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m`illumino d`immenso
Elisa e Benito Calònego M’ILLUMINO D’IMMENSO IL TEMA POETICO DELL‟IMMENSITÀ IN UNGARETTI E LEOPARDI 1 2 Siamo nel bel mezzo della prima guerra mondiale. „Sul teatro principale del conflitto, cioè il fronte occidentale, e sul fronte italiano alla guerra di movimento si era dunque sostituita la guerra di posizione. Era questo un nuovo ed inatteso modo di combattere che colse impreparati innanzitutto i capi militari. Per sfondare le linee avversarie e ritornare ai sistemi « classici » di guerra, vennero compiuti massicci quanto vani sforzi. Ma, oltre all'adozione di nuovi e micidiali mezzi bellici come le mitragliatrici, le bombe a mano ed i gas venefici, i carri armati e gli aerei, la guerra di trincea, conseguenza della cristallizzazione dei fronti, aveva già di per sé significato un radicale peggioramento delle condizioni dei soldati. La presenza continua del nemico, l'estenuante attesa dell'attacco, i bombardamenti delle artiglierie che rendevano insicure anche le trincee, la disciplina fatta valere con metodi disumani, provocarono infatti nei soldati un logoramento, innanzitutto psicologico, che le campagne di movimento, caratterizzate da un rapido e decisivo contatto con l'avversario solo al momento della battaglia, avevano conosciuto in misura molto minore.‟ (Francesco Traniello, Storia contemporanea, ed. SEI) Tutto questo inizia nell‟autunno del 1916, e Ungaretti che si trova al fronte, in trincea, vive con angoscia la situazione che si è venuta determinando, come risulta dalla breve e intensa poesia che segue, composta nell‟inverno 1916- 1917. 3 SOLITUDINE Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917 Ma le mie urla feriscono come fulmini la campana fioca del cielo Sprofondano impaurite I brevi versi esprimono esasperazione, scoramento, paura. La <<campana fioca del cielo>>, allude simbolicamente allo scoramento, alla mancanza di prospettive per il futuro. La <<rivolta>> dell‟uomo contro la dura realtà della guerra appare senza prospettive. Nella stessa giornata, il poeta compone altre due poesie, anch‟esse brevi ma di grande concentrazione emotiva ed espressiva. Come per incanto, l‟atmosfera cupa e depressa di <<Solitudine>> viene meno nella seconda, famosissima poesia della giornata, <<Mattina>>. MATTINA Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917 M‟illumino d‟immenso Cosa è successo? Il poeta, dalla trincea vede in lontananza la distesa infinita del mare. Lo splendore del sole sorto da poco gli trasmette una sensazione di luminosità ed in particolare un sentimento di una vastità sconfinata. L‟intensa emozione riscatta il suo spirito dalla cupezza e dallo scoramento. Il cielo grigio e chiuso di <<Solitudine>>, invaso dalla luce, si apre a perdita d‟occhio, senza più confini. 4 La ritrovata serenità di spirito la ritroviamo intatta nell‟ultimo acuto poetico della giornata. DORMIRE Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917 Vorrei imitare questo paese adagiato nel suo camice di neve 5 In questi versi non c‟è più traccia di esasperazione e di scoramento, l‟animo del poeta appare pacificato. ^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^ La formula espressiva <<m‟illumino>> (voce del verbo <<illuminarsi>>) è stata sperimentata un anno prima (1916), nella poesia <<Perché?>>, in risposta ad una situazione spirituale assai particolare. La vita gli <<pare una corolla di tenebre>> e il suo cuore stanco, non reggendo alle terribili prove della guerra, cerca conforto nella fede religiosa dei padri. Il mio cuore vuole illuminarsi come questa notte almeno di zampilli di razzi ....................................... L‟adesione alla fede dei padri darà i suoi frutti, sia sul piano esistenziale che sul piano poetico (<<Peso>>, <<Preghiera>>, <<La madre>>, ecc...), ma risulterà complementare ad una esigenza più profondamente avvertita dal poeta, quella di sentirsi in armonia con l‟universo: Questo è l'Isonzo E qui meglio mi sono riconosciuto una docile fibra dell'universo Il mio supplizio è quando non mi credo in armonia 6 Ma quelle occulte mani che m'intridono mi regalano la rara felicità (Da I fiumi) ^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^ <<M‟illumino d‟immenso>> nasce, come sappiamo, da una emozione visiva. Il poeta, dalla trincea vede in lontananza la distesa