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L`abuso all`infanzia: definizioni
Università Roma Tre CdL Scienze della Formazione Primaria Attività Formative Aggiuntive per il Sostegno Insegnamento di Psicopatologia dello Sviluppo Prof. Francesco Reposati Appunti delle lezioni L’abuso all’infanzia: definizioni Kempe e Kempe sostengono che l’abuso all’infanzia riguarda «...ogni situazione in cui il bambino è oggetto di violenza, ma dove il rapporto di causa ed effetto non risulta chiaro» (1989, 18) e dove, quindi, un esame accurato dei sintomi presentati dal bambino risulta necessario prima di affermare che egli ha subito abuso. In Italia, nei primi anni ‘80 Moro afferma che: «Ogni insufficiente risposta ai bisogni fondamentali di crescita umana del minore, ogni non sporadica ed episodica violazione dei diritti che su questi fondamentali bisogni si radicano, ogni azione che pregiudica seriamente le potenzialità naturali di crescita ed interferisce sulla loro realizzazione, costituisce un grave abuso che deve essere denunciato e rimosso» (1989, 20). Caffo considera il fenomeno dell’abuso sotto due aspetti fondamentali: da una parte la qualità della relazione tra genitori e figli e dall’altra la continuità di tale relazione nel tempo. Cosicché essa consisterebbe in «un continuum di comportamenti che comprendono tutte le possibili modalità attraverso le quali i genitori possono rapportarsi ai figli» (Caffo, 1984, 20). Ad un polo di questo continuum è collocata la relazione ottimale con i figli, all’altro, invece, la relazione più indesiderabile, comprendente il desiderio di uccidere il proprio figlio, fra i due poli si collocherebbero le varie forme di trascuratezza e di occasionale violenza che i genitori perpetrano sul figlio. Seguendo tale prospettiva, a differenziare un genitore realmente abusante da uno che lo è solo potenzialmente, è la permanenza del primo intorno al polo negativo del continuum, che si manifesta con forme di violenza continuate ed intense nei confronti del figlio. In seguito alla sua esperienza e agli studi effettuati nell’ambito delle violenze sui minori denunciate al Telefono Azzurro, Caffo afferma che l’abuso all’infanzia consiste, quindi, in «ogni condizione che impedisca in termini permanenti e gravi lo sviluppo delle potenzialità innate di crescita di un soggetto in età evolutiva» (Caffo,1987, 6). Montecchi preferisce seguire le indicazioni del Consiglio d’Europa e assumere la seguente definizione di abuso: «gli atti e le carenze che turbano gravemente il bambino, attentano alla sua integrità corporea, al suo sviluppo fisico, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o le lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di altri che hanno cura del bambino» (Montecchi, 1994,18). Classificazione e descrizione delle diverse forme di abuso all’infanzia Pur correndo il rischio di essere riduttivi, tentando di racchiudere un problema complesso e di natura multifattoriale come quello dell’abuso in classi, Kempe e Kempe (1989) propongono una classificazione delle diverse forme di abuso, basandosi sulla raccolta di informazioni circa le descrizioni più ricorrenti derivanti dallo studio dei casi clinici, sottoposti alla loro attenzione. Negli studi sull’abuso all’infanzia, la classificazione di Kempe e Kempe è ancora la più ricorrente ed essenziale. In essa vengono distinte le seguenti forme di abuso: trascuratezza, incuria, maltrattamento e violenza fisica; abuso psicologico e abuso sessuale. La loro classificazione è ripresa dal Child Protecion Register inglese del 1991, in cui si parla di Neglet (trascuratezza grave o persistente nei confronti del bambino), di Physical injury (maltrattamento fisico), di Sexual abuse (sfruttamento sessuale di minori), Emotional abuse (persistente maltrattamento emotivo o rifiuto dell’esperienza emotiva del bambino e delle sue espressioni comportamentali) (Di Blasio, 1996). Trascuratezza o incuria Con il termine trascuratezza si denota «l’incapacità dei genitori a comportarsi adeguatamente per la tutela della salute, della sicurezza e del benessere del bambino» (Kempe-Kempe, 1989, 19). Essa riguarda sia la trascuratezza fisica che quella affettiva. Nella prima forma sono comprese un’insufficiente nutrizione, negligenza nell’assistenza medica e scarsa protezione da pericoli fisici e sociali, fino ad arrivare all’abbandono. La trascuratezza affettiva, solitamente accompagnata all’abuso fisico, consiste nella mancanza quasi totale di attenzioni affettive da parte della madre o di altri familiari, tanto che il bambino resta a lungo tempo da solo, è lasciato piangere, non viene coccolato, non riceve carezze fisiche ne tanto meno riconoscimenti affettivi. Al bambino viene a mancare un’essenziale fonte di calore umano e di protezione, un ambiente sicuro e stimolante la sua crescita emotiva e psicologica (KempeKempe, 1989; Brassard-Germain-Hart, 1993, 75; Macario-Damilano, 1995). Secondo Montecchi (1994) i bisogni fondamentali del bambino possono venire elusi e frustrati attraverso un modo di fornire loro cure che è patologico, ovvero caratterizzato da: a) Incuria: quando le cure sono carenti, ovvero il bambino è