Pessano con Bornago - Quando la scrittura creativa diventa fantastica
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Pessano con Bornago - Quando la scrittura creativa diventa fantastica
Pessano con Bornago Febbraio 2013 E' stata la “prima volta” di Pessano con Bornago e siamo partiti con la letteratura fantastica: una scelta azzardata? Il fantastico “Seeeembra facile”, come recitava l'inimitabile Omino con i Baffi nella pubblicità della Bialetti, in realtà è un terreno faticoso e ricco di insidie. In questo caso siamo riusciti ad avventurarci nel fantastico con un approccio aperto, giocoso e pronto a raccogliere le possibili sfide. Leggendo i testi di questa raccolta potrete infatti appassionarvi alla storia di un'ocarpa, detta anche carpoca, che visse felice tra due regni: quello dentro e quello fuori dall’acqua, in un'armonia precaria, ma proprio per questo carica di significato. Troverete camicie che rendono felici, numeri profetici, ombre che messe sotto vuoto diventano antidoti alla paura, regine che di giorno si trasformano in galline e di notte in splendide donne, amori che trionfano, e poi un principe delle Tenebre, che grazie a un mantello, una tartaruga, un bruco, una rondine e un pavone, rincorrerà il sogno di trovare il perché dell'arcobaleno. Sempre a proposito di arcobaleno la raccolta contiene la storia di Arc in Ciel, un bellissimo giovane che viveva nella contea delle mele rosse e voleva catturare il nettare dei colori dell’arcobaleno per regalarlo alle persone senza sorriso. Troverete anche un testo che narra di una “strana nascita”, un viaggio iniziatico per tre ragazzi che devono intraprendere l'entusiasmante cammino per diventare uomini e donne. E poi ancora Tautogrammi, Acrostici e... passione. Tanta passione per riscoprire le infinite potenzialità della nostra immaginazione, un'arma incantatrice che permette di aprire nuove strade dentro di noi per immaginare storie in cui tutto “Seeeembra facile” come recitava l'inimitabile Omino con i Baffi, ma che in realtà ha richiesto apertura, emozione, energia e rigore. Paola Buonacasa Anna Maria De Pasquale C’era una volta una piccola carpa, ma tanto piccola che poteva stare comodamente nel palmo della mano di una bambina (ma di una bambina piccola). Il vero problema, non erano tanto le sue piccole dimensioni quanto piuttosto il fatto che Carpina si credeva un pesce di terra perché quando la sua mamma aveva deposto le uova nello stagno, a causa del tonfo di un grosso rospo che faceva gli allenamenti per una gara di tuffi, un uovo (quello di Carpina, appunto) era schizzato via, andando a finire tra gli iris d’acqua e i bambù, in un nido di uova d’oca. Com’è piccolo quest’uovo” Diceva mamma Oca, confrontando l’uovo di Carpina (che credeva suo) con le altre uova che aveva deposto. Forse fu perché fu covato da un’oca o perché era stato troppo tempo fuori dall’acqua… chissà; fatto sta che quando da quell’uovo uscì fuori una carpa ma una carpa oltremodo piccola, che, per intenderci, assomigliava vagamente ad una carpa in scala 1:10, comunque di sicuro non assomigliava a un’oca. “Come mai l’hai chiamata Carpina? E’ perché assomiglia ad un pesce?” chiedevano le comari in visita a mamma Oca. “Ma no” rispondeva mamma Oca “E’ un nome della nostra famiglia, lo portava la tris-bis-tris nonna e per non far perdere il nome, abbiamo deciso di darlo alla più piccola della nidiata” “Accidenti, a ben vedere assomiglia vagamente ad una carpa mignon, come non ne abbiamo mai viste”Dicevano le comari. “ma non vedete che assomiglia alla nonna?” rispondeva mamma