L`etica dei funzionari pubblici - Dipartimento di Scienze Politiche
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L`etica dei funzionari pubblici - Dipartimento di Scienze Politiche
1 L’etica dei funzionari pubblici di Francesco Merloni 1. Perché una ricerca sull’etica pubblica In questo volume sono pubblicati saggi che presentano una parte dei risultati di una ricerca PRIN dedicata all’etica pubblica1 La ricerca ha avuto per oggetto l’etica pubblica nella sua dimensione giuridica, non filosofica. Il nostro problema non è quello di giustificare, di dare una base morale al potere (utilitarismo, teoria della giustizia, etiche religiose, ecc.)2, ma di verificare e valutare la qualità della disciplina giuridica nella materia. La ricerca è, complessivamente, partita da tre assunti: a) negli ordinamenti giuridici contemporanei, compreso quello italiano, anche presenza di rilevanti fenomeni di privatizzazione sostanziale, l’area delle decisioni pubbliche (di regolazione o di prestazione) non si riduce o mantiene in ogni caso un peso assai rilevante; b) tutti i titolari di poteri pubblici, abbiano essi compiti di indirizzo politico, di gestione, di interpretazione e applicazione di norme giuridiche, operano nel perseguimento di un interesse generale, che si confronta con, ma in definitiva trascende, gli interessi particolari sui quali la decisione pubblica incide; c) nel nostro ordinamento, a partire dalle norme costituzionali sulla imparzialità, è doveroso assicurare il più diffuso rispetto di regole volte ad 1 “Etica pubblica e interessi. Regole, controlli, responsabilità” (coordinatore nazionale: Francesco Merloni). Le unità di ricerca erano quelle di Bologna (due unità), Perugia, Pescara, Torino. 2 Costituiscono una buona sintesi degli approcci filosofici: V MARZOCCHI, Per un’etica pubblica. Giustificare la democrazia, Napoli, 2000; C.A. VIANO, Etica pubblica, Bari, 2002. 2 indurre nei titolari di poteri pubblici comportamenti “virtuosi”, cioè decisioni volte alla cura dell’interesse generale. In questa prospettiva l’etica pubblica equivale al complesso delle regole che garantiscono il risultato di scelte pubbliche, non in sé “giuste”, ma “imparziali”, non impropriamente condizionate da interessi particolari. L’etica pubblica tende così a coincidere con l’imparzialità delle decisioni delle istituzioni pubbliche. Imparzialità come risultato, come carattere della decisione pubblica. Per questo approccio insieme oggettivo e soggettivo si preferisce continuare a parlare di etica pubblica e non di “virtù” o di “integrità3” pubblica, perché virtù e integrità sono requisiti solo soggettivi, qualità della persona cui sono affidate funzioni pubbliche. Anche le scelte politiche, che sembrerebbero il terreno elettivo della “parzialità”, devono essere imparziali. Possono curare determinati interessi collettivi, ma mai interessi particolari La ricerca nel suo insieme intende dare un contributo alla riflessione sull’etica pubblica in generale, sulla imparzialità delle scelte delle istituzioni democratiche, sul comportamento dei titolari di compiti pubblici in tutti i settori in cui tali poteri si esercitano (legislazione, amministrazione, giurisdizione), anche se l’attenzione maggiore è posta all’imparzialità nell’amministrazione e nel potere amministrativo. 2. Regole oggettive e regole soggettive Garantiscono il risultato della scelta imparziale regole, oggettive, che attengono all’organizzazione delle funzioni pubbliche e allo svolgimento dell’azione: distribuzione delle competenze, costituzione di uffici e organi, configurazione dei caratteri dei titolari degli uffici/organi; procedimenti, trasparenza 3 Vedi i riferimenti alla integrity nella disciplina del Regno Unito o all’«integrità» nella recente legge 4 marzo 2009 , n. 15 (c.d. legge “Brunetta”). 3 sull’organizzazione e sulle decisioni, controlli (non solo tecnici e amministrativi, ma anche democratici)4. La scelta imparziale è poi garantita da regole, soggettive, che attengono alla posizione individuale, personale, del titolare di funzioni pubbliche, che garantiscono che il soggetto assuma la decisione pubblica non isolato dal mondo (astratta “neutralità”), ma almeno non impropriamente condizionato da interessi particolari (a cominciare dai suoi interessi personali) dai quali l’ordinamento lo deve porre in una situazione di necessaria distanza. Alle regole soggettive sono dedicati i saggi di questo primo volume5. La ricerca si è mossa nella ricostruzione di una triplice serie di regole soggettive: a) le regole volte a disciplinare l’accesso alla titolarità degli uffici e organi cui sono attribuiti compiti pubblici, più particolarmente le norme volte a prevenire l’accesso a persone in potenziale conflitto tra interessi propri (o di gruppi) e interesse generale: ineleggibilità, incandidabilità, incompatibilità (non solo preventiva, ma anche successiva); b) le regole volte a risolvere possibili conflitti di interesse nel corso dello svolgimento dell’azione da parte dei titolari degli uffici/organi (nei casi in cui il conflitto insorga solo successivamente): dovere di dichiarazione della situazione, dovere di astensione dalla partecipazione alla decisione, doveri di presa di distanza dagli interessi (blind trust e strumenti consimili); c) le regole volte a fissare doveri di comportamento, per il periodo di durata della carica pubblica, nella presa delle decisioni pubbliche, ma anche al di fuori dello stretto svolgimento dei compiti pubblici. 4 Cui sono dedicati gli altri due volumi che pubblicano i risultati della ricerca: L.VANDELLI (a cura di), Etica pubblica e buona amministrazione. Quale ruolo per i controlli? e il volume G. GARDINI E P.LALLI (a cura di), Per un’etica dell’informazione e della comunicazione. Giornalismo, radiotelevisione, new media, comunicazione pubblica, Milano, 2009. 5 Il profilo delle regole soggettive è curato anche nel volume G. GARDINI, P. LALLI (a cura di), Per un’etica dell’informazione…, op. cit.. Da segnalare, in particolare, il lavoro di M. Caporale sull’etica dei giornalisti. 4 Non sono affrontate, se non indirettamente, quanto ai rapporti che l’ordinamento stabilisce con le regole soggettive e con gli strumenti di diritto amministrativo, le problematiche di diritto penale. La scelta non nasce da una sottovalutazione del tema, perché si è ben consapevoli che oggi la repressione penale dei reati contro la pubblica amministrazione (in particolare i reati più gravi, corruzione e concussione) è rimasta quasi la sola risposta visibile delle istituzioni ad arginare il fenomeno della corruzione6 e della maladministration7, per l’azione di deterrenza che essa produce presso i soggetti titolari di compiti pubblici. Essa nasce, oltre che dalla necessità di concentrare le relativamente scarse risorse a disposizione sulle risposte fornite dalla disciplina più strettamente amministrativa, dall’idea di fondo che, per arginare veramente il fenomeno non sia sufficiente “isolare”, sia pure a fini esemplari, alcuni casi, finendo inevitabilmente per colpire solo quelli più evidenti e comunque solo quelli che (più o meno casualmente) vengono ad emergere, ma che occorre rivisitare tutti gli strumenti che possano contribuire ad una cultura della legalità, della imparzialità e