trascurato. b) Discuria: quando le cure sono distorte e inadeguate alle esigenze del bambino e al suo momento evolutivo. Essa può avvenire per scarsa tempestività nel dare al bambino le cure di cui ha bisogno; per imposizione di ritmi di acquisizione precoci rispetto alle sue competenze reali; per pretese ed aspettative irrazionali. c) Ipercura: quando le cure sono eccessive, ovvero il bambino è iperprotetto o curato per disturbi che egli in realtà non ha, ma che i genitori sono convinti che abbia, cosicché si parla di “sindrome di Munchausen per procura” 1 . Con tale atteggiamento i genitori, prevalentemente la madre, fanno del bambino un malato fittizio, esponendolo al rischio di intossicazioni farmacologiche, di trattamenti medici inutili, di esperienze di ospedalizzazione del tutto nocive, e in casi estremi, procurandogli reali sintomi da soffocamento o da avvelenamento pur di giustificare i loro timori per la sua salute. Maltrattamento e violenza fisica Kempe e Kempe furono i primi a lavorare con i bambini maltrattati e a studiarne il comportamento, tanto da poter postulare, già nel 1961, la prima patologia che riguardava l’abuso dall’infanzia, ovvero “la sindrome del bambino maltrattato”. Sotto quest’etichetta erano compresi tutti quegli indizi di abuso subito comprendenti ferite cutanee, fratture, lesioni oculari, danni a carico di organi e apparati interni. Nella categoria del maltrattamento e/o violenza fisica viene così compresa «[ogni] azione fisicamente dannosa, diretta contro il bambino; generalmente comprende qualsiasi lesione che viene provocata, come, per esempio, contusioni, bruciature, ferite alla testa, fratture, ferite addominali o avvelenamento. La lesione provocata richiede in ogni caso una cura medica» (Kempe-Kempe, 1989, 19). 1 La sindrome di Muchausen per procura è un’evoluzione della sindrome di Muchausen caratterizzata dal comportamento di adulti che lamentano sintomi e disturbi inesistenti, richiedono cure e attenzioni a vari medici, ottengono accertamenti clinici e addirittura operazioni chirurgiche ingiustificate (DSM, IV, 521). Quando tali adulti diventano genitori riversano sui figli la patologia, liberandosene apparentemente e facendo di essi una sorta di contenitori esterni di fittizi disturbi fisici, psichici o della combinazione di entrambi (Montecchi, 1994, 130). I maltrattamenti e le violenze fisiche a carico del bambino possono essere di diversa natura ed intensità (percosse, morsi, spintoni, schiaffi, graffi), cosicché le conseguenze visibili possono essere più o meno gravi e permanenti. Molto spesso i segni che restano sul corpo del bambino possono essere camuffati e giustificati come esito di cadute accidentali o di liti tra coetanei, quando, in realtà sono il segnale di un abuso molto grave e persistente, di cui il maltrattamento fisico è solo l’aspetto più visibile (Montecchi, 1994). Maltrattamento psicologico: Un insieme di «atti che negano o rendono vani gli sforzi compiuti da un individuo per soddisfare le sue esigenze psicologiche basilari, in misura tale che il comportamento dell’individuo diviene deviante e disadattato» (Hart-GermanBrassard, 1987, 162). Come nel maltrattamento fisico, anche in quello psicologico si possono evidenziare diverse categorie, seppur generali e certamente non esaustive: a) Crudeltà mentale, comprendente la violenza e l’umiliazione verbale, le componenti psicologiche della violenza fisica, il fissare mete irraggiungibili, l’evidente discriminazione tra fratelli (Rohner e Rohner, 1980, 189-190; Brassard, Germain e Hart, 1993, 23). In quest’ambito riveste particolare importanza l’abuso verbale, fondato su un uso denigratorio della comunicazione, in cui la parola diventa strumento di aggressione, di critica, di umiliazione all’intelligenza e all’aspetto del bambino, di pressione psicologica, di ricatto affettivo, di accettazione condizionata, di ambivalenza (soprannomi offensivi, sarcasmo e ironia, minacce, colpevolizzazioni) (Kempe-Kempe, 1989; Papazian, 1996). b) Trascuratezza affettiva e deprivazione di stimoli, comprendente la mancanza di esperienze di affetto e di attenzione, l’interazione con un ambiente non accettante, il rifiuto interpersonale, l’impossibilità di fare esperienze di esplorazione dell’ambiente circostante (Wachs, 1976). c) Esposizione a modelli negativi o restrittivi, comprendente l’essere esposti ripetutamente a comportamenti violenti di genitori o di altri adulti o di coetanei significativi che incoraggiano l’uso di mezzi antisociali o distruttivi (Pezzi, 1995). d) Esposizione a esperienze traumatiche, comprendenti l’assistere a liti coniugali, a violenze sessuali, a spettacoli pornografici, a prostituzione, all’uso di droghe da parte di adulti, ad assassini e a torture (BrassardGerman-Hart, 1993). Definizioni di abuso sessuale all’infanzia Hall e Loyd (1993) ritengono che sia necessario stabilire parametri precisi in base ai quali definire l’abuso sessuale sul minore in tutta la sua interezza e propongono di valutare la presenza dei seguenti elementi: • tradimento della fiducia; • abuso di potere; • gamma di attività sessuali implicate; • uso della forza e/o della minaccia da parte