Oca e continuava ”non vedete che ha il colore del mantello dello stesso colore dei suoi occhi?” “Sarà” rispondevano le comari oche “ma qui c’è qualcosa che non quadra” e se ne andavano lasciando mamma Oca più perplessa di prima. Quando si trattò di lasciare il nido per iniziare a camminare, le cose, per Carpina non si misero meglio. “Come sei strana” non facevano altro che dirle i suo fratelli e sorelle “Ehi voi, lasciatela in pace, è la più piccola di tutti voi, è normale che debba ancora imparare a camminare bene” li redarguiva mamma Oca. Però ad essere onesti e sinceri, vista con gli occhi di un’oca (e non solo) Carpina era davvero strana e non assomigliava ne’ alla mamma ne’ al papà, ne’ a nessun’altra oca dello stagno o degli stagni vicini (e neanche a nonna oca, come invece andava dicendo mamma oca per via del colore di Carpina che ricordava il colore degli occhi di nonna Oca) . E poi non era solo la sua forma a saltare all’occhio ma anche il suo strano modo di muoversi ; non avendo ne’ gambe ne’ zampe, si contorceva sul terreno sulla sua pancia e ogni 5 minuti doveva mettere il musettino nell’acqua. Un giorno, mentre tutta la famiglia di oche con Carpina al seguito si stava recando in visita a dei parenti di uno stagno vicino, Carpina nel mettere il musetto nell’acqua vide un’altra se’ stessa in fondo alla stagno. “Com’è possibile?” si chiese Carpina “il mio riflesso è qui con me, non laggiù” e rimise il musettino sott’acqua per controllare meglio l’altra Carpina. Chiamò a raccolta tutto il suo coraggio e gridò al suo doppio in fondo allo stagno: “Tu, chi sei? E cosa ci fai laggiù?” E chi stava in basso rispose: “ Sono la carpa Rosalba, a casa mi chiamano Alba. Piuttosto, tu cosa ci fai lassù?” “Sono l’oca Carpina…ma perché dici di essere una carpa se assomigli a me?” “Perché anche tu sei una carpa, Carpina” rispose Rosalba, detta Alba “No sono un’oca!!” urlò in risposta Carpina. “Ah si?!E dove sono le tue zampe palmate, le tue piume soffici e il tuo becco arancione??” chiese Rosalba. “Non mi sono ancora spuntate perché sono la più piccola della nidiata, ma presto diventerò un’oca in tutto e per tutto e allora mi potrò iscrivere al concorso miss oca dell’anno; me lo dice sempre anche la mamma” “Sciocchezze” replicò Rosalba detta Alba” Tutte le oche che ho visto, comprese le oche baby, hanno zampe, becco e piume…se hanno pinne, branchie e squame non sono oche, sono pesci e, nello specifico, sono carpe!!” Carpina non sapeva più cosa dire, stava quasi per mettersi a piangere; mamma oca si accorse che qualcosa non andava e si avvicinò al bordo dello stagno a fianco di Carpina “C’è qualcosa che non va, piccola mia?” le chiese. Carpina rispose“Rosalba che assomiglia a me, dice di essere una carpa. E dice che anch’io lo sono”. Mamma Oca sbarrò gli occhi: “Oh…ma come si permette!!! “ E rivolgendo lo sguardo al fondo dello stagno dov’era Rosalba urlò”Non le permetto di insultare mia figlia, è un’oca, l’ho covata io!!”. “Non lo metto in dubbio, signora” rispose Rosalba detta Alba “ma non le è mai venuto in mente che l’uovo poteva non essere suo? Lo stagno è piccolo e l’uovo di carpa leggero e può capitare dove non deve essere… basta anche un piccolo sassolino a farlo schizzare fuori… mia cugina Cesira fu covata da una rondine…fu una tale fatica farla scendere da quell’albero!!” “Questo spiega alcune cose…”Disse mamma oca” Riflettendoci, Carpina assomiglia più a lei che a me, è possibilissimo!” “Cosa succede mamma?” Chiese spaventata, Carpina. “Succede, figlia mia che abbiamo appena scoperto che hai parenti sia