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Per saperne di più sul Life Cycle puoi scaricare gli
previnforma.it http://w w w .previnforma.it/w ordpress/2011/03/05/life-cycle1-opportunita-o-vincolo-un-dibattito/ Life Cycle/1. Opportunità o vincolo? Un dibattito L’adesione ad un Fondo di previdenza complementare, anche a quelli di tipo negoziale, è volontaria e, come si sa, è presente – quasi sempre – una, seppur piccola, componente di rischio nell’investimento finanziario. Quindi, una corretta, continuativa informazione verso l’aderente assume particolare importanza. Spesso il lavoratore più che attraverso una scelta autonoma, compie questo passo sospinto da uno stato di necessità, incalzato dalla minore copertura della previdenza pubblica, quando non semplicemente dalla voglia di un risparmio tout court o semplicemente dalla volontà di non rinunciare al contributo del datore di lavoro. In molti casi ci si confronta con una platea di aderenti sfornita di cultura finanziaria, impegnata com’è sul fronte quotidiano del lavoro e del reddito. Difficile, in molte di queste situazioni, raggiungere un grado sufficiente di consapevolezza nell’investimento, nel valutare correttamente le opportunità/necessità di cambi nei profili d’investimento. Viene qui, dunque, in soccorso, per chi lo ritiene, l’opzione cosiddetta del Life Cycle, che consente di adeguare il rischio presente in un Fondo pensione all’età dell’aderente, ovvero il rischio dell’investimento diminuisce (a tappe prefissate) all’aumentare dell’età: un giovane aderente, ad esempio, comincia con investimenti in cui c’è maggiore presenza di azionario, per passare poi dopo un certo numero di anni, a investimenti più bilanciati, per arrivare, a ridosso dell’età pensionabile, a investimenti “garantiti”, conservativi. Per ora, solo un Fondo pensione negoziale ha adottato questa tecnica (Previmoda), più presente tra altri prodotti di mercato. Il dibattito che qui proponiamo potrà essere sviluppato, ovviamente, sia su argomentazioni “pro” che “contro”, ma crediamo che sia particolarmente importante arricchire la proposta, suggerendo forme applicative funzionali, magari flessibili, che abbiano non solo un valore di tutela dell’investimento, ma anche una finalità e un valore informativi; che dotino, insomma, l’aderente di più consapevolezza sull suo investimento pensionistico. Gli articoli dello “Speciale Life Cycle” Life Life Life Life Life Life Life Cycle/2. Cos’è, come funziona, a cosa serve, di Tiziana Tafaro Cycle/3. L’Optimal Investment Strategy, di Paolo De Angelis Cycle/4. La sfida del modello, di Mauro Bichelli Cycle/5. Nuove strategie per le risorse, di Maurizio Agazzi Cycle/6. Investimenti per i fondi pensione: fondamenti e analisi, di Riccardo Cesari Cycle/7. Cinque risposte a favore, di Enrico Zanzottera Cycle/8. Come aiutare gli iscritti a non perdere la strada, di Giuseppe Chianese e Andrea Mariani previnforma.it http://w w w .previnforma.it/w ordpress/2011/03/05/life-cycle2-cos%e2%80%99e-come-funziona-a-cosa-serv Life Cycle/2. Cos’è, come funziona, a cosa serve? Nell’ambito della previdenza complementare, si sente spesso parlare della cosiddetta “soluzione Life cycle”, intendendo, con ciò, una modalità di adeguamento dell’investimento previdenziale in base alle caratteristiche anagrafiche proprie dell’aderente. Esistono molte tipologie di life cycle diverse tra loro, perché nel tempo la metodologia di base si è evoluta per far fronte alle varie problematiche che si sono presentate. Così, mentre inizialmente la metodologia era considerata del tipo get and forget (scegliere inizialmente e non pensarci più), ossia legata ad un insieme di investimenti scelti in funzione della durata (target date) e conservati fino a scadenza, si è poi assistito ad un’evoluzione dinamica della stessa, in cui la scelta dell’investimento, pur rimanendo legata al momento del pensionamento, viene monitorata e aggiornata in funzione dell’evoluzione del mercato (target date dinamico). Successivamente, si è sviluppata la metodologia cosiddetta target risk, in cui la scelta dell’investimento è legata alla propensione al rischio dell’iscritto, supponendo che questa cambi con l’età. In questo caso, quindi, l’investimento del singolo aderente, anno per anno, viene spostato da una tipologia iniziale di investimento “di crescita” ad una tipologia di investimento “garantito” nelle età più vicine al pensionamento. Per ogni età ci sarà quindi una composizione del rischio considerata ottimale. In tal modo, in teoria, al termine del periodo di ciclo lavorativo, l’aderente dovrebbe beneficiare del massimo rendimento possibile, minimizzando nello stesso tempo il rischio finanziario. Utilizzando l’attuale struttura per comparti dei Fondi pensione complementari, una prima applicazione del Life cycle potrebbe consistere semplicemente nel legare un passaggio di comparto all’età dell’iscritto. E’ una soluzione operativa che permette di utilizzare l’attuale struttura, le risorse già a disposizione del Fondo pensione, senza la necessità di cambiare l’iter di scelta degli investimenti. Sarebbe inoltre garantita la portabilità della posizione individuale in caso di cambio Fondo. Per ogni età, si dovrebbe quindi definire una combinazione di investimenti nei vari comparti, tale da rappresentare il rischio relativo a quel periodo della vita. A mio parere, in questo caso è comunque necessario rendere il passaggio automatico, attraverso una scelta iniziale della modalità Life cycle, senza richiedere ogni volta una conferma da parte dell’iscritto, e graduale, aggiornando la combinazione per minimizzare il rischio di sbagliare il market timing. Bisogna inoltre tenere conto anche di eventuali costi legati al cambio di comparto. L’applicazione del Life cycle alla previdenza complementare italiana pone infine parecchi interrogativi, in parte legati alla normativa, in parte evidenziati dall’attuale difficile situazione economica. In primo luogo secondo l’attuale normativa è possibile chiedere anticipazioni della prestazione durante il periodo di attività, quasi sempre per motivi specifici ma per un 30% anche senza motivo. Tale possibilità è lontana dal risparmio previdenziale in senso classico; in un investimento di tipo Life cycle, infatti, un disinvestimento prima della scadenza potrebbe portare a consolidare delle perdite che altrimenti sarebbero ammortizzate nel periodo successivo. Il ricorso all’anticipazione dovrebbe avvenire solo in casi estremi. Il recente periodo di crisi economica ha invece messo in luce l’utilizzo della posizione individuale come ammortizzatore in caso di mancanza di lavoro, assimilandolo così al vecchio Tfr. Per risolvere in parte il problema delle anticipazioni, si potrebbe prevedere un Life cycle con scadenze diverse, considerando, quindi, una parte del conto individuale destinato ad una scadenza di medio periodo (per esempio, acquisto della casa, spese per l’università di un figlio…) e la parte rimanente destinata alla previdenza in senso stretto. L’evento perdita del lavoro, invece, andrebbe protetto con una differente modalità, quale, ad esempio, una garanzia solidaristica coperta dal Fondo con un contributo ad hoc. Un approfondimento a parte andrebbe, poi, fatto su un eventuale rendimento garantito, da affiancare alla scelta Life cycle in circostanze particolari (quali, per esempio, quelle di coloro che hanno maturato i requisiti di pensionamento durante la passata crisi finanziaria). Potrebbe essere previsto solo in particolari condizioni, quali assenza di anticipazioni, permanenza nel Fondo, uscita per pensionamento. Insomma, la ricetta perfetta ancora non esiste, ma usando gli ingredienti già esistenti si può arrivare ad un sistema di previdenza complementare più funzionale per gli aderenti. Tiziana Tafaro, attuario, Studio Attuariale Orrù & Associati previnforma.it http://w w w .previnforma.it/w ordpress/2011/03/05/life-cycle3-l%e2%80%99optimal-investment-strategy/ Life Cycle/3. L’Optimal Investment Strategy L’aderente a un fondo pensioni ha – nel momento in cui deve scegliere in quale comparto far confluire il proprio risparmio previdenziale – una posizione assimilabile a quella di un Investment