dell’abusante; • percezione della minaccia da parte del bambino, anche se l’abuso non è coercitivo e violento. Tali variabili sono considerate nella seguente definizione: «si definisce abuso sessuale qualunque atto sessuale fisico o non fisico che una delle persone implicate non è nella condizione di poter scegliere: perché minorenne, incapace di intendere e di volere, minacciata o ricattata» (Scoliere, 1992, 74). L’enfasi è posta sulla presenza di un’incapacità di scelta, che può essere legata alla differenza di età tra persecutore e vittima (abuso sessuale nell’infanzia), alla posizione di potere e di influenza dell’abusante, alle caratteristiche di inferiorità psicologica e mentale che rendono la vittima maggiormente vulnerabile, alla percezione di una minaccia da parte dell’abusato. Un’ulteriore definizione in cui le variabili sopra elencate sono implicite è quella formulata dalla Draucker la quale afferma che: «L’abuso sessuale all’infanzia deve includere qualsiasi attività di sfruttamento sessuale, comprendente o meno un contatto fisico, tra un bambino e un’altra persona che in forza del suo potere, dovuto all’età, alla forza, alla posizione o al tipo di relazione, usa il bambino per soddisfare i propri bisogni sessuali ed emozionali» (1994, 3). Questa definizione pone l’accento sullo sfruttamento del minore a scopo sessuale, ma non descrive né il tipo di rapporto che intercorre tra l’abusante e la vittima, né a quali specifiche attività si fa riferimento; in tal modo mantiene un’ampiezza sufficiente a focalizzare l’attenzione diagnostica e terapeutica sul vissuto traumatizzante della vittima, piuttosto che sugli aspetti descrittivi dell’esperienza specifica (Draucker, 1994). Tipologie, caratteristiche e forme dell’abuso sessuale nell’infanzia Le definizioni finora proposte costituiscono il punto di partenza in base al quale si possono classificare diversi tipi di violenza sessuale a carico di minori, a seconda dei parametri di osservazione e di interpretazione che vengono scelti di volta in volta. In tal senso la classificazione proposta da Montecchi 2 (1994) può essere un’utile guida nell’analisi e nella descrizione degli aspetti fondamentali di tale fenomeno. Montecchi (1994) distingue, in primo luogo, tra abusi sessuali intrafamiliari ed extra familiari: i primi sarebbero circa il 78% del numero totale di abusi, i secondi il 22%. Gli abusi sessuali intrafamiliari possono essere ulteriormente suddivisi in: 1. Abusi sessuali manifesti, a valenza incestuosa, in cui generalmente una figura maschile con funzione paterna abusa di una figlia femmina; più raramente i casi in cui ad essere abusanti sono le madri, i padri nei confronti dei figli maschi, i fratelli maggiori nei confronti delle sorelle. 2. Abusi sessuali mascherati, consistenti in pratiche genitali inconsuete, quali frequenti lavaggi dei genitali da parte di un genitore, ispezioni genitali ripetute, applicazioni di creme nelle zone intime senza che vi sia una reale necessità. «Attraverso queste attività il padre e/o la madre giustificano e mascherano i vari toccamenti e sfregamenti attraverso cui si procurano sessualizzando un eccitamento l’esperienza (Montecchi, 1994, 145). sessuale, corporea che fisico il o figlio/a fantastico, subisce» 3. Pseudo abusi sessuali, consistenti in quelle situazioni in cui un bambino o una bambina sono fatti assistere all’abuso sessuale che un genitore agisce su un fratello o una sorella o alle attività sessuali della coppia genitoriale. Pur non essendoci un’implicazione fisica diretta del minore, questi sono considerati veri e propri abusi sessuali. Nell’ambito degli abusi sessuali extrafamiliari vengono inserite quelle esperienze simili alle precedenti ma che sono avvenute al di fuori del contesto familiare e che, spesso non sono mai state comunicate, neanche ai genitori. Sono «forme di abuso frequentemente sommerse e che riemergono nei racconti dei pazienti, oramai adulti, poiché, quando l’abuso si era verificato, i sentimenti di vergogna, imbarazzo, pudore dei genitori avevano prevalso sulla opportunità nono solo di denunciare il fatto all’autorità giudiziaria, ma anche di occuparsi della salute mentale del minore che aveva subito l’abuso» (Montecchi, 1994, 146). Secondo un parametro di tipo contestuale, in cui si osservano tempi e luoghi dell’abuso, si rilevano diverse accezioni, cosicché l’abuso sessuale può avvenire in qualsiasi momento del giorno e/o della notte, oppure sempre alla stessa ora o nello stesso giorno della settimana; anche il luogo può essere sempre lo stesso oppure cambiare (dentro o fuori casa, in macchina); il bambino può essere abusato quando è nudo (es. durante il bagno) o quando è vestito (es. mentre dorme); il bambino può essere abusato nel segreto oppure alla presenza di fratelli e/o sorelle; inizialmente può essere ricambiato con regali o soldi, generalmente ne viene minacciata la vita, in una situazione di ricatto continuativa (Hall- Lloyd, 1993; Draucker, 1994). In base al tipo di attività sessuali, rientrano nell’abuso sessuale le seguenti: carezze, sfregamenti, manipolazioni di parti intime e genitali della vittima; ispezioni di parti del corpo