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L`arte di ascoltare

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L`arte di ascoltare
Indice
Introduzione pag. 2
Un pò di storia del coaching e dell’ascolto pag. 3
L’ascolto contestuale pag. 5
Ascolto e Ascolto Contestuale pag. 7
Classificazioni dell’ascolto pag. 09
Distorsioni dell’ascolto pag. 10
Significato delle parole nell’ascolto pag. 11
Comunicazione non verbale pag. 12
Stili di ascolto pag. 13
Un po’ di tecnica e un po’ d’altro pag. 17
Continuare a migliorare l’ascolto attivo pag. 20
Aforismi sull’ascolto pag. 24
Metafore, racconti e suggestioni “ in ascolto” Note
pag. 44
Bibliografia pag. 46
01
Introduzione
I più invece, a quanto c’è dato vedere, sbagliano, perché si esercitano nell’arte di dire prima di
essersi impratichiti in quella di ascoltare, pensano che per pronunciare un discorso ci sia bisogno di studio e di esercizio, ma che dall’ascolto, invece, possa trarre profitto anche chi vi si
accosta in modo improvvisato.
Plutarco1
L’oggetto di questo lavoro è una breve disamina di uno degli strumenti più potenti a disposizione di un coach professionista, che si richiami alle indicazioni della ICF e di CoachU Italia,
ossia l’ascolto o per meglio dire l’“ascolto contestuale o attivo”.
La differenza terminologica fra contestuale e attivo è in realtà molto sottile tanto che spesso i
due termini sono usati, a ragione, come sinonimi; tuttavia poiché esistono due termini diversi,
una certa differenza ci deve pur essere, tale differenza pare a nostro avviso risiedere in questo:
• Contestuale focalizza l’attenzione del coach sul quadro d’insieme in cui si svolge la sessione: ambiente, cultura, situazione;
• Attivo presuppone uno sforzo volontaristico del coach ad “ascoltare” non solo con le orecchie ma con tutto il suo essere.
L’uno, l’attivo, indirizza il secondo, il contestuale, in un processo di attenzione maggiore in una
dinamica di complementarietà e di reciproca interdipendenza e di vantaggio finale reciproco
nella relazione coachee - coach.
Il tema dell’ascolto percorre come un sottile filo rosso lo sviluppo delle civiltà e non esiste
parte del mondo, dove nei “ testi sapienziali” (filosofici o religiosi) il tema dell’ascolto non sia
trattato e sottolineato con forza. Non a caso si parla della Parola come di elemento fondante e
creativo del singolo e del Creato: il Verbo, il Suono, pare sia l’atto primigenio e tale da distinguere il caos dall’ Ordine divino.
Nel tempo il dialogo ha caratterizzato lo sviluppo della civiltà, ma è opportuno ricordare che,
come dice l’antico adagio: “Due monologhi non fanno un dialogo”.
Dire però che un buon ascolto è garanzia di successo nell’attività del coach non è così semplicistico come può apparire. Vi è talmente bisogno di essere ascoltati in questi tempi in cui
più che di suoni possiamo parlare di rumori assordanti, che il coaching si pone come un momento di calma di ri-flessione, di ascolto e di auto ascolto cercando di sopperire al bisogno
di comunicare, di socializzare in piena e reciproca fiducia, in una pausa, in una “vacanza”, in
uno spazio dove il coachee può fare chiarezza, trovare un modo ed anche un’opportunità per
migliorare se stesso in un processo di sviluppo individuale e di presa di coscienza anche delle
“gabbie”, dei “flussi” in cui spesso il pensiero si dibatte alla ricerca di quella soluzione, che pure
è proprio lì davanti e così evidente da non essere vista.
02
Un po’ di storia del
coaching e dell’ascolto
Il coaching, come disciplina autonoma si sviluppa attorno agli anni ‘70 del secolo scorso, partendo dalle discipline sportive e in particolare dal tennis, grazie agli studi di T. Gallwey, dove si
notò che gli atleti traevano maggiore beneficio per migliorare le proprie prestazioni da una serie
di domande aperte, piuttosto che da prescrizioni o semplici direttive.
Dal campo strettamente sportivo il coaching è passato a quello aziendale (executive, corporate,
business) portando una ventata di novità e di benessere all’interno di strutture organizzative che
erano e sono connotate da una certa rigidità formale, anche in momenti di cambiamenti spesso
traumatici. Il coaching si è posto come un valido strumento per migliorare le performance dei
manager, nei vari livelli organizzativi, introducendo e rafforzando una cultura di coach-approach alle situazioni lavorative.
Cardine di questa innovazione è stato, ed è, il ruolo fondamentale dell’ascolto.
Sul tema dell’ascolto attivo (contestuale), come detto più sopra, esiste una lunghissima tradizione di testi e d’insegnamenti, tuttavia il dibattito in chiave contemporanea si è avvalso del contributo di filosofi, psicologi e pensatori di varia estrazione culturale, che hanno indagato sul ruolo
dell’ascolto nei rapporti umani sia individuali, sia sociali.
Il tema è affascinante e possiamo citare alcuni contributi fra i più importanti quali quelli di M.
Heidegger (Essere e tempo), G. Bateson (Verso un’ecologia della mente), H. von Foerster (Come
ci si inventa).
Le tematiche sull’ascolto attivo sono state poi trasferite al settore delle aziende nel momento in
cui si cominciò ad indagare sul fenomeno del “post-industriale” e sui cambiamenti che esso imponeva a tutti gli attori: stake holders, share holders, management, dipendenti ed anche governi
e relative politiche industriali.
Possiamo dire che il merito del coaching è stato quello di focalizzare l’importanza dell’ascolto
attivo come stile di management, come stile di vita.
Non a caso accanto al coaching sportivo, aziendale, si è rapidamente sviluppato un coaching
individuale (personale o life coaching), ma anche uno spiritual o soul coaching, particolarmente
presente negli Stati Uniti.
03
Come ci si pone per fare “ascolto contestuale”2, esistono delle tecniche precise, possono essere apprese e utilizzate?
La risposta è sicuramente sì, le tecniche possono e devono essere apprese, molto poi dipende dallo “stile”
del coach come, dove e quando applicarle nella sua relazione con il coachee.
Intanto è importante avere una visione ben precisa del coaching: approcci teorici, metodologie, tecniche, scopi e finalità, in sostanza attraverso dei percorsi di studio e di sperimentazione ci si prepara ad
“essere” coach, piuttosto che “fare” il coach.
Un breve sguardo alle tecniche di ascolto, che beninteso sono una parte del percorso professionale del
coach, ne aiuta ad individuare alcune peculiarità rispetto ad altre discipline, fermo restando un assunto
di base comune a tutte le professioni che fanno dell’ascolto il punto centrale della loro attività: per ascoltare gli altri bisogna fare silenzio3 al nostro interno e diventare - come si dice - “egoless”.
Per ascoltare ci vuole innanzitutto disponibilità verso l’altro, chiunque egli sia e di qualunque problema
voglia parlarci (ovviamente nei limiti di una corretta relazione e di etica professionale), bisogna avere
un’apertura mentale tale da comprendere, accettare e non valutare. L’ostacolo più grande all’inizio è dato
dall’irrefrenabile bisogno di rispondere, magari di interrompere per poter esprimere le proprie idee in
merito, anche a fin di bene, di elargire consigli, indicazioni e soluzioni che nascono dal vissuto del coach
e non da quello del coachee, che sta, spesso faticosamente, elaborando ed esprimendo le sue idee, sensazioni, motivazioni sul tema oggetto della sessione.
Un altro passo preliminare è quello di lasciare i propri problemi, impegni e quant’altro “fuori dalla porta”, il coach è a disposizione del coachee, al quale non interessa quanto può preoccupare il coach, bensì di
avere una sessione efficace nella soluzione di un problema che egli sente come importante e “pervasivo”
della sua attuale situazione.
Buona regola, valevole in vero per ogni colloquio, è quella di agire alla fine di una giornata faticosa come
se quel colloquio fosse come quello che abbiamo fatto quando ci sentivamo al meglio, perché se è vero
che per il coach quel colloquio è uno di tanti, per il coachee è il suo colloquio: unico e totalizzante.
Molta attenzione deve essere posta alle barriere all’ascolto, che possono essere sia fisiche (sede rumorosa, continui disturbi, etc), sia psicologiche (valori, vissuti, credenze …), sia sociali (cultura, status, ruolo
…), pertanto oltre a una sede adeguata, scelta sempre dal coachee, è necessario lavorare preliminarmente perché le barriere socio-psicologiche non costituiscano un ostacolo: l’importanza del contesto è parte
fondamentale dell’approccio di coaching.
04
L’ascolto contestuale
“L’apprendere molte cose non insegna l’intelligenza”
Eraclito
Nel coaching l’ascolto fa parte delle competenze di base: “… il coaching richiede efficaci abilità
di ascolto” e in particolare: “Il coach deve possedere elevati standard di ascolto”, e più oltre: “…
per i coach l’ascolto attivo rappresenta una condizione essenziale”.
Se il coaching è una relazione non può esserci relazione senza ascolto, ascoltare è un segno di
rispetto e di riconoscimento del ruolo e del valore dell’altro e manifesta la piena disponibilità
alla comprensione di quanto viene detto ecco perché si dice che nella relazione del coaching il
coach ascolta e parla in media solo il 20-25% del tempo della sessione.
Per ascoltare bene il semplice ascolto non basta, nel coaching l’ascolto va oltre la semplice cortesia o buona educazione, oltre il bisogno di “affermare” le proprie opinioni in relazione a quanto
l’altro (il coachee ) viene dicendo: il coach ascolta per favorire la crescita e quindi lo sviluppo del
coachee, per farlo deve essere assolutamente, presente, attento e focalizzato per cogliere il detto
e il non detto, per leggere tra le righe di quanto ascolta, senza valutare, confrontare giudicare
con quelle che sono o possono essere in quel momento le sue idee, i suoi convincimenti, le sue
credenze.
Ascoltare per comprendere, comprendere per aiutare, senza di questo non si instaura la vera
relazione di coaching. Una precisazione da fare è questa: quando si parla di “aiutare” si intende
favorire lo sviluppo del coachee, di sostenerlo nel suo percorso di cambiamento, di “sbloccare”
situazioni, problemi e stati d’animo da cui è difficile uscire da soli, sempre proiettati sull’immagine del percorso o meglio del “ponte” da qui e ora a lì e allora.
Il coaching non indaga sul passato, non costituisce un succedaneo del counselling o della terapia, che attengono altri temi, altre competenze, altri bisogni. Questo non vuole dire rigidità nella
relazione ma attenta focalizzazione a lavorare sui comportamenti e sulla modifica di quelli che
costituiscono un ostacolo per il coachee, lasciando ad altri professionisti il loro spazio d’azione.
Il coach non fornisce soluzioni, aiuta il coachee a trovare in sé le soluzioni e pertanto un altro
passo da fare è quello di non preoccuparsi di “sapere” su quali argomenti il coachee sta spaziando, ma di “porre domande delle quali (il coach) non conosce le risposte”, l’ascolto attivo si basa
sul fornire stimoli al coachee, senza cercare di “capire” il perché di quanto viene detto, nel senso
che l’argomento fa parte dell’expertise del coachee, la professionalità del coach non è, né potrebbe essere, quella del tuttologo, si basa su un solido bagaglio di tecniche e metodologie e su uno
stile relazionale atto a sviluppare sia il coachee, sia il coach stesso (il coach è uno studente a vita).
05
Il coach non valuta, né classifica il coachee secondo i propri metri di giudizio, proprio in questo risiede l’efficacia dell’ascolto attivo posto in essere nei confronti del coachee. Nella relazione, fra il detto e il non detto, la percezione di un atteggiamento non valutativo o classificatorio
rende più libero il coachee di esprimersi e di ricercare soluzioni alternative senza il sottile
timore di essere giudicato, cosa peraltro assai diffusa nelle relazioni al di fuori del coaching: la
diversità è proprio in questo aspetto del modo di vivere la relazione di coaching.
Nel corso della sessione di coaching il coach evita costantemente, ponendovi attenzione, atteggiamenti e verbalizzazioni che possano essere interpretati dal coachee come una “chiusura”,
un “rifiuto” di quanto sta esponendo. A semplice titolo di esempio: azioni di persuasione, interpretazione di quanto detto, atteggiamento consolatorio o protettivo, cambiare argomento,
fornire soluzioni, essere consulente e non coach.
L’ascolto deve essere sintonizzato, ciò vuol dire che sperimentando quanto appreso nei corsi di
formazione il futuro coach apprende a focalizzare le singole parole, piuttosto che cercare di capire (v. sopra) e questo favorisce la formulazione di domande spontanee, che sono di estrema
utilità per il coachee in quanto lo aiutano a pensare meglio, non impongono pareri che possono distrarre o peggio interrompere il flusso di pensieri e vanificare quanto di buon fatto sino
a quel momento rendendo lo “shift”4 più difficile quantomeno in termini temporali, diventa
infatti necessario “ricostruire” quella parte di relazione per poter proseguire efficacemente.
Occorre fare una ulteriore precisazione in merito all’ascolto e cioè che le domande poste dal
coach non indagano il passato del coachee, come invece è necessario per altre discipline, le
domande del coach fanno parte del percorso “da qui a lì” e sono orientate al futuro là dove il
coachee raggiungerà i suoi obiettivi.
Infine sempre in termini di ascolto attivo e atteggiamento il coach attiva un clima di empatia
non di simpatia nel senso che non partecipa, o non partecipa visibilmente, agli stati d’animo
del coachee, il che non vuol dire “freddezza” ma semplicemente comprensione del momento,
della situazione particolare, entrare in flusso con il coachee impedisce di “ascoltare” perché
entrano in campo i sentimenti e i vissuti personali del coach e non si ascolta più.
Si può parlare di una filosofia dell’ascolto attivo in riferimento al coaching?
Sì se intendiamo come filosofia non un “modo di ragionare” secondo l’accezione comune, ma
come un sistema che parte da alcuni presupposti e sviluppa un percorso coerente ed organizzato per arrivare ad un fine proprio.
