L`abuso del diritto in materia tributaria: evoluzione giurisprudenziale
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L`abuso del diritto in materia tributaria: evoluzione giurisprudenziale
Antonio Miele Avvocato e dottore commercialista L’abuso del diritto in materia tributaria: evoluzione giurisprudenziale sommario Premessa. - 1. Il concetto di abuso del diritto nel settore tributario e gli orientamenti giurisprudenziali . - 2. La capacità contributiva come principio anti abuso. - 3. Il problema della retroattività del principio connesso all’art 53 Cost. - 4. L’evoluzione giurisprudenziale. - 4.1. La sentenza della Cassazione n. 4604 del 26 febbraio 2014. - 5. I recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità sull’onere della prova. 6. Legge delega. - 7. Conclusioni. Premessa L’abuso del diritto, in ambito tributario, è un istituto di origine giurisprudenziale che non ha mai ricevuto, finora, l’attenzione del legislatore o quanto meno non è stato mai disciplinato in maniera proficua. La formula “abuso del diritto”, in ambito europeo, nasce nella seconda metà dell’ottocento in quei Paesi in cui il processo di crescita ed industrializzazione erano in uno stato avanzato e dove le teorie liberali si andavano affermando (Inghilterra): l’abuso del diritto viene concepito come l’esercizio scorretto di un diritto soggettivo soprattutto nei rapporti economici. Nell’accezione comune, l’abuso del diritto è stato definito come frode alla legge fiscale, ovvero come abuso dell’autonomia negoziale. Bisogna distinguere la frode alla legge fiscale, ovvero elusione, dalla frode fiscale. Questa ultima si manifesta attraverso la sottrazione diretta e l’occultamento del presupposto di un tributo alla tassazione dovuta, si ha un comportamento contra legem che potrà essere sanzionato sia sotto il profilo amministrativo che penale: esiste il presupposto del tributo, ma la condotta del contribuente è finalizzata alla sottrazione dello stesso. Nell’elusione, invece, il contribuente non pone in essere comportamenti illeciti, ma il suo modus operandi è finalizzato all’uso distorto delle diverse fattispecie negoziali affinché il presupposto del tributo venga aggirato. Quindi, a differenza dell’evasione, l’elusione non è una fattispecie illegale ma attraverso di essa le leggi vengono aggirate nel loro aspetto sostanziale. In mancanza di strumenti antielusivi, non è semplice distinguere l’elusione dal lecito risparmio di im152 posta, pertanto si rende necessario un’analisi approfondita dei comportamenti posti in essere, al fine di poter desumere la vera finalità del contribuente e cioè se l’atto posto in essere risponde a ragioni economiche organizzative o ha come unica finalità il “beneficio fiscale”1. 1. Il concetto di abuso del diritto nel settore tributario e gli orientamenti giurisprudenziali Il concetto di abuso del diritto in ambito tributario, nel corso di questi ultimi anni, è stato interessato da interventi legislativi e soprattutto giurisprudenziali. Dal punto di vista legislativo è bene precisare che il sistema tributario italiano, non contiene, a differenza di altri Paesi, una clausola antielusiva generale, ma singole disposizioni specifiche. L’art. 37-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, entrato in vigore l’8 novembre 1997, rappresenta il punto di riferimento normativo. La norma considera inopponibili al fisco taluni fatti o attività negoziali che hanno come unico obiettivo l’ottenimento di vantaggi fiscali. Il primo comma infatti recita: “Sono inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi altrimenti indebiti”2. Ebbene precisare che detta norma trova applicazione unicamente per le imposte sui redditi, e soltanto in presenza dell’operazioni tassativamente indicate nell’articolo stesso, mentre si rivela del tutto inefficace in tutte le altre ipotesi di elusione di leggi tributarie. Dal punto di vista giurisprudenziale, con l’introduzione dell’articolo 37-bis, la Corte di Cassazione ha assunto orientamenti contrastanti. Infatti, in primo momento, la Suprema Corte3, partendo dall’assunto che prima dell’introduzione del nuovo testo dell’art. 37-bis, non esisteva una clausola generale antielusiva e non si poteva applicare retroattivamente la citata 1 Tabellini P., Elusione della norma tributaria, Milano, 2007. Buccico C., L’abuso del diritto nel sistema tributario: evoluzione legislativa e giurisprudenziale, in Gazz. Forense, n. 2/2013, ed. Il Denaro, p. 115-130. 3 Cfr. Cass., 03.04.2000, n. 3979; Cass., 03.09.2001 n. 11371; Cass., 07.03.2002, n. 3345. 2 Gazzetta Forense Cfr. Cass., 21.10.2005 n. 20398; Cass., 14.11.2005, n. 22932; Cass., 26.10.2005, n. 20816. 