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Le Maschere della Commedia
Le Maschere dell' della Commedia Arte Questa pagina, ha "lo scopo di raccogliere in maniera organica la storia di ogni Maschera che ha popolato l'universo della Commedia dell'Arte, fino a trovare le linee di congiunzione e continuazione con il futuro. Se è vero che esistono oltre quaranta Maschere, è anche vero che poche di esse hanno perpetuato la loro fama. Molte sono scomparse dal panorama. Questo non significa che non siano state di grande valore creativo e di grande significato per quella che viene definita l'Epoca della Commedia dell'Arte. Ricostruire la storia di ogni singolo personaggio, o meglio di ogni Maschera, è anche un modo per riconsegnare alla nostra memoria uno spaccato di grande valore artistico. " ARLECCHINO È la maschera più nota della Commedia dell'Arte. Di probabile (Herlequin o origine francese Hallequin era il personaggio del demone nella tradizione delle favole francesi Cinque-Seicento medievali), nel maschera dei divenne Comici dell'Arte, con il ruolo del "secondo Zani" (in bergamasco è il diminutivo di Giovanni) il servo furbo e sciocco, ladro, bugiardo e imbroglione, conflitto col padrone e in perenne costantemente preoccupato di racimolare il denaro per placare il suo insaziabile appetito. Col passare del tempo il carattere del personaggio andò raffinandosi: l'aspro dialetto bergamasco lasciò il posto al più dolce veneziano, l'originaria calzamaglia rattoppata divenne via via un abito multicolore col caratteristico e ricercato motivo a losanghe, ingentilirono gli originari lineamenti demonici della maschera nera, così come la mimica e la gestualità. Nel corso del Settecento Arlecchino divenne oggetto di svariate interpretazioni ad opera di diversi autori, fra cui Carlo Goldoni, che rivestì il personaggio di un carattere sempre più realistico. I più grandi interpreti che vestirono l'abito multicolore, furono Tristano Martinelli (m. 1630), Domenico Biancolelli (1646-1688), Angelo Costantini (1654-1729), Evaristo Gherardi (1663-1700) e ai nostri giorni gli indimenticabili Marcello Moretti (1910-1962) e Ferruccio Soleri. Balanzone Il Dottor Balanzone appartiene alla schiera dei vecchi della Commedia dell'Arte. Personaggio serio, tende però alla presunzione. Il Dottore è solitamente un uomo di legge o un medico, che si intende di tutto ed esprime opinioni su ogni cosa. Caratterizzato da una certa verbosità, tende ad infarcire di citazioni latine e ragionamenti rigorosi quanto strampalati i suoi discorsi, che riguardano la filosofia, le scienze, la medicina, la legge. L'aspetto è imponente, le guance rubizze. Indossa una piccola maschera che ricopre soltanto le sopracciglia e il naso, appoggiandosi su un gran paio di baffi. L'abito, piuttosto serio ed elegante, è completamente nero con colletto e polsini bianchi, un gran cappello, una giubba e un mantello. Fra i più noti interpreti di questo ruolo il più famoso fu Domenico Lelli, che lo caratterizzò come un erudito avvocato bolognese, pignolo e cavilloso. In epoca più recente invece si ricordano Bruno Lanzarini e Andrea Matteuzzi. Beltrame Beltrame è una maschera milanese nata nel Cinquecento. Al nome accompagna spesso il soprannome "de Gaggian", da Gaggiano, una borgata della bassa milanese di cui è originario, o anche "de la Gippa", per via dell'ampia casacca che era solito indossare. Rappresenta il tipo del contadino stolto e arruffone, capace solo di commettere grandi spropositi, volendosi mostrare più signore di quanto sia. Nel corso del Seicento Beltrame impersonava tutte le parti di marito e veniva caratterizzato come un "compare furbo e astuto". Secondo la tradizione il personaggio deve la sua nascita al comico Nicolò Barbieri (Vercelli, 1576), illustre attore Compagnie che dei Confidenti. Brighella fece parte Gelosi e delle dei L'origine di questa maschera è probabilmente bergamasca, ma la sua fama si deve all'attore Carlo Cantù (1609-1676 ca), che ne vestì i panni per molti anni. Nella Commedia dell'Arte Brighella ricopriva il ruolo di "primo Zani", ovvero il servo furbo, autore di intrighi architettati con sottile malizia, ai danni di Pantalone o per favorire i giovani innamorati contrastati. Nel corso del Seicento e del Settecento precisò i suoi caratteri in contrasto con quelli del "secondo Zani" (ruolo del servo sciocco, spesso impersonato da Arlecchino) e, soprattutto con Goldoni, divenne servo fedele e saggio, tutore a volte di padroncini scapestrati, oppure albergatore avveduto o buon padre di famiglia. Il costume di scena, che andò precisandosi nel corso del tempo, comprende la maschera e una livrea bianca, costituita di un'ampia casacca ornata di alamari verdi, con strisce dello stesso colore lungo le braccia e le gambe. Tra i maggiori interpreti di questo ruolo, oltre a Carlo Cantù, si ricorda Atanasio Zannoni nel 1700. Capitan Matamoros La figura del militare è presente fin dalle origini nella Commedia dell'Arte, sia nel suo ruolo "serio" come Capitan