intime (vagina, pene, ano); masturbazione davanti agli occhi del bambino e successiva eiaculazione sul suo corpo, costrizione ad assistere ad un atto omo o etero sessuale, pur non partecipandovi; farsi toccare e manipolare dal bambino le zone erogene in modo da raggiungere l’eccitazione e l’orgasmo; penetrazione vaginale e/o anale del minore (Hall-Lloyd, 1993; Draucker, 1994). Secondo Green (1993) ogni singolo caso di abuso sessuale fa storia a sé in quanto la gravità dell’esperienza vissuta potrebbe dipendere dalla combinazione delle seguenti variabili. che devono essere considerate per un’analisi dettagliata ed una diagnosi appropriata dell’abuso sessuale: • età e livello di sviluppo del bambino; • personalità preesistente e capacità di ripresa del bambino; • inizio, durata e frequenza della molestia; • grado della coercizione e del trauma fisico; • intimità della relazione tra il bambino e il perpetratore; • livello di sostegno della risposta familiare dopo la rivelazione; • natura della risposta istituzionale alla violenza (es. medica, investigativa, giuridica); • disponibilità e qualità dell’intervento terapeutico. Ripetitività delle esperienze Tra le conseguenze a lungo termine dell’abuso sessuale nell’infanzia è riscontrato il rischio di ripetitività dell’esperienza sia come vittime che come autori. In particolare, donne che sono state violentate nella loro infanzia sembrano 4 volte (circa) più vulnerabili ad essere nuovamente violentate più tardi e maggiormente predisposte ad avere un marito fisicamente violento e dal quale venivano violentate o picchiate rispetto a donne che non hanno subito violenza nell’infanzia. Tra le donne che sono state riconosciute autrici di violenza sessuale, seppure il fenomeno sia piuttosto raro, tra il 50 e il 90% avevano subito violenza sessuale nella loro infanzia. Per quanto riguarda gli uomini, dalle ricerche emerge che tra il 57 e l’80% di coloro che sono stati condannati per violenze o stupri su minori erano stati violentati sessualmente nella loro infanzia. Nei casi di ripetizione dell’esperienza sembra che le violenze sessuali possano rappresentare una ripetizione della molestia originaria infantile e un’espressione di rabbia contro l’aggressore, come anche un’identificazione con esso, inoltre, un ruolo centrale sarebbe svolto dalla componente di eccitamento sessuale della violenza infantile (Green, 1993). Seguendo la logica dei modelli di attaccamento, Gianoli (1997, 120) afferma che l’esperienza del maltrattamento subita nell’infanzia «può condurre allo sviluppo di modelli rappresentazionali negativi delle figure di attaccamento, del Sé e del Sé in relazione ad altri significativi. Perciò, la presenza di relazioni di attaccamento insicuro unita alle perturbazioni nei sistemi emergenti del Sé suggerisce che le deviazioni evolutive successive e la psicopatologia possano svilupparsi a partire da queste esperienze traumatiche». Ciò che appare valido per il maltrattamento, sembra essere intensificato nel caso dell’abuso sessuale, in quanto esperienza traumatica che contribuisce ad una notevole compromissione e sofferenza psicologica della personalità che, essendo in età evolutiva, è maggiormente sensibile ad ogni evento (Wyatt-Powell, 1988). Kempe e Kempe, a questo proposito, affermano che «nessuno sa perfettamente come avvenga, da una generazione all’altra, la trasmissione del ruolo del genitore. Probabilmente il canale più significativo è l’esperienza di aver avuto dei buoni genitori, di aver sperimentato come ci si sente ad essere un bambino indifeso, ma amato e nutrito nell’infanzia» (Kempe-Kempe, 1989, 26). Gli stessi autori propongono di interpretare il fenomeno della ripetitività come esito degli stessi processi di apprendimento per cui i genitori si comportano con i propri figli riproducendo inconsapevolmente gli stessi modi di fare dei propri genitori. Il processo di apprendimento non cambia, anche se il contenuto è diverso, cosicché un bambino violentato sarà condizionato a ripetere lo stereotipo acquisito, in assenza di modelli genitoriali alternativi almeno altrettanto forti di quelli a cui da sempre ha fatto riferimento. Poiché tali violenze sessuali sono avvenute nel periodo infantile, in cui c’è una forte suscettibilità affettiva ed emotiva e una scarsa capacità di simbolizzazione, sembra plausibile che da adulti questi bambini tendano ad agire sulla scia di radicate sensazioni piuttosto che della logica e che i loro comportamenti abbiano una connotazione simile alla coazione a ripetere che finisce con il rinforzare i modelli interni seppur negativi (Kempe-Kempe, 1989). Il Genitore abusante Le ricerche sull’incesto, seppur ancora di scarsa entità, rilevano che nella maggioranza dei casi il genitore abusante è il padre e la vittima la figlia (Scardaccione, 1992). Le interpretazioni sulla personalità del genitore abusante sono condizionate dai modelli interpretativi utilizzati. In questa sede si tenta un’estrapolazione delle caratteristiche principali emerse dalle ricerche analizzate. «Gli uomini che abusano sessualmente, generalmente si sentono deboli ed inadeguati. Hanno una bassa autostima. Non si sentono soddisfatti della