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L`abuso all`infanzia: definizioni

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L`abuso all`infanzia: definizioni
Università Roma Tre
CdL Scienze della Formazione Primaria
Attività Formative Aggiuntive per il Sostegno
Insegnamento di
Psicopatologia dello Sviluppo
Prof. Francesco Reposati
Appunti delle lezioni
L’abuso all’infanzia: definizioni
Kempe e Kempe sostengono che l’abuso all’infanzia riguarda «...ogni
situazione in cui il bambino è oggetto di violenza, ma dove il rapporto di causa
ed effetto non risulta chiaro» (1989, 18) e dove, quindi, un esame accurato dei
sintomi presentati dal bambino risulta necessario prima di affermare che egli ha
subito abuso.
In Italia, nei primi anni ‘80 Moro afferma che: «Ogni insufficiente risposta
ai bisogni fondamentali di crescita umana del minore, ogni non sporadica ed
episodica violazione dei diritti che su questi fondamentali bisogni si radicano,
ogni azione che pregiudica seriamente le potenzialità naturali di crescita ed
interferisce sulla loro realizzazione, costituisce un grave abuso che deve essere
denunciato e rimosso» (1989, 20).
Caffo considera il fenomeno dell’abuso sotto due aspetti fondamentali: da
una parte la qualità della relazione tra genitori e figli e dall’altra la continuità di
tale relazione nel tempo. Cosicché essa consisterebbe in «un continuum di
comportamenti che comprendono tutte le possibili modalità attraverso le quali i
genitori possono rapportarsi ai figli» (Caffo, 1984, 20). Ad un polo di questo
continuum è collocata la relazione ottimale con i figli, all’altro, invece, la
relazione più indesiderabile, comprendente il desiderio di uccidere il proprio
figlio, fra i due poli si collocherebbero le varie forme di trascuratezza e di
occasionale violenza che i genitori perpetrano sul figlio. Seguendo tale
prospettiva, a differenziare un genitore realmente abusante da uno che lo è solo
potenzialmente, è la permanenza del primo intorno al polo negativo del
continuum, che si manifesta con forme di violenza continuate ed intense nei
confronti del figlio.
In seguito alla sua esperienza e agli studi effettuati nell’ambito delle
violenze sui minori denunciate al Telefono Azzurro, Caffo afferma che l’abuso
all’infanzia consiste, quindi, in «ogni condizione che impedisca in termini
permanenti e gravi lo sviluppo delle potenzialità innate di crescita di un soggetto
in età evolutiva» (Caffo,1987, 6).
Montecchi preferisce seguire le indicazioni del Consiglio d’Europa e
assumere la seguente definizione di abuso: «gli atti e le carenze che turbano
gravemente il bambino, attentano alla sua integrità corporea, al suo sviluppo
fisico, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o le
lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di altri
che hanno cura del bambino» (Montecchi, 1994,18).
Classificazione e descrizione delle diverse
forme di abuso all’infanzia
Pur correndo il rischio di essere riduttivi, tentando di racchiudere un
problema complesso e di natura multifattoriale come quello dell’abuso in classi,
Kempe e Kempe (1989) propongono una classificazione delle diverse forme di
abuso, basandosi sulla raccolta di informazioni circa le descrizioni più ricorrenti
derivanti dallo studio dei casi clinici, sottoposti alla loro attenzione. Negli studi
sull’abuso all’infanzia, la classificazione di Kempe e Kempe è ancora la più
ricorrente ed essenziale. In essa vengono distinte le seguenti forme di abuso:
trascuratezza, incuria, maltrattamento e violenza fisica; abuso psicologico e
abuso sessuale. La loro classificazione è ripresa dal Child Protecion Register
inglese del 1991, in cui si parla di Neglet (trascuratezza grave o persistente nei
confronti del bambino), di Physical injury (maltrattamento fisico), di Sexual
abuse (sfruttamento sessuale di minori), Emotional abuse (persistente
maltrattamento emotivo o rifiuto dell’esperienza emotiva del bambino e delle sue
espressioni comportamentali) (Di Blasio, 1996).
Trascuratezza o incuria
Con il termine trascuratezza si denota «l’incapacità dei genitori a
comportarsi adeguatamente per la tutela della salute, della sicurezza e del
benessere del bambino» (Kempe-Kempe, 1989, 19). Essa riguarda sia la
trascuratezza fisica che quella affettiva. Nella prima forma sono comprese
un’insufficiente nutrizione, negligenza nell’assistenza medica e scarsa protezione
da pericoli fisici e sociali, fino ad arrivare all’abbandono. La trascuratezza
affettiva, solitamente accompagnata all’abuso fisico, consiste nella mancanza
quasi totale di attenzioni affettive da parte della madre o di altri familiari, tanto
che il bambino resta a lungo tempo da solo, è lasciato piangere, non viene
coccolato, non riceve carezze fisiche ne tanto meno riconoscimenti affettivi. Al
bambino viene a mancare un’essenziale fonte di calore umano e di protezione, un
ambiente sicuro e stimolante la sua crescita emotiva e psicologica (KempeKempe, 1989; Brassard-Germain-Hart, 1993, 75; Macario-Damilano, 1995).
