tradizionalmente richiamava manodopera soprattutto dal Friuli, ma non solo. Merita a questo proposito
richiamare le osservazioni del presidente della Camera di commercio di Udine
Enrico Morpurgo al congresso nazionale per l’emigrazione svoltosi a Bologna nel
1949, che parlò di una “lunga tradizione, interrotta dopo il 1945, di migrazione
temporanea dal Friuli verso l’Europa centro-orientale di operai specializzati,
organizzati da un gruppo di impresari della regione capaci di assumere anche
46
appalti di notevole importanza”59. Trieste era ciò che rimaneva di accessibile a
queste imprese e, in effetti, anche i sindacati locali richiamavano l’attenzione sul
fenomeno60.
D’altra parte, la capacità delle imprese di reperire la manodopera e i professionisti necessari indica al contempo come i legami con l’Italia, notevoli già in epoca
austriaca e quindi consolidati per mano dello stato dirigista tra le due guerre61,
erano ancora forti e funzionanti. L’industria pubblica italiana controllava la maggioranza delle grandi imprese triestine62. Se questo flusso immigratorio appare
almeno in parte come un effetto collaterale dell’intervento pubblico, nel senso
di una certa incongruenza tra obiettivi ed esiti, esso denota però coerenza con i
propositi alleati e italiani di integrare l’economia triestina con l’Italia.
Sotto questi punti di vista, l’immigrazione dalle province italiane aveva molto
in comune con il pendolarismo e l’immigrazione temporanea, per motivi di lavoro, dalla zona jugoslava alla zona alleata del Tlt, a cominciare dal fatto che coinvolgeva un numero analogo di persone e che si potrebbe pensare togliesse lavoro ai
triestini. Anche nel caso dei rapporti tra Trieste e l’Istria settentrionale si trattava
della continuazione di pratiche consolidate e di legami tradizionali, rafforzati
dalla volontà, da parte del Gma e del governo italiano, di mantenerli attivi. La
Legazione diplomatica italiana a Belgrado affermava essere “nostro interesse che
il traffico [tra le zone A e B del Tlt] abbia le maggiori facilitazioni possibili”63.
Riguardo all’immigrazione di manodopera va ricordato che dei profughi
istriani è stato invece detto si trattasse prevalentemente di forza lavoro poco
qualificata o con professionalità non richieste sul mercato del lavoro triestino,
quali quelle agricole. Si tratta di un tema che meriterebbe un approfondimento
particolare, che qui non può trovare spazio adeguato, ma va comunque sottolineato come in questo periodo molti profughi ancora incontravano difficoltà
nell’accesso alle liste di collocamento e al lavoro legale64.
Nel cercare di comprendere le ragioni dell’immigrazione temporanea dalle
province italiane non va sottovalutato il carattere contrattuale dell’immigrazione di lavoratori specializzati. Tra le clausole che consentivano l’assunzione di
manodopera da fuori zona vi era infatti l’obbligo di licenziare prima i lavoratori
esterni rispetto a quelli residenti. Ciò che era inteso come forma di tutela della
manodopera locale ne costituiva, però, un fattore di maggiore rigidità. Con i
lavoratori esterni, le imprese triestine si assicuravano una manodopera più flessibile, perché venivano assunti a tempo determinato e non erano tutelati dal licenziamento. La manodopera assunta con contratti a termine e da fuori zona era
anche, inevitabilmente, meno sindacalizzata degli operai triestini, che erano in
gran parte aderenti ai Sindacati Unici di orientamento comunista. Gli operatori
economici triestini mostrarono in molti casi un atteggiamento imprenditoriale
volto a sfruttare i vantaggi immediati dell’intervento pubblico in favore della ricostruzione65: un atteggiamento con il quale la ricerca di manodopera flessibile e
non sindacalizzata pare coerente.
La difficoltà delle imprese di reperire le professionalità necessarie nelle liste
di collocamento dipendeva però, almeno in parte, dal fatto che l’iscrizione veniva
concepita come mezzo per l’ottenimento di sussidi di disoccupazione. Esse costituivano di conseguenza un ricettacolo di soggetti scarsamente qualificati o non
necessariamente disposti ad accettare un impiego regolare, perché al contempo
politiche e pratiche migratorie
47
erano magari occupati nel lavoro nero. Anche i profughi erano spesso impiegati
in nero. La carenza di competenze, cui il Gma rispose anche avviando corsi di
specializzazione professionale, non sembra invece trovare una spiegazione del
tutto convincente in eventuali ristrutturazioni industriali e razionalizzazioni
economiche, che furono nel complesso limitate sia nel periodo prebellico sia nel
dopoguerra66.
Tuttavia le professionalità richieste dalle imprese, soprattutto di quelle coinvolte nei settori su cui si concentrava l’intervento pubblico volto alla ricostruzione e alla lotta alla disoccupazione, sono in molti casi tali da apparire tutt’altro
che introvabili sul mercato triestino (tabella 20). Né l’integrazione nell’economia
italiana e la tradizionale importazione di manodopera dal Friuli, soprattutto nel
settore edile, riescono a spiegarne in misura soddisfacente la mancanza. Le categorie professionali più colpite dall’emigrazione da Trieste, per lo meno tra il 1948
e il 1950, risultano gli impiegati e gli operai, e in particolare i primi registrano un
saldo migratorio fortemente negativo (tabella 12). Un’ulteriore spiegazione per
l’immigrazione di lavoratori qualificati dall’Italia va dunque cercata nell’ambito
del lavoro qualificato triestino.
In effetti nei primi anni della ricostruzione (1948-1951) l’andamento delle retribuzioni del lavoro dipendente portò, anche grazie all’introduzione della scala
mobile, a un sensibile miglioramento dei redditi reali rispetto all’anteguerra (tra
il 10 e il 75%), insieme però a un livellamento che privilegiò il personale di grado
inferiore rispetto a quello più qualificato, in particolare gli impiegati. Le “migliorie nel potere d’acquisto sono state in un rapporto pressoché inverso al livello
delle paghe e dei salari, avendo gli operai comuni ottenuto i più forti aumenti, i
lavoratori qualificati ed il personale stipendiato, i più bassi”. Il personale impiegatizio di livello più elevato nel settore industriale e commerciale vide invece
“una perdita di reddito netto di circa il 10%” rispetto all’anteguerra. Era lo stesso
Gma a segnalare il legame tra l’andamento degli stipendi e la disoccupazione:
Questi vari aumenti di paghe e salari hanno un notevole effetto sul quadro che rispecchia la disoccupazione. In confronto dell’anteguerra il lavoro specializzato costa
relativamente di meno ed il manuale relativamente di più. Ne risulta che lavoratori
specializzati vengono impiegati per lavori che non richiedono specializzazione e sono
ricercati mentre il manovale semplice ha estrema difficoltà di trovar lavoro. La stessa
cosa vale per gli apprendisti la cui retribuzione li ha svalutati sul mercato67.
La relativa svalutazione del lavoro specializzato riduceva il numero dei lavoratori specializzati nelle liste di collocamento, in quanto in parte erano occupati
in mansioni di grado inferiore, che pagavano lo stesso salario. Ciò contribuiva a
creare la necessità di importare manodopera specializzata dall’Italia, perché “lavori specializzati [...] ancora esistevano nonostante la forte disoccupazione”. Ma
contribuva anche a ingrossare le fila dei disoccupati senza qualifica, per i quali il
Gma aveva infatti avviato “l’addestramento per la riqualificazione al lavoro”68.
Infine, non sarà che la mancanza di manodopera specializzata, cui si sopperiva con l’immigrazione di lavoratori italiani, fosse dovuta anche al fatto che gli
operai specializzati triestini stessero emigrando? La relativa diminuzione dei
loro salari poteva infatti costituire una buona ragione per cercare altrove un
reddito più adeguato alla propria qualifica, e lo stesso vale per gli impiegati qualificati dell’indistria e del commercio. All’altro capo del mercato del lavoro, l’offerta
48
di operai senza qualifica era invece esuberante e costituiva un serbatoio di potenziali emigranti. Entrambi sono elementi del contesto economico in grado di favorire, tra la popolazione triestina, una scelta in direzione dell’emigrazione, che
si aggiungono alla perdita di lavoro tra i portuali per le mutate tecniche e tecnologie commerciali e del trasporto, al livello stagnante dell’occupazione tra i marittimi e nel settore commerciale, che si riprese solo dopo il 195469, all’insufficienza
degli interventi in favore delle piccole imprese. Nemmeno nell’industria l’Erp
riuscì a creare molto lavoro duraturo, dato che nel 1954 il livello dell’occupazione
era ridisceso verso quello del 1948 (grafico 12). Su queste basi si rende plausibile
l’esistenza nell’emigrazione triestina, fin dai primi anni della ricostruzione, di
Grafico 12
Il «monte del lavoro» triestino: occupati e disoccupati (iscritti) nella zona A del Tlt per
settore, 1948-1957.
Fonte: dati tabella 5.
Industria
politiche e pratiche migratorie
49
moventi legati al lavoro e alla sua mancanza. Tra il 1951 e il 1955 vi fu una costante diminuzione del numero complessivo dei lavoratori, occupati e disoccupati
(grafico 12): anche questo può essere letto come un segnale dell’emigrazione di
popolazione in età lavorativa.
Sebbene la ricostruzione a Trieste fosse stata caratterizzata da un’intensità
dell’intervento pubblico particolarmente elevata, ciò non significa che la responsabilità dell’andamento dell’economia e dell’occupazione vada cercata e
individuata solo nella politica economica attuata dal Gma. Innanzitutto perché,
con il passare degli anni, le scelte venivano fatte sempre più di concerto con il
governo italiano. Pure la scarsa iniziativa del ceto imprenditoriale triestino ebbe
un suo ruolo, fosse essa dovuta alle incerte prospettive geopolitiche (che scoraggiavano gli investimenti), alla perdita dei tradizionali mercati (Istria, Slovenia),
a una certa conformazione culturale orientata a evitare la concorrenza su un
mercato libero e più ampio, alla tendenza a sfruttare i vantaggi immediati dei
finanziamenti pubblici per la ricostruzione (anche ricorrendo a manodopera
esterna più flessibile), oppure alla struttura polverizzata del settore industriale,
o magari a tutto quanto insieme. Ad ogni modo le relazioni tra la ricostruzione
e le migrazioni non consistettero solo nell’influenza, più o meno diretta, che le
scelte politico-economiche poterono avere sull’inclinazione all’emigrazione tra
la popolazione triestina. La relazione, come si è visto, fu anche inversa, nel senso
che le migrazioni che investirono la città nel secondo dopoguerra condizionarono le priorità nell’ambito degli interventi per la ricostruzione.
3. Le politiche migratorie
Avendo constatato come negli anni della ricostruzione postbellica la politica
economica attuata a Trieste non riuscisse, in particolare in determinati settori,
a dare sufficiente lavoro alla popolazione locale, proprio mentre la consistente
immigrazione incrementava la disoccupazione e acuiva il problema degli alloggi,
si pone quasi da sé la domanda sugli orientamenti del Gma e dei governi italiani
riguardo alle questioni demografiche e migratorie triestine.
Nel 1945, subito dopo l’arrivo delle truppe alleate, a Trieste furono istituiti
due centri di accoglienza per rifugiati, all’epoca costituiti soprattutto da “italiani
naturalizzati d’Istria”, che non gradivano l’occupazione jugoslava, e da “jugoslavi
scontenti”. Dopo il trattato di pace nel 1947 si ebbe dall’Istria un “pesante afflusso”
di optanti per la cittadinanza italiana, che si aggiunsero agli altri “tipi” di rifugiati dell’est70. I flussi in entrata complicavano un quadro difficile. Già verso la fine
del 1948 nel Gma si riteneva che la popolazione triestina fosse eccessiva “rispetto alle ragionevoli possibilità di reddito e occupazione dalle attività economiche
esistenti o promuovibili all’interno del territorio mutilato dal trattato di pace”: il
“surplus demografico” veniva stimato tra i quattordici e i trentamila residenti71.
Grazie al prevalente interesse della storiografia per l’emigrazione dall’Istria,
la politica italiana nei confronti dell’insediamento dei “profughi giuliani” a
Trieste è stata già delineata. I governi italiani dedicarono grande attenzione e
investirono enormi risorse per l’assistenza e l’insediamento dei profughi, ma
anche a sostegno delle loro organizzazioni e per la “propoganda dell’italianità”
50
a Trieste, con l’obiettivo di rafforzare la parte filo-italiana (in senso nazionale e
politico) nella zona A del Tlt. È anche alquanto chiaro che il Gma fosse orientato
a limitarne l’insediamento, sia per considerazioni di carattere politico-amministrativo, in quanto essi avevano optato per l’Italia, ma si trovavano nella zona A
del Tlt, sia per ragioni di ordine socioeconomico, legate ai costi dell’assistenza e
alla disoccupazione72.
Diverse sono però le questioni che ancora rimangono relativamente poco
conosciute73: l’emigrazione della popolazione triestina in epoca alleata (cui più
sopra si è tentato di fornire un contesto economico), le relazioni migratorie tra
Trieste e l’Italia, i rientri postbellici dalla Slovenia e l’immigrazione dalla Jugoslavia in generale, i rifugiati in genere (e non solo quelli provenienti dalle terre
cedute), l’attività svolta dalle organizzazioni internazionali, ma forse soprattutto
il complesso della politica migratoria attuata dal Gma e dall’Italia. A fronte dell’ampiezza delle questioni aperte, in questa sede si cercherà di delineare le politiche migratorie alleata e italiana a Trieste, tentando di fare luce in particolare sugli
orientamenti nei confronti della popolazione locale e dei rifugiati, di esaminare
l’attività delle organizzazioni internazionali e di inserire i migranti istriani in
questo quadro d’insieme. A tal fine seguiremo l’evolversi delle posizioni e delle
azioni dei maggiori soggetti istituzionali che gestirono i flussi migratori nella
zona A del Tlt. Dapprima, negli anni 1948-1951, essi costituivano un triangolo
composto dal Governo militare alleato, dal governo italiano e dall’Organizzazione internazionale per i rifugiati (Iro), sostituita nel 1952 dal Comitato intergovernativo per le migrazioni europee (Cime) finché, con la fine del Gma, dal 1955
la politica migratoria a Trieste fu del governo italiano e venne attuata anche in
relazione con il Cime. Nella definizione e nell’attuazione delle politiche migratorie, i principali attori istituzionali erano coadiuvati da numerose organizzazioni
per i migranti postbellici, che andavano dalle associazioni dei “profughi giuliani” al vasto panorama del volontariato internazionale di ispirazione cristiana e
matrice anglosassone. Le prime erano molto influenti presso il governo italiano
e partecipavano attivamente alla definizione delle politiche governative nei confronti dei profughi dai territori ceduti, in Italia e anche a Trieste. Le seconde si
adoperavano in particolare per il reinsediamento negli Stati Uniti, ed entrambe
collaborarono con l’Iro.
Per determinare se un richiedente fosse “eleggibile”, ovvero ammissibile
all’assistenza dell’Iro (“entro il mandato”), i criteri generali dell’organizzazione
prevedevano che la persona si trovasse all’estero rispetto al proprio paese di cittadinanza od origine e che desiderasse essere rimpatriata, oppure che avesse validi
motivi (politici, non economici) per non fare ritorno e desiderasse quindi avvalersi dell’Iro per l’emigrazione e il reinsediamento in un altro paese74. In base al
trattato di pace tra l’Italia e la Jugoslavia (1947), chi era residente nelle terre cedute alla Jugoslavia ed era di lingua d’uso italiana poteva optare per la cittadinanza
italiana. Molti presentarono domanda di opzione in loco ed emigrarono con un
passaporto provvisiorio rilasciato dal consolato italiano di Zagabria, molti altri
erano invece emigrati in Italia già in precedenza e le loro domande venivano
raccolte presso le rappresentanze consolari jugoslave in Italia. Ma in entrambi
i casi, di fronte ai criteri di “eleggibilità” dell’Iro, chi era di lingua italiana, si era
trasferito in territorio italiano e aveva scelto la cittadinanza italiana (e se non
politiche e pratiche migratorie
51
l’aveva fatto aveva comunque il diritto di optare per essa), non poteva essere
ammesso all’assistenza dell’organizzazione, perché era da considerare come una
persona che si trovava nel paese della sua nazionalità e di sua cittadinanza e che,
per di più, non poteva avere validi motivi (politici) per non rimanere in un paese
occidentale, quale era l’Italia.