dell’etica pubblica la più vasta e radicata possibile. In primo luogo presso gli stessi soggetti titolari 6 Sulla corruzione si veda, per tutti, D. DELLA PORTA, A. VANNUCCI, Mani impunite, Bari, 2007, che contiene anche una esaustiva bibliografia (prevalentemente sulla letteratura sociopolitica). Di recente è intervenuta la Memoria del Procuratore generale della Corte dei conti relativa al Giudizio sul rendiconto generale dello Stato per il 2008 (Roma, 25 giugno 2009), che così scrive: «Il fenomeno della corruzione all’interno della P.A. è talmente rilevante e gravido di conseguenze in tempi di crisi come quelli attuali da far più che ragionevolmente temere che il suo impatto sociale possa incidere sullo sviluppo economico del Paese anche oltre le stime effettuate dal SaeT (Servizio Anticorruzione e Trasparenza del Ministero della P.A. e dell’innovazione) nella misura prossima a 50/60 miliardi di euro all’anno, costituenti una vera e propria “tassa immorale ed occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini”. Altre e maggiori conseguenze vengono prodotte dalla corruzione serpeggiante nella P.A. sul piano della sua immagine, della moralità e della fiducia che costituiscono un ulteriore costo non monetizzabile per la collettività , che rischia di ostacolare (soprattutto in Italia meridionale) gli investimenti esteri, di distruggere la fiducia nelle istituzioni e di togliere la speranza nel futuro alle generazioni di giovani, di cittadini ed imprese.» (pag. 237 e ss.). 7 Sulla maladministration e gli strumenti (soprattutto giuridici) di contrasto nell’esperienza italiana si veda S. CASSESE, «Maladministration» e rimedi, in Foro It., 1992, B.G. MATTARELLA, Le regole dell’onestà, Bologna, 2007, G. MELIS, Etica pubblica e amministrazione. Napoli, 1999. 5 di funzioni pubbliche (e le loro categorie e strutture associative), in secondo luogo presso la cittadinanza più in generale. Se il cittadino percepisce che la corruzione, invece di un sistema al quale rassegnarsi, è un fenomeno apertamente e tenacemente combattuto già nell’organizzazione e nel funzionamento delle pubbliche amministrazioni, dovrebbe rinascere una maggiore fiducia nelle istituzioni democratiche e, forse, anche l’applicazione di canoni di maggiore virtuosità nella stessa società civile. L’etica di cui ci occupiamo è “laica”, dà per scontato che il soggetto decida sulla base di una sua visione del mondo, ma evita che esso sia impropriamente condizionato da interessi esterni8 e evita che queste visioni del mondo, soprattutto se consistenti nella partecipazione a partiti politici o a ben definiti gruppi di interesse (religiosi, etnici, economici, ecc.), possa pregiudicare il bene, prezioso, dell’affidamento del cittadino nella imparzialità soggettiva del titolare di compiti pubblici. Il funzionario, come il magistrato, oltre che essere, deve anche apparire imparziale, così incrementando la fiducia dei cittadini nella istituzione nelle quale opera e nella democrazia più in generale. 3. Regole soggettive e categorie di soggetti titolari di funzioni pubbliche L’approccio, quanto alla individuazione delle figure soggettive oggetto dell’indagine, è stato molto ampio, perché sono compresi tutti i titolari di uffici/organi cui sono affidati compiti pubblici. Nelle pubbliche amministrazioni, quindi, non solo i funzionari professionali, ma anche i titolari degli organi di governo e i soggetti con incarico fiduciario. Attenzione è dedicata anche ai magistrati9, non perché oggetto specifico della 8 Tra i condizionamenti esterni un particolare rilievo va dato a quelli derivanti da interessi economici e i fenomeni di lobbying sul decisore pubblico (politico o amministrativo). Ad essi è dedicato il saggio di E. Carloni. 9 Vedi il saggio di B. Ponti, dal quale si traggono interessanti spunti sull’attivazione della responsabilità disciplinare dei magistrati nella prospettiva di una sua possibile rivisitazione per i funzionari, professionali e non. 6 ricerca sia l’esercizio della funzione giurisdizionale, ma perché la posizione di indipendenza personale che l’ordinamento deve assicurare ai magistrati può costituire un valido punto di riferimento per costruire analoghe posizioni di indipendenza anche per i titolari di uffici/organi all’interno delle pubbliche amministrazioni. Nelle pubbliche amministrazioni la figura del “funzionario” si applica tanto ai titolari degli organi politici che degli uffici/organi amministrativi. Nel modello a responsabilità ministeriale, vigente fino alla riforma del 199293 con la quale è stato introdotto il principio della distinzione tra politica e amministrazione, la figura tipica del funzionario finiva per coincidere con quella del funzionario professionale, anche se il suo ruolo nell’amministrazione era soprattutto quello di collaboratore con gli organi politici titolari della decisione finale. Il funzionario professionale, assunto per concorso e legato da un rapporto di lavoro continuativo e esclusivo, pur subordinato (spesso anche gerarchicamente) all’organo politico, garantisce l’imparzialità con la sua neutralità politica, ovvero con la sua disponibilità alla collaborazione, indipendentemente dall’indirizzo politico espresso degli organi di governo. La sua collocazione professionale, il suo status10, garantisce, quindi, la sua indipendenza tanto dalla politica quanto dagli interessi economici che possono influire sulla decisione amministrativa. La figura del dipendente pubblico, in virtù del rapporto di lavoro che si instaura con l’amministrazione diviene così la figura tipica, ideale, di funzionario, che dà la garanzia dell’esercizio imparziale del potere amministrativo, compensando la “parzialità” della politica. Si comprende quindi come, per definire il rapporto che lega il titolare di un ufficio o organo che non abbia un sottostante rapporto continuativo ed esclusivo di lavoro, si sia fatto riferimento alla figura del funzionario, qualificando il titolare di un organo politico (o le figure che comunque collaborano solo temporaneamente allo svolgimento di funzioni pubbliche) 10 Alla nozione di status, in generale e applicata ai funzionari professionali, sono dedicate interessanti pagine nei saggi di B. Gagliardi, D. Casalini. M. Consito 7 come “funzionario onorario11”, cioè non professionale, legato all’amministrazione da un rapporto solo di ufficio e destinato a durare per un tempo determinato, quello dell’incarico ricoperto. Il funzionario onorario non viene retribuito per la sua prestazione a favore dell’amministrazione (come il funzionario professionale), ma riceve solo un’indennità, volta a compensare i mancati introiti (da reddito professionale, da lavoro o di impresa) derivanti dallo svolgimento della carica. Pur costruito ad immagine e somiglianza della figura del funzionario professionale, il funzionario onorario è, nel modello della responsabilità ministeriale, titolare di rilevanti poteri pubblici: in quanto organo di governo è titolare quasi esclusivo dei poteri decisionali, sia quanto alla definizione degli atti normativi e amministrativi generali, sia quanto a puntuali decisioni amministrative; in quanto soggetto con incarico fiduciario è spesso il più vicino collaboratore dell’organo politico, ovvero è esso stesso titolare di compiti di