Secondo Montecchi (1994) i bisogni fondamentali del bambino possono
venire elusi e frustrati attraverso un modo di fornire loro cure che è patologico,
ovvero caratterizzato da:
a) Incuria: quando le cure sono carenti, ovvero il bambino è trascurato.
b) Discuria: quando le cure sono distorte e inadeguate alle esigenze del
bambino e al suo momento evolutivo. Essa può avvenire per scarsa
tempestività nel dare al bambino le cure di cui ha bisogno; per
imposizione di ritmi di acquisizione precoci rispetto alle sue
competenze reali; per pretese ed aspettative irrazionali.
c) Ipercura: quando le cure sono eccessive, ovvero il bambino è
iperprotetto o curato per disturbi che egli in realtà non ha, ma che i
genitori sono convinti che abbia, cosicché si parla di “sindrome di
Munchausen per procura” 1 . Con tale atteggiamento i genitori,
prevalentemente la madre, fanno del bambino un malato fittizio,
esponendolo al rischio di intossicazioni farmacologiche, di trattamenti
medici inutili, di esperienze di ospedalizzazione del tutto nocive, e in
casi estremi, procurandogli reali sintomi da soffocamento o da
avvelenamento pur di giustificare i loro timori per la sua salute.
Maltrattamento e violenza fisica
Kempe e Kempe furono i primi a lavorare con i bambini maltrattati e a
studiarne il comportamento, tanto da poter postulare, già nel 1961, la prima
patologia che riguardava l’abuso dall’infanzia, ovvero “la sindrome del bambino
maltrattato”. Sotto quest’etichetta erano compresi tutti quegli indizi di abuso
subito comprendenti ferite cutanee, fratture, lesioni oculari, danni a carico di
organi e apparati interni. Nella categoria del maltrattamento e/o violenza fisica
viene così compresa «[ogni] azione fisicamente dannosa, diretta contro il
bambino; generalmente comprende qualsiasi lesione che viene provocata, come,
per esempio, contusioni, bruciature, ferite alla testa, fratture, ferite addominali o
avvelenamento. La lesione provocata richiede in ogni caso una cura medica»
(Kempe-Kempe, 1989, 19).
1
La sindrome di Muchausen per procura è un’evoluzione della sindrome di
Muchausen caratterizzata dal comportamento di adulti che lamentano sintomi e
disturbi inesistenti, richiedono cure e attenzioni a vari medici, ottengono
accertamenti clinici e addirittura operazioni chirurgiche ingiustificate (DSM, IV,
521). Quando tali adulti diventano genitori riversano sui figli la patologia,
liberandosene apparentemente e facendo di essi una sorta di contenitori esterni di
fittizi disturbi fisici, psichici o della combinazione di entrambi (Montecchi, 1994,
130).
I maltrattamenti e le violenze fisiche a carico del bambino possono essere
di diversa natura ed intensità (percosse, morsi, spintoni, schiaffi, graffi), cosicché
le conseguenze visibili possono essere più o meno gravi e permanenti. Molto
spesso i segni che restano sul corpo del bambino possono essere camuffati e
giustificati come esito di cadute accidentali o di liti tra coetanei, quando, in realtà
sono il segnale di un abuso molto grave e persistente, di cui il maltrattamento
fisico è solo l’aspetto più visibile (Montecchi, 1994).
Maltrattamento psicologico:
Un insieme di «atti che negano o rendono vani gli sforzi compiuti da un
individuo per soddisfare le sue esigenze psicologiche basilari, in misura tale che
il comportamento dell’individuo diviene deviante e disadattato» (Hart-GermanBrassard, 1987, 162).
Come nel maltrattamento fisico, anche in quello psicologico si possono
evidenziare diverse categorie, seppur generali e certamente non esaustive:
a) Crudeltà mentale, comprendente la violenza e l’umiliazione verbale, le
componenti psicologiche della violenza fisica, il fissare mete
irraggiungibili, l’evidente discriminazione tra fratelli (Rohner e Rohner,
1980, 189-190; Brassard, Germain e Hart, 1993, 23). In quest’ambito
riveste particolare importanza l’abuso verbale, fondato su un uso
denigratorio della comunicazione, in cui la parola diventa strumento di
aggressione, di critica, di umiliazione all’intelligenza e all’aspetto del
bambino, di pressione psicologica, di ricatto affettivo, di accettazione
condizionata, di ambivalenza (soprannomi offensivi, sarcasmo e ironia,
minacce, colpevolizzazioni) (Kempe-Kempe, 1989; Papazian, 1996).
b) Trascuratezza affettiva e deprivazione di stimoli, comprendente la
mancanza di esperienze di affetto e di attenzione, l’interazione con un
ambiente non accettante, il rifiuto interpersonale, l’impossibilità di fare
esperienze di esplorazione dell’ambiente circostante (Wachs, 1976).
c) Esposizione a modelli negativi o restrittivi, comprendente l’essere
esposti ripetutamente a comportamenti violenti di genitori o di altri
adulti o di coetanei significativi che incoraggiano l’uso di mezzi
antisociali o distruttivi (Pezzi, 1995).
d) Esposizione a esperienze traumatiche, comprendenti l’assistere a liti
coniugali, a violenze sessuali, a spettacoli pornografici, a prostituzione,
all’uso di droghe da parte di adulti, ad assassini e a torture (BrassardGerman-Hart, 1993).
Definizioni di abuso sessuale all’infanzia
Hall e Loyd (1993) ritengono che sia necessario stabilire parametri precisi
in base ai quali definire l’abuso sessuale sul minore in tutta la sua interezza e
propongono di valutare la presenza dei seguenti elementi:
• tradimento della fiducia;
• abuso di potere;
• gamma di attività sessuali implicate;
• uso della forza e/o della minaccia da parte dell’abusante;
• percezione della minaccia da parte del bambino, anche se l’abuso
non è coercitivo e violento.