Ma dato che non tutti gli emigranti dalle terre cedute erano effettivamente
o chiaramente di lingua italiana75 e che non tutti avevano optato per la cittadinanza italiana, all’inizio “gli unici eleggibili erano quelli la cui lingua d’uso era
lo sloveno [o il croato] e che avevano vissuto in territorio jugoslavo”, mentre se i
funzionari dell’Iro stabilivano che la lingua d’uso dei richiedenti fosse l’italiano,
li consideravano “ineleggibili, perché in base al trattato di pace avevano il diritto
di optare per la cittadinanza italiana”. Così, quando il 1. aprile 1948 l’Iro iniziò a
ricevere i primi “nuovi rifugiati” di queste terre, “c’erano duemila sloveni, ovvero
Venezia Giulian con lingua d’uso slovena, che vivevano nei dintorni di Gorizia, alcuni anche nell’area di Milano”. Contemporaneamente, continuavano a entrare
nuovi rifugiati dal confine con la Jugoslavia76.
Questa politica sollevò subito un centinaio di ricorsi da parte di richiedenti
non ammessi, e l’esito di un’ispezione, a tale riguardo, del presidente del Review
Board dell’Iro in Italia nel novembre del 1948, offre un interessante spaccato della
loro composizione. Furono intervistate cinquanta persone che avevano fatto
ricorso. Nei quindici casi in cui il ricorso fu accolto e i richiedenti furono dichiarati entro il mandato Iro, tutti tranne due “dichiaravano lo sloveno come lingua
d’uso”, mentre gli altri due casi dimostrarono validi impedimenti all’esercizio
del diritto di opzione, l’uno di carattere burocratico, l’altro politico. “Dei rimanenti trentacinque, alcuni furono trovati essere emigranti economici o giovani
uomini desiderosi di evitare il servizio militare, alcuni erano cittadini triestini
che erano completamente senza valide obiezioni contro il loro nuovo Stato, altri
ancora erano ex-[cittadini] italiani di lingua italiana che non avevano valide obiezioni contro l’Italia e che avevano sperato che, se non avessero optato per l’Italia,
sarebbero stati accettati dall’Iro per l’emigrazione”77. I “cittadini triestini”, presenti tra i candidati all’emigrazione con l’Iro, erano immigrati dalle terre cedute
che avevano nel frattempo acquisito la residenza nella zona A del Tlt.
Sulla base di questi risultati, dalla fine del 1948 l’Iro adottò una “politica provvisoria” in base alla quale le persone provenienti dai territori ceduti dall’Italia,
che dichiaravono di essere di origine etnica slovena o croata o la cui lingua d’uso
era lo sloveno o il croato, erano considerati allo stesso modo di ogni altro jugoslavo; gli attuali “cittadini triestini”, a prescindere dalla loro origine etnica, erano
considerati “prima facie senza valide obiezioni contro Trieste”; alle persone di
lingua italiana veniva invece richiesto di “mostrare valide obiezioni sia contro la
Jugoslavia sia contro l’Italia”. Questa politica fu però trovata troppo restrittiva dal
Comitato esecutivo dell’Iro, che all’inizio del 1949 chiese di “adottare uno spirito
più liberale”. A tal fine fu effettuata una nuova missione ispettiva a Milano, con
un’altra serie di interviste che, a parte le diverse percentuali etniche riscontrate,
perché questa volta gli italiani risultarono più numerosi, confermò l’impressione dei funzionari dell’Iro sul fatto che gran parte delle persone di lingua italiana
dei territori ceduti che non avevano optato, volevano semplicemente emigrare e
non avevano altri validi motivi per non acquisire la cittadinanza italiana78.
52
Per il momento si rimaneva quindi dell’idea che la lingua d’uso italiana escludesse lo status di rifugiato come lo intendevano i criteri dell’Iro, perché queste persone potevano avvalersi del diritto di optare per l’Italia e di stabilirsi nel proprio
paese, e non avevano quindi nessuna necessità (politica) di emigrare oltreoceano.
Tutto ciò valeva per chi non aveva optato, perché a monte, e a maggior ragione,
rimaneva un punto fermo l’impossibilità di registrarsi presso l’Iro per chi avesse
fatto domanda di opzione per la cittadinanza italiana.
Ma il dibattito interno proseguì, alimentato da chi, nella stessa Iro ma anche
dall’esterno, riteneva che l’organizzazione dovesse adottare una politica meno
rigida nei confronti degli emigrati dai territori ceduti dall’Italia alla Jugoslavia.
Già alla fine del 1948 i dirigenti dell’Iro in Italia, a partire dal capo missione G.F.
Mentz, erano più inclini ad accogliere tali tesi rispetto ai Headquarters di Ginevra,
e sostenevano che non fosse giustificato escludere i Venezia Giulian di lingua italiana dai servizi dell’Iro79. Anche le organizzazioni giuliane e il governo italiano
erano favorevoli a criteri più inclusivi per l’ammissione dei “profughi della Venezia Giulia e Dalmazia” ai programmi d’emigrazione dell’Iro80.
Quando nel luglio del 1949 le maglie della “eleggibilità” furono effettivamente allargate, a includere chi aveva optato per la cittadinanza italiana ma ancora
non aveva ottenuto l’approvazione dalle autorità jugoslave81, su invito dello stesso Ufficio romano dell’Iro l’Associazione nazionale per la Venezia Giulia e Zara ne
diffuse immediatamente l’informazione ai propri comitati provinciali in tutta
Italia, con dettagliate istruzioni pratiche, commentando che l’Ufficio Iro di Roma
aveva “accettato in gran parte tutte le tesi sostenute dalla nostra Associazione”82.
All’Italian Office di Roma dell’Iro, si attribuiva invece la decisione da un lato alla
“aumentata pressione” da parte dei “gruppi giuliani”, ma d’altra parte nel comunicato stampa con cui ne dette notizia si sosteneva che “a seguito delle richieste
a suo tempo avanzate dal Governo italiano, l’Organizzazione internazionale per
i profughi (Iro) ha recentemente deciso di estendere la sua assistenza a quei profughi della Venezia Giulia e Dalmazia...”83. Alla Direzione affari politici del Ministero degli esteri si riteneva che “l’estensione dell’eleggibilità ai giuliani optanti
costitui[sse] un’interpretazione benevola delle direttive impartite da Ginevra”, il
cui “merito” andava alla stessa “Missione italiana dell’Iro”.
Nel governo italiano l’iniziativa fu accolta in modo favorevole, sebbene esistessero anche posizioni prudenti. La prospettiva apriva infatti questioni legate
alla cittadinanza degli interessati, in quanto essi non avrebbero potuto figuare
come italiani all’atto dell’emigrazione, bensì come rifugiati, ed era presente la
preoccupazione che non fossero costretti a rinunciare definitivamente alla cittadinanza italiana. Vi era però un appoggio di fondo in quanto, come ebbe a dire
il presidente della riunione interministariale che discusse la questione, “per un
Paese sopra popolato come l’Italia, è difficile riassorbire questa massa di profughi ed il loro parziale esodo sotto gli auspici dell’Iro potrebbe costituire un certo
sfogo”84. All’interno del governo era prevalsa la linea fondata su considerazioni di
carattere economico e sociale espressa dalla Direzione generale per l’emigrazione del Ministero degli esteri, anche in considerazione della “prossima chiusura
dei Centri di Assistenza Post-Bellica”, che avrebbe posto in “condizioni molto critiche” tra le quindici e le ventimila persone, che “il nostro governo non avrebbe
potuto abbandonare al loro destino avendo esse optato per l’Italia; ne sarebbe
politiche e pratiche migratorie
53
derivato un aggravio all’erario, alla situazione conomica generale e al mercato
del lavoro già gravato da un numero preoccupante di disoccupati”. Era in effetti
stata la stessa Direzione generale dell’emigrazione a sollecitare la delegazione
governativa italiana presso l’Iro ad intervenire “per ottenere l’assistenza, oggi
concessa, dell’Iro” 85.
Fondando questa scelta su considerazioni di carattere economico e sociale,
la Direzione dell’emigrazione del Ministero degli esteri attuava l’orientamento
espresso in un suo raporto riservato redatto nel marzo dello stesso anno 1949, favorevole a un deciso sostegno dell’emigrazione. Intorno alla necessità di favorire
una consistente emigrazione della manodopera in esubero, al fine di contenere
il disagio sociale, evitare crisi politiche e quale strumento imprescindibile nella
lotta alla disoccupazione, vi fu peraltro, tra la seconda metà degli anni Quaranta e
la prima metà degli anni Cinquanta, un sostanziale consenso nei diversi governi
e, più in generale, “tra gli studiosi di questioni economiche, le diverse forze politiche, i rappresentanti del mondo produttivo e del lavoro”86. Si trattava in verità
di orientamenti ancor più largamente condivisi, dato che ancora verso la metà
degli anni Cinquanta sia l’Organizzazione europea per la cooperazione economica (Oece) sia l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) “prevedevano la
necessità di ulteriori emigrazioni per alleviare l’economia dell’Europa dal peso
della sovrappopolazione”87. La scelta di promuovere il programma emigratorio
dell’Iro nel 1949 si inseriva, inoltre, nelle iniziative attuate dal governo italiano
per trovare opportunità di lavoro all’estero per la manodopera italiana, attraverso accordi bilaterali e intese plurilaterali88.
Nel caso dell’allargamento dei criteri dell’Iro nell’estate del 1949 si trattò di
una decisione fondata su un accordo tra il governo italiano e l’Iro italiana, con
l’attivo appoggio delle organizzazioni giuliane.
Almeno sulla carta, le nuove regole non facevano menzione della discriminante linguistica o etnica, che però rimase valida per la centrale Iro di Ginevra,
mentre l’Iro italiana, sostenuta dalle organizzazioni giuliane e con l’assenso del
governo italiano, praticava una politica più aperta ai profughi di lingua italiana,
che alla lunga sembra in effetti prevalere nella prassi89 (si vedano i grafici 18 e 19).
Il fatto era che, ammettendo all’assistenza anche chi aveva optato, e si era quindi
avvalso di una possibilità data a chi era “di lungua e cultura italiana”, l’Ufficio italiano dell’Iro aveva di fatto aperto l’emigrazione anche a quei rifugiati dai territori ceduti che erano di lingua italiana, e non più solo a quelli di lingua “slava”. Per
questa ragione la decisione dell’estate del ’49 fu interpretata come l’allargamento,
da parte dell’Iro, “della sfera di assistibilità anche ai profughi giuliani e dalmati”,
come scrisse il Cln per l’Istria90, ovvero ai “rifugiati di lingua italiana”, oppure agli
“esuli italiani”, come si esprimevano le fonti governative italiane.
Le nuove regole del luglio 1949 avvantaggiarono coloro i quali avevano optato
dopo essersi trasferiti in Italia, che erano in buona parte immigrati entro il 1947
e la cui domanda di opzione rimase in sospeso per lungo tempo. A chi invece lasciò i territori ceduti alla Jugoslavia seguendo le procedure previste per l’opzione,
dopo l’accoglimento della domanda da parte delle autorità croate, il consolato italiano di Zagabria aveva rilasciato un passaporto provvisorio, che per l’Iro provava
l’avvenuta accettazione dell’opzione da parte jugoslava e l’avvenuta acquisizione
della cittadinanza italiana, per cui escludeva la possibilità di essere un rifugiato.
54
Così divenne d’attualità la questione se accettare, ovvero perché non accettare,
anche chi era in posseso del passaporto provvisorio consolare. La Missione italiana dell’Iro aveva accettato un certo numero di domande presentate da persone
rientranti in tale categoria e mentre Gesner, capo dell’ufficio eleggibilità italiano,
suggeriva di accogliere almeno “quei casi eccezionali in tale categoria la cui lingua d’uso è slava”, a Ginevra si riteneva “difficile giustificare lo stabilirsi di una
politica sulla base di errori”91. Su questo aspetto prevalse invece, nel complesso, la
linea ginevrina (grafico 13).
Tuttavia, nel giugno 1951 la discussione si era ormai estesa a comprendere la
possibilità di ammettere anche gli emigrati dalla zona B del Tlt, dai quali erano
fino ad allora pervenute 650 richieste. Sperando di fornire al resposabile dell’Elegibility Office di Ginevra elementi utili per una “decisione riguardo alla politica
dell’eleggibilità da usarsi in questi casi”, oltre a fare considerazioni di carattere
formale e legale, Gesner riteneva che “da un punto di vista realistico apparirebbero poche differenze tra un rifugiato che fugge dalla zona di occupazione jugoslava [del Territorio libero] di Trieste e uno che fugge dai territori effettivamente
ceduti; essi esprimono le stesse obiezioni politiche contro il ritorno e probabilmente hanno valide ragioni per abbandonare le proprie case o proprietà, dovendo lasciarsi dietro amici e parenti”92. Ma era diverso lo status legale che, in associazione con l’identità etnico-linguistica, costituiva l’aspetto dirimente, soprattutto
dal punto di vista dell’Iro ginevrina. Ma di fatto, una volta che (nel luglio 1949) si
era rinunciato a ritenere la domanda di opzione un atto che escludeva dal mandato Iro, era stata aperta la strada a un progressivo allargamento delle categorie
ammissibili. Così, verso la fine dell’attività dell’Iro, prevalse ancora il progressivo
allargamento delle categorie dei Venezia Giulian ammissibili e, ancora una volta,
almeno nella pratica, passò la linea più aperta dell’Iro italiana. Se nel 1950 le persone provenienti dalla zona B venivano considerate “non eleggibili”, nel novembre 1951 negli elenchi dei rifugiati registrati dall’Iro a Trieste si trovavano, non
solo “540 connazionali [cittadini italiani ndr. ...] optanti non ancora in possesso
del decreto di opzione, i quali, in seguito ad accordo, possono iscriversi all’Iro per
l’emigrazione”, ma anche “382 connazionali della Zona B, che, pur essendo considerati cittadini italiani da queste Autorità Alleate, vengono considerati profughi
ai fini dell’emigrazione”93.
Dopo il periodo di forte attività seguito all’apertura del ’49, nel corso del
1950 l’attività di reclutamento dei Venezia Giulian da parte dell’Iro ebbe un rallentamento a causa della mancanza di fondi, finché a settembre si tennero una
serie di riunioni con il governo italiano, in cui si discusse anche del “prospetto
per il reinsediamento di 2.000 rifugiati giuliani da essere ammessi negli Usa” in
base a un emendamento del Displaced Persons Act, che il Gma avrebbe ben presto
prospettato anche per la zona A. L’Iro propose al governo italiano che per usufruire della quota, gli emigranti venissero selezionati tra quelli registrati nei suoi
elenchi94. L’organizzazione era intervenuta per favorire da parte di Washington
un’interpretazione il più larga possibile dello status di rifugiato dei Venezia Giulians. Avevano sperato in una decisione diversa che, come si espresse il capo della
U.S. Branch dell’Iro nel campo di Bagnoli (Napoli) J.P. Carmine, “avrebbe potuto
darci enormi possibilità di reinsediamento, senza restrizioni numeriche”, ma
l’interpretazione finale fu “sfortunata per noi”95.
politiche e pratiche migratorie
55
Grafico 13
Periodo dell’arrivo in Italia (compresa Trieste) dei rifugiati “Venezia Giulian” che furono
riconosciuti entro mandato Iro tra il 1. luglio 1949 e il 31 dicembre 1951.
Fonte: dati tabella 26.
Grafico 14
Ammissioni entro mandato Iro dei rifugiati “Venezia Giulian” nel periodo 1. aprile 1948
– 31 dicembre 1951.
Fonte: dati tabella 27.
56
Grafico 15
Rifugiati Venezia Giulian assistiti dall’Iro, 30 settembre 1949 – 30 settembre 1951.
Fonte: dati tabella 28.
Grafico 16
Partenze dei rifugiati Iro “Venezia Giulian” nel periodo 1. luglio 1947 – 31 dicembre 1951.
Fonte: dati tabella 30.
politiche e pratiche migratorie
57
17
Principali destinazioni dei rifugiati Iro “Venezia Giulian” nel periodo 1. luglio 1947 – 31
dicembre 1951.