Decision Maker; e in tale processo decisionale, persegue contemporaneamente due obiettivi: la massimizzazione del rendimento dei contributi versati e l’adeguatezza della prestazione pensionabile. Quest’ultima misurabile tramite il rapporto di sostituzione, ovvero l’indicatore che esprime il rapporto di scambio tra pensione liquidata e salario percepito al momento del pensionamento. I due obbiettivi sembrano concordanti, ma solo apparentemente lo sono, nel senso che la realizzazione del primo dovrebbe comportare il raggiungimento del secondo; questo ovviamente avviene solo in un mondo neutrale al rischio, ovvero nel mondo in cui tutti gli operatori non richiedono un premio per il rischio ed ogni investimento offre un rendimento certo costante. Quindi ogni aderente, nella gestione della propria posizione previdenziale, deve fare i conti con il rischio connesso ad ogni scelta finanziaria, inteso quest’ultimo – il rischio – come la probabilità di uno sfavorevole scostamento del rendimento osservato rispetto al rendimento atteso e, dunque, con effetti negativi sul livello di adeguatezza sperato durante la fase di accumulo dei contributi. Il Life Cycle Approach sembra essere una risposta adeguata nell’affannosa ricerca dell’equilibrio tra i due obbiettivi. Nella classe delle Optimal Life Cycle Investment Strategies si collocano tutte le strategie che prevedono un totale o parziale automatismo nella ricalibrazione dell’asset mix dell’investimento previdenziale tra componente rischiosa (equity) e componente non rischiosa (bond), in funzione dell’età raggiunta dall’aderente; in particolare, l’assunto di base è che in età giovanile si è più favorevoli al rischio rispetto alla maturità e di conseguenza gli anziani, ovvero coloro che sono prossimi al pensionamento, preferiscono investire su asset più conservativi in vista del raggiungimento dell’età del pensionamento. Non v’è dubbio che l’approccio della riduzione programmata a date o età prefissate della componente più rischiosa a favore di quella meno rischiosa risulta coerente con la teoria economica del Life Cycle, così come proposta nell’originale lavoro di Bodie, Merton e Samuelson [1992], e compatibile con una visione individuale della propensione al rischio in ragione dell’età, del benessere economico – misurato dal valore del patrimonio individuale disponibile (capitale finanziario) – della capacità di produrre ricchezza prospettica attraverso la capacità di lavoro (capitale umano) e del livello di istruzione. È ampiamente dimostrato, in letteratura, che alcune caratteristiche soggettive dell’individuo influiscono sulla sua maggiore o minore avversione al rischio: l’età è tipicamente un fattore a correlazione positiva con l’avversione al rischio, così come la ricchezza individuale è a correlazione negativa; una platea di aderenti caratterizzati da un basso salario (questo potrebbe essere il caso del mondo operaio) e da una modesta flessibilità sul piano dell’offerta della propria capacità lavorativa, preferirà uno stile di gestione improntato a una strategia conservativa. Ma molto spesso e, questo può essere il caso, ciò che è proposto nella letteratura scientifica come un’opportunità per ottenere la migliore soluzione di investimento e, quindi, realizzare obiettivi di creazione del valore nel rispetto di requisiti di ottimizzazione, sembra cadere in qualche contraddizione sul piano applicativo. Appare utile, a questo fine, osservare, nel mondo reale, quale sia lo schema operativo offerto dai Fondi pensione che adottano tale stile di gestione. Si veda – a puro titolo di esempio – il caso del Fondo pensione Previmoda. Il Regolamento del multicomparto prevede, quale scelta di default, la selezione del profilo Life Cycle, attuato con un schema di switch automatici dell’intero montante previdenziale dal comparto più aggressivo “Comparto Rubino” al “Comparto Garantito”, con periodi di permanenza in ciascuno dei comparti in ragione di una regola che tiene conto degli anni mancanti al pensionamento; la scelta verso il profilo Life Cycle non è a senso unico e il Regolamento consente durante la fase di accumulazione anche l’uscita dallo schema. Vediamo quali sono i punti di debolezza che si possono cogliere nell’approccio proposto: - la gestione di tipo collettivo delle risorse previdenziali – tipica nell’ordinamento previdenziale italiano – non può che esprimere in media le preferenze dei singoli aderenti, limitandone quindi la scelta in ragione del più appropriato profilo individuale di rischio/rendimento; d’altra parte, sotto il profilo gestionale, non poche sarebbero le complicazioni di una conduzione finanziaria che replichi il profilo di rischio di ciascun aderente; - il meccanismo dell’automatismo può creare un effetto discriminate tra diversi gruppi di aderenti in ragione del momento di mercato in cui avviene lo switch automatico da un profilo di investimento (comparto) più rischioso ad un profilo più conservativo; si pensi, ad esempio, a una potenziale platea di aderenti che si fosse trovata, all’indomani del crash di mercato del 2008, a transitare verso un comparto più conservativo, con una perdita di valore della propria posizione individuale e senza alcuna possibilità di un recupero negli anni residui prima del pensionamento; - l’eccessiva limitazione nella libertà individuale di decisione completamente tutelata dall’attuale normativa. A fronte dei punti di debolezza sopra evidenziati – a giudizio di chi scrive – l’approccio del Life Cycle ha l’indubbio vantaggio di sollevare l’aderente da qualsiasi dubbio nella scelta del profilo di investimento, posizione particolarmente gradita a soggetti non dotati di una specifica cultura finanziaria e, quindi, non pienamente consapevoli delle decisioni che vanno ad assumere. Nel Life Cycle ci sono opportunità per l’aderente del Fondo pensione. Interpretato operativamente nell’ambito dei Fondi pensione italiani, può trovare una ragionevole razionalizzazione introducendo nello schema operativo un’ulteriore variabile di controllo: il “rendimento target” ovvero il “valore target del montante contributivo”. Un recente studio [Basu, Byrne e Drew (2009)], condotto da ricercatori della Griffith Business School in collaborazione con la University of Edimburg e la Queensland University of Technology, ha dimostrato come i rendimenti dei Life Cycle tradizionali nel lungo periodo siano di gran lunga superati da quelli del Dynamic Life Cycle. Nel Life Cycle dinamico l’aderente fissa un rendimento target, ovvero un ammontare obiettivo del montante contributi da raggiungere entro un prefissato numero di anni; la regola di switch automatico da un profilo aggressivo verso un profilo più conservativo è condizionata contemporaneamente dal raggiungimento del numero di anni di permanenza e dal superamento del montante target; successivamente al passaggio automatico, è eseguito il monitoraggio annuale del montante contributivo rispetto al target e l’eventualità di una caduta sotto la soglia produce una revisione dell’asset allocation verso attivi più rischiosi. Nello studio citato, sono riportati i risultati di una simulazione comparativa tra Il Dynamic Life Cycle e il Life Cycle, con evidenza di una migliore performance del primo rispetto al secondo; la sperimentazione è stata realizzata ricorrendo a tecniche di simulazione applicate sui dati del mercato finanziario statunitense: nell’80-85% delle simulazioni il Dynamic Life Cycle batte l’approccio tradizionale in termini di livello del montante contributi al pensionamento. L’approccio dinamico, pur tenendo opportunamente conto dell’età dell’aderente, non appare dissimile dalle tradizionali strategie di tipo Constant Proportion Portfolio Insurance con gestione dinamica della barriera del rendimento. Peraltro, una variante dell’impostazione esaminata nello studio citato potrebbe essere ravvisata nell’introduzione della variabile di controllo “rapporto di sostituzione”, strettamente correlata alla variabile montante contributi target. In definitiva, le strategie di tipo Life Cycle oggi proposte sul mercato previdenziale italiano possono essere opportunamente modificate e/o integrate con l’inserimento di variabili di