regolazione generale e di gestione puntuale (si pensi ai vertici delle strutture paraministeriali (agenzie), degli enti pubblici e delle società in controllo pubblico). La disciplina del rapporto di ufficio del funzionario onorario, pertanto, non ignora che occorra garantire la sua imparzialità, la sua distanza da interessi particolari che possano impropriamente condizionarne le scelte. In virtù del mancato instaurarsi di un sottostante rapporto continuativo di lavoro, la disciplina del rapporto tende a trascurare le regole del tipo c), quelle consistenti nella definizione di doveri di comportamento, anche perché, sempre in virtù del mancato rapporto di tipo continuativo e di lavoro, non è possibile configurare un coerente regime di responsabilità, di tipo disciplinare, nel quale, come si sa, si mescolano profili di responsabilità per mancata o insufficiente prestazione lavorativa e per violazione di regole di comportamento nell’esercizio della funzione (nello svolgimento dell’azione) amministrativa. Largamente praticate, indipendentemente dalla qualità della regolazione e dai risultati raggiunti12, sono invece le regole di tipo a), quelle volte a prevenire il 11 Si veda la voce di G. FERRARI, Funzionario onorario., in Enc. Dir.. Sui quali si soffermano i saggi di G. Sirianni e di A. Gualtieri. Si veda anche G. SIRIANNI, Etica della politica, rappresentanza, interessi, Napoli, 2008. 12 8 conferimento della titolarità di un organo politico (o fiduciario) a persone che potrebbero avere interessi in conflitto con l’esercizio imparziale delle funzioni assegnate all’organo e le regole di tipo b), quelle volte a ridurre al minimo l’impatto di conflitti di interesse non evitati dalle norme di tipo a), attraverso limitazioni alla partecipazione della persona in conflitto di interesse alle decisioni che ne potrebbero essere impropriamente condizionate. Con il complesso delle regole di tipo a) si curano interessi generali diversi e non sempre concordanti: da un lato il regime delle ineleggibilità/incandidabilità è posto innanzitutto a tutela della libertà dell’elettore, che non deve essere condizionato da candidature che, per radicamento territoriale o per peso delle risorse economiche a disposizione o per disponibilità di strumenti di influenza sull’opinione pubblica e sulla scelta del singolo elettore, possono distorcere la regolare competizione tra liste e candidati diversi; dall’altro lato il regime delle incompatibilità è, in gran parte, costruito in termini di garanzia della dedicazione piena del titolare dell’organo al suo ufficio, senza essere distratto da altri impegni (politici, economici, professionali) e molto meno alla garanzia della posizione di personale indipendenza del titolare dell’organo rispetto ad interessi che possano condizionarlo nello svolgimento della funzione. Le norme di tipo b) sono le più controverse, quanto ai loro effetti di contenimento dei conflitti di interesse: si pensi alle infinite possibilità di aggirare il dovere di astensione dalla partecipazione alla decisione (il titolare si astiene, ma solo al momento formale della adozione dell’atto, avendo avuto ampia possibilità di condizionare colui che assumerà la decisione finale, spesso membro del suo stesso organo collegiale) o alle dismissioni solo formali da responsabilità dirette in attività imprenditoriali o professionali13. In entrambe i casi (regole a) e b)), rilevanti sono i problemi di effettiva applicazione, per la difficoltà a trovare organi adeguati. Le ineleggibilità (e le incompatibilità) degli organi politici sono spesso affidate a giurisdizioni domestiche delle assemblee elettive (a salvaguardia, secondo la teoria liberale classica, della posizione dell’eletto contro le intromissioni dell’esecutivo) e 13 Per una critica al modello italiano di soluzione del conflitto di interessi si veda il saggio di G. Sirianni. Si veda anche S. PASSIGLI, Democrazia e conflitto di interessi. Il caso italiano, Firenze, 2001. 9 quindi a decisioni influenzate da logiche politiche; tanto che, da più parti, se ne propone il superamento, a favore di un regime di incandidabilità, verificabile da un organo giurisdizionale14. Per converso anche la disciplina della posizione del funzionario professionale risente del modello complessivo. Il funzionario concorre alla decisione, non l’assume; a questo fine si reputa sufficiente l’incompatibilità oggettiva creata dall’instaurarsi di un rapporto di lavoro continuativo ed esclusivo con l’amministrazione per tenere lontani interessi impropri. Se, poi, questa non dovesse essere sufficiente, soccorrono specifiche regole di incompatibilità (assai poco praticate), le regole di tipo b) sui doveri di astensione ovvero la fissazione dei doveri di comportamento, la cui violazione da luogo alla responsabilità disciplinare. Si noti che in questo modello il funzionario professionale finisce per equivalere al “dipendente pubblico”: coloro che concorrono all’esercizio della funzione sono tutti oggetto di una disciplina tendenzialmente uniforme, che non distingue, in via preventiva, i doveri in rapporto al grado o all’intensità della partecipazione del funzionario alla decisione (dell’organo politico). Una disciplina, quindi, per molti aspetti squilibrata: attenzione per gli organi politici alle regole di carattere preventivo, che evitano l’assunzione della carica, che sono però spesso prive di un connesso regime di responsabilità e soprattutto di organi neutrali che le applichino, con scarsa, se non nulla, attenzione per la definizione dei doveri di comportamento. Per i funzionari professionali, all’opposto, scarsa fiducia nella disciplina dell’accesso agli incarichi, nessuna distinzione in rapporto al grado di partecipazione del funzionario all’esercizio della funzione, applicazione di regole generali sui doveri di astensione, articolazione non particolarmente diffusa (se comparata con le esperienze, ad esempio, francese o tedesca) dei doveri di comportamento, affidata ad una responsabilità disciplinare, che, già negli 14 Si tratterebbe, secondo queste proposte, di estendere l’istituto già applicato per gli organi politici delle amministrazioni locali, per contratsare le infiltrazioni della criminalità organizzata. 10 ultimi periodi di applicazione del modello a responsabilità ministeriale, comincia a trovare una effettività sempre minore15. Le posizioni rispettive del funzionario professionale e del funzionario onorario sono destinate16 a cambiare radicalmente nel sistema basato sulla distinzione tra politica e amministrazione. Come si sa, l’effetto giuridico più rilevante dell’introduzione del principio di distinzione sta nella riserva delle competenze amministrative e di gestione in capo alla dirigenza amministrativa. Nel nuovo modello l’adozione degli atti a contenuto puntuale è di competenza dei dirigenti amministrativi che, in via generale (salva la sola eccezione della c.d. “dirigenza esterna”), sono funzionari professionali, che si vedono conferire l’incarico dirigenziale sulla base di una carriera tutta professionale17. Gli organi politici svolgono compiti prevalentemente di indirizzo, propedeutici alla decisione finale, spettante al dirigente. Il modello sembra ribaltato, anche se non mancano strumenti a disposizione degli organi politici per aggirare la distinzione o comunque per cercare di condizionare i dirigenti nello svolgimento dell’azione18. Non è questa la sede per occuparci del principio di distinzione e della sua capacità di tenuta di fronte ai reiterati attacchi che subisce. 