Fonte dati: tabella 30.
Gli incontri tra l’Iro e il governo italiano portarono, nel novembre 1950, alla
conclusione di un accordo “per la rimozione di 20.000 persone dall’Italia”. Di
conseguenza, nel maggio del 1951 iniziò una nuova “intensa campagna di interviste di possibile materiale da reinsediamento”. I candidati venivano scelti tra
la popolazione presente nei campi gestiti dall’Assistenza pubblica italiana, alle
dipendenze dal ministero dell’interno, in cui erano presenti pure rifugiati dalla
Venezia Giulia e dalla Jugoslavia, e comprese l’emigrazione di italiani provenienti dall’Africa, dal Dodecanneso e dalla Romania96. In effetti ciò portò a un nuovo
incremento delle ammissioni e del numero degli assisititi anche tra i rifugiati
provenienti dalle terre cedute (grafici 14 e 15). Gran parte delle loro partenze
avvenne proprio nella seconda parte del 1951, che fu anche l’ultimo periodo di attività dell’Iro, e molta parte di questa emigrazione avvenne proprio verso gli Stati
Uniti, nell’ambito del programma legato all’emendamento del Displaced Persons
Act (grafici 16 e 17, tabella 30).
Almeno dal 1949, nella zona A del Tlt le questioni legate all’ammissibilità
dei “profughi giuliani” all’assistenza dell’Iro ebbero un percorso parzialmente
diverso da quello seguito in Italia, e ciò in parte perché il governo italiano vi ebbe
un atteggiamento un po’ differente, e in parte in quanto a Trieste agiva anche il
governo alleato.
Nel 1947 e nel 1948 l’Iro inviava i rifugiati di Trieste, molti dei quali provenivano dai territori ceduti alla Jugoslavia, nei campi di tutta Italia, da dove poi alcuni
riuscivano a proseguire per mete transoceaniche. Nei primi anni del dopoguerra
58
fu particolarmente intensa l’emigrazione dalla Slovenia in Italia, che attraversò il
confine orientale e interessò anche la zona A del Tlt. Intervistato dallo storico dell’Iro Hacking, il capitano della marina militare italiana Thiene, che aveva operato
nei campi di accoglienza nell’immediato dopoguerra, riteneva che
la migrazione slovena in Italia alla fine della guerra [fosse stata] una migrazione
completa di un’intera popolazione, che era fuggita in massa di fronte all’avanzata
delle truppe di Tito. A Senigallia per esempio egli ebbe l’intera popolazione di alcuni
villaggi incluso il prete e il farmacista, il dottore, il poliziotto e così via97.
Le decisioni restrittive introdotte dalla “politica provvisoria” dell’autunno 1948,
in base alla quale per l’Iro erano ammissibili i Venezia Giulian di lingua slovena (e
croata), ma non quelli di lingua italiana, mentre i “cittadini triestini” (da intendersi i residenti nella zona A del Tlt) erano esclusi a prescindere dalla loro origine,
causarono l’accumularsi di rifugiati nell’area triestina. A questo punto si manifestò un nuovo forte flusso di jugoslavi, bulgari, romeni e ungheresi che “filtravano
attraverso la cortina di ferro”98.
Trieste era ormai piena di rifugiati, con una situazione occupazionale difficile
e fino all’ottobre 1948 non sarebbe divenuta un “membro fruente” degli aiuti
Erp99. Con gli accordi di marzo era però iniziata la “collaborazione economica” tra
il Gma e l’Italia, in base ai quali il governo italiano si era impegnato a finanziare
il disavanzo del bilancio della zona A del Tlt, e una voce importante della spesa era
costituita dai lavori pubblici, intesi anche a combattere la disoccupazione, come
abbiamo avuto modo di vedere. Al momento della discussione per l’approvazione del primo bilancio semestrale dopo gli accordi, vennero subito a galla notevoli
divergenze nelle priorità proprio nell’ambito delle politiche migratorie, che dimostrano l’esistenza di stretti legami, anche inattesi, fra le politiche economiche
e quelle migratorie. Le conversazioni tra la delegazione italiana e la delegazione
alleata, che si svolsero a fine luglio 1948 a Roma, si bloccarono proprio su questioni legate alla disoccupazione e alle migrazioni:
Unico punto di maggiore importanza non ancora risolto è la questione del finanziamento del bilancio straordinario triestino il cui disavanzo, a termine degli accordi di
marzo, dovrebbe essere coperto dal Tesoro italiano.
I tecnici del Tesoro hanno espresso l’avviso che su un programma semestrale di lavori
pubblici di otto miliardi complessivi [...] solo due miliardi possono essere accordati. [...]
I rappresentanti del Gma, dal canto loro, hanno sottolineato che l’impossibilità di
eseguire, per mancanza di fondi, la massima parte dei lavori pubblici previsti, porterebbe ad un aumento della già notevole disoccupazione (23.000 unità) con prevedibili
preoccupanti ripercussioni sulla situazione politica locale. In tale ipotesi il Gma potrebbe essere portato ad esaminare l’opportunità di allontanare dal territorio, in tutto
od in parte, i 22.000 profughi giuliani che attualmente vi hanno trovato asilo.
Sono evidenti [...] le ragioni di carattere politico per cui occorre venire incontro in più
adeguata misura alla richiesta alleata, almeno nel senso di consentire l’esecuzione
di un piano semestrale di lavori pubblici di quasi 6 miliardi complessivi. [...] si prega
l’E.V. di voler cortesemente intervenire presso il Ministro del Tesoro affinché la questione di cui sopra sia tempestivamente decisa nel senso suindicato100.
Nel corso delle trattative il Gma, cui premeva attuare un programma di lavori pubblici come strumento nella lotta alla disoccupazione, usò l’argomento
dell’emigrazione dei “profughi giuliani” se l’Italia non avesse finanziato il
politiche e pratiche migratorie
59
programma. Si trattava evidentemente di un argomento persuasivo, data la
pronta reazione della delegazione italiana, che rivela un’importante priorità del
governo italiano nell’ambito delle sue politiche a Trieste, la volontà di trattenervi
i “profughi giuliani”. Verrebbe da pensare ai “profughi” e ai disoccupati triestini
quasi come a merce di scambio nelle trattative italo-alleate sulle politiche economico-demografiche da seguire. Ma oltre all’uso strumentale dell’argomento per
ottenere ciò che riteneva necessario, il Gma dimostrava, altrettanto chiaramente,
di dare la priorità alla lotta alla disoccupazione, che aveva anche risvolti politici,
ma prima ancora sociali ed economici. Dal suo punto di vista, il forte afflusso di
rifugiati dai territori perduti dall’Italia aggravava una situazione di per sé grave, e
sembra di percepire che all’epoca il Gma avrebbe volentieri cercato di alleggerire
la situazione attuando un programma di emigrazione dei “profughi”, che costituivano buona parte degli immigrati e rifugiati presenti, se non fosse stato per la
resistenza italiana.
Un anno dopo, in concomitanza con l’introduzione della nuova politica Iro nei
confronti dei Venezia Giulian in Italia nell’estate del ‘49, anche il Gma fece i suoi
passi presso l’organizzazione al fine di stabilire un accordo riguardo all’emigrazione dalla zona A del Tlt. Il 1. luglio 1949 il Gma informò le autorità diplomatiche
italiane che l’Iro aveva offerto di “facilitare l’emigrazione oltreoceano di italiani,
in passato residenti dei territori ceduti alla Jugoslavia, che hanno lasciato le proprie case e si sono stabiliti a Trieste al fine di evitare di passare sotto il governo
jugoslavo, ma a cui è stato negato il diritto di optare per la cittadinanza italiana”,
ovvero la loro richiesta era stata bocciata dalle autorità jugoslave. Mentre in Italia
veniva concessa l’emigrazione anche a chi aveva optato, negli accordi presi dal
Gma questi non sembrano compresi. Il Gma ottenne invece, contrariamente a
quanto stabilito dalla precedente “politica provvisoria” dell’Iro, la possibilità di
far emigrare anche chi era residente a Trieste, e quindi coloro i quali nel frattempo erano riusciti a ottenere l’iscrizione anagrafica e, di conseguenza, il libretto di
lavoro e il diritto di accesso al mercato del lavoro triestino:
Si stima che il numero di tali persone [provenienti dai territori ceduti, ndr. 101] attualmente nella zona anglo-americana del Tlt sia vicino a 15.000, delle quali circa 7.500
ricevono la Post Bellica e altre forme di aiuto ai rifugiati. Questa addizione alla popolazione, più di ogni altro fattore, incide sul problema della disoccupazione nella Zona
e di conseguenza sul suo deficit di bilancio [ripianato dall’Italia, ndr.]. Inoltre, se non
si faranno alcuni passi per ridurre questa popolazione in surplus, il problema rimarrà
non meno acuto se il Territorio libero verrà restituito all’Italia.
Il Governo militare alleato non ha nessuna intenzione di spingere chiunque a emigrare contro la sua volontà. Intende tuttavia fare tutto il possibile, attraverso annunci
stampa e simili misure, per richiamare l’attenzione dei rifugiati istriani nella Zona sui
vantaggi dell’avvalersi dell’offerta dell’Iro [...] Al contempo sarà reso chiaro che nessun
individuo ha diritto a ricevere l’aiuto Post Bellica ai rifugiati per più di un anno, dopo
di ché coloro i quali non sono in grado di guadarsi da vivere non possono aspettarsi
altro aiuto oltre all’assistenza pubblica normalmente accordata alle persone indigenti. Il Governo militare alleato ad ogni modo spera che l’opportunità di emigrare offerta
dall’Iro venga colta, non solo da persone che ricevono aiuti per i rifugiati, ma anche
da coloro che sono occupati, seppure avessero acquisito la residenza permanente della
Zona anglo-americana. Le persone di ques’ultima categoria svolgono infatti lavoro
60
che altrimenti potrebbe essere accessibile ai residenti di lunga data nella Zona, verso il
benessere dei quali il Governo militare alleato ha una responsabilità prioritaria. [...]
In queste circostanze il Governo militare alleato spera di poter fare affidamento
sull’appoggio del Governo italiano nell’attuazione della politica sopra descritta, che
considera possa contribuire concretamente al benessere (welfare) di Trieste. Al contempo, il Governo militare alleato chiede al Governo italiano di considerare la desiderabilità di incoraggiare egli stesso, possibilmente attraverso le varie organizzazioni dei
rifugiati istriani sia a Trieste che altrove, il maggior numero possibile di rifugiati di
avvalersi dell’offerta dell’Iro102.
Il Gma non si limitava a constatare l’incidenza dell’immigrazione dai territori
ceduti sulla disoccupazione a Trieste. Nell’estate del 1949 proponeva una politica
migratoria chiaramente volta ad affrontare il problema della disoccupazione,
dunque ispirata da cosiderazioni di carattere socioeconomico e intesa come
parte delle politiche economiche e sociali che attuava nella zona A del Tlt. Il Gma
riteneva inoltre di dover rivolgere un’attenzione prioritaria ai “residenti di lunga
data” rispetto agli immigrati più recenti, sebbene avessero nel frattempo ottenuto la residenza. Sulla base di questi orientamenti, la politica migratoria delineata
dal Gma era dunque indirizzata a favorire l’emigrazione dei “rifugiati istriani” in
modo da liberare opportunità di lavoro per la popolazione locale.
Ma l’appoggio richiesto al governo italiano non venne incondizionato, ovvero, l’Italia si pose su una linea che esprimeva priorità diverse da quelle prefigurate dal Gma. Le posizioni italiane sulla politica migratoria da attuare a Trieste non
erano monolitiche, esisteva un dibattito interno al governo che faceva parte dei
suoi meccanismi decisionali, in cui le questioni venivano analizzate sotto vari
aspetti103. Nel caso della zona A del Tlt non prevalse la linea dettata da considerazioni di carattere sociale ed economico relative alla città e al suo territorio e
che, oltre a essere sollecitata dal Gma, abbiamo visto affermarsi a livello italiano,
bensì un atteggiamento più attento agli “esuli” e alle implicazioni etniche della
politica migratoria da attuare.
Già nel trasmettere a Roma la richiesta del Gma, l’11 luglio 1949, il rappresentante diplomatico italiano a Trieste Augusto Castellani aveva proposto, tra l’altro,
quella che sarebbe poi stata la linea effettivamente adottata: “cogliere l’occasione
per ottenere che venga revocato il blocco delle iscrizioni anagrafiche; il quale
blocco rappresenta, per gli esuli, l’impossibilità di trovare lavoro sul posto e si
traduce quindi in una indiretta pressione ad abbandonare la Zona”104. L’argomento era che il blocco anagrafico fosse un provvedimento comprensibile nell’ambito
di una politica demografica dettata dal difficile equilibrio tra popolazione e risorse nella zona A del Tlt, acuito dai forti flussi immigratori, che si trasformava però
in uno strumento della politica migratoria del Gma dall’effetto iniquo perché
selettivo nei confronti di una parte dei “rifugiati istriani” che venivano esclusi
dal mercato del lavoro locale unicamente in base alla data d’arrivo a Trieste. Tuttavia il blocco delle iscrizioni riguardava tutti i rifugiati, ed era dunque selettivo
anche l’interesse italiano per una parte di essi. Alla luce della discussione interna
al governo, alla Delegazione italiana per l’Iro (Mae) sembrò ben presto “necessario chiarire se debbasi dare preminenza all’interesse politico rappresentato dalla
presenza in Trieste di un certo numero di profughi di origine italiana, oppure
agli interessi diretti di questi ultimi, che nell’emigrazione loro offerta dall’Iro
politiche e pratiche migratorie
61
possono trovare una sistemazione definitiva, giovante sostanzialmente anche
agli interessi economici nazionali”105. Il rappresentante della Delegazione italiana per l’Iro aveva sollevato “la questione dei profughi in Trieste, oltre a quella dei
profughi in territorio italiano”, già nell’ambito della discussione sull’allargamento dei criteri Iro in Italia:
Quanto a Trieste, nella città si trovano diverse categorie di fuoriusciti: rifugiati di
lingua italiana; esuli di lingua slava avversi al regime di Tito sia perché monarchici (i
cosidetti Slavi Bianchi), sia per divergenze politiche d’altro genere; infine Balcanici di
ogni nazionalità e di ogni ideologia. Se si guarda il problema sotto il profilo dell’italianità di Trieste, conviene che gli italiani restino in città e non c’è ragione di vietare
agli altri l’ingresso in Italia [da dove sarebbero poi partiti con l’Iro verso l’emigrazione
transoceanic, ndr.]; ma da un punto di vista puramente umano, la conclusione sarebbe diversa106.
A metà agosto, nel governo era ancora in corso la discussione sulla linea da seguire riguardo alla richiesta del Gma di appoggiare l’attuazione del programma
della Missione italiana dell’Iro e sull’eventualità di comprendervi, anche a Trieste,
gli «optanti senza risposta»107. L’Ufficio ‘politico’ (il IV) della Direzione generale
Affari politici del Ministero degli esteri riassumeva allora al proprio direttore
generale le diverse posizioni, proponendo una lettura, e argomentando una decisione, orientata in senso politico-nazionale:
La D.G. Dell’Emigrazione e la D.G. Affari Politici Delegazione Iro hanno [...] espresso
il parere di dover senz’altro accettare la suaccennata proposta della Missione Iro, per
considerazioni di ordine economico e sociale, che – secondo i predetti uffici – dovrebbero senz’altro avere la preminenza su eventuali considerazioni di interesse politico
che sconsigliassero la nostra adesione. Manca tuttora la risposta della Presidenza del
Consiglio [Ufficio zone di confine, ndr.]. Prima di esprimere – a sua volta – il suo parere, questo Ufficio [IV° della D.G. Affari politici] ritiene di dover premettere le seguenti
considerazioni:
- Da un punto di vista economico e umanitario la proposta dell’Iro, concretantesi nell’emigrazione di alcune migliaia di persone, che fra breve, con la prossima chiusura
dei Centri dell’Assistenza Post-Bellica, rimarrebbero prive di ogni assistenza, costituisce un innegabile vantaggio e per il Governo italiano e per i profughi giuliani a cui
viene offerta, forse per l’ultima volta, la possibilità di rifarsi un avvenire.