Giova ulteriormente ricordare che senza ascolto non può esistere relazione e senza ascolto
contestuale non può esserci coaching.
Possiamo dire che se “cantare è un altro modo di pregare”, allora “ascoltare è un altro modo di
parlare.”
06
Ascolto e
Ascolto Contestuale
(Principi, teorie, tecniche e metodologie)
L’ascolto è un processo psicologico e fisico del nostro corpo per comunicare ai nostri neuroni, al
cervello che li traduce in emozioni e nozioni. L’ascolto è uno strumento dei nostri cinque sensi
per apprendere, conoscere il tempo e lo spazio che ci circonda e comunicare con noi stessi e il
mondo circostante.
“Molte persone danno per scontate le abilità di ascolto, ritenendo di ascoltare per il semplice
fatto di sentire e comprendere ciò che viene detto. Sentire è una funzione sensoriale, mentre
ascoltare è un’abilità.”
L’ascolto ha requisiti preliminari tra i quali l’osservazione, la disponibilità e l’attenzione all’ambiente. Quando si sono “attuati” i requisiti preliminari, si può arrivare agli atteggiamenti interiori propri dell’ascolto. Ascoltare gli altri veramente non è affatto un atteggiamento passivo: tutta
la persona è coinvolta.
Nel processo di ascolto è importante chiarire bene che si parla di ascolto empatico, ossia che
utilizza l’empatia come strumento6 per attivare una relazione positiva con il coachee.
Abbiamo parlato di ascolto attivo, contestuale ed empatico: una precisazione ci pare oltremodo
necessaria, i tre aggettivi utilizzati definiscono l’ascolto nei suoi modi di essere agito dal coach e
identificano quindi aspetti diversi che riguardano l’insieme degli aspetti di fondo della relazione
(contesto), di uno strumento di ascolto (attivo) e di un modo di essere (empatico) di attuazione
dell’ascolto stesso.
Nell’ascolto empatico si ascolta con le orecchie, ma anche, e questo è l’aspetto più importante,
con gli occhi e con il cuore, si sviluppa empatia con il coachee, ma non si interpretano i sentimenti, non si giudicano i comportamenti: non si partecipa emotivamente, in altre parole si
sviluppa empatia non simpatia o condivisione e partecipazione.
Perché si deve dare importanza e attenzione all’ascolto nella relazione di coaching?
Perché l’ascolto del coach si percepisce immediatamente. Allenarsi quotidianamente su questa
capacità ci obbliga ad una maggior fatica iniziale, ma restituisce, nel tempo, una capacità nuova che ci renderà speciali. Ascoltare rappresenta la base della comunicazione, per il coach è la
prima cosa su cui esercitarsi se vuole imparare a comunicare senza dimenticare che non si può
riuscire ad ascoltare gli altri se prima non si impara ad ascoltare realmente se stessi. Decifrare
07
le emozioni e capire quanto possono influenzare i rapporti con gli altri ci predispone ad un
ascolto più autentico e professionale.
Le persone, attraverso l’ascolto, possono aumentare le possibilità di riuscita dei loro progetti:
essere ascoltati e ascoltare meglio permette di esplorare un numero maggiore di “possibilità”
e quindi di “soluzioni”.
L’ascolto ha requisiti preliminari tra i quali l’osservazione, la disponibilità e l’attenzione all’ambiente. Quando si sono “attuati” i requisiti preliminari si può arrivare agli atteggiamenti interiori propri dell’ascolto. Ascoltare gli altri veramente non è affatto un atteggiamento passivo:
tutta la persona è coinvolta.
• Attenzione verso l’altro: ascoltare con tutti noi stessi ciò che l’altro ci sta dicendo, significa considerarlo capace di esprimersi secondo il proprio ritmo, senza domande ripetute da
parte nostra. Significa esser veramente presenti, percepire, tramite parole e gesti, il vissuto
di chi ci sta davanti, la sua gioia e il suo dolore. Questa attenzione prende il nome di EMPATIA, da non confondersi con simpatia. Etimologicamente simpatia vuol dire “sentire con”,
mentre empatia, vuol dire “sentire in”. Empatia quindi è mettersi veramente in sintonia con
l’altro, vedere le cose dal suo punto di vista, totale attenzione ai suoi sentimenti rimanendo
sempre noi stessi, non bisogna cadere nella trappola del coinvolgimento emotivo.
• Essere aperti all’imprevisto: l’ascolto implica un’accoglienza non difensiva, o meglio
una accettazione incondizionata (Rogers), di tutto ciò che verrà detto, anche qualcosa di
imprevisto perché non sappiamo mai cosa l’altro ci dirà! In fondo quando una persona ci
parla, apre il libro della propria vita che noi non conosciamo. Non dobbiamo tenere un
atteggiamento difensivo verso ciò che è nuovo e che urta il nostro modo di pensare. Una
relazione si stabilisce solo se si accetta che gli altri vedano e comprendano le cose in modo
diverso da noi.
• Autentico interesse a ciò che l’altro dice: l’ascolto si caratterizza proprio per questo autentico interesse. Così si arricchisce il nostro potenziale informativo e conoscitivo. Ciò che
ne deriva è un autentico scambio fra uguali. Se la persona si sente accettata incondizionatamente, cioè non si sente giudicata, l’espressione diventa libera e si instaura il dialogo. Per
poter accettare l’altro così com’è è fondamentale accettare se stessi, aver individuato le nostre
contraddizioni interiori e motivi di divisione, conoscere il nostro modo di essere (umore,
carattere, sensibilità).
• Conoscere se stessi: tutti abbiamo problemi e difficoltà personali, nessuno escluso. La capacità di ascolto aumenta se si ha una lucida conoscenza delle proprie difficoltà e se queste
vengono responsabilmente accettate. Diversamente, il problema dell’interlocutore si somma al nostro e prende il sopravvento.
• Accettare per superare: non si può essere veramente capaci di ascoltare gli altri e capire
il loro messaggio, quale esso sia, se prima non si è capaci di ascoltare e accettare ciò che
accade in noi stessi.
08
Classificazioni dell’ascolto
Ci sono diversi classificazioni di ascolto e abbiamo scelto questi di Madelyn Burley-Allen che
ci offrono la possibilità di dare anche un taglio pratico all’esposizione e non solo teorico, per
aiutarci a migliorare ad imparare ad ascoltare:
• Livello 1: ascolto empatico
• Livello 2: sentire le parole, ma senza ascoltare veramente
• Livello 3: ascoltare a tratti
Al livello 1 ci si astiene dal giudicare chi parla mettendosi al suo posto e tentando di vedere le
situazioni dal suo punto di vista. Bisogna quindi essere attenti, presenti, riconoscere, rispondere, fare attenzione all’intera comunicazione di chi parla, incluso il linguaggio del corpo. Si
tratta quindi di ascoltare con il cuore, aprendo la via alla comprensione, alla disponibilità e
all’empatia.
Al livello 2 ci si ferma alla superficie della comunicazione senza coglierne i significati più profondi. Si tende ad ascoltare logicamente, interessandosi più al contenuto che ai sentimenti e
rimanendo emotivamente distaccati dalla conversazione. A questo livello chi parla può avere
l’errata sensazione d’essere ascoltato e capito.
Al livello 3 l’ascolto è silenzioso, passivo, senza reazione, a sprazzi. La persona simula l’attenzione mentre sta pensando a tutt’altro, dando dei giudizi, formulando mentalmente obiezioni
e consigli, oppure si prepara a quello che vuol dire dopo.
Nell’arco della giornata la maggior parte di noi utilizza tutti e tre i livelli. L’obiettivo ideale è
riuscire a farlo al livello 1 in tutte le situazioni.
In ogni situazione sono presenti, a livello inconscio, percezione, ricezione e attenzione. Quando il contenuto del discorso non ci pone problemi, recepiamo l’informazione attraverso i
cinque sensi. Utilizzarli tutti ci permette di prestare la nostra completa attenzione e d’essere
aperti ad ascoltare al livello 1.
E’ utile e importante riepilogare ciò che ci viene riferito in quanto aiutiamo l’altro (nello specifico il coachee) e vedere più chiaramente le possibili soluzioni.
09
Distorsioni dell’ascolto7
Una delle principali cause per cui l’ascolto può essere distorto sono le esperienze negative precedenti, che rimangono nella nostra mente inconsciamente e filtrano la situazione attuale. Ne
consegue un ascolto distorto perché non siamo totalmente in sintonia con la persona con cui
stiamo dialogando. Alcune parole cariche di significato emotivo, definite a volte termini “pericolosi” o delicati, possono evocare forti sentimenti e così creare delle barriere all’ascolto efficace.
A volte si può reagire ad una parola o ad una frase facendoci condizionare dalle nostre esperienze passate: conferiamo, cioè, a un termine dei significati mutati da situazioni precedenti a
forte valenza emotiva. A volte le parole possono influenzare gli ascoltatori a un livello tale che le
loro reazioni avranno come risultato un ascolto di livello 3: le emozioni provocano distrazioni
interiori, interferendo così con l’ascolto di livello 1.
Vi sono anche alcune aree di cui non vogliamo parlare, argomenti che non desideriamo discutere, per ragioni emotive. Queste aree sono “punti dolenti” che costituiscono il nostro punto debole e se l’interlocutore lo tocca con una parola, una frase o un argomento, la nostra mente mette
in opera alcuni filtri: esperienze passate, convinzioni o preconcetti legati a quanto sta dicendo
l’interlocutore. Normalmente, in questi casi, adottiamo delle misure difensive, come, ad esempio, ignoriamo chi ci parla, formuliamo domande per confonderlo, interpretiamo erroneamente
le sue parole. Se viene detto qualcosa che potrebbe portarci a modificare la nostra percezione,
ci sentiamo minacciati, perché questo potenziale cambiamento può coinvolgere sentimenti profondi.
Le forti emozioni, negative o positive, di solito interferiscono con la capacità di ascolto. Sono
una barriera che influenza un ascolto efficace, a volte causano confusione e un’assunzione disorganizzata di informazioni. Dobbiamo tenere presente anche la barriera fisica: in certi momenti
della giornata abbiamo più energia, in altri meno. L’affaticamento è un fattore che influenza la
capacità di ascolto, perché quest’ultimo richiede sforzo e concentrazione. Quando non siamo
in piena forma, abbiamo maggiore difficoltà a prestare attenzione. Quando abbiamo problemi
personali, usiamo la nostra energia per affrontarli, il che diminuisce la quota che possiamo impiegare per ascoltare al livello 1.
Altro elemento che può causare fatica è il fattore time-lag (divario temporale); chi parla, in
media, pronuncia 200 parole al minuto, ma un ascoltatore può elaborare l’informazione a circa
300-500 parole al minuto. E’ facile quindi utilizzare questo spazio fantasticando, divagando o
pensando ai nostri problemi personali. Ci vuole energia per usare questa differenza di tempo in
modo produttivo, come riepilogare interiormente o visualizzare ciò che viene detto o associarlo
a un’affermazione precedente. Dato che l’ascolto a livello 2 richiede energia e concentrazione, è
facile permettere a questi fattori di interferire.
10
Significato delle parole
nell’ascolto
Ognuno di noi conferisce un proprio significato alle parole, perché le filtriamo attraverso
convinzioni, conoscenze, istruzione, educazione ed esperienze diverse. Di conseguenza non
esistono due persone che attribuiscano lo stesso significato a un termine o un’espressione; i
significati non sono nelle parole, ma nelle persone. Un termine è semplicemente una rappresentazione della cosa che nomina o descrive. Non è la cosa in sé e per chi parla può significare
qualcosa di diverso da chi ascolta.
Può essere utile la pratica di riassumere quanto pensate che vi venga detto per verificare di
aver recepito il corretto significato. Ognuno riceve i dati sensoriali in modo unico; non sono
dati ”grezzi”, ma piuttosto dati filtrati e interrotti dal ricevitore. E’ importante riconoscere che
le affermazioni che facciamo sugli altri, dopo averli ascoltati, riguardano in realtà la nostra
esperienza. A volte le persone hanno difficoltà a separare la realtà esterna dalla loro esperienza a causa di questi filtri.
Ci possono essere anche elementi esterni che impediscono d’ascoltare in modo efficace. Ad
esempio se il coachee non parla abbastanza forte, sussurra; se c’è rumore di sottofondo forte,
come il traffico; se la temperatura della stanza è troppo alta o troppo bassa.
11
Comunicazione
non verbale
Molti messaggi vengono comunicati senza essere verbalizzati!
Un’abilità importante è ascoltare segnali non verbali. Un’osservazione attenta rivelerà quante informazioni possono essere veicolate attraverso l’espressione del volto. Ascoltare il tono emotivo
di una persona è un altra capacità che ci permette di riconoscere i sentimenti non espressi verbalmente. Il tono di voce può fornire indizi utili nel trattare con una persona in una situazione
difficile. L’aspetto non verbale del processo di comunicazione è largamente inconscio e meno
suscettibile d’essere manipolato o mascherato dall’individuo.
Un buon ascoltatore sente più delle parole di chi parla. Ascolta l’intensità, il ritmo, il timbro
e il tono di voce e le sottili variazioni che questi trasmettono. Spesso tendiamo a dimenticare
l’importanza del nostro comportamento non verbale e l’influenza che può avere sugli altri. Nella
dinamica del processo di comunicazione, influenziamo gli altri, e possiamo stabilire un clima
positivo o negativo, senza pronunciare una parola.
I segnali non verbali rendono più difficile nascondere ciò che sentiamo. Le persone possono
scegliere accuratamente i propri termini e riuscire a creare una facciata; possono pensare d’aver
coperto le loro emozioni, mentre queste sono espresse inconsciamente attraverso il tono di voce
o i gesti. Possono tentare di camuffare l’ostilità con dei sorrisi, ma il tono di voce e la postura del
corpo probabilmente li tradiranno. I segnali non verbali sono indizi che possono aiutare a capire
ciò che sta succedendo tra gli interlocutori (coach e cochee). E’ importante tenere a mente che
tendiamo a interpretare quello che sentiamo e vediamo attraverso il filtro interno dell’esperienza.