15 Anche in virtù del processo di contrattualizzazione del rapporto di lavoro, che ha finito per trasferire quasi per intero nel contratto la definizione dei doveri, delle sanzioni e dei relativi procedimenti. 16 Anche se la ricerca pone in evidenza la “resistenza” della disciplina dello statuto dei funzionari pubblici fissata prima della riforma introdotta negli anni 1992-93 ad adattarsi alla nuova situazione creata dalla riforma. 17 Con esclusione di rappresentanti politici e sindacali dalle commissioni di concorso. Solo il procedimento per il conferimento dell’incarico vede, molto spesso, il potere di decisione finale in capo agli organi politici di indirizzo. Si consideri, però, la previsione dell’articolo 23, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, che prevede il passaggio alla prima fascia della dirigenza (quella generale) statale per quei dirigenti di seconda fascia che «abbiano ricoperto incarichi di direzione di uffici dirigenziali generali o equivalenti per un periodo pari almeno a tre anni». Si procede in carriera quindi solo in base ad una nomina, il conferimento dell’incarico dirigenziale generale, che spetta ancora all’organo politico. 18 Su di essi si veda F. MERLONI, Dirigenza pubblica e amministrazione imparziale, Bologna, 2006, in particolare il capitolo XI. 11 Da quando il principio è stato considerato dalla Corte costituzionale come principio direttamente derivante dall’articolo 97 Cost.19, cioè dal principio di imparzialità, la interpretazione del nuovo regime diviene obbligata: tanto i titolari degli organi politici (e i soggetti con incarico fiduciario) quanto i dirigenti amministrativi sono funzionari, nel senso di soggetti che, titolari di uffici a competenze diverse, partecipano con attività (di esercizio delle funzioni) che hanno un contenuto diversificato dalla legge (di indirizzo, di coordinamento da un lato, di gestione, di decisione puntuale, dall’altro), ma che tutte devono esser considerate come attività di esercizio di una funzione pubblica. La precedente distinzione tra funzionario onorario e funzionario professionale non perde del tutto rilevanza, perché restano le differenze quanto al rapporto di lavoro sottostante (e alla connessa difficoltà a configurare per gli organi politici e i soggetti con incarico fiduciario una responsabilità disciplinare), ma si riempie di nuovi contenuti. La disciplina del rapporto di ufficio (della posizione del funzionario titolare di un organo) si fa funzionale, nel senso che deve esser calibrata in rapporto alla natura e ai contenuti delle attività (di esercizio della funzione) che ciascun funzionario è chiamato a svolgere. Ciò impone una revisione critica della disciplina vigente (delle tre tipologie di regole di cui si diceva prima) per valutare la congruità e l’adeguatezza delle regole soggettive (relative alla persona titolare) al ruolo e alle competenze oggi attribuite dalla legge all’ufficio/organo. Così il “funzionario” organo politico, con la distinzione, non è affatto esonerato dall’obbligo di imparzialità. Imparziale deve essere nella regolazione generale (con atti normativi e amministrativi generali) perché essa anche se non da luogo ad un immediato assetto degli interessi in gioco, è comunque una determinazione che agli interessi attribuisce rilevanza, priorità e grado di tutela. Imparziale deve essere nella definizione degli atti di indirizzo, perché questi 19 Vedi le sentenze n. 103 e 104 del 2007, oggetto di una ampia serie di commenti. Tra gli altri, F. MERLONI, Lo spoils system è inapplicabile alla dirigenza professionale: dalla Corte nuovi passi nella giusta direzione (commento alle sentt. n. 103 e 104 del 2007), in Le Regioni, n. 5/2007, 836-848. 12 orientano la dirigenza amministrativa nella sua azione. L’atto di indirizzo deve contenere in sé tutti gli elementi per una sua attuazione imparziale (sia pure nelle scelte di assetto degli interessi che è propria degli atti di indirizzo). Ci si deve allora domandare se, in via generale e salve le considerazioni specifiche sulle diverse discipline, sia sufficiente l’approccio che privilegia le regole di tipo a) (prevenzione nell’accesso alla carica) rispetto alle altre e in particolare se non si debba percorrere la strada di una predefinizione di doveri di comportamento nell’esercizio della funzione. Su questa via vi sono esperienze straniere di grande interesse, da quella dei codes of conduct per i titolari di cariche di governo nel Regno Unito, a quella che prevede vere e proprie ipotesi di reato per comportamenti contrari agli ethical standards negli Stati Uniti20. Così il funzionario titolare di ufficio con incarico fiduciario21 deve garantire la sua distanza da interessi in rapporto ai diversi tipi di contributo che esso può dare alle decisioni pubbliche: alle decisioni degli organi politici (atti normativi e di indirizzo politico) e alle decisioni degli organi amministrativi. Contributo collaborativo subordinato nel primo caso; contributo di coordinamento (con qualche profilo di sovra ordinazione, sia pure non gerarchica) nel secondo. Per non trascurare i casi, frequenti, nei quali il soggetto con incarico fiduciario si veda attribuire, ad eccezione del principio di distinzione, competenze di natura amministrativa e gestionale. Nonostante la sua collocazione più vicina alla politica che all’amministrazione anche sul soggetto con incarico fiduciario incombono obblighi di imparzialità soggettiva, da disciplinare con tutte le tipologie di regole prima indicate, regole che allo stato risultano o totalmente mancanti o insufficienti. Il tratto fondamentale dell’attuale disciplina è che le regole di imparzialità soggettiva derivano, per questi soggetti, dal rapporto di lavoro ordinariamente svolto prima dell’attribuzione dell’incarico. Un 20 Vedi il Ministerial code, assistito da un imponente serie di organi di controllo (vedi in proposito il saggio di P.Leyland). La natura giuridica di questo, come degli altri codici di condotta resta incerta se, come ci ricorda Leyland, si propone di legificare la materia, con un atto del Parlamento che disciplini in generale il Civil Service, fissando principi di etica da applicare poi a tutti i titolari di cariche pubbliche. Per l’esperienza degli USA si veda il saggio di F. Clementi. 21 Alla disciplina dei soggetti con incarico fiduciario è dedicato il saggio di F. Merloni. 