- Dal punto di vista politico, invece, premesso che non è stato possibile, come sarebbe
stato nostro precipuo interesse, raggruppare e mantere compatta la massa dei profughi, questo Ufficio ritiene essere opportuno tentare almeno di salvaguardare il nucleo
più compatto e attivo dei profughi giuliani che è appunto quello di Trieste.
Questa linea di condotta è tanto più giustificata se si tenga conto della circostanza
che a Trieste, oltre a numerosi giuliani, è anche affluito un grande numero di slavi,
anticomunisti ma sempre slavi, che, per essere giunti prima della chiusura delle iscrizioni anagrafiche, fissate dagli alleati al 31 dicembre 1947, hanno potuto ottenere la
residenza nella città e quindi la possibilità di ottenere un impiego, al contrario invece
degli esuli giuliani giunti in gran numero anche dopo tale data.
Come giustamente ha fatto rilevare la Rappresentanza di Trieste, il provvedimento
alleato della chiusura anagrafica, oltre ad avere precluso in passato ai giuliani la
possibilità di trovare un impiego, li pone oggi in evidente condizione di inferiorità
62
nei confronti degli slavi eleggibili per l’Iro. È evidente infatti che la libertà lasciata a
molti esuli italiani di decidersi in un senso piuttosto che nell’altro (emigrare con l’Iro
o restare a Trieste privi di ogni assistenza), assume un valore ben diverso che per quegli
slavi che sono invece regolarmente iscritti nei registri della popolazione ed anno un
regolare impiego.
L’applicazione per il territorio di Trieste delle proposte Iro verrebbe quindi in definitiva
a risolversi a danno nostro rischiando di modificare a vantaggio dell’elemento slavo
la situazione etnica della città di Trieste.
Pertanto, per quanto concerne Trieste questo Ufficio è del subordinato parere che si
debba cercare, attraverso l’azione della nostra Rappresentanza in quella città, e salvaguardando il principio di lasciare ad ognuno la libertà di scegliersi il proprio avvenire,
di collegare la nostra adesione ed il nostro appoggio alle proposte dell’Iro alla riapertura delle iscrizioni anagrafiche che metterebbe molti profughi istriani sullo stesso
piano degli slavi, di cui potrebbero eventualmente occupare i posti lasciati liberi, in
caso di emigrazione108.
Più che il problema della disoccupazione, dei triestini o degli istriani, pare rivelarsi prioritario l’interesse ad abolire il blocco delle iscrizioni anagrafiche per i
“profughi giuliani”, al fine di disinnescare la spinta alla loro emigrazione da Trieste rappresentata dall’impossibilità di accedere al lavoro, spinta cui l’opportunità
offerta dall’Iro rischiava di dare sfogo. Verso la fine di agosto il Ministero degli
esteri definì infine la propria posizione sul caso di Trieste, che vedeva prevalere
le priorità legate all’equilibrio etnico rispetto alle considerazioni di carattere sociale ed economico:
Per quanto riguarda i numerosi esuli della Zona A, il Governo alleato si è rivolto alla
Rappresentanza Italiana in Trieste domandando il suo appoggio per l’attuazione di
tali disposizioni, che indubbiamente allegerirebbero Trieste di un numero rilevante di
persone ora disoccupate e che costituiscono un grave onere per l’Amministrazione.
Non si può non considerare, dal punto di vista dell’interesse dei singoli, i vantaggi
dell’iniziativa la quale offre la possibilità di un’adeguata sistemazione dei profughi,
che rimanendo a Trieste si troverebbero tra non molto privi di ogni assistenza o
nell’impossibilità di procacciarsi lavoro per non essere essi in regola con l’iscrizione
anagrafica.
D’altra parte una presa di posizione attiva delle nostre Autorità potrebbe assumere
aspetti molto delicati, trattandosi di movimenti di popolazione che influiscono sulla
fisionomia etnica locale a nostro danno.
Questo Ministero pensa che, caso mai, si potrebbe prendere semplicemente atto della
comunicazione, ringraziando per i provvedimenti a favore dei profughi, e profittare
della circostanza, come ha proposto la stessa Rappresentanza, per rinnovare le istanze
allo scopo di ottenere la riapertura delle iscrizioni anagrafiche, e ciò al fine che sia consentito agli interessati di poter scegliere tra l’emigrare e il rimanere a Trieste – non con
le desolanti prospettive attuali che tolgono ogni libertà pratica di scelta – ma con una
possibilità futura, almeno teorica, di trovare una sistemazione in loco.
Prima di impartire le istruzioni del caso a Trieste si gradirà ad ogni modo conoscere su
tale questione anche l’avviso di codesta On. Presidenza [del consiglio]109.
Al confine orientale le decisioni su queste materie venivano infatti prese sentendo l’Ufficio zone di confine della Presidenza del consiglio dei ministri, che in
questa occasione concordava circa l’opportunità che il rappresentante italiano a
politiche e pratiche migratorie
63
Trieste cogliesse l’occasione “per rinnovare presso Gma sulla questione riapertura iscrizioni anagrafiche”110. Ad ogni modo, come rilevava lo stesso Andreotti,
il termine per la presentazione delle richieste stava ormai scadendo, per cui il
governo italiano non avrebbe più avuto il tempo di influenzare l’andamento
delle domande.
Nell’esaminarle, i funzionari dell’Iro triestina mostrarono dapprima l’intenzione di accogliere, oltre alle richieste di chi non aveva optato, solo quelle di chi
aveva optato nella zona A del Tlt e la cui opzione era ancora in sospeso, e non
invece quelle di coloro i quali avevano optato nelle terre cedute e sono quindi
arrivati con il passaporto provvisorio del consolato italiano di Zagabria, né le persone provenienti dalla zona B del Tlt. Fin dall’inizio di settembre il Cln per l’Istria
riteneva invece che l’ampliamento dei criteri dovesse essere allargato a ogni categoria di profugo e riteneva a tal fine “opportuno, anzi necessario, un intervento
del Governo Italiano presso la sede centrale dell’Iro” affinché “anche queste due
ultime categorie potessero fruire dell’assistenza dell’Iro per l’emigrazione”111. Le
persone in possesso del passaporto provvisorio e quelle provenienti dalla zona B,
erano di fatto le uniche rimaste tra i “profughi” a non potere essere ammesse.
Ma già le istruzioni agli intervistatori dell’Iro a Trieste e a Gorizia di fine settembre mostrano come nella prassi ci fu ben presto un evidente allargamento
dei criteri stabiliti dal centro. In base ai criteri stabiliti nel settembre 1949 dal
responsabile del reclutamento dell’Iro di Trieste, l’Area Intake Supervisor Sedmak,
si accettavano infatti le domande anche dai possessori del passaporto provvisorio. Non erano però venute meno le ragioni di fondo dello statuto dell’Iro, per le
quali le persone di lingua slovena o croata avevano maggiori probabilità di ritrovarsi “entro il mandato” (grafici 18 e 19)112. Una selezione su base etnica avveniva
invero anche per altre vie: nell’ambito di un’inchiesta dell’Iro sull’andamento del
reclutamento di emigranti nell’Italia nord-orientale, svolta verso la fine del 1949,
il questore di Gorizia dichiarò ai funzionari dell’Iro la preferenza a far emigrare
rifugiati sloveni, avendo l’ordine di non farne aumentare per nessuna ragione il
numero nella zona di competenza113. Rifugiati “slavi” erano inoltre presenti anche tra le nuove categorie ammesse, in quanto diversi avevano optato ed erano
usciti dalla Jugoslavia col passaporto provvisorio italiano, essendoun modo per
emigrare regolarmente. Il funzionario dell’Iro di Trieste giustificava la «prassi
allargata» ai rifugiati con passaporto provvisorio sulla base della considerazione
che “la maggioranza degli optanti”, a prescindere dal loro status legale specifico
riguardo alla cittadinanza e dalla loro “origine etnica o lingua d’uso”, erano comunque “genuini rifugiati politici”, e perciò di competenza dell’Iro114. In verità,
non tutte le testimonianze mettono in primo piano le motivazioni politiche
nelle scelte migratorie, ma questo tratto, che era presente, si prestava bene a
sorreggere il discorso di chi sosteneva l’allrgamento dei criteri.
È ad ogni modo evidente come, tra i rifugiati dai territori ceduti, la domanda
di emigrazione fosse davvero molto forte, a prescindere dall’identità etnica, per
chiara o meno che fosse, e dall’orientamento politico. In effetti, sembrerebbe che
proprio tutti, fossero “italiani”, “slavi” o “bilingui”, desiderassero emigrare con
l’Iro. A Trieste, per esempio, tramite i comitati del Cln dell’Istria, di Fiume, di Pola
e della Dalmazia furono presentate, entro il termine della fine di agosto, 1.734
richieste (pari a un numero circa doppio di individui)115. Nella zona di Gorizia,
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Grafico 18
Rifugiati eleggibili presso l’Iro di Trieste al 26 settembre 1950.
Fonte: dati tabella 31.
Grafico 19
Rifugiati non eleggibili presso l’Iro di Trieste al 26 settembre 1950.
Fonte: dati tabella 31.
politiche e pratiche migratorie
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come riferì il rappresentante dell’Associazione nazionale per la Venezia Giulia
presente a una riunione interministeriale in tema profughi giuliani, “su 8.600
optanti, 8.000 hanno chiesto di emigrare” e si trattava di “elementi animati da un
alto sentimento di italianità”, che davano “costantemente la preferenza ai partiti
di centro e di destra” e appartenevano “alla classe dei proprietari terrieri”: da un
punto di vista nazionale sarebbe stato preferibile trattenerli nel Goriziano, ma a
tal fine il governo avrebbe dovuto stanziare ingenti risorse per dare loro condizioni di vita normali, a partire dalla casa e dal lavoro116.
Accogliendo le domande di chi era in possesso del passaporto provvisiorio
che comprovava la cittadinanza italiana, l’Iro di Trieste stava fin da subito instaurando una pratica che avrebbe incontrato, come abbiamo avuto modo di vedere,
la disapprovazione di Ginevra e causato una discussione interna all’Iro durata
per tutto il successivo 1950. Almeno per il momento, però, nonstante l’accoglimento delle domande, le persone provenienti dalla zona B non furono ritenute
eleggibili (grafici 18 e 19).
Al lato pratico, quando fu necessario precisare le pratiche legali e burocratiche
per attuare l’emigrazione dei Venezia Giulian con l’Iro, anche il governo italiano
si trovò ben presto alle prese con problemi di status dei profughi-rifugiati, con
“l’espediente della cittadinanza non definita” e con le possibili reazioni della Jugoslavia117.
A parte l’Iro, erano presenti a Trieste diverse organizzazioni volontarie di
assistenza ai migranti, che si adoperavano in particolare per il reinsediamento
negli Stati Uniti118, e i “profughi giuliani” non erano gli unici rifugiati di cui l’Iro,
il Gma, l’Italia e le associazioni internazionali dovevano occuparsi (grafico 22).
I rifugiati venivano innanzitutto raccolti presso il campo allestito a Opicina,
sull’altipiano sopra la città e vicino alla frontiera, che consisteva semplicemente
in una serie di baracche e tende battute dalla bora. L’Iro inizò a operarvi esaminando l’eleggibilità delle persone alla sua assistenza. Nell’Opicina Reception Center
i rifugiati venivano innanzitutto controllati dall’intelligence e quindi dotati di
documenti d’identità, per poi essere smistati negli altri campi allora esistenti
in città, il San Sabba, il San Sabba-annex e il Gesuiti. Nella zona A del Tlt l’Iro non
gestiva direttamente i campi per rifugiati, che erano invece gestiti e controllati
dal Gma con fondi del governo italiano119. A Trieste fu istituito un Iro Area Office,
con competenza sulla zona A del Tlt e sul Triveneto, che gestiva la “Casa dell’Emigrante”, la quale fungeva da Intake Office e da “Centro d’imbarco”: era dotata di
grandi dormitori, di una cucina che riusciva a servire mille persone all’ora e di
una piccola stazione con accesso alla rete ferroviaria, da dove i rifugiati venivano
trasportati fino al molo Bersaglieri, dove si imbarcavano120. Tra il 1949 e il 1950
l’Iro intraprese il trasferirimento di una parte degli imbarchi dei rifugiati da Napoli a Trieste121.
Dalla primavera del 1950, ai rifugiati presenti e che comunque affluivano, si
aggiunsero i russi (White Russians) che la Jugoslavia aveva deciso di espellere:
venivano semplicemente scaricati dal treno dagli jugoslavi alla prima stazione
oltre il confine, e nei dodici mesi seguenti ne arrivarono fino a venticinquemila.
Nell’esatate l’afflusso di rifugiati dalle regioni orientali aumentò ancora: tra luglio e agosto furono registrati circa 3.500 nuovi arrivi, che portarono a un repentino e consistente aumento delle presenze nei campi triestini122. Il problema dei
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rifugiati divenne allora più pressante e sarebbe divenuto uno dei cardini delle
questioni migratorie dibattute tra il Gma e il governo italiano negli anni seguenti, anche perché i livelli raggiunti nell’estate del ’50 sarebbero rimasti costanti
(grafico 21). In questa situazione, nell’autunno del 1950, il Gma ripresentò al governo italiano la necessità di attuare a Trieste una politica migratoria più decisa
e possibilmente coordinata. Il Gma mostrava particolare interesse per la possibilità di avvalersi degli schemi dell’Organizzazione internazionale del lavoro, del
United States Displaced Persons Act, ma desiderava ricevere maggiori informazioni
anche riguardo al progetto italiano di insediare i rifugiati dai territori ceduti alla
Jugoslavia in Sardegna e, più in generale, sulla disponibilità del governo di includere Trieste negli accordi e nei programmi migratori internazionali dell’Italia.
La popolazione della Zona dal 1936 è aumentata da circa 275.000 a un dato stimato
di 310.000, un aumento dovuto in primo luogo all’afflusso a Trieste di italiani, che
[...] risiedevano nei territori ceduti alla Jugoslavia. Questa popolazione aggiuntiva è
una delle cause principali della disoccupazione nella Zona e di larga parte del deficit
di bilancio del Gma. A meno che divenga possibile trasferire altrove almeno una parte
della popolazione della Zona, si creerà un problema economico permanente, che sarà
accentuato al termine dell’Erp.
Il Gma è dell’opinione che nessuna opportunità debba essere negletta per ridurre la
popolazione in surplus della Zona a mezzo della emigrazione pianificata. Il Gma
ritiene inoltre che si dovrebbe approfittare dei vari progetti migratori attualmente
presi in considerazione a livello internazionale per assicurare adeguate quote di emigrazione alla Zona. [...]
Il Gma [...] desidera assicurarsi degli intenti del Governo italiano riguardo alla misura
in cui è disposto ad appoggiare l’emigrazione dall’area di Trieste. Ci si rende conto
che dal punto di vista del Governo italiano la questione se includere questa Zona in
schemi emigratori possa avere certe implicazioni politiche, ma si ritiene che rispetto
a qualsiasi svantaggio debbano inevitabilmente avere maggior peso i vantaggi del
ridurre la popolazione della Zona a un livello commisurato alla capacità della sua
economia. Inoltre, è improbabile che il carattere etnico della Zona venga disturbato,
dato che ogni schema di emigrazione sarà applicabile a tutti gli elementi della popolazione123.
Il governo alleato continuava quindi a sostenere la necessità di attuare una politica emigratoria attiva, ritenuta essenziale al fine di dare prospettive economiche
alla città, ma dimostrava anche di conoscere la ragione delle resistenze italiane, la
preoccupazione per l’equilibrio etnico della città. All’interno del governo italiano
aveva però nel frattempo preso forma una nuova idea. Che l’intenzione fosse ormai delineata è confermato dal fatto che il rappresentante italiano a Trieste, nel
trasmettere questa richiesta alleata di collaborazione nel campo dei programmi
di emigrazione, propose subito, quale risposta, “che qualsiasi schema di riemigrazione dalla Zona delle persone qui immigrate dopo la fine della guerra” debba contemplare in primo luogo l’allontanamento dal Territorio di quei rifugiati che costituiscono “un peso finanziario” e “una preoccupazione di ordine politico”. Quali
fossero i rifugiati che destavano la preoccupazione italiana risulta chiaramente
dal fatto che, sullo stesso telespresso, il segretario generale del Ministero degli
esteri annotò di proprio pugno “perché no? fornendo possibilmente slavi”, a cui il
ministro Sforza (peraltro favorevole all’emigrazione per lavoro) aggiunse un “ap-
politiche e pratiche migratorie
67
provo”124. Da allora in poi, questa sarebbe stata una delle linee guida della politica
migratoria italiana a Trieste, che si affiancò all’interesse per l’iscrizione anagrafica
e per l’insediamento dei “profughi giuliani”. La politica nei confronti dei “rifugiati
stranieri” fu anzi concepita fin dall’inizio in funzione di tale obiettivo.
