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ricostruire trieste
2. Politiche e pratiche migratorie 1. Le migrazioni triestine Tenteremo di delineare i diversi movimenti migratori verificatisi nel ventennio successivo alla seconda guerra mondiale, sarebbe a dire nei primi dieci anni del dopoguerra, fino al termine dell’amministrazione alleata nella zona A del Tlt (1954), e nel primo decennio dopo il ritorno alla piena sovranità italiana, fino alla metà degli anni sessanta. Prenderemo come area di osservazione il territorio che fu della zona A e che divenne poi, con quasi impercettibili modifiche, la provincia di Trieste, di cui esamineremo gli spostamenti della popolazione in entrata e in uscita, identificandoli in base alla provenienza e alla destinazione. Questa scelta è dovuta al fatto che, all’epoca cui questo studio rivolge l’attenzione, la zona A costituiva un’entità a sé stante e, dato che anche in seguito, come provincia, è rimasta un’unità amministrativa a sé, essa ci consente di effettuare confronti coerenti su un periodo più lungo. In qualche caso utilizzeremo anche dati riguardanti il comune di Trieste, in cui si concentra gran parte (oltre il 90%) della popolazione della zona A, ovvero della provincia di Trieste. Si tratta di una realtà urbana con un’esiguo territorio circostante (cinque piccoli comuni), che è stata coinvolta, nel suo insieme, dalle medesime vicende politiche e dalle stesse correnti migratorie. La crescita demografica naturale era pressoché nulla, per cui il movimento della popolazione era, in pratica, il risultato del bilancio tra l’immigrazione e l’emigrazione. Un flusso immigratorio importante, innescatosi già prima della fine della guerra, era quello proveniente dall’Istria e dalla Dalmazia. In base alle stime più recenti, erano giunti nella zona A del Tlt, provenienti dai territori ceduti alla politiche e pratiche migratorie 29 Jugoslavia, 4.706 profughi entro il mese di luglio 1948, che raggiunsero quota trentamila entro giugno del 1950, e un numero tra i 35.000 e i 47.500 entro l’agosto del 1954 (di cui 31.500 erano presenti a Trieste alla stessa data). Entro il 1966, quando il fenomeno era ormai esaurito, gli arrivi ammontarono complessivamente tra 56.000 e 69.000 persone, ma non tutti si erano stabiliti in città, né tutti erano destinati a fermarvisi1. Si stima che entro il 1960 si insediarono stabilmente a Trieste tra i cinquanta e i sessantamila profughi istriani e dalmati2. Nei campi di accoglienza triestini vi erano diverse migliaia di rifugiati: nei primi anni ‘50 vi si contavano costantemente tra le quattro e le seimila persone. La loro provenienza era equamente divisa tra la Jugoslavia, la Russia e gli altri paesi dell’Europa centrale e orientale (grafico 21)3. Da un’indagine svolta dall’Iro tra alcuni funzionari e operatori a Trieste risulta che, sommando i profughi istriani e gli altri rifugiati, dal giugno 1945 alla fine del 1951 circa 150.000 persone sarebbero passate per Trieste4. Un’altro flusso, che si espletò soprattutto nei primi anni del dopoguerra, fu costituito da quella parte degli immigrati dalla Slovenia che tornarono a Trieste dopo esserne emigrati durante il ventennio fascista5. Si trattava in questo caso di rientri, quantificabili in qualche migliaio di persone fino al 1950 (grafico 3)6. All’immigrazione proveniente dai territori ceduti alla Jugoslavia, dalla Slovenia e dal resto della Jugoslavia, nonché dall’Europa centro-orientale e orientale, si aggiungevano in particolare le assai numerose provenienze dall’Italia (grafico 2). Così tra il 1948 e il 1954 le iscrizioni angrafiche nella zona A del Tlt furono 36.969 (tabella 3), una cifra che però non comprende le consistenti immigrazioni dei primissimi anni del dopoguerra, e in particolare non include le regolarizzazioni avvenute entro il 1947, quando il Gma bloccò la possibilità di nuove iscrizioni anagrafiche. Nel comune di Trieste, tra il 1947 e il 1953 le iscrizioni anagrafiche ammontarono complessivamente a 43.277 ed entro il 1961 arrivarono a 110.5207. Nel successivo quinquennio 1961-1965, nella provincia di Trieste le nuove iscrizioni anagrafiche furono 30.582, di cui due terzi dall’Italia8, che portarono l’immigrazione nel ventennio successivo al secondo conflitto mondiale intorno a quota 140.000 (comprensiva degli inurbamenti dai comuni minori e dei rientri). La città generava, però, anche una costante emigrazione di popolazione locale, come è possibile desumere dalle cancellazioni anagrafiche, che nel comune di Trieste ammontarono a 2.659 nel 19479 e, nell’intera zona A del Tlt, a 27.633 nel periodo 1948-5410, per un totale di 30.292 persone (1947-54). Questo dato comprende, in verità, anche emigrazioni (e sparizioni) avvenute fin negli ultimi anni di guerra, in quanto include le cancellazioni effettuate dall’ufficio anagrafico triestino nella primavera-estate del 1950, quando fu effettuato un controllo delle persone effettivamente residenti. Per questa ragione l’ufficio statistico del Gma riteneva che i dati sull’emigrazione per il periodo 1948-1950 non avessero alcun valore su base mensile, ma “potessero soltanto essere considerati come il totale per l’intero periodo” (1948-1950)11. A parte le cancellazioni di un migliaio di persone assenti riferibili alle vicende belliche e postbelliche degli anni 19441945, le cancellazioni d’ufficio, che nel complesso ammontarono a non più di 6.000 persone, aggiornarono i dati sull’emigrazione e li riportarono a un livello realistico. Ciò che non è possibile determinare, è l’anno preciso in cui avvennero. 30 Grafico 1 Il movimento della popolazione di Trieste 1931-1961. Fonte: dati tabella 1. Grafico 2 Provenienze degli immigrati nella zona A del Tlt, 1948-1951. Fonte: dati tabella 2. politiche e pratiche migratorie 31 Ponendoci l’obiettivo di definire gli ordini di grandezza dei flussi migratori, ciò non comporta in verità un problema, perché il nostro dato è comunque privo delle cancellazioni correnti nei primissimi anni del dopoguerra. Il totale riportato rimane, quindi, comunque inferiore all’emigrazione realmente avvenuta nel primo decennio del dopoguerra (grafico 5). In questo periodo la destinazione della maggior parte degli emigrati fu l’Italia, mentre una parte meno consistente, ma comunque rilevante, si diresse nel senso contrario alle correnti prevalenti, verso la Jugoslavia (grafico 4)12. Dopo il ritorno alla sovranità italiana, le cancellazioni per l’estero nella provincia di Trieste furono 15.211 negli anni 1955-1960 e scesero a 3.436 nel quinquennio successivo (1961-65), per complessive 18.647 persone (1955-65), la cui meta principale fu l’Australia13. A queste si aggiunsero 43.396 cancellazioni per altre province italiane, per un totale complessivo di 62.043 emigrati (all’estero e nelle altre province italiane) negli anni 1955-196514. Tra la fine della guerra e il 1965 Trieste e il suo esiguo territorio subirono quindi una costante emorragia di popolazione che, facendo la somma dei dati qui proposti, importò oltre 90.000 emigrati (almeno 92.335). Ciò significa che almeno un terzo di essi (30.292) partì prima del ritorno della città all’Italia, anche in considerazione del fatto che la cancellazione anagrafica spesso segue con un certo ritardo l’emigrazione effettiva (grafico 5). Al fine di individuare con maggiore precisione l’emigrazione della popolazione locale, sarebbe necessario distinguerla dagli immigrati più recenti, per lo più profughi e rifugiati dalla Jugoslavia, che ottennero la residenza a Trieste ma che poi proseguirono sulla via migratoria, figurando perciò, sulla base delle cancellazioni, come emigrati. A tale proposito va comunque tenuto conto del fatto che la struttura demografica della Trieste moderna è sempre stata caratterizzata da un elevato tasso di popolazione nata altrove, non lontano dalla metà della popolazione rilevata nei vari censimenti otto e novecenteschi. In tutto il dopoguerra, una parte considerevole degli emigranti triestini era quindi composta da persone che vi erano immigrate in tempi più o meno recenti, né sarebbe nostro obiettivo stabilirne il grado di «triestinità». Nel triennio 1948-50, per esempio, il 30% degli emigrati era nato nella zona A (grafico 6), ma molti degli altri erano immigrati da tempo, probabilmente altrettanti (insieme comporterebbero dunque un 60% circa), se è vero che la popolazione di Trieste era tradizionalmente composta circa a metà da nati sul posto e da nati altrove. E dato che gran parte dei profughi e dei rifugiati iscrittisi all’anagrafe triestina avevano gli stessi luoghi di nascita tradizionali a una parte rilevante della popolazione triestina, distinguerli non è agevole. D’altra parte è anche per cercare di delineare un fenomeno poco visibile, quale fu l’emigrazione triestina negli anni della ricostruzione, che nelle pagine seguenti indagheremo le politiche economiche e le politiche migratorie. A complicare ulteriormente il quadro vi sono i rientri, che entro il 1965 non dovrebbero aver superato le diecimila persone, e anche in questo caso i protagonisti furono più o meno «triestini»15. Ad ogni modo, se entro il 1950, dunque negli anni precedenti i maggiori interventi in favore dell’insediamento a Trieste dei “profughi giuliani”, la quota degli emigrati locali si aggirava sul 60%, essa va verosimilmente considerata come una soglia minima. Quelli furono infatti gli anni di attività dell’Iro, con cui, come avremo 32 Grafico 3 Luogo di nascita degli immigrati nella zona A del Tlt, 1948-1950. Fonte: dati tabella 4. Grafico 4 Destinazioni degli emigrati dalla zona A del Tlt, 1948-1951. Fonte: dati tabella 2. politiche e pratiche migratorie 33 Grafico 5 L’emigrazione dalla zona A del Tlt e dalla provincia di Trieste, 1945-1965 (medie)*. Fonti: Bonifacio, Il movimento della popolazione...cit; UNHCRA, High Commissioner Doc., Amg, Natural Movement Immigration Emigration...cit., pp. 72-73 e Tavole Ia e Ib in Appendice; C. Donato, P. Nodari, L’emigrazione giuliana nel mondo: note introduttive, in “Quaderni Vanoni”, 1995/3-4, pp. 103, 120; Istat, Annuario di statistiche...cit., 1955-1965. * 1945-1954: stima (vedi testo). Grafico 6 Luogo di nascita degli emigrati dalla zona A del Tlt, 1948-1950. Fonti: dati tabella 4. 34 modo di vedere, emigrarono da Trieste alcune migliaia di rifugiati dai territoti ceduti alla Jugoslavia, tra cui molti avevano nel frattempo acquisito la residenza anagrafica nella zona A del Tlt. Le cifre di queste emigrazioni assistite, che peraltro non costituiscono tutte le partenze, non sono tuttavia tali da incidere oltre la soglia proposta per quegli anni. Dopo il 1951 i programmi di emigrazione assistita dei “profughi giuliani” rallentarono fino alla fine del Gma, mentre furono rafforzati i provvedimenti in favore del loro insediamento a Trieste, per cui si può ragionevolmente ritenere che, nell’emigrazione da Trieste, la quota dei profughi andò diminuendo16. Su queste basi è possibile stimare che almeno i due terzi dell’emigrazione abbia coinvolto la popolazione locale e che, come ordine di grandezza, nei due decenni successivi alla seconda guerra siano emigrati circa 60.000 «triestini». Si profila con ciò un bilancio nell’ordine di grandezza di sessantamila «triestini» emigrati per sessantamila «profughi» immigrati tra l’immediato dopoguerra e la metà degli anni sessanta, ma nel bilancio migratorio complessivo fu rilevante anche l’apporto del flusso proveniente dall’Italia, di entità inferiore ma non molto lontana dai due appena ricordati, e che ancora non ha riscosso grande interesse tra gli studiosi, probabilmente in quanto riconducibile, almeno dopo il 1954, a forme di migrazione interna. Si può dunque ragionevolmente parlare di un processo di ristrutturazione demografica, anche perché questi ordini di grandezza vanno compresi in rapporto alle dimensioni di Trieste, la cui popolazione residente nel secondo dopoguerra sfiorava le 300.000 persone. In ogni caso, se un terzo dell’emigrazione triestina del periodo 1945-1965 avvenne entro il 1954, vale senz’altro la pena indagarne il contesto. 2. La ricostruzione e le migrazioni Sebbene con il ritorno all’Italia l’emigrazione da Trieste aumentò, molti partirono già entro il 1954 e una parte rilevante dell’emigrazione triestina del secondo dopoguerra avvenne prima della fine del Gma. Ciò implica la necessità di un almeno parziale riorientamento della ricerca e dell’interpretazione dei meccanismi che hanno caratterizzato i movimenti migratori triestini nel secondo dopoguerra, che qui tenteremo di approfondire alla luce della politica economica e della politica migratoria attuata fino al 1954. Non tratteremo, invece, i possibili (e verosimili) moventi migratori di altro tipo, quali potevano essere considerazioni di carattere politico, nazionale o anche culturale. Le migrazioni triestine verranno qui innanzitutto messe in relazione con le politiche economiche attuate a Trieste dal Gma e dall’Italia, cercando di leggerne gli esiti dal punto di vista dei movimenti migratori, ma anche, in prospettiva inversa, dei condizionamenti che gli stessi fenomeni migratori ebbero sulle scelte economiche dei governi. A tal fine ci si concentrerà sul periodo della ricostruzione e in particolare sugli anni del programma di ricostruzione europea, il Piano Marshall o European Recovery Programme (Erp, 1948-1951). Con l’Erp gli Stati Uniti intentendevano far sì che i paesi europei coinvolti si riprendessero il prima possibile dalle conseguenze della guerra, creare una coalizione in grado di resistere all’Unione Sovietica e ai suoi satelliti, “neutralizzare, politiche e pratiche migratorie 35 in virtù degli aiuti americani, il rischio di un’avanzata dei partiti di estrema sinistra all’interno di alcuni paesi più sconvolti e immiseriti” dalla guerra, e creare un’area commerciale aperta alle merci statunitensi. Il Piano Marshall “contribuì in modo decisivo a garantire sia la ricostruzione economica che la stabilizzazione politica”, oltre a rivelarsi “determinante” per il processo di integrazione tra i paesi dell’Europa occidentale, che procedeva insieme a livello politico, economico e militare, ma che ebbe concreto avvio proprio sul versante della cooperazione in ambito economico17. Trieste fu particolarmente esposta e fortemente coinvolta nella lotta per la difesa della “nuova razza dell’uomo atlantico” e dell’unità del “mondo civile”, come si espresse il presidente della zona A del Tlt generale Airey18. Le qualità dell’uomo e del mondo atlantico che si volevano preservare a Trieste, attraverso la permanenza della città nello schieramento democratico occidentale, non erano solo di carattere squisitamente politico, quale la libertà di espressione in un sistema democratico pluripartitico, ma comprendevano il diritto alla proprietà privata e la libertà d’iniziativa imprenditoriale, in altre parole l’economia di mercato. Entrambi questi aspetti costituivano un insieme alternativo al sistema composto dalla democrazia popolare e dall’economia comunista. Nella ricostruzione di Trieste come dell’Europa, l’intreccio tra fattori politici ed economici era dunque forte, e non avrebbe potuto essere altrimenti, dato che a fronteggiarsi erano due sistemi non solo politici, ma anche economici alternativi. Insieme ai rifornimenti alimentari, alla ricostruzione industriale e al problema degli alloggi, la disoccupazione costituiva il principale problema di carattere economico e sociale agli occhi dell’amministrazione alleata, non soltanto in quanto tale, ma anche perché veniva considerata un terreno di coltura ideale dell’instabilità sociale, delle idee comuniste e filojugoslave, già molto diffuse tra le fila dei lavoratori industriali, in particolare nei cantieri navali, e che il Gma intendeva contrastare. La lotta alla disoccupazione si trovava quindi in cima all’agenda politico-economica del Gma19 al punto da condizionarne le scelte: L’alleviamento della disoccupazione è stato un problema sempre presente nei piani e nell’effettuazione del programma di ricostruzione di Trieste. Quasi tutte le decisioni in fatto di economia sia che riguardassero il controllo sui prezzi oppure il bilancio [del Gma, ndr.] od il finanziamento all’industria, sono state fortemente influenzate dal problema della disoccupazione. In molti casi questo problema ha limitato la libertà d’azione; in altri ha prescritto un corso di azioni che, in sua assenza, non sarebbero state prese20. In effetti in quegli anni Trieste era piena di disoccupati. Nella zona A del Tlt tra il 1947 e il 1953 gli iscritti alle liste di collocamento andavano da un minimo di diciassettemila a un massimo di trentaduemila, ma si aggiravano per lo più nell’ordine delle diciotto-ventimila persone (tabella 9). L’intenso afflusso di profughi dalle terre cedute alla Jugoslavia aggravava la precaria situazione locale, in quanto i nuovi arrivati premevano sul mercato del lavoro triestino sia attraverso l’inserimento nelle liste dell’ufficio di collocamento, se erano riusciti a iscriversi tra la popolazione residente, sia con l’offerta di manodopera disponibile al lavoro nero. Le risorse impiegate a Trieste nel periodo dell’Erp furono ingenti. La zona A del Tlt ricevette infatti complessivamente 37,5 milioni di dollari in aiuti Erp, che dettero un fondo di contropartita di 22 miliardi di lire21. Sulla base di questi dati a Trieste furono erogati 126 dollari di aiuti Erp per abitante (residente), quasi cinque volte più che in Italia (27 dollari), per fare un paragone (grafico 7). 36 Grafico 7 Aiuti Erp per abitante nei diversi paesi europei. Fonte: dati tabella 21. Nel triennio 1948-1951 Trieste ottenne inoltre dal governo italiano oltre 28 miliardi di lire, contribuiti in grandissima parte colmando il deficit di bilancio del Gma, ma anche attraverso meccanismi valutari e fiscali. A ciò si aggiungeva l’attività delle imprese pubbliche italiane esistenti a Trieste22. I governi e gli enti pubblici italiani, tra gli altri l’Iri e l’Imi, svolsero in effetti un ruolo fondamentale nell’indirizzare le scelte e le azioni economiche, oltre che politiche, nella zona A del Tlt23. In base agli accordi economico-finanziari firmati nel 1948, a parte le questioni valutarie, il governo italiano era chiamato ad approvare i bilanci semestrali del Gma e si obbligava a ripianarne il deficit24. In compenso, “il sistema di collaborazione economica italo-triestina fissato dagli accordi valutari e finanziari del 9 marzo” assicurava “praticamente, la perfetta conformità del regime economico triestino con quello italiano”25. L’Italia seguiva molto da vicino la situazione triestina26. Alla fine del 1949 il governo italiano istituì la “Commissione Permanente Interministeriale per il Coordinamento fra l’Economia italiana e l’Economia triestina”, il cui scopo era “il rafforzamento dell’unità di indirizzo circa le questioni economiche di Trieste tra i diversi Dicasteri ed Enti competenti e l’acceleramento delle procedure”. Al suo interno venivano definite le posizioni italiane che sarebbero poi state discusse nelle sessioni della “Commissione mista italo-triestina [anglo-americana]”27. L’ordine del giorno della sessione della “Commissione Mista” del dicembre 1951 rende bene l’ampiezza dello spettro degli interessi e degli interventi italiani nella zona A: si discusse del bilancio del Gma, del programma delle importazioni, del programma delle costruzioni navali, del controllo dei materiali scarsi, del “Villaggio del Fanciullo”, degli alloggi per l’“Opera Giuliani e Dalmati”, del prestito alla Sade-Selveg, di un ulteriore prestito all’Acegat (azienda di servizi municipalizzati), del programma edilizio dell’università, del prezzo delle sigarette, dei corsi professionali per lavoratori, delle assicurazioni di Trieste politiche e pratiche migratorie 37 e del “fondo speciale di riserva”28. La cooperazione tra il Gma e il governo italiano in materia economica, a livello sia decisionale sia finanziario, costituiva del resto la realizzazione di un aspetto importante dell’Erp su scala europea, l’integrazione tra i paesi coinvolti. In effetti, nello stesso programma del Piano Marshall triestino del maggio 1948 si affermava che “il problema della ricostruzione di Trieste è prima di tutto il problema dell’integrazione della sua economia con quella italiana, il cui programma di ricostruzione non può non influenzare quello di Trieste. [...] Perciò Trieste, a causa della sua struttura di dipendenza [...], presenta il problema di una integrazione che ricostruisca piuttosto che quello, largamente comune agli altri paesi partecipanti, di una ricostruzione che integri”29. Era proposito tanto degli alleati quanto degli italiani di integrare l’economia triestina con l’Italia e l’Europa occidentale30. Anche in seguito il Gma, nei suoi documenti, continuò a considerare “Trieste collegata con l’economia italiana”. D’altra parte, scorrendo i dibattiti interni al governo italiano e in particolare tra le diverse Direzioni generali del Ministero degli affari esteri, si nota come ogni questione triestina, non solo politica ma anche economica, sociale e sindacale, venisse sempre letta o analizzata anche (se non esclusivamente) in chiave etnico-nazionale, ovvero con un’attenzione particolare alle conseguenze che le scelte all’ordine del giorno avrebbero potuto