infinita del mare illuminata dal sole sorto da poco e prova una intensissima emozione. Poiché il poeta non dice <<(il sole) m‟illumina>> ma <<m‟illumino>>, è chiaro che la luminosità percepita è solo lo stimolo esteriore ad un evento tutto interiore, spirituale. Colpito da quella intensa ed ampia luminosità, egli vive l‟emozione dell‟immensità, il sentimento dell‟infinito, una emozione di natura cosmica che tocca le radici del suo essere, lo penetra interamente, lo solleva in una dimensione spirituale di cristallina purezza, al di sopra delle miserie umane. La gran luce che si è accesa dentro di lui rasserena il suo animo. Grazie ad essa egli riesce ad assumere un atteggiamento pacificato nei confronti del mondo reale. Il cielo grigio e chiuso di <<Solitudine>>, invaso dalla luce, si apre a perdita d‟occhio, non ha più confini. La tensione si allenta e ora il poeta – soldato è disposto a concedersi un sonno ristoratore, in armoniosa sintonia col <<paese adagiato nel suo camice di neve>>. ^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^ Per intendere appieno il senso della fulminante brevità di <<M‟illumino d‟immenso>>, la forte concentrazione emotiva ed espressiva che la caratterizza, trascrivo le parole con cui il poeta illustra la propria rivoluzionaria concezione della parola poetica: una concezione che rifiuta nettamente la verbosità sonora e fluente del dannunzianesimo imperante, come pure quella rumorosa, tecnologica e antiromantica del futurismo.. «Era la prima volta che 7 l‟espressione cercava di aderire in modo assoluto a ciò che doveva esprimere. Non c'era nessuna divagazione: tutto era lì, incombente sulla parola da dire. „Io ha da dare questo: come posso dirlo con il numero minore di parole? Anzi con quell'unica parola che lo dica nel modo più completo possibile?‟ Si sa che tra parola e ciò che si deve dire c'è sempre un divario enorme, anche quando magari sembri piccolissimo. La lingua corrisponde male a quello che si ha in mente, che si vorrebbe dire: sicuro, non corrisponde se non assai approssimativamente. Dico dunque che cercavo l‟approssimazione meno imprecisa, la riduzione per quanto possibile di quel divario ineliminabile». E la parola poetica trovata, ovviamente non ha un significato solo a livello linguistico ed estetico, essa assume per il poeta un significato profondamente umano, come risulta dai versi seguenti, tratti dalla poesia „Commiato‟ : Quando trovo in questo mio silenzio una parola scavata è nella mia vita come un abisso. Coerentemente con la ricerca della massima concentrazione, della stringatezza espressiva, Ungaretti cancella due versi di <<Mattina>> presenti nella primitiva stesura, spedita su cartolina postale all‟amico Papini. M‟illumino d‟immenso con un breve moto di sguardi Quando dà la poesia alle stampe, con il suo infallibile intuito, elimina gli ultimi due versi, di carattere descrittivo che, tra l‟altro, hanno il torto di diluire nel tempo un evento che nella istantaneità ha il suo punto di forza. 8 Una concezione siffatta del linguaggio poetico non ha solo una matrice culturale. Io ritengo che sia stata la stessa esperienza della guerra, un‟esperienza di situazioni dolorose ed estreme, a suggerirgli il rifiuto della parola fluente e sonora, ad imporgli l‟adozione di un linguaggio asciutto ed essenziale, perfettamente aderente tra l‟altro all‟intenzione di realizzare un diario di guerra, in cui annotare quanto andava sperimentando giorno per giorno. Questa concezione trova perfetta espressione ne <<L‟allegria>> del 1919, l‟opera poetica che accoglie le poesie del tempo di guerra, ma ha vita breve. A partire da <<Il sentimento del tempo>> (1919-1935) viene infatti superata dalla nuova poetica dell‟Ermetismo, che privilegia il linguaggio analogico e simbolico e si affida al potere allusivo della parola. <<Ormai il dettare di Ungaretti esclude ogni possibilità di risoluzione in un significato coerente ... richiede la collaborazione assidua del lettore, al quale il poeta suggerisce più che dire, avvalendosi dei valori fonici allusivi, della suggestione che le parole stesse riescono a creare>> (A. Gianni, in Antologia della letteratura italiana, vol III, parte II, ed. D’Anna ) ^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^ L‟Ungaretti de “L‟allegria”, se sul piano lessicale rifiuta – come abbiamo appena visto - la parola