L’ascolto dl livello 1 può fornire informazioni di migliore qualità. Quando si ascolta efficacemente , si ha l’opportunità d’avere il controllo della situazione e influenzarne l’esito. Iniziare un
feedback verbale garantisce che sia il coach sia il coachee usano termini con lo stesso significato
per la stessa cosa.
12
Stili di ascolto8
Tra le varie classificazioni che la produzione in materia ha elaborato, partendo da presupposti
teorici diversi e da diverse discipline, la seguente ha il pregio di essere semplice e di facile utilizzo pratico in una ideale guida al “buon” ascoltatore.
Il simulatore: alcune persone fingono di ascoltare quando in realtà le loro menti seguono un
altro pensiero. Altri si sforzano di sembrare dei buoni ascoltatori cercando di memorizzare
ogni fatto, perdendo così l’intenzione generale del messaggio, anche se danno l’impressione
d’ascoltare e assimilare tutto quanto viene detto può facilmente portare al sovraccarico e al
blocco della rete di comunicazione.
L’ascoltatore dipendente: alcuni sono così preoccupati di come ascoltano e reagiscono al loro
interlocutore che si lasciano sfuggire quanto viene effettivamente detto. Nel loro bisogno di
fare buona impressione, si focalizzano su come appaiono agli altri, piuttosto che sulla chiarezza e sul contenuto del messaggio.
L’ascoltatore timido: presta attenzione a se stesso mentre sarebbe meglio che si concentrasse
sul contenuto e sul significato della conversazione. L a timidezza può essere considerata come
un tipo di preoccupazione per questioni interne a scapito di un ascolto efficace. Anche il
troppo ardore d’una persona può provocare la freddezza dell’altra. In questo tipo di situazione
chi parla è costretto ad adattarsi allo stato emotivo dell’ascoltatore perché questi è incapace
d’adeguare il proprio.
L’ascoltatore intellettuale o logico: la persona di questo tipo ascolta il più delle volte con la
testa, sentendo solo quanto vuole sentire ed escludendo ampie zone di realtà. Siccome è interessata principalmente ad una valutazione razionale, forse a causa dell’educazione, tende
a trascurare gli aspetti emotivi e non verbali del comportamento di chi parla. Così ascolta a
livello 2, cogliendo solo le parole invece dell’intero messaggio. Non è consapevole di come il
comportamento d’ascolto influenza gli altri o di come gli altri lo condizionino. Ascolta in termini di categorie, assicurandosi che quello che sente non disturbi la sua pace e il suo ordine
interiore.; è così preso nel programmare quanto viene detto che trascura il significato profondo: esclude l’esperienza ottenuta attraverso il sistema sensoriale, perdendo così l’opportunità
di vivere effettivamente l’evento.
Proponiamo ora un brevissimo esercizio da utilizzare come check list per prepararsi ad una
sessione di coaching e per una verifica a posteriori di quanto è accaduto, confrontando gli
scostamenti per una lettura del modo in cui si è utilizzato l’ascolto nella relazione di coaching.
13
Esercizio 1
1. In una scala da 1 a 10 - in cui “1” significa che senti le parole dell’altro e “10” che ascolti per
cogliere il reale significato della conversazione. Qual è il tuo livello di ascolto?
_____________________________________________________________________
2. Ascolti ciò che non viene detto?
____________________________________________________________________
3. Come lo sai?
_____________________________________________________________________
4. Analizza le tue capacità di ascolto. Ti capita spesso di ritrovarti al Livello II - Ascolto Frammentato o al Livello III - Non Sintonizzato?
_____________________________________________________________________
5. Quali tecniche utilizzi per ritornare al Livello I - ascolto efficace, totale?
_____________________________________________________________________
Il coach, lo abbiamo detto, deve essere un buon ascoltatore, ma gli altri? Cosa possiamo imparare dalle “performances” di ascolto dei nostri interlocutori?
Capire dagli altri aiuta a capire meglio noi stessi, ed ecco una divertente casistica di tipi di “cattivi ascoltatori”9 con i quali spesso ci relazioniamo nella vita di tutti i giorni:
1. il multi-attività: Sì, ti ascolto. Non ti guardo, ma ti ascolto. Finisco una frase … dimmi. Scusa,
intanto rispondo al telefono. Che stavi dicendo?
2. il mondano: Se ho un minuto? Certo. Entra e dimmi pure. Lo so che mi hai cercato in questi
giorni. Oh, scusa, c’è qualcun altro alla porta. Entra, stavamo chiacchierando. Più siamo, meglio è.
3. il finisci-frasi: Fermati, so benissimo dove vuoi arrivare. Non c’è bisogno che tu finisca. Lo so.
Non apprezzi un capo così efficiente e collaborativo? Forza, continua. No, finisco io per te.
4. il contraddittore: Qualsiasi cosa tu dica, proverò a dire il contrario. Ho il dovere di fare l’avvocato
del diavolo. Credo che questo ti aiuti. Come fai a sapere che la tua idea è buona? Scusa, lo faccio
con tutti. Tenere tutti sulla corda …
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5. lo sputa-risposta: Non dire niente di più. Questo è il mio consiglio. Prendilo. Potevi non chiedermi niente. Forse volevi solo sfogarti un po’. Potevi cavartela da solo. Ma che capo sarei se non
avessi sempre la risposta pronta? Quindi, serviti pure.
6. il grande filosofo: Ora, cercherò di chiarirti cosa vuoi davvero, ma in un’accezione più ampia e
profonda. Non c’è bisogno che tu ti spieghi oltre, sarò io a spiegarti.
7. l’autobiografo: Ah, quello che mi racconti mi evoca parecchi ricordi. Per cui ti racconterò la
mia esperienza. Può servire anche a te. Dunque, nel 1992...
8. lo scruta-orologio: Sì, sì. Scusa, no, non vado di corsa. E’ solo che... sai l’ora? No, continua pure.
Che dicevi?
9. il superveloce: Vuoi parlarmi? Sono occupatissimo … se facciamo presto. Sto andando a una
riunione. Vieni con me, accompagnami. Oppure facciamo una cosa: mandami un’ e-mail.
10. lo smemorato: Grazie davvero per aver voluto condividere le tue idee con me. Le terrò a mente. Ne riparleremo, se me ne ricorderò.
Possiamo, scherzosamente, dire: “Questo è il coachee, non il coach!”, tuttavia per essere coach
dobbiamo anche sapere come poter agire in questi casi (… e se fossimo noi coach ad essere
così, magari fuori dalle sessioni di coaching?).
Cosa fare se ...10
1. Eliminate le distrazioni.
Sedetevi dall’altra parte della scrivania, insieme alla persona con cui state parlando. Lasciate
squillare il telefono. Se siete davvero troppo occupati per prestare la dovuta attenzione, ditelo
con franchezza. Meglio rimandare l’incontro a un momento più tranquillo. Se state aspettando una telefonata davvero importante, ditelo prima e, quando arriva, scusatevi con il vostro
interlocutore.
2. Prima di invitare altre persone a partecipare a una conversazione, pensateci bene.
Il vostro interlocutore potrebbe non gradire affatto o stare sul punto di dirvi qualcosa di personale e riservato. Guardatelo e abituatevi a captare i segnali: ha piacere che la conversazione
si allarghi o richiede un’attenzione esclusiva?
3. Moderate l’entusiasmo.
In genere chi interrompe spesso non lo fa per mancanza di considerazione verso l’altro, ma
perché è un estroverso e un entusiasta, che ama pensare ad alta voce, sollecitato da quanto l’altro va dicendo. La sua associazione mentale diventa subito voce. Allora, sforzatevi di ascoltare
più a lungo, mordetevi la lingua. Imitate i più introversi tra i vostri colleghi.
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4. Discutete con dolcezza.
Le parole pesano, soprattutto se rivolte a un collaboratore. Va bene discutere e fare l’avvocato
del diavolo, ma non fate sentire l’interlocutore un perdente in partenza. Fate piuttosto domande che fanno pensare e lasciate che l’altro arrivi da solo alle sue conclusioni. L’eccesso di
argomentazione vi può far facilmente passare per prevaricatori.
5. Prima di dare consigli, chiedete.
Qualcuno vuole solo sfogarsi, ma a qualcun altro il vostro parere interessa davvero. Ascoltate,
e se pensate di avere un buon consiglio da dare, chiedete se è gradito e poi datelo senza che
sembri un ordine.
6. Rimanete con i piedi per terra.
Tenete la vostra conversazione su un piano concreto. Può darsi che un po’ di teoria ci stia bene,
ma valutate se la situazione lo consente. Esercitate piuttosto le vostre capacità dialettiche per
capire meglio i problemi di chi si rivolge a voi.
7. Al centro non ci siete voi.
Ascoltando, tenete sempre a mente che al centro della conversazione non ci siete voi, c’è l’altro.
Se volete raccontare qualcosa di voi, scegliete un errore da cui avete imparato qualcosa, o un
aneddoto che metta l’altro a suo agio.
8. Mettete un orologio nel vostro campo visivo.
Così non dovrete cercare le lancette in maniera evidente e potrete invece guardare con più
attenzione chi vi sta di fronte. Se davvero avete poco tempo, ditelo esplicitamente. Magari
prendete un altro appuntamento, e poi mantenete l’impegno.
9. La velocità uccide.
Forse una breve conversazione camminando per i corridoi può bastare se portata avanti con
attenzione. Ma siate amichevoli e sinceri, anche nella fretta. Il collega che vi tirate dietro non
è il vostro cane.
10. Ricordare.
Non dimenticate quello che di importante è emerso in una conversazione. Appuntatelo, rifletteteci su, tornateci sopra alla prossima occasione. Serve a voi, che avrete degli elementi in
più per il vostro lavoro, e all’altro che capirà di essere stato realmente ascoltato e considerato
16
Un pò di tecnica e un pò d’altro …
Nelle pagine che seguono forniremo alcuni esercizi e/o spunti di riflessione per migliorare sempre
l’ascolto, saranno tecniche: come fare per … , alcune riflessioni: perché … , chi deve …
Tecnica dell’ascolto attivo11
Thomas Gordon ha coniato una tecnica definita ascolto attivo. Attraverso l’uso di questa tecnica si
arriva ad un livello della comunicazione che oltrepassa le incomprensioni dovute al non ascolto o
all’ascolto parziale dell’altro. Gordon dice che per un buon ascolto è necessario seguire 4 passi:
1. L’ascolto passivo: è il momento di silenzio interiore (e possibilmente anche esteriore), di chi è in
ascolto. Ascoltare in silenzio permette all’altro di esporre senza essere interrotto. È così che percepisce l’attenzione che gli viene rivolta. Inoltre questa fase permette a chi ascolta di entrare in contatto
anche con le proprie emozioni e di distinguere ciò che gli appartiene da ciò che appartiene al suo
interlocutore.
2. Messaggi di accoglimento: Sono sia messaggi verbali (“ti ascolto”, “sto cercando di capire”..); che
messaggi non verbali (cenni del capo, sguardo, sorriso…).
3. Inviti calorosi: Messaggi verbali che incoraggiano chi parla ad approfondire quanto sta dicendo
(“dimmi..”, “spiegami meglio”..) senza valutare o giudicare ciò che viene detto. L’assenza di giudizio
è fondamentale al raggiungimento di una corretta comunicazione fra le parti. Sarebbe meglio usare
un punto interrogativo che permetta a l’altro di meglio definirsi per come realmente si sente: “mi
sembra che questa situazione ti renda nervoso” – “ma, più che nervoso direi che sono proprio arrabbiato”.
4. Ascolto attivo: Chi ascolta “riflette” il contenuto del messaggio dell’altro restituendoglielo con
parole diverse. Questo permette di verificare se il messaggio così come lo si è compreso è corretto.
Inoltre, riflette i sentimenti espressi dal comunicante e percepiti dall’ascoltatore; o sia il contenuto
emotivo.
Esempi di frasi introduttive dell’ascolto attivo sono:
Ti senti…
Mi stai dicendo che
Mi pare di capire…
Così chi parla si sente compreso, ascoltato, ma non giudicato!
Non dare soluzioni già pronte:
“perché non fai così?”; “io farei cosà” etc. niente di più sbagliato per il nostro interlocutore. Chi ha un
problema ha bisogno sì di esporlo, perché così facendo già riesce a prenderne una consapevolezza
diversa, ma ha anche necessità di trovare da solo una soluzione. Ogni volta che diamo una soluzione
abbiamo impoverito chi abbiamo davanti a noi. Al posto del dare un consiglio, possiamo formulare
una semplice domanda: “come pensi di poter risolvere questa situazione?”.
17
Tecnica del confronto
In tale tecnica il soggetto mette in relazione, confronta, i propri sentimenti con ciò che crea
il suo stato di malessere. In tale tecnica non viene espressa nessuna valutazione sulla persona
che compie l’azione, ma la pone di fronte agli effetti del suo atto e ai sentimenti/reazioni che
esso provoca negli altri. Non più quindi “TU SEI”, ma “IO SENTO”.
Esempio:
In una classe un docente non riesce a spiegare a causa della confusione degli alunni. Il docente
può reagire in due modi.
Reazione aggressiva: “Insomma non siete proprio capaci di stare zitti, non avete nessun rispetto
per gli altri!”
Reazione del confronto: “quando voi parlate così tanto senza fermarvi (descrizione precisa
del problema) io non riesco a dire la mia opinione e ciò mi fa sentire inutile (descrizione delle
sensazioni interiori).
La tecnica del messaggio io (o del confronto) si compone di tre momenti:
- Descrizione del comportamento che crea il problema, senza esprimere un giudizio
- Descrizione dell’effetto tangibile e concreto che il problema ha su chi parla.
- Descrizione degli effetti soggettivi del problema.