comportare sul carattere etnico e sulle prospettive nazionali della città31. Così anche la Camera di commercio di Trieste era schierata sulla linea dell’integrazione con l’Italia e ricorreva all’argomento dell’interesse nazionale nel richiedere una politica fiscale più mite, perché l’intransigenza dell’esazione sarebbe risultata “antieconomica oltre che antinazionale”, in quanto avrebbe indebolito le aziende italiane e facilitato la “penetrazione straniera”32: “la smobilitazione dell’attrezzatura economica italiana apporterà un innegabile vantaggio a ditte jugoslave [...], o meglio a organismi politico-economici che sotto forma di società commerciali già hanno acquistato, o stanno tentando di acquistare, senza limitazione di mezzi, stabili, terreni e addirittura aziende [...] la guerra non la si combatte soltanto con le armi, ma bensì anche, e forse soprattutto, con il denaro, i titoli di credito e le iniziative economiche [...] ed è di ieri il tentativo fino ad oggi rintuzzato d’istituire una banca jugoslava”33. Sembra quasi che nella città si stesse combattendo una guerra economica italo-jugoslava. Anche l’Associazione Piccole Industrie di Trieste, di orientamento cattolico e contrario ai grandi industriali, si presentava al governo come un’organizzazione filoitaliana, sebbene dovesse affidarsi all’intercessione del vescovo e del Vaticano per ottenere maggiore ascolto a Roma34. Posizioni che mostrano chiaramente come la lotta politico-nazionale italo-jugoslava si combattesse (anche) in campo economico. L’intreccio non era solo tra economia e politica, ma anche tra questioni economiche e questioni nazionali: è forse appena il caso di ricordarlo, ma bisogna tenerne conto. Ma l’aspetto della politica economica nella zona A del Tlt che più interessa l’argomento qui trattato è la corrispondenza dell’intervento pubblico al problema della lotta alla disoccupazione, a causa delle sue eventuali ricadute sui comportamenti migratori della popolazione triestina. A ben vedere, i risultati ottenuti dal Gma nella lotta alla disoccupazione furono tutt’altro che insignificanti, se tra il 1948 e il 1953 si registrò una diminuzione degli iscritti alle liste di collocamento 38 vicina al 25%. I dati sulla disoccupazione sono tuttavia da prendere con una certa cautela, come avvertono tutti i commentatori, a causa dello scarto esistente tra la disoccupazione registrata e quella «reale», in particolare perché vi erano iscritte persone che non sempre ne avevano titolo, al fine di pecepire sussidi35. Sono da tenere nel debito conto anche i provvedimenti amministrativi che influirono sul movimento della disoccupazione, come la repentina diminuzione del numero degli iscritti in seguito alla revisione degli elenchi dei disoccupati nel marzoaprile 1947, il blocco delle iscrizioni anagrafiche con il 31 dicembre 1947 (Ordine 64 del Gma), ma anche alla revisione dei registri anagrafici e la conseguente concellazione della popolazione rivelatasi assente (primavera-estate 1950). D’altro canto, gli aumenti degli iscritti alle liste di collocamento può essere collegata con la riapertura delle iscrizioni anagrafiche, per il resto bloccate dal Gma (sebbene di fatto l’iscrizione non fosse del tutto impossibile), che nel novembre 1950 consentì a molti immigrati relativamente recenti (da almeno un anno) di registrarsi tra la popolazione residente. La residenza era importante perché dava il diritto di accedere alle liste di collocamento e al mercato del lavoro della zona A. Tenendo conto di queste osservazioni, dal movimento della disoccupazione registrata su base mensile risulta comunque evidente che l’andamento della disoccupazione si stabilizzò solo verso la metà del 1951 attestandosi, dalla fase finale dell’Erp in poi, sotto la soglia delle ventimila persone fino al termine del periodo alleato (grafico 8)36. Ci vollero quindi quasi l’intero piano Erp e i contemporanei interventi italiani, per rendere più tranquilla la situazione della disoccupazione triestina, ma non bastarono per risolverla. Sia in quanto elemento importante nella lotta alla disoccupazione sia al fine di interpetare correttamente i dati sui risultati della stessa, va comunque tenuto conto del fatto che fin dall’immediato dopoguerra le grandi industrie triestine mantennero livelli di occupazione superiori al necessario. Commentando il grande sciopero operaio durato venti giorni nel febbraio del 1950, anche il rappresentante diplomatico italiano sostenne che le grandi aziende (Cantieri Riuniti dell’Adriatico, Ilva ecc.), che da sole davano lavoro quasi alla metà degli occupati nell’industria, avevano “un personale esuberante”, erano “normalmente in deficit” ed erano “sotto il controllo dell’Iri e sovvenzionate da questo”37. Si trattava di un’evidente scelta del governo italiano di sostenere l’occupazione e il reddito dei ceti operai, attraverso l’erogazione di salari delle grandi imprese a partecipazione statale. Il fatto che molti operai fossero “tenuti in paga senza lavoro da eseguire” risultava però non solo “demoralizzante per gli operai stessi”, ma, come osservava il Gma, anche oneroso per i datori di lavoro e teneva alti i prezzi, portava a fallimenti e consumava risorse che avrebbero altrimenti potuto essere investite in miglioramenti. Tale prassi finiva anche per rendere apparentemente meno incisivi i risultati della sua lotta alla disoccupazione, perché molto personale sotto-occupato risultava ufficialmente impiegato, per cui le statistiche sull’occupazione non davano conto di tutto il lavoro che era stato creato. Così, nei cantieri “l’esecuzione del grandioso programma di costruzioni non provocò un grande aumento della manodopera impiegata”38. Il settore a cui apparteneva la maggior parte dei disoccupati era quello industriale, con quasi il 60% dei senza lavoro, seguito dal commercio, che contribuiva con un 30% e dal comparto dei marittimi, che costituivano quasi un decimo dei politiche e pratiche migratorie 39 Grafico 8 Il movimento della disoccupazione su base mensile, 1947-1953. Fonte: dati tabella 10. disoccupati della città. A fronte degli innegabili, seppur limitati, successi della lotta alla disoccupazione in termini assoluti, risulta interessante notare come la composizione della disoccupazione in base ai settori mutò invece in misura appena percettibile negli anni del governo militare alleato (grafico 9). Anche prendendo in considerazione singolarmente i tre principali settori della disoccupazione triestina, si nota come tra il 1948 e il 1955 soltanto nell’ambito del commercio si ebbe un miglioramento del rapporto tra occupati e disoccupati, mentre sia nell’ambito della forza lavoro industriale sia di quella marittima gli interventi non portarono a una significativa riduzione dei livelli di disoccupazione (grafico 10). Il principale strumento con cui si perseguì la riduzione della disoccupazione furono i lavori pubblici, coerentemente con quanto avveniva anche in Italia39 (tabella 7). L’altro aspetto preminente dell’intervento pubblico nella zona A del Territorio libero di Trieste fu la ricostruzione industriale, con importanti intenti di carattere anche occupazionale. Anche in questo ambito le scelte furono coerenti con le pratiche politico-economiche dell’epoca e con l’indirizzo complessivo degli aiuti statunitensi alla ripresa dell’economia italiana, impiegati “per aumentare la capacità produttiva delle industrie di base […] al fine di sostenere la concorrenza internazionale”, mentre gli interventi Imi-Efim “andavano soprattutto verso il settore meccanico” (e soprattutto alle imprese pubbliche), per agevolarne la riconversione, il rafforzamento “e con l’obiettivo dichiarato di combattere la disoccupazione”40. Nell’ambito dell’economia triestina, il settore considerato di base era quello della cantieristica e della navigazione. Tale visione è chiaramente 40 espressa dagli stessi funzionari americani dell’Economic Cooperation Administration (Eca), che gestiva l’Erp, quando sostenevano che “Trieste’s principal industries are shipping, shipbuilding, ship repairing, and the performance of port services”41. Esso era anche tra i pochi settori ritenuti capaci di un’attività significativa sul mercato internazionale, sebbene gli stessi funzionari dell’Eca fin da principio fossero stati espressi dubbi sull’opportunità di dare un indirizzo così monocolturale agli aiuti economici, una scelta che altrove si tendeva a evitare42. Ciò nonostante, a Trieste i finanziamenti Erp (circa il 50% dei complessivi), del Fondo per investimenti e dei crediti dell’Iri effettivamente assunsero in gran parte la forma di sovvenzioni armatoriali e cantieristiche (83%); in questo quadro, tanto gli aiuti Erp quanto i mutui e le agevolazioni interessarono essenzialmente la grande industria, che ne ottenne infatti ben il 98,7%43. L’assenza quasi completa delle piccole imprese in questo quadro costituisce una situazione che si discostava anche da quella italiana, dove pure i comparti di maggiore intervento nel settore industriale furono quelli “delle costruzioni navali, della siderurgia, dei trasporti affidati all’Iri”44. Indirizzandosi in prevalenza sull’industria navale e sui lavori pubblici, le scelte dell’intervento pubblico a Trieste risultavano dunque, almeno a grandi linee, coerenti con le contemporanee tendenze a livello europeo e italiano, sebbene la doppia concentrazione degli interventi sull’industria marittima e sulla grande impresa costituisse un aspetto specifico dell’Erp triestino rispetto alla prassi europea e italiana. Tuttavia, la concentrazione dello sforzo sui lavori pubblici, e quindi sull’edilizia, da una parte, e sull’industria marittima dall’altra, dirigeva al contempo l’intervento verso i due comparti storicamente più importanti a Trieste per quanto riguarda la capacità di occupazione: l’edilizia e la navalmeccanica45 (tabella 8). Si trattava quindi di scelte in buona misura conformi sia agli orientamenti allora attuali, sia alla specifica tradizione economica della città. Considerando che il 60% circa della disoccupazione complessiva riguardava il settore industriale (grafico 9) e che oltre l’87% della disoccupazione operaia ricadeva nello stesso settore (1952, tabella 10), a prima vista tutto indurrebbe a ritenere ottimali le scelte di intervento effettuate. Ma una diversa scomposizione dei dati indica anche altro. A ben vedere, se è vero che il 50% della manodopera occupata erano operai industriali, solo il 30% di essi, e quindi il 15% del totale degli occupati a Trieste, lavorava nella grande industria, che era invece beneficiaria della quasi totalità dell’intervento pubblico. I due settori di maggiore intervento, l’edilizia e la navalmeccanica, davano insieme lavoro ai due terzi della manodopera industriale, che significavano però solo un terzo dell’occupazione complessiva46. In questo modo il sostegno pubblico in favore delle attività produttive e dell’occupazione si riversava, in sostanza, in grandissima parte su settori che rappresentavano una quota minoritaria degli occupati. Il rischio di privilegiare una parte minoritaria della forza lavoro triestina, cui si andava incontro concentrando gli aiuti sul settore marittimo, fu del resto rilevato già dai funzionari dell’Eca all’avvio dell’Erp47. Anche più in generale, l’almeno parziale inadeguatezza dell’intervento pubblico alleato e italiano nell’economia triestina del secondo dopoguerra è stata rilevata già all’epoca ed è in seguito stata oggetto di discussione anche in sede storiografica48. Pare quindi lecito chidersi se e come gli indirizzi politico-economici attuati con ingenti risorse dal Gma e dall’Italia abbiano potuto influire sulla disposizione della popolazione triestina politiche e pratiche migratorie 41 Grafico 9 I principali settori della disoccupazione*, 1948-1955. Fonte: dati tabella 6, elaborazione. *Percentuale dei disoccupati per settore sul totale dei disoccupati (al 31. 12 di ogni anno). Grafico 10 Tasso di disoccupazione per settori*, 1948-1955 (al 31. 12.). Fonte: dati tabella 6, elaborazione. *Percentuale dei disoccupati sul totale dei lavoratori (occupati e disoccupati) dello stesso settore (al 31. 12. di ogni anno). 42 nei confronti dell’emigrazione, e risulta perciò interessante andare a vedere le posizioni dello stesso Gma riguardo alla ricostruzione a Trieste in sede di consuntivo dell’Erp. Nell’estate del 1951, a tre anni dall’inizio dell’Erp, il Gma si riteneva soddisfatto dei risultati conseguiti, “ma forse non più di quanto si potesse ragionevolmente aspettarsi con riflesso al forte apporto dell’estero”, intendendo con ciò gli strumenti dello stesso Erp e del governo italiano, e molto restava da fare: la disoccupazione era “ancora eccessivamente rilevante”, l’industria aveva “ancora una lunga strada da percorrere” per raggiungere parametri moderni di produttività, le consuetudini imprenditoriali erano “ancora troppo improntate ad una mentalità monopolistica” che rifuggiva la concorrenza, l’economia nel suo complesso era “ancora troppo subordinata” alla cantieristica e al porto. Un quadro che induceva preoccupazione soprattutto in previsione della fine dell’Erp49. A Trieste il Programma di ricostruzione europea (Erp) affrontò innanzitutto la precaria situazione dei rifornimenti alimentari, dato che la produzione locale era largamente insufficiente, il problema degli alloggi, acuito dalla forte immigrazione, la ricostruzione industriale e la disoccupazione. In accordo con il governo italiano, il Gma decise infatti innanzitutto di “ricostruire la marina mercantile triestina con i fondi Erp in contropartita”, sperando in questo modo “di dare lavoro” ai cantieri locali e alle industrie collegate, ma di procurare al contempo occupazione “ai molti marinai, camerieri ecc. di Trieste” che “erano stati privati dei loro mezzi naturali di sostentamento”. Almeno per quanto riguarda i marinai, però, la scelta si rivelò poco efficace, perché le navi costruite a Trieste con l’Erp non necessariamente avevano per base il porto di Trieste, ragion per cui il reclutamento degli equipaggi avveniva anche altrove in Italia50 (vedi anche i grafici 2 e 3). Il Gma ad ogni modo si rendeva ben conto del fatto che concentrando gli aiuti sulla sola grande industria non si sarebbe riusciti a risolvere il problema della disoccupazione, né quella che considerava una condizione di relativo sottosviluppo industriale della città. Secondo il governo alleato infatti a Trieste c’era poca industria fin da prima della guerra: l’economia cittadina si fondava soprattutto sul porto, ma le trasformazioni avvenute dopo la guerra con la “meccanizzazione e le cambiate consuetudini commerciali”, avevano ridotto il personale necessario alle operazioni portuali, mentre l’aumento della popolazione rendeva la situazione vieppiù difficile. Si riteneva quindi necessaria una politica particolarmente decisa in favore dell’aumento delle opportunità di occupazione, e la soluzione veniva individuata in “una politica di incoraggiamento ad una maggiore industrializzazione”, che attraverso un aumento della produzione avrebbe portato “più lavoro e un tenore di vita più elevato”. Su queste basi il Gma promosse quella che definiva una “politica di industrializzazione”, che si estrinsecò in un programma di riparazioni dei danni causati dalla guerra, di ampliamenti e modernizzazioni degli impianti esistenti e di “incoraggiamento alla creazione di nuove industrie”: Il benessere economico di Trieste dipende dall’aumento del potenziale industriale. Devono sorgere nuove industrie ed industrie esistenti devono venir rese più produttive. [...] Solo un’inflessibile, vigorosa spinta verso un’accresciuta produttività darà un livello di benessere che assicurerà la stabilità sociale51. Tuttavia, in sede di consuntivo sul finire dell’Erp, il Gma non nascondeva le politiche e pratiche migratorie 43 difficoltà che la sua “politica di industrializzazione” aveva incontrato, né che i risultati non fossero del tutto soddisfacenti. Ritenendo che le grandi industrie dovessero possedere da sé i capitali e l’esperienza necessari, tale programma doveva essere mirato soprattutto verso le piccole e medie imprese, ma “incoraggiare e finanziare la modernizzazione e l’espansione di centinaia di piccoli stabilimenti industriali assume l’aspetto di un processo lento e complicato”, anche perché richiedendo “nuovi usi di gestione” incontrava “apatia e forti dubbi” tra gli imprenditori. La debole disposizione al cambiamento che si riscontrava nella piccola imprenditoria triestina, veniva fatta risalire al fatto che l’industria triestina era sempre stata “intimamente collegata con le costruzioni navali” locali e con il loro andamento. “Ciò ha scoraggiato l’ingrandimento e la modernizzazione. Si è giunti al punto di chiedersi: ‘Perché cercare altrove mercati e tentare concorrenze con l’estero se un vasto programma di costruzioni navali risolverebbe tutti i problemi?’ I nuovi metodi di gestione avrebbero necessariamente richiesto l’ammodernamento dei “sistemi di produzione, sviluppo delle vendite, spirito di concorrenza ed un’illuminata politica dei rapporti di lavoro” da parte della imprenditoria triestina, che invece mancava di dinamica e modernità52. Erano, queste, critiche presenti già nel 1949, e che da parte americana venivano rivolte anche all’imprenditoria italiana nel suo complesso53. Ma, come lo stesso Gma ammetteva, seppure solo in nota, la mancanza d’iniziativa privata era altresì dovuta alla difficile situazione economica, alla scarsità dei risparmi e all’incertezza sul futuro assetto politico del Tlt, che scoraggiavano gli investimenti54. Nell’ambito della politica in favore dell’industrializzazione furono effettivamente prese iniziative volte ad aiutare le cooperative, l’artigianato e le piccole imprese (che come si è visto davano lavoro a una quota rilevante della manodopera operaia triestina) a rafforzarsi e ingrandirsi. Al contempo si tese a facilitare la creazione di nuove imprese, in particolare nel nuovo porto industriale di Zaule. Allo scopo di sostenere la politica in favore delle piccole imprese fu creato, ma appena nel 1951, un fondo specifico, che fu però dotato soltanto con 150 milioni di lire provenienti dal fondo di contropartita dell’Erp e da altrettanti dal bilancio del Gma. I prestiti in favore degli artigiani e delle piccole imprese venivano concessi a tassi nettamente più elevati rispetto a quelli in favore della grande industria. Altri prestiti, traendo le risorse dal bilancio del Gma (e quindi con risorse finanziarie in parte provenienti dal governo italiano), furono dati per esempio al comparto turistico (140 milioni), e alla Fiera di Trieste (285 milioni), per un totale di 6,6 miliardi di lire55. A conferma del fatto che la questione delle piccole imprese era all’attenzione delle autorità economiche, nel 1951 il Gma effettuò uno studio sulle capacità produttive delle industrie triestine per eventuali rifornimenti alla Nato, esclusi gli armamenti, anche sull’esempio di quanto si andava facendo a Berlino Ovest. Un’attenzione particolare fu rivolta alle piccole imprese, ritenendo però necessaria un’opera di coordinamento “per il piazzamento di ordinazioni che a Trieste si presenta particolarmente difficile data la relativa modesta capacità di produzione delle singole aziende” proprio a causa delle limitate dimensioni e capacità di un gran numero di esse56. L’importo di 6,6 miliardi di lire menzionato più sopra come somma complessiva delle risorse erogate in favore dei lavori pubblici e delle piccole imprese, 44 indubbiamente ingente, comprendeva appunto fondi destinati alla costruzione di opere e servizi pubblici o di pubblica utilità. Il Gma fece dei lavori pubblici (scuole, ospedali, uffici pubblici, strade, installazioni portuali e marittime) una delle attività “più importanti” del suo “programma di ricostruzioni” Per quanto riguarda gli alloggi in particolare, “le perdite di locali d’abitazione causate dalla guerra, l’aumento di popolazione dovuto ad immigrazioni dalle regioni jugoslave che prima facevano parte del territorio italiano, l’arrivo di famiglie del personale degli Alleati ed, in grado minore, le deteriorazioni di case lasciate senza manutenzione per un lungo periodo, si sono uniti per rendere estremamente acuto il problema di provvedere locali d’abitazione”. Gran parte delle costruzioni furono effettuate con il finanziamento totale o parziale del Gma, pratica resa “necessaria a causa delle condizioni esistenti”, che vanno intese nel senso dell’assenza della capacità o della volontà di investire da parte dei privati, nell’edilizia come in altri settori industriali. Tra il 1948 e il 1951 furono così edificate oltre duemila nuove case, mentre altre duemila circa erano in costruzione57. Il Gma intendeva la spesa per i lavori pubblici anche come una forma di sostegno alle piccole imprese, il che, a rigore, è indubbiamente corretto, dato che nel comparto delle costruzioni non mancavano le imprese di piccole dimensioni. Tuttavia, se è vero che una della priorità era costituita dalla promozione e dal sostegno all’occupazione, nella pratica le cose andavano in parte in direzione diversa da quella auspicata, come dimostra l’immigrazione di manodopera specializzata su richiesta di aziende triestine e autorizzata dal Gma tra il 1948 e il 1954 (tabella 