loro vita. Molti di essi sono pieni di risentimento verso gli altri e magari cercano, inconsciamente, delle reazioni e delle risposte ostili ai loro atteggiamenti, come una forma di auto-punizione. Cercano di sentirsi forti all’interno della famiglia imponendo un clima autoritario, ricorrendo in alcuni casi alla violenza. Gli altri membri della famiglia sono impauriti dalla loro presenza... riescono benissimo ad isolarsi e a isolare la propria famiglia dagli altri. I metodi per raggiungere tale scopo vanno dal provocare volontariamente l’imbarazzo dei possibili ospiti alle minacce esplicite verso la famiglia di non frequentare altre persone» (Maltz e Holman, 1987, 17). In diversi casi, sembra che questi padri conducano due vite: all’esterno possono apparire del tutto simili agli altri adulti, hanno un lavoro normale, sono stimati professionalmente, fanno parte attiva di associazioni laiche (sindacati, partiti politici, club sportivi ecc.) e/o religiose; all’interno di se stessi e della loro famiglia, invece, sono persone che soffrono di disturbi psicologici, caratterizzati da isolamento emozionale e da immaturità emotiva, da una sessualità distorta determinata da scarsi modelli di controllo degli impulsi. Sono adulti che, come si è notato a proposito della ripetitività dell’esperienza abusante, possono aver sperimentato nella loro infanzia esperienze di maltrattamento e di violenza sessuale, le stesse a cui ora sottopongono i figli. L’esistenza di questi padri sembra segnata da un continuo conflitto tra queste due vite, associato al conflitto interno tra il rendersi conto, in alcuni momenti, della malvagità dei loro atti e il bisogno incontrollabile di dare forma alle fantasie incestuose e morbose che sono presenti ad un livello molto profondo. La loro vita sembra essere costruita sulla sabbia ed essi possono essere costantemente impegnati a proteggerla, non rivelando a nessuno il loro terribile segreto, chiudendosi sempre più in un ermetico isolamento emozionale che rende ancor più difficoltoso ogni tentativo di cambiamento. A volte, forse per sfuggire alla paura che provano per le proprie fantasie morbose o per anestetizzare le pulsioni da cui si sentono imprigionati, si rifugiano nell’alcool o nelle droghe, alterando in tal modo la percezione della realtà, attribuendo all’esterno la soluzione di un problema interiore e rendendo sempre più deboli le proprie capacità di autocontrollo e di inibizione di tali impulsi. A questo punto, il passo verso un nuovo ed incontrollabile abuso è davvero breve (Maltz -Hollman, 1987; Caputo, 1995). Tali genitori possono razionalizzare in modo pressoché distorto e altrettanto patologico il loro comportamento abusante, facendo ricorso a spiegazioni e idee del tutto irrealistiche se non irrazionali, indicative di uno schema cognitivo ed emotivo alterato e disfunzionale rispetto alla realtà. Essi possono affermare con forza e convinzione: • di essere stati sedotti dal/la bambino/a; • di voler solamente informare in modo “appropriato” il minore riguardo il sesso; • di voler far sentire bene il/la bambino/a, facendogli/le “piacere”; • di voler dare al/la bambino/a un’attenzione maggiore e particolare; • di voler dare soddisfazione sessuale al/la bambino/a in un ambiente protetto come quello familiare, affinché egli/lei non le cerchi al di fuori, con estranei o altri che gli/le possono fare del male (MaltzHolman, 1987). Figlio/a abusato/a La vittima dell’incesto vive un’esperienza traumatica che incide significativamente sulla percezione di sé e dell’evento, sul comportamento di fronte all’abuso e sulla formazione dell’intera personalità. 2.4.3.1. Percezione e comportamento I bambini dipendono dai genitori e dagli adulti per la soddisfazione dei bisogni fondamentali legati alla sopravvivenza e alla maturazione psico-fisica e sociale. Tutti i bambini sono in una posizione di vulnerabilità mancando delle competenze per autogestirsi e di conseguenza si affidano totalmente e spontaneamente alle cure dei genitori, tanto più se sono molto piccoli. Allo stesso tempo, non sono in grado di capire, di percepire adeguatamente e di simbolizzare le loro esperienze. Inoltre, a partire dal punto di vista egocentrico tipico del bambino, ogni realtà del suo mondo è strettamente dipendente da ciò che egli fa (Briere et. al., 1995). Così come impara a ricevere attenzione dalla madre attraverso il pianto, altrettanto vale per qualsiasi cosa egli riesca ad ottenere che ai suoi occhi risulta determinata da ciò che egli fa: «per l’ottica dei bambini essi sono il centro di tutte le loro esperienze: questo sta a significare che pensano che tutto ciò che gli accade intorno è creato e determinato da loro e gli altri non sono altro che loro prolungamenti. Per cui il bambino può pensare che l’abuso del quale è vittima è causato da lui o che se lo meritava. E’ difficile per il bambino capire che l’abuso non ha niente a che fare con lui o con il suo comportamento, ma che è un sintomo di una malattia che ha l’abusatore e che nessuno riesce a vedere» (Maltz-Holman, 1987, 26). La tendenza del bambino a generalizzare e il suo riuscire a manipolare una prospettiva alla volta, lo può