Ad ogni modo, fu chiesto alla Direzione generale per l’emigrazione del Mae
di riferire “circa le possibilità, all’atto pratico, di prendere in considerazione la
proposta” del Gma125. Accanto alla prevalente linea dettata da considerazioni di
ordine politico-nazionale, infatti, negli organismi governativi meno politici si
continuava comunque a porre attenzione anche agli aspetti economici. Così, per
esempio, quando a settembre l’Iro aveva chiesto al governo italiano di considerare i rifugiati Iro a Trieste come se fossero in territorio italiano e di pagarne quindi
il trasporto verso gli imbarchi per l’emigrazione, che avvenivano in gran parte in
porti italiani, i rappresentanti del “Gruppo studi trasporti” parevano preoccupati
soprattutto del lato finanziario della questione e chiesero garanzie affinché in futuro tali viaggi venissero ridotti al minimo. Ma chiesero anche che l’Iro comunicasse dati recenti sul numero dei “profughi stranieri” eleggibili presenti a Trieste
e un preventivo delle spese per il loro trasporto126.
Le rispettive priorità sembrano a questo punto alquanto delineate. Da parte
italiana l’interesse prevalente riguarda l’aspetto legato alla struttura etnico-nazionale della popolazione e la Rappresentanza italiana di Trieste era particolarmente incline a dargli la preminenza. Lo si può constatere praticamente in ogni
occasione. Quando, per esempio, nell’ottobre 1950 il Gma informò il rappresentante diplomatico italiano sul programma di costruzioni di alloggi per il proprio
personale, non da ultimo al fine di liberare gli stabili occupati dai militari e dalle
loro famiglie in favore dei legittimi proprietari e degli usi civili, la Rappresentanza italiana a Trieste suggerì al Ministero degli esteri di chiedere che, nell’assegnare gli immobili liberati, almeno per quelli a uso commerciale, “bisognerebbe
dare la precedenza ai profughi istriani ed agli esuli dalla zona B, alleviandone la
dolorosa situazione e facilitandone la sistemazione integrando, con tali misure,
i piani per essi appositamente previsti in altra sede”127. Il mese successivo, con
l’Ordine n. 219 del Gma arrivò, infine, la tanto agognata riapertura delle iscrizioni anagrafiche, che consentiva agli immigrati da almeno un anno di iscriversi tra
la popolazione residente. Nel commentarla, il rappresentante italiano a Trieste
sostenne non esservi “dubbio che anche molti stranieri e soprattutto slavi se
ne avvantaggeranno, ma se ne avvantaggeranno in proporzione infinitamente
maggiore gli italiani, sicché la proporzione etnica di questa popolazione sarà modificata in nostro favore, sia pure in misura naturalmente limitata (circa 10.000
italiani contro 3.000 slavi di nuova iscrizione)”128.
Presso il Gma sembrano invece prevalere le proccupazioni ruguardanti
l’interrelazione tra l’immigrazione e le condizioni economiche. Suonano come
un’ulteriore conferma le battute introduttive del consistente studio sul movimento della popolazione nella zona A del Tlt, redatto dal suo Ufficio statistico
nell’aprile del 1951:
In quest’area, la zona A del Tlt, che è stata in tempi recenti sotto il controllo di quattro
governi, c’è bisogno di emigrazione come parte della soluzione dell’equilibrio economico. Tuttavia ciò non è dovuto a un surplus creato dal movimento naturale, ma è
causato dall’afflusso di cittadini italiani, e altri, che qui cercarono rifugio quando
governi loro sgraditi presero il potere nel luogo della loro residenza originaria.
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Sebbene vi siano molti in questa Zona che cercano di emigrare in altri paesi e negli
ultimi mesi un numero apprezzabile sia partito, gli standard e i requisiti imposti dagli stati che sono disposti ad accettare emigrati, hanno impedito la partenza di molte
famiglie. ...129
Pur partendo dalla constatazione che anche in Italia si riscontrava uno squilibrio
tra la popolazione e le risorse esistenti, nel caso di Trieste le origini del problema
venivano individuate altrove. Più che verso un approccio complessivo nei confronti dell’equilibrio economico-demografico, presso il governo italiano prevaleva però la preoccupazione per l’equilibrio nazional-demografico e l’attenzione
era ormai saldamente orientata verso i “rifugiati stranieri”. Verso la fine del 1951
il Ministero degli esteri ottenne dall’“Ufficio Profughi” del Gma l’assicurazione
che avrebbe inviato mensilmente i dati relativi alle partenze dei rifugiati da
Trieste, a dimostrazione dell’interesse a seguire da vicino la situazione e a essere
costantemente aggiornati sull’evoluzione dell’afflusso e deflusso dei rifugiati. In
parte forse per questa insistenza, ma anche in considerazione del fatto che l’immigrazione di rifugiati continuava, e con essa l’affollamento nei campi, il Gma
sembrava avere ormai, almeno in parte, fatto sua la preoccupazione italiana:
L’atteggiamento delle Autorità Militari Alleate riguardo il fenomeno dell’afflusso dei
profughi stranieri sembra essersi finalmente orientato verso la restrizione. Il Gma
avrebbe infatti deciso di inibire l’afflusso nella Zona alle persone che non siano in
possesso di regolari documenti debitamente vistati dalle Autorità consolari britanniche o statunitensi in Jugoslavia. In effetti, l’afflusso di profughi in questi ultimi giorni
è insignificante. Se tale politica restrittiva continuerà ad essere applicata, contribuirà
senza dubbio ad arginare l’esodo dei rifugiati stranieri dalla Jugoslavia130.
Gli orientamenti e le diverse priorità paiono a questo punto piuttosto delineati.
Il Gma ritiene di dover fare innanzitutto gli interessi della popolazione locale
e fonda le proprie proposte in materia di politica migratoria su considerazioni
di carattere sociale ed economico, esprimendo criteri e orientamenti per i quali
l’emigrazione costituiva una leva da utilizzare al fine di bilanciare lo squilibrio
tra domanda e offerta di lavoro, che era in perfetta assonanza con gli orientamenti allora prevalenti in Europa e anche in Italia. Tale politica migratoria avrebbe
dovuto essere attivamente perseguita attraverso l’inserimento nei programmi
di emigrazione assistita a livello internazionale. Il Gma insistette sempre sulla
necessità di promuovere innanzitutto l’emigrazione dalla zona A del Tlt degli
immigrati provenienti dalle terre cedute alla Jugoslavia in quanto incidevano
sulla disoccupazione, ma in seguito propose l’emigrazione anche per la popolazione locale. Mentre la prima proposta incontrava chiaramente riluttanza e una
certa resistenza presso il governo italiano, riguardo all’eventuale emigrazione
dei triestini sembra non arrivare un riscontro, e la risposta sta forse proprio in
questa sospensione di giudizio. A Trieste, la linea guida della politica migratoria
italiana è sensibile soprattutto a considerazioni di carattere etnico-nazionale e
si propone di favorire l’insediamento della “rifugiati italiani” dai territori ceduti,
con l’obiettivo di rafforzare il carattere italiano della città. A questa priorità si fu
disposti a sacrificare considerazioni di altra natura, a partire da quelle di ordine
economico e sociale, sia riguardo la città e il suo tessuto socioeconomico, sia per
quanto concerne le asprirazioni e gli interessi degli stessi “profughi giuliani”. Si
rinunciò quindi a sostenere una politica migratoria in grado di dare sollievo al-
politiche e pratiche migratorie
69
l’esistente squilibrio tra la popolazione e le risorse, come si scelse invece di fare
sul territorio della Repubblica Italiana. Pare inoltre interessante rilevare come
le organizzazioni dei profughi, seppure in parte loro malgrado, appoggiassero
l’emigrazione dei “profughi giuliani”. Per parte sua, l’Iro italiana risulta più vicina agli interessi delle persone che vogliono emigrare, e fu a tal fine disposta
a spingersi anche oltre il regolamento, rispetto all’Iro di Ginevra, più attenta al
rispetto di un’interpretazione rigorosa dello statuto.
Verso la fine dell’attività dell’Iro vi fu, nella zona A del Tlt, un’impennata delle partenze dei rifugiati, dovuta ai Venezia Giulian che infine partirono, ma che
è possibile mettere in relazione anche con il rinnovato interesse italiano nei
confronti dell’emigrazione degli “stranieri” (grafico 20). L’ultimo contingente di
rifugiati Iro del Tlt imbarcato in un porto italiano partì il 2 febbraio 1952 a bordo
della nave “Castelbianco” dal porto di Genova131.
Il Gma prese immediatamente contatto con l’organizzazione che le successe,
il Picmme, per discutere del programma di emigrazione dalla zona A del Tlt. Già
entro il febbraio 1952 fu deciso di stabilire un Liaison Office a Trieste, che avrebbe assunto alcune responsabilità operative nell’avvio e nell’implementazione
dell’emigrazione da Trieste. Il Gma si dichiarò disponibile a una partecipazione
finanziaria nei progetti emigratori. Si prevedeva che una prima selezione di migranti per l’Australia iniziasse già a marzo132. Per il 1952 si prevedeva l’emigrazione di “non meno di 3.300 persone”, in gran parte “rifugiati stranieri o rifugiati di
origine italiana”. Si prevedeva però, per la prima volta in modo così esplicito, che
anche “un certo numero di abitanti di Trieste potrebbe essere incluso in questi
piani migratori”133.
A questo punto intervenne un mutamento nel sistema di governo della zona
A del Tlt in quanto, a seguito degli accordi di Londra del maggio 1952, l’Italia
ottenne il diritto di indicare i funzionari che avrebbero ricoperto una serie di
importanti posizioni direttive nella struttura amministrativa del Gma, in particolare in campo economico, finanziario, sociale, dei lavori pubblici e degli affari
interni. Le nomine entrarono in vigore nel settembre dello stesso anno134.
È verosimilmente da collegare con l’accresciuto ruolo del governo italiano
nell’amministrazione della zona A, il rinnovato impegno ad affrontare la questione dei “profughi stranieri”, che segue di poco gli accordi di maggio e adirittura precede le nomine di settembre. Su richiesta degli organi governativi italiani,
infatti, nell’estate 1952 il Cln dell’Istria preparò e presentò “un particolareggiato
pro-memoria” sulla “sistemazione dei profughi giuliani a Trieste”. Oltre alla necessità di proseguire nel programma di costruzione di alloggi definitivi, il Cln
vi sottolineava la necessità di dare ricovero in alloggi di emergenza ai profughi
senza tetto: “connessa con questa seconda soluzione è la questione relativa all’allontanamento da Trieste dei profughi stranieri, che occupano, in numero di
oltre 4.000, locali che potrebbero altrimenti essere destinati (in via d’urgenza)
ai profughi giuliani”. La questione del trasferimento dei “profughi stranieri”, ovvero dei “profughi balcanici”, come venivano spesso definiti, fu oggetto di esame
da parte della Presidenza del consiglio, del Ministero degli esteri e del Ministero
dell’interno135.
Considerata l’opportunità di trasferire da Trieste i profughi stranieri colà ricoverati, e
ciò soprattutto in vista della conseguente possibilità di immettere nei locali ora da essi
70
Grafico 20
Partenze dei rifugiati Iro da Trieste, 1951.
Fonte: dati tabella 32.
Grafico 21
Popolazione dei rifugiati nei campi triestini, 1949-1953.
Fonte: dati tabella 33.
politiche e pratiche migratorie
71
occupati una buona parte di profughi giuliani [sottol. originale, ndr.], i rappresentanti del Ministero degli Interni si sono dichiarati disposti a studiare d’intesa con le
Autorità militari, le possibilità di accogliere nei campi del Territorio della Repubblica
i profughi stranieri di cui trattasi. A tale scopo, il Ministero degli Esteri chiederà a
Trieste (Consigliere Politico) più dettagliati elementi circa la consistenza numerica
(esatta) dei profughi stessi, il loro attuale trattamento economico e ogni possibile
informazione sul conto di ciascuno136.
Alla quarta sessione del Picmme, nell’ottobre 1952, la delegazione italiana presentò una bozza di risoluzione sui rifugiati a Trieste che, con lievi modifiche,
fu effettivamente adottata. La risoluzione riguardava in particolare i cosiddetti
casi difficili (Hard Core cases), e cioé i rifigiati che, per ragioni di età o salute, non
potevano rientrare in nessuno dei programmi internazionali di emigrazione. Il problema consisteva anche nel fatto che essi, in diversi casi, bloccavano
l’emigrazione dei rispettivi gruppi famigliari, per cui, se si fossero trovate delle
soluzioni per la loro emigrazione in Europa, “un gran numero di famiglie di rifugiati” sarebbe potuto “emigrare oltremare”. Con la Risoluzione n° 43 sui rifugiati
da Trieste, il Picmme chiedeva al proprio direttore di prendere contatto con l’Alto
commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, i governi di paesi europei e con
le agenzie di volontariato internazionale “al fine di facilitare il reinsediamento
dei casi difficili in tutti i paesi disposti a riceverli e di effettuare i passi appropriati per determinare l’emigrazione oltremare del maggior numero di famiglie di
rifugiati presenti a Trieste”137. Per il successivo 1953, si previde un’emigrazione
di 4.300 persone138.
Secondo Edgar H.S. Chandler, direttore delle operazioni sul campo del World
Council of Churches, ente volontario operante a Trieste, il Ministero degli esteri
italiano effettivamente si attivò per implementare la risoluzione n° 43, contattando altri governi dell’Europa occidentale nel tentativo di ottenere asilo per i
casi difficili. La situazione era obiettivamente grave, dato che “negli ultimi dieci
mesi non c’era stata, a Trieste, nessuna missione per la migrazione di massa”139.
Infatti, alla fine del 1952, nei campi triestini vi erano ancora ricoverati quattromila rifugiati, un livello che sostanzialmente si manteneva piuttosto stabile dal
1950 (grafico 21).
Le nuove iniziative in favore dell’emigrazione stimolarono un maggiore
coordinamento tra gli enti che operavano con i rifugiati. A Trieste il Cime aveva
un proprio Liaison Office140. Si stava preparando un Central Registration File, con il
quale si intendeva mettere ordine nella disordinata situazione in cui un rifugiato
poteva rivolgersi a quattro diverse società di volontariato per il reinsediamento
dei rifugiati, cercando di ottenere da ognuna qualche vantaggio (shop around)141.
Erano numerosi i casi difficili di individui che per le invalidità e infermità più
diverse non avevano alcuna possibilità di accedere ai normali programmi di
emigrazione (in alcuni casi era sufficiente aver sofferto di tubercolosi nel passato). Giunti a Trieste da e attraverso la Jugoslavia con i grossi flussi degli anni
precedenti, vi erano rimasti per la mancanza di opportunità di emigrazione ed
erano nel frattempo aumentati di numero a causa della promiscuità e del sovraffollamento in cui per diverso tempo avevano versato le strutture di accoglienza.
“Le successive attività di reinsediamento dell’Iro, del Gma e delle agenzie volontarie hanno fortemente alleviato la congestione esplosiva in quest’area, aiutando
72
22
Origine dei rifugiati nei campi della zona A del Tlt.
