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le coccole fanno bene alla salute, soprattutto a quella degli uomini

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le coccole fanno bene alla salute, soprattutto a quella degli uomini
Anno IV – Numero 673
AVVISO
Ordine
1. ORDINE:Istituito un
sussidio per i Colleghi
Iscritti all’ALBO in
Stato di Disoccupazione
Lunedì 29 Giugno 2015, S.S. Pietro e Paolo
Proverbio di oggi………..
Armàmmoce e gghiate. (Armiamoci e andate)
LE COCCOLE FANNO BENE ALLA SALUTE,
SOPRATTUTTO A QUELLA DEGLI UOMINI
Tutti, chi più chi meno, amiamo le coccole, ma adesso è
provato che fanno bene alla salute.
Notizie in Rilievo
Scienza e Salute
2. Sindrome del colon
irritabile: potrebbe
essere colpa del glutine
3. Mangiare la placenta,
una moda senza
vantaggi,
potenzialmente dannosa
4. Nuova cura per la
vitiligine,
la malattia di Michael
Jackson
Prevenzione e
Salute
5. Acne? Forse è un
eccesso di vitamina B12
Un massaggio, un bacio, un "grattino" ma anche un gelato o un po' di
cioccolato.
Ecco le coccole che sogniamo mentre ci
destreggiamo tra un impegno e l'altro.
Oltre un italiano su due (53%) sente il bisogno di
vivere momenti di tenerezza e ricevere coccole
per staccare dalla routine e lasciarsi alle spalle il
malessere provocato dai numerosi impegni di
ogni giorno. È quanto emerge da uno studio.
Forse un pò a sorpresa gli Uomini (54%) ne hanno più
bisogno rispetto alle Donne (46%).
LA
DONNE:
COCCOLA
 per il 74% è un buon gelato,
 gesti d'affetto come i baci
PREFERITA
(61%),
 gli abbracci (56%),
 i film sotto le coperte (39%)
 sessione di shopping (33%).
UOMINI:
 per l'86% degli un lungo massaggio.
 le serate con gli amici (54%),
 le pizze (51%),
 una partita di calcetto (43%)
 qualche ora alle prese coi videogame (36%),
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PAGINA 2
FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno IV – Numero 673
SCIENZA E SALUTE
SINDROME DEL COLON IRRITABILE: POTREBBE ESSERE
COLPA DEL GLUTINE
I pazienti trattati con una dieta gluten-free hanno visto i sintomi diminuire.
Potrebbero essere trattati con una dieta apposita, meno restrittiva dei celiaci
Mangiare glutine potrebbe fare male anche a chi è solo “sensibile” a questa sostanza.
Sembrerebbe infatti causare alcuni sintomi attribuiti erroneamente alla sindrome del colon irritabile:
almeno nel 25% dei casi, dunque in un individuo su quattro. Sono i
risultati dello studio Glutox, condotto dall’Associazione Italiana
Gastroenterologi e endoscopisti ospedalieri.
Lo studio: Scopo dello studio era da un lato verificare la diffusione
della sensibilità al glutine e la causa di insorgenza e dall’altro le
eventuali implicazioni su patologie di natura gastro-intestinale.
Celiachia e sensibilità al glutine
Spesso sono confuse per la similarità dei sintomi: gonfiore
addominale, intestino irritabile, stanchezza generalizzata, mal di testa.
A fare la differenza tra le due condizioni sono però almeno tre variabili:
1. i numeri innanzitutto, significativamente più importanti nella sensibilità al glutine; (5-10% della
popolazione per lo più femminile tra i 25 e i 45 anni contro solo l’1% della celiachia).
2. la temporalità, la sensibilità al glutine pare una condizione di intolleranza “transitoria” alla
proteina contenuta in elevate quantità in frumento, orzo e segale verso uno stato cronico della
celiachia.
3. l’intensità della sintomatologia, più lieve e contenuta nella sensibilità al glutine.
C’è però, nella sensibilità al glutine, una importante criticità:
un possibile errore di valutazione diagnostica. Accade infatti che, nella
maggior parte dei casi, sintomi gastrointestinali non apparentemente attribuibili ad altre cause o
condizioni patologiche vengano riferiti ad una “sensibilità” alla sostanza. Dunque, la diagnosi avviene
semplicemente per esclusione.
«Questo disturbo - provoca sintomi clinici simili a quelli della sindrome dell’intestino irritabile come
dolore addominale, gonfiore e manifestazioni extraintestinali aspecifiche quali eczemi, prurito, cefalea
che solitamente insorgono a breve distanza dall’assunzione di glutine ed altrettanto rapidamente
regrediscono in seguito a una dieta ad esclusione.
Si pone però il problema che alcuni casi non siano correttamente diagnosticati».
Per verificare l’esatta origine della sintomatologia, dipendente cioè dall’ingestione di glutine e non da
altra causa, i pazienti dello studio sono stati sottoposti per tre settimane a una dieta gluten-free.