fluente e sonora ed è alla ricerca della parola autentica, sul piano metrico compie una “rivoluzione” non meno significativa: rompe la misura tradizionale del verso spezzandolo con molta libertà in tronconi. Ciò vale in particolare per l‟endecasillabo e per il settenario. Vediamo qualche esempio. <<Di che reggimento siete fratelli>> Leggendo i due versi senza la pausa al termine del primo, constatiamo che si tratta di un endecasillabo. Analogamente, formano un endecasillabo i quattro versi della poesia <<Soldati>>. Si sta come d‟autunno 9 sugli alberi le foglie. Costituiscono invece un settenario spezzato i due versi: <<M‟illumino d‟immenso>> Evidentemente, la scelta del poeta non è senza un senso preciso: il ritmo che deriva dallo spezzamento del verso tradizionale esprime meglio il suo stato d‟animo tormentato e le sue intenzioni espressive. Il ritmo è l‟elemento del dettato poetico che con più immediatezza registra ed esprime il sentire del poeta. Non è una componente formale isolata e semanticamente vuota del testo, ma contribuisce in modo significativo, insieme con gli altri significanti (colore del suono, sintassi, ecc...), a forgiare il significato poetico complessivo dell‟opera. In alcuni casi, non solo esprime il sentimento, lo stato d‟animo del poeta, ma dà un contributo assai efficace alla iconizzazione del significato espresso dalle parole. È il caso di <<m‟illumino d‟immenso>>. Consideriamo a titolo d‟esempio i seguenti sintagmi: - _ _ _ _ - _ lìmpidi orizzònti _ _ - _ - _ _ orizzònti lìmpidi N.B. – Le sillabe toniche sono graficamente rappresentate leggermente più in alto Il ritmo largo del primo sintagma non solo è più musicale, ma „disegna‟ un orizzonte ampio, sconfinato, mentre il ritmo stretto del secondo lo restringe indebitamente. _ - _ _ _ - _ M'i l l ùm i n o // d'i m m é n s o 10 La frase ha una struttura analoga a <limpidi orizzonti>. Siccome, poi, si distribuisce su due versi, l‟a capo dilata ulteriormente la distanza tra le due sillabe toniche, lo spazio della luce. I due brevissimi versi grazie al ritmo largo e disteso iconizzano così, cioè rappresentano concretamente, il senso di immensità. Anche in questo consiste il loro fascino. ^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^ Il senso dell‟immensità, dell‟infinito, ovvero l‟emozione di carattere cosmico che abbiamo individuato in <<m‟illumino d‟immenso>> rivive in non poche poesie de “L‟allegria” sempre in forma fortemente concentrata e con connotazioni di segno contrario. In alcune di esse egli si sente in armonia con l‟universo, in altre prevale il senso della solitudine e dello smarrimento metafisico. Cominciamo con le poesie dell‟<<armonia cosmica>>, così cariche di vibrazioni positive, di rapimenti estatici, di ebbrezza del cuore. Il poeta si sente una parte viva, una fibra dell‟universo. LA NOTTE BELLA Devetachi il 24 agosto 1916 Quale canto s'è levato stanotte che intesse di cristallina eco del cuore le stelle Quale festa sorgiva di cuore a nozze Sono stato uno stagno di buio Ora mordo come un bambino la mammella lo spazio 11 Ora sono ubriaco d'universo La sua vita, anche quando gli appare solo una <<immagine passeggera>>, <<un‟ombra>>, ha un senso poiché è iscritta in <<un giro immortale>>, è una nota del poema eterno del mondo. SERENO Bosco di Courton luglio 1918 Dopo tanta nebbia a una a una si svelano 12 le stelle Respiro il fresco che mi lascia il colore del cielo Mi riconosco immagine passeggera Presa in un giro immortale Nelle poesie che seguono, della << disarmonia>> esistenziale, il poeta, avendo smarrito il senso della partecipazione cosmica, si sente come un punto perso nell‟infinito, una cosa priva di senso. Sono poesie tutt‟altro che consolatorie, in cui vibrano emozioni di carattere metafisico, emozioni che, per loro natura, toccano le radici dell‟essere. UN‟ALTRA NOTTE Vallone il 20 aprile 1917 In quest'oscuro colle mani gelate distinguo il mio viso Mi vedo abbandonato nell‟infinito 13 Nella poesia che segue, si avverte il contrasto tra l‟universo <<limpido>> e puro e <<il delirante fermento>> delle umane passioni, la promiscuità che affligge il mondo degli uomini. Le macerie della guerra sono a lì a denunciare la follia umana e a far da contrasto con <<il limpido stupore dell‟immensità>>. VANITÀ Vallone il 19 agosto 1917 D'improvviso è alto sulle macerie il limpido stupore dell'immensità E l'uomo 14 curvato sull'acqua sorpresa dal sole si rinviene un'ombra Cullata e piano franta Si capisce che lo stupore appartiene al poeta, il quale proietta i suoi sentimenti nel mondo che lo circonda, e non all‟immensità, ma la soluzione espressiva trovata, dando un volto e un‟anima all‟universo, è di un‟efficacia poetica straordinaria. Grande poesia quella dell‟<<armonia cosmica>>, e grande poesia questa della <<disarmonia>>. Poesia, oltre tutto, originalissima nel panorama della poesia italiana, sia per i contenuti che per la forma. 