Fonte: dati tabella 33 (medie dei presenti nei rilevamenti del marzo ‘51, dicembre ‘52 e maggio
’53)
dapprima a bilanciare l’afflusso e quindi, quando questo diminuì, a effettuare
una sostanziale diminuzione netta della popolazione” (di rifugiati). Nonostante
la mancanza di fondi da parte dell’Iro, “gli effetti combinati degli sforzi del Gma e
delle agenzie, nonché la generosa risposta dei paesi europei all’urgente richiesta
d’aiuto, hanno fatto miracoli nell’assicurare il reinsediamento e l’assistenza permanente a molti casi difficili”. La soluzione dei casi difficili era sia nell’interesse
delle autorità sia delle stesse agenzie volontarie perché, alleviati da questo fardello, avrebbero potuto dirigere sforzi e risorse verso la soluzione delle necessità
attuali142. Dalla ricostruzione di Chandler risulta piuttosto chiaramente l’assenza
del governo italiano tra i soggetti attivi nel reinsediamento dei rifugiati stranieri
ai tempi dell’Iro, mentre conferma il più deciso impegno italiano a partire dal
1952. Sulla questione dei “rifugiati balcanici” pare dunque piuttosto evidente, da
parte italiana, un uso strumentale di un problema reale (si veda a tale proposito
la composizione dei rifugiati nei campi triestini, grafico 22).
Nell’aprile 1953 l’Italia riuscì ad affermare presso il Cime il concetto che
la situazione dei rifugiati a Trieste fosse “di speciale importanza per l’Europa
Occidentale”. Nei suoi verbali il Cime affermava di aver “sempre considerato il
reinsediamento dei rifugiati da Trieste come uno dei suoi compiti importanti”
e di essersi “costantemente impegnato a trovare loro opportunità soddisfacenti
oltremare”. In seguito alla Risoluzione n° 43 sui rifugiati da Trieste, i governi di Francia, Regno Unito e Stati Uniti, garantirono un fondo (Trust Fund) di un milione di
politiche e pratiche migratorie
73
Grafico 23
Partenze dei “rifugiati” e dei “cittadini” emigrati con il Cime da Trieste, 1952-1962.
Fonte: dati tabella 35.
Grafico 24
Partenze totali e per le principali destinazioni (Australia e Usa) degli emigrati con il Cime
da Trieste, 1952-1962.
Fonte: dati tabella 36.
74
dollari in lire per “alleviare, e possibilmente liquidare” il problema dei rifugiati
a Trieste, caldamente supportato dal governo italiano, la cui preoccupazione per
i rifugiati era “ben nota”. Vennero svolte consultazioni con le principali agenzie
volontarie, insieme al Gma e all’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, riguardo all’utilizzo e all’amministrazione del fondo, in base alle quali si
stabilì che esso sarebbe stato utilizzato per sostenere l’assistenza dei rifugiati la
cui età o salute lo richiedeva e per favorire l’emigrazione dei rifugiati il cui reinsediamento attraverso i normali programmi migratori risultava difficile143.
Dell’intenzione affermata dal Gma nel ‘52 riguardo all’emigrazione della
popolazione triestina si riparlò invece nell’ottobre del 1953, quando il Cime precisava che a Trieste era in corso un doppio programma: da una parte si agiva per
“assicurare l’inclusione di rifugiati e di altri abitanti del Territorio libero, con le
necessarie qualifiche, nei programmi di emigrazione di massa”. Dall’altra parte,
il Trust Fund veniva amministrato con il proposito di sviluppare opportunità di
reinsediamento per rifugiati nei campi del Gma, iniziativa, questa, caldeggiata
dall’Italia144. Il movimento delle partenze del Cime, che distingueva tra migranti
refugee (rifugiati) e national (cittadini, compresi gli optanti145), riflette tale “doppio programma”. Per prima fu affrontata l’emergenza rappresentata dai rifugiati
da tempo bloccati nei campi di raccolta triestini, che fu fondamentalmente risolta
negli anni tra il 1953 e il 1956, ma il picco delle partenze avvenne già nel 1954, l’ultimo anno del Tlt146. I “cittadini” partirono invece per secondi, nel periodo 19551960, ma il massimo delle emigrazioni fu raggiunto già nel 1955, subito dopo il
ritorno di Trieste all’Italia (grafico 23). In entrambi i casi, dunque, i livelli massimi
di emigrazione coincisero con gli anni della transizione tra il Gma e il governo
italiano (1954-1956), tre anni di intensa emigrazione che diede sfogo al bisogno
e alla domanda di emigrazione che c’era in città ma che nel contempo realizzava,
infine, le politiche migratorie delineate e impostate negli anni precedenti.
L’Australia fu la destinazione di gran lunga prevalente, seguita a una certa
distanza dagli Usa e quindi dal Canada e dal Brasile147. Si notano sensibili differenze tra le mete dei cittadini e quelle dei rifugiati. Le destinazioni europee, in
particolare, riguardano esclusivamente i rifugiati e sono composte in prevalenza
dai “casi difficili” per i quali si trovò soluzione grazie allo US Escapee Programme
(tabella 36). L’Australia costituì la destinazione pressoché esclusiva della categoria cittadini nell’intervallo 1952-62, relegando a un ruolo marginale ogni altra
meta. Le destinazioni dei rifugiati si distribuirono invece più uniformemente
tra, nell’ordine, Australia, America settentrionale (Usa e Canada) e America meridionale. Va dunque rilevata l’assoluta prevalenza dell’emigrazione transoceanica,
concentrata in Australia e negli Stati Uniti (grafico 24). Il rilievo delle diverse
destinazioni degli emigrati con il Cime da Trieste differisce da quello che caratterizzò l’emigrazione dall’Italia, più uniformemente distribuita tra i paesi europei
e l’oltreoceano. Anche limitatamente alle mete transoceaniche, la nettissima prevalenza dell’Australia per i partenti da Trieste costituisce una differenza rispetto
ai flussi dell’emigrazione transoceanica italiana, più equamente suddivisa tra
diverse destinazioni (Argentina, Usa, Canada, Australia, Venezuela). Al contrario,
sia nel rapporto tra mete europee ed extraeuropee sia nella distribuzione tra le
destinazioni transoceaniche, l’emigrazione dei rifugiati da Trieste si avvicina
maggiormente a quella italiana148.
politiche e pratiche migratorie
75
Alla luce di quanto si è visto, è plausibile ritenere che sia stata data la precedenza
allo sfollamento dei campi dai rifugiati “stranieri”, e in particolare dai “balcanici”
(jugoslavi), non tanto per favorire la causa occidentale e non solo per la gravità
della situazione umanitaria, quanto piuttosto per ragioni di equilibrio etnico e,
contestualmente, per fare spazio nelle strutture di accoglimento in previsione
della nuova, prevedibile ondata immigratoria dalla zona B, dopo il suo definitivo
passaggio alla sovranità jugoslava, che puntualmente si avverò.
L’altra parte del programma, quella che riguardava i “rifugiati [istriani] e altri
abitanti del Territorio libero”, e che non era prioritaria per il governo italiano, fu
invece attuata solo dopo che Trieste passò alla sovranità italiana. I due terzi dei
“cittadini” emigrati con il Cime nella prima grande ondata degli anni 1955-1956 e
fino al 1961, erano nati a Trieste (67,5%): per metà si trattava di lavoratori specializzati e per metà di manodopera non qualificata149. Sembrerebbe quindi che continuassero ad agire condizioni socioeconomiche analoghe a quelle il cui evolversi
abbiamo seguito fino alla fine del piano Erp nel 1951, per lo meno nella misura in
cui si trattava di condizioni che potevano rendere la popolazione incline all’emigrazione.
Con il ritorno all’Italia fu evidentemente dato una sorta di nulla osta all’emigrazione della popolazione locale da Trieste e, sebbene in misura molto inferiore,
anche dei profughi istriani, forse perché a quel punto i suoi esiti non potevano
più influire sulle sorti politiche della città. Dopo gli anni dell’Iro, quindi, fino
all’ultimo non fu usato, per mancanza dell’assenso italiano, un importante strumento di riequilibrio del rapporto tra la popolazione e le risorse, quale poteva
essere la politica migratoria proposta dal Gma, fondata su considerazioni sociali
ed economiche e favorevole all’attivazione di programmi di emigrazione assistita. In questo modo si contribuì al perdurare di condizioni sociali ed economiche
che potevano favorire, tra la popolazione, la scelta di emigrare150. Così, quasi per
assurdo, la mancanza di una politica in favore dell’emigrazione favorì l’emigrazione, che però, fino alla fine del Gma, non avvenne tanto entro gli schemi internazionali, quanto in modo individuale, meno visibile. La consistente ondata
emigratoria avvenuta negli anni immediatamente successivi al ritorno all’Italia,
rappresentò quindi anche uno sfogo della domanda di emigrazione accumulata
negli anni precedenti, cui fu infine consentito di incanalarsi nei programmi migratori internazionali e di diventare più visibile. Per il resto, con il ritorno di Trieste all’Italia entriamo in un territorio più conosciuto alla storia dell’emigrazione
triestina.
76
Figura 1
Il Territorio libero di Trieste tra Italia e Jugoslavia (1947-1954).
politiche e pratiche migratorie
77
note
S. Volk, Istra v Trstu. Naselitev istrskih in dalmatinskih ezulov in nacionalna bonifikacija na
Tržaškem, Koper 2003, pp.161, 209,221-222,273-274.
1
P. Nodari, I rientri degli emigrati dall’Australia con particolare riguardo al Comune di Trieste, Quaderni dell’Istituto di Geografia dell’Università di Trieste, 4/1981, p. 5; Volk, Istra v Trstu... cit., pp. 161, 209,
221-222, 273-274.
2
3
UNHCRA, High Commissioner Doc., Amg, Natural Movement Immigration Emigration... cit.
AN, AJ 43, b. 140, f. 36, “Background notes on Trieste and the Venezia-Giulian Refugee Situation”,
di J. Barth (storico Iro), 7 ottobre 1951, note basate su interviste a persone operanti a Trieste.
4
A. Kalc, L’emigrazione slovena e croata dalla Venezia Giulia tra le due guerre, in Irsml, Friuli e Venezia
Giulia. Storia del ‘900, Gorizia 1997, pp.535-550. Sui successivi rientri nel secondo dopoguerra lo
stesso A. Kalc, Selitvena gibanja ob zahodnih mejah slovenskega etničnega prostora: teme in problemi,
in “Annales. Annali di Studi istriani e mediterranei”, 7/1997/10, pp.203-203. e N. Troha, Preselitve v
Julijski krajini po drugi svetovni vojni, in Zbornik Milice Kacin Wochinz, “Prispevki za novejšo zgodovino”, 40/2000/1, pp. 255-268.
5
Possono considerarsi con ragionevole certezza come rientri le immigrazioni dei nati nella
zona A del Tlt, per i quali conosciamo solo i dati per gli anni 1948-50, che importano 2.627 persone, UNHCRA, High Commissioner Doc., Amg, Natural Movement Immigration Emigration... cit.,
p. 78. Si vedano per esempio le brevi storie individuali in ASMAE, Affari Politici, 1946-1950, Italia
1950, b. 246, fasc. 1, “Studenti triestini in Bulgaria”.
6
G. Bonifacio, Il movimento della popolazione con particolare riferimento ai problemi della disoccupazione, in “Bancaria. Rassegna dell’associazione Bancaria Italiana”, 11/5 (1955), pp. 601-607; R.
Finzi – F. Tassinari, Le piramidi di Trieste. Triestine e Triestini dal 1918 a oggi, in R. Finzi, C. Magris, G.
Miccoli (a cura di), Il Friuli – Venezia Giulia, Storia d’Italia, Le regioni dall’Unità ad oggi, Torino 2002,
p. 304.
7
8
Istat, Annuario di statistiche demografiche, anni dal 1955 al 1965.
9
Bonifacio, Il movimento della popolazione... cit.
UNHCRA, High Commissioner Doc., Amg, Natural Movement Immigration Emigration... cit., p. 73;
C. Donato, P. Nodari, L’emigrazione giuliana nel mondo: note introduttive, in “Quaderni Vanoni”,
1995/3-4, p. 103.
10
UNHCRA, High Commissioner Doc., Amg, Natural Movement Immigration Emigration... cit., pp.
72-73 e Tavole Ia e Ib in Appendice.
11
UNHCRA, High Commissioner Doc., Amg, Natural Movement Immigration Emigration... cit.; Donato, Nodari, L’emigrazione giuliana... cit., p. 103 (su dati Amg e Comune di Trieste). La Legazione
Italiana a Belgrado nel settembre 1947 in un telespresso riservato stimò che in Jugoslavia vi fossero circa 10.000 lavoratori immigrati dall’Italia, in particolare dal Friuli, da Trieste e da Monfalcone, ma non solo, e soprattutto specializzati e arsenalotti, molto ricercati perché mancava
manodopera qualificata locale, ASMAE, Affari Politici, 1646-1950, Jugoslavia 1947, b. 30, fasc. 3.
12
13
Donato, Nodari, L’emigrazione giuliana... cit., p. 120.
Istat, Annuario di statistiche... cit., 1955-1965. Le cancellazioni presso il solo Comune di Trieste,
ma comprensive delle destinazioni italiane, furono invece 61.031 tra il 1947 e il 1960, Finzi,
Tassinari, Le piramidi di Trieste... cit, p. 304.
14
Per il periodo alleato possono considerarsi con certezza come rientri le immigrazioni dei
nati nella zona A del Tlt, per i quali conosciamo solo i dati per gli anni 1948-50, che importano
2.627 persone, UNHCRA, High Commissioner Doc., Amg, Natural Movement Immigration Emigration... cit., p. 78. Nel periodo 1955-65 le iscrizioni dall’estero di persone provenienti dai paesi
che erano al contempo le principali mete dell’emigrazione da Trieste nel secondo dopoguerra
(Australia, Canada e Usa), e dunque da considerarsi rientri con ragionevole approssimazione,
ammontarono nella provincia di Trieste a 2.829 (dati tratti da Donato, Nodari, L’emigrazione giuliana... cit., pp. 113-4, su fonte Istat). Il totale delle due cifre qui proposte è 5.456, che non com15
78
prende l’intervallo 1951-54, né esaurisce tutti i rientri (altre possibili provenienze e triestini
non nativi), ma certamente comprende profughi istriani. In proposito si vedano anche Nodari,
I rientri degli emigrati dall’Australia... cit. e Fait, L’emigrazione giuliana in Australia... cit.
Si vedano i successivi paragrafi e i dati nel capitolo III, ma anche Volk, Istra v Trstu... cit. e Fait,
L’emigrazione giuliana in Australia... cit.
16
17
V. Castronovo, L’avventura dell’unità europea. Una sfida con la storia e il futuro, Torino 2004, p. 9.
ASMAE, Affari Politici, 1946–1950, Italia, b. 246, fasc. 1, “Discorso tenuto dal Maggior Gen. Sir
Terence Airey, KCMG, CB, CBE, al ricevimento offerto dal Presidente di Zona mercoledì 14 marzo in onore del Generale e di Lady Airey”, discorso di commiato, 1951.
18
Sapelli, Il profilo del destino... cit., pp. 270-1; Valdevit, La labour policy del Governo militare alleato
(1945-1954), in Ganapini (a cura di) …anche l’uomo doveva essere di ferro... cit.; F. Bednarz, Crisi economica e governo della società, ibidem, pp. 288-9, 304-5.
19
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/37, Relazione del Governo Militare Alleato
della Zona britannico – statunitense del Terriorio Libero di Trieste all’Amministrazione per la Cooperazione Economica per il periodo 1° luglio 1948 – 30 giugno 1951; ora vedi anche qui, capitolo III.3.
20
21
Ibidem.
22
Ibidem.
Si vedano in proposito R. Serra, Luci ed ombre nell’economia triestina, Trieste 1954; Valdevit, La
labour policy... cit.; Bednarz, Crisi economica... cit., pp. 281-322; Sapelli, Trieste italiana... cit.
23
G. Valdevit, Il dopoguerra. 1945-1954, in A. Apollonio et al., La Cassa di Risparmio di Trieste: 18422002, Roma-Bari, 2004, p. 256.
24
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 570, fasc. VII/20, “Ministero degli affari esteri, Appunto per S. E. il Ministro, Roma 30 luglio 1948”.