5 Betti R.-Sbaraglia G., L’abuso dl diritto in materia tributaria: la giurisprudenza italiana, in Il fisco, n. 42/2011, fasc. 1, p. 6841. 6 Cfr. Cass. n. 20816/2005. 7 Cfr. Cass., 14 novembre 2005, n. 22932. TRIBUTARIO 2. La capacità contributiva come principio anti abuso La Corte quindi muta nuovamente atteggiamento, indirizzando la sua ricerca a principi antiabuso all’interno del sistema normativo nazionale e lo rinviene in quello di capacità contributiva. Le Sezioni Unite11, aderiscono all’indirizzo fondato sul riconoscimento dell’esistenza di un generale principio antielusivo con la precisazione che la fonte di tale principio, in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, va individuata non nella giurisprudenza comunitaria, quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano12. Ed in effetti, “i principi di capacità contributiva (art. 53 Cost., comma 1) e di progressività dell’imposizione (art. 53, comma 2, Cost.) costituiscono il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto sia di quelle che attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di qualsiasi genere, essendo anche tali ultime norme finalizzate alla più piena attuazione di quei principi. Con la conseguenza che non può non ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta deriva8 C.G.U.E., sent. 21.02.2006, causa C-255/02; Deotto D., Più difese dall’abuso del diritto, in “Il Sole 24 Ore”, Norme e tributi, del 16 dicembre 2009. 9 Cfr. Cass., 19 maggio 2010, n. 12249. 10 C.G.U.E., sent. 21 febbraio 2008, causa C-425/06. 11 Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, nn. 30055, 30056 e 30057. 12 Lupi R.-Stevanato D., Tecniche interpretative e pretesa immanenza di una norma generale antielusiva, in Corr. Trib., 2009, p. 403. maggio giugno 4 un vantaggio fiscale … risultante da un insieme di elementi obiettivi” 8. Sulla base di tale pronuncia, la Suprema Corte muta nuovamente la propria posizione e individua la fonte dell’abuso di diritto, non più in istituti civilistici, quale la mancanza di causa, ma in un principio di matrice comunitaria che come tale è immediatamente applicabile all’ordinamento nazionale . L’estensione di un principio relativo all’abuso del diritto dall’ambito comunitario a quello interno è stato molto criticato dalla dottrina soprattutto perché il principio dell’abuso del diritto comunitario si applica nell’ambito dell’imposta sul valore aggiunto (che è tributo oggetto di armonizzazione comunitaria) e non è estendibile alle imposte sui redditi che hanno matrice interna. Le perplessità mosse dalla dottrina, hanno trovato conforto nella Suprema Corte9 che ha affermato che la clausola antielusiva di matrice comunitaria si applica solo all’iva ed ai tributi armonizzati. In realtà tale nuovo atteggiamento della Corte di cassazione trova la sua ragion d’essere in una precedente sentenza della Corte di giustizia10, con la quale si ribadiva l’applicabilità dell’abuso del diritto ai soli tributi armonizzati. ’14 norma, aveva ritenuto legittime le operazioni menzionate alla luce del fatto che potevano essere qualificati elusivi solo quegli atti che erano definiti tali da una norma vigente al momento in cui erano stati posti in essere. Successivamente, i Giudici di legittimità, hanno ribaltato il precedente orientamento. Infatti la Suprema Corte4 ha ritenuto non necessaria la presenza di una norma ad hoc per qualificare un comportamento come elusivo in quanto gli atti i fatti o i negozi, anche collegati tra loro, privi di uno scopo economico e che portino alle parti esclusivamente un vantaggio fiscale, sono nulli in quanto difettano di causa5. Pertanto la Corte di cassazione individua in un istituto civilistico la ratio e la fonte per combattere l’abuso di diritto. Infatti il Giudice di legittimità ha affermato che : “…il Collegio ritiene cioè pertinente anche il richiamo all’articolo 1344 del codice civile poiché le norme tributarie appaiono norme imperative poste a tutela dell’interesse generale del concorso paritario alle spese pubbliche (art. 53 della Costituzione) e su questo punto si dissente dalle argomentazioni accolte nella sentenza di questa Corte 3 settembre 2001, n. 11351”6. Il giudice di merito può quindi pronunciarsi riguardo alla nullità di atti, fatti e negozi collegati, poiché si è in presenza di un negozio in frode alla legge, ex art. 1344 c.c. Tale interpretazione è stata confermata successivamente dalla giurisprudenza di legittimità7 che ha individuato i requisiti oggettivi che caratterizzano il comportamento abusivo ai fini fiscali nella: - inesistenza di valide