Spaventa, sia nel suo ruolo buffonesco, come nel caso di Matamoros. L'origine di questo ruolo del Capitano risale al "Miles Gloriosus" di Plauto e ai numerosi soldati di ventura che percorrevano il territorio italiano. Vile e vanaglorioso, Matamoros vanta imprese coraggiose inesistenti, parlando in modo esagerato e roboante, per nascondere la sua vera natura. Per questo viene spesso messo in ridicolo e respinto dalle donne alle quali manifesta il suo amore. Il costume col quale viene raffigurato è caratterizzato da colori sgargianti, barb e baffi imponenti, un cappello enorme e carico di piume e una spada smisurata, che penzola su un fianco, impacciando continuamente i movimenti dell'attore. Fra gli interpreti più noti si ricordano Silvio Fiorillo (Capua, seconda metà del Seicento), celebre anche come Pulcinella. Capitan Spaventa La storia e la fortuna del personaggio di Capitan Spaventa di Vall'Inferna è indissolubilmente legata alla figura del suo creatore e interprete Francesco Andreini (1548-1624). Andreini entrò nella Compagnia dei Gelosi già sul finire del Cinquecento, sposò Isabella e con lei recitò per diversi anni in Italia e in Francia riscuotendo ovunque un grandissimo successo. Ci lasciò anche una raccolta di generici, "Le bravure di Capitan Spaventa", contenente alcune scene dalle quali emerge il carattere del suo personaggio. Di lui egli dice "io mi compiacqui di rappresentare nelle commedie la parte del milite superbo, ambizioso e vantatore". In realtà il personaggio da lui ideato è un uomo colto e raffinato, per nulla vanaglorioso come Capitan Matamoros, ma piuttosto poeta e sognatore, che fatica a mantenere la distinzione fra fantasia e realtà. Il suo aspetto è composto ed elegante, così come nobili e curati sono i suoi abiti. Solitamente indossa un vestito a strisce colorate, completato da un cappello ad ampie tese adorno di piume. Completano l'abbigliamento lunghi baffi e un grande naso, mentre la lunga spada, con la quale sa essere temerario, gli pende smisurata su un fianco. Cassandro Cassandro appartiene alla serie dei "vecchi", come Pantalone e Zenobbio. La sua origine è incerta, tuttavia abbiamo testimonianza della sua presenza già nella Compagnia dei Gelosi, dov'era interpretato dell'attore Gerolamo Salimbeni. Il suo ruolo nelle commedie è quello di ostacolare l'amore dei giovani, di impedirne il matrimonio per le più diverse ragioni, ponendosi spesso come rivale del figlio. Poco sappiamo del suo costume originario. Nel corso del Settecento, durante il quale il personaggio godette di una certa fama soprattutto in Francia, la sua fisionomia si definì con precisione. Nelle immagini dell'epoca viene raffigurato come un vecchio dalla faccia rubizza, con gli occhiali appuntati sul naso e una parrucca giallastra in testa. L'abito è di foggia settecentesca, col tricorno e lacanna, mentre spesso porta in mano l'orologio o la tabacchiera. Colombina Colombina è di sicuro la più famosa fra le servette e forse anche una delle maschere più antiche. Già dal 1530 abbiamo notizia di un personaggio con questo nome nella Compagnia degli Intronati, una delle più importanti fra quelle dei Comici dell'Arte. Solitamente Colombina viene caratterizzata come una giovane arguta, dalla parola facile e maliziosa. Spesso non ricopre un ruolo di protagonista nella commedia, ma, abile a risolvere con destrezza le situazioni più intricate, ha una parte importante nell'economia dello spettacolo. Colombina veste un semplice abito cittadino di colore chiaro, con un grembiule colorato e una cuffietta portata di traverso sul capo. Fra le attrici che la impersonarono si ricordano Isabella Biancolelli Franchini e Caterina Biancolelli, entrambe vissute nel 1600 e, ai giorni nostri Narcisa Bonardi, interprete di molte colombine strehleriane. Coviello L'origine di Cinquecento, questa diffuso maschera risale soprattutto alla fine nell'Italia del Centro- meridionale, dove è noto con il cognome di Cetrullo Cetrulli, Ciavala, Gazzo o Gardocchia. Coviello, diminutivo di Iacoviello (Giacomino), non ha solitamente un ruolo ben definito né stabile: a volte è stupido, altre rude bravaccio, taverniere intrigante, servo sciocco, mite padre di famiglia, a seconda delle esigenze della commedia e delle caratteristiche dell'interprete. Anche il suo aspetto non è sempre costante. In alcune incisioni del Seicento di Francesco pantaloni Bertarelli attillati viene allacciati raffigurato sui fianchi, con un lunghi corpetto aderente e una corta mantella. Indossa anche una maschera con un naso enorme sopra il quale poggiano degli occhiali smisurati. Elemento costante anche un mandolino. Fra gli interpreti che portarono questo personaggio alla notorietà si ricordano Ambrogio Buonomo, Gennaro Sacco, Salvator Rosa, Giacomo Rauzzini. Dosseno Personaggio proveniente dalla tradizione latina della fabula atellana (farsa popolare, originaria della città di Atella, irriverente e sboccata, caratterizzata dalla presenza di tipi fissi, fortemente caratterizzati nell'aspetto