Esempio:
Un pediatra che spiega la cura alla mamma mentre il bambino fa i capricci per andarsene:
Il pediatra dice al bambino:
“se continui a chiacchierare (1) io mi innervosisco perché faccio molta più fatica a spiegare
queste cose alla mamma (2) e ci mettiamo molto più tempo a finire (3).”
18
Migliorare l’ascolto
“non verbale”
Alcuni studi hanno dimostrato che il 90% della comunicazione si svolge a livello non verbale.
Saper ascoltare bene e quindi comprendere bene l’altro significa saper prestare attenzione alla
comunicazione non verbale.
Per questa ragione è necessario esercitare l’attenzione a percepire i dettagli che aiutano la comunicazione, in altre parole a stimolare la nostra memoria visiva.
Esercizio12
1. Ogni volta che incontri una nuova persona fai uno sforzo cosciente per notare particolari
quali l’abbigliamento, l’attitudine, i tic, le mani, il modo di camminare, ….
2. Fai uno sforzo per notare come sono vestite le persone vicino a te dalla mattina a mezzogiorno; fai una lista in cui descrivi il loro abbigliamento. La sera paragonali a quanto ricordi;
3. Osserva delle foto di gruppo e cerca di immaginare che cosa provano le persone;
4. Guarda la tv senza audio: sforzati di comprendere le interazioni tra le persone. Osserva i
cambiamenti nel tuo modo di guardare (tendenza concentrarsi sui dettagli più interessanti
e a comprenderne di più).
Dopo aver messo in pratica questi esercizi, pensa a ciò che hai provato:
Gli atteggiamenti degli altri nei tuoi confronti sono cambiati?
Hai cambiato opinione riguardo a persone che non amavi/stimavi molto?
Ti senti maggiormente a tuo agio nel mettere in pratica l’ascolto non verbale?
Quanto può aiutare nella relazione di coaching, contribuendo ad aumentare la fiducia tra coach e
coachee, prestare attenzione al coachee senza cadere nel tranello di una facile “valutazione”?
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Continuare a migliorare
l’ascolto attivo
In una conversazione l’ascolto attivo permette una migliore comunicazione con l’altro. Il messaggio è più chiaro per te e l’altro si sente ascoltato, compreso, in confidenza. Dopo esserti
appropriato dei concetti di base per un ascolto empatico, è necessario apprendere nuove tecniche che ti aiuteranno a perfezionarti.
“Ascoltare, ascoltare…mi piacerebbe, ma lui non mi dice nulla!”13. Non basta aprire il cuore
e le orecchie per far parlare un figlio (e non solo un figlio!)! Per confidarsi ha bisogno della
certezza di essere capito e accettato senza che i suoi sentimenti siano giudicati. E’ difficile accontentarsi di ascoltare un problema senza prender posizione, dare soluzioni e consigli; è difficile ascoltare un’emozione, occorre eliminare ordini, prediche, lezioni, consigli, critiche, ma
anche adulazione, rassicurazioni eccessive. Ascoltare significa fare eco all’emozione affinché il
bambino si senta accettato così com’è e capisca se stesso in profondità.
• Ascoltare le emozioni non i fatti
• Ascoltare con il corpo, oltre le parole, ma il suo vissuto
• Ascoltare con il cuore. Serve il coraggio di far risuonare in noi l’eco del vissuto dell’altro.
• Aiutare ad andare oltre attraverso domande aperte basate su “che cosa” “come” “di che cosa”
• Riformulare ciò che l’altro ha detto
Esercizio14
Quando ascolti una conversazione cerca di trovare più modi possibili per parafrasarla.
Per queste 6 emozioni (4 primarie e 2 secondarie): l’amore, la gioia, la collera, la paura - da
una parte - la confusione, la tristezza - dall’altra, trova il maggior numero di parole che descrivono e classificale secondo la loro maggiore o minor forza
Esempi:
Amore
Gioia
Tristezza
Collera
Paura
Confusione
adorazione, desiderio, amicizia, ecc
giubilo, contentezza, soddisfazione, ecc
depressione, dolore, insoddisfazione, ecc
rabbia, frustrazione, irritazione, ecc
orrore, allarme, nervosismo, ecc
perdita, indecisione, ecc
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Si può inoltre aggiungere anche qualche avverbio quale “un po’”, “profondamente”, “assolutamente”, “mai”, “sempre”.
Amore ________________________________
Gioia ________________________________
Tristezza
________________________________
Collera ________________________________
Paura ________________________________
Confusione
________________________________
Registra una tua conversazione, ascolta la tua stessa voce, cerca di capire cosa fare per migliorare.
Insegnamento:
Mai fingere di aver capito. È necessario ammettere di non aver capito e chiedere chiarimenti.
Es. “mi sono perso”, “l’ho seguita fino a quel punto, può ripetermi per favore il seguito?” ….
Mai dire: “so quello che prova”. Si rischia di bloccare l’altro che dubiterà delle nostre intenzioni e non fornirà più dettagli utili. Ha bisogno di una dimostrazione, di fatti. Una delle
migliori dimostrazioni è un feedback che gli faccia comprendere che hai capito, senza bisogno di dirlo. Riflettere le sue emozioni e riformulare il suo pensiero permette all’altro di
sentirsi compreso, aumentando al tempo stesso la tua comprensione.
Variare le risposte. Riformulazione: “il mio capo si impiccia sempre degli affari miei: vorrei
davvero che si occupasse di più dei suoi.”; “ti disturba che il tuo capo si occupi dei tuoi affari”; “ti innervosisce che si occupi di cose che non lo riguardano”; “vorresti che ti trattasse con
maggior rispetto”.
Scegliere la parola giusta. Sviluppare il proprio vocabolario di emozioni.
Sviluppare la propria empatia vocale. Esprimere affidabilità. Rispecchiare il tono dell’altro
per fargli capire il nostro interesse.
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Un ulteriore interessante punto di riferimento per allenare il nostro ascolto è la sintesi che
propone Marianella Sclavi sulle sette regole dell’arte di ascoltare15:
1. 2. 3. 4. 5. 6. Non avere fretta di arrivare a delle conclusioni. Le conclusioni sono la parte più effi
mera della ricerca.
Quel che vedi dipende dal tuo punto di vista. Per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare punto di vista.
Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva.
Le emozioni sono delle degli strumenti conoscitivi fondamentali, se sai comprende-
re il loro linguaggio. Non ti informano su cosa vedi, ma su come guardi. Il loro codi-
ce è relazionale e analogico.
Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili. I segnali più importanti per lui sono quelli che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi, marginali e irritanti, perché incongruenti con le proprie certezze.
Un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi del pensiero e della comunica-
zione. Affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi in un campo che lo appassio-
na: la gestione creativa dei conflitti.
7. Per divenire esperto nell’arte di ascoltare devi adottare una metodologia umoristica. Ma quando hai imparato ad ascoltare, l’umorismo viene da sé.
Infine, dopo aver esaminato alcune tipologie di approccio all’ascolto contestuale ci pare
utile chiudere questa breve rassegna di tecniche e metodi richiamandosi all’Approccio del
Coaching al Contextual Listening®1⁶
1. Rimani ego-less:
•
Calma la mente
•
Dimentica i tuoi impegni
•
Non giudicare
•
Ricerca la verità
•
Abbassa il “volume” del dialogo interno
2. Sii presente e focalizzati sulla persona per stabilire il contesto e i contenuti.
3. Rivolgi domande delle quali non conosci le risposte.
4. Segui il tuo intuito per cercare di capire cosa sta succedendo al cliente.
5. Supporta il cliente nella sua ricerca di risposte senza imporre le tue soluzioni.
Nelle competenze di coaching l’ascolto contestuale si avvale anche di altri strumenti, quali
gli aforismi, le metafore e i racconti che contribuiscono, opportunamente calibrati nel corso
della sessione, a dare maggiore consapevolezza di sé e delle proprie potenzialità al coachee,
aiutandolo a vedere le cose con altri punti di vista alternativi o complementari ai suoi per
favorire lo shift e il passaggio consapevole da qui a lì.
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Abbiamo pertanto ritenuto utile raccogliere nelle appendici che seguono una serie di aforismi, metafore,
racconti, ma anche suggestioni per meglio completare il presente lavoro sull’ascolto contestuale.
Esempi se ne possono fare moltissimi, le fonti da cui attingere sono praticamente inesauribili, quelli proposti
hanno il pregio di essere strettamente connessi all’oggetto del presente lavoro sia nella lettera, ma più ancora
nello spirito che li pervade e in cui si può respirare aria di “coaching”.
Giunti alla conclusione del nostro lavoro ci siamo resi conto di quanto sia difficile non solo agire l’ascolto, ma
anche semplicemente parlarne, cercando di definirlo e di migliorarlo non solo nella relazione di coaching,
ma anche nella vita di relazione quotidiana: siamo però sempre più convinti che non basti “fare” il coach, ma
“essere” coach con se stessi e con gli altri in maniera naturale e spontanea.
Un’ultima citazione ci pare concludere bene questa visione del coaching:
“Chiese l’allievo al maestro di arti marziali: Quando avrò imparato l’arte? Rispose il maestro: Quando
avrai dimenticato tutto.”
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Aforismi sull’ ascolto
“L’aforisma è come dipingere un quadro
con parole forti che possono dare al nostro coachee
una intensa folgorazione, una nuova prospettiva
in cui emerge la soluzione, il rinforzo, la celebrazione.”
Gli aforismi costituiscono una delle competenze di base del coaching.
Il termine aforisma può essere definito come l’espressione di una profonda riflessione o di una
rapida intuizione in maniera arguta e concisa. Può essere inteso anche come una breve massima
che esprime una norma di vita o una sentenza filosofica in forma lapidaria talora anche paradossale.
L’obiettivo di questo capitolo è di proporre una raccolta degli aforismi più significativi sul tema
dell’ascolto al fine di semplificarne l’accesso, la ricerca e l’utilizzo da parte del coach.
Ogni mente percepisce gli aforismi in modo differente, il tempo o il momento in cui utilizzarli
dipende dalla creatività e dalla sensibilità del coach stesso.
La rassegna che segue rappresenta un primo tentativo di sistematizzare uno degli strumenti di
lavoro fondamentali per un coach, a partire dal materiale già presente nel manuale del Corporate Coach U International e Corporate Coach U Italia.
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Aforismi
Quando ti parlano, ascolta con tutto te stesso. La maggior parte delle persone non ascolta mai.
Ernest Hemingway
Nessun uomo ha ascoltato talmente tanto da perdere il lavoro. Calvin Coolidge
Era difficile instaurare una conversazione perché tutti parlavano così tanto. Yogi Berra
Ascolta la tua donna quando ti guarda non quando ti parla. Kahil Gibran
Le persone eccellenti ascoltano più di quanto parlano e quando ascoltano, ascoltano davvero. Sanno che
l’unico modo per avere un dialogo effettivo con qualcuno è ascoltare effettivamente. D.A. Bentos
Mi era talmente simpatica che avrei ascoltato i suoi silenzi per l’eternità. Carl William Brown
Un’idea che non trova posto a sedere è capace di fare la rivoluzione. Leo Longanesi
Quando colui che ascolta non capisce colui che parla e colui che parla non sa cosa stia dicendo: questa è
filosofia. Voltaire
Presta a tutti il tuo orecchio, a pochi la tua voce. William Shakespeare
La verità è tanto più difficile da sentire quanto più a lungo la si è taciuta. Anne Frank
Gli uomini si fidano delle orecchie meno che degli occhi. Erodoto
Come sentiamo, così vogliamo essere sentiti. Hugo von Hofmannsthal
Gli dei hanno dato agli uomini due orecchie e una bocca per poter ascoltare il doppio e parlare la metà.
Talete
Quello che io dico e quello che tu senti non sono sempre la stessa cosa. Anonimo
Le masse sono abbagliate più facilmente da una grande bugia che da una piccola. Adolf Hitler
Il mare non ha paese nemmeno lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce
e muore il sole. Giovanni Verga
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Chi non comprende il tuo silenzio probabilmente non capirà nemmeno le tue parole.
Elbert Hubbard
Non temere mai di dire cose insensate, ma ascoltale bene quando le dici. Ludwig Wittgenstein
La voce della coscienza è come uno di quei congegni d’allarme che scattano per ogni nonnulla e
nessuno gli dà più retta. Alessandro Morandotti
Chi ascolta attentamente l’autentica voce del cuore e della coscienza è illuminato dalla sua verità.
Georg Hegel
Ascoltare è una cosa magnetica e speciale, una forza creativa. Gli amici che ci ascoltano sono
quelli cui ci avviciniamo. Essere ascoltati ci crea, ci fa aprire ed espandere. Karl Menninger
Quando l’orecchio si affina diventa un occhio. Rumi, poeta e mistico persiano del XIII secolo
Quando gli occhi dicono una cosa e la bocca un’altra, l’uomo avveduto si fida del linguaggio dei
primi. R. W. Emerson
Ascoltare è un affettuoso regalo che facciamo a chi sta cercando di dirci qualcosa. Ma spesso è
anche un grande regalo per chi ascolta. (Gandalf - capitolo 46 del libro L’umanità dell’internet)
Nell’Incontro, l’Armonia tra il Parlare e l’Ascoltare può sostenere la Melodia della Vita. (r.s)
Parlare è un mezzo per esprimere se stessi agli altri, ascoltare è un mezzo per accogliere gli altri
in se stessi. Wen Tzu, testo classico taoista
La parola è d’argento, il silenzio è d’oro. Proverbio
Parla poco, ascolta assai, e giammai non fallirai. Proverbio popolare
Dio ci ha dato due orecchie ed una sola bocca per ascoltare almeno il doppio di quanto diciamo.
Proverbio Cinese
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Metafore, racconti e
suggestioni ‘in Ascolto‘
L’obiettivo di questa sezione è di proporre una rassegna delle metafore e dei racconti più significativi sul tema dell’ascolto al fine di semplificarne l’accesso, la ricerca e l’utilizzo da parte del
coach; questa raccolta è un primo passo per raccogliere materiale a supporto di una delle competenze avanzate del coach.