controllo, strettamente correlate ad indicatori di adeguatezza; in tal senso, una soluzione di questo tipo potrebbe coniugare, in un equilibrato sistema di decisione, la realizzazione degli obiettivi di massimizzazione del rendimento e adeguatezza della prestazione, già discussi all’inizio di questo articolo. Paolo De Angelis, ordinario di Matematica Finanziaria ed Attuariale, Università di Roma “La Sapienza”, attuario previnforma.it http://w w w .previnforma.it/w ordpress/2011/03/05/life-cycle4-la-sfida-del-modello/ Life cycle/4. La sfida del modello L’obiettivo di un Fondo pensione a capitalizzazione è quello di dare l’opportunità ai lavoratori di oggi di accantonare sufficienti risorse nel tempo per avere un adeguato livello di vita domani. La teoria finanziaria, da tempo, ha individuato all’interno degli attivi finanziari, per periodi lunghi, quelli ritenuti maggiormente rischiosi, le azioni, e quelli con una minore alea di rischio, le obbligazioni. L’investimento life cycle consiste nell’individuazione di una Asset Allocation dinamica modellata in base alle caratteristiche individuali, variabile nel tempo fino al momento in cui si raggiunge l’età della pensione. L’obiettivo di lungo periodo di precostituire “sufficienti risorse per un adeguato tenore di vita“ si coniuga con l’obiettivo di mantenere stabile nel tempo la rischiosità del portafoglio d’investimento del lavoratore . Poco importa qui definire quale sia il modello maggiormente efficace con il quale fare una proposta ai lavoratori: se sia il life cycle a cambi automatici oppure quello di tipo target date (sezionando i lavoratori in base al periodo residuo prima della data di pensionamento) o se sia più adeguato un modello di target risk che, sulla base del profilo di rischio del singolo individuo, indica i momenti di switch dai comparti a maggiore rischio verso quelli più sicuri. La questione centrale è il valore intrinseco che si esprime attraverso una proposta di questo genere. Nel corso di questi anni, la previdenza complementare, a dispetto di quanto sostengono alcuni, ha progressivamente maturato alcuni successi; proviamo a elencarli: 1. la notevole diversificazione del portafoglio di investimento degli iscritti, in un periodo mediolungo (dalla sua nascita), ha prodotto risultati migliori degli strumenti similari (Pip, Fondi pensione aperti), sia in termini di rendimento, sia – e questo è il dato rilevante – in termini di rischio assunto a parità di rendimento raggiunto; 2. un notevole contenimento dei costi, superiore mediamente finora a quello realizzato dagli altri soggetti; 3. una pressione su tutto il mercato di riferimento per una maggiore trasparenza nella lettura dei dati finanziari e nella proposta di strumenti di controllo del conto pensionistico. Come si vede, sono risultati che sono legati alla natura stessa dei soggetti promotori, i Fondi pensione contrattuali. Questi, nascendo in rappresentanza dei lavoratori e delle aziende si sono preoccupati di modellare tempo per tempo, e nei limiti delle risorse disponibili, una forma di proposta “su misura” (in inglese, tailored) che fosse vicina alle esigenze dei lavoratori quanto a congruità dei rischi da assumere e a qualità e capacità di controllo. Dunque, maggiore controllo e trasparenza su una scelta importante della vita di ciascuno, che si forma tuttavia all’interno di un quadro normativo che consegna al lavoratore, e a lui soltanto, la scelta di quale profilo finanziario selezionare. È proprio qui il punto. Cedendo a una banalizzazione è come decidere, usando una lavatrice, tra due opzioni possibili: selezionare un programma automatico per il lavaggio dei capi delicati oppure la selezione manuale: scegliere, di volta in volta, le diverse fasi del lavaggio, per avere lo stesso risultato e non rischiare che ne esca un vestito rovinato. Certo, se avessi tempo e fossi certo di comprendere appieno tutte le indicazioni del libretto di istruzioni, potrei riuscire ad avere lo stesso risultato, ma sono proprio questi elementi e la loro scarsità (tempo e certezza di cogliere appieno i rischi di una selezione di fase lavaggio errata) che mi fanno propendere per la prima scelta. Tutti adottiamo il selettore automatico e… tutti adotteremmo il profilo life cycle se ci fosse la possibilità, proprio perché abbiamo l’impressione che, anche leggendo tutto il libretto di istruzioni (la Nota informativa), questo non sarebbe sufficiente a farci capire con precisione il momento di selezionare il comparto successivo. Ora, per tornare alla previdenza complementare e alla nostra ambizione – e cioè quella di creare un modello che si adatti il più possibile al profilo del lavoratore – va avviata una riflessione. Non possono sfuggire alcuni connotati che dovranno essere tenuti in considerazione per costruire un modello aderente alla realtà: - l’esperienza di Previmoda e molte simili realizzate in America, hanno messo in evidenza che un numero significativo di iscritti ha scelto un profilo di investimento diverso da quello che la teoria finanziaria gli assegnerebbe: non è possibile fargli cambiare idea immediatamente, è necessario quindi costruire la proposta life cycle come profilo di default; - se il Fondo ha raggiunto fino ad ora solo una parte della popolazione iscrivibile (ad esempio il 10% del potenziale, come per Fondapi) l’analisi attuariale dei profili individuali degli iscritti dice abbastanza poco della popolazione cui sarà destinata la proposta (l’altro 90%); - se il Fondo è intercategoriale, ancora maggiori saranno le differenze tra gli iscritti attuali e i potenziali (Fondapi rappresenta undici contratti); - in ultimo, e si tratta di un problema di adeguamento del modello di notevole impatto nella sua progettazione, non possono essere trascurati né gli effetti di turn over nel lavoro (cambio del posto di lavoro) né le frequenze di anticipo. Se dobbiamo cioè immaginare di creare un modello che risponda alle esigenze di pianificazione finanziaria dell’individuo, va effettuata una correzione dei dati sulla base degli eventi legati al periodo di accumulazione, perché tali necessità sono esse stesse lo specchio del profilo del lavoratore iscritto alla nostra previdenza complementare. Il lavoratore può aver necessità di chiedere un anticipo durante il periodo di permanenza nel profilo life cycle e può aver cambiato settore di riferimento (pur rimanendo nello stesso Fondo pensione: è il caso degli aderenti a Fondapi, Cooperlavoro, ecc.) e quindi cambiare la sua dinamica salariale. Ora la sfida passa agli attuari. M auro Bichelli, Direttore generale Fondapi previnforma.it http://w w w .previnforma.it/w ordpress/2011/05/08/life-cycle5-nuove-strategie-per-le-risorse/ Life Cycle/5. Nuove strategie per le risorse Pubblichiamo un articolo di Maurizio Agazzi già comparso nel numero 41 (giugno 2010) delle Newsletter Mefop. La presentazione del seminario Mefop su “Le strategie automatiche di riallocazione delle risorse: vantaggi, criticità, esperienze” dello scorso aprile si apriva giustamente con l’affermazione “L’inerzia nelle scelte di investimento da parte degli aderenti e il conseguente rischio di mancato raggiungimento dei loro obiettivi previdenziali hanno richiamato l’attenzione degli operatori del settore sull’opportunità di prevedere strategie di riallocazione automatica delle risorse.” È indubbio che il problema del raggiungimento degli obiettivi pensionistici, alla luce anche della pesante crisi che ha coinvolto le economie e i mercati finanziari nel corso dell’ultimo biennio e dalla quale non si è ancora usciti, riproponga l’esigenza di una valutazione puntuale sulla capacità del secondo pilastro di svolgere la missione assegnata. Ciò non di meno è altrettanto evidente che il problema delle scelte finanziarie assunte dagli aderenti alla previdenza complementare muova, nei paesi con un maggiore sviluppo della previdenza complementare, dall’esigenza di evitare rischi eccessivi nella parte finale della vita lavorativa e si innesti nel nostro Paese sull’esigenza opposta di spingere gli aderenti alla previdenza complementare, nella fase iniziale di adesione, ad assumere maggiori “rischi”. A fronte di strategie di riallocazione