13). Come si spiega l’immigrazione di lavoratori dall’Italia, quando una delle priorità dell’intervento pubblico in campo economico era costituita dalla lotta alla disoccupazione locale? A tutela della manodopera locale, la regolamentazione del mercato del lavoro triestino prevedeva che le imprese dovessero dare la precedenza nelle assunzioni ai lavoratori residenti e invece ai lavoratori non residenti quando licenziavano. A partire dal 1948 il Gma consentiva l’immigrazione per motivi di lavoro su richiesta di un’azienda, previa domanda nominativa all’Ufficio del lavoro di Trieste e relativa autorizzazione del Gma: l’assunzione di personale da fuori zona poteva avvenire a tempo determinato ed era consentita nel caso in cui l’impresa riscontrasse la mancanza di una specifica professionalità sul mercato del lavoro locale e che il lavoratore esterno fosse cittadino italiano58. Negli anni 1948-1953, furono in media presenti a Trieste tra i mille e i millesettecento lavoratori immigrati in base a permessi di questo tipo. Essi rappresentano una percentuale non certo elevata, ma nemmeno del tutto insignificante rispetto ai disoccupati triestini, soprattutto se si tiene conto del fatto che la lotta alla disoccupazione costituiva uno dei principali obiettivi dell’amministrazione. I lavoratori immigrati autorizzati erano infatti pari al 5 - 9% dei disoccupati locali, con una tendenza alla crescita con il passare degli anni (grafico 11). Mettendo a confronto i dati sulla struttura professionale della disoccupazione (tabella 10) e dell’immigrazione specializzata (tabella 15) nella zona A del Tlt, si rilevano piuttosto chiaramente due tratti salienti. Il primo concerne il fatto che nell’industria manifatturiera (in cui ricade anche la navalmeccanica) la quota degli operai specializzati e qualificati ma disoccupati era ragguardevole e, di riflesso, inferiore l’immigrazione dall’esterno. Tuttavia, anche l’industria politiche e pratiche migratorie 45 Grafico 11 Il movimento degli occupati, dei disoccupati e dei lavoratori immigrati autorizzati, 19481953. Fonte: dati tabelle 5 e 13. navalmeccanica, come si vedrà più avanti, richiamò una quota di immigrati dall’esterno, la cui prevalente provenienza da Monfalcone rinvia ai legami tra i cantieri dell’Adriatico e al persistere dell’intervento pubblico di indirizzo «unitario» da parte dell’Italia in questo campo. Il secondo consiste invece nel fatto che nell’ambito dell’industria edilizia tra i disoccupati locali prevalevano largamente i manovali generici e, specularmente, aumentava la quota di immigrati specializzati. Da questo punto di vista, l’accento posto sulle opere pubbliche e sulla cantieristica riattivava quindi vecchi legami e l’integrazione dell’economia triestina nell’economia italiana, ma faceva almeno in parte mancare il bersaglio della lotta alla disoccupazione triestina. Tenteremo quindi di individuare alcune spiegazioni immediate dell’immigrazione di lavoratori specializzati nella zona A del Tlt. Un’importante spiegazione all’immigrazione di manodopera specializzata va cercata nel fatto che il comparto edilizio triestino tradizionalmente richiamava manodopera soprattutto dal Friuli, ma non solo. Merita a questo proposito richiamare le osservazioni del presidente della Camera di commercio di Udine Enrico Morpurgo al congresso nazionale per l’emigrazione svoltosi a Bologna nel 1949, che parlò di una “lunga tradizione, interrotta dopo il 1945, di migrazione temporanea dal Friuli verso l’Europa centro-orientale di operai specializzati, organizzati da un gruppo di impresari della regione capaci di assumere anche 46 appalti di notevole importanza”59. Trieste era ciò che rimaneva di accessibile a queste imprese e, in effetti, anche i sindacati locali richiamavano l’attenzione sul fenomeno60. D’altra parte, la capacità delle imprese di reperire la manodopera e i professionisti necessari indica al contempo come i legami con l’Italia, notevoli già in epoca austriaca e quindi consolidati per mano dello stato dirigista tra le due guerre61, erano ancora forti e funzionanti. L’industria pubblica italiana controllava la maggioranza delle grandi imprese triestine62. Se questo flusso immigratorio appare almeno in parte come un effetto collaterale dell’intervento pubblico, nel senso di una certa incongruenza tra obiettivi ed esiti, esso denota però coerenza con i propositi alleati e italiani di integrare l’economia triestina con l’Italia. Sotto questi punti di vista, l’immigrazione dalle province italiane aveva molto in comune con il pendolarismo e l’immigrazione temporanea, per motivi di lavoro, dalla zona jugoslava alla zona alleata del Tlt, a cominciare dal fatto che coinvolgeva un numero analogo di persone e che si potrebbe pensare togliesse lavoro ai triestini. Anche nel caso dei rapporti tra Trieste e l’Istria settentrionale si trattava della continuazione di pratiche consolidate e di legami tradizionali, rafforzati dalla volontà, da parte del Gma e del governo italiano, di mantenerli attivi. La Legazione diplomatica italiana a Belgrado affermava essere “nostro interesse che il traffico [tra le zone A e B del Tlt] abbia le maggiori facilitazioni possibili”63. Riguardo all’immigrazione di manodopera va ricordato che dei profughi istriani è stato invece detto si trattasse prevalentemente di forza lavoro poco qualificata o con professionalità non richieste sul mercato del lavoro triestino, quali quelle agricole. Si tratta di un tema che meriterebbe un approfondimento particolare, che qui non può trovare spazio adeguato, ma va comunque sottolineato come in questo periodo molti profughi ancora incontravano difficoltà nell’accesso alle liste di collocamento e al lavoro legale64. Nel cercare di comprendere le ragioni dell’immigrazione temporanea dalle province italiane non va sottovalutato il carattere contrattuale dell’immigrazione di lavoratori specializzati. Tra le clausole che consentivano l’assunzione di manodopera da fuori zona vi era infatti l’obbligo di licenziare prima i lavoratori esterni rispetto a quelli residenti. Ciò che era inteso come forma di tutela della manodopera locale ne costituiva, però, un fattore di maggiore rigidità. Con i lavoratori esterni, le imprese triestine si assicuravano una manodopera più flessibile, perché venivano assunti a tempo determinato e non erano tutelati dal licenziamento. La manodopera assunta con contratti a termine e da fuori zona era anche, inevitabilmente, meno sindacalizzata degli operai triestini, che erano in gran parte aderenti ai Sindacati Unici di orientamento comunista. Gli operatori economici triestini mostrarono in molti casi un atteggiamento imprenditoriale volto a sfruttare i vantaggi immediati dell’intervento pubblico in favore della ricostruzione65: un atteggiamento con il quale la ricerca di manodopera flessibile e non sindacalizzata pare coerente. La difficoltà delle imprese di reperire le professionalità necessarie nelle liste di collocamento dipendeva però, almeno in parte, dal fatto che l’iscrizione veniva concepita come mezzo per l’ottenimento di sussidi di disoccupazione. Esse costituivano di conseguenza un ricettacolo di soggetti scarsamente qualificati o non necessariamente disposti ad accettare un impiego regolare, perché al contempo politiche e pratiche migratorie 47 erano magari occupati nel lavoro nero. Anche i profughi erano spesso impiegati in nero. La carenza di competenze, cui il Gma rispose anche avviando corsi di specializzazione professionale, non sembra invece trovare una spiegazione del tutto convincente in eventuali ristrutturazioni industriali e razionalizzazioni economiche, che furono nel complesso limitate sia nel periodo prebellico sia nel dopoguerra66. Tuttavia le professionalità richieste dalle imprese, soprattutto di quelle coinvolte nei settori su cui si concentrava l’intervento pubblico volto alla ricostruzione e alla lotta alla disoccupazione, sono in molti casi tali da apparire tutt’altro che introvabili sul mercato triestino (tabella 20). Né l’integrazione nell’economia italiana e la tradizionale importazione di manodopera dal Friuli, soprattutto nel settore edile, riescono a spiegarne in misura soddisfacente la mancanza. Le categorie professionali più colpite dall’emigrazione da Trieste, per lo meno tra il 1948 e il 1950, risultano gli impiegati e gli operai, e in particolare i primi registrano un saldo migratorio fortemente negativo (tabella 12). Un’ulteriore spiegazione per l’immigrazione di lavoratori qualificati dall’Italia va dunque cercata nell’ambito del lavoro qualificato triestino. In effetti nei primi anni della ricostruzione (1948-1951) l’andamento delle retribuzioni del lavoro dipendente portò, anche grazie all’introduzione della scala mobile, a un sensibile miglioramento dei redditi reali rispetto all’anteguerra (tra il 10 e il 75%), insieme però a un livellamento che privilegiò il personale di grado inferiore rispetto a quello più qualificato, in particolare gli impiegati. Le “migliorie nel potere d’acquisto sono state in un rapporto pressoché inverso al livello delle paghe e dei salari, avendo gli operai comuni ottenuto i più forti aumenti, i lavoratori qualificati ed il personale stipendiato, i più bassi”. Il personale impiegatizio di livello più elevato nel settore industriale e commerciale vide invece “una perdita di reddito netto di circa il 10%” rispetto all’anteguerra. Era lo stesso Gma a segnalare il legame tra l’andamento degli stipendi e la disoccupazione: Questi vari aumenti di paghe e salari hanno un notevole effetto sul quadro che rispecchia la disoccupazione. In confronto dell’anteguerra il lavoro specializzato costa relativamente di meno ed il manuale relativamente di più. Ne risulta che lavoratori specializzati vengono impiegati per lavori che non richiedono specializzazione e sono ricercati mentre il manovale semplice ha estrema difficoltà di trovar lavoro. La stessa cosa vale per gli apprendisti la cui retribuzione li ha svalutati sul mercato67. La relativa svalutazione del lavoro specializzato riduceva il numero dei lavoratori specializzati nelle liste di collocamento, in quanto in parte erano occupati in mansioni di grado inferiore, che pagavano lo stesso salario. Ciò contribuiva a creare la necessità di importare manodopera specializzata dall’Italia, perché “lavori specializzati [...] ancora esistevano nonostante la forte disoccupazione”. Ma contribuva anche a ingrossare le fila dei disoccupati senza qualifica, per i quali il Gma aveva infatti avviato “l’addestramento per la riqualificazione al lavoro”68. Infine, non sarà che la mancanza di manodopera specializzata, cui si sopperiva con l’immigrazione di lavoratori italiani, fosse dovuta anche al fatto che gli operai specializzati triestini stessero emigrando? La relativa diminuzione dei loro salari poteva infatti costituire una buona ragione per cercare altrove un reddito più adeguato alla propria qualifica, e lo stesso vale per gli impiegati qualificati dell’indistria e del commercio. All’altro capo del mercato del lavoro, l’offerta 48 di operai senza qualifica era invece esuberante e costituiva un serbatoio di potenziali emigranti. Entrambi sono elementi del contesto economico in grado di favorire, tra la popolazione triestina, una scelta in direzione dell’emigrazione, che si aggiungono alla perdita di lavoro tra i portuali per le mutate tecniche e tecnologie commerciali e del trasporto, al livello stagnante dell’occupazione tra i marittimi e nel settore commerciale, che si riprese solo dopo il 195469, all’insufficienza degli interventi in favore delle piccole imprese. Nemmeno nell’industria l’Erp riuscì a creare molto lavoro duraturo, dato che nel 1954 il livello dell’occupazione era ridisceso verso quello del 1948 (grafico 12). Su queste basi si rende plausibile l’esistenza nell’emigrazione triestina, fin dai primi anni della ricostruzione, di Grafico 12 Il «monte del lavoro» triestino: occupati e disoccupati (iscritti) nella zona A del Tlt per settore, 1948-1957. Fonte: dati tabella 5. Industria politiche e pratiche migratorie 49 moventi legati al lavoro e alla sua mancanza. Tra il 1951 e il 1955 vi fu una costante diminuzione del numero complessivo dei lavoratori, occupati e disoccupati (grafico 12): anche questo può essere letto come un segnale dell’emigrazione di popolazione in età lavorativa. Sebbene la ricostruzione a Trieste fosse stata caratterizzata da un’intensità dell’intervento pubblico particolarmente elevata, ciò non significa che la responsabilità dell’andamento dell’economia e dell’occupazione vada cercata e individuata solo nella politica economica attuata dal Gma. Innanzitutto perché, con il passare degli anni, le scelte venivano fatte sempre più di concerto con il governo italiano. Pure la scarsa iniziativa del ceto imprenditoriale triestino ebbe un suo ruolo, fosse essa dovuta alle incerte prospettive geopolitiche (che scoraggiavano gli investimenti), alla perdita dei tradizionali mercati (Istria, Slovenia), a una certa conformazione culturale orientata a evitare la concorrenza su un mercato libero e più ampio, alla tendenza a sfruttare i vantaggi immediati dei finanziamenti pubblici per la ricostruzione (anche ricorrendo a manodopera esterna più flessibile), oppure alla struttura polverizzata del settore industriale, o magari a tutto quanto insieme. Ad ogni modo le relazioni tra la ricostruzione e le migrazioni non consistettero solo nell’influenza, più o meno diretta, che le scelte politico-economiche poterono avere sull’inclinazione all’emigrazione tra la popolazione triestina. La relazione, come si è visto, fu anche inversa, nel senso che le migrazioni che investirono la città nel secondo dopoguerra condizionarono le priorità nell’ambito degli interventi per la ricostruzione. 3. Le politiche migratorie Avendo constatato come negli anni della ricostruzione postbellica la politica economica attuata a Trieste non riuscisse, in particolare in determinati settori, a dare sufficiente lavoro alla popolazione locale, proprio mentre la consistente immigrazione incrementava la disoccupazione e acuiva il problema degli alloggi, si pone quasi da sé la domanda sugli orientamenti del Gma e dei governi italiani riguardo alle questioni demografiche e migratorie triestine. Nel 1945, subito dopo l’arrivo delle truppe alleate, a Trieste furono istituiti due centri di accoglienza per rifugiati, all’epoca costituiti soprattutto da “italiani naturalizzati d’Istria”, che non gradivano l’occupazione jugoslava, e da “jugoslavi scontenti”. Dopo il trattato di pace nel 1947 si ebbe dall’Istria un “pesante afflusso” di optanti per la cittadinanza italiana, che si aggiunsero agli altri “tipi” di rifugiati dell’est70. I flussi in entrata complicavano un quadro difficile. Già verso la fine del 1948 nel Gma si riteneva che la popolazione triestina fosse eccessiva “rispetto alle ragionevoli possibilità di reddito e occupazione dalle attività economiche esistenti o promuovibili all’interno del territorio mutilato dal trattato di pace”: il “surplus demografico” veniva stimato tra i quattordici e i trentamila residenti71. Grazie al prevalente interesse della storiografia per l’emigrazione dall’Istria, la politica italiana nei confronti dell’insediamento dei “profughi giuliani” a Trieste è stata già delineata. I governi italiani dedicarono grande attenzione e investirono enormi risorse per l’assistenza e l’insediamento dei profughi, ma anche a sostegno delle loro organizzazioni e per la “propoganda dell’italianità” 50 a Trieste, con l’obiettivo di rafforzare la parte filo-italiana (in senso nazionale e politico) nella zona A del Tlt. È anche alquanto chiaro che il Gma fosse orientato a limitarne l’insediamento, sia per considerazioni di carattere politico-amministrativo, in quanto essi avevano optato per l’Italia, ma si trovavano nella zona A del Tlt, sia per ragioni di ordine socioeconomico, legate ai costi dell’assistenza e alla disoccupazione72. Diverse sono però le questioni che ancora rimangono relativamente poco conosciute73: l’emigrazione della popolazione triestina in epoca alleata (cui più sopra si è tentato di fornire un contesto economico), le relazioni migratorie tra Trieste e l’Italia, i rientri postbellici dalla Slovenia e l’immigrazione dalla Jugoslavia in generale, i rifugiati in genere (e non solo quelli provenienti dalle terre cedute), l’attività svolta dalle organizzazioni internazionali, ma forse soprattutto il complesso della politica migratoria attuata dal Gma e dall’Italia. A fronte dell’ampiezza delle questioni aperte, in questa sede si cercherà di delineare le politiche migratorie alleata e italiana a Trieste, tentando di fare luce in particolare sugli orientamenti nei confronti della popolazione locale e dei rifugiati, di esaminare l’attività delle organizzazioni internazionali e di inserire i migranti istriani in questo quadro d’insieme. A tal fine seguiremo l’evolversi delle posizioni e delle azioni dei maggiori soggetti istituzionali che gestirono i flussi migratori nella zona A del Tlt. Dapprima, negli anni 1948-1951, essi costituivano un triangolo composto dal Governo militare alleato, dal governo italiano e dall’Organizzazione internazionale per i rifugiati (Iro), sostituita nel 1952 dal Comitato intergovernativo per le migrazioni europee (Cime) finché, con la fine del Gma, dal 1955 la politica migratoria a Trieste fu del governo italiano e venne attuata anche in relazione con il Cime. Nella definizione e nell’attuazione delle politiche migratorie, i principali attori istituzionali erano coadiuvati da numerose organizzazioni per i migranti postbellici, che andavano dalle associazioni dei “profughi giuliani” al vasto panorama del volontariato internazionale di ispirazione cristiana e matrice anglosassone. Le prime erano molto influenti presso il governo italiano e partecipavano attivamente alla definizione delle politiche governative nei confronti dei profughi dai territori ceduti, in Italia e anche a Trieste. Le seconde si adoperavano in particolare per il reinsediamento negli Stati Uniti, ed entrambe collaborarono con l’Iro. Per determinare se un richiedente fosse “eleggibile”, ovvero ammissibile all’assistenza dell’Iro (“entro il mandato”), i criteri generali dell’organizzazione prevedevano che la persona si trovasse all’estero rispetto al proprio paese di cittadinanza od origine e che desiderasse essere rimpatriata, oppure che avesse validi motivi (politici, non economici) per non fare ritorno e desiderasse quindi avvalersi dell’Iro per l’emigrazione e il reinsediamento in un altro paese74. In base al trattato di pace tra l’Italia e la Jugoslavia (1947), chi era residente nelle terre cedute alla Jugoslavia ed era di lingua d’uso italiana poteva optare per la cittadinanza italiana. Molti presentarono domanda di opzione in loco ed emigrarono con un passaporto provvisiorio rilasciato dal consolato italiano di Zagabria, molti altri erano invece emigrati in Italia già in precedenza e le loro domande venivano raccolte presso le rappresentanze consolari jugoslave in Italia. Ma in entrambi i casi, di fronte ai criteri di “eleggibilità” dell’Iro, chi era di lingua italiana, si era trasferito in territorio italiano e aveva scelto la cittadinanza italiana (e se non politiche e pratiche migratorie 51 l’aveva fatto aveva comunque il diritto di optare per essa), non poteva essere ammesso all’assistenza dell’organizzazione, perché era da considerare come una persona che si trovava nel paese della sua nazionalità e di sua cittadinanza e che, per di più, non poteva avere validi motivi (politici) per non rimanere in un paese occidentale, quale era l’Italia. Ma dato che non tutti gli emigranti dalle terre cedute erano effettivamente o chiaramente di lingua italiana75 e che non tutti avevano optato per la cittadinanza italiana, all’inizio “gli unici eleggibili erano quelli la cui lingua d’uso era lo sloveno [o il croato] e che avevano vissuto in territorio jugoslavo”, mentre se i funzionari dell’Iro stabilivano che la lingua d’uso dei richiedenti fosse l’italiano, li consideravano “ineleggibili, perché in base al trattato di pace avevano il diritto di optare per la cittadinanza italiana”. Così, quando il 1. aprile 1948 l’Iro iniziò a ricevere i primi “nuovi rifugiati” di queste terre, “c’erano duemila sloveni, ovvero Venezia Giulian con lingua d’uso slovena, che vivevano nei dintorni di Gorizia, alcuni anche nell’area di Milano”. Contemporaneamente, continuavano a entrare nuovi rifugiati dal confine con la Jugoslavia76. Questa politica sollevò subito un centinaio di ricorsi da parte di richiedenti non ammessi, e l’esito di un’ispezione, a tale riguardo, del presidente del Review Board dell’Iro in Italia nel novembre del 1948, offre un interessante spaccato della loro composizione. Furono intervistate cinquanta persone che avevano fatto ricorso. Nei quindici casi in cui il ricorso fu accolto e i richiedenti furono dichiarati entro il mandato Iro, tutti tranne due “dichiaravano lo sloveno come lingua d’uso”, mentre gli altri due casi dimostrarono validi impedimenti all’esercizio del diritto di opzione, l’uno di carattere burocratico, l’altro politico. “Dei rimanenti trentacinque, alcuni furono trovati essere emigranti economici o giovani uomini desiderosi di evitare il servizio militare, alcuni erano cittadini triestini che erano completamente senza valide obiezioni contro il loro nuovo Stato, altri ancora erano ex-[cittadini] italiani di lingua italiana che non avevano valide obiezioni contro l’Italia e che avevano sperato che, se non avessero optato per l’Italia, sarebbero stati accettati dall’Iro per l’emigrazione”77. I “cittadini triestini”, presenti tra i candidati all’emigrazione con l’Iro, erano immigrati dalle terre cedute che avevano nel frattempo acquisito la residenza nella zona A del Tlt. Sulla base di questi risultati, dalla fine del 1948 l’Iro adottò una “politica provvisoria” in base alla quale le persone provenienti dai territori ceduti dall’Italia, che dichiaravono di essere di origine etnica slovena o croata o la cui lingua d’uso era lo sloveno o il croato, erano considerati allo stesso modo di ogni altro jugoslavo; gli attuali “cittadini triestini”, a prescindere dalla loro origine etnica, erano considerati “prima facie senza valide obiezioni contro Trieste”; alle persone di lingua italiana veniva invece richiesto di “mostrare valide obiezioni sia contro la Jugoslavia sia contro l’Italia”. Questa politica fu però trovata troppo restrittiva dal Comitato esecutivo dell’Iro, che all’inizio del 1949 chiese di “adottare uno spirito più liberale”. A tal fine fu effettuata una nuova missione ispettiva a Milano, con un’altra serie di interviste che, a parte le diverse percentuali etniche riscontrate, perché questa volta gli italiani risultarono più numerosi, confermò l’impressione dei funzionari dell’Iro sul fatto che gran parte delle persone di lingua italiana dei territori ceduti che non avevano optato, volevano semplicemente emigrare e non avevano altri validi motivi per non acquisire la cittadinanza italiana78. 