e nel comportamento), Dosseno deve il suo nome ad una caratteristica fisica, la gobba, che risponde anche ad un atteggiamento dell'animo. La gobba era segno di malizia e abilità nel raggiro, nella truffa. Ladro, avido e imbroglione, giovane o vecchio che sia, Dosseno viene sempre rappresentato come brutto e goffo, facile alle battute grossolane e a lunghi discorsi da ciarlatano. Facanapa La maschera di Facanapa appartiene alla schiera dei vecchi. Nasce come marionetta veneta, originaria di Rovigo o di Verona (dove corrisponderebbe a Fra Canàpa, un frate piuttosto grosso, caratterizzato da un grande naso, la "cànapa" appunto). La sua fama è dovuta tuttavia al marionettista Antonio Reccardini (1804-1876) che lo portò in scena nei primi anni dell'Ottocento. A volte servo altre padrone, a volte ricco altre povero, Facanapa è un tipo bonario e arguto, caratterizzato da un buon carattere gioviale, da un ottimo appetito e da un amore ancora migliore per il vino. Nell'aspetto egli appare sempre piuttosto curato, con una marsina scura e attillata, un panciotto rosso, pantaloni al ginocchio e un nero tricorno in testa. Caratteristico era anche il suo modo di parlare a scatti, scandendo le sillabe e storpiando alcune lettere, allo scopo di ottenere effetti comici. Flaminia Flaminia è uno dei molti nomi che nella Commedia dell'Arte prende il personaggio della Innamorata. In perenne contrasto con i vecchi, che ne ostacolano i desideri d'amore, le Innamorate sono di solito molto più determinate dei loro colleghi uomini, sia nel cercare che nel rifiutare l'amore degli uomini. Intraprendenti e battagliere, sono pronte a qualsiasi impresa per conquistare l'oggetto dei propri desideri, anche a travestirsi da uomo. Abili nel parlare, capaci di assumere diversi ruoli, alle attrici Innamorate che erano impersonavano richieste doti le di bellezza, eleganza, qualità artistiche e una certa cultura. Fra le interpreti ricordate dalla storia della Commedia dell'Arte Isabella Andreini (1562- 1604), Virginia Andreini Ramponi (1583-1630) e la loro contemporanea, nonché rivale, Vittoria Piissimi. Flavio Il personaggio di Flavio appartiene alla fitta schiera degli Innamorati, da sempre presenti negli scenari e nei generici della Commedia dell'Arte, spesso legati al nome dei primi attori. Agli Innamorati erano richieste doti di fascino, una buona cultura letteraria e la capacità di trasformare in forbiti discorsi le profferte d'amore, le ansie di un sentimento non corrisposto, appassionate, metafore e le dichiarazioni sempre giochi infarcite verbali. Il di suo carattere non è mai molto precisato, né psicologicamente, né drammaticamente, poiché era completamente affidato alle doti inventive personali degli attori che ne vestivano i panni. Il costume di scena, sempre privo della maschera, era molto elegante e modellato secondo la foggia del tempo. Flavio Il personaggio di Flavio appartiene alla fitta schiera degli Innamorati, da sempre presenti negli scenari e nei generici della Commedia dell'Arte, spesso legati al nome dei primi attori. Agli Innamorati erano richieste doti di fascino, una buona cultura letteraria e la capacità di trasformare in forbiti discorsi le profferte d'amore, le ansie di un sentimento non corrisposto, appassionate, metafore e le dichiarazioni sempre giochi infarcite verbali. Il di suo carattere non è mai molto precisato, né psicologicamente, né drammaticamente, poiché era completamente affidato alle doti inventive personali degli attori che ne vestivano i panni. Il costume di scena, sempre privo della maschera, era molto elegante e modellato secondo la foggia del tempo. Gianduja Gianduja è la maschera regionale tipica del Piemonte. La sua origine va fatta risalire al primo decennio dell'Ottocento, all'opera del burattinaio Giovan Battista Sales. Questi creò Gianduja quando fu costretto a interrompere le storie del personaggio Gerolamo, per i guai che potevano procurargli le esplicite allusioni a Napoleone e a suo fratello Gerolamo di Westfalia. In Gianduja compaiono alcuni dei caratteri tipici della gente piemontese, l'arguzia, l'allegria, ma anche lo spirito libertario e patriottico. Gianduja rappresentava il contadino dotato di buon senso e di senso pratico, apparentemente ingenuo, amante degli scherzi e delle donne. Due sono le ipotesi sull'origine del suo nome: la prima lo vuole derivato da "Gioan d'la douja", che significa "Giovanni del boccale", mentre la seconda dal francese "Jean Andouille" ovvero "Giovanni salsiccia". Il suo costume è di classica foggia settecentesca, con la giacca di panno marrone, i calzoni verdi, il farsetto giallo e le calze rosse. In testa porta il cappello a tricorno e una parrucca col codino. Dopo Sales anche i fratelli Lupi proseguirono con enorme successo le rappresentazioni delle avventure di questo burattino, ma nel corso del secolo fu portato sulle scene anche da un attore Giovanni Toselli, con il quale la maschera guadagnò ulteriore notorietà. Giangurgolo Maschera di origine calabrese, deve il