automatiche delle risorse che possono senza dubbio rappresentare una risposta collettiva alla scarsa consapevolezza dei bisogni pensionistici, appare di fondamentale importanza l’adozione di norme e di prassi che consentano ai lavoratori italiani una adesione consapevole alla previdenza complementare. Tale adesione può essere realizzata solo attraverso il coinvolgimento pieno e coordinato di tutti i soggetti interessati ed è essenziale il ruolo delle Istituzioni, cui viene richiesto di privilegiare l’informazione puntuale sulle prestazioni della previdenza di base e sulla necessità, per i lavoratori, e per i cittadini in generale, di dotarsi della previdenza di secondo pilastro a partire dall’ingresso nel mondo del lavoro. Alle Istituzioni viene anche richiesto di riflettere se l’anomalia italiana, derivata dalla necessità di accelerare l’adesione alla previdenza complementare e che ha portato al superamento della distinzione tra secondo e terzo pilastro e alla parificazione tra i diversi soggetti (fondi negoziali e forme private di previdenza complementare) sia una scelta efficace e consenta effettivamente uno sviluppo armonico e consapevole del secondo pilastro nel nostro Paese. I risultati a distanza di tre anni dall’avvio del D.LGS252/05 non sembrano consentire facili ottimismi, né in termini di adesioni né in termini di crescita di consapevolezza del problema o di fiducia nei confronti dello strumento Fondo pensione. A fronte di questa situazione non deve apparire antistorica una riflessione su strumenti e ruolo del secondo pilastro che possa comportare una revisione anche profonda di ruoli, soggetti e obiettivi. Una scelta semplicistica di soluzioni “automatiche” rischia di non cogliere i diversi obiettivi della previdenza complementare, di ingenerare errate speranze tra gli aderenti non supportate da risultati efficaci ed in linea con le premesse teoriche del Life Cycle. Non va dimenticato, inoltre, che a fianco del ciclo di vita anagrafico esistono anche altri cicli di “vita” quali l’occupazione, la carriera lavorativa, le modifiche di stato civile , le riforme della pensione di primo pilastro, che possono determinare variazioni anche significative dei bisogni pensionistici a fronte dei quali la semplice riallocazione predeterminata delle risorse in base all’età anagrafica può apparire una risposta insufficiente quando non sbagliata. Di più la ricerca di un meccanismo automatico come panacea che sottovaluti, o eviti, perché complicata nelle adesioni collettive, la necessità di costruire un’adesione consapevole alla previdenza complementare comporta l’adozione di una serie di garanzie contrattuali a tutela degli aderenti che ne renderebbero ancora più onerosa, in termini di costi, l’adesione. Queste problematiche imporranno di affrontare in termini stringenti le tematiche delle prestazioni accessorie in termini di costruzione, ed è urgente, di soluzioni che completino le risposte previdenziali costruite attraverso l’investimento finanziario. Il tema delle prestazioni accessorie e del conseguente contenimento dei rischi assumibili e degli obiettivi da realizzarsi attraverso la gestione finanziaria deve interessare gli attori della previdenza complementare indipendentemente dalle strategie adottate anche alla luce del problema dell’ammontare della rendita percepibile al termine della fase di accumulazione. Occorre riflettere in modo accurato sulla effettiva capacità, una volta raggiunta la fase di godimento della prestazione pensionistica, di contribuire alla copertura della riduzione della pensione pubblica. Il sistema delle rendite erogate secondo le regole assicurative sottostà a due condizioni: l’ammontare del montante da trasformare in rendita e il coefficiente di trasformazione. Se il capitale raggiunto al momento della trasformazione in rendita può essere governabile attraverso l’ammontare della contribuzione e le scelte di investimento, il coefficiente di trasformazione è legato alle tabelle di mortalità peraltro in vigore al momento della prestazione e non già nella fase di contribuzione; ne consegue che a fronte di contribuzioni non elevate ( o per ridotta capacità di risparmio o per anzianità contributiva insufficiente) e alla luce dell’allungamento della vita media, il secondo pilastro rischia al momento dell’erogazione di non essere adeguato a garantire l’equilibrio appunto tra 1° e 2° pilastro producendo generazioni di “anziani poveri” che riproporranno il problema pensionistico al Paese e al suo Governo. La strategia Life Cycle o data target può, dunque, trovare una sua collocazione nel terzo pilastro e il secondo pilastro deve trovare una qualche forma, quantomeno organizzativa o di ripartizione della contribuzione versata, di differenziazione dal terzo pilastro. Riguardo al secondo pilastro vorrei affrontare brevemente alcune questioni legate agli investimenti di secondo pilastro, che, detto in modo tranchant, deve riflettere sulla sua scelta di gestione multicomparto. Un problema da affrontare è quello dell’impiego delle risorse. Tra gli obiettivi dello sviluppo dei fondi pensione, vi è la crescita del mercato finanziario italiano. Si pone tuttavia il problema della presenza di una adeguata offerta di strumenti finanziari. La legge istitutiva dei fondi pensione e l’avvio degli stessi ha risentito fortemente dell’ottimismo derivante dagli andamenti dei mercati finanziari ed ha messo in risalto, nella prima fase, più la capacità di produrre rendimenti che la necessità di controllare i rischi insiti negli investimenti o il rischio di non raggiungimento degli obiettivi previdenziali. Nel periodo di massima espansione si è ingenerata una fiducia, a volte non corretta , nelle capacità dei mercati di produrre sempre e comunque rendimenti sottacendone i rischi. La crisi dei mercati finanziari, le perdite realizzate dai risparmiatori, accompagnate da un accresciuto bisogno di capitale differito da destinare alla costruzione del secondo pilastro previdenziale, hanno provocato un brusco risveglio. Occorre dunque interrogarsi su quali siano le forme più efficaci per coniugare il raggiungimento dei bisogni (previdenziali/finanziari) con la tranquillità per l’aderente. Il compito allora è di ricercare il giusto ruolo per un investitore istituzionale qual è un fondo pensione ed in particolare un fondo negoziale che per molti suoi aderenti rappresenta“l’unica”occasione di risparmio. Il fondo pensione è chiamato ad assumersi responsabilità che gli sono proprie, acquisire capacità decisionali e definire il livello di delega ai gestori senza rinunciare al proprio ruolo decisionale e di controllo. Quanto affermato non riporta che ad una conclusione: il percorso di investimento per garantire la realizzazione della pensione complementare è un percorso nel quale le capacità previsionali e il controllo del rischio dell’investimento devono vedere il fondo protagonista attivo capace di cogliere tutte le opportunità che il mercato offre attraverso strumenti e tecniche di gestione. Occorre dunque riflettere su quali siano gli strumenti più idonei a costruire previdenza, in un Paese di grande tradizione di Welfare e dare un contenuto più preciso ad una politica di investimenti mai sperimentata dai Fondi pensione ma, contemporaneamente, costruire le regole necessarie per dare una diversa risposta a questioni che la crisi economica di quest’ultimo anno ha posto in evidenza. È opinione condivisa che la crisi possa essere superata, oltre che costruendo un diverso sistema di governo dei mercati finanziari, anche attraverso nuove regole che costruiscano un rapporto tra industria e finanza che ponga nuovamente al centro la logica produttiva. La riflessione dunque alla quale siamo chiamati è sul dove investire. Può essere accettabile, che le risorse siano investite, indifferenziatamente, su scala internazionale in un momento in cui si pone un evidente problema di insufficiente disponibilità di attività finanziarie per sostenere il sistema produttivo del nostro Paese? E ancora ha senso occuparsi del benessere futuro degli aderenti alla previdenza complementare trascurando le condizioni in cui si troverà il Paese tra 10-20-30 anni? Ovviamente un