13 magistrato amministrativo nominato Capo di un gabinetto ministeriale conserva i doveri di comportamento legati al suo status; il Segretario generale, se scelto tra i dirigenti generali, conserva il suo status e così via. Manca una considerazione attenta del regime di ineleggibilità/incandidabilità/incompatibilità/, del regime di distanza dagli interessi, del regime dei doveri di comportamento (e connesso sistema di controllo e sanzione) che sia legata alla particolare attività richiesta dall’incarico conferito. Manca totalmente, infine, una disciplina della posizione, assai delicata, dei consulenti politici, cioè di quegli esperti che operano in posizione di staff, in stretta collaborazione con l’organo politico, ma in grado di condizionarne le scelte in modo significativo22 Così il funzionario professionale diviene, nel nuovo sistema, garante in prima persona dell’imparzialità. Il principio di distinzione vuole infatti che la riserva sia operata a favore di soggetti, i dirigenti amministrativi, che altro non sono che dei funzionari professionali, tenuti ad operare secondo l’indirizzo politico legittimamente espresso dagli organi di governo, ma sottratti alle intromissioni o agli impropri condizionamenti di questi ultimi. E’ evidente che la diretta attribuzione di competenze operative, per tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, cambia radicalmente il contributo del funzionario dirigente all’esercizio della funzione. Se prima egli era solo un collaboratore subordinato dell’organo politico decisore finale, oggi è egli stesso decisore finale, colui che individua, previa valutazione degli interessi in gioco, l’interesse pubblico nel caso concreto. Ed è in rapporto a questo nuovo ruolo che vanno esaminate le regole volte a garantire l’imparzialità soggettiva del funzionario. La prima conseguenza visibile è che diviene sempre meno comprensibile una disciplina indifferenziata del funzionario pubblico, che non distingua tra dipendente/funzionario pubblico che continua a volgere il tradizionale ruolo di supporto (conoscitivo, istruttorio, valutativo dei fatti e degli interessi) della decisione (che può essere relativa ad atti di indirizzo degli organi politici, di 22 Anche in questo campo l’esperienza del regno Unito si presenta molto ricca, a cominciare dal Code of Conduct for Special Advisers, su cui si sofferma il saggio di P. Leyland. 14 coordinamento dei soggetti fiduciari, di gestione dei dirigenti) e il funzionario pubblico dirigente, titolare in proprio dell’organo amministrativo, decisore finale. Esiste sicuramente una larga base comune di regole23 volte a garantire l’imparzialità soggettiva di tutti i funzionari professionali, ma vi sono regole e doveri che possono esser fatti gravare solo sui dirigenti, in rapporto al contenuto delle attività che sono loro riservate dalla legge. Per fare solo un esempio: mentre la compatibilità tra lavoro pubblico e appartenenza ad un partito politico non pone particolare problemi per i dipendenti privi di competenze decisionali, lo stesso non vale per i dirigenti amministrativi, per i quali, se non altro, si potrebbero applicare limitazioni quando lo svolgimento di determinati compiti e cariche di natura politica possa porre in dubbio la loro imparzialità. Si pensi alla possibilità di candidarsi ad elezioni, anche amministrative, in pendenza dell’incarico dirigenziale o al dovere di astenersi dall’ostentazione della propria appartenenza politica24. Ma anche la base comune di regole presenta limiti non secondari: assai modesto il regime delle regole di tipo a)25; deboli, come segnalato in via generale, le regole di tipo b); di incerta natura e efficacia le regole di tipo c). Nel primo caso vale un regime di incompatibilità generale fondato, come tradizione, più sulla garanzia della prestazione lavorativa che sulla prevenzione di conflitti di interesse e comunque non articolato su cause specifiche e preventivamente individuate di incompatibilità, ma solo su un sistema, successivo, di autorizzazione26, che lascia un ampio margine di discrezionalità alle amministrazioni (per le quali il soggetto autorizzante è molto differenziato, 23 Alla cui rivisitazione sono dedicati tutti i saggi della Sezione II del presente volume, che si occupa dei funzionari professionali. 24 Per un esame comparato dello statuto dell’alto funzionario pubblico vedi F. MERLONI, Dirigenza pubblica…, op. cit., 87-109. Particolarmente significativi, sotto il profilo del rapporto con la politica, gli esempi francese e tedesco. 25 Per un’analisi critica della disciplina vigente sulle incompatibilità dei dirigenti si vedano F. MERLONI, L’Etica della dirigenza pubblica, in G. D’ALESSIO (a cura di), L’amministrazione come professione, Bologna. 2008, 201-208. Quanto alle prospettive future vi è la delega, già richiamata, della legge Brunetta, per «rivedere la disciplina delle incompatibilità per i dirigenti pubblici» (articolo 6, comma 1, lettera m), che contiene, però, solo criteri sulla compatibilità con cariche sindacali e politiche. 26 Vedi il saggio di M. Longo. 15 potendosi avere la competenza dell’organo politico, del soggetto con incarico fiduciario, di una sovraordinato organo amministrativo). Nel terzo caso, i doveri di comportamento, siamo in presenza di una curiosa situazione. Da un lato, infatti, il d.lgs. n. 165 sembra voler differenziare la posizione del personale non dirigenziale da quello dirigenziale. Negli allegati al decreto, infatti, le norme del T.U. del 1957 (d.P.R. n. 3) relative alla individuazione dei doveri (articoli da 13 a 17) sono soggette alla cessazione degli effetti a seguito della sottoscrizione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-9727, ma solo per il personale non dirigenziale. Per i dirigenti, invece, tali norme sono mantenute in vigore. La conseguenza che ci si potrebbe attendere è che per i primi (il personale non dirigenziale) si applicheranno le norme del Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni in quanto recepito dai contratti collettivi28, mentre per i secondi (i dirigenti) si applicano solo le norme del T.U. espressamente mantenute in vigore. Ma non è così: accogliendo le più convincenti ricostruzioni sulla natura e l’efficacia del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici29 si deve concludere che il Codice di comportamento, anche se non recepito dai contratti30, è comunque fonte normativa che dispiega direttamente i suoi effetti31. I dirigenti, quindi, sono tenuti al rispetto sia delle disposizioni del T.U. del 1957 che del Codice di comportamento. Se, poi, andiamo a comparare i contenuti delle due diverse discipline ci accorgiamo che i doveri di cui agli articoli da 13 a 17 del T.U. del 1957 sono espressi in termini molto sintetici, si direbbe in norme che si limitano a stabilire principi generali di azione, mentre il Codice non è altro che una puntuale articolazione dei doveri così individuati, con alcune disposizioni aggiuntive 27 In realtà la disposizione intende produrre l’effetto della disapplicazione delle disposizioni del T.U. del 1957 sui doveri di comportamento dalla sottoscrizione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-97 in poi. 28 Ai quali ormai esso è sempre aggiunto in allegato. 29 Vedi E. CARLONI, Ruolo e natura dei c.d. «codici etici» delle amministrazioni pubbliche, in Dir. Pubbl. n. 1, 2002. 30 Il codice non è stato fin qui recepito nei contratti collettivi per la dirigenza. 31 Secondo questa ricostruzione il Codice di comportamento si applica anche per il personale pubblico non contrattualizzato. 16 autonome. In conclusione: il trattamento del personale non dirigenziale (contrattualizzato o meno) e dirigenziale si trova, ancora una volta, ad esser quasi del tutto allineato, nel rispetto di una disciplina che contiene doveri abbastanza generici e indifferenziati e soprattutto non assistito da un efficace sistema di responsabilità disciplinare32. 