52 Per il momento si rimaneva quindi dell’idea che la lingua d’uso italiana escludesse lo status di rifugiato come lo intendevano i criteri dell’Iro, perché queste persone potevano avvalersi del diritto di optare per l’Italia e di stabilirsi nel proprio paese, e non avevano quindi nessuna necessità (politica) di emigrare oltreoceano. Tutto ciò valeva per chi non aveva optato, perché a monte, e a maggior ragione, rimaneva un punto fermo l’impossibilità di registrarsi presso l’Iro per chi avesse fatto domanda di opzione per la cittadinanza italiana. Ma il dibattito interno proseguì, alimentato da chi, nella stessa Iro ma anche dall’esterno, riteneva che l’organizzazione dovesse adottare una politica meno rigida nei confronti degli emigrati dai territori ceduti dall’Italia alla Jugoslavia. Già alla fine del 1948 i dirigenti dell’Iro in Italia, a partire dal capo missione G.F. Mentz, erano più inclini ad accogliere tali tesi rispetto ai Headquarters di Ginevra, e sostenevano che non fosse giustificato escludere i Venezia Giulian di lingua italiana dai servizi dell’Iro79. Anche le organizzazioni giuliane e il governo italiano erano favorevoli a criteri più inclusivi per l’ammissione dei “profughi della Venezia Giulia e Dalmazia” ai programmi d’emigrazione dell’Iro80. Quando nel luglio del 1949 le maglie della “eleggibilità” furono effettivamente allargate, a includere chi aveva optato per la cittadinanza italiana ma ancora non aveva ottenuto l’approvazione dalle autorità jugoslave81, su invito dello stesso Ufficio romano dell’Iro l’Associazione nazionale per la Venezia Giulia e Zara ne diffuse immediatamente l’informazione ai propri comitati provinciali in tutta Italia, con dettagliate istruzioni pratiche, commentando che l’Ufficio Iro di Roma aveva “accettato in gran parte tutte le tesi sostenute dalla nostra Associazione”82. All’Italian Office di Roma dell’Iro, si attribuiva invece la decisione da un lato alla “aumentata pressione” da parte dei “gruppi giuliani”, ma d’altra parte nel comunicato stampa con cui ne dette notizia si sosteneva che “a seguito delle richieste a suo tempo avanzate dal Governo italiano, l’Organizzazione internazionale per i profughi (Iro) ha recentemente deciso di estendere la sua assistenza a quei profughi della Venezia Giulia e Dalmazia...”83. Alla Direzione affari politici del Ministero degli esteri si riteneva che “l’estensione dell’eleggibilità ai giuliani optanti costitui[sse] un’interpretazione benevola delle direttive impartite da Ginevra”, il cui “merito” andava alla stessa “Missione italiana dell’Iro”. Nel governo italiano l’iniziativa fu accolta in modo favorevole, sebbene esistessero anche posizioni prudenti. La prospettiva apriva infatti questioni legate alla cittadinanza degli interessati, in quanto essi non avrebbero potuto figuare come italiani all’atto dell’emigrazione, bensì come rifugiati, ed era presente la preoccupazione che non fossero costretti a rinunciare definitivamente alla cittadinanza italiana. Vi era però un appoggio di fondo in quanto, come ebbe a dire il presidente della riunione interministariale che discusse la questione, “per un Paese sopra popolato come l’Italia, è difficile riassorbire questa massa di profughi ed il loro parziale esodo sotto gli auspici dell’Iro potrebbe costituire un certo sfogo”84. All’interno del governo era prevalsa la linea fondata su considerazioni di carattere economico e sociale espressa dalla Direzione generale per l’emigrazione del Ministero degli esteri, anche in considerazione della “prossima chiusura dei Centri di Assistenza Post-Bellica”, che avrebbe posto in “condizioni molto critiche” tra le quindici e le ventimila persone, che “il nostro governo non avrebbe potuto abbandonare al loro destino avendo esse optato per l’Italia; ne sarebbe politiche e pratiche migratorie 53 derivato un aggravio all’erario, alla situazione conomica generale e al mercato del lavoro già gravato da un numero preoccupante di disoccupati”. Era in effetti stata la stessa Direzione generale dell’emigrazione a sollecitare la delegazione governativa italiana presso l’Iro ad intervenire “per ottenere l’assistenza, oggi concessa, dell’Iro” 85. Fondando questa scelta su considerazioni di carattere economico e sociale, la Direzione dell’emigrazione del Ministero degli esteri attuava l’orientamento espresso in un suo raporto riservato redatto nel marzo dello stesso anno 1949, favorevole a un deciso sostegno dell’emigrazione. Intorno alla necessità di favorire una consistente emigrazione della manodopera in esubero, al fine di contenere il disagio sociale, evitare crisi politiche e quale strumento imprescindibile nella lotta alla disoccupazione, vi fu peraltro, tra la seconda metà degli anni Quaranta e la prima metà degli anni Cinquanta, un sostanziale consenso nei diversi governi e, più in generale, “tra gli studiosi di questioni economiche, le diverse forze politiche, i rappresentanti del mondo produttivo e del lavoro”86. Si trattava in verità di orientamenti ancor più largamente condivisi, dato che ancora verso la metà degli anni Cinquanta sia l’Organizzazione europea per la cooperazione economica (Oece) sia l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) “prevedevano la necessità di ulteriori emigrazioni per alleviare l’economia dell’Europa dal peso della sovrappopolazione”87. La scelta di promuovere il programma emigratorio dell’Iro nel 1949 si inseriva, inoltre, nelle iniziative attuate dal governo italiano per trovare opportunità di lavoro all’estero per la manodopera italiana, attraverso accordi bilaterali e intese plurilaterali88. Nel caso dell’allargamento dei criteri dell’Iro nell’estate del 1949 si trattò di una decisione fondata su un accordo tra il governo italiano e l’Iro italiana, con l’attivo appoggio delle organizzazioni giuliane. Almeno sulla carta, le nuove regole non facevano menzione della discriminante linguistica o etnica, che però rimase valida per la centrale Iro di Ginevra, mentre l’Iro italiana, sostenuta dalle organizzazioni giuliane e con l’assenso del governo italiano, praticava una politica più aperta ai profughi di lingua italiana, che alla lunga sembra in effetti prevalere nella prassi89 (si vedano i grafici 18 e 19). Il fatto era che, ammettendo all’assistenza anche chi aveva optato, e si era quindi avvalso di una possibilità data a chi era “di lungua e cultura italiana”, l’Ufficio italiano dell’Iro aveva di fatto aperto l’emigrazione anche a quei rifugiati dai territori ceduti che erano di lingua italiana, e non più solo a quelli di lingua “slava”. Per questa ragione la decisione dell’estate del ’49 fu interpretata come l’allargamento, da parte dell’Iro, “della sfera di assistibilità anche ai profughi giuliani e dalmati”, come scrisse il Cln per l’Istria90, ovvero ai “rifugiati di lingua italiana”, oppure agli “esuli italiani”, come si esprimevano le fonti governative italiane. Le nuove regole del luglio 1949 avvantaggiarono coloro i quali avevano optato dopo essersi trasferiti in Italia, che erano in buona parte immigrati entro il 1947 e la cui domanda di opzione rimase in sospeso per lungo tempo. A chi invece lasciò i territori ceduti alla Jugoslavia seguendo le procedure previste per l’opzione, dopo l’accoglimento della domanda da parte delle autorità croate, il consolato italiano di Zagabria aveva rilasciato un passaporto provvisorio, che per l’Iro provava l’avvenuta accettazione dell’opzione da parte jugoslava e l’avvenuta acquisizione della cittadinanza italiana, per cui escludeva la possibilità di essere un rifugiato. 54 Così divenne d’attualità la questione se accettare, ovvero perché non accettare, anche chi era in posseso del passaporto provvisorio consolare. La Missione italiana dell’Iro aveva accettato un certo numero di domande presentate da persone rientranti in tale categoria e mentre Gesner, capo dell’ufficio eleggibilità italiano, suggeriva di accogliere almeno “quei casi eccezionali in tale categoria la cui lingua d’uso è slava”, a Ginevra si riteneva “difficile giustificare lo stabilirsi di una politica sulla base di errori”91. Su questo aspetto prevalse invece, nel complesso, la linea ginevrina (grafico 13). Tuttavia, nel giugno 1951 la discussione si era ormai estesa a comprendere la possibilità di ammettere anche gli emigrati dalla zona B del Tlt, dai quali erano fino ad allora pervenute 650 richieste. Sperando di fornire al resposabile dell’Elegibility Office di Ginevra elementi utili per una “decisione riguardo alla politica dell’eleggibilità da usarsi in questi casi”, oltre a fare considerazioni di carattere formale e legale, Gesner riteneva che “da un punto di vista realistico apparirebbero poche differenze tra un rifugiato che fugge dalla zona di occupazione jugoslava [del Territorio libero] di Trieste e uno che fugge dai territori effettivamente ceduti; essi esprimono le stesse obiezioni politiche contro il ritorno e probabilmente hanno valide ragioni per abbandonare le proprie case o proprietà, dovendo lasciarsi dietro amici e parenti”92. Ma era diverso lo status legale che, in associazione con l’identità etnico-linguistica, costituiva l’aspetto dirimente, soprattutto dal punto di vista dell’Iro ginevrina. Ma di fatto, una volta che (nel luglio 1949) si era rinunciato a ritenere la domanda di opzione un atto che escludeva dal mandato Iro, era stata aperta la strada a un progressivo allargamento delle categorie ammissibili. Così, verso la fine dell’attività dell’Iro, prevalse ancora il progressivo allargamento delle categorie dei Venezia Giulian ammissibili e, ancora una volta, almeno nella pratica, passò la linea più aperta dell’Iro italiana. Se nel 1950 le persone provenienti dalla zona B venivano considerate “non eleggibili”, nel novembre 1951 negli elenchi dei rifugiati registrati dall’Iro a Trieste si trovavano, non solo “540 connazionali [cittadini italiani ndr. ...] optanti non ancora in possesso del decreto di opzione, i quali, in seguito ad accordo, possono iscriversi all’Iro per l’emigrazione”, ma anche “382 connazionali della Zona B, che, pur essendo considerati cittadini italiani da queste Autorità Alleate, vengono considerati profughi ai fini dell’emigrazione”93. Dopo il periodo di forte attività seguito all’apertura del ’49, nel corso del 1950 l’attività di reclutamento dei Venezia Giulian da parte dell’Iro ebbe un rallentamento a causa della mancanza di fondi, finché a settembre si tennero una serie di riunioni con il governo italiano, in cui si discusse anche del “prospetto per il reinsediamento di 2.000 rifugiati giuliani da essere ammessi negli Usa” in base a un emendamento del Displaced Persons Act, che il Gma avrebbe ben presto prospettato anche per la zona A. L’Iro propose al governo italiano che per usufruire della quota, gli emigranti venissero selezionati tra quelli registrati nei suoi elenchi94. L’organizzazione era intervenuta per favorire da parte di Washington un’interpretazione il più larga possibile dello status di rifugiato dei Venezia Giulians. Avevano sperato in una decisione diversa che, come si espresse il capo della U.S. Branch dell’Iro nel campo di Bagnoli (Napoli) J.P. Carmine, “avrebbe potuto darci enormi possibilità di reinsediamento, senza restrizioni numeriche”, ma l’interpretazione finale fu “sfortunata per noi”95. politiche e pratiche migratorie 55 Grafico 13 Periodo dell’arrivo in Italia (compresa Trieste) dei rifugiati “Venezia Giulian” che furono riconosciuti entro mandato Iro tra il 1. luglio 1949 e il 31 dicembre 1951. Fonte: dati tabella 26. Grafico 14 Ammissioni entro mandato Iro dei rifugiati “Venezia Giulian” nel periodo 1. aprile 1948 – 31 dicembre 1951. Fonte: dati tabella 27. 56 Grafico 15 Rifugiati Venezia Giulian assistiti dall’Iro, 30 settembre 1949 – 30 settembre 1951. Fonte: dati tabella 28. Grafico 16 Partenze dei rifugiati Iro “Venezia Giulian” nel periodo 1. luglio 1947 – 31 dicembre 1951. Fonte: dati tabella 30. politiche e pratiche migratorie 57 17 Principali destinazioni dei rifugiati Iro “Venezia Giulian” nel periodo 1. luglio 1947 – 31 dicembre 1951. Fonte dati: tabella 30. Gli incontri tra l’Iro e il governo italiano portarono, nel novembre 1950, alla conclusione di un accordo “per la rimozione di 20.000 persone dall’Italia”. Di conseguenza, nel maggio del 1951 iniziò una nuova “intensa campagna di interviste di possibile materiale da reinsediamento”. I candidati venivano scelti tra la popolazione presente nei campi gestiti dall’Assistenza pubblica italiana, alle dipendenze dal ministero dell’interno, in cui erano presenti pure rifugiati dalla Venezia Giulia e dalla Jugoslavia, e comprese l’emigrazione di italiani provenienti dall’Africa, dal Dodecanneso e dalla Romania96. In effetti ciò portò a un nuovo incremento delle ammissioni e del numero degli assisititi anche tra i rifugiati provenienti dalle terre cedute (grafici 14 e 15). Gran parte delle loro partenze avvenne proprio nella seconda parte del 1951, che fu anche l’ultimo periodo di attività dell’Iro, e molta parte di questa emigrazione avvenne proprio verso gli Stati Uniti, nell’ambito del programma legato all’emendamento del Displaced Persons Act (grafici 16 e 17, tabella 30). Almeno dal 1949, nella zona A del Tlt le questioni legate all’ammissibilità dei “profughi giuliani” all’assistenza dell’Iro ebbero un percorso parzialmente diverso da quello seguito in Italia, e ciò in parte perché il governo italiano vi ebbe un atteggiamento un po’ differente, e in parte in quanto a Trieste agiva anche il governo alleato. Nel 1947 e nel 1948 l’Iro inviava i rifugiati di Trieste, molti dei quali provenivano dai territori ceduti alla Jugoslavia, nei campi di tutta Italia, da dove poi alcuni riuscivano a proseguire per mete transoceaniche. Nei primi anni del dopoguerra 58 fu particolarmente intensa l’emigrazione dalla Slovenia in Italia, che attraversò il confine orientale e interessò anche la zona A del Tlt. Intervistato dallo storico dell’Iro Hacking, il capitano della marina militare italiana Thiene, che aveva operato nei campi di accoglienza nell’immediato dopoguerra, riteneva che la migrazione slovena in Italia alla fine della guerra [fosse stata] una migrazione completa di un’intera popolazione, che era fuggita in massa di fronte all’avanzata delle truppe di Tito. A Senigallia per esempio egli ebbe l’intera popolazione di alcuni villaggi incluso il prete e il farmacista, il dottore, il poliziotto e così via97. Le decisioni restrittive introdotte dalla “politica provvisoria” dell’autunno 1948, in base alla quale per l’Iro erano ammissibili i Venezia Giulian di lingua slovena (e croata), ma non quelli di lingua italiana, mentre i “cittadini triestini” (da intendersi i residenti nella zona A del Tlt) erano esclusi a prescindere dalla loro origine, causarono l’accumularsi di rifugiati nell’area triestina. A questo punto si manifestò un nuovo forte flusso di jugoslavi, bulgari, romeni e ungheresi che “filtravano attraverso la cortina di ferro”98. Trieste era ormai piena di rifugiati, con una situazione occupazionale difficile e fino all’ottobre 1948 non sarebbe divenuta un “membro fruente” degli aiuti Erp99. Con gli accordi di marzo era però iniziata la “collaborazione economica” tra il Gma e l’Italia, in base ai quali il governo italiano si era impegnato a finanziare il disavanzo del bilancio della zona A del Tlt, e una voce importante della spesa era costituita dai lavori pubblici, intesi anche a combattere la disoccupazione, come abbiamo avuto modo di vedere. Al momento della discussione per l’approvazione del primo bilancio semestrale dopo gli accordi, vennero subito a galla notevoli divergenze nelle priorità proprio nell’ambito delle politiche migratorie, che dimostrano l’esistenza di stretti legami, anche inattesi, fra le politiche economiche e quelle migratorie. Le conversazioni tra la delegazione italiana e la delegazione alleata, che si svolsero a fine luglio 1948 a Roma, si bloccarono proprio su questioni legate alla disoccupazione e alle migrazioni: Unico punto di maggiore importanza non ancora risolto è la questione del finanziamento del bilancio straordinario triestino il cui disavanzo, a termine degli accordi di marzo, dovrebbe essere coperto dal Tesoro italiano. I tecnici del Tesoro hanno espresso l’avviso che su un programma semestrale di lavori pubblici di otto miliardi complessivi [...] solo due miliardi possono essere accordati. [...] I rappresentanti del Gma, dal canto loro, hanno sottolineato che l’impossibilità di eseguire, per mancanza di fondi, la massima parte dei lavori pubblici previsti, porterebbe ad un aumento della già notevole disoccupazione (23.000 unità) con prevedibili preoccupanti ripercussioni sulla situazione politica locale. In tale ipotesi il Gma potrebbe essere portato ad esaminare l’opportunità di allontanare dal territorio, in tutto od in parte, i 22.000 profughi giuliani che attualmente vi hanno trovato asilo. Sono evidenti [...] le ragioni di carattere politico per cui occorre venire incontro in più adeguata misura alla richiesta alleata, almeno nel senso di consentire l’esecuzione di un piano semestrale di lavori pubblici di quasi 6 miliardi complessivi. [...] si prega l’E.V. di voler cortesemente intervenire presso il Ministro del Tesoro affinché la questione di cui sopra sia tempestivamente decisa nel senso suindicato100. Nel corso delle trattative il Gma, cui premeva attuare un programma di lavori pubblici come strumento nella lotta alla disoccupazione, usò l’argomento dell’emigrazione dei “profughi giuliani” se l’Italia non avesse finanziato il politiche e pratiche migratorie 59 programma. Si trattava evidentemente di un argomento persuasivo, data la pronta reazione della delegazione italiana, che rivela un’importante priorità del governo italiano nell’ambito delle sue politiche a Trieste, la volontà di trattenervi i “profughi giuliani”. Verrebbe da pensare ai “profughi” e ai disoccupati triestini quasi come a merce di scambio nelle trattative italo-alleate sulle politiche economico-demografiche da seguire. Ma oltre all’uso strumentale dell’argomento per ottenere ciò che riteneva necessario, il Gma dimostrava, altrettanto chiaramente, di dare la priorità alla lotta alla disoccupazione, che aveva anche risvolti politici, ma prima ancora sociali ed economici. Dal suo punto di vista, il forte afflusso di rifugiati dai territori perduti dall’Italia aggravava una situazione di per sé grave, e sembra di percepire che all’epoca il Gma avrebbe volentieri cercato di alleggerire la situazione attuando un programma di emigrazione dei “profughi”, che costituivano buona parte degli immigrati e rifugiati presenti, se non fosse stato per la resistenza italiana. Un anno dopo, in concomitanza con l’introduzione della nuova politica Iro nei confronti dei Venezia Giulian in Italia nell’estate del ‘49, anche il Gma fece i suoi passi presso l’organizzazione al fine di stabilire un accordo riguardo all’emigrazione dalla zona A del Tlt. Il 1. luglio 1949 il Gma informò le autorità diplomatiche italiane che l’Iro aveva offerto di “facilitare l’emigrazione oltreoceano di italiani, in passato residenti dei territori ceduti alla Jugoslavia, che hanno lasciato le proprie case e si sono stabiliti a Trieste al fine di evitare di passare sotto il governo jugoslavo, ma a cui è stato negato il diritto di optare per la cittadinanza italiana”, ovvero la loro richiesta era stata bocciata dalle autorità jugoslave. Mentre in Italia veniva concessa l’emigrazione anche a chi aveva optato, negli accordi presi dal Gma questi non sembrano compresi. Il Gma ottenne invece, contrariamente a quanto stabilito dalla precedente “politica provvisoria” dell’Iro, la possibilità di far emigrare anche chi era residente a Trieste, e quindi coloro i quali nel frattempo erano riusciti a ottenere l’iscrizione anagrafica e, di conseguenza, il libretto di lavoro e il diritto di accesso al mercato del lavoro triestino: Si stima che il numero di tali persone [provenienti dai territori ceduti, ndr. 101] attualmente nella zona anglo-americana del Tlt sia vicino a 15.000, delle quali circa 7.500 ricevono la Post Bellica e altre forme di aiuto ai rifugiati. Questa addizione alla popolazione, più di ogni altro fattore, incide sul problema della disoccupazione nella Zona e di conseguenza sul suo deficit di bilancio [ripianato dall’Italia, ndr.]