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Ora la banca islamica bussa all`Italia
Bergamondo L’ECO DI BERGAMO MARTEDÌ 3 GIUGNO 2008 27 Asia Ora la banca islamica bussa all’Italia Siglata un’intesa ma ci vorrà tempo per conciliare due concezioni diverse del credito Masullo (Shirkah Finance): «Serve una strategia». Rinaldi (Abi): «Ci stiamo attrezzando» ■ Come può la finanza islamica sbarcare anche in Italia? Come può recepirla il sistema creditizio italiano? Cerca di rispondere Stefano M. Masullo, direttore editoriale e vicepresidente di Shirkah Finance (primo magazine di finanza islamica in Svizzera), segretario generale dell’Associazione italiana consulenti di investimento, segretario generale dell’Associazione italiana consulenti di credito bancario e finanziario. Di fronte alla recente crisi dei mutui la struttura del sistema finanziario islamico ha messo al riparo i suoi investitori da questo genere di crisi: la banca islamica può proporsi come modello etico di finanza solidale? «L’etica viene da molti considerata, in modo più o meno cosciente, come una serie di prescrizioni astratte che vengono imposte dall’alto per chissà mai quali motivi sostanzialmente connessi all’esercizio del potere di qualcuno. Per etica si intende, invece, il comportamento concreto che ciascuno tiene nella vita quotidiana al momento in cui opera o non opera una scelta. Vi è quindi una sicura correlazione positiva fra il livello morale di una società e il suo grado di benessere economico: quanto maggiore è il livello morale tanto maggiore è il grado di benessere; di converso, un basso livello morale impedisce lo sviluppo economico della società nel lungo periodo. In altri termini, il comportamento morale è condizione necessaria a ogni processo di sviluppo economico sostenibile. In tale contesto generale attuale, di crisi finanziaria mondiale derivante da una perdita di vista dell’etica, il modello di finanza etica proposto dall’osservanza dei precetti della Shari’a (vedi articolo accanto, ndr) è, a mio avviso, un modello che nel corso del prossimo futuro conoscerà un notevole sviluppo anche nei Paesi occidentali e tra la popolazione non musulmana». L’incremento della comunità musulmana in Italia sta determinando la nascita di nuove esigenze finanziarie e bancarie. La risposta finora data dagli istituti di credito italiani è stata «commerciale», creando alcuni prodotti convenzionali per soddisfare questo segmento di clientela. Perché le banche italiane non hanno ancora adottato strumenti di finanza islamica per cogliere l’opportunità di un business nuovo? «Il sistema bancario italiano non è solito distinguersi per flessibilità e per capacità di innovazione: al contrario tende a "subire" gli eventi cercando poi di emulare quanto proposto in particolare dai mercati anglosassoni quali quello inglese e statunitense. Alcuni istituti di credito hanno cercato di intercettare parte del crescente fabbisogno di servizi da parte della popolazione extracomunitaria presente in Italia con iniziative specifiche. Ma, dal mio punto vista, serve nel nostro Paese una visione strategica di ampio respiro. Una visione frenata forse dalla paura di effettuare scelte sbagliate ma anche perché non è facile individuare i consulenti o i dirigenti adeguatamente preparati per affrontare lo sviluppo di tali particolari e non tradizionali mercati». La nascita della prima banca islamica di diritto italiano, annunciata lo scorso settembre da Adnan Stefano M. Masullo Yousif, presidente dell’Unione delle banche arabe, sembra incontrare diversi ostacoli di natura giuridica: l’applicabilità delle regole di Basilea alle banche islamiche riveste oggi un’importanza di carattere strategico, in che modo Basilea 2 sarà in grado di recepire un sistema bancario con una concezione del rischio diversa? «Gli ostacoli alla nascita del primo istituto islamico in Italia sono di natura prettamente burocratica e non sicuramente tecnici: tale affermazione è suffragata dal fatto che a Londra siano già presenti ben due istituti bancari Shari’a compatibili, l’Islamic Bank of Britain e l’ EIIB European Islamic Investment Bank, mentre a Ginevra sono attivi ben sette istituti con tali caratteristiche di cui la prima in ordine temporale è la Faisal Private Bank, operativa sulla piazza elvetica da oltre 15 anni, senza contare che colossi quali Ubs, Citi, Lloyds Tsb posseggono divisioni se non banche espressamente