sopra che sotto l’acqua dello stagno…in termini pratici vuol dire che riceverai il doppio dei regali” “Urra!”esultò Carpina. Fu fatta una grande festa, dove vennero invitate tutte le oche e le carpe dei dintorni e Carpina ricevette tantissimi regali; anche quando la festa finì, Carpina visse felice e contenta tra questi due regni : quello dentro e quello sull’acqua; si divideva tra la sua famiglia di oche e la sua famiglia di carpe. Quando saliva in superficie e sul fango dello stagno si dondolava sul ventre, nessuno più la prendeva in giro perché non era solo un’oca o solo una carpa ma una cosa nuova. Carpina ebbe una lunga vita e si sposò con un giovanotto carpa chiamato Carpy, ebbe 8 figlie femmine e 7 figli maschi e a tutti insegnò a muoversi anche sulla terraferma. Gli scienziati capirono che si trattava di una nuova specie che venne chiamata un’ocarpa, detta anche carpoca Maristel, la maga gallina C’era una volta un re che, rimasto vedovo e solo, era molto attaccato al suo unico figliolo. Era questo un ragazzo molto timido e il re avrebbe voluto tanto che avesse più coraggio ma non troppo, per farsi ubbidire come quando era ancora un bimbo di 5 anni; avrebbe voluto tanto che il suo figliolo fosse più felice ma non troppo, perché le persone felici sono imprevedibili e questo avrebbe messo il vecchio padre in apprensione; avrebbe voluto tanto che il suo figliolo avesse una moglie da amare ma non troppo, perché gli obblighi del regno dovevano sempre e comunque avere la priorità su tutto. Il re si recò quindi dal mago di corte per conoscere il futuro di suo figlio il principe; il mago fece bruciare 7 rami raccolti nelle 7 notti precedenti il plenilunio da 7 differenti alberi del bosco incantato e guardando le volute di fumo profetizzò: “Vostra Maestà io vedo che giusto domani, alle 3 del pomeriggio, a 3 miglia e 3 passi in direzione Ovest da qui passerà un piccolo carro trainato da un asinello, su cui ci saranno 3 giovani: due ragazzi e una ragazza; dovete farvi consegnare dal ragazzo che è in cassetta la camicia che ha addosso: è la camicia dell’uomo felice e ha la facoltà di rendere gioioso chiunque l’indossi; all’altro ragazzo che è seduto dietro, occorre rubare la sua ombra e metterla in un barattolo a chiusura ermetica: è questa un’ombra molto particolare: ha infatti la facoltà di essere un eccellente antidoto alla paura e infonderà coraggio a chi la porti con se’ ; la ragazza invece, sarà un’ottima moglie per vostro figlio: pensi, sua Maestà: di giorno è una gallina e col calar delle tenebre si trasforma in una donna…al cantar del gallo si ritrasforma in gallina e la si potrà metter nel pollaio dove non la si distinguerà dalle altre pollastre comuni e, soprattutto, a differenza delle altre donne comuni il principe vostro figlio non dovrà stare a sentire le sue ciance per tutto il dì. In un colpo solo avreste risolto i problemi del principe reggente; cosa ne pensate, Vostra Maestà?” “Penso che siete un eccellete mago e se le vostre previsioni saranno esatte, verrete ricompensato con un feudo tutto vostro” rispose il re. Quello che ne’ il re, ne’ il mago (malgrado la sua preveggenza) sapevano, era che la ragazza-gallina era anch’essa una maga, una maga molto più potente del suo collega di corte; si chiamava Maristel ed era stata avvisata in sogno di quello che si tramava alle sue spalle; si svegliò di soprassalto e raccontò altri due ragazzi che erano i suoi fratelli quello che stava per accadere. “Cosa faremo Maristel? Di sicuro non ci conviene passare per quella strada…troveremo senz’altro il re e i suoi