25
Si veda in proposito ASMAE, Affari economici, Versamento A, bb. 15, 25, 253; Versamento B, bb. 34,
87, 128, 129, 130; Versamento C, bb. 104, 105, 124, 126; ASMAE, Affari Politici, 1946-1950, Italia 1950,
b. 246, fasc. 3 e 4; 1950-1957, Trieste, b. 565. Se da una parte l’Italia contribuiva in misura considerevole a sostegno dell’economia triestina, dall’altra si rendeva ben conto che l’intensità degli
aiuti americani non avrebbe potuto essere mantenuta se non tenendo distinti gli intreventi in
favore di Trieste e dell’Italia. Si confrontino a tale proposito la posizione italiana di fronte alla
possibilità di unificare i piani Erp per Trieste e per l’Italia nell’estate 1949 quella assunta riguardo alla possibilità di unificare gli aiuti americani a Trieste e all’Italia per il 1952: in entrambi i
casi il governo italiano riteneva di non mantenere l’elefantiasi dei programmi triestini e la sperequazione rispetto a quanto riceve l’Italia, non da ultimo per questioni di opinione pubblica
interna, ASMAE, Affari Politici, 1946-1950, Italia 1950, b. 246, fasc. 3, documenti del giugno-luglio
1949 e ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/38, Direzione Generale Cooperazione Internazionale, 11 marzo 1952. Alla fine però i programmi furono uniti, Valdevit, Il dopoguerra... cit., p. 266.
26
La commissione si riunì per la prima volta nel dicembre del 1949, con all’ordine del giorno
i dipendenti civili del Gma, la fornitura di energia elettrica tra le zone A e B del Tlt, i traffici tra
Trieste e l’Ungheria e la Cecoslovacchia e il “coordinamento tra l’Erp italiano e l’Erp triestino”,
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/42, “Appunto per la Direzione Generale
Affari Politici Ufficio IV”, telespresso della Direzione Generale Affari Economici Uff. IV, 21 dicembre 1949.
27
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/41, “Commissione mista italo-triestina”, ordine del giorno della sessione del 3-6 dicembre 1951.
28
29
Valdevit, Il dopoguerra... cit., pp. 257-258.
30
Valdevit, La labour policy... cit., pp. 268-9, 272; Bednarz, Crisi economica... cit., 292.
ASMAE, Affari Politici, 1946-1950, alle voci Italia e Jugoslavia; Affari Politici, 1950-1957, alle voci
Italia, Trieste e Jugoslavia; ASMAE, Affari Economici, Versamento A, Versamento B e Versamento C, alle
voci Italia, Jugoslavia, Trieste ed Erp.
31
politiche e pratiche migratorie
79
ASMAE, Affari Politici, 1946-1950, Italia 1950, b. 246, fasc. 3, “Relazione sulla situazione tributaria di Trieste”, Camera di Commercio, allegata al telespresso della Rappresentanza Italiana a
Trieste del 26 giugno 1950 al Ministero degli esteri e all’Ufficio per le zone di confine.
32
Si potrebbe forse dire che si era riavviato un meccanismo già sperimentato negli ultimi decenni austriaci, quando di fronte alla politica di esclusione operata dal partito liberal-nazionale
filo-italiano, la comunità slovena di Trieste diede vita a una rete sociale ed economica autonoma
e alternativa; si fa riferimento in particolare ad A. Panjek, Chi costruì Trieste. Edilizia, infrastrutture,
mercato immobiliare e servizi tra pubblico e privato (1719-1918), in Storia economica e sociale di Trieste,
vol. 2, La città dei traffici, a cura di R. Finzi, L. Panariti, G. Panjek, Trieste 2003, pp. 710-711, ma per
un quadro più ampio si vedano Verginella, Sloveni a Trieste... cit. e Cattaruzza, Trieste nell’Ottocento... cit.
33
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/34, “Associazione Piccole Industrie di
Trieste”, “Appunti riservati”, telespresso della D.G. Affari economici alla D.G. Affari politici e
all’Ufficio zone di confine del 24 dicembre 1951.
34
Si vedano in particolare AST, Ufficio del Lavoro, b. 13, “Monografia sulla disoccupazione” e b.
28, fasc. 5, “Sottocommissione d’inchiesta sulla disoccupazione”, verbali; fasc. 12, “Analisi dell’occupazione esistente nei vari settori del Comune di Trieste e nella zona A del Tlt”; G. Bonifacio
(a cura di), Le forze di lavoro ed i bilanci familiari a Trieste, Trieste 1953, p. 25; A. Panjek, C. de Draganich Veranzio, Ricostruzione, lavoro e immigrazione di manodopera specializzata nel dopoguerra
triestino, in A. Verrocchio (a cura di), Trieste tra ricostruzione e ritorno all’Italia (1945-1954), Trieste
2004, p. 33; de Draganich Veranzio, Flussi migratori e mercato del lavoro... cit, pp. 44-60.
35
La popolazione in età lavorativa era di circa 137.000 persone nel 1949 (tabella 7) e nel 1951
(censimento Istat).
36
ASMAE, Affari Politici, 1946-1950, Italia 1950, b. 246, fasc. 4, “Sciopero dei lavoratori dell’industria”, telespresso della Rappresentanza Italiana a Trieste al Ministero degli Affari Esteri del 7
marzo 1950, A. Castellani.
37
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/37, Relazione... cit. ora vedi qui capitolo
III.3.
38
Si veda ad esempio T. Fanfani, Scelte politiche e fatti economici dal secondo dopoguerra ai nostri
giorni. Cinquant’anni di storia italiana, Torino 1996, pp. 51-55.
39
40
Fanfani, Scelte politiche e fatti economici... cit., pp. 44 e 62.
U.S. Government – Economic Cooperation Administration (Eca), Trieste Country Study. European Recovery Program, Washington D.C. 1949, p. 6.
41
G. Mellinato, Tra mercato e propaganda. La ricostruzione del settore marittimo nella Trieste del secondo dopoguerra, in “Acta Histriae”, 13/2005/2, pp. 454-455.
42
Sapelli, Trieste italiana... cit., p. 216; M. Resta, Il bilancio economico della regione triestina, in “Bancaria. Rassegna dell’Associazione Bancaria Italiana”, 11/5 (1955), pp. 519-520.
43
44
Fanfani, Scelte politiche e fatti economici... cit., p. 64.
Per il periodo austriaco Panjek, Chi costruì Trieste... cit., per esempio p. 722; per il periodo tra
le due guerre G. Mellinato, Crescita senza sviluppo. L’economia marittima della Venezia Giulia tra
impero asburgico ed autarchia (1914-1936), Monfalcone 2001.
45
46
Considerazioni basate sui dati Istat del censimento 1951.
47
Mellinato, Tra mercato e propaganda... cit., p. 455.
48
Per tutti Serra, Luci ed ombre... cit., p. 72 e Sapelli, Trieste italiana... cit., pp. 216 ss.
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/37, Relazione... cit. ora vedi qui capitolo
III.3.
49
50
Ibidem.
51
Ibidem.
52
Ibidem.
80
53
Valdevit, Il dopoguerra... cit., p. 260.
54
Resta, Il bilancio economico... cit., p. 516; Valdevit, La labour policy... cit., p. 265.
55
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/37, Relazione... cit, ora vedi qui capitolo III.3.
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/32, “Trieste’s ability to contribute to the
defence effort”, allegato al telespresso “segreto” della Missione Italiana a Trieste, “Utilizzazione
di Trieste nel piano di armamento”, 7 novembre 1951.
56
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/37, Relazione... cit., ora vedi qui capitolo
III.3.
57
58
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. I/9.
C. Besana, Accordi internazionali ed emigrazione della mano d’opera italiana tra ricostruzione e sviluppo, in S. Zaninelli – M. Taccolini (a cura di), Il lavoro come fattore produttivo e come risorsa nella
storia economica italiana, Milano 2002, p. 21n. Anche in termini più generali, nel dopoguerra
l’emigrazione friulana divenne sempre più una migrazione di carattere temporaneo, E. Saraceno, Emigrazione e rientri. Il Friuli-Venezia Giulia nel secondo dopoguerra, Udine 1981, pp. 38-39.
59
De Draganich Veranzio, Flussi migratori e mercato del lavoro cit., p. 65; Istituto regionale di studi e ricerche della Cgil del Friuli Venezia Giulia – Fillea Trieste, I lavoratori delle costruzioni della
provincia di Trieste. Lavoro, lotte, organizzazione (1881-1983), Trieste 1983, p. 93.
60
Si veda per esempio A. Umile, Imprenditori triestini in acque italiane: l’industria cantieristica tra le
due guerre mondiali, in Panjek (a cura di), Pogledi od zunaj.../Visti da fuori.../Views from the Outside...
cit., pp. 69-94.
61
62
Bednarz, Crisi economica... cit., p. 297.
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. I/8, 26 giugno 1950. Sui legami sociali tra le
zone A e B del Tlt si veda M. Verginella, La campagna istriana nel vortice della rivoluzione, in Verrocchio, Trieste tra ricostruzione e ritorno... cit., pp. 110-119.
63
La questione dei mestieri dei migranti meriterebbe un’analisi specifica anche più in generale,
ma qui essa non verrà intrapresa, perchè potrà ottenere risultati più significativi se svolta quando saranno disponibili anche degli studi che si stanno compiendo nell’ambito di progetti ancora
in corso, oltre a quelli presentati in questo volume e ai dati emersi negli ultimi anni, almeno
Fait, L’emigrazione giuliana in Australia... cit. Gombač, Esuli ali optanti?... cit. (di prossima pubblicazione in versione italiana); de Draganich Veranzio, Flussi migratori e mercato del lavoro... cit.
64
65
Bednarz, Crisi economica... cit., es. 289, 294-5, 297, 308-9, 311.
Per il periodo tra le due guerre, Mellinato, Crescita senza sviluppo... cit. Per il dopoguerra, Sapelli, Il profilo del destino... cit., pp. 270-1; Bednarz, Crisi economica... cit., p. 299; Mellinato, Tra mercato
e propaganda... cit. Nell’economia triestina la mancanza di professionalità industriali si sarebbe
ripresentata nei primi anni settanta, G. Battisti, Una regione per Trieste. Studio di geografia politica
ed economica, Udine 1979, p. 108.
66
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/37, Relazione... cit., ora vedi qui capitolo
III.3.
67
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/37, Relazione... cit., ora vedi qui capitolo
III.3.
68
Mentre ci si potrebbe aspettare che la difficile situazione occupazionale nel commercio preludesse a un ulteriore peggioramento, e magari all’emigrazione, in seguito alla partenza degli
alleati, che portò a una significativa riduzione del denaro quotidianamente immesso sulla
piazza (25 milioni di lire spesi ogni giorno), il commercio registrò invece un sensibile aumento
dell’occupazione dopo il ritorno alla piena sovranità italiana (grafico 12). Sui 25 milioni al giorno Apih, Trieste cit., p. 186, sull’aumento dell’occupazione nel commercio dopo il ritorno all’Italia
anche Sapelli, Il profilo del destino... cit, p. 249.
69
AN, AJ 43, b. 140, f. 36, “Background notes on Trieste…” cit.; AN, AJ 43, b. 1041, f. 42/2, documenti
22 novembre 1947 – 6 luglio 1948 sulle difficoltà incontrate nel “reinsediamento di sloveni
[presenti] nel Tlt in Argentina”.
70
politiche e pratiche migratorie
81
71
Bednarz, Crisi economica… cit., p. 296.
72
Volk, Istra v Trstu... cit.
A parte quanto ancora c’è di incerto sulle politiche migratorie italiana e jugoslava verso l’emigrazione dall’Istria e dalla Dalmazia (che qui non viene indagato): si vedano i recenti R. Pupo,
Il lungo esodo. Istria: le persecuzioni, le foibe, l’esilio, Milano 2005, Gombač, Esuli ali optanti?... cit,
e Volk, Istra v Trstu...cit. Sull’argomento anche ASMAE, Affari Politici, 1946-1950, Jugoslavia 1947,
documenti per il periodo 1947-1949.
73
Lo Statuto dell’Iro prevedeva, però, in casi eccezionali, la possibilità per i paesi aderenti di
richiedere l’emigrazione di propri cittadini dal proprio territorio.
74
Per un approfondimento sul dibattito interno all’Iro riguardo alle questioni legate all’identità
dei Venezia Giulian, con un’attenzione particolare alla questione del rapporto tra l’identità delle
persone e la necessità di classificazione dell’istituzione, si veda Ballinger, Opting for Identity... cit.
76
AN, AJ 43, b. 140, f. 34, Intervista di J. Mandel a R. L. Gesner, “Chief Elegibility Officer, Italian
Office”, del 10 gennaio 1952.
75
AN, AJ 43, b. 476, fasc. 6, “Appendix 4 to the semestrial report of the Review Board to the
Director General, Memorandum on the question of Refugees from Venezia–Giulia”, 11 marzo
1949.
77
AN, AJ 43, b. 476, fasc. 6, “Appendix 4… Memorandum on the question of Refugees from Venezia–Giulia”.
78
AN, AJ 43, b. 1036, fasc. 32/1, novembre e dicembre 1948; le rispettive argomentazioni in Ballinger, Opting for Identity... cit.
79
AN, AJ 43, b. 140, f. 34, Intervista di J. Mandel a R.L. Gesner (Chief Elegibility Officer, Italian Office), del 10 gennaio 1952.
80
“Potranno essere assistiti i profughi nati nei territori ceduti ed ivi domiciliati al 10 giugno
1940, che non hanno optato per l’Italia o che, pur avendo optato, non hanno ancora avuto l’opzione regolarmente approvata. Non avranno invece diritto all’assistenza: a) quei profughi che
sono nati in territorio attualmente italiano; b) coloro la cui opzione è stata regolarmente approvata... ; c) coloro che si siano regolarmente sistemati in Italia o che non desiderino emigrare...”,
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Iro, Roma, Ufficio stampa, L’assistenza
dell’Iro estesa ai profughi giuliani”, 14 luglio 1949.
81
AN, AJ 43, b. 1053, fasc. 32/1/I A & B, “Associazione nazionale per la Venezia Giulia e Zara,
Assistenza Iro, a tutti i Comitati provinciali”, 15 luglio 1949. Sulle organizzazioni dei profughi
giuliani S. Volk, Ezulski skrbniki. Vloga in pomen begunskih organizacij ter urejanje vprašanja istrskih
beguncev v Italiji v luči begunskega časopisja 1945-1963, Koper 1999.
82
AN, AJ 43, b. 140, f. 34, Intervista di J. Mandel a R.L. Gesner (Chief Elegibility Officer, Italian
Office) cit.; ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Iro, Roma, Ufficio stampa,
L’assistenza dell’Iro estesa...” cit.
83
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Processo verbale della Riunione
interministeriale “Profughi Giuliani” – 15 luglio 1949.
84
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “M. A.E., D.G. Emigrazione, Assistenza ad alcune categorie di profughi giuliani”, telespresso ai ministeri dell’interno e degli esteri e
all’Ufficio zone di confine presso la Presidenza del consiglio, 2 agosto 1949.
85
86
Besana, Accordi internazionali ed emigrazione... cit., pp. 5-7.
F. Romero, Emigrazione e integrazione europea, 1945-1973, Roma 1991, pp. 14-15, citato in Besana,
Accordi internazionali ed emigrazione... cit., p. 9.
87
88
Besana, Accordi internazionali ed emigrazione... cit.
89
Così anche Ballinger, Opting for Identity... cit., p. 128.
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Note sull’Iro di Trieste”, Cln per
l’Istria, Trieste, 9 settembre 1949.
90
82
AN, AJ 43, b. 476, fasc. 6, “Venezia Giulia refugees with Italian provisional passports”, missiva
di V.A. Temnomeroff (Review Board) a D. Segat (Chief, Elegibility Division), 4 ottobre 1950.
91
AN, AJ 43, b. 476, fasc. 6, “Refugees from Zone B F.T.T.”, missiva di R.L. Gesner (Bagnoli) a D.
Segat (Ginevra), 12 giugno 1951.
92
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 570, fasc. VII/20, “Rappresentanza Italiana Trieste,
Situazione profughi nella Zona A di Trieste, telespresso ai ministeri degli esteri e dell’interno e
all’Ufficio zone di confine presso la Presidenza del consiglio, 28 novembre 1951.
93
AN, AJ 43, b. 1044, fasc. 55/2, Verbale della riunione tra l’Iro e il governo italiano, al primo
punto “Prospect of resettlement of refugees – 2000 Giulian refugees to be admitted in the USA”,
14 settembre 1950. Si trattava del Displaced Persons Act 1948 As Amended 1950, in cui la novità nella
legislazione statunitense sull’immigrazione di displaced persons che riguardava i “giuliani” consisteva nelle clausole 2c e 2g: il testo in AN, AJ 43, 1053, fasc. 42/3/USA.