suo nome, secondo alcuni, a Giovanni Golapiena, mentre secondo altri è una corruzione di Zan Gurgola, per via del suo insaziabile origine appetito. risale La al sua Settecento. Secondo Giuseppe Petrai, autore de "Lo spirito delle maschere", Giangurgolo era la caricatura del nobile siciliano, divenuta popolare in Calabria dopo il 1713, ossia dopo che, ceduta la Sicilia ai Savoia, molti parteggiavano blasonati per la che Spagna lasciarono l'Isola. Il carattere del personaggio seconda si metà consolidò del nella Settecento, come una delle infinite versioni del Capitano fanfarone e codardo, senza però un'identità mai forte: acquisire a volte è raffigurato come un vecchio, altre come un giovane, a volte con il ruolo di servo, altre con quello di oste. In ogni caso sempre enorme è il suo appetito, a stento placato da "un carretto di maccheroni, una cesta di pane e due botti di vino". Il suo costume era caratterizzato da un alto cappello a cono, da un corpetto stretto e da pantaloni a sbuffo a strisce gialle e rosse. Sul volto portava una maschera dal naso enorme e una spada altrettanto smisurata gli pendeva su un fianco. Gioppino Maschera di origine bergamasca nasce come burattino nei primi anni dell'Ottocento. Sulla sua origine precisa non si sa molto. La prima notizia certa della sua comparsa sulla scena risale al 1820, con il burattinaio Battaglia, di cui ci riferisce Luigi Volpi. Alcuni ne fanno risalire l'origine molto più indietro, riconoscendo in molti reperti iconografici i tre gozzi che caratterizzano anche Gioppino. Gran mangiatore e bevitore, Gioppino è un contadino pieno di buon senso e di senso pratico, capace di superare con successo molte situazioni avverse secondo il detto "contadino: scarpe grosse, cervello fino". Il suo costume è di foggia settecentesca, caratterizzato da una giubba rossa di panno grezzo coi risvolti verdi, da un camicione bianco, un cappello nero e un bastone, col quale spesso riduceva alla ragione chi lo contraddiceva. Isabella Questo è il frequentemente personaggio nome appare con in cui scena dell'Innamorata. Il più il suo carattere è spesso legato alle attrici che lo impersonarono. Fra le più note furono senz'altro Isabella Canali Andreini (1562-1604), famosa per la sua bellezza e le sue doti non trascurabili di letterata, di colta e raffinata interprete, applaudita sulle scene d'Italia e Francia con la Compagnia dei Gelosi e Francesca Biancolelli, che diede ad Isabella una connotazione maliziosa e ardita. Leandro La maschera di Leandro appartiene alla schiera degli Innamorati, che annovera un discreto numero di personaggi diversi. Pur avendo caratteri molto simili e richiedendo agli attori che li impersonavano doti comuni di grazia, gioventù, buona cultura ed eloquenza, gli Innamorati dall'altro si distinguono soprattutto l'uno per l'interpretazione che ricevevano dagli attori. Gli scenari e i generici su cui le Commedie si basavano, consentivano infatti agli attori di arricchire il proprio personaggio in base alle proprie capacità. Fra gli interpreti più importanti che vestirono i panni dell'Innamorato col nome di Leandro troviamo Giovan Battista Andreini detto "Lelio" (15761654), della Compagnia dei Fedeli, attore talentoso e fine letterato. Macco Macco è una delle maschere tipiche della farsa atellana di origine latina. Il suo tipo è quello del contadino rozzo e grossolano, crapulone e goloso, che spesso finisce per essere bastonato e menato per il naso. Nelle raffigurazioni che possediamo egli ci appare calvo, con una maschera dotata di un enorme naso adunco, di un paio di orecchie spropositate e di una larga bocca con pochi denti radi, che gli conferiscono un'espressione fissa ed inebetita. Dotato di una duplice gobba, sulle spalle e sul petto, Macco indossa un abito ampio e bianco, da cui gli deriva il nome di "mimus albus". L'origine del nome è controversa: per alcuni significa semplicemente "sciocco, stupido", per altri allude invece al "maco", pietanza di fave maciullate, il cui colore livido somiglia a quello dovuto alle botte spesso ricevute dal personaggio. Meneghino Meneghino è la maschera tipica di Milano. La probabile origine del suo nome risale ai "Menecmi" di Plauto, oppure al "Menego" di Ruzante, oppure più semplicemente dal nome dei servi utilizzati nelle ricorrenze domenicali, chiamati "Domenighini". Il suo carattere è allegro ed estroverso. Negli scenari non ricopre solitamente un ruolo fisso: spesso è servo, altre volte padrone, oppure contadino sciocco o astuto mercante. Meneghino precisa la sua fisionomia nel corso del Seicento, soprattutto nelle opere letterarie di Carlo Maria Maggi, che gli diede il cognome di Pecenna, "parrucchiere", per la sua abitudine di strigliare i nobili per i loro vizi. Nei primi decenni dell'Ottocento Carlo Porta ne accentuò il carattere di censore dei costumi del clero e dell'aristocrazia. Uomo bonario e amante della vita tranquilla, Meneghino è caratterizzato da un forte senso morale, da una grande dignità, da una buona dose di saggezza. Col