guerrieri” Le dissero i suoi due fratelli. “Non vi preoccupate, passeremo, so come fare” Rispose sicura lei. “ma come faremo? Le uniche cose di valore sono la camicia della felicità e l’ombra del coraggio…oltre alla tua saggezza di maga, se ci vengono rubate in un sol colpo, non avremo più nulla” insistettero i suoi fratelli “Non vi preoccupate, so come fare” rispose sicura lei. “Ma come? Come??” continuavano a chiederle. “Non vi preoccupate, so come fare e ora lasciatemi dormire che al primo canto del gallo divento gallina e se non ho dormito abbastanza non riesco a fare l’uovo ” Rispose Maristel e se ne ritornò a ormire. L’indomani, come previsto, alle 3 del pomeriggio, a 3 miglia e 3 passi in direzione Ovest avanzava un piccolo carro trainato da un asinello diretto ad una fiera di bestiame che si teneva poco distante; sulla stessa strada, manco a dirlo c’era anche il re col suo seguito di guerrieri in agguato che sotto la minaccia delle lance circondò carro e asinello. “Altolà chi va là, consegnatemi subito la vostra camicia” Intimò il re al cocchiere che subito gli consegnò la camicia che aveva addosso; “Altolà chi va là, consegnatemi subito la vostra ombra” continuò il re rivolto al ragazzo seduto dietro che subito gliela consegnò nel barattolo che il re, previdente, aveva portato con sè “Altolà chi va là, questa gallina è una regina” disse il re, sollevando di peso la gallina che sedeva accanto al ragazzo a cui aveva sottratto l’ombra. Dopo di ciò, il re e i suoi guerrieri se ne andarono diretti al castello. Ma cosa era successo?Maristel, la ragazza-maga- gallina aveva fatto cambiare di posto ai suoi fratelli così che quello che aveva dato la camicia al re era il ragazzo senza paura e quello a cui avevano rubato l’ombra era il ragazzo felice.E lei? Il sole era già sorto e si era nascosta tra le altre galline, irriconoscibile a chiunque, all’infuori dei suoi fratelli, aveva inoltre avuto l’accortezza di mettere la chioccia più grande seduta davanti, su quello che di solito era il suo posto. Raffaella Gigante ACROSTICO DI ARCOBALENO Ancora Regala Colori Offrendo Bianche Ali Lucenti Eteree Nell’ Orizzonte Molti anni fa, in una notte scura come la paura che spaventa i timorosi, il Re delle Tenebre decise di fare un viaggio sulla terra del Sole perché la vedeva sempre in lontananza ma non capiva cosa fosse quel chiarore che si intravedeva all’orizzonte. Il suo problema era che, vivendo sempre al buio, non poteva distinguere, in questa condizione, null’altro che ombre e aliti di vento e poteva soltanto annusare gli odori delle cose intorno a lui, ascoltare i suoni e le voci e muoversi al tatto nel mondo che lo circondava. Poiché non si era mai allontanato e si sentiva protetto e al sicuro solo nell’oscurità, prima di partire volle consultarsi con il Vecchio Saggio confidandogli le sue paure e perplessità. Egli lo ascoltò con attenzione e gli diede una serie di consigli: avrebbe dovuto portare con sé un mantello, una tartaruga, un bruco, una rondine e un pavone. Con tutte queste cose il Re si incamminò, osservando in lontananza la scia luminosa. Una notte si udì un forte frastuono, come di tuoni spezzati in mille parti, ed una pioggia di sassi iniziò a cadere dal cielo: erano frammenti di meteoriti, così grossi che cadendo facevano dei buchi nel terreno grandi come voragini. Tutti si nascosero sotto il guscio della Tartaruga, ed attesero insieme che il rumore cessasse. Quando tutto fu tranquillo, il Re si guardò intorno e si rese conto che, senza l’aiuto del suo amico nessuno si sarebbe salvato e lo ringraziò