vincolo geografico agli investimenti può comportare un qualche costo in termini di rendimenti, ma in ogni caso ci dobbiamo interrogare sull’opportunità di inseguire i migliori rendimenti per avere un Paese in cui gli anziani possiedono un livello adeguato di reddito ma i giovani hanno meno probabilità di trovare lavoro (con ovvie conseguenze anche sul sistema pensionistico pubblico). La riduzione di rendimento comunque non dipende necessariamente dalla scelta geografica quanto piuttosto dalla strategia perseguita nella politica di investimenti all’interno del Paese. La caratteristica essenziale dei fondi pensione è quella di potersi muovere con un orizzonte temporale più lungo rispetto a quello dei normali operatori presenti sul mercato e svolgere un ruolo positivo dal punto di vista sistemico. Gli investimenti devono,quindi, indirizzarsi verso attività capaci di garantire un rendimento competitivo rispetto ad altre forme di investimento e, contemporaneamente, capaci anche di migliorare il funzionamento del sistema economico nel suo complesso. Attività che possono migliorare la “qualità” del sistema produttivo e, in particolare, di quello privato del Paese contribuendo anche al miglioramento della sistema produttivo e, in particolare, di quello privato del Paese contribuendo anche al miglioramento della “qualità” della vita. I fondi pensione possono svolgere un ruolo in termini di salvaguardia di interessi collettivi di lungo periodo diventando, ad esempio, i finanziatori di un piano di riconversione verso energie alternative. Ne conseguirebbe un vantaggio significativo per il Paese, in particolare se gli interventi fossero coordinati all’interno di un piano nazionale. Una possibile seconda linea di intervento è quella della riqualificazione di parti di città in degrado. Anche in questo caso i rendimenti potrebbero essere interessanti e contemporaneamente si può operare in una logica di riqualificazione diversa da quella degli immobiliaristi privati con conseguenze positive sul funzionamento dei sistemi economici cittadini. Ovviamente questi sono solo due esempi. Iniziative come queste dovrebbero essere prese non dai singoli fondi pensione ma da aggregazioni di più fondi anche alla luce del comune obiettivo e, aggiungo, dall’assenza di fini di lucro propria dei fondi negoziali. M aurizio Agazzi, direttore generale Fondo Cometa previnforma.it http://w w w .previnforma.it/w ordpress/2011/05/16/life-cycle6/ Life Cycle/6. Investimenti per i fondi pensione: fondamenti e analisi L’investimento life-cycle (chiamato anche target-date o life-style) consiste nella costruzione di un’asset allocation (strategica) dinamica, variabile automaticamente nel tempo man mano che l’investitore si avvicina a un dato orizzonte temporale (target date) rappresentato tipicamente dal momento del pensionamento. Si tratta quindi di un approccio di investimento a mediolungo termine, di tipo previdenziale, pensato per (categorie di) lavoratori che troveranno nel montante finale una delle principali fonti di sostentamento nella fase di quiescenza, vale a dire una volta usciti dal circuito produttivo. L’importanza vitale di tale fonte si trasferisce nell’estrema rilevanza delle scelte d’investimento che il lavoratore è chiamato a fare nel corso della propria vita lavorativa. Le motivazioni teoriche e pratiche che supportano l’approccio life-cycle sono numerose, sebbene, come sempre avviene, non del tutto univoche: in questo lavoro si cercherà di dar conto, sebbene molto succintamente, delle numerose questioni aperte, per stimolare la discussione su un approccio che trova crescente applicazione e attenzione sia all’estero che in Italia. Il lungo termine. In linea di principio, fin dai tempi di Irving Fisher (1930) e poi molto chiaramente nei lavori di Modigliani e Brumberg (1954), la teoria del consumatore-investitore razionale ha mostrato come sia ottimale per un individuo controllare il flusso di risparmio (e quindi l’investimento finanziario) con l’intento di migliorare il consumo presente e futuro, lungo tutto l’arco del ciclo di vita, tenendo in esplicito conto le esigenze di consumo quando la produttività del capitale umano e il reddito da lavoro andranno ad esaurirsi. Di qui l’esigenza di una programmazione finanziaria di lungo termine (o previdenziale) costruita guardando congiuntamente al presente e al futuro individuale o famigliare. L’automatismo. Quando ci si confronta con le esigenze finanziarie di persone non sofisticate, con conoscenze finanziarie elementari, cui tuttavia è demandata, dopo le riforme del welfare degli anni 90, la responsabilità delle scelte di allocazione previdenziale, la soluzione “automatica” o quasi presenta indubbi vantaggi (Thaler e Sunstein, 2008). È, in genere, di facile comprensione; non richiede continua attenzione e interventi; è trasparente e verificabile. Nel caso degli investimenti life-cycle, la variabile chiave è l’orizzonte temporale e quindi, conseguentemente, l’età del lavoratore-investitore (age-based dynamic asset allocation). Altri approcci impostano l’allocazione dinamica su fattori diversi: ad esempio, in presenza di montanti-target (target-value invece che target-date), l’allocazione assume le caratteristiche della portfolio insurance o, in generale, del liability-driven investment, in cui sono le “passività-obiettivo”, eventualmente stocastiche (ad esempio, legate all’inflazione o alle dinamiche salariali future) a governare gli investimenti nel tempo. La regola semplice. L’idea dell’investimento life-cycle è dunque quella di ridurre progressivamente l’esposizione azionaria (in generale: le attività rischiose) del portafoglio all’avvicinarsi dell’orizzonte temporale dato (il pensionamento). È stata anche formulata (da promotori americani) una “regola del pollice” del tipo: “100 – l’età” dà la quota ottimale di azioni da tenere in portafoglio; 80% per un ventenne, 30% per un settantenne (Malkiel, 1973). Le due tipiche modalità di implementazione vedono, da un lato l’assegnazione del lavoratore a un fondo target-date, a lui “coetaneo” (per esempio, Comparto 2030 per chi andrà in pensione circa in quell’anno), gestito a rischiosità decrescente nel tempo, dall’altro lo switch del lavoratore, a scadenze grosso modo predefinite, da comparti più rischiosi a comparti meno a rischio, gestiti, questa volta, con uno stile relativamente stabile nel tempo (risk-based dynamic asset allocation). La regola ha una triplice finalità: - avvantaggiarsi della crescita di lungo periodo dei mercati azionari; - preservare nel tempo il patrimonio accumulato; - proteggere il lavoratore da “sorprese dell’ultimo momento”. Poiché la regola ha una lunga tradizione nel campo della consulenza previdenziale e della pratica finanziaria, ci si è chiesti, anche a livello accademico, quali sono i suoi fondamenti teorici e le evidenze empiriche a supporto. Due le domande-chiave in proposito: - perché la quota azionaria in portafoglio deve essere più elevata quando l’orizzonte d’investimento è più lungo? - come si concilia l’approccio life-cycle coi modelli teorici di allocazione dinamica (Samuelson, 1969, Merton, 1969, 1971, 1973) nei quali non si riscontra alcun effetto “orizzonte”? Tre assunzioni sembrano implicite nell’approccio life-cycle: - nel lungo termine, le azioni sono preferibili alle più tranquille obbligazioni; - gli investitori sono avversi alla perdita (-100 +100 peggiorano il benessere di partenza); - non si può prevedere il momentum di mercato a breve termine (market timing). Si noti che il secondo assunto implica, a parità di rendimento atteso, la preferenza verso investimenti sicuri; il terzo assunto, peraltro ovvio, esclude la prevedibilità dei movimenti di mercato e quindi un’asset allocation governata dalle previsioni degli andamenti di Borsa. (segue) pagina seguente previnforma.it http://w w w .previnforma.it/w ordpress/2011/06/21/life-cycle7-cinque-risposte-a-favore/ Life Cycle/7. Cinque risposte a favore La discussione sull’adozione di una gestione life-cycle nei fondi di previdenza, soprattutto nei fondi chiusi, rimane tuttora sottotraccia e non si traduce in gestioni effettive. Nonostante le numerose prese di posizione, in