Metafore La metafora non spiega, non è esaustiva, ma consente di prendere spunto, di intuire, di aprire
strade da percorrere autonomamente.
La città dell’ascolto 18
C’era una volta un giovane insoddisfatto del modo di comunicare dei suoi compaesani. Decide
di andare a cercare la città dell’ascolto dove spera di trovare abitanti che sappiano ascoltare senza
interrompere, fraintendere o travisare le intenzioni di chi parla. Vorrebbe sentirsi libero di esprimersi senza dover fare troppa fatica per trasmettere il messaggio che intende veicolare. Si mette
in viaggio portando con sé solo lo stretto necessario.
Cammina, cammina e cammina sino a quando arriva in una città in cui ognuno è impegnato a
spiegare ciò che l’altro ha appena detto, il vero significato di ciò che intendeva dire. Con degli
sbagli tremendi, osserva il giovane, e va via per continuare la sua ricerca.
Arriva in un’altra città in cui gli abitanti fanno a gara a chi offre la più profonda interpretazione,
a chi è più veloce nel cogliere il senso implicito, a chi è più abile nel leggere tra le righe il non
detto: che fatica! pensa il giovane e riprende il suo cammino.
Dopo alcuni giorni di cammino arriva in un’altra città in cui non fa in tempo a iniziare un discorso che l’altro lo interrompe dicendogli: “ ho capito benissimo cosa intendi dire, è capitata
anche a me una cosa simile…” e va avanti nel raccontare le sue cose non dando più la parola a
chi aveva incominciato a parlare. Il giovane prova fastidio ad essere interrotto e non poter completare il proprio discorso. Non crede che questo si possa chiamare ascolto. Lascia questa città
per andare in un’altra.
Arriva in un’altra città in cui quando racconta qualcosa l’interlocutore lo interrompe per chie-
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dergli dettagli, precisazioni, dimostrazioni della veridicità di quello che dice, le fonti. Che
sfiducia in questa città, pensa, non voglio star qui un momento di più e continua il suo viaggio.
In un’altra città nota che viene interrotto da sfide del tipo come fai a saperlo, chi te lo ha detto,
ma ne sei proprio sicuro, irritandolo e facendogli sorgere inutili dubbi.
In un’altra città nota che quando esprime un’ opinione, un pensiero, l’altro è pronto a sostenere che c’è ben altro da aggiungere, che non ci si può fermare a delle semplici e superficiali
considerazioni. Può darsi, pensa il giovane, ma qualche volta non c’è proprio nient’altro da
aggiungere.
In un’altra città ancora quando uno introduce un tema di conversazione l’altro è pronto a proporne un altro, diverso dal primo.
Il giovane dopo tanto peregrinare arriva in un’altra città in cui quando chiede qualcosa nota
che le persone mostrano un sincero e autentico interesse nei suoi confronti. Sono disposti a
stare con lui, a instaurare un dialogo con lui per il tempo sufficiente e poi ognuno riprende la
sua attività.
In questa città mentre lui parla l’interlocutore non solo rimanda segnali di ascolto, ma fa anche
delle domande pertinenti per cercare di comprendere meglio quello che sta dicendo e verificare se effettivamente si sono capiti. E mentre parla con questo interlocutore di accorge che le
sue domande lo aiutano a chiarirsi meglio, a capirsi meglio, a precisare meglio il suo pensiero.
Il giovane si sente a suo agio, sereno, sente di poter parlare liberamente di qualsiasi cosa senza
interruzioni, senza interpretazioni arbitrarie, senza giudizi e malafede. Capisce che questa
deve essere la città dell’ascolto. Finalmente in questa città si sente rispettato e ascoltato per le
semplici cose che ha da comunicare.”
Le due radio ricetrasmittenti 19
“Proviamo ad immaginare due radio in cui la ricerca della sintonia, della frequenza di trasmissione, sia affidata ad una manopola da girare.
Per ascoltare l’altro è necessario girare la manopola con lentezza, con delicatezza, sino a quando si cominciano a sentire dei segnali tenui, confusi. Se si gira troppo velocemente, si rischia
di passare la frequenza e di non incontrare l’altro. Quando si è trovato il primo segnale, è necessario ricercare il punto di migliore ascolto. Ma non basta; l’altro può cambiare frequenza
d’onda (forse perché ha paura di essere ascoltato e capito da altri...) e si deve cominciare da
capo. Pensate ora di dover comunicare con tante ricetrasmittenti diverse: ognuna avrà la propria sintonia...”
“... Di tutte le metafore esistenti, quella più centrale e cospicua, a disposizione di tutti gli
esseri umani, è il sé. Qui non intendo solo il costrutto psicologico del “sé”, ma l’intero
essere, psiche e soma, il luogo dove per ciascuno di noi si incontrano Creatura e Pleroma.
Al cuore della rete di metafore attraverso la quale riconosciamo il mondo ed interagiamo
con esso, stanno l’esperienza del sé e la possibilità di parlarne. Il ricorso alla
autoconoscenza come modello per capire gli altri, sulla base di somiglianze e congruenze,
lo si potrebbe chiamare comprensione, ma il termine migliore nell’uso corrente mi sembra
EMPATIA. Non si deve solo pensare all’empatia fra terapeuta e paziente, perché anche il contadino cui si sia inaridito il raccolto sente la morte dei suoi campi nel proprio corpo....”. Secondo Bateson l’empatia stessa è una metafora; l’ascolto delle somiglianze e delle differenze,
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meccanismo attraverso cui conosciamo, permette di comprendere l’altro. Il comprendere attraverso la metafora non dipende principalmente dal pensiero logico, ma implica afferrare
una situazione intuitivamente, nei suoi diversi intergiochi di significati molteplici. L’ascolto
dei significati attraverso le metafore, consente una gradualità di comprensione sempre maggiore: e la base di tutto ciò è la disponibilità interna a comprendere.”
Racconti
Le cose importanti della vita
“Un professore di filosofia inizia la lezione posando sulla cattedra alcuni oggetti. Prende una
vaso vuoto e lo riempie con sassi di 5-6 cm di diametro. poi chiede agli studenti se il vaso è
pieno e loro rispondono sì. Allora prende una scatola di sassolini, e li versa nel vaso. I sassolini rotolano negli spazi vuoti fra i sassi. Il prof chiede ancora agli se il vaso è pieno, e gli
studenti rispondono ancora sì. Il prof prende allora una scatola di sabbia e la versa nel vaso.
La sabbia riempie ogni interstizio. “Ora voglio che voi riconosciate che questa è la vostra vita.
I sassi sono le cose importanti: anche se ogni altra cosa dovesse mancare, la vostra vita sarebbe comunque piena. I sassolini sono le cose che contano: il lavoro, la casa, lo sport. La sabbia
rappresenta le piccole cose. Se riempite il vaso prima con la sabbia, non ci sarà più spazio per
rocce e sassolini. Lo stesso è per la vita; se voi spendete tutto il vostro tempo ed energie per
le piccole cose, non avrete mai spazio per cose importanti. Fissate le vostre priorità! Il resto è
solo sabbia.”
Il Re Shahriyar20 è profondamente deluso delle donne ed è ferocemente adirato perché ha scoperto che non solo sua moglie l’ha tradito con i suoi schiavi neri ma anche che la stessa cosa è
successa a suo fratello, il Re Shahzaman. Il Re Shahriyar, avendo perso ogni fiducia nell’umanità e ferito dalla convinzione che nessuno può veramente amarlo, decide che d’ora in poi non
darà più a nessuna donna l’occasione di tradirlo di nuovo, e si ripromette di avere soltanto una
vita di voluttà. Da quel momento possiede ogni notte una vergine diversa, che viene uccisa la
mattina seguente. Alla fine, in tutto il regno non rimane che una sola vergine nubile: Sharazad,
la figlia del visir del Re. Il visir non ha intenzione di sacrificare sua figlia, ma essa insiste che
vuol diventare “il mezzo di liberazione”. Essa riesce nel suo intento raccontando ogni notte
per mille notti una storia che avvince talmente il Re che egli rinuncia a ucciderla perché vuol
sentire la continuazione della storia la notte successiva. Alla fine del ciclo, il Re dichiara la sua
fiducia e il suo amore per Sharazad, ed essi vivono felici assieme per il resto dei loro giorni, o
così ci viene fatto capire.
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L’arte di ascoltare (De recta ratione audiendi) di Plutarco di Cheronea21
1.
Ti invio, caro Nicandro la stesura del discorso da me tenuto su come si ascolta, perché tu
sappia disporti in modo corretto all’ascolto di chi si rivolge a te con la voce della persuasione,
ora che hai indossato la toga virile e ti sei liberato da chi ti dava ordini. Questa condizione
di «anarchia», che alcuni giovani, ancora immaturi sul piano formativo, sono portati a confondere con la libertà, fa sì che le passioni, quasi fossero sciolte dai ceppi, diventino per loro
padroni più duri dei maestri e dei pedagoghi di quando erano ragazzi. Insieme con la tunica,
dice Erodoto, le donne si spogliano anche del pudore: così ci sono giovani che nell’atto stesso
di deporre la toga puerile, depongono anche ogni senso di pudore e di rispetto, e sciolto l’abito
che li teneva composti si riempiono subito di sregolatezza. Tu, invece, che in più occasioni
hai avuto modo di ascoltare che seguire Dio ed obbedire alla ragione sono la stessa cosa, devi
pensare che; il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta, per quelli che ragionano bene, non
significa non aver più un’autorità cui sottostare, ma semplicemente cambiarla, perché al posto di una persona stipendiata o di uno schiavo essi assumono a guida divina dell’esistenza la
ragione. Quella ragione, i cui seguaci è giusto ritenere i soli uomini liberi, dato che solo loro
hanno imparato a volere ciò che si deve e perciò stesso vivono come vogliono. Ignobile, invece,
meschino ed esposto a grandi rimorsi, è l’arbitrio che si esplica negli impulsi e nelle azioni che
nascono da immaturità e falsi ragionamenti.
2.
… Penso comunque che non ti dispiacerà ascoltare qualche preliminare osservazione sul senso dell’udito, che, a detta di Teofrasto, è esposto più di ogni altro alle passioni, dato che non c’è
niente che si veda, si gusti o si tocchi, che produca sconvolgimenti, turbamenti o sbigottimenti
paragonabili a quelli che afferrano l’anima quando l’udito è investito da certi frastuoni, strepiti
o rimbombi. Ma a ben guardare esso ha più legami con la ragione che con la passione, perché
se è vero che molte sono le zone e le parti del corpo che offrono al vizio una via d’accesso per
cui arriva ad attaccarsi all’anima, per la virtù l’unica presa è data invece dalle orecchie dei
giovani, sempreché siano pure e tenute fin dall’inizio al riparo dai guasti dell’adulazione e dal
contagio di discorsi cattivi. Per questo Senocrate invitava ad applicare i paraorecchi ai ragazzi
più che ai lottatori, perché a questi ultimi i colpi sfigurano le orecchie, mentre ai primi i discorsi distorcono il carattere. Egli non intendeva, comunque che dovessero porsi in una sorta di
isolamento acustico o diventare sordi: consigliava solo di proteggerli dai discorsi cattivi prima
che altri buoni, come guardie allevate dalla filosofia a protezione del carattere, non ne avessero
saldamente occupato la postazione più precaria e maggiormente esposta alla voce della persuasione. L’antico Biante, quando Amasi gli chiese di inviargli la porzione di vittima sacrificale
che a suo giudizio fosse migliore e al tempo stesso peggiore, ne recise la lingua e gliela mandò,
intendendo dire che nella parola sono insiti i danni e i vantaggi più grandi. La maggior parte
delle persone, quando bacia teneramente i propri piccoli, ne prende le orecchie tra le mani e li
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invita a fare altrettanto, con scherzosa allusione al fatto che essi devono amare soprattutto chi
fa loro del bene attraverso le orecchie. È evidente che un giovane che fosse tenuto lontano da
qualunque occasione di ascolto e non assaporasse nessuna parola, non solo rimarrebbe completamente sterile e non potrebbe germogliare verso la virtù, ma rischierebbe anche di essere
traviato verso il vizio, facendo proliferare molte piante selvatiche dalla sua anima, quasi fosse
un terreno non smosso ed incolto ...
3.
Dal momento dunque che l’ascolto comporta per i giovani un grande profitto ma un non
minore pericolo, credo sia bene riflettere continuamente, con se stessi e con altri, su questo
tema. I più invece, a quanto ci è dato vedere, sbagliano, perché si esercitano nell’arte di dire
prima di essersi impratichiti in quella di ascoltare, e pensano che per pronunciare, un discorso
ci sia bisogno di studio e di esercizio, ma che dall’ascolto, invece, possa trarre profitto anche
chi vi s’accosta in modo improvvisato. Se è vero che chi gioca a palla impara contemporaneamente a lanciarla e riceverla, nell’uso della parola, invece, il saperla accogliere bene precede il
pronunciarla, allo stesso modo in cui concepimento e gravidanza vengono prima del parto. I
parti e i travagli «di vento» delle galline si dice diano origine a gusci imperfetti e privi di vita:
così realmente «di vento» è il discorso che esce da giovani incapaci di ascoltare e disabituati a
trarre profitto attraverso l’udito, e
oscuro ed ignoto, si disperde sotto le nubi.