calorosamente. Proseguirono ancora fino a che furono stanchissimi, ma erano così vicini che non volevano interrompere il viaggio. Allora il Bruco, che con i suoi mille piedi si stancava poco, si caricò sulla schiena i suoi amici e proseguirono così tranquillamente. Il chiarore si faceva sempre più nitido e l’emozione della comitiva era sempre più forte. Ma quando arrivarono talmente vicino alla luce da poterla quasi toccare tutto si oscurò e i nuvoloni neri, che non volevano saperne di esserne illuminati provocarono un violento temporale con una pioggia talmente forte da bagnare tutto il terreno sottostante. Il Re si arrabbiò moltissimo perché il viaggio era stato lungo e faticoso e non voleva che, proprio ora che avevano raggiunto la meta, tutti gli sforzi che aveva fatto insieme ai suoi compagni venissero vanificati. Il Sole però li stava aspettando per donare anche a loro, come a tutti quelli che arrivavano da lui, un po’ della sua Luce e ne fece generosamente omaggio anche al Re delle Tenebre. Lui, non sapendo come fare per portarla nel suo Mondo, chiese aiuto ai suoi amici. La Rondine afferrò il mantello del Re con le due punte della sua coda e lo portò in alto mentre il Pavone apriva la sua ruota per farlo adagiare dolcemente affinchè non cadesse, formando un morbido semicerchio. A questo punto, quando la Luce si posò sul mantello, come per incanto in un baleno tutti i colori comparvero l’uno accanto all’altro formando tante righe variopinte e, siccome avevano preso la forma di un arco che saliva in cielo, venne chiamato Arcobaleno. Tutti rimasero meravigliati con il naso all’insù e, senza parole, ammirarono estasiati questa bellissima novità che, con i suoi colori, trasmetteva allegria, pace e serenità. Il Re delle Tenebre non sapeva come fare per ringraziare il Sole di questo bellissimo regalo e pensò di fargli dono del suo Pavone perché, con le sue bellissime piume, potesse riflettere i raggi che egli inviava sul Mondo. Il Sole non aveva mai visto un simile uccello e restò meravigliato della sua capacità di aprire la coda per formare un cerchio grande e colorato. Lo illuminò allora con i suoi raggi e così il suo colore, che era sempre stato oscurato dalle tenebre, divenne quel blu brillante che tutti ammiriamo ancora e la sua coda divenne iridescente emanando mille riflessi al contatto della Luce. E fu così che il Re delle Tenebre tornò a casa, portando con sé l’Arcobaleno e al suo passaggio ogni cosa si illuminava e prendeva colore mostrando un mondo completamente nuovo, inaspettato e finalmente felice. Da quel giorno, ogni volta che il temporale incontra la Luce del Sole, possiamo ammirare anche noi questo meraviglioso arco che si innalza nel cielo e che si chiama Arcobaleno. E’ L’AMORE CHE CONTA C’era una volta una Principessa che viveva nel suo castello in compagnia della sua mamma, che era una Gallina, e del fantasma del nonno Gallo che tutte le mattine cantava per lei per svegliarla allegramente. Ogni martedì la Principessa, fiera di essere la figlia di una gallina, indossando abiti semplici accompagnava la madre al mercato a vendere le uova, per stare tra i suoi sudditi senza essere notata. Quel giorno c’era una piccola folla intorno a un giovanotto che suonava la chitarra e che, come un figlio dei fiori, indossava una camicia colorata, un paio di pantaloni a zampa di elefante e cantava una canzone che intonava una dolce melodia. In realtà si trattava di un Principe che stava cercando moglie perché il re, anziano, voleva che sposasse presto una persona degna del suo rango. Ma lui desiderava