15 Poiché <<immenso>> significa <<immensità>> (m‟illumino d‟immensità), e poiché la poesia di Ungaretti è apparsa in alcune pubblicazioni dell‟epoca col titolo <<Cielo e mare>>, mi è venuto spontaneo richiamare un brano dell‟Alfieri che per l‟appunto è rimasto affascinato dalle immensità del cielo e del mare. <<... sedendomi sulla rena con le spalle addossate a uno scoglio ben altetto che mi toglieva ogni vista della terra da tergo, innanzi ed intorno a me non vedeva che mare e cielo; e così fra quelle due immensità ... io mi passava un‟ora di delizie fantasticando.>> La situazione descritta dall‟Alfieri ci richiama a sua volta alla mente l‟analoga situazione vissuta dal Leopardi sull‟<<ermo colle>> dietro lo schermo della <<siepe che da tanta parte / dell‟ultimo orizzonte il guardo esclude>>. Da tale situazione, come sappiamo, è nato, <<L‟infinito>>. Così dall‟Ungaretti di <<M‟illumino d‟immenso>>, grazie alla suggestiva annotazione dell‟Alfieri, siamo arrivati al Leopardi de <<L‟infinito>>. Nel celebre idillio, ricorre il termine <<immensità>>, una di quelle parole poetiche che il Leopardi predilige ed ama per il loro carattere di vaghezza e indefinitezza: .............................. Così tra questa immensità s‟annega il pensier mio: e il naufragar m‟è dolce in questo mare. L‟impiego dello stesso termine, <<immensità>>, da parte sia di Ungaretti che di Leopardi mi ha sollecitato suggestivamente a mettere a confronto i due grandi, ad analizzare il peculiare significato poetico che assume in ognuno di essi. Il significato che connota la poesia dell‟Ungaretti de “L‟allegria” l‟abbiamo visto, vediamo ora il significato che assume nel Leopardi dei grandi idilli. Il Leopardi sente il bisogno di fingersi una realtà sempre diversa da quella veramente reale. << L'uomo sensibile e immaginoso, che viva come io sono vissuto gran tempo, sentendo 16 di continuo ed immaginando, il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà con gli occhi una torre, una campagna; udrà con gli orecchi un suono di una campana; e nel tempo stesso con l' immaginazione vedrà un'altra torre, un'altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di obbietti sta tutto il bello e piacevole delle cose. Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode non sente se non che gli oggetti, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione>> (Zib. I, 4418). <<Per gli uomini di genio e sensibili, non c' è cosa che non parli all'immaginazione o nel cuore»; essi trovano <<dappertutto materia di sublimarsi e dì sentire e di vivere, e un rapporto continuo delle cose con l' infinito e coll'uomo, e una vita indefinibile e vaga>> (Zib. I, 1128-9). E ancora: <<Il sentimento che si prova alla vista di una campagna o di qualunque altra cosa vi ispiri idee e pensieri vaghi e indefiniti, quantunque dilettosissimo, è pur come un diletto che non si può afferrare, e può paragonarsi a quello di correre dietro ad una farfalla bella e dipinta senza poterla cogliere; e perciò lascia sempre nell'anima un gran desiderio: pur questo è il sommo dei nostri diletti, e tutto quello che è determinato e certo, è molto più lungi dall'appagarci di questo che per la sua incertezza non ci può mai appagare ». Giustamente il critico Luigi Russo, nel bellissimo commento ai Canti editi da Sansoni, riconosce che questa soprarealtà del poeta non era una scappatoia sentimentale del debole, ma era la sua stessa poesia, la sua stessa attitudine alla poesia. A livello linguistico, questa acuta sensibilità immaginativa si traduce nella predilezione per le parole dal significato vago e indefinito. <<È singolare – scrive L. Russo - la precoce predilezione del poeta per alcuni vocaboli che non sono parole, s'intende, lessicali, ma immagini, compendio già di tutto un immaginare poetico: sogno, fola, quiete, silenzio, fantasmi, palpiti>>. Tra queste parole care al poeta, che possiedono la virtù di smorzare le crudezze dell‟esistenza in un'atmosfera irreale di lontananza, di sogno, d'indefinito, occupa uno spazio significativo <<l‟immensità>>, con il seguito parentale di <<immenso, immensa, immensi, ecc...