Quando travasa qualcosa, la gente inclina e ruota i vasi perché l’operazione riesca bene e non
ci siano dispersioni, mentre, quando ascolta un filosofo, non impara ad offrire se stessa a chi
parla e a seguire attentamente, perché non le sfugga nessuna affermazione utile. E quel che è
più ridicolo è che se incontrano uno che racconta di un banchetto, di un corteo, di un sogno o
dell’alterco avuto con un altro, restano ad ascoltarlo in silenzio e insistono per saperne di più;
ma se uno li tira da parte e vuol dare loro un insegnamento utile, spronarli a qualche dovere,
redarguirli in caso di errore o addolcirli quando sono irritati non lo sopportano e se ne hanno
la possibilità si sforzano d’averla vinta e si mettono a controbattere le sue parole o, se proprio
non ce fanno, lo piantano in asso e vanno alla ricerca di altri insulsi discorsi, riempiendosi le
orecchie, quasi fossero vasi difettosi e incrinati, di qualunque cosa piuttosto che di ciò di cui
hanno bisogno. I bravi allevatori rendono sensibile al morso la bocca dei cavalli: così i bravi
educatori rendono sensibili alle parole le orecchie dei ragazzi insegnando loro non a parlare
molto, ma ad ascoltare molto. Nel tessere gli elogi di Epaminonda, Spintaro diceva che non
era facile incontrare uno che sapesse di più e parlasse di meno. E la natura, si dice, ha dato a
ciascuno di noi due orecchie ma una lingua sola, perché siamo tenuti ad ascoltare più che a
parlare.
4.
Il silenzio, dunque, è ornamento sicuro per un giovane in ogni circostanza, ma lo è. in modo
particolare quando, ascoltando un altro, evita di agitarsi o di abbaiare ad ogni sua affermazio-
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ne, e anche se il discorso non gli è troppo gradito, pazienta ed attende che chi sta disertando
sia arrivato alla conclusione; e non appena ha finito si guarda dall’investirlo subito di obiezioni, ma, come dice Eschine, lascia passare un po’ di tempo per consentire all’altro di apportare
eventuali integrazioni o di rettificare e sopprimere qualche passaggio. Chi si mette subito a
controbattere finisce per non ascoltare e non essere ascoltato, e interrompendo il discorso
di un altro rimedia una brutta figura. Se invece ha preso l’abitudine di ascoltare in modo
controllato e rispettoso, riesce a recepire e a far suo un discorso utile e sa discernere meglio
e smascherare l’inutilità o falsità di un altro, e per di più dà di sé l’immagine di una persona
che ama la verità e non le dispute, ed è aliena dall’essere avventata o polemica. Non è sbagliato
quello che dicono alcuni, e cioè che se si vuole versare qualcosa di buono nei giovani bisogna
prima sgonfiarli più di quanto non si faccia con l’aria contenuta negli otri, di ogni presunzione e albagia, perché altrimenti, pieni come sono di alterigia e di boria, non riuscirebbero ad
accogliere nulla.
5.
L’invidia poi, congiunta a malizia e livore, non va bene in nessun caso, e se la sua presenza
ostacola ogni retto comportamento, diventa pessima assistente e consigliera di chi ascolta,
perché gli rende fastidiose, sgradevoli e inaccettabili le osservazioni utili, dato che gli invidiosi
godono di qualunque altra cosa piuttosto che di quelle dette bene…
Ma se negli altri casi l’invidia nasce da certe disposizioni rozze e malvagie, quella rivolta contro chi parla muove da inopportuno esibizionismo e mala ambizione e non consente a chi si
trova in questo stato d’animo di concentrarsi su ciò che viene detto, ma ne disturba e distrae
la mente, che ora si mette ad osservare se le proprie capacita siano inferiori a quelle di chi sta
parlando e ora invece si sofferma a guardare se gli altri seguano compiaciuti ed ammirati, e si
sente urtata dagli assensi e si indispettisce con i presenti se mostrano di gradire chi parla. E
quanto ai discorsi, essa lascia cadere in oblio quelli già pronunciati, perché rammentarli è una
sofferenza, e si agita e trema al pensiero che quelli successivi possano essere ancora migliori;
non vede l’ora che chi sta tenendo un discorso bellissimo abbia terminato di parlare, e appena
l’ascolto è finito non ripensa a niente di quel che è stato detto, ma si mette a contare come
fossero voti, le esclamazioni e gli umori dei presenti, e fugge e schizza via come impazzita da
chi approva, correndo ad imbrancarsi con chi solleva critiche e distorce le argomentazioni
svolte; se poi non c’è niente da distorcere, tira fuori che altri hanno saputo sviluppare meglio
lo stesso tema e con maggior efficacia, fino a quando, a forza di svilire e infangare, non si sia
reso l’ascolto inutile e vano.
6.
Perciò, stipulata una tregua tra voglia di ascoltare e tentazioni esibizionistiche, dobbiamo disporci all’ascolto con animo disponibile e pacato, come fossimo invitati a un banchetto sacro
o alle cerimonie preliminari di un sacrificio, elogiando l’efficacia di chi parla nei passaggi riusciti e apprezzando perlomeno la buona volontà di chi espone in pubblico le proprie opinioni
e cerca di convincere gli altri ricorrendo agli stessi ragionamenti che hanno persuaso lui. …
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Senofonte dice che i bravi padroni di casa sanno trarre profitto dagli amici e dai nemici: così
le persone sveglie e attente sanno trarre beneficio da chi parla non solo quando ha successo
ma anche quando fallisce, perché, la pochezza concettuale, la vacuità espressiva, il portamento
volgare, la smania, non disgiunta da goffo compiacimento, di consenso e gli altri consimili
difetti ci appaiono con più evidenza negli altri quando ascoltiamo che in noi stessi quando
parliamo. Dobbiamo perciò trasferire il giudizio da chi parla a noi stessi, valutando se anche
noi non cadiamo inconsciamente in qualche errore del genere. Non c’è cosa al mondo più facile di criticare il prossimo, ma è atteggiamento inutile e vano se non ci porta a correggere o
prevenire analoghi errori. Di fronte a chi sbaglia non dobbiamo esitare a ripetere in continuazione a noi stessi il detto di Platone: «Sono forse anch’io così?». Come negli occhi di chi ci sta
vicino vediamo riflettersi i nostri, così dobbiamo ravvisare i nostri discorsi in quelli degli altri,
per evitare di disprezzarli con eccessiva durezza e per essere noi stessi più sorvegliati quando
arriva il nostro turno di parlare. A tal fine è utile anche ricorrere a un confronto se, una volta
finito l’ascolto e rimasti soli, prenderemo qualche passaggio che, a nostro giudizio sia stato
trattato in modo maldestro o inadeguato e proveremo a ridirlo noi, volgendoci a colmare una
deficienza qui, a correggerne una lì, a esporre lo stesso pensiero con parole diverse o tentando
di affrontare l’argomento in maniera radicalmente nuova. Così fece anche Platone con il discorso scritto da Lisia. Non è difficile muovere obiezioni al discorso pronunciato da altri, anzi
è quanto mai facile; ben più faticoso, invece, è contrapporne uno migliore. Alla notizia che Filippo aveva raso al suolo Olinto, lo spartano osservò: «Ma lui non riuscirebbe a riedificare una
città così grande!». Se dunque nel dissertare sullo stesso argomento ci sembrerà di non essere
molto superiori a chi ne ha trattato, deporremo gran parte del nostro disprezzo e ben presto,
smascherati da simili confronti, svaniranno in noi presunzione ed orgoglio.
7.
Antitetico all’atteggiamento denigratorio è quello facilmente incline all’ammirazione, che denota indubbiamente una natura più cordiale e pacata, ma esige anch’esso non poca accortezza,
o addirittura ne richiede una maggiore, perché se i denigratori e gli arroganti ricavano da chi
parla un profitto minore, gli entusiasti e gli ingenui ne ricevono danni maggiori e non smentiscono il detto eracliteo:
«Lo stupido suole stupirsi a ogni parola».
Bisogna essere generosi nell’elogiare chi parla ma cauti nel prestare fede alle sue parole; si deve
essere spettatori bendisposti e non prevenuti dello stile e della dizione di chi dibatte, ma critici
attenti e severi dell’utilità e veridicità di ciò che dice, per non attirarci l’odio suo e al tempo
stesso evitare che le sue parole possano danneggiarci, dato che, senza nemmeno accorgercene,
siamo portati ad accogliere in noi molti ragionamenti falsi e cattivi per simpatia o fiducia verso
chi parla. … Gran parte degli errori commessi da chi canta con l’accompagnamento dell’aulo
sfugge a chi ascolta: così uno stile ridonante e pomposo abbacina l’ascoltatore e gli impedisce
di intravedere i concetti. Si narra che Melanzio, sentendosi chiedere un parere su una tragedia
di Diogene, rispondesse che non gli era riuscito di vederla perché eclissata dalle parole…
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8.
Perciò bisogna eliminare dallo stile ogni eccesso e vacuità, mirando esclusivamente al frutto e
prendendo a modello le api e non le tessitrici di ghirlande, perché queste, preoccupandosi solo
delle fronde fiorite e profumate, intrecciano e intessono una composizione soave ma effimera
e infruttuosa, mentre le api, pur volando in continuazione su prati di viole, di rose e di giacinti,
vanno a posarsi sul timo, la più acre e pungente delle piante, e vi si fermano
al biondo miele pensando,
poi attinto qualcosa di utile volano via all’opera loro. Così l’ascoltatore fine e puro deve lasciar
perdere le parole fiorite e delicate e pensare che gli argomenti teatrali e spettacolari sono solo
«pastura di fuchi» sofisticheggianti, ed immergersi invece con la concentrazione fino a cogliere il senso profondo del discorso e la reale disposizione, d’animo di chi parla, per trarne ciò
che è utile e giovevole, rammentando a se stesso che non è andato a teatro o in un odeo, ma in
una scuola e in un’aula per raddrizzare la propria vita con la parola. Ne consegue la necessità
di esaminare e giudicare l’ascolto partendo da se stesso e dal proprio stato d’animo, valutando
se qualche passione sia divenuta più debole, qualche fastidio più leggero, se si siano rinsaldati
in lui determinazione e volontà, se senta in cuor suo entusiasmo per la virtù e per il bene. …
9.
…
10.
A questi precetti segue quello relativo ai quesiti. Quando si è invitati a cena si deve mangiare
quello che viene imbandito e non chiedere dell’altro o mettersi a criticare: così chi è andato al
banchetto delle parole, se il tema è stabilito, ascolti in silenzio chi parla, perché portandolo a
deviare su altri argomenti, interrompendone l’esposizione con continue domande e sollevando sempre nuove difficoltà non risulta né piacevole né garbato come ascoltatore e ottiene di
non ricavare personalmente alcun profitto e di confondere insieme chi parla e quello che dice;
se invece è chi parla a sollecitare l’uditorio a porre domande e quesiti, si dovrebbe sempre dare
a vedere di sollevarne di utili e di necessari. Odisseo è deriso dai pretendenti domandando
tozzi di pane, e non spade o lebeti, perché per loro è segno di grandezza d’animo non solo
fare grandi doni, ma anche richiederli. Ancor più, però, si riderebbe di un ascoltatore che
sollecitasse chi disserta su questioni piccole e cavillose, come solitamente fanno certi giovani
che ricorrendo ad estreme sottigliezze e palesando la propria attitudine per la dialettica o la
matematica pongono quesiti sulla divisione delle proposizioni indefinite e su quale sia il movimento secondo il lato o secondo la diagonale...
11.
Quando si formula una domanda bisogna assolutamente rapportarsi all’esperienza e all’attitudine di chi parla, ponendogli quesiti su di argomenti in cui è più forte di se stesso e evitando
di mettere in difficoltà chi è esperto soprattutto di filosofia morale sottoponendogli complicati
problemi di fisica o di matematica, e di trascinare al contrario chi vanta conoscenze in campo
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scientifico a emettere giudizi sulle proposizioni connesse o a risolvere i sofismi «mentitori».
Chi tentasse di spaccare la legna con una chiave o di aprire la porta con una scure non darebbe
l’impressione di screditare quegli strumenti ma piuttosto di rinunciare alla loro propria utilità
e funzione: così chi avanza richieste su temi sui quali chi parla non ha attitudine o non si è
esercitato, si pone da solo nell’impossibilità di cogliere e ricevere il frutto che l’altro ha ed è
disposto ad offrire, e oltre a danneggiare se stesso ottiene anche di essere tacciato di malizia e
livore.
12.
Ci si deve inoltre guardare dal porre troppe domande e dall’intervenire in continuazione,
perché anche questo atteggiamento denota, in certo qual modo, una volontà esibizionistica.
Ascoltare con calma gli interventi di un altro è indizio invece di persona desiderosa di apprendere e rispettosa del prossimo, a meno che uno non senta dentro qualcosa che lo turba
e non l’opprima una passione che dev’essere bloccata o un tormento che deve essere lenito.
Dice Eraclito che la propria ignoranza è meglio celarla, ma forse è meglio, invece, palesarla
e curarla. Se accessi d’ira, attacchi di superstizione, forti contrasti con i familiari o una folle
passione d’amore
che tocca della mente le corde da non toccare,
ci sconvolgono la mente, non bisogna rifugiarsi dove si parla d’altro per non esporci a critiche,
…
13.
Anche il tributare elogi è compito che richiede cautela e senso della misura, perché difetto ed
eccesso non si addicono a un uomo libero. Pesante e rozzo è l’ascoltatore che rimane freddo
e impassibile di fronte a qualunque riflessione, e pieno di una presunzione incancrenita e di
un’autoconsiderazione profondamente radicata, convinto com’è di saper esprimere qualcosa di
meglio di quel che sente dire, non batte ciglio, come invece educazione vorrebbe, e non emette
sillaba a testimonianza del fatto che sta seguendo volentieri e con interesse, ma se ne resta
in silenzio e ostentando una gravità affettata e di maniera cerca di cattivarsi la reputazione
di persona di solide e profonde convinzioni, dando a vedere di valutare gli elogi alla stregua
del denaro e di pensare che nella proporzione in cui se ne elargiscono agli altri si finisce per
privarne se stessi. …
Opposto d’altro canto è l’atteggiamento di chi, senza il minimo discernimento, ad ogni parola
e ad ogni sillaba si sofferma e grida: leggero come un uccello, costui riesce spesso sgradito
anche a chi dibatte e fastidioso sempre per gli altri che ascoltano, perché contro voglia li eccita
e ti spinge ad imitarlo, quasi che un senso di pudore li trascinasse a forza a fargli da eco. Così,
senza aver tratto alcun profitto per aver reso l’ascolto pieno di confusione e di trambusto con
i suoi elogi, se ne va portandosi appresso uno di questi tre titoli: ipocrita, adulatore o incompetente, perché questa è l’impressione che ha dato di sé. Chi è chiamato a far da giudice in un
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processo non deve ascoltare con malanimo o parzialità, ma secondo coscienza, guardando alla
giustizia; quando invece si ascolta una discussione filosofica non ci sono leggi o giuramenti
che ci impediscano di accogliere con simpatia chi disserta. Anzi, gli antichi collocarono Ermes
vicino alle Grazie, volendo significare che un discorso richiede soprattutto grazia e gentilezza.