Tali variabili sono considerate nella seguente definizione: «si definisce
abuso sessuale qualunque atto sessuale fisico o non fisico che una delle persone
implicate non è nella condizione di poter scegliere: perché minorenne, incapace
di intendere e di volere, minacciata o ricattata» (Scoliere, 1992, 74). L’enfasi è
posta sulla presenza di un’incapacità di scelta, che può essere legata alla
differenza di età tra persecutore e vittima (abuso sessuale nell’infanzia), alla
posizione di potere e di influenza dell’abusante, alle caratteristiche di inferiorità
psicologica e mentale che rendono la vittima maggiormente vulnerabile, alla
percezione di una minaccia da parte dell’abusato.
Un’ulteriore definizione in cui le variabili sopra elencate sono implicite
è quella formulata dalla Draucker la quale afferma che: «L’abuso sessuale
all’infanzia deve includere qualsiasi attività di sfruttamento sessuale,
comprendente o meno un contatto fisico, tra un bambino e un’altra persona
che in forza del suo potere, dovuto all’età, alla forza, alla posizione o al tipo
di relazione, usa il bambino per soddisfare i propri bisogni sessuali ed
emozionali» (1994, 3). Questa definizione pone l’accento sullo sfruttamento
del minore a scopo sessuale, ma non descrive né il tipo di rapporto che
intercorre tra l’abusante e la vittima, né a quali specifiche attività si fa
riferimento; in tal modo mantiene un’ampiezza sufficiente a focalizzare
l’attenzione diagnostica e terapeutica sul vissuto traumatizzante della
vittima, piuttosto che sugli aspetti descrittivi dell’esperienza specifica
(Draucker, 1994).
Tipologie, caratteristiche e forme dell’abuso sessuale
nell’infanzia
Le definizioni finora proposte costituiscono il punto di partenza in base al
quale si possono classificare diversi tipi di violenza sessuale a carico di minori, a
seconda dei parametri di osservazione e di interpretazione che vengono scelti di
volta in volta. In tal senso la classificazione proposta da Montecchi 2 (1994) può
essere un’utile guida nell’analisi e nella descrizione degli aspetti fondamentali di
tale fenomeno.
Montecchi
(1994)
distingue,
in
primo
luogo,
tra
abusi
sessuali
intrafamiliari ed extra familiari: i primi sarebbero circa il 78% del numero
totale di abusi, i secondi il 22%.
Gli abusi sessuali intrafamiliari possono essere ulteriormente suddivisi
in:
1. Abusi sessuali manifesti, a valenza incestuosa, in cui generalmente
una figura maschile con funzione paterna abusa di una figlia femmina;
più raramente i casi in cui ad essere abusanti sono le madri, i padri nei
confronti dei figli maschi, i fratelli maggiori nei confronti delle sorelle.
2. Abusi sessuali mascherati, consistenti in pratiche genitali inconsuete,
quali frequenti lavaggi dei genitali da parte di un genitore, ispezioni
genitali ripetute, applicazioni di creme nelle zone intime senza che vi
sia una reale necessità. «Attraverso queste attività il padre e/o la madre
giustificano e mascherano i vari toccamenti e sfregamenti attraverso cui
si
procurano
sessualizzando
un
eccitamento
l’esperienza
(Montecchi, 1994, 145).
sessuale,
corporea
che
fisico
il
o
figlio/a
fantastico,
subisce»
3. Pseudo abusi sessuali, consistenti in quelle situazioni in cui un
bambino o una bambina sono fatti assistere all’abuso sessuale che un
genitore agisce su un fratello o una sorella o alle attività sessuali della
coppia genitoriale. Pur non essendoci un’implicazione fisica diretta del
minore, questi sono considerati veri e propri abusi sessuali.
Nell’ambito degli abusi sessuali extrafamiliari vengono inserite quelle
esperienze simili alle precedenti ma che sono avvenute al di fuori del contesto
familiare e che, spesso non sono mai state comunicate, neanche ai genitori. Sono
«forme di abuso frequentemente sommerse e che riemergono nei racconti dei
pazienti, oramai adulti, poiché, quando l’abuso si era verificato, i sentimenti di
vergogna, imbarazzo, pudore dei genitori avevano prevalso sulla opportunità
nono solo di denunciare il fatto all’autorità giudiziaria, ma anche di occuparsi
della salute mentale del minore che aveva subito l’abuso» (Montecchi, 1994,
146).
Secondo un parametro di tipo contestuale, in cui si osservano tempi e
luoghi dell’abuso, si rilevano diverse accezioni, cosicché l’abuso sessuale può
avvenire in qualsiasi momento del giorno e/o della notte, oppure sempre alla
stessa ora o nello stesso giorno della settimana; anche il luogo può essere sempre
lo stesso oppure cambiare (dentro o fuori casa, in macchina); il bambino può
essere abusato quando è nudo (es. durante il bagno) o quando è vestito (es.
mentre dorme); il bambino può essere abusato nel segreto oppure alla presenza di
fratelli e/o sorelle; inizialmente può essere ricambiato con regali o soldi,
generalmente ne viene minacciata la vita, in una situazione di ricatto continuativa
(Hall- Lloyd, 1993; Draucker, 1994).