genere quasi tutte negative, apparse anche su Previnforma (www.previnforma.it), le dichiarazioni ufficiali, ai vari livelli (Banca d’Italia, ministri, Covip, sindacati) sono tutte favorevoli al decollo di una gestione che consideri tutto un ciclo di vita. Credo sia giunto il momento di provare a rispondere alle varie problematiche sollevate da più parti, senza produrre le elaborazioni scientifiche che sottostanno e che sono certo tutti conoscono, perché già pubblicate da altri autori: 1- NON E’ VERO CHE IL LIFE-CYCLE ACCUMULI MAGGIOR CAPITALE. Questa affermazione è veritiera, infatti l’obiettivo di una gestione life-cycle non è quella della massimizzazione del capitale bensì quello di ottenere un massimo di capitale con un rischio contenuto. Per un massimo di capitale potrebbe essere utile una gestione prevalentemente azionaria e per una gestione senza rischi una gestione garantita; ma per una gestione che ottimizzi rischio e rendimenti, la gestione finanziaria legata al ciclo di vita è quella che rappresenta il maggior equilibrio. Di fatto si ottengono, nelle varie esemplificazioni elaborate, capitali similari ad un bilanciato con una volatilità inferiore. Credo che l’articolo di Cesari lo spieghi benissimo ( vedi “Previnforma”, Life-Cycle/6). E, comunque, il Life-Cycle rappresenta un’opzione di gestione finanziaria in più per l’aderente. O crediamo che non sia per nulla in grado di scegliere? 2- IL MECCANISMO E’ COMPLICATO PER L’ISCRITTO. Sappiamo tutti che il grado medio di conoscenza finanziaria degli italiani è basso. E non lo scopriamo, certo, solo nella previdenza complementare; proprio per questo occorre proporre – in maniera trasparente – il Life-Cycle, che, anzi, rappresenta una sorta di viatico introduttivo e formativo a una gestione finanziaria efficiente e matura, nei suoi principi ispiratori. Se spiegato bene, l’aderente lo capisce. E le scelte degli iscritti all’unico fondo contrattuale che l’ha adottato (Previmoda) lo dimostrano. 3- LA GESTIONE DEL LIFE-CYCLE E’ PIU’ COSTOSA. Non è affatto vero. Anzi, dato che le composizioni o gestioni finanziarie cambiano nel ciclo di vita, si ottiene un indice Isc (Indicatore sintetico dei costi) equivalente a quello di un bilanciato. Del resto se si scelgono, perlomeno inizialmente, soluzioni, agevoli per l’iscritto, che fanno perno sulle gestioni già esistenti all’interno del Fondo e su età dell’aderente/anni mancanti al pensionamento e non su percentuali di composizione azionarie/obbligazionarie, né su obiettivi da raggiungere (vedi montanti target e dinamic cycle) non si hanno aumenti di costi specifici aggiuntivi. 4- IL CICLO DI VITA NON SI CONCILIA CON UN ORIZZONTE BREVE O IMPREVEDIBILE. Si fanno qui i casi di orizzonti sconosciuti all’aderente nel momento di scelta della gestione (anticipazioni, riscatti per i più vari motivi… ). Ebbene, cosa differenzia queste eventualità dalle gestioni “normali”? Forse che un’aderente che abbia scelto una gestione finanziaria dinamica non potrebbe trovarsi in un’eventualità similare, magari anche in un periodo di forte perturbazione finanziaria? In ogni caso la scelta ultima è dell’aderente: scelta consapevole ancorché proposta dal Fondo. 5- L’ ADERENTE SI POTREBBE TROVARE A CAMBIARE COMPARTO IN UN PERIODO FINANZIARIO NEGATIVO (TIMING). Verissimo, ma dove sta scritto che l’aderente debba – in forza della scelta operata – cambiare proprio in quel momento? Potrebbe benissimo posticipare tale cambio, senza per questo uscire da un orizzonte Life-Cycle. In questo caso avremmo ottenuto la consapevolezza finanziaria dell’iscritto in merito alla scelta migliore; basterebbe che il Fondo avvisasse anticipatamente l’aderente del cambio in essere e della possibilità, vista la congiuntura, di una dilazione temporale del cambio di comparto. Se le poche risposte avanzate reggono, non ci resta che rivolgerci – come attori principali della previdenza complementare, dunque persone che trattano quotidianamente la questione pur arrivando da ambiti diversi – direttamente alla nostra gestione di routine di un fondo previdenziale. Forse la paura di assumerci ruoli e responsabilità finanziarie (ma quali, dato che si tratta di opzioni finanziarie aggiuntive da offrire all’aderente?) ci frena, a dispetto di Covip che chiede una governance più attiva, soprattutto nella gestione finanziaria. Credo sia giunto il tempo, anche con la risposta sul Life-Cycle, di dimostrare agli scettici, oltre ai buoni risultati ottenuti nel decennio di storia dei Fondi contrattuali, che le capacità di gestione di un Fondo contrattuale sono tuttora presenti nei consigli di amministrazione e nelle parti istitutive e sono in grado di evolvere ulteriormente. Enrico ZANZOTTERA, Camera del Lavoro di Milano previnforma.it http://w w w .previnforma.it/w ordpress/2011/06/30/life-cycle8-come-aiutare-gli-iscritti-a-non-perdere-la-strada Life Cycle/8. Come aiutare gli iscritti a non perdere la strada Noio… volevam… volevàn savoir… l’indiriss…ja … Dunque: noi vogliamo sapere, per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare. Sa, è una semplice informazione… In queste poche battute non dovrebbe essere difficile riconoscere uno dei più famosi non dialoghi della storia del cinema comico italiano (Totò Peppino e la malafemmina), che sembra adattarsi bene al livello di comprensione che molti iscritti ai fondi pensione oggi hanno dei temi della gestione finanziaria (sarebbe più corretto dire che la maggioranza dei cittadini ha relativamente alle tematiche del risparmio finanziario). Tuttavia trattandosi della nostra pensione c’è poco da ridere e la preoccupazione è grande, come testimoniano gli interventi del governatore della Banca di Italia Mario Draghi e del presidente della Covip Antonio Finocchiaro che, all’indomani della terribile crisi finanziaria del 2008, hanno richiamato l’attenzione sulla necessità di prevedere delle opzioni di ribilanciamento automatico del rischio finanziario al modificarsi dell’orizzonte temporale, al fine di proteggere la pensione complementare da oscillazioni violente dei rendimenti, senza perdere tuttavia l’occasione di trarre vantaggio dall’investimento nei mercati azionari (1). A fronte di così rilevanti opinioni, ogni operatore di questo settore dovrebbe valutare se e come sia opportuno introdurre tali meccanismi all’interno dei propri schemi pensionistici complementari, tanto più che dopo le prime esperienze delle forme individuali pensionistiche anche un fondo pensione contrattuale (Previmoda) ha consentito ai propri iscritti di optare per una strategia di passaggio automatico fra i diversi comparti al fine di ridurre il rischio di investimento all’approssimarsi dell’età della pensione (2). Aspetto di particolare interesse è individuabile nel fatto che, dopo tale innovazione, chi aderisce a Previmoda esplicitamente senza indicare il comparto di investimento vedrà attivata la strategia Life Cycle e sarà inserito nel comparto più rischioso, qualora vi sia un periodo di 22 anni prima del pensionamento. Tale novità è stata accolta con interesse dalla Covip (3) e potrebbe rovesciare la prospettiva adottata dal legislatore primario, allorché ha introdotto il meccanismo del tacito conferimento del Tfr, prevedendo in questo caso necessariamente l’investimento in un comparto garantito (4). Considerate tali premesse, si ritiene opportuno analizzare questo rilevante argomento, rispondendo ad alcune domande. Esistono presupposti teorici ed empirici che rendano robusta e solida l’adozione di queste strategie? Prescindendo dalla robustezza e dalla solidità di tali strategie, ha senso introdurle nell’offerta del fondo pensione? Qualora si ritenga opportuna l’introduzione di tale strategia nell’offerta del fondo, è altrettanto opportuna l’individuazione di questa strategia come l’opzione di default per gli iscritti che in caso di adesione esplicita non scelgano un’opzione di investimento? È sufficiente inserire tale strategia nell’offerta del fondo, per proteggere gli iscritti dei fondi pensione dalla scarsa cultura finanziaria e dalla ridotta attenzione verso l’evoluzione della propria situazione pensionistica? Prima di avviare l’esame dei diversi quesiti, appare utile