ragioni economiche alla base del sistema negoziale posto in essere; - ottenimento di un indebito vantaggio fiscale. Tali requisiti determinano la devianza della causa, circostanza questa che permette al giudice tributario di rilevare d’ufficio in ogni stato e grado del processo, la nullità dei negozi giuridici utilizzati dal contribuente per eludere l’imposta. Il divieto di abuso del diritto, si è evoluto lentamente con successive pronunce della Cassazione grazie anche alla spinta dalla Corte di giustizia europea nel campo dell’imposta sul valore aggiunto. La Corte sancisce in primo luogo il principio generale che non ci si può avvalere fraudolentemente del diritto comunitario e successivamente estende questo principio al settore iva affermando che “si ha abuso del diritto ogni qual volta le operazioni pur realmente volute hanno … essenzialmente lo scopo di ottenere 153 Gazzetta Forense zione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale”13. 3. Il problema della retroattività del principio connesso all’art 53 Cost. La Corte,14 dunque, partendo dal presupposto che il principio di abuso del diritto è informato ai principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione di cui all’art. 53 della Costituzione, ha affermato che lo stesso non è contrastante con il principio della riserva di legge in materia tributaria, di cui all’art. 23 della Costituzione15 e conseguenzialmente ha considerato retroattiva l’applicazione del principio stesso16. Diretta conseguenza di questa sentenza è la possibilità di applicare detto principio anche in via retroattiva e per tutte le imposte. Di diverso avviso è la dottrina che ritiene che un’attribuzione retroattiva del principio di divieto di abuso è in violazione dell’art. 23 della Costituzione. Il principio della riserva di legge garantisce che i soggetti passivi conoscono ex ante il carico fiscale delle operazioni effettuate ed i controlli che il fisco può attivare. Il fatto stesso che un principio antielusivo trova la sua fonte nell’art. 53 della Costituzione non può legittimare un’applicazione retroattiva dello stesso in quanto si scontrerebbe con un altro principio generale (previsto dallo Statuto del contribuente) per il quale “le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo”. Il principio dell’irretroattività trova la sua fonte nell’art.11 delle preleggi e rappresenta una regola essenziale del sistema, principio peraltro più volte espresso dalla Suprema Corte17 e dalla stessa Corte costituzionale18. Pertanto un principio generale antielusivo formulato nell’anno 2008 non può applicarsi ad ipotesi verificatesi in anni precedenti19. 4. L’evoluzione giurisprudenziale A seguito delle critiche apportate dalla dottrina alle conseguenze scaturite dalla sentenza n. 30057 del 23.12.2008, l’orientamento della Suprema Corte sez 13 Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30055 e n. 30057, cit. Cass., sez. trib., 21 gennaio 2011, n. 1372. 15 Cass., sez. trib., 21 gennaio 2011, n. 1372, cit.. 16 Cass., sez. trib., 16 febbraio 2012 , n. 2193; Stevanato D., Ancora un’accusa di elusione senza aggiramento dello spirito della legge, in Corr. Trib., 2011, p. 678. 17 Cass., sez trib., 14 aprile 2004 , n. 7080; Cass., sez. trib., 9 aprile 2010, n. 8481. 18 Corte costituzionale, 13 ottobre 2000, n. 419. 19 Buccico C., L’abuso del diritto nel sistema tributario: evoluzione legislativa e giurisprudenziale, op. cit. 14 154 tributaria20, appare meno rigido e più equilibrato. Infatti pur ribadendo che il principio antielusivo, in tema di tributi non armonizzati quali le imposte dirette, trova la sua fonte non nella giurisprudenza comunitaria, ma dai principi costituzionali in tema di capacità contributiva e progressività dell’imposta, ha evidenziato che è necessario accertare se una determinata operazione o un determinato negozio è legato a logiche organizzative o a logiche di mercato che prescindono da ragioni fiscali “ma possono essere di natura meramente organizzativa e consistenti in un miglioramento strutturale e funzionale dell’impresa” (sentenza n. 1372/2011). Inoltre la Suprema Corte (con sentenza n. 3947/2011) ha statuito che l’Amministrazione finanziaria, prima di censurare un’operazione come antielusiva, deve dimostrare che la stessa è antieconomica . Un’incisiva rivisitazione della nozione dell’abuso di diritto in materia tributaria, si è avuta con la sentenza n. 1372 del 21 gennaio 2011 che aveva ad oggetto un caso di leveraged buy out . La Corte ha affermato che: “l’applicazione del principio deve essere guidata da una particolare cautela, essendo necessario trovare una linea giusta