In base al tipo di attività sessuali, rientrano nell’abuso sessuale le seguenti:
carezze, sfregamenti, manipolazioni di parti intime e genitali della vittima;
ispezioni di parti del corpo intime (vagina, pene, ano); masturbazione davanti
agli occhi del bambino e successiva eiaculazione sul suo corpo, costrizione ad
assistere ad un atto omo o etero sessuale, pur non partecipandovi; farsi toccare e
manipolare dal bambino le zone erogene in modo da raggiungere l’eccitazione e
l’orgasmo; penetrazione vaginale e/o anale del minore (Hall-Lloyd, 1993;
Draucker, 1994).
Secondo Green (1993) ogni singolo caso di abuso sessuale fa storia a sé in
quanto la gravità dell’esperienza vissuta potrebbe dipendere dalla combinazione
delle seguenti variabili. che devono essere considerate per un’analisi dettagliata
ed una diagnosi appropriata dell’abuso sessuale:
• età e livello di sviluppo del bambino;
• personalità preesistente e capacità di ripresa del bambino;
• inizio, durata e frequenza della molestia;
• grado della coercizione e del trauma fisico;
• intimità della relazione tra il bambino e il perpetratore;
• livello di sostegno della risposta familiare dopo la rivelazione;
• natura della risposta istituzionale alla violenza (es. medica,
investigativa, giuridica);
• disponibilità e qualità dell’intervento terapeutico.
Ripetitività delle esperienze
Tra le conseguenze a lungo termine dell’abuso sessuale nell’infanzia è
riscontrato il rischio di ripetitività dell’esperienza sia come vittime che come
autori. In particolare, donne che sono state violentate nella loro infanzia
sembrano 4 volte (circa) più vulnerabili ad essere nuovamente violentate più
tardi e maggiormente predisposte ad avere un marito fisicamente violento e dal
quale venivano violentate o picchiate rispetto a donne che non hanno subito
violenza nell’infanzia. Tra le donne che sono state riconosciute autrici di
violenza sessuale, seppure il fenomeno sia piuttosto raro, tra il 50 e il 90%
avevano subito violenza sessuale nella loro infanzia. Per quanto riguarda gli
uomini, dalle ricerche emerge che tra il 57 e l’80% di coloro che sono stati
condannati per violenze o stupri su minori erano stati violentati sessualmente
nella loro infanzia. Nei casi di ripetizione dell’esperienza sembra che le violenze
sessuali possano rappresentare una ripetizione della molestia originaria infantile
e un’espressione di rabbia contro l’aggressore, come anche un’identificazione
con esso, inoltre, un ruolo centrale sarebbe svolto dalla componente di
eccitamento sessuale della violenza infantile (Green, 1993).
Seguendo la logica dei modelli di attaccamento, Gianoli (1997, 120)
afferma che l’esperienza del maltrattamento subita nell’infanzia «può condurre
allo sviluppo di modelli rappresentazionali negativi delle figure di attaccamento,
del Sé e del Sé in relazione ad altri significativi. Perciò, la presenza di relazioni
di attaccamento insicuro unita alle perturbazioni nei sistemi emergenti del Sé
suggerisce che le deviazioni evolutive successive e la psicopatologia possano
svilupparsi a partire da queste esperienze traumatiche».
Ciò che appare valido per il maltrattamento, sembra essere intensificato nel
caso dell’abuso sessuale, in quanto esperienza traumatica che contribuisce ad una
notevole compromissione e sofferenza psicologica della personalità che, essendo
in età evolutiva, è maggiormente sensibile ad ogni evento (Wyatt-Powell, 1988).
Kempe e Kempe, a questo proposito, affermano che «nessuno sa
perfettamente come avvenga, da una generazione all’altra, la trasmissione del
ruolo del genitore. Probabilmente il canale più significativo è l’esperienza di aver
avuto dei buoni genitori, di aver sperimentato come ci si sente ad essere un
bambino indifeso, ma amato e nutrito nell’infanzia» (Kempe-Kempe, 1989, 26).
Gli stessi autori propongono di interpretare il fenomeno della ripetitività come
esito degli stessi processi di apprendimento per cui i genitori si comportano con i
propri figli riproducendo inconsapevolmente gli stessi modi di fare dei propri
genitori. Il processo di apprendimento non cambia, anche se il contenuto è
diverso, cosicché un bambino violentato sarà condizionato a ripetere lo stereotipo
acquisito, in assenza di modelli genitoriali alternativi almeno altrettanto forti di
quelli a cui da sempre ha fatto riferimento. Poiché tali violenze sessuali sono
avvenute nel periodo infantile, in cui c’è una forte suscettibilità affettiva ed
emotiva e una scarsa capacità di simbolizzazione, sembra plausibile che da adulti
questi bambini tendano ad agire sulla scia di radicate sensazioni piuttosto che
della logica e che i loro comportamenti abbiano una connotazione simile alla
coazione a ripetere che finisce con il rinforzare i modelli interni seppur negativi
(Kempe-Kempe, 1989).
Il Genitore abusante
Le ricerche sull’incesto, seppur ancora di scarsa entità, rilevano che nella
maggioranza dei casi il genitore abusante è il padre e la vittima la figlia
(Scardaccione, 1992). Le interpretazioni sulla personalità del genitore abusante
sono condizionate dai modelli interpretativi utilizzati. In questa sede si tenta
un’estrapolazione delle caratteristiche principali emerse dalle ricerche analizzate.
«Gli uomini che abusano sessualmente, generalmente si sentono deboli ed
inadeguati. Hanno una bassa autostima. Non si sentono soddisfatti della loro vita.