condurre a credere che tutte le famiglie siano come la sua e che tutti i bambini vivano le sue stesse esperienze, compresa quella dell’abuso. Crescendo, egli può avvertire che ciò che gli accade è sbagliato ma, a causa della sua immaturità e carente competenza non è in grado di verbalizzare tale esperienza e, tanto meno, di agire per bloccarla o impedirla. Il bambino «non sa distinguere e capire chiaramente che la sua sofferenza potrebbe essere evitata e che le responsabilità non sono sue. E’ confuso, non riesce a provare sentimenti chiari, a volte ama i suoi genitori, li idealizza, altre volte li odia. Spera con tutte le sue forze che qualcosa possa finalmente cambiare, e in questa attesa inizia, attraverso i sintomi, a far trapelare le proprie difficoltà. E’ sempre in ansia, spaventato, in stato di allerta. Di notte non dorme bene, ha incubi frequenti e si sveglia urlando. Non riesce più a concentrarsi, è distratto, non gli interessa niente e piange spesso. I bambini abusati non riescono mai a trovare una vera spiegazione per ciò che accade. Provano emozioni forti, contrastanti e confuse: sentono i genitori ingiusti e allo stesso tempo si sentono cattivi» (Di Blasio, 1996, 32). I segnali mandati dal bambino non sempre vengono colti ed interpretati dai genitori, cosicché la situazione d’incesto continua a perdurare per anni. Di fronte all’abuso, quindi, il bambino non ha scelta: anche quando sente i genitori cattivi resta il fatto che dipende totalmente da loro per la sua sopravvivenza. Per avere cibo, attenzioni, affetto e la soddisfazione dei bisogni vitali accetta dai genitori qualsiasi condizione, sottomettendosi ai loro desideri. D’altra parte il genitore sembra incapace di amare incondizionatamente il figlio e di riuscire a tollerare la frustrazione dei propri bisogni e di protrarre nel tempo la loro soddisfazione. E’ come se, ad un certo punto, il figlio si dovesse conquistare il diritto di essere amato sottomettendosi alle richieste di chi dovrebbe accudirlo per il semplice fatto di esistere (Macario-Damilano, 1995). In questi casi, il bambino abusato appare privo di sicurezza, costantemente in guardia per evitare i pericoli o per cercare di piacere. Tende ad essere pauroso e timido, ad avere un atteggiamento di accondiscendenza e di accettazione verso tutto ciò che accade e si presenta, di solito, straordinariamente obbediente e passivo. E’ un bambino che, di fronte all’accusa di abuso a carico del genitore, può arrivare anche a negare e a difendere il genitore pur di non perdere la sua unica fonte di vita, il suo unico sostegno per sopravvivere fisicamente ed emotivamente, la sua unica protezione dall’ambiente esterno. Egli può assumere su di sé un compito di protezione di se stesso e della propria famiglia. In termini psicologici transazionali la vittima assume il ruolo genitoriale nei confronti degli altri membri della famiglia, genitori o fratelli/sorelle minori, assumendo la responsabilità della tutela e delle cure. Non è raro trovare che la figlia abusata fa “la mamma di casa”. Così come non è raro che genitori abusanti facciano leva su questo senso di responsabilità della vittima per farle mantenere il segreto e continuare ad abusare di lei, convincendola che sarà colpa sua se il padre finirà in carcere, se la madre si ammalerà e se la famiglia sarà divisa (Maltz-Holman, 1987; Pasqualini, 1992). Rivelare l’abuso può essere un’esperienza sconvolgente in quanto la vittima può imbattersi in un nuovo rifiuto da parte di coloro (soprattutto la madre) che non credendo a ciò che sta dicendo, l’accusano di mentire e la puniscono, mettendola nuovamente in balia dell’abusante e rinforzando il suo senso di sfiducia e depressione. Quando, poi, la denuncia arriva agli organi competenti, la vittima viene sottoposta a una serie di verifiche e di confronti che mettono a dura prova il suo equilibrio e richiedono un accurato supporto emotivo e il contenimento delle angosce di perdita e di abbandono legate alla possibilità di perdere i propri genitori e di essere affidati ad un altra famiglia (MaltzHolman, 1987; Crivillè, 1995). Di fronte all’impossibilità di reagire attivamente rivelando l’incesto, al minore restano poche alternative se non quella di evitare quanto più possibile le situazioni di rischio (es. non stare in casa da sola con il padre), di rimuovere nei meandri della non consapevolezza ciò che sta vivendo e di attendere che altri si accorgano di ciò che accade e se ne facciano carico. . Effetti immediati dell’abuso sessuale Lo studio degli effetti dell’abuso sessuale sul comportamento del bambino e sul suo funzionamento psicologico ha incontrato numerose difficoltà, soprattutto metodologiche, inoltre l’interesse scientifico per questo fenomeno è piuttosto recente. Finora le ricerche hanno utilizzato strumenti d’indagine relativamente semplici e su campioni modesti, tanto da poter contare attualmente su pochi dati che non permettono ampie e generali conclusioni (Green, 1993; Di Blasio, 1996). Per valutare la qualità e la consistenza degli effetti psicologici sul minore abusato, Hall e Loyd (1993) suggeriscono di prendere in considerazione alcuni fattori determinanti