4. Funzioni e funzionari nella Costituzione italiana Il nuovo principio di distinzione tra politica e amministrazione e la necessaria rivisitazione delle regole di garanzia dell’imparzialità soggettiva delle diverse figure di funzionari pubblici (politici, fiduciari, professionali) consente anche di rileggere in modo organico le diverse disposizioni costituzionali relative ai funzionari. La recente giurisprudenza della Corte costituzionale pone al centro il principio di imparzialità, da combinarsi con quello di buon andamento, ma sempre nel senso che è il primo a dover essere in ogni caso garantito. L’amministrazione deve essere funzionale (efficace, efficiente, economica), ma non può non essere imparziale. All’imparzialità si deve, ove necessario, anche sacrificare (in parte, nella misura minore possibile) anche la funzionalità. La gara per la scelta del contraente va effettuata in ogni caso, anche se questo comporta delle inefficienze e dei ritardi nello svolgimento dell’azione amministrativa. Un atto amministrativo adottato nel rispetto delle regole del buon andamento ma viziato per parzialità viene annullato dal giudice amministrativo, mentre non vale l’inverso: un atto impeccabile sul piano dell’imparzialità, ma adottato in modo da causare uno spreco di risorse pubbliche non è annullabile. La norma di riferimento, di carattere oggettivo, è quindi l’art. 97 primo comma che impone che l’organizzazione degli uffici sia disciplinata dalla legge a fini di imparzialità. Le conseguenze da trarne sotto il profilo soggettivo sono abbastanza chiare: le «sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari» del secondo comma dell’art. 97 si riferiscono ai funzionari professionali. 32 Sulla responsabilità disciplinare si vedano i saggi di G. Racca e S. Ponzio. 17 Sempre secondo la Corte, la riserva di competenza in capo ai dirigenti (che sono funzionari professionali) è diretta attuazione del principio di imparzialità. La posizione soggettiva dei funzionari, la professionalità del rapporto che li lega all’amministrazione è, di per sé stessa, un garanzia di imparzialità, come distanza dalla politica e dagli impropri condizionamenti che essa potrebbe attuare sulla decisione pubblica. Il funzionario professionale è “protetto” dalla politica sia dal principio dell’accesso mediante concorso (art. 97, terzo comma), sia dal principio che «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione», laddove per Nazione si legga non un riferimento solo enfatico, ma un’espressa volontà di porre il pubblico impiegato/funzionario, in modo continuativo ed esclusivo (cioè professionale), al servizio dell’interesse generale, sottraendolo ai condizionamenti di parte33. Oggi potremmo dire che il costituente aveva di mira il funzionario collaboratore subordinato, che opera al supporto di decisioni spettanti ad organi politici. Tale previsione continua ad avere una sua validità, laddove il funzionario continui a svolgere funzioni di supporto; ma vale, a maggior ragione, quando le attività di esercizio della funzione affidate al funzionario diventano, direttamente, attività di decisione finale, di adozione di atti di individuazione dell’interesse pubblico nel caso concreto. Se gli articoli 97 e 98 contengono disposizioni che riguardano i soli funzionari professionali, altre disposizioni costituzionali devono esser riferite alla nozione più ampia e comprensiva di funzionario, che comprende tutti coloro che a vario titolo, con attività a contenuto diverso (di indirizzo, di coordinamento, di gestione) contribuiscono all’ esercizio della funzione. Così il riferimento ai «funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici» di cui all’art. 28 Cost. è da considerarsi una endiadi volta a non sottrarre nessun funzionario (nel senso più ampio del termine) alle 33 Vedi G. MARONGIU, Funzionari e ufficio nell’organizzazione amministrativa dello Stato, in G. MARONGIU, La democrazia come problema, Bologna, 1994, 229 ss, che ricorda come la norma sia di derivazione tedesca (dalla costituzione di Weimar) dove essa aveva appunto la funzione di sottrarre il funzionario all’influenza della politica. Appare evidente che il riferimento all’interesse generale in contrasto con gli interessi di parte non esclude solo gli interessi della politica, ma anche gli interessi privati, economici o professionali, che potrebbero impropriamente condizionare le scelte pubbliche. 18 responsabilità connesse allo svolgimento concreto delle competenze affidate all’ufficio/organo di cui sono titolari. Così, soprattutto, deve esser letta la disposizione di cui all’articolo 54: «i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore». Vista la collocazione della norma (nel titolo relativo ai «Rapporti politici») si può anche pensare che il costituente avesse in mente soprattutto i cittadini che assumono cariche pubbliche, rappresentative, elettive, si direbbe per un tempo determinato. Ma la disposizione può essere letta come norma generale, strettamente connessa al principio di imparzialità: la disciplina e l’onore richiamano il dovere del funzionario, comunque esso abbia assunto la titolarità della carica pubblica, di essere imparziale e di apparire come tale, osservando regole soggettive che gli impongano specifici doveri di comportamento, connessi alle caratteristiche e al contenuto delle attività attribuite all’ufficio/organo di cui è titolare. Nello svolgimento di queste attività, ma anche al di fuori dei “doveri di ufficio”, il funzionario deve essere “virtuoso” e “integro”, sottratto a condizionamenti impropri. Questa rilettura delle disposizioni costituzionali offre, in definitiva, una solida base per la rivisitazione che qui si è tentata della disciplina vigente e per una suo riscrittura organica. 5. Regole giuridiche e regole “etiche” Le norme giuridiche (penali, civili, amministrative) coprono solo una parte delle regole che prescrivono comportamenti Nelle norme giuridiche il nesso prescrizione/sanzione è ineliminabile. Alla definizione di uno status, comprensivo di limitazioni e di doveri si accompagna necessariamente la previsione di misure sanzionatorie in caso di loro violazione. Accanto a norme giuridiche è significativa la tendenza all’adozione di norme etiche, soprattutto nella forma di codici di comportamento. In alcuni casi, come da noi, si è dato (attraverso il recepimento nei contratti collettivi) valore giuridico al codice di comportamento dei dipendenti pubblici. 19 Le norme etiche (soprattutto i codici di comportamento adottati da singole categorie e non rese giuridicamente vincolanti) si pongono al di qua (prima) della legge e al di là di essa. Ad esempio norme etiche contengono regole di condotta ulteriori e più dettagliate (di sviluppo) di quelle giuridiche. Le norme etiche contribuiscono a fissare un quadro di regole più soft, perché non necessariamente assistito da sanzioni giuridicamente rilevanti. Le norme etiche non sono necessariamente del tutto prive di sanzioni: la loro violazione può comportare conseguenze negative (come la riprovazione del gruppo di appartenenza) che l’interessato può avvertire persino come più gravi di quelle giuridiche. Le norme etiche contribuiscono all’individuazione di un’area grigia di regole al confine tra il lecito e l’illecito, che consente di “sperimentare”la possibilità di indurre comportamenti virtuosi senza imporli con norme giuridiche. Si possono quindi comprendere i variegati rapporti che si stabiliscono tra le due categorie di norme, con la possibilità di passaggio di singole ipotesi, di singoli doveri di comportamento, dall’una all’altra. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di fissare con norme giuridiche solo alcuni principi generali (come avviene da noi, con le norme del T.U. del 1957 e, tutto sommato, con lo stesso Codice di comportamento), rinviando l’ulteriore articolazione e specificazione dei doveri alla concreta attività di applicazione, in sede di responsabilità disciplinare (e alla relativa giurisprudenza, ordinaria e amministrativa). Ovvero rinviando, più o meno esplicitamente, proprio a codici privi di valore giuridico, ma dotati di un diversa efficacia normativa perché frutto dell’autodisciplina di categorie interessate ad aumentare il loro prestigio e la fiducia nella loro imparzialità. In questo modo si possono anche “sperimentare” nuovi e più rigorosi doveri in vista di una loro “giuridicizzazione”, cioè del loro recepimento con norme giuridiche, assistite dalle relative sanzioni. La soft law non come secca alternativa , ma come complemento e integrazione della hard law. Il fatto che vi sia una evidente tendenza, in vari ordinamenti, a dare un ruolo crescente alle norme etiche non deve alimentare l’dea che l’”etica pubblica” di cui qui ci siamo occupati coincida solo con questa categoria di norme: essa, come si è detto, è il risultato dell’applicazione del complesso delle norme che 20 si preoccupano di fissare doveri di comportamento, siano esse giuridiche o etiche. 6. Necessità di un approccio globale ed organico. Un nuovo statuto del “funzionario pubblico” Per entrambe le categorie di regole (giuridiche ed etiche) la ricerca ha fatto una ricognizione accurata, ha accertato il grado di effettività, ha analizzato criticamente l’efficacia, cioè la capacità della regolazione di garantire nel suo complesso il risultato atteso (l’imparzialità personale del soggetto titolare di cariche pubbliche). Le singole regole non possono essere isolate dal contesto. Le regole amministrative, qui classificate secondo le tre tipologie prima indicate, devono essere valutate, quanto all’efficacia, insieme alle norme penali, da un lato, alle norme solo etiche dall’altro. La disciplina dei doveri di comportamento di un funzionario pubblico professionale deve essere vista insieme ai sistemi di controllo e di sanzione che vengono introdotti per assicurarne l’efficacia e l’effettività, ma anche quanto al completamento che alla articolazione dei doveri può derivare dalle norme di carattere etico (nel senso più volte indicato). Anche il rapporto tra regole amministrative e regole penali ne potrebbe risultare profondamente modificato. Oggi, in un quadro di insufficiente contrasto amministrativo delle violazioni dei doveri di comportamento, la repressione penale svolge un oggettivo ruolo di supplenza, non privo di gravi lacune, da più parti segnalato: la repressione è episodica, dipende dalla segnalazione di specifiche fattispecie di reato e spesso è inefficace (molti rinvii a giudizio danno luogo ad assoluzione perché l’accusa configura come reati comportamenti in realtà leciti); isola le fattispecie più gravi e intorno ad esse può conseguire un discreto livello di deterrenza, ma non crea una cultura diffusa della legalità e dell’imparzialità. Se isolata e percepita come inefficace, la risposta penale può, addirittura, provocare, diffusi fenomeni di omertà e di copertura corporativa di comportamenti devianti. 21 L’ipotesi che sta alla base della nostra ricerca è che la stessa azione repressiva penale è più efficace se può trovare una solida base di regole amministrative ed etiche che contribuiscono alla condivisione di valori etici e di comportamenti “virtuosi” da parte della generalità dei funzionari pubblici (nel senso più ampio: politici, fiduciari, professionali). La regolazione complessiva oggetto della nostra indagine va riferita anche al complesso delle categorie di soggetti titolari di poteri pubblici. Regolare solo alcuni di essi (solo i politici, solo i soggetti con incarico fiduciario, solo i funzionari professionali) non consente di raggiungere il risultato di una diffusa condivisione dei valori. La piena applicazione dei principi costituzionali impone, quindi, la definizione di uno “statuto” comune del funzionario pubblico, che disciplini tutto il complesso delle regole soggettive al fine di garantire il rispetto dei principi generali di etica pubblica e di imparzialità. Vi sono dei principi generali che tutti discendono dalla moderna interpretazione che qui si è data delle nozioni di “disciplina” e di “onore” di cui all’articolo 54 Cost34, che, come si è visto, si applica per tutti i soggetti «cui sono affidate funzioni pubbliche», senza eccezioni. Questo statuto comune non trova più il suo fondamento in un sottostante rapporto di lavoro (che giustificava l’attribuzione di uno status ai funzionari professionali, mentre questo veniva negato ai funzionari onorari), ma nello svolgimento delle funzioni pubbliche. Questo statuto comune non è, però, sufficiente. Le regole generali ricavabili direttamente dall’art. 54 possono anche essere considerate direttamente applicabili35 e quindi adattabili, in sede applicativa e giurisprudenziale, a diverse fattispecie. Resta comunque evidente l’utilità di differenziare le regole in rapporto alle diverse situazioni di svolgimento delle funzioni pubbliche attribuite ai soggetti titolari di uffici e organi pubblici. 34 35 Si vedano, in particolare, i contributi di R. Cavallo Perin e di G. Sirianni. Vedi il contributo di R. Cavallo Perin. 22 Partendo dal nucleo comune e fondante dei principi generali dell’etica pubblica, lo statuto del funzionario si può articolare, si può differenziare in rapporto alla diversità delle funzioni svolte (normative, di indirizzo, di gestione, di collaborazione all’indirizzo, di collaborazione alla gestione). Si può funzionalizzare36 adeguandosi alle diverse esigenze di imparzialità. 7. L’etica pubblica e la trasparenza L’efficacia delle regole volte a garantire l’imparzialità soggettiva dei titolari di funzioni pubbliche, sia quanto alla condivisione di valori e comportamenti virtuosi da parte delle diverse categorie di funzionari pubblici, sia quanto all’effetto deterrente verso comportamenti devianti, dipende largamente dal grado di conoscenza che di esse consegua il pubblico, cioè la generalità dei cittadini. L’affermazione, appena fatta, che uno dei modi per arrivare ad innalzare il grado di eticità di virtuosità dei pubblici funzionari sta nella condivisione di regole, giuridiche o solo etiche, da parte delle categorie dei funzionari pubblici, non vuole affatto predicare una gestione separata, riservata, dell’applicazione delle regole. Si parte invece dal presupposto, diverso se non opposto, che una diffusa conoscenza delle regole da parte del cittadino sia un potente strumento di garanzia di comportamenti virtuosi. Si pensi all’articolazione dei doveri di comportamento, sia pure differenziati tra le diverse categorie di funzionari e in rapporto al contenuto della attività svolte, contenuta nella legge, in norme regolamentari dell’amministrazione (o nei contratti collettivi di disciplina del rapporto di lavoro) o in codici etici di autoregolamentazione delle categorie di funzionari. La diffusa conoscenza di queste regole da parte del cittadino ha un duplice effetto positivo: da un lato 36 La sentenza n. 103 del 2007 della Corte costituzionale sembra svalutare, anche per i funzionari professionali, gli elementi di status a favore di una disciplina, come quella vigente, definita come «funzionale» (considerato in diritto n. 8). Per una critica di questa svalutazione si veda F. MERLONI, Lo spoils system è inapplicabile… op. cit., 846. 