>>. 17 L’infinito Sempre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l'eterno, le morte stagioni, e la presente viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare. 18 Ne <<L‟infinito>> il protagonista è il pensiero immaginativo, che realizza due distinti percorsi. Nel primo (dall‟inizio fino a <<spaura>>) il pensiero, prescindendo completamente e incautamente dal mondo concreto e reale, concepisce immagini poetiche suggestive ma prive di vita (<<interminati spazi, sovrumani silenzi e profondissima quiete>>) che lo sgomentano un poco (<<ove per poco il cor non si spaura>>). Evidentemente, il cuore del poeta ha difficoltà a <<reggere>> la visione di un mondo illimitato e vuoto, in cui regna il Nulla. Un mondo cosiffatto contrasta con le legittime esigenze del cuore. Il secondo percorso prende le mosse dallo stormire del vento fra le piante intorno. Esso riconduce il pensiero alle cose finite e concretamente esistenti. Facendo tesoro della precedente esperienza, non si allontana dal mondo reale, ma lo va <<comparando>> con il mondo immaginato. In particolare, il pensiero compara il vento che stormisce tra le piante con l‟<<infinito silenzio>> del precedente percorso, e il suono vivo della realtà attuale con l‟eternità e le epoche del lontano passato. Nella mente del poeta convivono così, suggestivamente, grandezze infinite e grandezze finite, entità astratte e realtà concrete, che hanno difficoltà a relazionarsi tra di loro. Consapevole di ciò, egli non spinge l‟analisi su un piano freddamente razionale, preferisce assaporare la suggestione di un paesaggio interiore mosso come la superficie del mare e senza confini definiti, paesaggio descritto dal poeta in termini di immensità. In tale immensità, preso come da una vertigine del pensiero, egli si abbandona al dolce piacere dell‟immaginazione ( <<e il naufragar m‟è dolce in questo mare>>). Un commentatore <<traduce>> la frase poetica << Così tra questa // immensità s'annega il pensier mio>> con le parole <<Così in questi pensieri indefiniti il mio pensiero si smarrisce>>. (A. Gianni in Antologia della letteratura italiana, Ed. D’Anna). In tal modo egli identifica immensità con indefinitezza, prescindendo arbitrariamente dalle grandezze infinite che il pensiero del poeta ha rischiosamente immaginato nella prima parte dell‟idillio, nonché da quell‟ <<infinito silenzio>> e da quell‟<<eterno>>, quell‟eternità, tuttora attivamente presenti alla sua coscienza. Un‟ulteriore prova della fallacia di tale interpretazione può essere la seguente: il pensiero non <<s‟annega>> , cioè non si smarrisce, di fronte a qualcosa di indefinito, ma a qualcosa di grande, di troppo grande, di immenso per essere afferrato e compreso. 19 ^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^ Il Leopardi impiega il tema dell‟immensità, in forma non nominale, anche in altri celebri testi, segno che il termine è uno dei suoi più cari,. Le ricordanze ..................................................... Quante immagini un tempo, e quante fole creommi nel pensier l'aspetto vostro e delle luci a voi compagne! allora che, tacito, seduto in verde zolla, delle sere io solea passar gran parte mirando il cielo, ed ascoltando il canto della rana rimota alla campagna! E la lucciola errava appo le siepi e in su le aiuole, sussurrando al vento i viali odorati, ed i cipressi là nella selva; e sotto al patrio tetto sonavan voci alterne, e le tranquille opre dè servi. E che pensieri immensi, che dolci sogni mi spirò la vista di quel lontano mar, quei monti azzurri, che di qua scopro, e che varcare un giorno io mi pensava, arcani mondi, arcana felicità fingendo al viver mio! ................................................................ 20 Come si evince dal testo, il sintagma <<pensieri immensi>> significa <<dolci sogni>>, sogni di <<arcani mondi, arcana felicità>>. Il termine <<immensi>> allude suggestivamente a qualcosa di indefinito e vago, e insieme a qualcosa di grande, intenso, profondamente sentito. Non si poteva dire meglio. Il termine scelto dal poeta, col suo ricco alone di forza e di indefinitezza, esprime pienamente il carico di aspirazioni, sogni, speranze del giovane Leopardi. 