essere amato solo per se stesso e, per non farsi riconoscere, si era fatto prestare la camicia dal suo giardiniere, una persona sempre felice, sperando che indossare i suoi abiti gli avrebbe portato fortuna. La Principessa si avvicinò al giovane, i loro sguardi si incontrarono e si persero l’uno dentro l’altro, come l‘azzurro del cielo nelle acque del mare. Lui notò che era una ragazza semplice e per di più figlia di una gallina ma non se ne curò, sapendo di aver trovato la sua sposa e non aveva paura di dover affrontare la collera del padre per questa sua scelta. Lei si innamorò di lui all’istante e decise che sarebbe stato il suo sposo nonostante il suo umile aspetto, contro ogni regola e pregiudizio. Entrambi si erano scelti incuranti delle rispettive origini. E così si sposarono, in un giorno di sole, mentre le campane suonavano a festa e i galli cantavano la marcia nuziale. Lui indossava la camicia a fiori che gli aveva portato fortuna, lei un velo leggero di piume bianche fluttuanti come ali di farfalle e i loro sguardi si incontrarono ancora sapendo che lo avrebbero fatto sempre e per sempre. Quel giorno insegnarono a tutti che bisogna avere il coraggio di difendere le proprie scelte e che non sono le regole, i limiti e le convenzioni a doverci guidare ma è la forza dell’amore, perché è solo l’amore che conta. TAUTOGRAMMA DI PENSIERI E PAROLE Perplessa pensavo poter partire per paesi perduti, patrie di passati poeti parlanti, però per palese pigrizia provavo più pratico passare il pomeriggio posata sulla preferita poltrona potendo permettermi di passare di paese in paese al pensiero di pochi passivi piccoli passi, praticamente persa in pavidi pensieri. Rosalba Giliberti ARIANNA R E S Tautogramma Arianna - Aiuto! Aiuto! Affogo, annego! Ancora aria acre! Altoparlante - Attraversa aste di amianto, armature di acciaio, alberi ammassati, arriverai all’aria aperta-. Arianna – Ansimo con affanno. Aspettatemi!Arriva Ares, alieno alato, armato di altruismo. Attira Arianna con arco, avvolge nelle ali arti atrofizzati, in astronave, ardito aleggia. Altri aspettano con audace attesa. All’alba atterrano, accolti da assordanti applausi. Arianna - Addio, altissimo Alieno! Ares - Addio amabile Arianna!- PIERINO PIU’ POLDO - Pupo Pierino perché piangi?- Persi Pupazzo Poldo al parco !- Prosegui piuttosto piano per parco, per prati. Pierino passa , passa al parco, pesta, pesta sul prato. Pressato dal pantano, Pupazzo Poldo piagnucola paziente. Pupo, premuroso, prende Pupazzo, pulisce, pettina. Poldo, privo di pelo, per il pantano precedente, pur pelato, pigola pacioso perché protetto da Pupo. Piove, piove, Pupo con Pupazzo passano, passano. Pierino, preso da paura, progetta. Prevede purtroppo panico. Passano presso ponte privato. - Ponte puoi proteggerci per piacere - ‘? - Prego, prendete posto Piove, piove, Pupo con Poldo poltriscono sulla panca. Pupo pomposo, Poldo pelato parlano del pericoloso pantano. Piove, piove, poi passa. Marina Pozzi ARC IN CIEL E I COLORI DELL’ARCOBALENO Arc in ciel, questo è il nome di un bellissimo giovane che viveva nella contea delle mele rosse, nelle Dolomiti dove regnava la Regina Persefone. Questo cavaliere voleva catturare il nettare dei colori dell’arcobaleno per regalarlo alle persone sempre malinconiche e senza sorriso. Cavalcava tra il sole e la pioggia con il suo cavallo niveo Zoccolobianco dalla lunga criniera argentea. In questo paese viveva una fanciulla che si chiamava Delizia, era una contadina molto triste che raccoglieva le succose mele rosse tutto il giorno. Questa giovinetta