considerare un caso di questa tipologia di strategie, sia per comprenderne le caratteristiche essenziali, sia per alcune successive considerazioni: ad esempio è possibile ipotizzare che nel portafoglio del fondo pensione si abbia una quota azionaria pari al doppio del numero di anni che mancano alla pensione in modo tale che a 25 anni si investa l’80% in azioni, a 35 anni il 60% fino ad annullare la quota azionaria a 65 anni (cfr. Grafico 1). Grafico 1. Composizione del portafoglio nell’esempio considerato di strategia life-cycle L’esempio considerato evidenzia come le soluzioni cosiddette life cycle costituiscano una modalità intuitiva per riuscire a beneficiare dalla migliore redditività che si attribuisce al mercato azionario rispetto a quello obbligazionario nel lungo periodo, senza però dimenticare di proteggere i lavoratori dalla tipica inerzia che dimostrano nei comportamenti di gestione dei propri risparmi previdenziali e che li espone al rischio di perdite significative nell’ultima fase di permanenza nel piano pensionistico. Un interessante studio del 2008 (5) ha evidenziato come, pur offrendo un approccio intuitivo al tema dell’investimento previdenziale (limitare il rischio al ridursi dell’orizzonte temporale), non sono affatto univoci gli studi elaborati dai ricercatori, al punto tale che se si ipotizzasse una correlazione positiva fra il capitale umano e l’andamento dei mercati azionari, la quota iniziale ottimale di azioni dovrebbe essere molto bassa e crescere successivamente, contrariamente a quanto si ritiene comunemente che si dovrebbe fare in questa tipologia di strategie (6). La correlazione positiva fra capitale umano e andamento dei mercati azionari potrebbe essere un’ipotesi non così lontana dalla realtà se si pensa al fatto che l’inserimento nel mondo del lavoro italiano avviene sempre più attraverso forme contrattuali flessibili. Questa tipologia contrattuale aumenta la probabilità che in caso di fase espansiva vi sia una maggiore probabilità di trovare lavoro e crescere professionalmente e in caso di fase recessiva possa aumentare la probabilità di perdere l’attività lavorativa o vedere bloccata la propria crescita professionale. Inoltre, considerando che in Italia, sulla falsariga del trattamento di fine rapporto, il fondo pensione ha assunto la funzione di ammortizzatore sociale, appare chiaro che assumere il massimo rischio finanziario nella fase di avvio del proprio percorso professionale potrebbe non rappresentare la scelta più efficace. Questa chiave di lettura potrebbe anche spiegare la riluttanza ad aderire da parte dei giovani e di coloro che sono occupati in settori caratterizzati da una maggiore flessibilità del rapporto di lavoro. Se anche si accettassero le ipotesi alla base del life cycle, per valutare dal punto di vista empirico l’efficienza di tale modello si dovrebbe effettuare un confronto con una strategia bilanciata che è caratterizzata da una quota azionaria equivalente all’esposizione media della strategia life cycle. Nel caso della strategia life cycle che parte da un’allocazione 80% azionario e 20% obbligazionario e gradualmente riduce ogni anno l’allocazione azionaria di un 2%, giungendo ad annullare la posizione azionaria dopo 40 anni, la strategia equivalente è un portafoglio bilanciato con il 22% di azioni (con un tasso di crescita della contribuzione reale del 2%). Effettuando alcune simulazioni (7), emerge che sull’orizzonte di 40 anni la strategia bilanciata equivalente risulta lievemente meno rischiosa e meno redditizia, mentre se si limita l’analisi agli ultimi 5 anni la stessa strategia diventa più rischiosa e più redditizia, ma nella misura in cui è logico attendersi da una strategia con il 22% di azioni su un orizzonte di 5 anni (8) (cfr. Tabella 1 e Tabella 2). Tabella 1. Caratteristiche delle distribuzioni dei rendimenti annuali (orizzonte 40 anni, valori percentuali) Media 4,5 4,4 Dev St 0,8 0,7 Min 2,0 2,3 Max 7,3 6,9 Tabella 2. Caratteristiche delle distribuzioni dei rendimenti annuali (orizzonte ultimi 5 anni, valori percentuali) Media 3,4 3,7 Dev St 1,1 1,5 Min - 0,5 - 1,1 Max 7,9 9,4 Se si considera la prospettiva della strategia equivalente, anche inserendo un periodo di “raffreddamento” (9) del portafoglio negli ultimi anni prima del pensionamento, si evidenzia come l’attuale impostazione della maggior parte degli iscritti ai fondi pensione contrattuali (aderenti a comparti con una componente azionaria compresa fra il 20% e il 30%) dovrebbe produrre risultati simili a quelli di strategie life cycle che esporrebbero in modo sostanzialmente equivalente alla componente azionaria. Alla luce di queste riflessioni si può rispondere ai primi due quesiti, affermando che l’introduzione di una strategia life cycle, laddove siano stati attivati almeno tre comparti può articolare meglio l’offerta del fondo, sebbene non dovrebbe rivoluzionarla dal punto di vista della redditività e della rischiosità attese. Una strategia automatica minima potrebbe essere rappresentata dal passaggio al comparto garantito al verificarsi di alcuni eventi, quali ad esempio superamento di determinate età soglia (es. 55-60 anni). Concentrando l’attenzione sul terzo quesito, ossia se la strategia di life cycle sia l’opzione di default più opportuna per gli aderenti espliciti che non scelgono il comparto, è utile innanzi tutto verificare l’entità di tale fenomeno, dal momento che sarebbe logico attendersi che, a fronte di un’adesione informata secondo quanto ha previsto la Covip nel 2008 (10), dovrebbe essere minima la percentuale di coloro che non scelgono il comparto al momento della sottoscrizione del modulo di adesione (11). A prescindere dall’entità del fenomeno, sarebbe necessario riflettere su due lavoratori giovani, che aderiscono al fondo rispettivamente per mezzo del tacito conferimento del Tfr e di un’adesione esplicita senza indicazione del comparto di investimento: il primo si troverebbe iscritto al comparto garantito, l’altro al comparto più rischioso con la strategia di riallocazione automatica. Sebbene i rendimenti cumulati di lungo periodo potrebbero essere meno divergenti di quanto farebbe pensare l’allocazione iniziale, è opportuno considerare che, se entrambi fossero interessati da fenomeni lavorativi che li costringessero a liquidare la posizione, potrebbero acquisire somme di entità decisamente diversa, a fronte di un simile comportamento “poco consapevole” (12). Se si considera che (i) la maggioranza dei lavoratori (anche quelli giovani) scelgono liberamente il comparto di investimento, privilegiando un atteggiamento prudente, (ii) gli iscritti taciti si ritrovano iscritti nel comparto garantito, è auspicabile e opportuno “immolare” la piccola categoria di coloro che si iscrivono senza indicare il comparto/strategia sull’altare di una fiducia nell’equity premium risk (13), che sembra quanto mai debole e precaria nel nostro secondo pilastro? Dopo che le risorse di questi lavoratori pigri o distratti saranno investite in un comparto rischioso, siamo certi che il loro destino previdenziale sarà così diverso rispetto a iscriverlo ad esempio nel comparto bilanciato, che in molti fondi pensione contrattuali è l’opzione con più storia e patrimonio in gestione e, quindi, anche quello che potrebbe essere caratterizzato da una maggiore efficienza gestionale? Lasciando sul tavolo le perplessità espresse relativamente al terzo quesito, ha comunque senso affrontare l’ultima questione: in un sistema a contribuzione definita, con adesione volontaria, l’introduzione di meccanismi automatici di riduzione del rischio da attivare “volontariamente” risolve il problema della scarsa informazione e dell’inerzia dei comportamenti degli iscritti? Se gli iscritti non scelgono o cambiano il comparto che sembra più adatto alle loro caratteristiche, possono mostrarsi altrettanto disattenti nei confronti della strategia life cycle, sebbene una volta scelta li tutelerebbe maggiormente da questa loro scarsa attenzione. Per vincere la disattenzione e l’inerzia dei lavoratori, si ritiene che l’approccio da seguire possa essere quello individuato da Richard Thaler e Cass Sunstein, secondo i quali è opportuno semplificare