Molti di essi sono pieni di risentimento verso gli altri e magari cercano,
inconsciamente, delle reazioni e delle risposte ostili ai loro atteggiamenti, come
una forma di auto-punizione. Cercano di sentirsi forti all’interno della famiglia
imponendo un clima autoritario, ricorrendo in alcuni casi alla violenza. Gli altri
membri della famiglia sono impauriti dalla loro presenza... riescono benissimo ad
isolarsi e a isolare la propria famiglia dagli altri. I metodi per raggiungere tale
scopo vanno dal provocare volontariamente l’imbarazzo dei possibili ospiti alle
minacce esplicite verso la famiglia di non frequentare altre persone» (Maltz e
Holman, 1987, 17).
In diversi casi, sembra che questi padri conducano due vite: all’esterno
possono apparire del tutto simili agli altri adulti, hanno un lavoro normale, sono
stimati professionalmente, fanno parte attiva di associazioni laiche (sindacati,
partiti politici, club sportivi ecc.) e/o religiose; all’interno di se stessi e della loro
famiglia, invece, sono persone che soffrono di disturbi psicologici, caratterizzati
da isolamento emozionale e da immaturità emotiva, da una sessualità distorta
determinata da scarsi modelli di controllo degli impulsi. Sono adulti che, come si
è notato a proposito della ripetitività dell’esperienza abusante, possono aver
sperimentato nella loro infanzia esperienze di maltrattamento e di violenza
sessuale, le stesse a cui ora sottopongono i figli. L’esistenza di questi padri
sembra segnata da un continuo conflitto tra queste due vite, associato al conflitto
interno tra il rendersi conto, in alcuni momenti, della malvagità dei loro atti e il
bisogno incontrollabile di dare forma alle fantasie incestuose e morbose che sono
presenti ad un livello molto profondo. La loro vita sembra essere costruita sulla
sabbia ed essi possono essere costantemente impegnati a proteggerla, non
rivelando a nessuno il loro terribile segreto, chiudendosi sempre più in un
ermetico isolamento emozionale che rende ancor più difficoltoso ogni tentativo
di cambiamento. A volte, forse per sfuggire alla paura che provano per le proprie
fantasie morbose o per anestetizzare le pulsioni da cui si sentono imprigionati, si
rifugiano nell’alcool o nelle droghe, alterando in tal modo la percezione della
realtà, attribuendo all’esterno la soluzione di un problema interiore e rendendo
sempre più deboli le proprie capacità di autocontrollo e di inibizione di tali
impulsi. A questo punto, il passo verso un nuovo ed incontrollabile abuso è
davvero breve (Maltz -Hollman, 1987; Caputo, 1995).
Tali genitori possono razionalizzare in modo pressoché distorto e altrettanto
patologico il loro comportamento abusante, facendo ricorso a spiegazioni e idee
del tutto irrealistiche se non irrazionali, indicative di uno schema cognitivo ed
emotivo alterato e disfunzionale rispetto alla realtà. Essi possono affermare con
forza e convinzione:
• di essere stati sedotti dal/la bambino/a;
• di voler solamente informare in modo “appropriato” il minore
riguardo il sesso;
• di voler far sentire bene il/la bambino/a, facendogli/le “piacere”;
• di voler dare al/la bambino/a un’attenzione maggiore e particolare;
• di voler dare soddisfazione sessuale al/la bambino/a in un ambiente
protetto come quello familiare, affinché egli/lei non le cerchi al di
fuori, con estranei o altri che gli/le possono fare del male (MaltzHolman, 1987).
Figlio/a abusato/a
La
vittima
dell’incesto
vive
un’esperienza
traumatica
che
incide
significativamente sulla percezione di sé e dell’evento, sul comportamento di
fronte all’abuso e sulla formazione dell’intera personalità.
2.4.3.1. Percezione e comportamento
I bambini dipendono dai genitori e dagli adulti per la soddisfazione dei
bisogni fondamentali legati alla sopravvivenza e alla maturazione psico-fisica e
sociale. Tutti i bambini sono in una posizione di vulnerabilità mancando delle
competenze per autogestirsi e di conseguenza si affidano totalmente e
spontaneamente alle cure dei genitori, tanto più se sono molto piccoli. Allo stesso
tempo, non sono in grado di capire, di percepire adeguatamente e di simbolizzare
le loro esperienze. Inoltre, a partire dal punto di vista egocentrico tipico del
bambino, ogni realtà del suo mondo è strettamente dipendente da ciò che egli fa
(Briere et. al., 1995). Così come impara a ricevere attenzione dalla madre
attraverso il pianto, altrettanto vale per qualsiasi cosa egli riesca ad ottenere che
ai suoi occhi risulta determinata da ciò che egli fa: «per l’ottica dei bambini essi
sono il centro di tutte le loro esperienze: questo sta a significare che pensano che
tutto ciò che gli accade intorno è creato e determinato da loro e gli altri non sono
altro che loro prolungamenti. Per cui il bambino può pensare che l’abuso del
quale è vittima è causato da lui o che se lo meritava. E’ difficile per il bambino
capire che l’abuso non ha niente a che fare con lui o con il suo comportamento,
ma che è un sintomo di una malattia che ha l’abusatore e che nessuno riesce a
vedere» (Maltz-Holman, 1987, 26).