si guadagnava il pane lavorando moltissimo e non sorrideva mai, il papà Giacomino era molto preoccupato perché era sempre sola e il lavoro era per lei molto pesante e non aveva nessuna amica. Il babbo decise di cercare nella contea un giovane che la faceva sorridere. Un giorno il papà andò dalla regina Persefone e chiese se poteva esporre un’ordinanza; voleva cercare un ragazzo che avesse una pozione magica per poter far sorridere sua figlia e che arrivassero tanti tanti amici per lei. La Regina approvò la richiesta fatta da Giacomino ma in cambio volle il raccolto di tutte le mele del suo podere. Il papà di Delizia non era molto contento perché voleva dire molto lavoro per lui e per la figlia, comunque per il bene della ragazza accettò anche se a malincuore. La Regina chiamò al suo cospetto Arc in Ciel suo cavaliere prediletto al quale narrò il problema della contadina. Il ragazzo rimase molto colpito chiamò il suo cavallo alato Zoccolobianco e tutte le api della contea, tutte pronte alla ricerca dell’ ambrosia dei colori dell’arcobaleno. Prese un'ampolla di cristallo scintillante , stillò dall’iride con l’aiuto delle dolcissime api, i 7 colori e la portò alla contea. La preziosissima pozione fu data a Delizia che bevendola iniziò a diventare di tutti i colori prima una bella mela rossa, poi una bella zucca gialla, una bel succoso mandarino arancione, un bel prato verdeggiante, un zaffiro blu lucente,un bel fiore lillà ,ed infine una odorante violetta mammola. D’incanto Delizia sorrise e abbracciò Arc in Ciel ringraziandolo. Il cavaliere era raggiante perché era riuscito a far felice Delizia e le confidò che i colori dell’arcobaleno sono l’essenza della nostra esistenza, la loro mancanza genera tristezza nell’animo delle persone. Delizia s’incamminò contenta insieme a tutti gli amici giunti a far festa con lei. Antonio Riccobon LA NOTTE Antichi Nomadi Tornano Ogni Notte In Oriente Era scesa la Notte, sulle campagne di Sasan. Il protettore del Fuoco guardò in alto e vide che la Stella aveva raggiunto la giusta posizione nel cielo. Annuì. Sì, mormorò tra era sé, è salita la Notte. Il vento soffiava dal deserto, portando fiocchi di neve e granelli di sabbia gelata. Un Segno, forse. Il Protettore si chinò a ravvivare le braci che scoppiettarono mentre vi buttava alcuni sterpi. Quando la fiamma brillò vivida, si alzò e girando attorno al fuoco si avvicinò alle tre figure che giacevano lì accanto e con voce tonante gridò tre nomi: Baldar! Jasfar! Melych! Da sotto le coltri di pellicce che li avevano riscaldati spuntarono tre figure. I tre giovanetti si alzarono in fretta, avvicinandosi al fuoco e guardarono in alto. Nel cielo nero punteggiato di luci, la Stella brillava sovrastandoli. Minacciosa. O forse amica. Era la Notte, lungamente attesa, nella quale i tre giovani avrebbero dimostrato di essere degni di entrare nel mondo degli adulti. Baldar tentò di cingere la spalle di Melych con gesto protettivo, ma la giovane si ritrasse guardandolo con rabbia. Melych mal sopportava le attenzioni dei ragazzi. Era Adulta e stava per dimostrarlo e certo non aveva bisogno che Baldar il Prudente o Jasfar il Timido si prendessero cura di lei. Non per niente era Melych la Temeraria. Andate! Nel freddo pungente fu pronunciata solo una parola. Non vi furono abbracci, saluti, raccomandazioni. Non fu indicata la strada. Con un rapido sguardo alla stella, Melych raccolse le sue poche cose e si avviò baldanzosa verso quella che riteneva la direzione che indicava la Stella. Jasfar non ebbe esitazioni. Raccolse anche lui le sue cose e