il quadro decisionale al punto tale che la scelta del lavoratore richieda il minimo dello sforzo intellettivo e fisico possibile (14). Questa forma di “paternalismo libertario” dovrebbe far sì che ogni anno insieme alla comunicazione periodica e al progetto esemplificativo personalizzato, sia inviato un quadro sintetico che esprima attraverso una simbologia intuitiva (semaforo, simboli meteorologici,…) le prospettive dell’evoluzione della propria posizione, individuando la rendita obiettivo sulle caratteristiche note (età, sesso, livello reddituale) e permettendo di modificare la rendita obiettivo attraverso modalità semplici. Qualora in nessun comparto o strategia emerga un segnale positivo (semaforo verde, sole pieno,…), si dovrebbe rappresentare la necessità di aumentare il livello di contribuzione o differire il momento del pensionamento, con degli esempi concreti. Allegata a tale comunicazione dovrebbe essere inviato il modulo di cambio del comparto di investimento e il modulo di cambio dell’aliquota di contribuzione, precompilati per quanto riguarda i dati anagrafici, al fine da ridurre al minimo lo sforzo che dovrà essere compiuto dagli iscritti per agire in modo attivo e consapevole. All’interno delle opzioni che possono essere scelte e che saranno oggetto della comunicazione “semplificata”, potrebbero essere previste strategie automatiche di passaggio da un comparto all’altro e di graduale aumento della contribuzione (15). A fianco di tali opzioni, per proteggere meglio gli iscritti dalla scarsa educazione finanziaria e dalla difficoltà di assumere le decisioni più idonee alle proprie esigenze, si ritiene comunque essenziale sperimentare forme di comunicazione verso gli iscritti che consentano di diradare la nebbia che avvolge la finalità del fondo pensione agli occhi degli iscritti, al fine di consentire loro di utilizzare tale strumento in modo consapevole per soddisfare le proprie esigenze pensionistiche e capire finalmente se alla pensione ci sarà il sole o pioverà sul bagnato. (Le opinioni espresse nell’articolo – pubblicato per la prima volta nel n. 2/2010 della “eNewsletter Mefop” – sono esclusivamente attribuibili agli autori e non impegnano in alcun modo il Fondo Pensione Pegaso, di cui Giuseppe Chianese è il presidente e Andrea Mariani il direttore generale.) Note: 1. “Occorre favorire la diffusione di prodotti che riducano in modo automatico la rischiosità del portafoglio all’avvicinarsi del momento di pensionamento e offrire titoli che consentano di meglio gestire i rischi su lunghi periodi di tempo” (BANCA D’ITALIA, Considerazioni finali, in Assemblea ordinaria dei partecipanti, Roma 29 maggio 2009, p.14). “Gli aderenti ai fondi hanno invece bisogno di gestioni che evitino il rischio di incorrere in perdite ingenti qualora, in prossimità del pensionamento, si verifichino condizioni avverse dei mercati; ma che non compromettano la possibilità di usufruire, nel lungo periodo, dei rendimenti che l’investimento azionario può offrire. La diffusione delle linee di investimento di tipo life-cycle contribuirebbe a soddisfare tali esigenze” (COVIP, Relazione per l’anno 2008. Considerazioni del Presidente. Roma 18 giugno 2009, p. 11). 2. Per comprendere il funzionamento dell’opzione Life Cycle introdotta da Previmoda, si rinvia alla Nota informativa del fondo pensione, scaricabile dal sito www.previmoda.it. 3. “Forme di life-cycle o data target sono già presenti sul mercato nazionale e si stanno diffondendo presso i fondi pensione. Tali forme potrebbero diventare, per gli aderenti più giovani, un’alternativa al comparto garantito per le adesioni di default. La COVIP valuta con attenzione le proposte che le vengono sottoposte” (COVIP, Relazione per l’anno 2008. Considerazioni del Presidente. Roma 18 giugno 2009, p. 11). 4. “Gli statuti e i regolamenti delle forme pensionistiche complementari prevedono, in caso di conferimento tacito del TFR, l’investimento di tali somme nella linea a contenuto più prudenziale tali da garantire la restituzione del capitale e rendimenti comparabili, nei limiti previsti dalla normativa statale e comunitaria, al tasso di rivalutazione del TFR” (Art. 8, co. 9, D. Lgs. 252/05). 5. S. MAURICIO, R. K. TRIEST, A. GOLUB-SASS, F. GOLUB-SASS (2008), An assessment of life-cycle funds. CRR Working Paper No. 2008-10. Chestnut Hill, MA: Center for Retirement Research at Boston College, http://crr.bc.edu/images/stories/Working_Papers/wp_2008-10.pdf. 6. In realtà il capitale umano è stato introdotto per spiegare il modello life-cycle, dal momento che se il reddito da lavoro non è correlato o correlato negativamente con l’investimento azionario, si comporta come un sostituto dell’investimento obbligazionario. Dato che un lavoratore giovane ha un capitale umano superiore a un lavoratore più anziano, ciò significa che per mantenere la stessa quota di rischio azionario è necessario decrementare nel tempo l’incidenza di tale componente nel portafoglio finanziario (cfr. articolo di Cesari in questo numero 7. Sono state effettuate 1.000 simulazioni di rendimenti obbligazionari e azionari, considerando un rendimento medio per la componente obbligazionaria pari al 4% e per la componente azionaria pari al 6% e una deviazione standard per la componente obbligazionaria pari al 3% e per la componente azionaria pari al 15%. 8. Ad esempio nel periodo peggiore della recente crisi del 2008, fra il 31 ottobre 2007 e il 9 marzo 2009, un portafoglio che avesse replicato la performance di un benchmark 22% Msci World e 78% Jp Morgan Emu All Maturities, avrebbe subito una perdita del 6,30%. Se tale perdita si fosse registrata nelle immediata prossimità della richiesta della prestazione, avrebbe avuto un impatto negativo sensibile per l’iscritto. 9. Con il termine di “raffreddamento” si intende la riduzione della rischiosità del portafoglio attraverso la riduzione della componente maggiormente rischiosa, quella azionaria. 10. Covip, Regolamento sulle modalità di adesione alle forme pensionistiche complementari (G.U. 19/6/2008 n.142) – Deliberazione del 29 maggio 2008. 11. A tale riguardo non si dispongono di dati sul settore, ma limitatamente all’esperienza del fondo pensione Pegaso risulta che in termini di iscritti il comparto di dimensioni più ridotte al 30 settembre 2010 sia proprio il comparto che per 4 anni è risultato il destinatario di questa tipologia di adesioni. 12. Si è pienamente consapevoli che dal punto di vista normativo vi è una profonda differenza fra un’adesione tacita e un’esplicita senza indicazione del comparto, dal momento che nel secondo caso si dovrebbe aver preso visione della documentazione informativa e si dovrebbe essere stati informati di alcuni aspetti molto rilevanti relativi alla scelta da compiere. Tuttavia, dal punto di vista dell’economia comportamentale, i due fenomeni potrebbero essere interpretati sostanzialmente come due facce della stessa medaglia. 13. Con il concetto di equity premium risk si definisce l’ipotesi per cui la maggiore volatilità della componente azionaria rispetto a quella obbligazionaria sia compensata da una maggiore redditività attesa. 14. Il paternalista libertario è paternalista in quanto rivendica il diritto di modificare l’architettura della scelta qualora si mostri che questo possa migliorare la qualità delle decisioni. È libertario in quanto non sostituisce paternalisticamente una scelta imposta dall’alto a una scelta individuale, ma lascia agli individui esattamente lo stesso tipo di opzioni (scegliere il comparto di investimento) che permettono loro di esercitare una scelta a tutti gli effetti. Thaler e Sunstein applicano questa idea a un vasto numero di misure che potrebbero migliorare le scelte individuali, dal modo di disporre i cibi in un self-service (per scoraggiare il consumo di cibi malsani) alla possibilità di sottoscrivere un piano pensionistico (R. H. Thaler, C. R. Sunstein, «Nudge, La spinta gentile. La nuova strategia per migliorare le nostre decisioni su denaro, salute, felicità», Feltrinelli 2009). 15. A tale riguardo si rinvia al piano “Save more tomorrow” proposto da Richard Thaler e ben descritto in R. H. Thaler, C. R. Sunstein (2009) op. cit.