La tendenza del bambino a generalizzare e il suo riuscire a manipolare una
prospettiva alla volta, lo può condurre a credere che tutte le famiglie siano come
la sua e che tutti i bambini vivano le sue stesse esperienze, compresa quella
dell’abuso. Crescendo, egli può avvertire che ciò che gli accade è sbagliato ma, a
causa della sua immaturità e carente competenza non è in grado di verbalizzare
tale esperienza e, tanto meno, di agire per bloccarla o impedirla. Il bambino «non
sa distinguere e capire chiaramente che la sua sofferenza potrebbe essere evitata
e che le responsabilità non sono sue. E’ confuso, non riesce a provare sentimenti
chiari, a volte ama i suoi genitori, li idealizza, altre volte li odia. Spera con tutte
le sue forze che qualcosa possa finalmente cambiare, e in questa attesa inizia,
attraverso i sintomi, a far trapelare le proprie difficoltà. E’ sempre in ansia,
spaventato, in stato di allerta. Di notte non dorme bene, ha incubi frequenti e si
sveglia urlando. Non riesce più a concentrarsi, è distratto, non gli interessa niente
e piange spesso. I bambini abusati non riescono mai a trovare una vera
spiegazione per ciò che accade. Provano emozioni forti, contrastanti e confuse:
sentono i genitori ingiusti e allo stesso tempo si sentono cattivi» (Di Blasio,
1996, 32). I segnali mandati dal bambino non sempre vengono colti ed
interpretati dai genitori, cosicché la situazione d’incesto continua a perdurare per
anni.
Di fronte all’abuso, quindi, il bambino non ha scelta: anche quando sente i
genitori cattivi resta il fatto che dipende totalmente da loro per la sua
sopravvivenza. Per avere cibo, attenzioni, affetto e la soddisfazione dei bisogni
vitali accetta dai genitori qualsiasi condizione, sottomettendosi ai loro desideri.
D’altra parte il genitore sembra incapace di amare incondizionatamente il figlio e
di riuscire a tollerare la frustrazione dei propri bisogni e di protrarre nel tempo la
loro soddisfazione. E’ come se, ad un certo punto, il figlio si dovesse conquistare
il diritto di essere amato sottomettendosi alle richieste di chi dovrebbe accudirlo
per il semplice fatto di esistere (Macario-Damilano, 1995).
In questi casi, il bambino abusato appare privo di sicurezza, costantemente
in guardia per evitare i pericoli o per cercare di piacere. Tende ad essere pauroso
e timido, ad avere un atteggiamento di accondiscendenza e di accettazione verso
tutto ciò che accade e si presenta, di solito, straordinariamente obbediente e
passivo. E’ un bambino che, di fronte all’accusa di abuso a carico del genitore,
può arrivare anche a negare e a difendere il genitore pur di non perdere la sua
unica fonte di vita, il suo unico sostegno per sopravvivere fisicamente ed
emotivamente, la sua unica protezione dall’ambiente esterno.
Egli può assumere su di sé un compito di protezione di se stesso e della
propria famiglia. In termini psicologici transazionali la vittima assume il ruolo
genitoriale nei confronti degli altri membri della famiglia, genitori o
fratelli/sorelle minori, assumendo la responsabilità della tutela e delle cure. Non
è raro trovare che la figlia abusata fa “la mamma di casa”. Così come non è raro
che genitori abusanti facciano leva su questo senso di responsabilità della vittima
per farle mantenere il segreto e continuare ad abusare di lei, convincendola che
sarà colpa sua se il padre finirà in carcere, se la madre si ammalerà e se la
famiglia sarà divisa (Maltz-Holman, 1987; Pasqualini, 1992).
Rivelare l’abuso può essere un’esperienza sconvolgente in quanto la
vittima può imbattersi in un nuovo rifiuto da parte di coloro (soprattutto la
madre) che non credendo a ciò che sta dicendo, l’accusano di mentire e la
puniscono, mettendola nuovamente in balia dell’abusante e rinforzando il suo
senso di sfiducia e depressione. Quando, poi, la denuncia arriva agli organi
competenti, la vittima viene sottoposta a una serie di verifiche e di confronti che
mettono a dura prova il suo equilibrio e richiedono un accurato supporto emotivo
e il contenimento delle angosce di perdita e di abbandono legate alla possibilità
di perdere i propri genitori e di essere affidati ad un altra famiglia (MaltzHolman, 1987; Crivillè, 1995).
Di fronte all’impossibilità di reagire attivamente rivelando l’incesto, al
minore restano poche alternative se non quella di evitare quanto più possibile le
situazioni di rischio (es. non stare in casa da sola con il padre), di rimuovere nei
meandri della non consapevolezza ciò che sta vivendo e di attendere che altri si
accorgano di ciò che accade e se ne facciano carico.
. Effetti immediati dell’abuso sessuale
Lo studio degli effetti dell’abuso sessuale sul comportamento del bambino
e sul suo funzionamento psicologico ha incontrato numerose difficoltà,
soprattutto metodologiche, inoltre l’interesse scientifico per questo fenomeno è
piuttosto recente. Finora le ricerche hanno utilizzato strumenti d’indagine
relativamente semplici e su campioni modesti, tanto da poter contare attualmente
su pochi dati che non permettono ampie e generali conclusioni (Green, 1993; Di
Blasio, 1996).
Per valutare la qualità e la consistenza degli effetti psicologici sul minore
abusato, Hall e Loyd (1993) suggeriscono di prendere in considerazione alcuni
fattori determinanti nell’esperienza di abuso quali: la durata dell’abuso, il tipo di
abuso, il tipo di relazione con l’abusatore (padre, patrigno...), la presenza
dell’uso della forza, il numero degli abusatori e l’età del bambino. A loro parere,
questi fattori, infatti, influiscono sia sul tipo e grado di conseguenze immediate
sul comportamento che sugli effetti a lungo termine rispetto alla strutturazione
della personalità e alla qualità di vita futura.