di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente aggressiva e la libertà di scelta delle forme giuridiche, soprattutto quando si tratta di attività di impresa. Tale esigenza è particolarmente sentita nei tempi recenti, nei quali si assiste ad un uso sempre più disinvolto dei cd. Tax shelters e quindi ad una ricerca comune a tutte l’esperienze giuridiche, di individuare adeguate forme di contrasto, anche all’infuori di una codificazione della clausola generale anti abuso”. Con questa sentenza la Suprema Corte ha rimodellato la nozione di abuso del diritto evidenziando il delicato compito del giudice di merito nel valutare l’operazione potenzialmente abusiva ai fini fiscali. I giudici hanno evidenziato il fatto che devono essere presi in considerazione, sia nella fase di contestazione sia nella fase contenziosa, i principi costituzionali sulla libertà economica e le scelte di mercato che si inseriscono nella logica dell’attività di impresa. Il contemperamento di interessi, “libertà di impresa e autonomia negoziale da una parte e solidarietà e capacità contributiva dall’altra, attenuano di molto la nozione di abuso del diritto in materia tributaria”21. 4.1. La conferma della Cassazione: la sentenza n. 4604 del 26 febbraio 2014 Detti principi sono stati confermati da una recentissima sentenza della Suprema Corte, sez. V civ., 26 febbraio 2014 n. 4604 con la quale i giudici di 20 Cass., sez. trib., 12 novembre 2010, n. 22992, Cass., sez. trib., 21 gennaio 2011 n. 1372 e Cass., sez. trib., febbraio 2011, n. 3947. 21 Negri G., Frenata sull’abuso del diritto, in “ Il Sole-24 Ore”. Norme e tributi, del 22 gennaio 2011. Rizzardi R., Abuso del diritto: svolta della Corte di cassazione, in “Il Sole -24 Ore”, del 25 gennaio 2011. 6. La legge delega sull’abuso di diritto in materia tributaria In considerazione del fatto che il tema dell’abuso del diritto è un tema particolarmente dibattuto e dai confini incerti, l’articolo 5 dal titolo “Disciplina dell’abuso del diritto ed elusione fiscale”, della legge n. 23 dell’11 marzo 2014, che entrerà in vigore il 27 marzo 2014, ha attribuito una delega al Governo affinché possa disciplinare finalmente la materia. Il Governo è stato delegato a rivedere le disposizioni antielusive e a disciplinare il principio dell’abuso del diritto, affinché si possa ottenere una maggiore certezza nel nostro sistema tributario. 22 Cass., 21 gennaio 2011. n. 1372. Cass., 11 dicembre 2013, n. 27679; Ferrajoli L., In materia di abuso del diritto l’onere della prova è a carico dell’amministrazione finanziaria, in www.ecnews.it/2014/03/materia-di-abuso-del-diritto-lonere-della-prova-e-carico-dellamministrazione-finanziaria/, del 18 marzo 2014. 23 maggio giugno 5. I recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità sull’onere della prova: la sentenza n. 1233 del 22 gennaio 2014 La creazione “giurisprudenziale” di un divieto generale di elusione nell’ordinamento tributario italiano, ha prodotto effetti anche sugli aspetti procedurali. A tal proposito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 1372 del 21 gennaio 2011 ha chiarito i comportamenti da assumere. In effetti, nella citata sentenza, la Suprema Corte ha evidenziato che l’onere probatorio debba essere ripartito tra contribuente ed Amministrazione finanziaria: questa ultima ha l’onere di descrivere il disegno elusivo e l’irragionevolezza economica delle operazioni poste in essere, mentre è a carico del contribuente dimostrare l’esistenza di valide ragioni economiche che giustifichino siffatte operazioni22. Infine una recente pronuncia della Corte di cassazione, la n. 1233 del 22 gennaio 2014, ha ribadito che grava sull’Amministrazione l’onere di allegare gli elementi probatori decisivi a dimostrare la condotta abusiva . La questione sottoposta alla Corte riguardava un’operazione di ristrutturazione societaria di gruppo dove veniva contestata l’indebita deduzione della quota di ammortamento annuale relativa all’imputazione del disavanzo da fusione all’avviamento, a seguito di una fusione per incorporazione di dodici società interamente partecipate. Con la citata sentenza, la Corte attribuisce all’Amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare il carattere artificioso dell’operazione censurata non potendosi limitare all’affermazione che lo stesso risultato poteva essere raggiunto in modo diverso. Spetta dunque all’Agenzia dell’Entrate dimostrare perché la ristrutturazione posta in essere non sia conforme all’operazione economica, posto che l’Amministrazione finanziaria non può imporre uno schema organizzativo diverso, da quelli giuridicamente