94
AN, AJ 43, b. 273/1/Ven-Giu, fasc. 1, “Iro, US Branch, Bagnoli, Emigration of Venezia-Giulia DPs
under the U.S. D.P. Act, to Chief US Branch Iro Geneva, from J.P. Carmine”, 13 aprile 1950.
95
AN, AJ 43, b. 140, fasc. 34, “Note on a short interview with Mr. Rossi-Longhi in Rome – 3
September 1951, Description of day-to-day work of an Eligibility Officer in connection with
refugees of Venezia Giulia”, di L.M. Hacking, Chief Historian (Iro).
96
AN, AJ 43, b. 140, f. 34, “Note of an interview with Capt. Thiene at Bagnoli on 7 September,
1951”.
97
AN, AJ 43, b. 140, f. 36, “Background notes on Trieste…” cit.; AN, AJ 43, b. 1041, f. 42/2, documenti
22 novembre 1947 – 6 luglio 1948 sulle difficoltà incontrate nel “reinsediamento di sloveni
[presenti] nel Tlt in Argentina”; AN, AJ 43, b. 476, fasc. 6, “Appendix 4… Memorandum on the
question of Refugees from Venezia–Giulia” cit.
98
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/37, Relazione... cit. ora vedi qui capitolo
III.3.
99
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 570, fasc. VII/20, “Ministero degli Affari Esteri, Appunto per S. E. il Ministro, Roma 30 luglio 1948”. Il quasi è aggiunto a penna nell’originale.
100
Sebbene apparentemente il Gma si riferisca ai soli interessati dalla “offerta Iro” (coloro che
non hanno optato o la cui opzione è stata respinta), la cifra di 15.000 persone è in verità uguale
alla stima delle “autorità italiane” risalente a un mese prima, di tutte le presenze di profughi
dai territori ceduti nella zona A del Tlt, di cui il 10% non aveva optato; nella Repubblica italiana
invece, ci sarebbero allora stati 73.000 “profughi giuliani” che avevano optato e 1.500 che non
lo avevano fatto, AN, AJ 43, b. 1036, fasc. 32/1, G.F. Mentz, 9 giugno 1949; in totale fanno 89.500
persone.
101
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Confidential, Headquarters Allied
Military Government, Emigration of Istrian Refugees, to the Italian Mission – Trieste”, 1. luglio
1949, corsivo di chi scrive.
102
La Direzione generale per l’emigrazione, per esempio, condivideva il parere della Delegazione
italiana presso l’Iro “circa l’opportunità di compiere in Trieste stessa le operazioni di selezione
dei profughi giuliani ivi rifugiati e ciò allo scopo di evitare il trasferimento in Italia di persone
che possono non essere trovate idonee all’espatrio”, ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513,
fasc. VII/18, “M.A.E., D.G. Emigrazione, Assistenza ad alcune categorie di profughi giuliani” cit.
103
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Rappresentanza Italiana Trieste,
Esuli istriani – emigrazione transoceanica a cura dell’Iro” cit., corsivo di chi scrive.
104
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “M. A.E., D.G. Affari politici, Delegazione Italiana per l’Iro, Appunto”, corsivo di chi scrive.
105
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Processo verbale della Riunione
interministeriale “Profughi Giuliani – 15 luglio 1949” cit., Martelli.
106
Sebbene sembrerebbe che nella pratica nella zona A del Tlt si accettassero fin da subito anche
le domande di chi ancora non aveva ricevuto il decreto di opzione, come in Italia: “Va rilevato, in
107
politiche e pratiche migratorie
83
proposito, che a quanto appare da un modello di dichiarazione del Comune di Trieste [...] delle
facilitazioni anzidette già usufruirebbero, in pratica, anche coloro che sono tuttora in attesa
di conoscere la decisione jugoslava”, ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18,
“Rappresentanza Italiana Trieste, Esuli istriani – emigrazione transoceanica a cura dell’Iro” cit.,
11. luglio 1949.
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Appunto per il Direttore generale”,
18 agosto 1949.
108
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “D.G. Affari Politici Uff. IV°, Iro Assistenza ad alcune categorie di profughi giuliani”, telespresso alla Presidenza del consiglio dei
ministri Ufficio zone di confine e per conoscenza Rappresentanza Italiana Trieste e Delegazione Italiana Iro, 26 agosto 1949.
109
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Presidenza Consiglio Ministri Uff.
Zone Confine, a D.G Affari Politici uff. IV”, firmato Andreotti, 31 agosto 1949.
110
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Note sull’Iro di Trieste”, Cln per
l’Istria cit. Le 1.734 domande sono riferite a singoli o nuclei famigliari, il numero delle persone
era circa il doppio.
111
AN, AJ 43, b. 1053, fasc. 32/1/I A&B, “Intake Center, Trieste, Criteria and instructions to interviewers”, Area Intake Supervisor M.J. Sedmak jr., 26 settembre 1949.
112
AN, AJ 43, b. 1040, fasc. 38/7, “Report on Tour of Northern Area”, di Olivier e Canali (Iro), 20 novembre – 2 dicembre 1949, che toccarono Milano, Gorizia, Trieste, Venezia, Padova e Bologna.
113
114
AN, AJ 43, b. 1053, fasc. 32/1/I A&B, “Intake Center, Trieste, Criteria and instructions… cit.
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Note sull’Iro di Trieste”, Cln per
l’Istria cit.
115
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Processo verbale della Riunione
Interministeriale Profughi Giuliani del 23 Settembre 1949”, Talpo; la presenza di rappresentanti
delle organizzazioni dei profughi era normale alle riunioni governative su temi inerenti.
116
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Processo verbale della Riunione
Interministeriale Profughi Giuliani del 23 Settembre 1949 cit.
117
118
AN, AJ 43, b. 140, f. 36, “Background notes on Trieste…” cit.
119
Ibidem.
AN, AJ 43, b. 1053, fasc. 32/1/I A&B, “Iro Out-of-camp registration program, Trieste Area,
Eligibility Officer in charge Mr. Sedmak”: l’Iro Trieste Area comprendeva i seguenti comitati
provinciali: Trieste, Gorizia, Udine, Verona, Padova, Treviso, Venezia, Vicenza, Bolzano, Belluno
e Trento; AN, AJ 43, b. 140, f. 36, “Background notes on Trieste…” cit. Anche per la Casa dell’Emigrante.
120
121
AN, AJ 43, b. 1038, fasc. 34/1; b. 1039, fasc. s.n° (ultimo).
AMG, Natural Movement Immigration Emigration... cit., p. 79; AN, AJ 43, b. 140, f. 36, “Background
notes on Trieste…” cit.
122
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 570, fasc. VII/20, “Office of the Military Governor,
Emigration from the British/U.S. Zone F.T.T., to the Italian Mission Trieste, P.D. Miller, Colonel,
Senior Staff Officer”, 7 ottobre 1950.
123
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 570, fasc. VII/20, “Rappresentanza Italiana Trieste,
Emigrazione dalla Zona anglo-americana del Tlt, al Ministero degli affari esteri”, R. Di Carrobio,
9 ottobre 1950, con annotazioni a penna e in trascrizione allegata. Nel giugno 1947 alla conferenza per l’Erp il ministro degli esteri Sforza propose di creare un comitato per lo studio delle
migrazioni di lavoro, Besana, Accordi internazionali ed emigrazione... cit., p. 15.
124
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 570, fasc. VII/20, “D.G. Affari Politici Ufficio IV°, Emigrazione dalla Zona anglo-americana del Tlt, Appunto per la Dir. Gen. Dell’emigrazione”.
125
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, Comitato misto dell’Iro (Iro e governo italiano), riunione Gruppo studi trasporti, 13 settembre 1950.
126
84
ASMAE, Affari Politici, 1946-1950, Italia 1950, b. 246, fasc. 3, “MAE, D.G. Affari economici, Programma edilizio di emergenza – Trieste, al Ministero del tesoro, alla Presidenza del consiglio
Ufficio zone di confine, al Mae D.G. Affari politici IV°”, 18 novembre 1950. L’argomento era stato incluso anche all’ordine del giorno del Comitato interministeriale per il coordinamento tra
l’economia italiana e l’economia triestina.
127
ASMAE, Affari Politici, 1946-1950, Italia 1950, b. 246, fasc. 1, “Rappresentanza Italiana Trieste,
Situazione nel Tlt, al Ministero degli affari esteri”, R. Di Carrobio, 15 febbraio 1951.
128
129
UNHCRA, High Commissioner Doc., Amg, Natural Movement Immigration Emigration... cit, pp 1 e 72.
Il Gma sosteneva anche delle spese per i profughi stranieri, ASMAE, Affari Politici 1950-1957,
Trieste, b. 570, fasc. VII/20, “Rappresentanza Italiana Trieste, Situazione profughi nella Zona A di
Trieste... cit., 28 novembre 1951.
130
ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 570, fasc. VII/20, “Mae, D.G. Affari Politici, Servizio
stranieri, Appunto per l’ufficio contabile”, 11 febbraio 1952.
131
IOMLHS, Provisional Intergovernmental Committee for the Movement of Migrants from Europe
(Picmme), Second Session, February 1952, PIC/25/Rev. 2, p. 7.
132
IOMLHS, Picmme, Second Session, February 1952, PIC/26, p. 11. Il movimento sarebbe stato finanziato allo tesso modo di quello dall’Italia: i costi della selezione e del movimento interno era
a carico dalle autorità locali, che contribuivano anche circa 60 dollari per il trasporto via mare
di ogni emigrante indigente, mentre la restante parte del costo del trasporto veniva coperta da
un sussidio del Comitato, ivi.
133
Sull’argomento diversi autori e valutazioni; per un elenco delle direzioni e degli uffici in
questione Volk, Istra v Trstu... cit., pp. 172-173. Progetti in questo senso, il cui schema sembra precorre quello adottato nel ’52, esistevano però già da alcuni anni: nel gennaio 1950 il Rappresentante italiano a Trieste A. Castellani inviò a Roma alcune “Eventuali proposte per una riforma
dell’organizzazione del Gma”, in cui suggeriva che “si dovrebbe insistere affinché nella più larga
misura possibile venissero preposti funzionari italiani di ruolo ai vari uffici [...] da designarsi
dalle Amministrazioni italiane e da nominarsi dal Gma [... che] trasferirebbero in effetti un
certo numero di attività in mani italiane, salvo sempre la supervisione del Gma”, ASMAE, Affari
Politici, 1946-1950, Italia 1950, b. 246, fasc. 1, 23 gennaio 1950.
134
ASMAE, Affari Politici 1950-1957, Trieste, b. 570, fasc. VII/20, “Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio per le Zone di Confine, Appunto, Sistemazioni alloggiative dei profughi giuliani in
Trieste”, 4 settembre 1952.
135
ASMAE, Affari Politici 1950-1957, Trieste, b. 570, fasc. VII/20, “Trasferimento dei profughi stranieri da Trieste, Riunione al Ministero Affari Esteri (D.G. A.P. – Serv. Stranieri) del 3 Settembre
1952”. Il consigliere politico cui si fa riferimento va verosimilmente identificato con Diego De
Castro, nominato consigliere politico italiano presso il Gma in seguito agli accordi di Londra
del maggio 1952, Volk, Istra v Trstu... cit., pp. 114, 173.
136
IOMLHS, Picmme, Fourth Session, October 1952, PIC/97/Rev. 2, “Fourth Session, Resolution No.
43, Resolution on refugees from Trieste (Adopted at the 39th Meeting, 21 October 1952 )”.
137
IOMLHS, Picmme, Fourth Session, October 1952, PIC/71/Add,1, “Revision of estimated programme 1953”.
138
IOMLHS, b. Refugees Europe – Countries – Trieste, file H/2/2/2, “Trieste and Solution of Its
Hardcore Refugee Problem, Dr. Edgar H.S. Chandler, Director, Field Operations, WCC, to Miss
Marjorie Bradford, Liaison, Voluntary Societies, Icem” (Cime), 9 dicembre 1952. Nel rapporto i
greci risultano costituire un problema particolare in quanto “comunisti e quindi inaccettabili
come migranti”, mentre era di segno opposto l’orientamento dei bulgari che “resistono fortissimamente a ogni sforzo di reinsediamento perché aspettano di arruolarsi nella brigata internazionale della Nato” (virgolettata nell’originale).
139
Con sede in via Battisti 10, mentre l’ufficio operativo era in passeggio S. Andrea 23, IOMLHS,
b. Refugees Europe – Countries – Trieste, file H/2/2/2, “Icem-Cime, Trieste Liaison Office, Australian
Mass Program in Trieste”, 16 ottobre 1953.
140
politiche e pratiche migratorie
85
“Quando verrà completata, questa operazione costituirà un valido strumento per il lavoro
in cooperazione e per concentrare l’attenzione sulle famiglie che sono casi sociali o di difficile
reinsediamento. La sua utilità viene naturalmente sperimentata sui casi correnti per i quali si
collabora a costituire una documentazione comune mentre si vanno raccogliendo i dati, ma
molto rimane da essere fatto al fine di completare e collazionare la documentazione che è ora
sparsa o in sospeso sui vecchi casi di cui si occuperà il nostro attuale progetto”, IOMLHS, b. Refugees Europe – Countries – Trieste, file H/2/2/2, “A Project to resettle refugees from Trieste barred
from normal resettlement opportunities, Headquarters – Migration Committee”, 17 dicembre
1952.
141
IOMLHS, b. Refugees Europe – Countries – Trieste, file H/2/2/2, “A Project to resettle refugees
from Trieste barred from normal resettlement opportunities, Headquarters – Migration Committee”, 17 dicembre 1952.
142
IOMLHS, Intergovernmental Committee for European Migration (Icem), Fifth Session, April 1953,
MC/9/Rev. 1, pp. 10, 23-24.
143
144
IOMLHS, Icem, Sixth Session, October 1953, MC/33, p. 5.
“Senza scendere nel dettaglio, è noto che diversi Venezia-Giulian sono stati trasferiti dal Cime,
ma avevano optato per la cittadinanza italiana e viaggiavano con passaporto italiano, rendendo
difficile identificarli separatamente”, IOMLHS, b. Statistics, Movements yearly 1952-1958, file H/4/
2, doc. 6/1/GEN, rapporto di P.C. Jarrell dell’Office of Operations Cime del 25. 6. 1953 al console statunitense di Ginevra. Per diversi dati, ma soltanto sui “cittadini” emigrati con il Cime da Trieste,
si veda Fait, L’emigrazione giuliana in Australia... cit.
145
In generale nel 1954 il Cime superò i propri obiettivi, aumentando di quasi il 40% gli emigranti rispetto all’anno precedente. I due fattori principali che determinarono tale aumento furono da un lato il successo dei programmi per le ricongiunzioni famigliari, dall’altro le emigrazioni verso l’Australia in base a diversi accordi bilaterali. L’aumento più rilevante fu conseguito
proprio a Trieste (+324%), dove la destinazione australiana svolse il ruolo decisivo, IOMLHS,
Icem, Council, Second Session, April-May 1955, MC/128, pp. 9, 13.
146
L’importanza della meta australiana per l’emigrazione da Trieste soprattutto negli anni Cinquanta è nota, Donato, Nodari, L’emigrazione giuliana nel mondo cit., G. Cresciani (a cura di), Giuliano dalmati in Australia: contributi e testimonianze per una storia, Trieste 1999 e Fait, L’emigrazione
giuliana in Australia... cit. Va comunque rilevato che gli Usa contribuirono finanziariamente al
reinsediamento di una parte degli rifugiati anche in paesi terzi.
147
P. Bevilacqua, A. De Clementi, E. Franzina (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana. Partenze,
Roma 2001.
148
149
Fait, L’emigrazione giuliana in Australia... cit., pp. 62-67 e 126-127.
In questo modo, però, si contribuì probabilmente anche al diffondersi, a Trieste, della percezione che scelte decisive venissero fatte senza tenere conto degli interessi di una parte consistente della popolazione locale; in proposito si veda per esempio J.C. Davis, Zone A in the Early
1950s, as We Americans Knew It, in Panjek (a cura di), Pogledi od zunaj.../Visti da fuori.../Views from the
Outside... cit., p. 152.
150
86
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