. Inoltre, se non si faranno alcuni passi per ridurre questa popolazione in surplus, il problema rimarrà non meno acuto se il Territorio libero verrà restituito all’Italia. Il Governo militare alleato non ha nessuna intenzione di spingere chiunque a emigrare contro la sua volontà. Intende tuttavia fare tutto il possibile, attraverso annunci stampa e simili misure, per richiamare l’attenzione dei rifugiati istriani nella Zona sui vantaggi dell’avvalersi dell’offerta dell’Iro [...] Al contempo sarà reso chiaro che nessun individuo ha diritto a ricevere l’aiuto Post Bellica ai rifugiati per più di un anno, dopo di ché coloro i quali non sono in grado di guadarsi da vivere non possono aspettarsi altro aiuto oltre all’assistenza pubblica normalmente accordata alle persone indigenti. Il Governo militare alleato ad ogni modo spera che l’opportunità di emigrare offerta dall’Iro venga colta, non solo da persone che ricevono aiuti per i rifugiati, ma anche da coloro che sono occupati, seppure avessero acquisito la residenza permanente della Zona anglo-americana. Le persone di ques’ultima categoria svolgono infatti lavoro 60 che altrimenti potrebbe essere accessibile ai residenti di lunga data nella Zona, verso il benessere dei quali il Governo militare alleato ha una responsabilità prioritaria. [...] In queste circostanze il Governo militare alleato spera di poter fare affidamento sull’appoggio del Governo italiano nell’attuazione della politica sopra descritta, che considera possa contribuire concretamente al benessere (welfare) di Trieste. Al contempo, il Governo militare alleato chiede al Governo italiano di considerare la desiderabilità di incoraggiare egli stesso, possibilmente attraverso le varie organizzazioni dei rifugiati istriani sia a Trieste che altrove, il maggior numero possibile di rifugiati di avvalersi dell’offerta dell’Iro102. Il Gma non si limitava a constatare l’incidenza dell’immigrazione dai territori ceduti sulla disoccupazione a Trieste. Nell’estate del 1949 proponeva una politica migratoria chiaramente volta ad affrontare il problema della disoccupazione, dunque ispirata da cosiderazioni di carattere socioeconomico e intesa come parte delle politiche economiche e sociali che attuava nella zona A del Tlt. Il Gma riteneva inoltre di dover rivolgere un’attenzione prioritaria ai “residenti di lunga data” rispetto agli immigrati più recenti, sebbene avessero nel frattempo ottenuto la residenza. Sulla base di questi orientamenti, la politica migratoria delineata dal Gma era dunque indirizzata a favorire l’emigrazione dei “rifugiati istriani” in modo da liberare opportunità di lavoro per la popolazione locale. Ma l’appoggio richiesto al governo italiano non venne incondizionato, ovvero, l’Italia si pose su una linea che esprimeva priorità diverse da quelle prefigurate dal Gma. Le posizioni italiane sulla politica migratoria da attuare a Trieste non erano monolitiche, esisteva un dibattito interno al governo che faceva parte dei suoi meccanismi decisionali, in cui le questioni venivano analizzate sotto vari aspetti103. Nel caso della zona A del Tlt non prevalse la linea dettata da considerazioni di carattere sociale ed economico relative alla città e al suo territorio e che, oltre a essere sollecitata dal Gma, abbiamo visto affermarsi a livello italiano, bensì un atteggiamento più attento agli “esuli” e alle implicazioni etniche della politica migratoria da attuare. Già nel trasmettere a Roma la richiesta del Gma, l’11 luglio 1949, il rappresentante diplomatico italiano a Trieste Augusto Castellani aveva proposto, tra l’altro, quella che sarebbe poi stata la linea effettivamente adottata: “cogliere l’occasione per ottenere che venga revocato il blocco delle iscrizioni anagrafiche; il quale blocco rappresenta, per gli esuli, l’impossibilità di trovare lavoro sul posto e si traduce quindi in una indiretta pressione ad abbandonare la Zona”104. L’argomento era che il blocco anagrafico fosse un provvedimento comprensibile nell’ambito di una politica demografica dettata dal difficile equilibrio tra popolazione e risorse nella zona A del Tlt, acuito dai forti flussi immigratori, che si trasformava però in uno strumento della politica migratoria del Gma dall’effetto iniquo perché selettivo nei confronti di una parte dei “rifugiati istriani” che venivano esclusi dal mercato del lavoro locale unicamente in base alla data d’arrivo a Trieste. Tuttavia il blocco delle iscrizioni riguardava tutti i rifugiati, ed era dunque selettivo anche l’interesse italiano per una parte di essi. Alla luce della discussione interna al governo, alla Delegazione italiana per l’Iro (Mae) sembrò ben presto “necessario chiarire se debbasi dare preminenza all’interesse politico rappresentato dalla presenza in Trieste di un certo numero di profughi di origine italiana, oppure agli interessi diretti di questi ultimi, che nell’emigrazione loro offerta dall’Iro politiche e pratiche migratorie 61 possono trovare una sistemazione definitiva, giovante sostanzialmente anche agli interessi economici nazionali”105. Il rappresentante della Delegazione italiana per l’Iro aveva sollevato “la questione dei profughi in Trieste, oltre a quella dei profughi in territorio italiano”, già nell’ambito della discussione sull’allargamento dei criteri Iro in Italia: Quanto a Trieste, nella città si trovano diverse categorie di fuoriusciti: rifugiati di lingua italiana; esuli di lingua slava avversi al regime di Tito sia perché monarchici (i cosidetti Slavi Bianchi), sia per divergenze politiche d’altro genere; infine Balcanici di ogni nazionalità e di ogni ideologia. Se si guarda il problema sotto il profilo dell’italianità di Trieste, conviene che gli italiani restino in città e non c’è ragione di vietare agli altri l’ingresso in Italia [da dove sarebbero poi partiti con l’Iro verso l’emigrazione transoceanic, ndr.]; ma da un punto di vista puramente umano, la conclusione sarebbe diversa106. A metà agosto, nel governo era ancora in corso la discussione sulla linea da seguire riguardo alla richiesta del Gma di appoggiare l’attuazione del programma della Missione italiana dell’Iro e sull’eventualità di comprendervi, anche a Trieste, gli «optanti senza risposta»107. L’Ufficio ‘politico’ (il IV) della Direzione generale Affari politici del Ministero degli esteri riassumeva allora al proprio direttore generale le diverse posizioni, proponendo una lettura, e argomentando una decisione, orientata in senso politico-nazionale: La D.G. Dell’Emigrazione e la D.G. Affari Politici Delegazione Iro hanno [...] espresso il parere di dover senz’altro accettare la suaccennata proposta della Missione Iro, per considerazioni di ordine economico e sociale, che – secondo i predetti uffici – dovrebbero senz’altro avere la preminenza su eventuali considerazioni di interesse politico che sconsigliassero la nostra adesione. Manca tuttora la risposta della Presidenza del Consiglio [Ufficio zone di confine, ndr.]. Prima di esprimere – a sua volta – il suo parere, questo Ufficio [IV° della D.G. Affari politici] ritiene di dover premettere le seguenti considerazioni: - Da un punto di vista economico e umanitario la proposta dell’Iro, concretantesi nell’emigrazione di alcune migliaia di persone, che fra breve, con la prossima chiusura dei Centri dell’Assistenza Post-Bellica, rimarrebbero prive di ogni assistenza, costituisce un innegabile vantaggio e per il Governo italiano e per i profughi giuliani a cui viene offerta, forse per l’ultima volta, la possibilità di rifarsi un avvenire. - Dal punto di vista politico, invece, premesso che non è stato possibile, come sarebbe stato nostro precipuo interesse, raggruppare e mantere compatta la massa dei profughi, questo Ufficio ritiene essere opportuno tentare almeno di salvaguardare il nucleo più compatto e attivo dei profughi giuliani che è appunto quello di Trieste. Questa linea di condotta è tanto più giustificata se si tenga conto della circostanza che a Trieste, oltre a numerosi giuliani, è anche affluito un grande numero di slavi, anticomunisti ma sempre slavi, che, per essere giunti prima della chiusura delle iscrizioni anagrafiche, fissate dagli alleati al 31 dicembre 1947, hanno potuto ottenere la residenza nella città e quindi la possibilità di ottenere un impiego, al contrario invece degli esuli giuliani giunti in gran numero anche dopo tale data. Come giustamente ha fatto rilevare la Rappresentanza di Trieste, il provvedimento alleato della chiusura anagrafica, oltre ad avere precluso in passato ai giuliani la possibilità di trovare un impiego, li pone oggi in evidente condizione di inferiorità 62 nei confronti degli slavi eleggibili per l’Iro. È evidente infatti che la libertà lasciata a molti esuli italiani di decidersi in un senso piuttosto che nell’altro (emigrare con l’Iro o restare a Trieste privi di ogni assistenza), assume un valore ben diverso che per quegli slavi che sono invece regolarmente iscritti nei registri della popolazione ed anno un regolare impiego. L’applicazione per il territorio di Trieste delle proposte Iro verrebbe quindi in definitiva a risolversi a danno nostro rischiando di modificare a vantaggio dell’elemento slavo la situazione etnica della città di Trieste. Pertanto, per quanto concerne Trieste questo Ufficio è del subordinato parere che si debba cercare, attraverso l’azione della nostra Rappresentanza in quella città, e salvaguardando il principio di lasciare ad ognuno la libertà di scegliersi il proprio avvenire, di collegare la nostra adesione ed il nostro appoggio alle proposte dell’Iro alla riapertura delle iscrizioni anagrafiche che metterebbe molti profughi istriani sullo stesso piano degli slavi, di cui potrebbero eventualmente occupare i posti lasciati liberi, in caso di emigrazione108. Più che il problema della disoccupazione, dei triestini o degli istriani, pare rivelarsi prioritario l’interesse ad abolire il blocco delle iscrizioni anagrafiche per i “profughi giuliani”, al fine di disinnescare la spinta alla loro emigrazione da Trieste rappresentata dall’impossibilità di accedere al lavoro, spinta cui l’opportunità offerta dall’Iro rischiava di dare sfogo. Verso la fine di agosto il Ministero degli esteri definì infine la propria posizione sul caso di Trieste, che vedeva prevalere le priorità legate all’equilibrio etnico rispetto alle considerazioni di carattere sociale ed economico: Per quanto riguarda i numerosi esuli della Zona A, il Governo alleato si è rivolto alla Rappresentanza Italiana in Trieste domandando il suo appoggio per l’attuazione di tali disposizioni, che indubbiamente allegerirebbero Trieste di un numero rilevante di persone ora disoccupate e che costituiscono un grave onere per l’Amministrazione. Non si può non considerare, dal punto di vista dell’interesse dei singoli, i vantaggi dell’iniziativa la quale offre la possibilità di un’adeguata sistemazione dei profughi, che rimanendo a Trieste si troverebbero tra non molto privi di ogni assistenza o nell’impossibilità di procacciarsi lavoro per non essere essi in regola con l’iscrizione anagrafica. D’altra parte una presa di posizione attiva delle nostre Autorità potrebbe assumere aspetti molto delicati, trattandosi di movimenti di popolazione che influiscono sulla fisionomia etnica locale a nostro danno. Questo Ministero pensa che, caso mai, si potrebbe prendere semplicemente atto della comunicazione, ringraziando per i provvedimenti a favore dei profughi, e profittare della circostanza, come ha proposto la stessa Rappresentanza, per rinnovare le istanze allo scopo di ottenere la riapertura delle iscrizioni anagrafiche, e ciò al fine che sia consentito agli interessati di poter scegliere tra l’emigrare e il rimanere a Trieste – non con le desolanti prospettive attuali che tolgono ogni libertà pratica di scelta – ma con una possibilità futura, almeno teorica, di trovare una sistemazione in loco. Prima di impartire le istruzioni del caso a Trieste si gradirà ad ogni modo conoscere su tale questione anche l’avviso di codesta On. Presidenza [del consiglio]109. Al confine orientale le decisioni su queste materie venivano infatti prese sentendo l’Ufficio zone di confine della Presidenza del consiglio dei ministri, che in questa occasione concordava circa l’opportunità che il rappresentante italiano a politiche e pratiche migratorie 63 Trieste cogliesse l’occasione “per rinnovare presso Gma sulla questione riapertura iscrizioni anagrafiche”110. Ad ogni modo, come rilevava lo stesso Andreotti, il termine per la presentazione delle richieste stava ormai scadendo, per cui il governo italiano non avrebbe più avuto il tempo di influenzare l’andamento delle domande. Nell’esaminarle, i funzionari dell’Iro triestina mostrarono dapprima l’intenzione di accogliere, oltre alle richieste di chi non aveva optato, solo quelle di chi aveva optato nella zona A del Tlt e la cui opzione era ancora in sospeso, e non invece quelle di coloro i quali avevano optato nelle terre cedute e sono quindi arrivati con il passaporto provvisorio del consolato italiano di Zagabria, né le persone provenienti dalla zona B del Tlt. Fin dall’inizio di settembre il Cln per l’Istria riteneva invece che l’ampliamento dei criteri dovesse essere allargato a ogni categoria di profugo e riteneva a tal fine “opportuno, anzi necessario, un intervento del Governo Italiano presso la sede centrale dell’Iro” affinché “anche queste due ultime categorie potessero fruire dell’assistenza dell’Iro per l’emigrazione”111. Le persone in possesso del passaporto provvisorio e quelle provenienti dalla zona B, erano di fatto le uniche rimaste tra i “profughi” a non potere essere ammesse. Ma già le istruzioni agli intervistatori dell’Iro a Trieste e a Gorizia di fine settembre mostrano come nella prassi ci fu ben presto un evidente allargamento dei criteri stabiliti dal centro. In base ai criteri stabiliti nel settembre 1949 dal responsabile del reclutamento dell’Iro di Trieste, l’Area Intake Supervisor Sedmak, si accettavano infatti le domande anche dai possessori del passaporto provvisorio. Non erano però venute meno le ragioni di fondo dello statuto dell’Iro, per le quali le persone di lingua slovena o croata avevano maggiori probabilità di ritrovarsi “entro il mandato” (grafici 18 e 19)112. Una selezione su base etnica avveniva invero anche per altre vie: nell’ambito di un’inchiesta dell’Iro sull’andamento del reclutamento di emigranti nell’Italia nord-orientale, svolta verso la fine del 1949, il questore di Gorizia dichiarò ai funzionari dell’Iro la preferenza a far emigrare rifugiati sloveni, avendo l’ordine di non farne aumentare per nessuna ragione il numero nella zona di competenza113. Rifugiati “slavi” erano inoltre presenti anche tra le nuove categorie ammesse, in quanto diversi avevano optato ed erano usciti dalla Jugoslavia col passaporto provvisorio italiano, essendoun modo per emigrare regolarmente. Il funzionario dell’Iro di Trieste giustificava la «prassi allargata» ai rifugiati con passaporto provvisorio sulla base della considerazione che “la maggioranza degli optanti”, a prescindere dal loro status legale specifico riguardo alla cittadinanza e dalla loro “origine etnica o lingua d’uso”, erano comunque “genuini rifugiati politici”, e perciò di competenza dell’Iro114. In verità, non tutte le testimonianze mettono in primo piano le motivazioni politiche nelle scelte migratorie, ma questo tratto, che era presente, si prestava bene a sorreggere il discorso di chi sosteneva l’allrgamento dei criteri. È ad ogni modo evidente come, tra i rifugiati dai territori ceduti, la domanda di emigrazione fosse davvero molto forte, a prescindere dall’identità etnica, per chiara o meno che fosse, e dall’orientamento politico. In effetti, sembrerebbe che proprio tutti, fossero “italiani”, “slavi” o “bilingui”, desiderassero emigrare con l’Iro. A Trieste, per esempio, tramite i comitati del Cln dell’Istria, di Fiume, di Pola e della Dalmazia furono presentate, entro il termine della fine di agosto, 1.734 richieste (pari a un numero circa doppio di individui)115. Nella zona di Gorizia, 64 Grafico 18 Rifugiati eleggibili presso l’Iro di Trieste al 26 settembre 1950. Fonte: dati tabella 31. Grafico 19 Rifugiati non eleggibili presso l’Iro di Trieste al 26 settembre 1950. Fonte: dati tabella 31. politiche e pratiche migratorie 65 come riferì il rappresentante dell’Associazione nazionale per la Venezia Giulia presente a una riunione interministeriale in tema profughi giuliani, “su 8.600 optanti, 8.000 hanno chiesto di emigrare” e si trattava di “elementi animati da un alto sentimento di italianità”, che davano “costantemente la preferenza ai partiti di centro e di destra” e appartenevano “alla classe dei proprietari terrieri”: da un punto di vista nazionale sarebbe stato preferibile trattenerli nel Goriziano, ma a tal fine il governo avrebbe dovuto stanziare ingenti risorse per dare loro condizioni di vita normali, a partire dalla casa e dal lavoro116. Accogliendo le domande di chi era in possesso del passaporto provvisiorio che comprovava la cittadinanza italiana, l’Iro di Trieste stava fin da subito instaurando una pratica che avrebbe incontrato, come abbiamo avuto modo di vedere, la disapprovazione di Ginevra e causato una discussione interna all’Iro durata per tutto il successivo 1950. Almeno per il momento, però, nonstante l’accoglimento delle domande, le persone provenienti dalla zona B non furono ritenute eleggibili (grafici 18 e 19). Al lato pratico, quando fu necessario precisare le pratiche legali e burocratiche per attuare l’emigrazione dei Venezia Giulian con l’Iro, anche il governo italiano si trovò ben presto alle prese con problemi di status dei profughi-rifugiati, con “l’espediente della cittadinanza non definita” e con le possibili reazioni della Jugoslavia117. A parte l’Iro, erano presenti a Trieste diverse organizzazioni volontarie di assistenza ai migranti, che si adoperavano in particolare per il reinsediamento negli Stati Uniti118, e i “profughi giuliani” non erano gli unici rifugiati di cui l’Iro, il Gma, l’Italia e le associazioni internazionali dovevano occuparsi (grafico 22). I rifugiati venivano innanzitutto raccolti presso il campo allestito a Opicina, sull’altipiano sopra la città e vicino alla frontiera, che consisteva semplicemente in una serie di baracche e tende battute dalla bora. L’Iro inizò a operarvi esaminando l’eleggibilità delle persone alla sua assistenza. Nell’Opicina Reception Center i rifugiati venivano innanzitutto controllati dall’intelligence e quindi dotati di documenti d’identità, per poi essere smistati negli altri campi allora esistenti in città, il San Sabba, il San Sabba-annex e il Gesuiti. Nella zona A del Tlt l’Iro non gestiva direttamente i campi per rifugiati, che erano invece gestiti e controllati dal Gma con fondi del governo italiano119. A Trieste fu istituito un Iro Area Office, con competenza sulla zona A del Tlt e sul Triveneto, che gestiva la “Casa dell’Emigrante”, la quale fungeva da Intake Office e da “Centro d’imbarco”: era dotata di grandi dormitori, di una cucina che riusciva a servire mille persone all’ora e di una piccola stazione con accesso alla rete ferroviaria, da dove i rifugiati venivano trasportati fino al molo Bersaglieri, dove si imbarcavano120. Tra il 1949 e il 1950 l’Iro intraprese il trasferirimento di una parte degli imbarchi dei rifugiati da Napoli a Trieste121. Dalla primavera del 1950, ai rifugiati presenti e che comunque affluivano, si aggiunsero i russi (White Russians) che la Jugoslavia aveva deciso di espellere: venivano semplicemente scaricati dal treno dagli jugoslavi alla prima stazione oltre il confine, e nei dodici mesi seguenti ne arrivarono fino a venticinquemila. Nell’esatate l’afflusso di rifugiati dalle regioni orientali aumentò ancora: tra luglio e agosto furono registrati circa 3.500 nuovi arrivi, che portarono a un repentino e consistente aumento delle presenze nei campi triestini122. Il problema dei 66 rifugiati divenne allora più pressante e sarebbe divenuto uno dei cardini delle questioni migratorie dibattute tra il Gma e il governo italiano negli anni seguenti, anche perché i livelli raggiunti nell’estate del ’50 sarebbero rimasti costanti (grafico 21). In questa situazione, nell’autunno del 1950, il Gma ripresentò al governo italiano la necessità di attuare a Trieste una politica migratoria più decisa e possibilmente coordinata. Il Gma mostrava particolare interesse per la possibilità di avvalersi