tempo divenne l'emblema del popolo milanese, che lo elesse a simbolo della propria tensione alla libertà, nel corso della dominazione austriaca. Fra gli interpreti più noti di questo ruolo si ricordano Gaetano Piomarta, Giuseppe Moncalvo, Luigi Preda, Tagliabue Malfatti. Nel corso dell'ultimo secolo Meneghino scomparve via via dalla scena per entrare a far parte unicamente del teatro delle marionette e dei burattini. Meo Patacca La maschera di origine romana, fa la sua comparsa verso la fine del Seicento in un poema di Giuseppe Berneri. Qui egli appare come un soldato, bravaccio sempre pronto a battersi e a raccontare spacconate. Il suo nome deriva dalla "patacca", il soldo che costituiva la paga del soldato. Il suo costume è costituito da calzoni giacca di stretti velluto al ginocchio, strapazzata e una per cintura una sciarpa colorata nella quale è nascosto un pugnale. I capelli sono raccolti in una retina dalla quale sporge un ciuffo caratteristico. Dopo un periodo di declino della sua popolarità, dovuto alla censura delle autorità nel corso del Settecento, Meo Patacca riacquistò la sua popolarità nell'Ottocento, grazie a due attori che ne vestirono i panni, Annibale Sansoni e Filippo Tacconi detto "il Gobbo", autore, oltre che attore, di nuove trame, cariche di una pungente ironia e di una satira mordace, che gli causò non pochi guai con il potere della Chiesa. Mezzettino Mezzettino appare come una delle variazioni del personaggio dello Zanni, furbo e intrigante, ottenuto dalla contaminazione delle doti di Brighella e di Scapino. Il suo nome sembra derivare dal termine "mezzettin boccale" indicante la mezza misura. Questo nome compare già dal secondo decennio del Seicento, utilizzato da Ottavio Onorati, della Compagnia dei Confidenti ed in seguito ancora nel 1675, in un'incisione di Gérard Jollain, raffigurato nel caratteristico a dove suo strisce viene costume formate da losanghe colorate disposte verticalmente. Fu tuttavia Angelo (1654-1729), attore Costantini veronese, a portare questa maschera al successo. Chiamato a recitare in Francia nella Troupe Italienne si alternò a Domenico Biancolelli nel ruolo di Arlecchino, che però dovette abbandonare a seguito dell'ostilità del rivale. Egli si creò così il personaggio di Mezzettino, servo astuto e imbroglione, spregiudicato e abilissimo nel cacciarsi in ogni sorta di intrighi, così come nel districarsene. Il Mezzettino di Costantini era caratterizzato da un costume a strisce verticali bianche e rosse. Privo della maschera, viene solitamente rappresentato con una chitarra, che l'attore suonava molto bene. Pantalone L'origine della maschera è sicuramente veneziana, come il dialetto nel quale si esprime. Più incerta è la storia del suo nome: alcuni vi ravvisano termine il "pianta leoni" con cui venivano chiamati i mercanti veneziani, i quali erano soliti ergere il vessillo raffigurante il Leone ovunque si recassero per commerci; altri invece ritengono che il nome derivi dai pantaloni indossati dal personaggio fin dai primi esordi nella Commedia dell'Arte. Comunque sia il costume ci appare fin dalle prime apparizioni caratterizzato da lunghi pantaloni attillati di colore nero, una giubba rossa, una lunga zimarra nera, le pantofole ed una maschera dal lungo naso a becco. Un corto spadino e la borsa contenente i denari (la "scarsela") completano l'abbigliamento del personaggio. Il carattere è estremamente vitale e sensuale, caricatura del mercante mediamente anziano, ancora attratto dalle grazie delle giovani donne, spesso in conflitto con i giovani per procurarsene i favori. Fu Goldoni a smorzare fortememte i contrasti di questo carattere, facendone soprattutto un vecchio assennato e saggio, il cui buon senso modera spesso gli entusiasmi dei giovani. Fra gli interpreti di questa maschera si ricordano Giulio Pasquati (seconda metà del Cinquecento), F. Ricci, Antonio Riccoboni (prima metà del Seicento) e Cesare D'Arbes (1710-1778). Peppe Nappa Maschera di origine siciliana deve il suo nome alle parole "Peppi", diminutivo dialettale di Giuseppe, e "nappa", che significa toppa dei calzoni, cosicché "Giuseppe toppa nei calzoni" sta ad indicare un "uomo da nulla". Il costume di scena era costituito da un ampio abito azzurro, formato da casacca e calzoni e un cappellino di feltro sul volto privo di maschera e di trucco. Caratteristica peculiare del personaggio è la fame insaziabile, unita ad una smisurata golosità, che fa della cucina il suo ambiente favorito e del cibo il suo primario interesse. Nelle trame egli ricopre la parte del servo, pigro e infingardo, ma capace di stupire il pubblico con guizzi di inaspettata agilità. Pierrot La maschera di Pierrot nasce in Italia verso la fine del Cinquecento, ad opera di Giovanni Pellesini, Gelosi. attore Il suo della Compagnia personaggio di dei nome Pedrolino era una variazione sul tema dello Zanni, il servo, di cui indossava l'abito bianco e ampio. Servo accorto e fidato, pronto a intessere imbrogli che poi districava con grande