Passato questo periodo, l’alimento è stato reintrodotto “in cieco” (cioè solo in una parte casuale dei
pazienti contro del placebo nell’altra metà) con il risultato che il 26% tornava ad avere sintomi gravi.
«I risultati della ricerca – permettono di ipotizzare che questi pazienti potrebbero essere sottoposti a
una terapia esclusivamente basata sulla dieta, simile a quella per la malattia celiaca, con remissione
dei sintomi».
In caso di sensibilità al glutine una buona notizia c’è, perché la dieta è
ECCEZIONI alla REGOLA meno restrittiva: «Rispetto ai celiaci – chi soffre di sensibilità alla
sostanza, dietro consiglio del medico, potrebbe alternare periodi di astinenza a fasi in cui assumere
glutine». Insomma piccole concessioni, ma sempre con moderazione. (Salute, Corriere)
ERRORE DIAGNOSTICO
PAGINA 3
FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno IV – Numero 673
SCIENZA E SALUTE
MANGIARE LA PLACENTA, UNA MODA SENZA VANTAGGI,
POTENZIALMENTE DANNOSA
Alcune celebrities hanno lanciato il trend, ma non ci sono prove che prevenga la
depressione post partum o aumenti energia e lattazione. Anzi, sono possibili rischi
Mangiare la placenta dopo aver dato alla luce un bambino è
la nuova moda fra le celebrities d’oltreoceano
fra le più attive nel propagandare i benefici dell’ultima trovata, manco a dirlo, due delle onnipresenti
sorelle Kardashian, Kim e Kourtney, che su web e social network ne hanno decantato i benefici.
Ma questa idea “per stomaci forti” è stata criticata da una ricerca della Northwestern University
pubblicata sugli Archives of Women’s Mental Health:
PLACENTOFAGIA
gli autori non hanno trovato alcun reale motivo per spronare al
consumo di quest’organo e anzi sottolineano che potrebbe
perfino esporre a rischi.
Una moda nata per imitare gli animali
Le prime segnalazioni documentate della pratica risalgono agli anni ‘70 e nascono dall’osservazione
che praticamente tutti i mammiferi, uomo escluso, mangiano la placenta dopo il parto:
un’abitudine “delle origini” che secondo alcuni potrebbe quindi essere salutare e da riscoprire.
La moda si è diffusa ed è diventata sempre più popolare negli ultimi anni, sull’onda di celebrities non
troppo schizzinose che hanno rilanciato la pratica:
oltre alle Kardashian, anche attrici come January Jones o Alicia Silverstone hanno ammesso di aver
conservato la placenta per poi mangiarla.
Così quando la psichiatra Crystal Clark, autrice dello studio, ha iniziato a ricevere nel suo ambulatorio
sempre più donne che chiedevano se mangiare la placenta potesse interferire con le cure a base di
antidepressivi, ha pensato di vederci più chiaro. Scoprendo innanzitutto che le “placentofaghe” sono
tante, «Ben più di quante immaginassi. Così ho deciso di indagare la questione: ci sono segnalazioni
soggettive e occasionali in cui le donne riferiscono benefici, ma nessuna ricerca sistematica. Inoltre, i
dati raccolti sui topi non sembrano poter essere traslati all’uomo».
La Clark ha perciò rianalizzato tutti gli studi scientifici seri
condotti sull’argomento, su uomo e animale: pochi dati,
ma sufficienti a dimostrare che a oggi nulla sostiene
l’ipotesi che mangiare la placenta faccia bene.
Consumata cruda, cucinata o inserita in capsule da inghiottire,
 non previene la depressione post partum,
 non riduce il dolore,
 non migliora l’energia o la lattazione,
 non alimenta il legame mamma-bambino,
 non ripristina i livelli di ferro né favorisce l’elasticità cutanea evitando le smagliature.
Anzi, come sottolinea la psichiatra, «Non esistono evidenze certe che mangiare la placenta sia innocuo
e non comporti rischi: in fondo si tratta di un “organo-filtro” che serve anche per proteggere il feto da
tossine e inquinanti. Perciò la placentofagia potrebbe essere dannosa per la mamma e pure per il
bambino, se viene allattato al seno». (Salute, Corriere)
PAGINA 4
FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno IV – Numero 673
SCIENZA E SALUTE
NUOVA CURA PER LA VITILIGINE,
LA MALATTIA DI MICHAEL JACKSON
La somministrazione di un farmaco per l’artrite reumatoide può aiutare a
eliminare le macchie bianche della pelle. E’ ancora sperimentale, ma sembra
funzionare
Michael Jackson ci provava con una crema chiamata Porcelana,
raccontano le cronache. La pop star americana soffriva di vitiligine
e voleva «sbiancarsi» per coprire la malattia (che provoca la
comparsa di macchie «ipopigmentate» cioè bianche,
particolarmente visibili in chi ha la pelle scura).