degli schemi dell’Organizzazione internazionale del lavoro, del United States Displaced Persons Act, ma desiderava ricevere maggiori informazioni anche riguardo al progetto italiano di insediare i rifugiati dai territori ceduti alla Jugoslavia in Sardegna e, più in generale, sulla disponibilità del governo di includere Trieste negli accordi e nei programmi migratori internazionali dell’Italia. La popolazione della Zona dal 1936 è aumentata da circa 275.000 a un dato stimato di 310.000, un aumento dovuto in primo luogo all’afflusso a Trieste di italiani, che [...] risiedevano nei territori ceduti alla Jugoslavia. Questa popolazione aggiuntiva è una delle cause principali della disoccupazione nella Zona e di larga parte del deficit di bilancio del Gma. A meno che divenga possibile trasferire altrove almeno una parte della popolazione della Zona, si creerà un problema economico permanente, che sarà accentuato al termine dell’Erp. Il Gma è dell’opinione che nessuna opportunità debba essere negletta per ridurre la popolazione in surplus della Zona a mezzo della emigrazione pianificata. Il Gma ritiene inoltre che si dovrebbe approfittare dei vari progetti migratori attualmente presi in considerazione a livello internazionale per assicurare adeguate quote di emigrazione alla Zona. [...] Il Gma [...] desidera assicurarsi degli intenti del Governo italiano riguardo alla misura in cui è disposto ad appoggiare l’emigrazione dall’area di Trieste. Ci si rende conto che dal punto di vista del Governo italiano la questione se includere questa Zona in schemi emigratori possa avere certe implicazioni politiche, ma si ritiene che rispetto a qualsiasi svantaggio debbano inevitabilmente avere maggior peso i vantaggi del ridurre la popolazione della Zona a un livello commisurato alla capacità della sua economia. Inoltre, è improbabile che il carattere etnico della Zona venga disturbato, dato che ogni schema di emigrazione sarà applicabile a tutti gli elementi della popolazione123. Il governo alleato continuava quindi a sostenere la necessità di attuare una politica emigratoria attiva, ritenuta essenziale al fine di dare prospettive economiche alla città, ma dimostrava anche di conoscere la ragione delle resistenze italiane, la preoccupazione per l’equilibrio etnico della città. All’interno del governo italiano aveva però nel frattempo preso forma una nuova idea. Che l’intenzione fosse ormai delineata è confermato dal fatto che il rappresentante italiano a Trieste, nel trasmettere questa richiesta alleata di collaborazione nel campo dei programmi di emigrazione, propose subito, quale risposta, “che qualsiasi schema di riemigrazione dalla Zona delle persone qui immigrate dopo la fine della guerra” debba contemplare in primo luogo l’allontanamento dal Territorio di quei rifugiati che costituiscono “un peso finanziario” e “una preoccupazione di ordine politico”. Quali fossero i rifugiati che destavano la preoccupazione italiana risulta chiaramente dal fatto che, sullo stesso telespresso, il segretario generale del Ministero degli esteri annotò di proprio pugno “perché no? fornendo possibilmente slavi”, a cui il ministro Sforza (peraltro favorevole all’emigrazione per lavoro) aggiunse un “ap- politiche e pratiche migratorie 67 provo”124. Da allora in poi, questa sarebbe stata una delle linee guida della politica migratoria italiana a Trieste, che si affiancò all’interesse per l’iscrizione anagrafica e per l’insediamento dei “profughi giuliani”. La politica nei confronti dei “rifugiati stranieri” fu anzi concepita fin dall’inizio in funzione di tale obiettivo. Ad ogni modo, fu chiesto alla Direzione generale per l’emigrazione del Mae di riferire “circa le possibilità, all’atto pratico, di prendere in considerazione la proposta” del Gma125. Accanto alla prevalente linea dettata da considerazioni di ordine politico-nazionale, infatti, negli organismi governativi meno politici si continuava comunque a porre attenzione anche agli aspetti economici. Così, per esempio, quando a settembre l’Iro aveva chiesto al governo italiano di considerare i rifugiati Iro a Trieste come se fossero in territorio italiano e di pagarne quindi il trasporto verso gli imbarchi per l’emigrazione, che avvenivano in gran parte in porti italiani, i rappresentanti del “Gruppo studi trasporti” parevano preoccupati soprattutto del lato finanziario della questione e chiesero garanzie affinché in futuro tali viaggi venissero ridotti al minimo. Ma chiesero anche che l’Iro comunicasse dati recenti sul numero dei “profughi stranieri” eleggibili presenti a Trieste e un preventivo delle spese per il loro trasporto126. Le rispettive priorità sembrano a questo punto alquanto delineate. Da parte italiana l’interesse prevalente riguarda l’aspetto legato alla struttura etnico-nazionale della popolazione e la Rappresentanza italiana di Trieste era particolarmente incline a dargli la preminenza. Lo si può constatere praticamente in ogni occasione. Quando, per esempio, nell’ottobre 1950 il Gma informò il rappresentante diplomatico italiano sul programma di costruzioni di alloggi per il proprio personale, non da ultimo al fine di liberare gli stabili occupati dai militari e dalle loro famiglie in favore dei legittimi proprietari e degli usi civili, la Rappresentanza italiana a Trieste suggerì al Ministero degli esteri di chiedere che, nell’assegnare gli immobili liberati, almeno per quelli a uso commerciale, “bisognerebbe dare la precedenza ai profughi istriani ed agli esuli dalla zona B, alleviandone la dolorosa situazione e facilitandone la sistemazione integrando, con tali misure, i piani per essi appositamente previsti in altra sede”127. Il mese successivo, con l’Ordine n. 219 del Gma arrivò, infine, la tanto agognata riapertura delle iscrizioni anagrafiche, che consentiva agli immigrati da almeno un anno di iscriversi tra la popolazione residente. Nel commentarla, il rappresentante italiano a Trieste sostenne non esservi “dubbio che anche molti stranieri e soprattutto slavi se ne avvantaggeranno, ma se ne avvantaggeranno in proporzione infinitamente maggiore gli italiani, sicché la proporzione etnica di questa popolazione sarà modificata in nostro favore, sia pure in misura naturalmente limitata (circa 10.000 italiani contro 3.000 slavi di nuova iscrizione)”128. Presso il Gma sembrano invece prevalere le proccupazioni ruguardanti l’interrelazione tra l’immigrazione e le condizioni economiche. Suonano come un’ulteriore conferma le battute introduttive del consistente studio sul movimento della popolazione nella zona A del Tlt, redatto dal suo Ufficio statistico nell’aprile del 1951: In quest’area, la zona A del Tlt, che è stata in tempi recenti sotto il controllo di quattro governi, c’è bisogno di emigrazione come parte della soluzione dell’equilibrio economico. Tuttavia ciò non è dovuto a un surplus creato dal movimento naturale, ma è causato dall’afflusso di cittadini italiani, e altri, che qui cercarono rifugio quando governi loro sgraditi presero il potere nel luogo della loro residenza originaria. 68 Sebbene vi siano molti in questa Zona che cercano di emigrare in altri paesi e negli ultimi mesi un numero apprezzabile sia partito, gli standard e i requisiti imposti dagli stati che sono disposti ad accettare emigrati, hanno impedito la partenza di molte famiglie. ...129 Pur partendo dalla constatazione che anche in Italia si riscontrava uno squilibrio tra la popolazione e le risorse esistenti, nel caso di Trieste le origini del problema venivano individuate altrove. Più che verso un approccio complessivo nei confronti dell’equilibrio economico-demografico, presso il governo italiano prevaleva però la preoccupazione per l’equilibrio nazional-demografico e l’attenzione era ormai saldamente orientata verso i “rifugiati stranieri”. Verso la fine del 1951 il Ministero degli esteri ottenne dall’“Ufficio Profughi” del Gma l’assicurazione che avrebbe inviato mensilmente i dati relativi alle partenze dei rifugiati da Trieste, a dimostrazione dell’interesse a seguire da vicino la situazione e a essere costantemente aggiornati sull’evoluzione dell’afflusso e deflusso dei rifugiati. In parte forse per questa insistenza, ma anche in considerazione del fatto che l’immigrazione di rifugiati continuava, e con essa l’affollamento nei campi, il Gma sembrava avere ormai, almeno in parte, fatto sua la preoccupazione italiana: L’atteggiamento delle Autorità Militari Alleate riguardo il fenomeno dell’afflusso dei profughi stranieri sembra essersi finalmente orientato verso la restrizione. Il Gma avrebbe infatti deciso di inibire l’afflusso nella Zona alle persone che non siano in possesso di regolari documenti debitamente vistati dalle Autorità consolari britanniche o statunitensi in Jugoslavia. In effetti, l’afflusso di profughi in questi ultimi giorni è insignificante. Se tale politica restrittiva continuerà ad essere applicata, contribuirà senza dubbio ad arginare l’esodo dei rifugiati stranieri dalla Jugoslavia130. Gli orientamenti e le diverse priorità paiono a questo punto piuttosto delineati. Il Gma ritiene di dover fare innanzitutto gli interessi della popolazione locale e fonda le proprie proposte in materia di politica migratoria su considerazioni di carattere sociale ed economico, esprimendo criteri e orientamenti per i quali l’emigrazione costituiva una leva da utilizzare al fine di bilanciare lo squilibrio tra domanda e offerta di lavoro, che era in perfetta assonanza con gli orientamenti allora prevalenti in Europa e anche in Italia. Tale politica migratoria avrebbe dovuto essere attivamente perseguita attraverso l’inserimento nei programmi di emigrazione assistita a livello internazionale. Il Gma insistette sempre sulla necessità di promuovere innanzitutto l’emigrazione dalla zona A del Tlt degli immigrati provenienti dalle terre cedute alla Jugoslavia in quanto incidevano sulla disoccupazione, ma in seguito propose l’emigrazione anche per la popolazione locale. Mentre la prima proposta incontrava chiaramente riluttanza e una certa resistenza presso il governo italiano, riguardo all’eventuale emigrazione dei triestini sembra non arrivare un riscontro, e la risposta sta forse proprio in questa sospensione di giudizio. A Trieste, la linea guida della politica migratoria italiana è sensibile soprattutto a considerazioni di carattere etnico-nazionale e si propone di favorire l’insediamento della “rifugiati italiani” dai territori ceduti, con l’obiettivo di rafforzare il carattere italiano della città. A questa priorità si fu disposti a sacrificare considerazioni di altra natura, a partire da quelle di ordine economico e sociale, sia riguardo la città e il suo tessuto socioeconomico, sia per quanto concerne le asprirazioni e gli interessi degli stessi “profughi giuliani”. Si rinunciò quindi a sostenere una politica migratoria in grado di dare sollievo al- politiche e pratiche migratorie 69 l’esistente squilibrio tra la popolazione e le risorse, come si scelse invece di fare sul territorio della Repubblica Italiana. Pare inoltre interessante rilevare come le organizzazioni dei profughi, seppure in parte loro malgrado, appoggiassero l’emigrazione dei “profughi giuliani”. Per parte sua, l’Iro italiana risulta più vicina agli interessi delle persone che vogliono emigrare, e fu a tal fine disposta a spingersi anche oltre il regolamento, rispetto all’Iro di Ginevra, più attenta al rispetto di un’interpretazione rigorosa dello statuto. Verso la fine dell’attività dell’Iro vi fu, nella zona A del Tlt, un’impennata delle partenze dei rifugiati, dovuta ai Venezia Giulian che infine partirono, ma che è possibile mettere in relazione anche con il rinnovato interesse italiano nei confronti dell’emigrazione degli “stranieri” (grafico 20). L’ultimo contingente di rifugiati Iro del Tlt imbarcato in un porto italiano partì il 2 febbraio 1952 a bordo della nave “Castelbianco” dal porto di Genova131. Il Gma prese immediatamente contatto con l’organizzazione che le successe, il Picmme, per discutere del programma di emigrazione dalla zona A del Tlt. Già entro il febbraio 1952 fu deciso di stabilire un Liaison Office a Trieste, che avrebbe assunto alcune responsabilità operative nell’avvio e nell’implementazione dell’emigrazione da Trieste. Il Gma si dichiarò disponibile a una partecipazione finanziaria nei progetti emigratori. Si prevedeva che una prima selezione di migranti per l’Australia iniziasse già a marzo132. Per il 1952 si prevedeva l’emigrazione di “non meno di 3.300 persone”, in gran parte “rifugiati stranieri o rifugiati di origine italiana”. Si prevedeva però, per la prima volta in modo così esplicito, che anche “un certo numero di abitanti di Trieste potrebbe essere incluso in questi piani migratori”133. A questo punto intervenne un mutamento nel sistema di governo della zona A del Tlt in quanto, a seguito degli accordi di Londra del maggio 1952, l’Italia ottenne il diritto di indicare i funzionari che avrebbero ricoperto una serie di importanti posizioni direttive nella struttura amministrativa del Gma, in particolare in campo economico, finanziario, sociale, dei lavori pubblici e degli affari interni. Le nomine entrarono in vigore nel settembre dello stesso anno134. È verosimilmente da collegare con l’accresciuto ruolo del governo italiano nell’amministrazione della zona A, il rinnovato impegno ad affrontare la questione dei “profughi stranieri”, che segue di poco gli accordi di maggio e adirittura precede le nomine di settembre. Su richiesta degli organi governativi italiani, infatti, nell’estate 1952 il Cln dell’Istria preparò e presentò “un particolareggiato pro-memoria” sulla “sistemazione dei profughi giuliani a Trieste”. Oltre alla necessità di proseguire nel programma di costruzione di alloggi definitivi, il Cln vi sottolineava la necessità di dare ricovero in alloggi di emergenza ai profughi senza tetto: “connessa con questa seconda soluzione è la questione relativa all’allontanamento da Trieste dei profughi stranieri, che occupano, in numero di oltre 4.000, locali che potrebbero altrimenti essere destinati (in via d’urgenza) ai profughi giuliani”. La questione del trasferimento dei “profughi stranieri”, ovvero dei “profughi balcanici”, come venivano spesso definiti, fu oggetto di esame da parte della Presidenza del consiglio, del Ministero degli esteri e del Ministero dell’interno135. Considerata l’opportunità di trasferire da Trieste i profughi stranieri colà ricoverati, e ciò soprattutto in vista della conseguente possibilità di immettere nei locali ora da essi 70 Grafico 20 Partenze dei rifugiati Iro da Trieste, 1951. Fonte: dati tabella 32. Grafico 21 Popolazione dei rifugiati nei campi triestini, 1949-1953. Fonte: dati tabella 33. politiche e pratiche migratorie 71 occupati una buona parte di profughi giuliani [sottol. originale, ndr.], i rappresentanti del Ministero degli Interni si sono dichiarati disposti a studiare d’intesa con le Autorità militari, le possibilità di accogliere nei campi del Territorio della Repubblica i profughi stranieri di cui trattasi. A tale scopo, il Ministero degli Esteri chiederà a Trieste (Consigliere Politico) più dettagliati elementi circa la consistenza numerica (esatta) dei profughi stessi, il loro attuale trattamento economico e ogni possibile informazione sul conto di ciascuno136. Alla quarta sessione del Picmme, nell’ottobre 1952, la delegazione italiana presentò una bozza di risoluzione sui rifugiati a Trieste che, con lievi modifiche, fu effettivamente adottata. La risoluzione riguardava in particolare i cosiddetti casi difficili (Hard Core cases), e cioé i rifigiati che, per ragioni di età o salute, non potevano rientrare in nessuno dei programmi internazionali di emigrazione. Il problema consisteva anche nel fatto che essi, in diversi casi, bloccavano l’emigrazione dei rispettivi gruppi famigliari, per cui, se si fossero trovate delle soluzioni per la loro emigrazione in Europa, “un gran numero di famiglie di rifugiati” sarebbe potuto “emigrare oltremare”. Con la Risoluzione n° 43 sui rifugiati da Trieste, il Picmme chiedeva al proprio direttore di prendere contatto con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, i governi di paesi europei e con le agenzie di volontariato internazionale “al fine di facilitare il reinsediamento dei casi difficili in tutti i paesi disposti a riceverli e di effettuare i passi appropriati per determinare l’emigrazione oltremare del maggior numero di famiglie di rifugiati presenti a Trieste”137. Per il successivo 1953, si previde un’emigrazione di 4.300 persone138. Secondo Edgar H.S. Chandler, direttore delle operazioni sul campo del World Council of Churches, ente volontario operante a Trieste, il Ministero degli esteri italiano effettivamente si attivò per implementare la risoluzione n° 43, contattando altri governi dell’Europa occidentale nel tentativo di ottenere asilo per i casi difficili. La situazione era obiettivamente grave, dato che “negli ultimi dieci mesi non c’era stata, a Trieste, nessuna missione per la migrazione di massa”139. Infatti, alla fine del 1952, nei campi triestini vi erano ancora ricoverati quattromila rifugiati, un livello che sostanzialmente si manteneva piuttosto stabile dal 1950 (grafico 21). Le nuove iniziative in favore dell’emigrazione stimolarono un maggiore coordinamento tra gli enti che operavano con i rifugiati. A Trieste il Cime aveva un proprio Liaison Office140. Si stava preparando un Central Registration File, con il quale si intendeva mettere ordine nella disordinata situazione in cui un rifugiato poteva rivolgersi a quattro diverse società di volontariato per il reinsediamento dei rifugiati, cercando di ottenere da ognuna qualche vantaggio (shop around)141. Erano numerosi i casi difficili di individui che per le invalidità e infermità più diverse non avevano alcuna possibilità di accedere ai normali programmi di emigrazione (in alcuni casi era sufficiente aver sofferto di tubercolosi nel passato). Giunti a Trieste da e attraverso la Jugoslavia con i grossi flussi degli anni precedenti, vi erano rimasti per la mancanza di opportunità di emigrazione ed erano nel frattempo aumentati di numero a causa della promiscuità e del sovraffollamento in cui per diverso tempo avevano versato le strutture di accoglienza. “Le successive attività di reinsediamento dell’Iro, del Gma e delle agenzie volontarie hanno fortemente alleviato la congestione esplosiva in quest’area, aiutando 72 22 Origine dei rifugiati nei campi della zona A del Tlt. Fonte: dati tabella 33 (medie dei presenti nei rilevamenti del marzo ‘51, dicembre ‘52 e maggio ’53) dapprima a bilanciare l’afflusso e quindi, quando questo diminuì, a effettuare una sostanziale diminuzione netta della popolazione” (di rifugiati). Nonostante la mancanza di fondi da parte dell’Iro, “gli effetti combinati degli sforzi del Gma e delle agenzie, nonché la generosa risposta dei paesi europei all’urgente richiesta d’aiuto, hanno fatto miracoli nell’assicurare il reinsediamento e l’assistenza permanente a molti casi difficili”. La soluzione dei casi difficili era sia nell’interesse delle autorità sia delle stesse agenzie volontarie perché, alleviati da questo fardello, avrebbero potuto dirigere sforzi e risorse verso la soluzione delle necessità attuali142. Dalla ricostruzione di Chandler risulta piuttosto chiaramente l’assenza del governo italiano tra i soggetti attivi nel reinsediamento dei rifugiati stranieri ai tempi dell’Iro, mentre conferma il più deciso impegno italiano a partire dal 1952. Sulla questione dei “rifugiati balcanici” pare dunque piuttosto evidente, da parte italiana, un uso strumentale di un problema reale (si veda a tale proposito la composizione dei rifugiati nei campi triestini, grafico 22). Nell’aprile 1953 l’Italia riuscì ad affermare presso il Cime il concetto che la situazione dei rifugiati a Trieste fosse “di speciale importanza per l’Europa Occidentale”. Nei suoi verbali il Cime affermava di aver “sempre considerato il reinsediamento dei rifugiati da Trieste come uno dei suoi compiti importanti” e di essersi “costantemente impegnato a trovare loro opportunità soddisfacenti oltremare”. In seguito alla Risoluzione n° 43 sui rifugiati da Trieste, i governi di Francia, Regno Unito e Stati Uniti, garantirono un fondo (Trust Fund) di un milione di politiche e pratiche migratorie 73 Grafico 23 Partenze dei “rifugiati” e dei “cittadini” emigrati con il Cime da Trieste, 1952-1962. Fonte: dati tabella 35. Grafico 24 Partenze totali e per le principali destinazioni (Australia e Usa) degli emigrati con il Cime da Trieste, 1952-1962. Fonte: dati tabella 36. 