attive a livello mondiale secondo i dettami della Shari’a. Infine bisogna osservare che il trattato regolante il sistema finanziario islamico determinato dagli standard definiti dall’Aaoifi (Accounting and Auditing Organization for Islamic Financial Institution) è l’equivalente del trattato di Basilea per la vigilanza previsto per le banche convenzionali. Aaoifi è stata fondata nel 1991, ha la sua sede in Bahrein, è composta da 71 membri che risultano essere banche islamiche, banche convenzionali con sezioni deputate alla finanza islamica e società di revisione internazionali di ben 17 Paesi». È curioso leggere Shirkah, definito «The First Suisse Magazine of Islamic Banking and Finance»: ci vuole raccontare come è nato questo progetto? Perché? E quali sono i suoi obiettivi? «Shirkah è una rivista internazionale pubblicata in duplice lingua, italiano e inglese, diffusa a livello mondiale sia tramite supporto cartaceo che internet in oltre 100 mila copie, dedicata espressamente ed esclusivamente alle tematiche relativa alla finanza islamica. La sede e la redazione si trovano in Svizzera nella città di Lugano oltre a uffici di rappresentanza a Milano, Londra e Bahrein e nel corso della sua recente storia è già diventata un punto di riferimento internazionale: infatti è media partner ufficiale a livello mondiale a tutte le più importanti conferenze di settore. Il suo obiettivo è quello di creare cultura e conoscenza in materia, oltre che favorire contatti personali tra operatori bancari e istituzionali sviluppando al contempo la naturale conclusione di affari. D’altronde in arabo la parola shirkah significa partnership». Imane Barmaki Il primo sportello di una banca islamica in Italia già entro quest’anno? Lo ha annunciato lo scorso settembre Adnan Yousif, presidente dell’Unione delle banche arabe (Uab) nel firmare un memorandum di intesa con l’Associazione bancaria italiana (Abi) per sviluppare la collaborazione nel settore finanziario e non solo. In realtà non sarà così semplice: questo accordo pone le basi di un cammino che sarà più lungo e complesso, anche perché ci sono ostacoli di natura giuridica da superare. Ma la notizia ci dà il pretesto per affrontare l’argomento e cercare di capirne anche il significato culturale e i principi, radicalmente diversi e, così come sono, difficilmente applicabili all’attuale sistema italiano. Imane Barmaki, di origini marocchine, giovane collaboratrice del mensile Yalla Italia legato al settimanale Vita e studentessa alla facoltà di economia, curricula Economia delle imprese e dei mercati all’Università Cattolica di Milano, ha realizzato per Bergamondo un interessante servizio sull’argomento, che vi proponiamo in questa pagina. ■ «Coloro invece che si nutrono di ribà resusciteranno come chi sia stato toccato da satana. E questo perché dicono: Il commercio è come il ribà! Ma Dio ha permesso il commercio e ha proibito il ribà», dice il Corano (II,275). Il termine ribà viene comunemente tradotto come usura, più precisamente il concetto in esso incluso è molto più ampio rispetto all’usura, poiché si riferisce al contratto di prestito basato sull’applicazione di interessi. Ciò significa che il Corano vieta ogni pagamento di interessi, ossia la dottrina musulmana vede l’interesse come una partecipazione agli utili in cambio dell’impiego di un capitale. Secondo questa definizione è inaccettabile fissare ex ante il tasso di interesse, come accade nelle banche convenzionali, visto che non si può conoscere né il tasso reale di crescita dei capitali né la redditività effettiva dei diversi settori di investimento. La proibizione del ribà si fonda sul concetto secondo il quale non ci può essere guadagno senza l’assunzione di rischi: il profitto, in una visione islamica, sarebbe legittimato solo dal rischio. È su questa base che è nata e si evolve la finanza islamica sostituendo al tasso di interesse il tasso di profitto che costituisce la misura reale della crescita effettiva del capitale attraver- so il suo impiego e investimento. Con il termine finanza islamica s’intende «un sistema etico ed equo» che trae i suoi principi dalla Shari’a, la legge islamica, e dal Corano. Essa è un sistema di Mu’amalat ossia l’insieme di relazioni di tipo economico tra le persone in cui le condizioni delle operazioni finanziarie devono riflettere una distribuzione simmetrica di rischi/rendimenti fra ciascuna delle controparti; tutte