abilità, per trarre d'impaccio il proprio padrone, Pedrolino era un personaggio forte, di primaria importanza nell'economia della commedia. Il personaggio seguì i Gelosi in Francia, dove ebbe immediato successo, entrando a far parte degli scenari delle Compagnie francesi con il nome di Pierrot. Nella versione francese Pierrot perde gran parte della sua astuzia, conservando solo l'onestà e l'amore per la verità, spinto a volte fino all'eccesso. Dopo un periodo di declino il personaggio tornò in primo piano grazie all'interpretazione del mimo Jean-Gaspard Debureau (1796-1846), che gli infuse nuova energia, impersonandolo dal 1826 al Théâtre des Funanbules. Debureau definì il costume che dopo di lui fu tipico di Pierrot: un ampio abito bianco formato da casacca e pantaloni, ornato da bottoni neri, una piccola coppolina nera sul capo e il viso imbiancato. Con Debureau Pierrot assunse un carattere molto più forte e vitale, che il mimo trasmetteva attraverso le sue capacità espressive, le sue doti acrobatiche e interpretative straordinarie, a detta dei testimoni dell'epoca. Punch Punch è la versione inglese del Pulcinella italiano, giunto a Londra attraverso il Polichinelle francese, nella seconda metà del Seicento. Divenuto famoso nelle baracche dei burattini con il ruolo di clown, nel corso del Settecento viene caratterizzato come un uomo dall'aspetto imponente, con una grande gobba, una maschera dal lungo naso adunco, pendente su un mento ricurvo, vestito in uno sgargiante abito giallo e rosso. Il suo carattere è quello di uno scioperato, intento, come uniche attività, alle più nefande malefatte. Gli scenari, che prevedevano un susseguirsi di stragi e ammazzamenti, si concludevano immancabilmente con la condanna di Punch, che veniva condotto al patibolo dal boia oppure all'inferno dal demonio. Nell'Ottocento Punch divenne il simbolo dell'omonimo giornale satirico, mentre nel corso dell'ultimo secolo la sua popolarità andò via via sempre più diminuendo. Polichinelle Polichinelle è la derivazione francese del tipo di Pulcinella. Diffuso negli scenari delle Commedie a partire dal Seicento, Polichinelle ci appare caratterizzato da una grande gobba e da una maschera con un enorme naso adunco che gli conferiva la caratteristica voce stridula. Il costume è colorato, costituito da una casacca e un paio di pantaloni, stretti da una cintura che metteva in evidenza il suo enorme ventre. Il suo carattere appare più simile a quello del Capitano piuttosto che del servo: irascibile, fanfarone e bugiardo, Polichinelle spesso compie azioni riprovevoli. Nel 1685 l'attore italiano Michelangelo Fracanzani giunto a Parigi creò un personaggio nuovo con lo stesso nome, mediando le caratteristiche del Pulcinella italiano con quelle francesi. Accentuò la dimensione della gobba, ponendone in aggiunta una sul petto, conservò la maschera originaria e pose sulla testa un cappello a cono ornato di piume di gallo. Con l'allontanamento dei comici Italiani da Parigi, Polichinelle restò in auge nei teatri della Foire e nei teatri delle marionette, assumendo caratteristiche sempre più stravaganti: l'abito sgargiante, il cappello a bicorno ornato di sonagli, mentre il carattere andò via via diventando quello di uno scioperato pigro e attaccabrighe, sempre in fuga dai creditori. Pulcinella Pulcinella è una delle maschere più note della tradizione italiana meridionale. La sua origine risale al Seicento, essendo la sua presenza documentata da diverse raffigurazioni dell'epoca. Alcuni tuttavia rintracciano le sue origini nei personaggi delle "fabulae atellanae" come Macco e Dosseno, di cui conserva alcuni caratteri esteriori e interiori, come la gobba e il ventre sporgente, unite ad una certa malizia. L'abito di scena richiama quello dello Zanni, con l'ampio camicione bianco serrato dalla cintura nera tenuta bassa sopra i calzoni cadenti. La sua maschera è nera, glabra, con gli occhi piccoli e il naso adunco, che dava alla voce degli attori una caratteristica tonalità stridula e chioccia. Alcuni attori e burattinai utilizzavano un particolare strumento detto "sgherlo" o "pivetta", per accentuare questa caratteristica della voce. Alla voce e al naso a becco sembra essere legato anche il nome pulcinella, da "pulcino". Il carattere del personaggio richiama quello dello Zanni, pur essendo più complesso e articolato. Servo sciocco e insensato, non manca spesso di arguzia e buon senso popolare. In lui si mescolano un'intensa vitalità ed un'indole inquieta, triste e sempre pronta a stupirsi delle cose del mondo. Secondo la tradizione primo interprete e principale inventore del personaggio di Pulcinella fu l'attore Silvio Fiorillo, vissuto nella seconda metà del Cinquecento, che lo condusse alla notorietà insieme alla Compagnia degli Accesi. In seguito il più grande e noto Pulcinella fu l'attore Antonio Petito (1822-76), che lo slegò da un ruolo particolare, conferendogli maggiore spessore psicologico. Ragonda Fin dal primo apparire della Commedia dell'Arte, Ragonda rappresenta