74 dollari in lire per “alleviare, e possibilmente liquidare” il problema dei rifugiati a Trieste, caldamente supportato dal governo italiano, la cui preoccupazione per i rifugiati era “ben nota”. Vennero svolte consultazioni con le principali agenzie volontarie, insieme al Gma e all’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, riguardo all’utilizzo e all’amministrazione del fondo, in base alle quali si stabilì che esso sarebbe stato utilizzato per sostenere l’assistenza dei rifugiati la cui età o salute lo richiedeva e per favorire l’emigrazione dei rifugiati il cui reinsediamento attraverso i normali programmi migratori risultava difficile143. Dell’intenzione affermata dal Gma nel ‘52 riguardo all’emigrazione della popolazione triestina si riparlò invece nell’ottobre del 1953, quando il Cime precisava che a Trieste era in corso un doppio programma: da una parte si agiva per “assicurare l’inclusione di rifugiati e di altri abitanti del Territorio libero, con le necessarie qualifiche, nei programmi di emigrazione di massa”. Dall’altra parte, il Trust Fund veniva amministrato con il proposito di sviluppare opportunità di reinsediamento per rifugiati nei campi del Gma, iniziativa, questa, caldeggiata dall’Italia144. Il movimento delle partenze del Cime, che distingueva tra migranti refugee (rifugiati) e national (cittadini, compresi gli optanti145), riflette tale “doppio programma”. Per prima fu affrontata l’emergenza rappresentata dai rifugiati da tempo bloccati nei campi di raccolta triestini, che fu fondamentalmente risolta negli anni tra il 1953 e il 1956, ma il picco delle partenze avvenne già nel 1954, l’ultimo anno del Tlt146. I “cittadini” partirono invece per secondi, nel periodo 19551960, ma il massimo delle emigrazioni fu raggiunto già nel 1955, subito dopo il ritorno di Trieste all’Italia (grafico 23). In entrambi i casi, dunque, i livelli massimi di emigrazione coincisero con gli anni della transizione tra il Gma e il governo italiano (1954-1956), tre anni di intensa emigrazione che diede sfogo al bisogno e alla domanda di emigrazione che c’era in città ma che nel contempo realizzava, infine, le politiche migratorie delineate e impostate negli anni precedenti. L’Australia fu la destinazione di gran lunga prevalente, seguita a una certa distanza dagli Usa e quindi dal Canada e dal Brasile147. Si notano sensibili differenze tra le mete dei cittadini e quelle dei rifugiati. Le destinazioni europee, in particolare, riguardano esclusivamente i rifugiati e sono composte in prevalenza dai “casi difficili” per i quali si trovò soluzione grazie allo US Escapee Programme (tabella 36). L’Australia costituì la destinazione pressoché esclusiva della categoria cittadini nell’intervallo 1952-62, relegando a un ruolo marginale ogni altra meta. Le destinazioni dei rifugiati si distribuirono invece più uniformemente tra, nell’ordine, Australia, America settentrionale (Usa e Canada) e America meridionale. Va dunque rilevata l’assoluta prevalenza dell’emigrazione transoceanica, concentrata in Australia e negli Stati Uniti (grafico 24). Il rilievo delle diverse destinazioni degli emigrati con il Cime da Trieste differisce da quello che caratterizzò l’emigrazione dall’Italia, più uniformemente distribuita tra i paesi europei e l’oltreoceano. Anche limitatamente alle mete transoceaniche, la nettissima prevalenza dell’Australia per i partenti da Trieste costituisce una differenza rispetto ai flussi dell’emigrazione transoceanica italiana, più equamente suddivisa tra diverse destinazioni (Argentina, Usa, Canada, Australia, Venezuela). Al contrario, sia nel rapporto tra mete europee ed extraeuropee sia nella distribuzione tra le destinazioni transoceaniche, l’emigrazione dei rifugiati da Trieste si avvicina maggiormente a quella italiana148. politiche e pratiche migratorie 75 Alla luce di quanto si è visto, è plausibile ritenere che sia stata data la precedenza allo sfollamento dei campi dai rifugiati “stranieri”, e in particolare dai “balcanici” (jugoslavi), non tanto per favorire la causa occidentale e non solo per la gravità della situazione umanitaria, quanto piuttosto per ragioni di equilibrio etnico e, contestualmente, per fare spazio nelle strutture di accoglimento in previsione della nuova, prevedibile ondata immigratoria dalla zona B, dopo il suo definitivo passaggio alla sovranità jugoslava, che puntualmente si avverò. L’altra parte del programma, quella che riguardava i “rifugiati [istriani] e altri abitanti del Territorio libero”, e che non era prioritaria per il governo italiano, fu invece attuata solo dopo che Trieste passò alla sovranità italiana. I due terzi dei “cittadini” emigrati con il Cime nella prima grande ondata degli anni 1955-1956 e fino al 1961, erano nati a Trieste (67,5%): per metà si trattava di lavoratori specializzati e per metà di manodopera non qualificata149. Sembrerebbe quindi che continuassero ad agire condizioni socioeconomiche analoghe a quelle il cui evolversi abbiamo seguito fino alla fine del piano Erp nel 1951, per lo meno nella misura in cui si trattava di condizioni che potevano rendere la popolazione incline all’emigrazione. Con il ritorno all’Italia fu evidentemente dato una sorta di nulla osta all’emigrazione della popolazione locale da Trieste e, sebbene in misura molto inferiore, anche dei profughi istriani, forse perché a quel punto i suoi esiti non potevano più influire sulle sorti politiche della città. Dopo gli anni dell’Iro, quindi, fino all’ultimo non fu usato, per mancanza dell’assenso italiano, un importante strumento di riequilibrio del rapporto tra la popolazione e le risorse, quale poteva essere la politica migratoria proposta dal Gma, fondata su considerazioni sociali ed economiche e favorevole all’attivazione di programmi di emigrazione assistita. In questo modo si contribuì al perdurare di condizioni sociali ed economiche che potevano favorire, tra la popolazione, la scelta di emigrare150. Così, quasi per assurdo, la mancanza di una politica in favore dell’emigrazione favorì l’emigrazione, che però, fino alla fine del Gma, non avvenne tanto entro gli schemi internazionali, quanto in modo individuale, meno visibile. La consistente ondata emigratoria avvenuta negli anni immediatamente successivi al ritorno all’Italia, rappresentò quindi anche uno sfogo della domanda di emigrazione accumulata negli anni precedenti, cui fu infine consentito di incanalarsi nei programmi migratori internazionali e di diventare più visibile. Per il resto, con il ritorno di Trieste all’Italia entriamo in un territorio più conosciuto alla storia dell’emigrazione triestina. 76 Figura 1 Il Territorio libero di Trieste tra Italia e Jugoslavia (1947-1954). politiche e pratiche migratorie 77 note S. Volk, Istra v Trstu. Naselitev istrskih in dalmatinskih ezulov in nacionalna bonifikacija na Tržaškem, Koper 2003, pp.161, 209,221-222,273-274. 1 P. Nodari, I rientri degli emigrati dall’Australia con particolare riguardo al Comune di Trieste, Quaderni dell’Istituto di Geografia dell’Università di Trieste, 4/1981, p. 5; Volk, Istra v Trstu... cit., pp. 161, 209, 221-222, 273-274. 2 3 UNHCRA, High Commissioner Doc., Amg, Natural Movement Immigration Emigration... cit. AN, AJ 43, b. 140, f. 36, “Background notes on Trieste and the Venezia-Giulian Refugee Situation”, di J. Barth (storico Iro), 7 ottobre 1951, note basate su interviste a persone operanti a Trieste. 4 A. Kalc, L’emigrazione slovena e croata dalla Venezia Giulia tra le due guerre, in Irsml, Friuli e Venezia Giulia. Storia del ‘900, Gorizia 1997, pp.535-550. Sui successivi rientri nel secondo dopoguerra lo stesso A. Kalc, Selitvena gibanja ob zahodnih mejah slovenskega etničnega prostora: teme in problemi, in “Annales. Annali di Studi istriani e mediterranei”, 7/1997/10, pp.203-203. e N. Troha, Preselitve v Julijski krajini po drugi svetovni vojni, in Zbornik Milice Kacin Wochinz, “Prispevki za novejšo zgodovino”, 40/2000/1, pp. 255-268. 5 Possono considerarsi con ragionevole certezza come rientri le immigrazioni dei nati nella zona A del Tlt, per i quali conosciamo solo i dati per gli anni 1948-50, che importano 2.627 persone, UNHCRA, High Commissioner Doc., Amg, Natural Movement Immigration Emigration... cit., p. 78. Si vedano per esempio le brevi storie individuali in ASMAE, Affari Politici, 1946-1950, Italia 1950, b. 246, fasc. 1, “Studenti triestini in Bulgaria”. 6 G. Bonifacio, Il movimento della popolazione con particolare riferimento ai problemi della disoccupazione, in “Bancaria. Rassegna dell’associazione Bancaria Italiana”, 11/5 (1955), pp. 601-607; R. Finzi – F. Tassinari, Le piramidi di Trieste. Triestine e Triestini dal 1918 a oggi, in R. Finzi, C. Magris, G. Miccoli (a cura di), Il Friuli – Venezia Giulia, Storia d’Italia, Le regioni dall’Unità ad oggi, Torino 2002, p. 304. 7 8 Istat, Annuario di statistiche demografiche, anni dal 1955 al 1965. 9 Bonifacio, Il movimento della popolazione... cit. UNHCRA, High Commissioner Doc., Amg, Natural Movement Immigration Emigration... cit., p. 73; C. Donato, P. Nodari, L’emigrazione giuliana nel mondo: note introduttive, in “Quaderni Vanoni”, 1995/3-4, p. 103. 10 UNHCRA, High Commissioner Doc., Amg, Natural Movement Immigration Emigration... cit., pp. 72-73 e Tavole Ia e Ib in Appendice. 11 UNHCRA, High Commissioner Doc., Amg, Natural Movement Immigration Emigration... cit.; Donato, Nodari, L’emigrazione giuliana... cit., p. 103 (su dati Amg e Comune di Trieste). La Legazione Italiana a Belgrado nel settembre 1947 in un telespresso riservato stimò che in Jugoslavia vi fossero circa 10.000 lavoratori immigrati dall’Italia, in particolare dal Friuli, da Trieste e da Monfalcone, ma non solo, e soprattutto specializzati e arsenalotti, molto ricercati perché mancava manodopera qualificata locale, ASMAE, Affari Politici, 1646-1950, Jugoslavia 1947, b. 30, fasc. 3. 12 13 Donato, Nodari, L’emigrazione giuliana... cit., p. 120. Istat, Annuario di statistiche... cit., 1955-1965. Le cancellazioni presso il solo Comune di Trieste, ma comprensive delle destinazioni italiane, furono invece 61.031 tra il 1947 e il 1960, Finzi, Tassinari, Le piramidi di Trieste... cit, p. 304. 14 Per il periodo alleato possono considerarsi con certezza come rientri le immigrazioni dei nati nella zona A del Tlt, per i quali conosciamo solo i dati per gli anni 1948-50, che importano 2.627 persone, UNHCRA, High Commissioner Doc., Amg, Natural Movement Immigration Emigration... cit., p. 78. Nel periodo 1955-65 le iscrizioni dall’estero di persone provenienti dai paesi che erano al contempo le principali mete dell’emigrazione da Trieste nel secondo dopoguerra (Australia, Canada e Usa), e dunque da considerarsi rientri con ragionevole approssimazione, ammontarono nella provincia di Trieste a 2.829 (dati tratti da Donato, Nodari, L’emigrazione giuliana... cit., pp. 113-4, su fonte Istat). Il totale delle due cifre qui proposte è 5.456, che non com15 78 prende l’intervallo 1951-54, né esaurisce tutti i rientri (altre possibili provenienze e triestini non nativi), ma certamente comprende profughi istriani. In proposito si vedano anche Nodari, I rientri degli emigrati dall’Australia... cit. e Fait, L’emigrazione giuliana in Australia... cit. Si vedano i successivi paragrafi e i dati nel capitolo III, ma anche Volk, Istra v Trstu... cit. e Fait, L’emigrazione giuliana in Australia... cit. 16 17 V. Castronovo, L’avventura dell’unità europea. Una sfida con la storia e il futuro, Torino 2004, p. 9. ASMAE, Affari Politici, 1946–1950, Italia, b. 246, fasc. 1, “Discorso tenuto dal Maggior Gen. Sir Terence Airey, KCMG, CB, CBE, al ricevimento offerto dal Presidente di Zona mercoledì 14 marzo in onore del Generale e di Lady Airey”, discorso di commiato, 1951. 18 Sapelli, Il profilo del destino... cit., pp. 270-1; Valdevit, La labour policy del Governo militare alleato (1945-1954), in Ganapini (a cura di) …anche l’uomo doveva essere di ferro... cit.; F. Bednarz, Crisi economica e governo della società, ibidem, pp. 288-9, 304-5. 19 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/37, Relazione del Governo Militare Alleato della Zona britannico – statunitense del Terriorio Libero di Trieste all’Amministrazione per la Cooperazione Economica per il periodo 1° luglio 1948 – 30 giugno 1951; ora vedi anche qui, capitolo III.3. 20 21 Ibidem. 22 Ibidem. Si vedano in proposito R. Serra, Luci ed ombre nell’economia triestina, Trieste 1954; Valdevit, La labour policy... cit.; Bednarz, Crisi economica... cit., pp. 281-322; Sapelli, Trieste italiana... cit. 23 G. Valdevit, Il dopoguerra. 1945-1954, in A. Apollonio et al., La Cassa di Risparmio di Trieste: 18422002, Roma-Bari, 2004, p. 256. 24 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 570, fasc. VII/20, “Ministero degli affari esteri, Appunto per S. E. il Ministro, Roma 30 luglio 1948”. 25 Si veda in proposito ASMAE, Affari economici, Versamento A, bb. 15, 25, 253; Versamento B, bb. 34, 87, 128, 129, 130; Versamento C, bb. 104, 105, 124, 126; ASMAE, Affari Politici, 1946-1950, Italia 1950, b. 246, fasc. 3 e 4; 1950-1957, Trieste, b. 565. Se da una parte l’Italia contribuiva in misura considerevole a sostegno dell’economia triestina, dall’altra si rendeva ben conto che l’intensità degli aiuti americani non avrebbe potuto essere mantenuta se non tenendo distinti gli intreventi in favore di Trieste e dell’Italia. Si confrontino a tale proposito la posizione italiana di fronte alla possibilità di unificare i piani Erp per Trieste e per l’Italia nell’estate 1949 quella assunta riguardo alla possibilità di unificare gli aiuti americani a Trieste e all’Italia per il 1952: in entrambi i casi il governo italiano riteneva di non mantenere l’elefantiasi dei programmi triestini e la sperequazione rispetto a quanto riceve l’Italia, non da ultimo per questioni di opinione pubblica interna, ASMAE, Affari Politici, 1946-1950, Italia 1950, b. 246, fasc. 3, documenti del giugno-luglio 1949 e ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/38, Direzione Generale Cooperazione Internazionale, 11 marzo 1952. Alla fine però i programmi furono uniti, Valdevit, Il dopoguerra... cit., p. 266. 26 La commissione si riunì per la prima volta nel dicembre del 1949, con all’ordine del giorno i dipendenti civili del Gma, la fornitura di energia elettrica tra le zone A e B del Tlt, i traffici tra Trieste e l’Ungheria e la Cecoslovacchia e il “coordinamento tra l’Erp italiano e l’Erp triestino”, ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/42, “Appunto per la Direzione Generale Affari Politici Ufficio IV”, telespresso della Direzione Generale Affari Economici Uff. IV, 21 dicembre 1949. 27 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/41, “Commissione mista italo-triestina”, ordine del giorno della sessione del 3-6 dicembre 1951. 28 29 Valdevit, Il dopoguerra... cit., pp. 257-258. 30 Valdevit, La labour policy... cit., pp. 268-9, 272; Bednarz, Crisi economica... cit., 292. ASMAE, Affari Politici, 1946-1950, alle voci Italia e Jugoslavia; Affari Politici, 1950-1957, alle voci Italia, Trieste e Jugoslavia; ASMAE, Affari Economici, Versamento A, Versamento B e Versamento C, alle voci Italia, Jugoslavia, Trieste ed Erp. 31 politiche e pratiche migratorie 79 ASMAE, Affari Politici, 1946-1950, Italia 1950, b. 246, fasc. 3, “Relazione sulla situazione tributaria di Trieste”, Camera di Commercio, allegata al telespresso della Rappresentanza Italiana a Trieste del 26 giugno 1950 al Ministero degli esteri e all’Ufficio per le zone di confine. 32 Si potrebbe forse dire che si era riavviato un meccanismo già sperimentato negli ultimi decenni austriaci, quando di fronte alla politica di esclusione operata dal partito liberal-nazionale filo-italiano, la comunità slovena di Trieste diede vita a una rete sociale ed economica autonoma e alternativa; si fa riferimento in particolare ad A. Panjek, Chi costruì Trieste. Edilizia, infrastrutture, mercato immobiliare e servizi tra pubblico e privato (1719-1918), in Storia economica e sociale di Trieste, vol. 2, La città dei traffici, a cura di R. Finzi, L. Panariti, G. Panjek, Trieste 2003, pp. 710-711, ma per un quadro più ampio si vedano Verginella, Sloveni a Trieste... cit. e Cattaruzza, Trieste nell’Ottocento... cit. 33 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/34, “Associazione Piccole Industrie di Trieste”, “Appunti riservati”, telespresso della D.G. Affari economici alla D.G. Affari politici e all’Ufficio zone di confine del 24 dicembre 1951. 34 Si vedano in particolare AST, Ufficio del Lavoro, b. 13, “Monografia sulla disoccupazione” e b. 28, fasc. 5, “Sottocommissione d’inchiesta sulla disoccupazione”, verbali; fasc. 12, “Analisi dell’occupazione esistente nei vari settori del Comune di Trieste e nella zona A del Tlt”; G. Bonifacio (a cura di), Le forze di lavoro ed i bilanci familiari a Trieste, Trieste 1953, p. 25; A. Panjek, C. de Draganich Veranzio, Ricostruzione, lavoro e immigrazione di manodopera specializzata nel dopoguerra triestino, in A. Verrocchio (a cura di), Trieste tra ricostruzione e ritorno all’Italia (1945-1954), Trieste 2004, p. 33; de Draganich Veranzio, Flussi migratori e mercato del lavoro... cit, pp. 44-60. 35 La popolazione in età lavorativa era di circa 137.000 persone nel 1949 (tabella 7) e nel 1951 (censimento Istat). 36 ASMAE, Affari Politici, 1946-1950, Italia 1950, b. 246, fasc. 4, “Sciopero dei lavoratori dell’industria”, telespresso della Rappresentanza Italiana a Trieste al Ministero degli Affari Esteri del 7 marzo 1950, A. Castellani. 37 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/37, Relazione... cit. ora vedi qui capitolo III.3. 38 Si veda ad esempio T. Fanfani, Scelte politiche e fatti economici dal secondo dopoguerra ai nostri giorni. Cinquant’anni di storia italiana, Torino 1996, pp. 51-55. 39 40 Fanfani, Scelte politiche e fatti economici... cit., pp. 44 e 62. U.S. Government – Economic Cooperation Administration (Eca), Trieste Country Study. European Recovery Program, Washington D.C. 1949, p. 6. 41 G. Mellinato, Tra mercato e propaganda. La ricostruzione del settore marittimo nella Trieste del secondo dopoguerra, in “Acta Histriae”, 13/2005/2, pp. 454-455. 42 Sapelli, Trieste italiana... cit., p. 216; M. Resta, Il bilancio economico della regione triestina, in “Bancaria. Rassegna dell’Associazione Bancaria Italiana”, 11/5 (1955), pp. 519-520. 43 44 Fanfani, Scelte politiche e fatti economici... cit., p. 64. Per il periodo austriaco Panjek, Chi costruì Trieste... cit., per esempio p. 722; per il periodo tra le due guerre G. Mellinato, Crescita senza sviluppo. L’economia marittima della Venezia Giulia tra impero asburgico ed autarchia (1914-1936), Monfalcone 2001. 45 46 Considerazioni basate sui dati Istat del censimento 1951. 47 Mellinato, Tra mercato e propaganda... cit., p. 455. 48 Per tutti Serra, Luci ed ombre... cit., p. 72 e Sapelli, Trieste italiana... cit., pp. 216 ss. ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/37, Relazione... cit. ora vedi qui capitolo III.3. 49 50 Ibidem. 51 Ibidem. 52 Ibidem. 80 53 Valdevit, Il dopoguerra... cit., p. 260. 54 Resta, Il bilancio economico... cit., p. 516; Valdevit, La labour policy... cit., p. 265. 55 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/37, Relazione... cit, ora vedi qui capitolo III.3. ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/32, “Trieste’s ability to contribute to the defence effort”, allegato al telespresso “segreto” della Missione Italiana a Trieste, “Utilizzazione di Trieste nel piano di armamento”, 7 novembre 1951. 56 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/37, Relazione... cit., ora vedi qui capitolo III.3. 57 58 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. I/9. C. Besana, Accordi internazionali ed emigrazione della mano d’opera italiana tra ricostruzione e sviluppo, in S. Zaninelli – M. Taccolini (a cura di), Il lavoro come fattore produttivo e come risorsa nella storia economica italiana, Milano 2002, p. 21n. Anche in termini più generali, nel dopoguerra l’emigrazione friulana divenne sempre più una migrazione di carattere temporaneo, E. Saraceno, Emigrazione e rientri. Il Friuli-Venezia Giulia nel secondo dopoguerra, Udine 1981, pp. 38-39. 59 De Draganich Veranzio, Flussi migratori e mercato del lavoro cit., p. 65; Istituto regionale di studi e ricerche della Cgil del Friuli Venezia Giulia – Fillea Trieste, I lavoratori delle costruzioni della provincia di Trieste. Lavoro, lotte, organizzazione (1881-1983), Trieste 1983, p. 93. 60 Si veda per esempio A. Umile, Imprenditori triestini in acque italiane: l’industria cantieristica tra le due guerre mondiali, in Panjek (a cura di), Pogledi od zunaj.../Visti da fuori.../Views from the Outside... cit., pp. 69-94. 61 62 Bednarz, Crisi economica... cit., p. 297. ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. I/8, 26 giugno 1950. Sui legami sociali tra le zone A e B del Tlt si veda M. Verginella, La campagna istriana nel vortice della rivoluzione, in Verrocchio, Trieste tra ricostruzione e ritorno... cit., pp. 110-119. 63 La questione dei mestieri dei migranti meriterebbe un’analisi specifica anche più in generale, ma qui essa non verrà intrapresa, perchè potrà ottenere risultati più significativi se svolta quando saranno disponibili anche degli studi che si stanno compiendo nell’ambito di progetti ancora in corso, oltre a quelli presentati in questo volume e ai dati emersi negli ultimi anni, almeno Fait, L’emigrazione giuliana in Australia... cit. Gombač, Esuli ali optanti?... cit. (di prossima pubblicazione in versione italiana); de Draganich Veranzio, Flussi migratori e mercato del lavoro... cit. 64 65 Bednarz, Crisi economica... cit., es. 289, 294-5, 297, 308-9, 311. Per il periodo tra le due guerre, Mellinato, Crescita senza sviluppo... cit. Per il dopoguerra, Sapelli, Il profilo del destino... cit., pp. 270-1; Bednarz, Crisi economica... cit., p. 299; Mellinato, Tra mercato e propaganda... cit. Nell’economia triestina la mancanza di professionalità industriali si sarebbe ripresentata nei primi anni settanta, G. Battisti, Una regione per Trieste. Studio di geografia politica ed economica, Udine 1979, p. 108. 