Non è possibile che chi parla sia in assoluto talmente inetto ed impreciso da non offrire niente
che possa essere apprezzato: una riflessione sua, una citazione altrui, l’argomento stesso e lo
scopo del discorso, e almeno lo stile o la disposizione della materia,
come tra le ginestre e l’ononide irta di spine spuntano i bucaneve dai delicati fiori.
C’è chi riesce persuasivo anche tessendo panegirici del vomito, della febbre e, per Zeus!, perfino della pentola: e come potrebbe allora non dare assolutamente un po’ di respiro e non fornire un’occasione di elogio, ad ascoltatori benevoli e garbati, il discorso pronunciato da chi in un
modo o nell’altro gode fama o nome di filosofo? I giovani in fiore, come dice Platone, eccitano
sempre, in un modo o nell’altro, le nature sensuali: se sono di carnagione chiara, li chiamano «figli degli Dei», se sono bruni «virili»; a un naso aquilino danno l’eufemistico nome di
«regale», a uno camuso di «grazioso»; un colorito giallastro diventa per loro del «colore del
miele», e così tutti li baciano e li amano perché l’amore, come l’edera, è abile ad avvincersi con
qualsiasi scusa. A maggior ragione, dunque, chi si diletta di ascoltare e ama i discorsi seri saprà sempre trovare; qualche elemento in base al quale apparirà elogiare motivatamente ogni
singolo oratore. Platone, ad esempio, pur disapprovando l’invenzione nell’orazione di Lisia e
criticandone la disposizione, ne elogia comunque lo stile e afferma che in lui «ogni parola è
chiara e rotondamente tornita». Si potrebbero biasimare i temi di Archiloco, la versificazione
di Parmenide, la semplicità di Focilide, la verbosità di Euripide, la discontinuità di Sofocle,
così come senza dubbio tra gli oratori c’è chi non sa ritrarre i caratteri, chi è fiacco nel destare
emozioni, chi è privo di grazia: ciò nonostante ciascuno di loro viene elogiato per la peculiarità delle doti naturali che gli consentono di far presa e trascinare. Anche all’ascoltatore, quindi,
è data facile ed ampia possibilità di mostrarsi cordiale con chi parla: ad alcuni basta, anche se
non aggiungiamo la testimonianza della voce, offrire uno sguardo mite, un volto pacato, una
disposizione benevola e non annoiata.
Per concludere, ecco alcune norme di comportamento, per così dire generali e comuni, da
seguire sempre in ogni ascolto, anche in presenza di un’esposizione completamente fallita:
stare seduti a busto eretto, senza pose rilassate o scomposte; lo sguardo dev’essere fisso su chi
sta parlando, con un atteggiamento di viva attenzione; l’espressione del volto dev’essere neutra
e non lasciar trasparire non solo arroganza o insofferenza ma persino altri pensieri e occupazioni. In ogni opera d’arte, si sa la bellezza deriva, per così dire, da molteplici fattori che per
una consonanza misurata e armonica pervengono a una proporzionata unita, mentre basta
una semplice mancanza o un’aggiunta fuori posto per dare subito vita alla bruttezza: analogamente, quando si ascolta, non solo sono sconvenienti l’arroganza di una fronte corrugata, la
noia dipinta sul viso, lo sguardo che vaga qua e là, la posizione scomposta del corpo e le gambe
accavallate, ma sono da censurare, e richiedono molta circospezione, persino un cenno o un
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bisbiglio con un altro, un sorriso, gli sbadigli sonnacchiosi, lo sguardo fisso a terra e qualunque altro atteggiamento del genere.
14.
Altri pensano che chi parla abbia dei doveri da assolvere e chi ascolta, invece, nessuno; pretendono che quello si presenti dopo aver meditato ed essersi preparato con cura, mentre loro
invadono la sala liberi da ogni pensiero e riflessone. Eppure se persino n bravo convitato ha
dei doveri da assolvere, molti di più ne ha chi ascolta, perché è coinvolto nel discorso ed è chiamato a cooperare con chi parla, e non è giusto che stia ad esaminarne con severità le stonature
e a vagliarne criticamente ogni parola e ogni gesto, mentre lui, senza doverne rispondere, si
abbandona per tutta la durata dell’ascolto a un contegno scomposto e variamente scorretto.
Quando si gioca a palla le mosse di chi riceve devono essere in sintonia con quelle di chi lancia: così in un discorso c’è sintonia tra chi parla e chi ascolta se entrambi sono attenti ai loro
doveri.
15.
Nel manifestare il proprio assenso, bisogna guardarsi dall’usare le prime parole che vengono
in mente. Quando Epicuro, ad esempio, riferendosi alle le lettere di alcuni amici, dice che ne
sente scaturire un fragore di applausi, ci riesce stucchevole: così chi ai nostri giorni introduce
nelle sale dove parlano i filosofi epiteti stravaganti come «divino!», «ispirato!», «inarrivabile!»,
quasi non bastassero più i «bene!» «bravo!», «giusto!», con cui abitualmente manifestavano la
propria approvazione i discepoli di Platone, di Isocrate o di Iperide, tiene un comportamento
oltremodo sconveniente e finisce per gettare cattiva luce su chi parla, suggerendo l’impressione che questa richiesta di elogi superbi e straordinari nasca da lui. Davvero fastidioso poi è chi
ricorre al giuramento, come, fosse in tribunale, per testimoniare la propria approvazione nei
confronti di chi parla, e non meno lo sono quelli che sbagliano la mira nel riferirsi alle qualità
della persona…
16.
Moniti e rimproveri, a loro volta, non si devono ascoltare con indifferenza o viltà. Chi resta
calmo e impassibile nel sentirsi redarguire da un filosofo, al punto che sorride e riserva parole
d’elogio a chi lo biasima, si comporta come i parassiti che di fronte agli insulti di chi li mantiene, nella totale sfacciataggine e sfrontatezza che li caratterizza, danno con la loro impudenza
un saggio di virilità non bello né schietto. Accettare senza irritazione e con un sorriso una
battuta priva di insolenza, pronunciata per scherzo e con arguzia, non è un comportamento
ignobile o grossolano, ma al contrario liberale e conforme al costume laconico. Ascoltare invece una rampogna e un monito rivolti a raddrizzare il carattere, che ricorrono a una parola di
biasimo come a un medicamento che brucia, senza farsi piccolo piccolo, imperlarsi di sudore
sentirsi girare la testa e avvampare di vergogna nell’anima, ma restando indifferente e con un
ghigno beffardo e ironico dipinto sul volto, è proprio di un giovane profondamente abbietto
e insensibile ad ogni forma di pudore per inveterata abitudine agli errori, la cui anima, quasi
fosse una carne dura e callosa, non riceve lividi.
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Così si comportano dunque i giovani di questo tipo. Quelli di indole opposta, invece, anche se
sono ripresi una sola volta, scappano via senza volgersi indietro e fuggono lontano dalla filosofia: così, pur avendo ricevuto dalla natura il senso del pudore come bel principio di salvezza,
lo gettano via per la loro delicatezza e mollezza, non riuscendo a mantenersi saldi davanti
ai rimproveri e ad accettare gli emendamenti con la giusta forza d’animo, ... Se al termine di
un’operazione uno fugge via dal medico e non vuole che gli bendi la ferita, accetta il dolore
dell’intervento ma non attende l’effetto benefico della cura: così chi non offre alla parola, che
ha inciso e ferito la sua stoltezza, la possibilità di cicatrizzare e rimarginare, si allontana dalla
filosofia morso e sofferente, ma privo di qualunque reale beneficio. Perché non solo la piaga
di Telefo
è guarita dalla minuta limatura della lancia, …
In realtà, persino nel caso in cui la critica gli sembri immeritata, è bene che non si freni e resti,
mentre l’altro parla, in paziente attesa: poi, quando ha finito, deve andare da lui per esporre
le proprie argomentazioni e pregarlo di riservare quella franchezza e quel tono appena usati
contro di lui per qualche sua reale mancanza.
17.
Quando s’incomincia a leggere e a scrivere, a suonare la lira o a frequentare una palestra, le
prime lezioni comportano notevole confusione, fatica e oscurità, ma poi, mano a mano che si
va avanti, si instaurano a poco a poco, come avviene nei rapporti interpersonali, una grande
familiarità e conoscenza, che rendono ogni cosa gradita, agevole e facile da dire e da fare. Così
capita anche con la filosofia: i primi approcci con il suo linguaggio e le sue tematiche danno la
sensazione di inoltrarsi su un terreno scivoloso e inconsueto, ma non per questo si deve subito
sentirsene intimoriti e rinunciare, intimiditi e scoraggiati; bisogna, al contrario, affrontare i
vari ostacoli e con perseveranza e desiderio di procedere oltre, attendere che insorga quella
familiarità che rende dolce ogni cosa bella. E questa, in realtà, non tarderà molto a prodursi e
a riversare sui nostri studi una luce grande, ingenerando un ardente amore per la virtù. Davvero miserabile e vile è chi accettasse di trascorrere il resto della propria esistenza senza questo
amore, dopo aver disertato la filosofia per pusillanimità.
I temi trattati dalla filosofia possono forse presentare all’inizio qualche aspetto di difficile intelligibilità per gli inesperti e per i giovani, ma ciò non toglie che la responsabilità di ciò che in
massima parte appare oscuro e incomprensibile ricada proprio su di loro, dato che, indipendentemente dall’avere temperamenti opposti, essi finiscono per commettere lo stesso errore.
Gli uni, infatti, per pudore e ritegno, esitano a porre domande a chi parla e ad assicurarsi del
senso reale delle sue parole, e fanno cenni d’assenso, dando ad intendere, di averle assimilate
bene; gli altri, al contrario, spinti da inopportuna ambizione e vano spirito di competizione
verso i compagni, cercano di dimostrare la propria acutezza e capacità di apprendimento, e
dichiarando di aver capito prima di avere compreso finiscono per non comprendere un bel
niente. Poi, a chi si vergognava e se n’era stato in silenzio, capita che una volta lasciata l’aula se
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la prende con se stesso e non sa che fare, e alla fine, costretto dalla necessità, torna sui suoi passi e con accentuato senso di vergogna tormenta chi ha parlato con una domanda dopo l’altra
e non lo molla più, mentre gli ambiziosi e presuntuosi continuano a nascondere e dissimulare
l’ignoranza che alberga dentro di loro.
18.
Lasciamo perdere dunque simili forme di stupidità o millanteria e pur di apprendere e assimilare le riflessioni utili accettiamo anche le risatine di chi vuol dare a vedere di essere intellettualmente dotato, come fecero Cleante e Senocrate, che in apparenza erano più lenti dei compagni, ma in realtà non demordevano dall’apprendere e non si smarrivano d’animo, ed erano
anzi i primi a prendersi in giro, paragonandosi a vasi dall’imboccatura stretta o a tavolette di
bronzo, alludendo al fatto che facevano fatica ad accogliere le parole, ma poi le conservavano
in modo saldo e sicuro. Perché non solo, come dice Focilide,
spesso deve subire delusioni chi aspira alla virtù,
ma spesso deve accettare anche di essere; deriso e schernito, e sopportare canzonature e volgarità pur di eliminare con tutto se stesso la propria ignoranza ed abbatterla.
Non bisogna trascurare, d’altra parte, nemmeno l’errore contrario, che taluni commettono per
indolenza, col risultato di rendersi sgradevoli e fastidiosi: quando sono per conto loro non vogliono scomodarsi, ma poi disturbano chi parla sottoponendogli in continuazione domande
sugli stessi argomenti, come uccellini implumi che stanno sempre a bocca aperta verso l’altrui
bocca e vogliono ricevere da altri ogni cosa ormai pronta e predigerita. C’è poi chi aspira a
guadagnarsi la fama di persona attenta e acuta dove non è il caso, e sfinisce chi parla a forza
di chiacchiere e di curiosità, sollevando in continuazione quesiti non necessari o chiedendo
spiegazioni su argomenti che non ne hanno alcun bisogno:
così strada corta diventa lunga,
come dice Sofocle, e non solo per loro, ma anche per gli altri. Interrompendo in continuazione
il maestro con domande vane e superflue, come in un viaggio in compagnia, non fanno che
intralciare l’andamento regolare dell’apprendimento, che subisce fermate e ritardi. Questi tali
somigliano, secondo Ieronimo, a quei cagnolini vili e insistenti, che in casa mordono le pelli
delle fiere e ne strappano il vello, mentre se queste fossero vive si guaderebbero bene dal toccarle. Dobbiamo esortare i pigri di cui parlavamo a mettere insieme il resto da soli, una volta
che l’intelligenza abbia fatto loro comprendere i punti essenziali, tenendo a mente quanto hanno ascoltato perché sia loro da guida nel proseguimento della ricerca e accogliendo la parola
altrui come principio e seme da sviluppare ed accrescere. La mente non ha bisogno, come un
vaso, di essere riempita, ma piuttosto, come legna, di una scintilla che l’accenda e vi infonda
l’impulso della ricerca e un amore ardente per la verità. Come uno che andasse a chiedere
del fuoco ai vicini, ma poi vi trovasse una fiamma grande e luminosa e restasse là a scaldarsi
fino alla fine, così chi si reca da un altro per prendere la sua parola ma non pensa di dovervi
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accendere la propria luce e la propria mente, e siede incantato a godere di ciò che ascolta, trae
dalle parole solo un riflesso esterno, come un volto che s’arrossa e s’illumina al riverbero della
fiamma, senza riuscire a far evaporare e scacciare dall’anima, grazie alla filosofia, quanto vi è
dentro di fradicio e di buio.