nell’esperienza di abuso quali: la durata dell’abuso, il tipo di abuso, il tipo di relazione con l’abusatore (padre, patrigno...), la presenza dell’uso della forza, il numero degli abusatori e l’età del bambino. A loro parere, questi fattori, infatti, influiscono sia sul tipo e grado di conseguenze immediate sul comportamento che sugli effetti a lungo termine rispetto alla strutturazione della personalità e alla qualità di vita futura. Per quanto riguarda gli effetti immediati, la tabella sottostante presenta i segni a livello comportamentale che sono stati ricavati dalle prime ricerche cliniche con minori abusati e che possono costituire una valida guida per ipotizzare la presenza di un abuso (Erickson-McEvoy-Colucci, 1984; WyattPowell, 1988; Kempe-Kempe, 1989). Segni comportamentali ricorrenti nell’abuso sessuale su minore • problemi emozionali come improvvisi cambi di umore, sensi di colpa e di ansia, di vergogna, di impotenza, passività, pianti improvvisi; • alterazione delle abitudini alimentari (anoressia, bulimia); • inadempienza scolastica e assenze scolastiche ingiustificate; • crolli del rendimento scolastico; • tentativi di suicidio, fughe da casa, abuso di sostanze stupefacenti e alcol; • fobie, malesseri psicosomatici, atteggiamenti isterici; • disturbi del sonno; • paura degli adulti o atteggiamento seduttivo, spesso sessualizzato, nei loro confronti; • incapacità di stabilire relazioni positive con i compagni, isolamento sociale; • atteggiamenti ribelli, provocatori; • enuresi; • depressione, malinconia, angoscia, incubi, ossessioni; • autolesionismo; • masturbazione; • confidenze relative all’aver subito avances o abusi sessuali; • disegni o atti che suggeriscono la conoscenza di esperienze sessuali inappropriate all’età (in particolare in bambini piccoli); • rifiuto delle visite mediche di screening o di spogliarsi per la partecipazione ad attività sportive; • negli adolescenti: promiscuità sessuale, prostituzione, gravidanze precoci. Evidentemente, questi segni hanno anche eziologie differenti da quella dell’abuso, per questo diventa sempre più urgente affinare i metodi diagnostici e circoscrivere le ipotesi interpretative. Maltz e Holman (1987) differenziano i sintomi in riferimento all’età del bambino abusato. In tal modo nei bambini più piccoli sono ricorrenti incubi e altri disturbi del sonno, enuresi, masturbazioni coatte, pianto durante la pulizia delle parti intime, regressione e comportamento esplicito riguardo il sesso, inusuale a questa età; ritiro sociale, frequenti infezioni genitali, agitazione, iperattività e irritabilità, perdita dell’appetito. Per quanto riguarda, invece, i sintomi maggiormente riscontrati nei preadolescenti e adolescenti si evidenziano: depressione, ritiro, scarsa autostima, abuso di medicinali, fuga da casa o avversione a ritornare in famiglia, ricorrenti complicazioni fisiche, come infezioni, crampi o dolori addominali, dolori muscolari, giramenti e forti mal di testa, auto-mutilazioni, tentativi di suicidio, cambiamento nelle prestazioni scolastiche, eccessivo comportamento seduttivo, disturbi dell’alimentazione, limitata vita sociale, comportamenti devianti. Tentando di operare un’analisi più specifica per individuare differenze significative tra i due sessi, sono state condotte alcune ricerche che hanno evidenziato come i maschi tendono ad esternalizzare la sofferenza derivante dall’abuso attraverso comportamenti di tipo aggressivo e/o esibizionistico, mentre le femmine tendono ad avere atteggiamenti di tipo depressivo e comportamenti di ritiro sociale, tipici di un processo di internalizzazione della sofferenza. Tali differenze sembrano affievolirsi con l’età adulta (ConteSchuerman, 1987; Friedrich et al. 1987-1988; Gomes-Schwartz, 1990). In uno studio di Urquiza -Crowley (1986), su un campione di studenti universitari abusati nell’infanzia sono stati rilevati indici di disturbo comuni ad entrambi i sessi comprendenti elevati livelli di depressione, problemi di insonnia, sintomi post-traumatici, bassa autostima, idee suicide, uso di droghe e problemi sessuali. La nota che distingueva maggiormente i maschi dalle femmine era la maggiore presenza nei primi di fantasie e desideri sessuali nei confronti dei bambini. Uno dei primi studi longitudinali sugli effetti dell’abuso sessuale, condotto da Tufts nel 1984 e riportato da Scoliere (1992) ha valutato le risposte di un gruppo di bambini a 18 mesi dalla rivelazione dell’abuso. In tale studio è stato evidenziato che: nel 55% dei casi vi era stato un notevole miglioramento dei sintomi iniziali, soprattutto per quanto riguarda i problemi del sonno, la paura dell’abusante e altri segni di ansia; nel 28% c’era stato un aggravamento di alcuni sintomi relativi a comportamenti litigiosi, a conflitti con i genitori e a comportamenti di ricerca di attenzione inadeguati. Inoltre, è stato osservato che i ragazzi (un terzo del totale) che avevano iniziato una terapia erano quelli che presentavano una sintomatologia più grave e che ottennero nel tempo miglioramenti più evidenti. L’abuso sessuale nell’infanzia viene considerato causa determinante di psicopatologia nell’ambito di due modelli