66 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/37, Relazione... cit., ora vedi qui capitolo III.3. 67 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/37, Relazione... cit., ora vedi qui capitolo III.3. 68 Mentre ci si potrebbe aspettare che la difficile situazione occupazionale nel commercio preludesse a un ulteriore peggioramento, e magari all’emigrazione, in seguito alla partenza degli alleati, che portò a una significativa riduzione del denaro quotidianamente immesso sulla piazza (25 milioni di lire spesi ogni giorno), il commercio registrò invece un sensibile aumento dell’occupazione dopo il ritorno alla piena sovranità italiana (grafico 12). Sui 25 milioni al giorno Apih, Trieste cit., p. 186, sull’aumento dell’occupazione nel commercio dopo il ritorno all’Italia anche Sapelli, Il profilo del destino... cit, p. 249. 69 AN, AJ 43, b. 140, f. 36, “Background notes on Trieste…” cit.; AN, AJ 43, b. 1041, f. 42/2, documenti 22 novembre 1947 – 6 luglio 1948 sulle difficoltà incontrate nel “reinsediamento di sloveni [presenti] nel Tlt in Argentina”. 70 politiche e pratiche migratorie 81 71 Bednarz, Crisi economica… cit., p. 296. 72 Volk, Istra v Trstu... cit. A parte quanto ancora c’è di incerto sulle politiche migratorie italiana e jugoslava verso l’emigrazione dall’Istria e dalla Dalmazia (che qui non viene indagato): si vedano i recenti R. Pupo, Il lungo esodo. Istria: le persecuzioni, le foibe, l’esilio, Milano 2005, Gombač, Esuli ali optanti?... cit, e Volk, Istra v Trstu...cit. Sull’argomento anche ASMAE, Affari Politici, 1946-1950, Jugoslavia 1947, documenti per il periodo 1947-1949. 73 Lo Statuto dell’Iro prevedeva, però, in casi eccezionali, la possibilità per i paesi aderenti di richiedere l’emigrazione di propri cittadini dal proprio territorio. 74 Per un approfondimento sul dibattito interno all’Iro riguardo alle questioni legate all’identità dei Venezia Giulian, con un’attenzione particolare alla questione del rapporto tra l’identità delle persone e la necessità di classificazione dell’istituzione, si veda Ballinger, Opting for Identity... cit. 76 AN, AJ 43, b. 140, f. 34, Intervista di J. Mandel a R. L. Gesner, “Chief Elegibility Officer, Italian Office”, del 10 gennaio 1952. 75 AN, AJ 43, b. 476, fasc. 6, “Appendix 4 to the semestrial report of the Review Board to the Director General, Memorandum on the question of Refugees from Venezia–Giulia”, 11 marzo 1949. 77 AN, AJ 43, b. 476, fasc. 6, “Appendix 4… Memorandum on the question of Refugees from Venezia–Giulia”. 78 AN, AJ 43, b. 1036, fasc. 32/1, novembre e dicembre 1948; le rispettive argomentazioni in Ballinger, Opting for Identity... cit. 79 AN, AJ 43, b. 140, f. 34, Intervista di J. Mandel a R.L. Gesner (Chief Elegibility Officer, Italian Office), del 10 gennaio 1952. 80 “Potranno essere assistiti i profughi nati nei territori ceduti ed ivi domiciliati al 10 giugno 1940, che non hanno optato per l’Italia o che, pur avendo optato, non hanno ancora avuto l’opzione regolarmente approvata. Non avranno invece diritto all’assistenza: a) quei profughi che sono nati in territorio attualmente italiano; b) coloro la cui opzione è stata regolarmente approvata... ; c) coloro che si siano regolarmente sistemati in Italia o che non desiderino emigrare...”, ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Iro, Roma, Ufficio stampa, L’assistenza dell’Iro estesa ai profughi giuliani”, 14 luglio 1949. 81 AN, AJ 43, b. 1053, fasc. 32/1/I A & B, “Associazione nazionale per la Venezia Giulia e Zara, Assistenza Iro, a tutti i Comitati provinciali”, 15 luglio 1949. Sulle organizzazioni dei profughi giuliani S. Volk, Ezulski skrbniki. Vloga in pomen begunskih organizacij ter urejanje vprašanja istrskih beguncev v Italiji v luči begunskega časopisja 1945-1963, Koper 1999. 82 AN, AJ 43, b. 140, f. 34, Intervista di J. Mandel a R.L. Gesner (Chief Elegibility Officer, Italian Office) cit.; ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Iro, Roma, Ufficio stampa, L’assistenza dell’Iro estesa...” cit. 83 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Processo verbale della Riunione interministeriale “Profughi Giuliani” – 15 luglio 1949. 84 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “M. A.E., D.G. Emigrazione, Assistenza ad alcune categorie di profughi giuliani”, telespresso ai ministeri dell’interno e degli esteri e all’Ufficio zone di confine presso la Presidenza del consiglio, 2 agosto 1949. 85 86 Besana, Accordi internazionali ed emigrazione... cit., pp. 5-7. F. Romero, Emigrazione e integrazione europea, 1945-1973, Roma 1991, pp. 14-15, citato in Besana, Accordi internazionali ed emigrazione... cit., p. 9. 87 88 Besana, Accordi internazionali ed emigrazione... cit. 89 Così anche Ballinger, Opting for Identity... cit., p. 128. ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Note sull’Iro di Trieste”, Cln per l’Istria, Trieste, 9 settembre 1949. 90 82 AN, AJ 43, b. 476, fasc. 6, “Venezia Giulia refugees with Italian provisional passports”, missiva di V.A. Temnomeroff (Review Board) a D. Segat (Chief, Elegibility Division), 4 ottobre 1950. 91 AN, AJ 43, b. 476, fasc. 6, “Refugees from Zone B F.T.T.”, missiva di R.L. Gesner (Bagnoli) a D. Segat (Ginevra), 12 giugno 1951. 92 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 570, fasc. VII/20, “Rappresentanza Italiana Trieste, Situazione profughi nella Zona A di Trieste, telespresso ai ministeri degli esteri e dell’interno e all’Ufficio zone di confine presso la Presidenza del consiglio, 28 novembre 1951. 93 AN, AJ 43, b. 1044, fasc. 55/2, Verbale della riunione tra l’Iro e il governo italiano, al primo punto “Prospect of resettlement of refugees – 2000 Giulian refugees to be admitted in the USA”, 14 settembre 1950. Si trattava del Displaced Persons Act 1948 As Amended 1950, in cui la novità nella legislazione statunitense sull’immigrazione di displaced persons che riguardava i “giuliani” consisteva nelle clausole 2c e 2g: il testo in AN, AJ 43, 1053, fasc. 42/3/USA. 94 AN, AJ 43, b. 273/1/Ven-Giu, fasc. 1, “Iro, US Branch, Bagnoli, Emigration of Venezia-Giulia DPs under the U.S. D.P. Act, to Chief US Branch Iro Geneva, from J.P. Carmine”, 13 aprile 1950. 95 AN, AJ 43, b. 140, fasc. 34, “Note on a short interview with Mr. Rossi-Longhi in Rome – 3 September 1951, Description of day-to-day work of an Eligibility Officer in connection with refugees of Venezia Giulia”, di L.M. Hacking, Chief Historian (Iro). 96 AN, AJ 43, b. 140, f. 34, “Note of an interview with Capt. Thiene at Bagnoli on 7 September, 1951”. 97 AN, AJ 43, b. 140, f. 36, “Background notes on Trieste…” cit.; AN, AJ 43, b. 1041, f. 42/2, documenti 22 novembre 1947 – 6 luglio 1948 sulle difficoltà incontrate nel “reinsediamento di sloveni [presenti] nel Tlt in Argentina”; AN, AJ 43, b. 476, fasc. 6, “Appendix 4… Memorandum on the question of Refugees from Venezia–Giulia” cit. 98 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 565, fasc. IV/37, Relazione... cit. ora vedi qui capitolo III.3. 99 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 570, fasc. VII/20, “Ministero degli Affari Esteri, Appunto per S. E. il Ministro, Roma 30 luglio 1948”. Il quasi è aggiunto a penna nell’originale. 100 Sebbene apparentemente il Gma si riferisca ai soli interessati dalla “offerta Iro” (coloro che non hanno optato o la cui opzione è stata respinta), la cifra di 15.000 persone è in verità uguale alla stima delle “autorità italiane” risalente a un mese prima, di tutte le presenze di profughi dai territori ceduti nella zona A del Tlt, di cui il 10% non aveva optato; nella Repubblica italiana invece, ci sarebbero allora stati 73.000 “profughi giuliani” che avevano optato e 1.500 che non lo avevano fatto, AN, AJ 43, b. 1036, fasc. 32/1, G.F. Mentz, 9 giugno 1949; in totale fanno 89.500 persone. 101 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Confidential, Headquarters Allied Military Government, Emigration of Istrian Refugees, to the Italian Mission – Trieste”, 1. luglio 1949, corsivo di chi scrive. 102 La Direzione generale per l’emigrazione, per esempio, condivideva il parere della Delegazione italiana presso l’Iro “circa l’opportunità di compiere in Trieste stessa le operazioni di selezione dei profughi giuliani ivi rifugiati e ciò allo scopo di evitare il trasferimento in Italia di persone che possono non essere trovate idonee all’espatrio”, ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “M.A.E., D.G. Emigrazione, Assistenza ad alcune categorie di profughi giuliani” cit. 103 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Rappresentanza Italiana Trieste, Esuli istriani – emigrazione transoceanica a cura dell’Iro” cit., corsivo di chi scrive. 104 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “M. A.E., D.G. Affari politici, Delegazione Italiana per l’Iro, Appunto”, corsivo di chi scrive. 105 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Processo verbale della Riunione interministeriale “Profughi Giuliani – 15 luglio 1949” cit., Martelli. 106 Sebbene sembrerebbe che nella pratica nella zona A del Tlt si accettassero fin da subito anche le domande di chi ancora non aveva ricevuto il decreto di opzione, come in Italia: “Va rilevato, in 107 politiche e pratiche migratorie 83 proposito, che a quanto appare da un modello di dichiarazione del Comune di Trieste [...] delle facilitazioni anzidette già usufruirebbero, in pratica, anche coloro che sono tuttora in attesa di conoscere la decisione jugoslava”, ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Rappresentanza Italiana Trieste, Esuli istriani – emigrazione transoceanica a cura dell’Iro” cit., 11. luglio 1949. ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Appunto per il Direttore generale”, 18 agosto 1949. 108 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “D.G. Affari Politici Uff. IV°, Iro Assistenza ad alcune categorie di profughi giuliani”, telespresso alla Presidenza del consiglio dei ministri Ufficio zone di confine e per conoscenza Rappresentanza Italiana Trieste e Delegazione Italiana Iro, 26 agosto 1949. 109 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Presidenza Consiglio Ministri Uff. Zone Confine, a D.G Affari Politici uff. IV”, firmato Andreotti, 31 agosto 1949. 110 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Note sull’Iro di Trieste”, Cln per l’Istria cit. Le 1.734 domande sono riferite a singoli o nuclei famigliari, il numero delle persone era circa il doppio. 111 AN, AJ 43, b. 1053, fasc. 32/1/I A&B, “Intake Center, Trieste, Criteria and instructions to interviewers”, Area Intake Supervisor M.J. Sedmak jr., 26 settembre 1949. 112 AN, AJ 43, b. 1040, fasc. 38/7, “Report on Tour of Northern Area”, di Olivier e Canali (Iro), 20 novembre – 2 dicembre 1949, che toccarono Milano, Gorizia, Trieste, Venezia, Padova e Bologna. 113 114 AN, AJ 43, b. 1053, fasc. 32/1/I A&B, “Intake Center, Trieste, Criteria and instructions… cit. ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Note sull’Iro di Trieste”, Cln per l’Istria cit. 115 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Processo verbale della Riunione Interministeriale Profughi Giuliani del 23 Settembre 1949”, Talpo; la presenza di rappresentanti delle organizzazioni dei profughi era normale alle riunioni governative su temi inerenti. 116 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, “Processo verbale della Riunione Interministeriale Profughi Giuliani del 23 Settembre 1949 cit. 117 118 AN, AJ 43, b. 140, f. 36, “Background notes on Trieste…” cit. 119 Ibidem. AN, AJ 43, b. 1053, fasc. 32/1/I A&B, “Iro Out-of-camp registration program, Trieste Area, Eligibility Officer in charge Mr. Sedmak”: l’Iro Trieste Area comprendeva i seguenti comitati provinciali: Trieste, Gorizia, Udine, Verona, Padova, Treviso, Venezia, Vicenza, Bolzano, Belluno e Trento; AN, AJ 43, b. 140, f. 36, “Background notes on Trieste…” cit. Anche per la Casa dell’Emigrante. 120 121 AN, AJ 43, b. 1038, fasc. 34/1; b. 1039, fasc. s.n° (ultimo). AMG, Natural Movement Immigration Emigration... cit., p. 79; AN, AJ 43, b. 140, f. 36, “Background notes on Trieste…” cit. 122 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 570, fasc. VII/20, “Office of the Military Governor, Emigration from the British/U.S. Zone F.T.T., to the Italian Mission Trieste, P.D. Miller, Colonel, Senior Staff Officer”, 7 ottobre 1950. 123 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 570, fasc. VII/20, “Rappresentanza Italiana Trieste, Emigrazione dalla Zona anglo-americana del Tlt, al Ministero degli affari esteri”, R. Di Carrobio, 9 ottobre 1950, con annotazioni a penna e in trascrizione allegata. Nel giugno 1947 alla conferenza per l’Erp il ministro degli esteri Sforza propose di creare un comitato per lo studio delle migrazioni di lavoro, Besana, Accordi internazionali ed emigrazione... cit., p. 15. 124 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 570, fasc. VII/20, “D.G. Affari Politici Ufficio IV°, Emigrazione dalla Zona anglo-americana del Tlt, Appunto per la Dir. Gen. Dell’emigrazione”. 125 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Italia, b. 513, fasc. VII/18, Comitato misto dell’Iro (Iro e governo italiano), riunione Gruppo studi trasporti, 13 settembre 1950. 126 84 ASMAE, Affari Politici, 1946-1950, Italia 1950, b. 246, fasc. 3, “MAE, D.G. Affari economici, Programma edilizio di emergenza – Trieste, al Ministero del tesoro, alla Presidenza del consiglio Ufficio zone di confine, al Mae D.G. Affari politici IV°”, 18 novembre 1950. L’argomento era stato incluso anche all’ordine del giorno del Comitato interministeriale per il coordinamento tra l’economia italiana e l’economia triestina. 127 ASMAE, Affari Politici, 1946-1950, Italia 1950, b. 246, fasc. 1, “Rappresentanza Italiana Trieste, Situazione nel Tlt, al Ministero degli affari esteri”, R. Di Carrobio, 15 febbraio 1951. 128 129 UNHCRA, High Commissioner Doc., Amg, Natural Movement Immigration Emigration... cit, pp 1 e 72. Il Gma sosteneva anche delle spese per i profughi stranieri, ASMAE, Affari Politici 1950-1957, Trieste, b. 570, fasc. VII/20, “Rappresentanza Italiana Trieste, Situazione profughi nella Zona A di Trieste... cit., 28 novembre 1951. 130 ASMAE, Affari Politici, 1950-1957, Trieste, b. 570, fasc. VII/20, “Mae, D.G. Affari Politici, Servizio stranieri, Appunto per l’ufficio contabile”, 11 febbraio 1952. 131 IOMLHS, Provisional Intergovernmental Committee for the Movement of Migrants from Europe (Picmme), Second Session, February 1952, PIC/25/Rev. 2, p. 7. 132 IOMLHS, Picmme, Second Session, February 1952, PIC/26, p. 11. Il movimento sarebbe stato finanziato allo tesso modo di quello dall’Italia: i costi della selezione e del movimento interno era a carico dalle autorità locali, che contribuivano anche circa 60 dollari per il trasporto via mare di ogni emigrante indigente, mentre la restante parte del costo del trasporto veniva coperta da un sussidio del Comitato, ivi. 133 Sull’argomento diversi autori e valutazioni; per un elenco delle direzioni e degli uffici in questione Volk, Istra v Trstu... cit., pp. 172-173. Progetti in questo senso, il cui schema sembra precorre quello adottato nel ’52, esistevano però già da alcuni anni: nel gennaio 1950 il Rappresentante italiano a Trieste A. Castellani inviò a Roma alcune “Eventuali proposte per una riforma dell’organizzazione del Gma”, in cui suggeriva che “si dovrebbe insistere affinché nella più larga misura possibile venissero preposti funzionari italiani di ruolo ai vari uffici [...] da designarsi dalle Amministrazioni italiane e da nominarsi dal Gma [... che] trasferirebbero in effetti un certo numero di attività in mani italiane, salvo sempre la supervisione del Gma”, ASMAE, Affari Politici, 1946-1950, Italia 1950, b. 246, fasc. 1, 23 gennaio 1950. 134 ASMAE, Affari Politici 1950-1957, Trieste, b. 570, fasc. VII/20, “Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio per le Zone di Confine, Appunto, Sistemazioni alloggiative dei profughi giuliani in Trieste”, 4 settembre 1952. 135 ASMAE, Affari Politici 1950-1957, Trieste, b. 570, fasc. VII/20, “Trasferimento dei profughi stranieri da Trieste, Riunione al Ministero Affari Esteri (D.G. A.P. – Serv. Stranieri) del 3 Settembre 1952”. Il consigliere politico cui si fa riferimento va verosimilmente identificato con Diego De Castro, nominato consigliere politico italiano presso il Gma in seguito agli accordi di Londra del maggio 1952, Volk, Istra v Trstu... cit., pp. 114, 173. 136 IOMLHS, Picmme, Fourth Session, October 1952, PIC/97/Rev. 2, “Fourth Session, Resolution No. 43, Resolution on refugees from Trieste (Adopted at the 39th Meeting, 21 October 1952 )”. 137 IOMLHS, Picmme, Fourth Session, October 1952, PIC/71/Add,1, “Revision of estimated programme 1953”. 138 IOMLHS, b. Refugees Europe – Countries – Trieste, file H/2/2/2, “Trieste and Solution of Its Hardcore Refugee Problem, Dr. Edgar H.S. Chandler, Director, Field Operations, WCC, to Miss Marjorie Bradford, Liaison, Voluntary Societies, Icem” (Cime), 9 dicembre 1952. Nel rapporto i greci risultano costituire un problema particolare in quanto “comunisti e quindi inaccettabili come migranti”, mentre era di segno opposto l’orientamento dei bulgari che “resistono fortissimamente a ogni sforzo di reinsediamento perché aspettano di arruolarsi nella brigata internazionale della Nato” (virgolettata nell’originale). 139 Con sede in via Battisti 10, mentre l’ufficio operativo era in passeggio S. Andrea 23, IOMLHS, b. Refugees Europe – Countries – Trieste, file H/2/2/2, “Icem-Cime, Trieste Liaison Office, Australian Mass Program in Trieste”, 16 ottobre 1953. 140 politiche e pratiche migratorie 85 “Quando verrà completata, questa operazione costituirà un valido strumento per il lavoro in cooperazione e per concentrare l’attenzione sulle famiglie che sono casi sociali o di difficile reinsediamento. La sua utilità viene naturalmente sperimentata sui casi correnti per i quali si collabora a costituire una documentazione comune mentre si vanno raccogliendo i dati, ma molto rimane da essere fatto al fine di completare e collazionare la documentazione che è ora sparsa o in sospeso sui vecchi casi di cui si occuperà il nostro attuale progetto”, IOMLHS, b. Refugees Europe – Countries – Trieste, file H/2/2/2, “A Project to resettle refugees from Trieste barred from normal resettlement opportunities, Headquarters – Migration Committee”, 17 dicembre 1952. 141 IOMLHS, b. Refugees Europe – Countries – Trieste, file H/2/2/2, “A Project to resettle refugees from Trieste barred from normal resettlement opportunities, Headquarters – Migration Committee”, 17 dicembre 1952. 142 IOMLHS, Intergovernmental Committee for European Migration (Icem), Fifth Session, April 1953, MC/9/Rev. 1, pp. 10, 23-24. 143 144 IOMLHS, Icem, Sixth Session, October 1953, MC/33, p. 5. “Senza scendere nel dettaglio, è noto che diversi Venezia-Giulian sono stati trasferiti dal Cime, ma avevano optato per la cittadinanza italiana e viaggiavano con passaporto italiano, rendendo difficile identificarli separatamente”, IOMLHS, b. Statistics, Movements yearly 1952-1958, file H/4/ 2, doc. 6/1/GEN, rapporto di P.C. Jarrell dell’Office of Operations Cime del 25. 6. 1953 al console statunitense di Ginevra. Per diversi dati, ma soltanto sui “cittadini” emigrati con il Cime da Trieste, si veda Fait, L’emigrazione giuliana in Australia... cit. 145 In generale nel 1954 il Cime superò i propri obiettivi, aumentando di quasi il 40% gli emigranti rispetto all’anno precedente. I due fattori principali che determinarono tale aumento furono da un lato il successo dei programmi per le ricongiunzioni famigliari, dall’altro le emigrazioni verso l’Australia in base a diversi accordi bilaterali. L’aumento più rilevante fu conseguito proprio a Trieste (+324%), dove la destinazione australiana svolse il ruolo decisivo, IOMLHS, Icem, Council, Second Session, April-May 1955, MC/128, pp. 9, 13. 146 L’importanza della meta australiana per l’emigrazione da Trieste soprattutto negli anni Cinquanta è nota, Donato, Nodari, L’emigrazione giuliana nel mondo cit., G. Cresciani (a cura di), Giuliano dalmati in Australia: contributi e testimonianze per una storia, Trieste 1999 e Fait, L’emigrazione giuliana in Australia... cit. Va comunque rilevato che gli Usa contribuirono finanziariamente al reinsediamento di una parte degli rifugiati anche in paesi terzi. 147 P. Bevilacqua, A. De Clementi, E. Franzina (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana. Partenze, Roma 2001. 148 149 Fait, L’emigrazione giuliana in Australia... cit., pp. 62-67 e 126-127. In questo modo, però, si contribuì probabilmente anche al diffondersi, a Trieste, della percezione che scelte decisive venissero fatte senza tenere conto degli interessi di una parte consistente della popolazione locale; in proposito si veda per esempio J.C. Davis, Zone A in the Early 1950s, as We Americans Knew It, in Panjek (a cura di), Pogledi od zunaj.../Visti da fuori.../Views from the Outside... cit., p. 152. 150 86