21 Canto notturno di un pastore errante dell’Asia ..................................................... Spesso quand'io ti miro Star così muta in sul deserto piano, Che, in suo giro lontano, al ciel confina; Ovver con la mia greggia Seguirmi viaggiando a mano a mano; E quando miro in cielo arder le stelle; Dico fra me pensando: A che tante facelle? Che fa l'aria infinita, e quel profondo Infinito seren? che vuol dir questa Solitudine immensa? ed io che sono? Così meco ragiono; e della stanza Smisurata e superba, E dell‟innumerabile famiglia ........................................................ Uso alcuno, alcun frutto Indovinar non so. Ma tu per certo, Giovinetta immortal, conosci il tutto. Questo io conosco e sento, Che degli eterni giri, Che dell‟esser mio frale, Qualche bene o contento Avrà fors‟altri; a me la vita è male. ........................................................ Ancora una volta il tema dell‟immensità (solitudine immensa ... stanza smisurata e superba), mette efficacemente a frutto il pensiero immaginativo, realizzando un'atmosfera irreale di d'indefinito, di lontananza, di mistero. 22 È notte. Il pastore, che conduce in solitudine, le sue greggi nelle steppe dell‟Asia centrale, interroga la luna, vuol saper il perché delle cose. Le sue non sono domande ingenue, pure e semplici curiosità. Alla base di esse sta un malessere esistenziale profondo dominato dal tedio, dalla noia. Per il povero pastore la vita è infelicità, è male. Non a caso la luna è <<muta>>, non dà risposta alle sue domande <<metafisiche>>. Non a caso, guardando il firmamento sereno, egli s‟interroga sul senso della <<solitudine immensa che lo circonda. La solitudine assume le connotazioni non solo della vaghezza e del mistero, ma anche e soprattutto della grandezza senza fine, si allarga alla <<stanza smisurata e superba>>, all‟intero universo. La solitudine delle steppe diventa così la solitudine astrale, del cosmo. E il povero pastore intuisce di essere un punto, un punto sensibile e sofferente, sperso nell‟infinità dell‟universo. La conclusione inevitabile delle sue meditazioni è la seguente: <<È funesto a che nasce il dì natale>>. 23 La ginestra ........................................... Sovente in queste rive Che, desolate, a bruno Veste il flutto indurato, e par che ondeggi, Seggo la notte; e su la mesta landa In purissimo azzurro Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle, Cui di lontan fa specchio Il mare, e tutto di scintille in giro Per lo voto seren brillare il mondo. E poi che gli occhi a quelle luci appunto, Ch'a lor sembrano un punto, E sono immense, in guisa Che un punto a petto a lor son terra e mare ......................... Le <<luci ...immense>> che brillano in cielo mantengono intatto il loro fascino, anche se il raffronto tra la grandezza delle stelle e quella della terra e del mare risulta scarsamente suggestivo. La vibrazione cosmica che permea l‟intero passo fa sì che il termine <<immense>> ci faccia vibrare intimamente con l‟intero alone delle sue connotazioni espressive. ******************************* Tirando le somme del lungo discorso, possiamo dire che sia il Leopardi, sia l‟Ungaretti del tempo di guerra vivono in un deserto di vita, avvertono un acuto senso di umana solitudine. Le differenze si fanno valere sul piano espressivo: la parola poetica in Leopardi, come sappiamo, privilegia l‟indefinitezza, la vaghezza, è una parola che diffonde intorno un alone di allusioni e di suggestioni; quella di Ungaretti, al contrario, è una parola di alta concentrazione 24 emotiva ed espressiva. La sua ambizione è quella di ridurre il più possibile l‟ineliminabile divario tra quello che sente e la parola che lo esprime. Sul piano tematico notiamo che il senso dell‟immensità in alcuni testi del Leopardi si accompagna ad un respiro cosmico pessimistico, riconducibile al materialismo filosofico di stampo illuministico (Canto notturno del pastore, La ginestra, ...); nell‟Ungaretti del tempo di guerra il tema ha un respiro cosmico, sia in positivo (senso di armonia con l‟universo) che in negativo (senso di solitudine cosmica, di smarrimento metafisico), ed è espressione poetica di un sentimento esistenziale, non di un pensiero filosofico. 25