interpretativi principali per la classificazione sintomatologica: il Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD) e il modello delle quattro Dinamiche Traumageniche (Browne-Finkelhor, 1986). Il primo modello (PTSD) considera l’abuso sessuale come un trauma e i sintomi manifestati come disturbi post-traumatici, cioè reazioni difensive che il soggetto attua per poter sopravvivere al trauma stesso. La sindrome posttraumatica si verifica, infatti, quando la persona ha vissuto un’esperienza in cui ha sentito minacciata la propria vita o il proprio benessere fisico; quando nel presente tende a rivivere (sogni, racconti, fantasie) e a riprodurre l’evento vissuto; quando evita stimoli che le ricordano l’esperienza traumatica o quando sperimenta un generale senso di intorpidimento emozionale e quando presenta i sintomi tipici di uno stato di allerta generalizzato. Tali caratteristiche si ritrovano anche nei bambini abusati sessualmente, cosicché essi vivono reazioni diverse a seconda delle singole fasi della sindrome post-traumatica: a) reazioni immediate (concomitanti al trauma) sono disorganizzazione, disorientamento, senso di annichilimento, bisogno di ritirarsi e di isolarsi, sensazione di incredulità e di vulnerabilità, assenza di emozioni chiare e definite; b) reazioni a breve termine (dopo poche ore dall’evento) sono sentimenti più chiari quali rabbia e paura nei confronti dell’aggressore; umiliazione, vergogna, senso di colpa nei confronti di se stessi, associati al sentirsi inadeguato, impotente e incompetente; c) reazioni a lungo termine (da uno a tre mesi dopo l’evento) sono sentimenti di sfiducia nei confronti di se stessi e degli altri, di disistima associati a insonnia, crisi di pianto, isolamento, sogni ricorrenti e incubi, enuresi, disturbi dell’alimentazione, graduale disinteresse per le relazioni con gli altri e per la cura di sé (Di Blasio, 1996). Il modello appena delineato è stato il primo tentativo di identificazione e di classificazione dei sintomi dell’abuso, anche se la sua origine e il suo utilizzo non sono propri di questo tipo di traumi. Tuttavia esso è utile soprattutto nel caso di abusi sessuali traumatici e non ripetitivi. Per quanto riguarda, invece, lo specifico dell’abuso sessuale sembra che il secondo modello sia maggiormente esplicativo ed efficace. Il modello delle Quattro Dinamiche Traumageniche (Browne-Finkelhor, 1986; Green, 1993; Di Blasio, 1996) si riferisce specificamente all’abuso sessuale e ai suoi effetti riguardo quattro aree centrali della personalità: la sessualità, la fiducia nella propria capacità di sviluppare relazioni personali, autostima e la fiducia nella propria capacità di affrontare il mondo. Le quattro dinamiche traumageniche corrispondenti a queste aree sono: a) la “sessualizzazione traumatica”. In seguito alla stimolazione sessuale e al rinforzo delle sue risposte sessuali, il bambino generalizza l’uso del comportamento sessuale per soddisfare la maggioranza dei suoi bisogni, compresi quelli non-sessuali. In tal modo egli avvia e mantiene un’attività di eccitazione ed ipereccitazione sessuale, che non solo è prematura ma anche deviata e inappropriata. b) “L’impotenza”. L’essersi sperimentato incapace di reagire durante l’abuso fa sentire il bambino debole, timoroso, ansioso nel relazionarsi all’ambiente e agli altri e sfiduciato circa le sue possibilità di controllare la propria vita. c) La “stigmatizzazione”. Il bambino si sente “segnato” irrimediabilmente e al centro del giudizio di coetanei e familiari, soprattutto quando la molestia è stata denunciata, con la conseguenza di un sperimentato senso di vergogna, di colpa e un decremento del livello di autostima. d) Il “tradimento”. La vittima di incesto perde la fiducia riposta nel genitore dal quale dipendeva e dal quale si aspettava protezione e amore, con la conseguenza di una generalizzata sfiducia nei confronti degli altri, associata a rabbia e a ostilità. Queste dinamiche rappresentano costrutti organizzativi che alterano le interazioni cognitivo-affettive del bambino con il mondo circostante ed in questo modo influenzano il grado e la natura del trauma, distorcendo il concetto di sé, il modo di vedere il mondo e le capacità effettive, emotive e comportamentali del bambino. Infatti, il bambino matura un senso di sé confuso, contaminato e colpevole che diventa uno schema interpretativo della realtà e delle sue future esperienze che tende ad autoconfermarsi (Di Blasio, 1996). Tale modello appare adatto ad una concettualizzazione e classificazione dei sintomi dell’abuso sessuale in quanto «implica una visione del trauma da abuso sessuale non come una semplice conseguenza dell’abuso ma come conseguenza sia del processo che precede che di quello che segue l’abuso stesso. Le quattro dinamiche sono infatti viste come collegate non solo all’abuso stesso ma anche all’adattamento del bambino prima dell’abuso ed all’effetto che le reazioni degli altri, dopo la scoperta dell’abuso, hanno sul bambino» (Scoliere, 1992, 77). Entrambi i modelli, tuttavia, non riescono ancora a differenziare tra eventi traumatici acuti e cronici e come essi interagiscono tra loro (Green, 1993).