possibili, solo perché avrebbe generato un diverso carico fiscale. Di contro il contribuente avrà l’onere di dimostrare le ragioni economiche dell’operazione posta in essere in quanto volte a realizzare miglioramenti nell’efficienza dell’attività o a rendere maggiormente competitiva l’impresa23. ’14 legittimità hanno chiarito che “il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di ragioni economiche apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. Ne consegue che il carattere abusivo di un’operazione va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, che non si identificano necessariamente in una redditività immediata dell’operazione medesima, ma possono rispondere ad esigenze di natura organizzativa e consistere in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda”. La fattispecie sottoposta al giudizio della Corte si basava sul fatto che ad una società italiana veniva contestata la natura elusiva relativamente all’ acquisto di una partecipazione azionaria in una società greca, pari al 51%, e successivamente alla svalutazione di tale partecipazione, determinando in tal modo una minusvalenza che aveva come fine ultimo la riduzione della base imponibile. Per valutare l’elusività o meno delle operazioni, i Giudici hanno posto la loro attenzione sull’iter seguito dal contribuente e più precisamente hanno valutato la presenza o meno di valide ragioni economiche alla base dell’operazioni poste in essere. Pertanto, partendo dall’assunto che l’acquisizione della partecipazione non fosse un’operazione isolata, ma rientrasse in un ben più ampio progetto di riorganizzazione strutturale e funzionale del gruppo, i Giudici hanno sentenziato che l’affermazione, in base alla quale sono state considerate elusive le operazioni poste in essere dalla società acquirente, secondo cui “l’invocata finalità economica, giustificata attraverso la ristrutturazione del gruppo, appare meramente marginale se non del tutto assente, si appalesa come insufficiente, in quanto inadeguata a dar conto della esclusione della ricorrenza di valide ragioni economiche alla base dell’operazione”. Con questa sentenza i Giudici della Suprema Corte, hanno posto un ulteriore freno alla nozione di “abuso del diritto in campo tributario rimarcando la sostanziale differenza tra lecito risparmio di imposta e abuso/elusione fiscale. TRIBUTARIO Gazzetta Forense 155 Gazzetta Forense Con la legge delega è stato richiesto al Governo di aderire ai principi contenuti nella raccomandazione della Commissione europea n. 2012/772/UE del 6 dicembre 2012 secondo la quale per contrastare le pratiche di pianificazione fiscale aggressiva che non rientrano nell’ambito di applicazione delle norme nazionali specifiche intese a combattere l’elusione fiscale, gli Stati membri dovrebbero adottare una norma generale antiabuso adattata alle situazioni nazionali, alle situazioni transfrontaliere limitate all’Unione e alle situazioni che coinvolgono paesi terzi24. Da ciò scaturisce una prima definizione di abuso del diritto, secondo la quale costituisce abuso del diritto l’uso distorto di strumenti giuridici allo scopo prevalente di ottenere un risparmio di imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione. Ovviamente i contribuenti saranno liberi di scegliere tra i diversi regimi previsti dal sistema tributario, ma sarà semplicemente loro impedito di effettuare scelte dettate esclusivamente dalla volontà di ottenere indebiti vantaggi fiscali. Sarà quindi l’Amministrazione Finanziaria a dover dimostrare il disegno abusivo, e rimarrà in capo al contribuente la possibilità di dimostrare le valide ragioni extratributarie che hanno giustificato tale condotta. Pertanto vi sarà la piena assimilazione tra elusione fiscale ed abuso del diritto con l’eliminazione dell’elencazione vincolante di cui all’articolo 37-bis del d.P.R. n. 600/1973. 7. Conclusioni Alla luce di quanto detto si può affermare che l’elusione rappresenta una sorta di “tertium genus” fra risparmio lecito di imposta ed evasione. Bisogna tenere distinti gli atti, i fatti ed i negozi posti in essere al mero fine di ottenere un risparmio fiscale, dalle operazioni di ordinaria gestione rientranti nell’ambito di attività che consentono al soggetto economico di raggiungere livelli efficienti di tassazione. Pertanto organizzare la propria attività ottimizzando le risorse finanziarie e contenendo la base imponibile non costituisce un illecito, ma un diritto di rilevanza costituzionale quale quello della “libertà di iniziativa economica privata” (art. 41 Cost.). 24 Cfr. in particolare punto n. 4 della raccomandazione n. 2012/772. 156