le transazioni finanziarie devono essere direttamente o indirettamente collegate a operazioni riferite all’economia reale; ogni relazione economica viene regolata da contratti tipici, il cui corretto adempimento deve essere giudicato sulla base non tanto delle effettive prestazioni, quanto della buona fede e dell’equità dei comportamenti di ciascuna parte. I banchieri nel sistema islamico condividono con i loro clienti il rischio creditizio, assumendo depositi e svolgendo tutte le attività normali di banca senza utilizzare né il tasso d’interesse né la speculazione, elementi proibiti dall’Islam. Oltre al divieto di ribà sono espressamente vietate pratiche economiche che implicano i concetti di irragionevole incertezza, di speculazione e tutto ciò che viene definito Haram. Il concetto di Haram invade anche la sfera degli investimenti, nel senso che la banca islamica può investire solo su pratiche e prodotti che non siano proibiti dalla Shari’a, di conseguenza non può investire su alcol, gioco d’azzardo, tabacco, armi… Islamic banking è da tempo in crescita, con un tasso medio tra il 15% e il 20% all’anno, una crescita dovuta all’aumento della massa monetaria soprattutto nei Paesi produttori di petrolio. In Italia, pur presenti circa 900 mila musulmani, l’Islamic banking sta muovendo i suoi primi passi solo oggi, attraverso la sottoscrizione, avvenuta lo scorso settembre, dell’accordo di collaborazione tra l’Abi e l’Uab. Questo accordo mira a creare un insieme di relazioni atte a favorire la nascita di partnership tra gli intermediari italiani e quelli arabi. Ci siamo, quindi, rivolti a Raffaele Rinaldi, responsabile del Settore Crediti Corporate Abi per conoscere come si evolve l’Islam banking all’interno del mercato italiano; mentre a Stefano M. Masullo, direttore editoriale e vicepresidente di Shirkah Finance, il primo magazine di finanza islamica in Svizzera, abbiamo chiesto un parere sullo sviluppo di questo nuovo business nello scenario globale. I. B. «Rilevanti opportunità di investimento dai Paesi del Golfo» Dinar islamico e dollaro, mondo arabo e Occidente: nell’era della globalizzazione sembrano più vicini CAMBI DI NOME Le nuove generalità di quattro cittadini indiani ■ Su richiesta dell’Ambasciata indiana e verificato il permesso di soggiorno rilasciato dalla Questura di Bergamo, si rende noto il cambio di generalità di quattro cittadini indiani. Kiran Deep, residente a Trescore Balneario in via Venturina 2, diventa Deep Kiran. A Telgate, dove abita in via Dell’Artigianato 22, Kumar Gulshan diventa Gulshan Kumar Birdi. A Solto Collina la signora Goldi (via San Rocco 7) diventa Goldi Dugg. A Montello, Gurdhian (via Raffaello 9) diventa Chand Gurdhian. BERGAMO L’8 giugno una pedalata per i diritti umani in Cina ■ L’Ufficio Pace e cooperazione internazionale del Comune di Bergamo e Amnesty International, con la collaborazione tecnica dell’Aribi, organizzano per domenica 8 giugno «Dalle Mura alla Muraglia pedala per i diritti umani», un giro in bicicletta per le vie di Bergamo con partenza e arrivo davanti a Palazzo Frizzoni. Il via alle 10. L’intento dell’iniziativa è esplicitamente espresso nel titolo: la pedalata è un pretesto per sensibilizzare l’opinione pubblica sul rispetto dei diritti umani, in questo caso da parte della Cina, un Paese che non brilla sotto questo profilo, nemmeno nell’anno in cui si mette in vetrina ospitando le Olimpiadi. Per saperne di più su questo tema visitare il sito internet www.amnesty.it/pechino2008. Per informazioni sulla pedalata (iscrizioni entro sabato 7 giugno) telefonare allo 035399333/332 oppure scrivere all’indirizzo email [email protected]. L’ABBRACCIO I cattolici del Qatar accolti dal Papa ■ Un «caldo saluto» del Papa ha compensato i pellegrini della chiesa di Nostra Signora del Rosario di Doha, nel Qatar, presenti a una recente udienza generale. Si tratta con buona probabilità del gruppo di fedeli più veloce nel recarsi a trovare il Papa nel centro del cattolicesimo: la loro chiesa, la prima del Paese a maggioranza musulmana, è stata inaugurata poco più di due mesi fa, il 14 marzo. «Sono molto lieto – ha detto Benedetto XVI nei saluti in lingua inglese dopo la catechesi dell’udienza – di salutare i pellegrini dalla chiesa di Nostra Signora del Rosario in Qatar». Un caloroso applauso ha accolto le parole di Papa Ratzinger. La chiesa cattolica di Doha – che serve i circa 140 mila fedeli