una delle forme prese fantesca. dal Donna personaggio solitamente della ormai matura e per questo esperta nei fatti della vita, la fantesca era a servizio di una padrona, sempre pronta a cavarla d'impaccio e a favorirne con inganni e sotterfugi le relazioni amorose, lecite o illecite che fossero. Il suo linguaggio era schietto e mai volgare, i suoi discorsi pungenti e pieni di buon senso e saggezza. Secondo la tradizione il costume di scena era molto semplice: un'ampia gonna sormontata da un grembiale e stretta in vita da una fascia, una camicia e una piccola cuffia a ricoprire il capo. Rugantino Maschera romanesca del teatro dei burattini; il suo nome deriva da "ruganza", arroganza. Ennesima variazione del Capitano, visto nella sua forma più popolare, impersona il tipo del litigioso inconcludente sempre sopraffatto dalle brighe che provoca. Gli inizi della sua carriera lo vedono vestito come un gendarme, o capo delle guardie del Bangello, sempre pronto ad arrestare qualche innocente per dimostrare la propria forza. Con il tempo smetterà l'abbigliamento militare e, vestiti panni civili, smusserà il suo carattere negativo per assumere un carattere più pigro e bonario che ne farà l'interprete di una Roma popolare ricca di sentimenti di solidarietà e giustizia. Vestito in foggia bizzarra indossa un gilè di colore rosso e un imponente cappello di identico colore. Numerosi furono gli interpreti, tra questi: Tacconi, Nino Tamburri, Nino Slari e il popolare cantastorie detto il Sor Capanna. Ruzante La figura di Ruzante nasce dalla fantasia letteraria dell'attore e commediografo Angelo Beolco (Padova 1500 ca 1542) e non può essere considerata tout-court tra le maschere della Commedia dell'Arte, anche se assume in sé particolari aspetti di una certa tradizione anti-villanesca, ma un personaggio teatralmente compiuto, che trova la sua realizzazione direttamente sulle scene grazie all'interpretazione dell'autore stesso. Ruzante diventa la personificazione del contadino rozzo e volgare ma anche ladro e assassino, che si dibatte nella miseria in una condizione di inferiorità anche rispetto ai servi, suoi pari, che hanno trovato il sostentamento in città, coinvolgendo lo spettatore nel dramma della sua esistenza. Due le ipotesi sull'origine del nome. La prima viene dal cognome (estremamente diffuso nella campagna padana) di qualche noto personaggio dell'epoca del quale voleva proporre una ironica caratterizzazione; la seconda dalla formazione del nome che in esso rivela una sconcia allusione all'abitudine dei contadini di avere rapporti con gli animali. Fra gli interpreti del teatro di Beolco ricordiamo, in epoca contemporanea, Gianfranco De Bosio, Franco Parenti, Dario Fo e Paolo Rossi. Sandrone Simpatica e astuta maschera modenese appartenente alla categoria del contadino grossolano e ignorante. Travagliato nell'animo per l'appartenenza sociale cerca di sfuggirle cercando di apparire più istruito di quanto sia. Si sforza di parlare italiano dando vita, però, ad un "pastiche" incomprensibile e senza senso. Riconoscibile per il tipico costume composto da una grande giubba scura, sotto la quale porta un gilet a pois e l'immancabile berretto da notte a righe rosse e bianche. Si attribuisce la sua nascita al burattinaio Luigi Campogalliani (1775 - 1839) anche se un almanacco di Reggio Emilia riporta la notizia su un personaggio di nome "Sandron Zigolla da Ruvolta". Col tempo gli venne affiancata la moglie Pulonia (Apolonnia) e un figliolo Sgurgheguel (Sgorghignello). Scapino Maschera appartenente alla vasta schiera dei servi è però nota per le sue virtù musicali e canore, infatti appare sempre con la chitarra in mano. Questa caratteristica dovrebbe derivare dal suo primo interprete Francesco Gabrielli (1588 - 1636), valente attore, ma anche eccellente cantore, compositore e inventore di strumenti. Il costume abbandonò nel tempo la primitiva foggia, costituita di un ampio abito bianco di taglio grossolano, con maschera, cappello a punta piumato, barbetta e spadino di legno, per assumere, pressappoco, le caratteristiche di un Brighella, con variazioni nel colore degli alamari e delle guarnizioni presenti sul vestito bianco, quindi sostituì la maschera, con l'infarinatura del viso. Il successo di questa maschera è anche dovuto a Moliere, che gli dedicò il suo testo "Le furberie di Scapino" (1671). Scaramouche La maschera di Scaramouche appartiene alla serie dei Capitani. La più antica raffigurazione risale ai primi del Seicento, ad opera dell'incisore Jaques Callot. In essa compare già nel costume che sarà poi tradizionale, costituito da calzoni attillati fin sotto il ginocchio, un giubbotto molto stretto, un cappellaccio piumato, una maschera con un enorme naso e un fallo di cuoio ostentato beffardamente. Al carattere osceno dell'aspetto corrisponde anche un eguale carattere del personaggio, donnaiolo, millantatore e fracassone. Scaramouche deve la sua notorietà e il suo nome all'attore che per lungo tempo ne indossò la maschera, l'italiano