Per quanto riguarda gli effetti immediati, la tabella sottostante presenta i
segni a livello comportamentale che sono stati ricavati dalle prime ricerche
cliniche con minori abusati e che possono costituire una valida guida per
ipotizzare la presenza di un abuso (Erickson-McEvoy-Colucci, 1984; WyattPowell, 1988; Kempe-Kempe, 1989).
Segni comportamentali ricorrenti nell’abuso sessuale su minore
• problemi emozionali come improvvisi cambi di umore,
sensi di colpa e di ansia, di vergogna, di impotenza,
passività, pianti improvvisi;
• alterazione delle abitudini alimentari (anoressia, bulimia);
• inadempienza
scolastica
e
assenze
scolastiche
ingiustificate;
• crolli del rendimento scolastico;
• tentativi di suicidio, fughe da casa, abuso di sostanze
stupefacenti e alcol;
• fobie, malesseri psicosomatici, atteggiamenti isterici;
• disturbi del sonno;
• paura degli adulti o atteggiamento seduttivo, spesso
sessualizzato, nei loro confronti;
• incapacità di stabilire relazioni positive con i compagni,
isolamento sociale;
• atteggiamenti ribelli, provocatori;
• enuresi;
• depressione, malinconia, angoscia, incubi, ossessioni;
• autolesionismo;
• masturbazione;
• confidenze relative all’aver subito avances o abusi
sessuali;
• disegni o atti che suggeriscono la conoscenza di esperienze
sessuali inappropriate all’età (in particolare in bambini
piccoli);
• rifiuto delle visite mediche di screening o di spogliarsi per
la partecipazione ad attività sportive;
• negli adolescenti: promiscuità sessuale, prostituzione,
gravidanze precoci.
Evidentemente, questi segni hanno anche eziologie differenti da quella
dell’abuso, per questo diventa sempre più urgente affinare i metodi diagnostici e
circoscrivere le ipotesi interpretative.
Maltz e Holman (1987) differenziano i sintomi in riferimento all’età del
bambino abusato. In tal modo nei bambini più piccoli sono ricorrenti incubi e
altri disturbi del sonno, enuresi, masturbazioni coatte, pianto durante la pulizia
delle parti intime, regressione e comportamento esplicito riguardo il sesso,
inusuale a questa età; ritiro sociale, frequenti infezioni genitali, agitazione,
iperattività e irritabilità, perdita dell’appetito. Per quanto riguarda, invece, i
sintomi maggiormente riscontrati nei preadolescenti e adolescenti si evidenziano:
depressione, ritiro, scarsa autostima, abuso di medicinali, fuga da casa o
avversione a ritornare in famiglia, ricorrenti complicazioni fisiche, come
infezioni, crampi o dolori addominali, dolori muscolari, giramenti e forti mal di
testa, auto-mutilazioni, tentativi di suicidio, cambiamento nelle prestazioni
scolastiche, eccessivo comportamento seduttivo, disturbi dell’alimentazione,
limitata vita sociale, comportamenti devianti.
Tentando di operare un’analisi più specifica per individuare differenze
significative tra i due sessi, sono state condotte alcune ricerche che hanno
evidenziato come i maschi tendono ad esternalizzare la sofferenza derivante
dall’abuso attraverso comportamenti di tipo aggressivo e/o esibizionistico,
mentre le femmine tendono ad avere atteggiamenti di tipo depressivo e
comportamenti di ritiro sociale, tipici di un processo di internalizzazione della
sofferenza. Tali differenze sembrano affievolirsi con l’età adulta (ConteSchuerman, 1987; Friedrich et al. 1987-1988; Gomes-Schwartz, 1990). In uno
studio di Urquiza -Crowley (1986), su un campione di studenti universitari
abusati nell’infanzia sono stati rilevati indici di disturbo comuni ad entrambi i
sessi comprendenti elevati livelli di depressione, problemi di insonnia, sintomi
post-traumatici, bassa autostima, idee suicide, uso di droghe e problemi sessuali.
La nota che distingueva maggiormente i maschi dalle femmine era la maggiore
presenza nei primi di fantasie e desideri sessuali nei confronti dei bambini.
Uno dei primi studi longitudinali sugli effetti dell’abuso sessuale, condotto
da Tufts nel 1984 e riportato da Scoliere (1992) ha valutato le risposte di un
gruppo di bambini a 18 mesi dalla rivelazione dell’abuso. In tale studio è stato
evidenziato che: nel 55% dei casi vi era stato un notevole miglioramento dei
sintomi iniziali, soprattutto per quanto riguarda i problemi del sonno, la paura
dell’abusante e altri segni di ansia; nel 28% c’era stato un aggravamento di
alcuni sintomi relativi a comportamenti litigiosi, a conflitti con i genitori e a
comportamenti di ricerca di attenzione inadeguati. Inoltre, è stato osservato che i
ragazzi (un terzo del totale) che avevano iniziato una terapia erano quelli che
presentavano una sintomatologia più grave e che ottennero nel tempo
miglioramenti più evidenti.
L’abuso sessuale nell’infanzia viene considerato causa determinante di
psicopatologia nell’ambito di due modelli interpretativi principali per la
classificazione sintomatologica: il Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD)
e il modello delle quattro Dinamiche Traumageniche (Browne-Finkelhor,
1986).