la seguì. Baldar si guardò attorno dubbioso. La pianura spoglia si perdeva nel buio tutto attorno. Non c'era alcun riferimento che potesse indicare la strada da prendere, tranne il vento. Beh, pensò tra sé Baldar, meglio avere il vento gelido alle spalle. Raccolse da terra un involto e sorrise tra sé: il vento alle spalle e Melych davanti; poteva andare bene quella strada, come qualunque altra. Camminarono a lungo, in linea retta, forse. Senza scambiarsi una parola. Finché davanti a loro si stagliò un'ombra nera che faceva schermo alle stelle. Una montagna. Accelerarono il passo all'unisono, spinti dalla certezza che là avrebbero trovato il loro Segno. Dopo altro tempo che parve interminabile, videro un fioco lucore rossastro spezzare il buio. Un fuoco, senza dubbio. Sperando che non sia un demone, pensò Jasfar il Timido. Il chiarore veniva da una piccola caverna. Mentre si avvicinavano, dalla caverna arrivò il grido di dolore di una donna. Baldar corse in avanti superando i compagni e precipitandosi coraggiosamente nell'apertura, pronto a combattere. Melych e Jasfar lo raggiunsero quasi subito. Dentro la grotta, accanto ad un fuoco ormai morente, stava una donna supina su un mucchio di paglia, che si torceva, lanciando di tanto in tanto grida di dolore. davanti a lei un vecchio la guardava smarrito torcendosi le mani, incapace di agire. Melych scostò con un gesto stizzoso l'uomo e si precipitò sopra la donna. Con mani esperte, le divaricò le gambe. Jasfar si avvicinò al vecchio e lo abbracciò confortandolo, mentre Baldar si accosciò accanto alla donna sofferente, prendendole la mano e sussurrando d'incoraggiamento. Pochi minuti dopo il vagito di un neonato riempì la Notte e salì fino alla Stella. “Guarda – disse Jasfar al vecchio – tuo figlio! Come lo chiamerai?” “Gesù”... parole LITTLE JOHN FEARLESS Little John Fearless era un soldato forte e valoroso, giovane e di bell'aspetto. Le sue giornate erano piene del sibilo dei laser e dell'odore acre dei corpi divorati dal fuoco. Il suo cielo era punteggiato di astronavi da battaglia. A dispetto del soprannome, le sue notti erano piene di ombre che lo spaventavano a morte, mentre rannicchiato nel suo cubicolo si faceva sempre più piccolo per sfuggire all'ignoto orrore che lo attanagliava. E quando il sonno liberatore finalmente arrivava, sognava carezze e abbracci di una mamma che non aveva mai avuto, perché lui e i suoi compagni erano stati clonati appositamente per combattere su quel pianeta. I nemici erano simili al “Gallus domesticus” del suo pianeta, a eccezione delle dimensioni: erano polli alti due metri. Un giorno, la sua unità venne circondata dal nemico e sterminata. Solo Little John Fearless rimase in piedi, ritto davanti all'orda di gallinacei che lo circondava. Un gallo si fece avanti, con un chicchirio imperioso e lui venne fatto prigioniero, disarmato e spogliato, e rinchiuso in un'enorme stia. Qui si trovò con una gallina che giaceva in un angolo con il corpo scosso da tremori e sussulti e che chiocciava penosamente. Mosso a compassione, si avvicinò alla compagna di prigionia accarezzandola e cercando di calmarla. Ma subito si fermò basito: le piume si staccavano dal corpo come se fosse in corso una muta. Ben presto le piume vennero tutte via e davanti a lui si presentò una bellissima giovane, in tutto e per tutto umana. Fu amore a prima vista. I due giovani amanti fuggirono lontano dalla battaglia, crearono il proprio nido e qui mischiarono il loro seme. Ebbero tante uova e vissero a lungo felici e contenti circondati dal pigolio dei loro pulcini.