Tiberio Fiorilli (1609-1694). Il suo grande successo presso il pubblico francese era dovuto, secondo le testimonianze dell'epoca (famosa la sua biografia romanzata "Vie de Scaramouche" scritta dall'attore Angelo Costantini, noto come Mezzettino, nel 1695) alla sua notevole abilità espressiva, alle sue doti di acrobata e alla sua comicità, capace di catturare l'attenzione degli spettatori. Fiorilli compariva in scena con un costume completamente nero, ornato di una gorgiera bianca e non portava la maschera, alla quale sostituiva il viso infarinato, su cui spiccavano baffi e sopracciglia nere. Un altro famoso Scaramouche fu Giuseppe Torriti che ne indossò i panni tra il 1694 e il 1697. Stenterello Stenterello, spirito mordace e arguto tipico dei toscani, è la maschera fiorentina per antonomasia. Nasce nel Settecento al Teatro dei Fiorentini a Napoli, per opera di Luigi Del Buono, ex orologiaio datosi all'opera istrionica, che colpito dal successo di Pulcinella sul pubblico partenopeo, volle creare un personaggio che incarnasse le caratteristiche di Firenze. Fra i suoi interpreti, oltre al Del Buono, si ricordano Lorenzo Camelli, Gaetano Cappelletti, Amanto Ricci e Raffaele Zandini. Diverse furono però, le loro interpretazioni variando il ruolo da marito ingannato a servo sciocco oppure a quello dell'intrigante Tabarrino Maschera di origini molto antiche. Già presente all'apparire dei primi spettacoli della Commedia dell'Arte, trarrebbe il suo nome da quello del comico Veneziano Giovanni Tabarin ('500), oppure dal tabarro che contraddistingue il costume. Altri elementi oltre la maschera, il camiciotto di tela gialla e verde, e il cappello di feltro nero al quale l'attore faceva assumere le più svariate fogge. Il personaggio scompare con la morte di Tabarin. Riappare nel '600 a opera dei comici tra cui Giovan Battista Menghini, che ripresero il personaggio facendone un rappresentante del ceto mercantile, acido e dispotico, padre di famiglia spesso acceso da insane passioni amorose. Diventò poi personaggio per burattini e marionette. Tartaglia Maschera caratterizzata oltre che da una forte miopia da una inguaribile e pertinace balbuzie, da cui il nome, è generalmente compresa, insieme a Pantalone e il Dottore, nel gruppo dei vecchi apparendo in numerosi scenari nella parte di uno degli Innamorati. Si ritiene sia nata nel 1630 ad opera di un certo Beltrami di Verona. Vario è il suo stato sociale da notaio a avvocato, da usciere a farmacista. Carlo Gozzi, infine, ferma la sua figura in uomo di stato. Tartaglia ottenne il suo maggior successo a Napoli dove, verso la metà del Seicento, era interpretato da Carlo Merlino, seguito da Agostino Fiorilli. In epoca recente da ricordare Gianfranco Mauri in "Arlecchino servitore di due padroni" di Goldoni, per la regia di Giorgio Strehler. Trivellino Personaggio che appartiene a una delle numerose elaborazioni del secondo Zanni o servo sciocco, a cui appartiene lo stesso Arlecchino. Dal costume molto simile a quello di Arlecchino, lo si ritrova solo in una stampa della prima metà del Settecento con un raffinato abito bianco molto attillato decorato con lusse, soli e motivi geometrici di forma triangolare. Fra gli interpreti: il bolognese Andrea Franconi, Domenico Locatelli, Domenico Biancolelli e Carlo Sangiorgi. Contrariamente ad altri personaggi, la fama di Trivellino non si perpetuò con uguale successo nei teatri delle marionette e nelle baracche dei burattini. Uomo Selvatico Presente nei rituali di molte popolazioni sotto diverse forme (divinità, spirito dei boschi, protettore dei campi e della natura), viene variamente caratterizzato da regione a regione, pur conservando caratteri costanti. Come spirito della natura egli viene tradizionalmente descritto come un essere mezzo uomo e mezzo bestia, che si aggira per i boschi armato di una verga, completamente ricoperto di peli e il viso dall'aspetto orribile. La sua prima rappresentazione teatrale risale al "Magnus Ludus de quodam homine selvatico"(1208), ma tracce della sua presenza si riscontrano in molte delle maschere della Commedia dell'Arte, per esempio nel misto di violenza e ingenuità, malizia e sventatezza che hanno fatto negli anni il successo di Arlecchino. Zanni Nella Commedia dell'Arte assume questo nome il personaggio del servo, furbo e imbroglione o sciocco e pasticcione. Nel corso del Cinquecento, da personaggio funzionale allo svolgersi dell'intreccio, andò via via arricchendosi, divenendo una maschera indipendente, caratterizzata da un costume bianco e ampio. Il suo ruolo si sdoppiò dando vita al primo Zanni (o zani), il servo astuto e spesso autore di intrighi, e il secondo Zanni, sciocco o apparentemente tale, al quale era spesso affidato il compito di divertire il pubblico interrompendo l'azione con lazzi e giochi mimici, che spesso richiedevano una notevole abilità acrobatica. Tra le maschere che ricoprirono il ruolo di primo Zanni si ricordano Truffaldino e Brighella, mentre nel secondo ruolo Arlecchino e Pulcinella.