23 alimenta il suo controllo democratico e il suo affidamento verso l’assunzione di comportamenti etici da parte dell’amministrazione e dei suoi funzionari; il controllo democratico costituisce una indubbia pressione dell’opinione pubblica sul funzionario, che sente in tal modo che comportamenti devianti sono ripudiati non solo dagli appartenenti alla categoria, ma dalla generalità dei cittadini; dall’altro lato la conoscenza delle regole e la convinzione (che progressivamente potrà realizzarsi) che esse siano applicate dall’amministrazione in modo generalizzato, con efficaci strumenti di controllo e sanzione, contribuisce ad innalzare il grado di condivisione dei valori di imparzialità e di virtù pubblica presso i cittadini, che dovrebbero tendere ad assumerli come propri valori di riferimento. Il valore della trasparenza si afferma, sempre di più, in stretta connessione con le esigenze di controllo sull’organizzazione delle pubbliche amministrazioni. Se l’organizzazione degli uffici è, di per sé, ancora prima dello svolgimento dell’azione, una garanzia per il cittadino37, la conoscenza diffusa dell’organizzazione è strumento essenziale di tale garanzia. Nell’organizzazione da rendere conoscibile non stanno solo gli elementi oggettivi, la predeterminazione delle competenze degli organi, ma quelli soggettivi: la configurazione delle caratteristiche personali dei loro titolari, e la disciplina del rapporto che lega questi ultimi alle pubbliche amministrazioni. Tra gli strumenti di trasparenza38, particolare attenzione deve essere data, anziché all’accesso (che assicura solo un’informazione parziale, episodica e soggettivamente limitata), alla pubblicità, che può essere progressivamente ampliata dalla legge e imposta alle pubbliche amministrazioni Sulla pubblicità da assicurare sull’organizzazione va segnalato un crescendo di previsioni, soprattutto negli ultimi anni: dapprima la legge modificativa della legge sul procedimento amministrativo (l. n.15 del 2005), all’articolo 2639; poi 37 Vedi F. MERLONI, Interesse pubblico, funzioni amministrative e funzionari alla luce del principio di distinzione tra politica e amministrazione, relazione al Convegno“Interesse pubblico e disegno organizzativo delle Pubbliche Amministrazioni” (Palermo 20-21 febbraio 2009). 38 Sulla trasparenza si vedano i saggi pubblicati nel volume di F. MERLONI (a cura di), La trasparenza amministrativa, Milano, 2008. 39 Che prevede la pubblicazione di: «le direttive, i programmi, le istruzioni, le circolari e ogni atto che dispone in generale sull’organizzazione, sulle funzioni…». 24 il codice dell’amministrazione digitale (d.lgs. n. 82 del 2005), all’articolo 5440; infine la legge n.15 del 200941, che presenta novità significative. In primo luogo la individuazione della trasparenza come «livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche a norma dell’articolo 117, comma 2, lettera m) della Costituzione»42. In secondo luogo una definizione innovativa e aperta del contenuto della trasparenza43. Anche l’Italia sta intraprendendo la strada di uno stretto collegamento tra etica pubblica e trasparenza, già seguita da tempo in diverse esperienze straniere, la più significativa delle quali quella del Regno Unito44 8. La dimensione internazionale La ricerca ha come oggetto la disciplina italiana dell’etica pubblica, ma si ispira largamente alle esperienze di altri paesi, i cui ordinamenti dedicano al tema un’attenzione molto più rilevante che da noi. Questa attenzione è dimostrata da una parte nei singoli saggi, che utilizzano lo strumento della comparazione per meglio comprendere qualità e limiti della nostra regolazione 40 Che stabilisce i contenuti minimi dei siti informatici delle pubbliche amministrazioni ed enumera i dati relativi a «l’organigramma, l’articolazione degli uffici, le attribuzioni e l’organizzazione di ciascun ufficio anche di livello dirigenziale non generale, non ché il settore dell’ordinamento giuridico riferibile alle attività da essi svolta, corredati dai documenti anche normativi di riferimento» (comma 1, lettera a)). 41 Legge 4 marzo 2009 , n. 15 42 Vedi l’articolo 4, comma 6. Il riferimento ai livelli essenziali rafforza, sia per l’accesso che per la pubblicità, la configurazione della situazione giuridica del cittadino come vero diritto. In questo senso vedi C. MARZUOLI, La trasparenza come diritto civico alla pubblicità, in F. MERLONI (a cura di), La trasparenza…, op. cit., 60. 43 Articolo 4, comma 7: «la trasparenza è intesa come accessibilità totale (corsivo nostro), anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti internet delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni (corsivo nostro), degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per i perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta in proposito dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità». 44 Tutti i «codes of conduct» emanati di recente per le diverse categorie di «Holders of public office» si ispirano ai sette «Principles of Public Life», tra i quali in stretta connessione: Integrity, Accountability, Openness, Honesty. 25 e dall’altra dai saggi dedicati a singole esperienze straniere, scelte tra le più significative45. Più nell’ombra, per le già ricordate limitazione temporali e di risorse, l’esperienza, in crescita, della lotta a livello internazionale contro i fenomeni di corruzione e di maladministration. Come si ricava dalle riflessioni dedicate all’argomento46 si moltiplicano strumenti internazionali, su base convenzionale, per indurre i vari Stati firmatari e ratificanti ad adottare politiche sempre più efficaci di prevenzione e repressione, tra le quali un posto del tutto eminente è occupato dalle politiche di repressione con strumenti di diritto penale. Non mancano, però, attenzioni all’adozione di politiche più ampie, così come alla prevenzione, con strumenti di tipo amministrativo e con regole sulla condotta dei pubblici funzionari. Chiunque nel futuro si vorrà occupare del tema dell’etica pubblica non potrà non prestare la dovuta attenzione agli impegni internazionali che l’Italia assume, spesso inconsapevole degli obblighi che da essi derivano, salvo poi a verificare la propria condizione di inadempienza e, quel che è peggio, la precaria situazione dell’etica pubblica nel nostro paese, nelle pubbliche istituzioni e nella società civile. 45 Si vedano i saggi di J.L. Carro per la Spagna, F. Clementi per gli Stati Uniti, B. Gagliardi per la Francia, P. Leyland per il Regno Unito, D. Schefold per la Germania. 46 Vedi il saggio di S. Bonfigli.