cattolici del Paese musulmano, tutti lavoratori immigrati provenienti dal Sud-Est asiatico e da Paesi occidentali – è la prima di cinque edifici di culto cristiani la cui costruzione è prevista nell’emirato: nell’ultimo decennio il Qatar, che segue la rigida dottrina islamica wahhabita dominante nella vicina Arabia Saudita, si è aperto anche ad altre fedi. Fra i Paesi arabi del Golfo anche il Bahrein, gli Emirati arabi uniti, il Kuwait e l’Oman hanno chiese frequentate da centinaia di migliaia di residenti stranieri e anche, in alcuni casi, da piccole comunità cristiane locali. ■ Il punto di vista dell’Associazione bancaria italiana sul tema della banca islamica ci è stato esposto da Raffaele Rinaldi, responsabile del Settore Crediti Corporate dell’Abi. Il sistema bancario Islamico è partito dai Paesi del Golfo e adesso vediamo che in Europa vi sono alcune banche islamiche che hanno ottenuto il permesso dalle rispettive banche centrali di operare, ad esempio nel Regno Unito e in Svizzera. L’Italia è destinata a seguire questo modello? «Il settore bancario italiano guarda con grande attenzione alla finanza islamica e, più complessivamente, alle importanti opportunità di investimento e di collaborazione offerte dai Paesi del Golfo. Per il momento, nel nostro Paese non ci sono ancora banche con sportelli o sussidiarie "Shari’a compliant", anche in considerazione delle dimensioni ridotte della comunità musulmana che vive e lavora in Italia, rispetto per esempio a quelle di Francia e Germania. In prospettiva, tuttavia, è prevedibile che proprio gli stimoli e le opportunità offerte dal mercato possano orientare l’industria bancaria anche verso questo segmento di operatività e in particolare verso il comparto dell’investment banking, intercettando gli elevati flussi di liquidità provenienti dai Paesi arabi». A settembre dello scorso anno, l’Abi e l’Unione delle banche arabe (Uab) hanno firmato un memorandum of understanding. Con quale obiettivo è stato siglato questo accordo? «Il memorandum sottoscritto dall’Abi con l’Uab risponde all’esigenza di rafforzare ulteriormente e rendere ancora più sistematica la collaborazione tra le due associazioni che, in prospettiva, potrebbero dare vita a una Federazione bancaria italo-araba. L’obiettivo è favorire la maggiore conoscenza tra il mondo bancario e finanziario italiano e arabo; consolidare le relazioni interbancarie a supporto dei flussi commerciali e di investimento con i Paesi arabi; creare le premesse per partnership strategiche tra banche italiane e arabe. Per realizzare questi obiettivi, ci siamo dati un fitto calendario di iniziative: un tavolo di lavoro di banche italiane e banche arabe; un Master in Mediterranean and Arab Finance and Banking, organizzato dall’Università La Sapienza di Roma, in collaborazione con l’Istituto per gli Raffaele Rinaldi Studi economici e finanziari per lo sviluppo del Mediterraneo e patrocinato da Abi e Uab; una serie di conferenze e incontri promossi dalle due associazioni e di pubblicazioni tecniche sui rispettivi settori bancari». Un esponente dell’Uab ha previsto l’apertura della prima banca Islamica entro il 2008: secondo lei questa previsione è attendibile? «Aprire una banca islamica richiede dei tempi tecnici necessari per ottenere le indispensabili autorizzazioni da parte della Banca d’Italia. Se invece ci riferiamo alla possibilità che già entro quest’anno una banca italiana e un partner arabo compiano i primi passi in vista della costituzione di un soggetto che operi nel nostro Paese secondo i principi islamici, posso confermare l’esistenza di un progetto su cui c’è interesse da ambo le parti». Quali sono gli ostacoli di natura giuridica, anche alla luce delle nuove regole di Basilea 2, per ottenere l’autorizzazione da parte di Banca d’Italia? «È un aspetto che Abi e Uab intendono approfondire attraverso uno specifico gruppo di lavoro, i cui risultati saranno portati all’attenzione della Banca d’Italia e delle altre amministrazioni interessate. In generale, ci sono importanti differenze tra la finanza islamica e quella occidentale: basti pensare che, per esempio, la Shari’a vieta il pagamento degli interessi che sono equiparati all’usura, l’incertezza e quindi l’utilizzo dei tradizionali strumenti derivati e la speculazione. L’esperienza di Paesi come l’Inghilterra e la Francia dimostra comunque che le differenze si possono risolvere e superare». I. B.