Se è necessario qualche altro consiglio per imparare ad ascoltare, bisogna tenere a mente
quanto ora si è detto, ma di pari passo con l’apprendimento esercitarsi nella ricerca personale,
per acquisire un abito mentale non da sofisti o da puri eruditi, ma al contrario profondamente
radicato e filosofico, considerando che il saper ascoltare bene è il punto di partenza per vivere
secondo il bene.
… e suggestioni … “L’ascolto non è né ubbidienza né osservanza, non rientra in una professione né in una confessione. L’ascolto non è la ricezione, bensì ha a che fare con il racconto. La via dell’ascolto è
la via della gioia; dall’ascolto discendono la soddisfazione, la riuscita, la gioia, il piacere…”22
“Se mi chiedessero di scrivere una lettera a una bambina che sta per nascere, la farei così.23
Cos’hai sentito finora del mondo attraverso l’acqua e la pelle tesa della pancia della mamma?
Cosa ti hanno detto le tue orecchie imperfette delle nostre paure? Riusciremo a volerti senza
pretendere, a guardarti senza riempire il tuo spazio di parole, inviti, divieti? Riusciremo ad
accorgerci di te anche dai tuoi silenzi, a rispettare la tua crescita senza gravarla di sensi di cola
e di affanni? Riusciremo a stringerti senza che il nostro contatto sia richiesta spasmodica o
ricatto di affetto?” … “mi piacerebbe che qualcuno ti insegnasse a inseguire le emozioni come
gli aquiloni fanno con le brezze più impreviste e spudorate…”.
“I padri ai figli, le mogli ai mariti, i conferenzieri agli ascoltatori, gli esperti ai profani, i colleghi ai colleghi, i medici ai pazienti, l’uomo alla propria anima, tutti spiegavano. Le radici
di questo, le cause di quest’altro, l’origine di determinati eventi, la struttura, i motivi per cui.
Nella maggior parte dei casi, entravano da un orecchio e uscivano dall’altro. L’anima voleva
quel che voleva. Aveva la prima naturale coscienza. Se ne stava infelicemente seduta povera
creatura, in cima a sovrastrutture di spiegazioni e non sapeva da che parte girarsi, dove dirigersi.” Saul Bellow24
In un’intervista del 1991, il filosofo Remo Bodei esprime concetti assai chiari sul tema25:
«Proust ha detto una cosa bellissima quando sosteneva che noi in un certo modo sottoviviamo invece di sopravvivere o sottoutilizziamo i nostri sensi. Bodei sostiene che: … tre sensi
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sono stati abbandonati dalla filosofia perché l’olfatto, il tatto e il gusto non sono facilmente
comunicabili. La vista e l’udito sono sensi pubblici … Nella filosofia greca c’è un personaggio
come Plotino che ha notato che i sensi sono come la memoria, più si esercitano, più funzionano. Quindi ha dato dei sensi una concezione attiva. I sensi sono ciò che è un’attività. Non
vediamo semplicemente perché riceviamo dall’esterno delle immagini già fatte: noi ritagliamo
nella nostra percezione … Quindi i nostri sensi non sono passivi, anche perché noi dobbiamo
apprendere a usarli … Quindi noi abbiamo modi per non sottovivere e per utilizzare meglio
i nostri sensi e, se vogliamo, anche essere più contenti, perché ogni volta che scopriamo qualcosa di nuovo vinciamo la noia e perlomeno siamo vivi … Ogni nostro percepire, quindi vedere, sentire, gustare, ogni nostro pensare è sempre accompagnato da quello che in musica si
chiama un basso continuo, un accompagnamento che è un tono affettivo e anche quando noi
pensiamo di essere spassionati, indifferenti, in realtà noi abbiamo una passione …».
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Rifugio d’uccelli notturni 26
In alto c’è un pino distorto;
sta intento ed ascolta l’abisso
col fusto piegato a balestra.
Rifugio d’uccelli notturni,
nell’ora più alta risuona
d’un battere d’ali veloce.
Ha pure un suo nido il mio cuore
Sospeso nel buio, una voce;
sta pure in ascolto, la notte.
Ascolta 27
“Se un temporale ti ha fermato sulla strada
in qualche posto in cui nessuno passa mai,
se un improvviso arcobaleno ti fa quasi pensare che quella è la firma di Dio,
ascolta il vento asciugare l’erba, senti cantare il sole.
Ascolta i vecchi che hanno voglia di ballare
e sopra un ponte le bugie di un pescatore
e le domande di un bambino appena nato che crede a qualunque risposta gli dai
Ascolta l’uomo e le sue distanze,
la fame e le speranze.
Nel primo traffico dell’aurora senti nell’aria la primavera,
ascolta, guarda respira.
Senti la gente svegliarsi piano,
fare l’amore anche con nessuno,
ascolta quello che siamo, quanto odiamo, quanto amiamo.
Quando lo stadio spegne i fari e va a dormire
ascolta i sogni che la gente porta via,
se la ragazza fra la pioggia e il marciapiede
t’insegna la sola canzone che sa,
ascolta l’acqua e la sua memoria, l’uomo e la sua miseria.
Ascolta quello che hai dentro al petto
e che non hai mai detto!
Prima di metter le mani addosso
a chi ti ha solo capito male,
ascolta dentro te stesso.
Senti pregare chi non ci crede
e le poesie di un carabiniere,
ascolta, fatti stupire, cambiare, guarire.
Ascolta quello che hai dentro al petto
e che non hai mai detto.”
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L’arte in ascolto … “… l’uomo che urla solitario sul ponte … diventa preda del suo stesso sentimento … si perde insieme
alla sua voce inascoltata …” (Edvard Munch, L’urlo, 1885)
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Note
1 L’educazione, Edizione Biblioteca dell’immagine, Pordenone 1994
2 “Capacità di concentrarsi completamente su ciò che il cliente dice e non dice, capire il significato
dei desideri del cliente e favorire l’espressione del sè del cliente.” Corporate CoachU Italia
3 “Il rumore non può imporsi sul rumore. Il silenzio sì.” M. Gandhi
4 “shift” o cambiamento: quando il coachee individua la soluzione al problema, soluzione che
prima non riusciva a vedere.
5 “Ascoltare: trattenersi volontariamente e attentamente a udire, prestare la propria attenzione o
partecipazione a qualcuno o qualcosa in quanto informazione o motivo di riflessione” Devoto-Oli
6 “Il valore dell’empatia... non significa curare (corsivo nostro: il coaching non cura, non è una
terapia) con l’amore e un atteggiamento compassionevole, ma utilizzarla per entrare in risonanza”
M. Ammaniti
“Capacità di immedesimarsi in un’altra persona fino a coglierne i pensieri e gli stati d’animo” U.
Galimberti: Dizionario di Psicologia, UTET 1992-1994
7 “Imparare ad ascoltare” Madelyn Burley-Allen, F.Angeli 1996; pagg 77-82;88
8 “Imparare ad ascoltare” Madelyn Burley-Allen, F.Angeli 1996; pagg 83-88
9, 10 Jill Geisler - “Ten lousy listeners and what we can learn from them” (articolo online 20042011)
11 “L’ascolto attivo” Ilaria Gheri, Psicolab.net - Magazine online 2008
12, 14 “I.E.5 - L’intelligenza emozionale per l’efficacia relazionale” Manuale pratico di autoformazione - ARU sa
13 “Le emozioni dei bambini” Isabelle Filliozat, Piemme Bestseller - 2007 - pagg 265-267
15 “Arte di ascoltare e mondi possibili”, Marianella Sclavi - Le Vespe 2000
16, 17 Manuale Corporate CoachU International e Corporate CoachU Italia
18 “Giardinieri principesse porcospini” Consuelo Casula - pagg 214-215
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19 Animazione Sociale n 8/9 Agosto 1993 - Giorgio Sordelli
20 Tratto da “Mille e una notte”
21 Da Plutarco, L’educazione, Ed. Biblioteca dell’immagine, 1994 - pagg 161-187
22 L’ascolto - Spirali - collana La cifrematica
23 “Non siamo capaci di ascoltarli” Paolo Crepet - pagg 3-4
24 “Passione e apprendimento” Ugo Morelli e Carla Weber
25 Animazione Sociale n 8/9 - Agosto 1993, Giorgio Sordelli
26 “Acque e terre”, poesia di Salvatore Quasimodo
27 Canzone dei Pooh, 2004
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Bibliografia
Manuale Corporate Coaching Program - Coach U International e Coach U Italia
“Le competenze chiave del coaching”- http://www.icf-italia.org
Luisa Adani, Marina Fabiano – “Diventare Coach” - Franco Angeli Edizioni – 2009
Cristiano Cassani - “Coaching” – Guerini e Associati – 1999
Consuelo C. Casula – “Giardinieri principesse porcospini” – Franco Angeli - 2002
Stephen R. Covey – “Le sette regole per avere successo” - Franco Angeli - 2005
Paolo Crepet - “Non siamo capaci di ascoltarli” – Einaudi – 2001
Isabelle Filliozat “Le emozioni dei bambini” Piemme Bestseller – 2007
Jill Geisler – “Ten lousy listeners and what we can learn from them.” http://www.poynter.org/column.asp?id=34&aid=70931
Ilaria Gheri – “L’ascolto attivo” - Psicolab.net - Magazine Online – 2008
Daniel Goleman - “Lavorare con l’Intelligenza emotiva” – Rizzoli - 1998
Francesco Iodice - “L’importanza dell’ascolto attivo” – (articolo online)
Madelyn Burley-Allen - “Imparare ad ascoltare” - Franco Angeli - 1996
Ugo Morelli, Carla Weber “Passione e apprendimento” – Raffaello Cortina Editore – 1996
Gilles Panteix, Daniel Dupont - ARU sa – “I.e.5 – L’intelligenza emozionale per l’efficacia relazionale” Manuale
pratico di auto formazione
W. Passerini, A. Tomatis - “Il management dell’ascolto” – Franco Angeli - 1992
Plutarco - “L’educazione” - Ed. Biblioteca dell’Immagine – Pordenone – 1994
Monica Salvadori - “Linee guida per il coaching professionale nel XXI secolo” – (articolo HumanTrainer.com)
Marianella Sclavi - “Arte di ascoltare e mondi possibili” - Bruno Mondadori – 2003
Giorgio Sordelli – “Animazione Sociale” n.8/9 - Agosto 1993
Spirali - “L’ascolto” - collana La cifrematica – 2010
John Whitmore – “Coaching” – Sperling & Kupfer Editori - 2006
Wikipedia
46
Autori
Carole Consigliere
La passione dell’essere umano mi ha portato a laurearmi in psicologia e ad intraprendere
un percorso professionale nel quale la realizzazione e il benessere personale fosse l’elemento centrale del mio operare.
Ho maturato diversi anni di esperienza nel settore risorse umane, in ambito privato e sociale, che mi hanno permesso di apprezzare e lavorare sullo sviluppo dell’essere umano,
accompagnandolo alla scoperta delle proprie potenzialità.
Sono certificata presso la Coaching Training School di Corporate Coach U Italia; attualmente sono in attesa di iscrizione presso la International Coach Federation.
Nell’attività di coaching mi concentro nell’ascolto profondo come strumento per entrare in
empatia con il cliente e permettergli di lavorare sulle tematiche che porta in sessione (es.
gestione stress, leadership)
Barbara Senerchia
Laureata in psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni, Coach iscritta ICF ITALIA in fase
di accreditamento ACC, iscritta all’Albo degli Psicologi della Regione Emilia Romagna.
Ha maturato esperienza nell’ambito della gestione Risorse Umane sia all’interno di Società
di consulenza sia in azienda. Ha ricoperto ruoli di responsabilità e coordinamento di team
di lavoro. Training Manager e HR specialist all’interno di un gruppo bancario. Si è occupata di: selezione per le PMI; progettazione di percorsi formativi, docenza sulle tematiche
relazionali; orientamento attraverso percorsi di supporto allo sviluppo professionale e colloqui individuali; outplacement; percorsi rivolti a lavoratori in CIG, CIGS e mobilità. Ha
approfondito in particolare, le tematiche di motivazione, intelligenza emotiva, comunicazione efficace, passaggio generazionale. Ha realizzato Assessment Center per la valutazione
del potenziale; colloqui motivazionali; percorsi di supporto all’imprenditorialità femminile; formazione formatori. Project leader di progetti europei, ha maturata esperienza di
interfaccia con referenti istituzionali quali Province, Regione, Associazioni di categoria e
Università. Relatore presso convegni sull’imprenditorialità femminile, sull’orientamento e
sulla formazione nelle imprese.
Giovanni Bogo
Si è laureato a Torino in Scienze Politiche con una tesi sull’integrazione europea e ha frequentato il Master per l’avvio alla carriera diplomatica. Ha maturato una lunga esperienza
nell’ambito delle Risorse Umane, occupando nel tempo posizioni di crescente responsabilità.
Si è formato all’attività di coach con il master “Corporate Coach” (Scuola CoachUItalia, Milano, accreditata International Federation of Coaching – ICF_). Ha integrato le sue
compenze con il Pratictioner in PNL, sta approfondendo le competenze per conseguire il
Master Pratictioner in PNL.
Attualmente svolge attività di consulenza aziendale, coaching e formazione manageriale,
con particolare riguardo all’area della comunicazione, negoziazione e conflitto, relazioni
industriali, sistemi di sviluppo e formazione formatori. E’ Professore a contratto e docente
di Relazioni Industriali e Negoziazione Sindacale alla Scuola di Amministrazione Aziendale (Università di Torino) nei Master: MBA, MISIA e General Management I e II. E’ stato
docente al Master MIPA dell’Università di Genova sui temi della negoziazione sindacale.
Collabora con alcune società di formazione come consulente e docente free lance sui temi
indicati.
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Grafica: Luca Gentile
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