Il primo modello (PTSD) considera l’abuso sessuale come un trauma e i
sintomi manifestati come disturbi post-traumatici, cioè reazioni difensive che il
soggetto attua per poter sopravvivere al trauma stesso. La sindrome posttraumatica si verifica, infatti, quando la persona ha vissuto un’esperienza in cui
ha sentito minacciata la propria vita o il proprio benessere fisico; quando nel
presente tende a rivivere (sogni, racconti, fantasie) e a riprodurre l’evento
vissuto; quando evita stimoli che le ricordano l’esperienza traumatica o quando
sperimenta un generale senso di intorpidimento emozionale e quando presenta i
sintomi tipici di uno stato di allerta generalizzato. Tali caratteristiche si ritrovano
anche nei bambini abusati sessualmente, cosicché essi vivono reazioni diverse a
seconda delle singole fasi della sindrome post-traumatica:
a) reazioni
immediate
(concomitanti
al
trauma)
sono
disorganizzazione, disorientamento, senso di annichilimento, bisogno
di ritirarsi e di isolarsi, sensazione di incredulità e di vulnerabilità,
assenza di emozioni chiare e definite;
b) reazioni a breve termine (dopo poche ore dall’evento) sono
sentimenti
più
chiari
quali
rabbia
e
paura
nei
confronti
dell’aggressore; umiliazione, vergogna, senso di colpa nei confronti
di
se
stessi,
associati
al
sentirsi
inadeguato,
impotente
e
incompetente;
c) reazioni a lungo termine (da uno a tre mesi dopo l’evento) sono
sentimenti di sfiducia nei confronti di se stessi e degli altri, di
disistima associati a insonnia, crisi di pianto, isolamento, sogni
ricorrenti e incubi, enuresi, disturbi dell’alimentazione, graduale
disinteresse per le relazioni con gli altri e per la cura di sé (Di Blasio,
1996).
Il modello appena delineato è stato il primo tentativo di identificazione e di
classificazione dei sintomi dell’abuso, anche se la sua origine e il suo utilizzo
non sono propri di questo tipo di traumi. Tuttavia esso è utile soprattutto nel caso
di abusi sessuali traumatici e non ripetitivi.
Per quanto riguarda, invece, lo specifico dell’abuso sessuale sembra che il
secondo modello sia maggiormente esplicativo ed efficace. Il modello delle
Quattro Dinamiche Traumageniche (Browne-Finkelhor, 1986; Green, 1993; Di
Blasio, 1996) si riferisce specificamente all’abuso sessuale e ai suoi effetti
riguardo quattro aree centrali della personalità: la sessualità, la fiducia nella
propria capacità di sviluppare relazioni personali, autostima e la fiducia nella
propria capacità di affrontare il mondo. Le quattro dinamiche traumageniche
corrispondenti a queste aree sono:
a) la “sessualizzazione traumatica”. In seguito alla stimolazione
sessuale e al rinforzo delle sue risposte sessuali, il bambino
generalizza l’uso del comportamento sessuale per soddisfare la
maggioranza dei suoi bisogni, compresi quelli non-sessuali. In tal
modo
egli
avvia
e
mantiene
un’attività
di
eccitazione
ed
ipereccitazione sessuale, che non solo è prematura ma anche deviata e
inappropriata.
b) “L’impotenza”. L’essersi sperimentato incapace di reagire durante
l’abuso fa sentire il bambino debole, timoroso, ansioso nel
relazionarsi all’ambiente e agli altri e sfiduciato circa le sue
possibilità di controllare la propria vita.
c) La
“stigmatizzazione”.
Il
bambino
si
sente
“segnato”
irrimediabilmente e al centro del giudizio di coetanei e familiari,
soprattutto quando la molestia è stata denunciata, con la conseguenza
di un sperimentato senso di vergogna, di colpa e un decremento del
livello di autostima.
d) Il “tradimento”. La vittima di incesto perde la fiducia riposta nel
genitore dal quale dipendeva e dal quale si aspettava protezione e
amore, con la conseguenza di una generalizzata sfiducia nei confronti
degli altri, associata a rabbia e a ostilità.
Queste dinamiche rappresentano costrutti organizzativi che alterano le
interazioni cognitivo-affettive del bambino con il mondo circostante ed in questo
modo influenzano il grado e la natura del trauma, distorcendo il concetto di sé, il
modo di vedere il mondo e le capacità effettive, emotive e comportamentali del
bambino. Infatti, il bambino matura un senso di sé confuso, contaminato e
colpevole che diventa uno schema interpretativo della realtà e delle sue future
esperienze che tende ad autoconfermarsi (Di Blasio, 1996).
Tale modello appare adatto ad una concettualizzazione e classificazione dei
sintomi dell’abuso sessuale in quanto «implica una visione del trauma da abuso
sessuale non come una semplice conseguenza dell’abuso ma come conseguenza
sia del processo che precede che di quello che segue l’abuso stesso. Le quattro
dinamiche sono infatti viste come collegate non solo all’abuso stesso ma anche
all’adattamento del bambino prima dell’abuso ed all’effetto che le reazioni degli
altri, dopo la scoperta dell’abuso, hanno sul bambino» (Scoliere, 1992, 77).
Entrambi i modelli, tuttavia, non riescono ancora a differenziare tra eventi
traumatici acuti e cronici e come essi interagiscono tra loro (Green, 1993).
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