Adesso alcuni ricercatori americani della
TOFACITINIB
Yale University di New Haven hanno
dimostrato che un farmaco, usato per
curare l’artrite reumatoide, può fare il contrario: non sbiancare, ma aiutare
le macchie bianche a ritrovare il colore naturale. Il farmaco si chiama
tofacitinib e la ricerca è pubblicata su Jama Dermatology.
La vitiligine è una patologia rara, non è contagiosa, ma è
RARA ma DEVASTANTE
psicologicamente devastante: mina l’immagine della persona.
Finora si può controllare con creme a base di cortisone o con terapie
che sfruttano la luce, ma con risultati non sempre soddisfacenti.
Ecco perché i ricercatori stanno cercando nuove soluzioni.
L’anno scorso Brett King, un dermatologo della Yale University ha dimostrato che il tofacitinib (una
molecola che inibisce certi enzimi chiamati Jak - approvato dall’Fda, l’ente americano per il controllo
sui farmaci, nell’artrite reumatoide appunto) può funzionare nell’alopecia areata: una malattia che
provoca la perdita di capelli in zone circoscritte del cuoio capelluto.
Artrite reumatoide e alopecia hanno un’origine (per la verità ancora non
AUTOIMMUNITA
chiara) che si rifà a una predisposizione genetica e all’autoimmunità (questo
’
significa che in certi casi il sistema immunitario dell’organismo produce
anticorpi che, invece di difenderlo contro aggressioni esterne, aggrediscono l’organismo stesso). Lo
stesso vale per la vitiligine.
Allora, si sono chiesti i ricercatori di Yale, perché non provare questo farmaco anche nella vitiligine che
ha la stessa origine?
Detto, fatto. I ricercatori hanno somministrato la medicina a una paziente di 53 anni con macchie di
vitiligine in tutto il corpo.
Dopo due mesi di trattamento la paziente ha mostrato una parziale
RIVOLUZIONE
“ripigmentazione” (cioè le macchie bianche si scurivano) sulla faccia, sulle
braccia e sulle mani.
Dopo cinque mesi queste macchie erano quasi sparite, ma ne rimanevano alcune sul resto del corpo.
Il farmaco non ha provocato effetti collaterali.
Il risultato è davvero interessante, ma avvertono gli autori, occorrono altri studi per stabilire la
sicurezza e l’efficacia della cura.
«Ma questo risultato – ha detto Brett King, uno degli autori dello studio – può davvero rivoluzionare il
trattamento di questa malattia».
(Salute, Corriere)
PAGINA 5
FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno IV – Numero 673
PREVENZIONE E SALUTE
ACNE? FORSE È UN ECCESSO DI VITAMINA B12
L’alterazione della flora causata da un eccesso della sostanza sarebbe una delle
cause del disturbo. L’alimentazione ha influenza: limitare carne, latte, uova, pesce
Il disturbo affligge più del 30% degli adolescenti tra i 14 i 18 anni. Un vero e proprio inestetismo che
nei casi più gravi può portare a notevoli ripercussioni sul piano psicologico.
Stiamo parlando dell’acne, una malattia della pelle di origine infiammatoria.
Pur essendo una patologia multifattoriale sempre più studi
indicano il microrganismo Propionibacterium acnes come uno
dei principali attori nella genesi del disturbo.
Ora, grazie ad uno studio ad opera dei ricercatori della
University of California, si è capito che in realtà il
microrganismo in questione è solo un tramite.
Il vero problema sembrerebbe risiedere nella vitamina B12.
Quando è in eccesso il batterio è stimolato a produrre molecole infiammatorie che portano
all’insorgenza dell’acne. I risultati sono stati pubblicati dalla rivista Science Translational Medicine.
ECCO COME LA VITAMINA INFLUENZA IL COMPORTAMENTO DEI BATTERI
Precedenti studi avevano indicato che la vitamina B12 gioca un ruolo importante nella comparsa
dell’acne.
Presente in molti alimenti il meccanismo con cui è in grado di accendere l’infiammazione è rimasto per
molto tempo sconosciuto.
Un mistero che gli scienziati statunitensi sono riusciti a decifrare analizzando il profilo di espressione
ECCESSIVE DOSI DI VITAMINA assunte con la dieta inducono il microrganismo a
secernere PORFIRINA, una molecola infiammatoria capace di indurre il disturbo.
dei geni di Propionibacterium acnes in individui con e senza acne.
Dalle analisi è emerso infatti che :
ANCHE L’ALIMENTAZIONE HA LA SUA INFLUENZA: I CIBI DA EVITARE
Alla luce di questi risultati – pur essendo ottenuti su un gruppo ristretto di partecipanti allo studiosecondo gli autori della ricerca un cambiamento nell’alimentazione potrebbe portare benefici nel
trattamento dell’acne.
L’idea è quella di evitare, soprattutto in quelle persone che tendono a sviluppare facilmente la
malattia, dosi in eccesso di vitamina B12 – presenti in:
 carne,
 latte,
 uova,
 pesce
 prodotti della pesca
(Salute, La Stampa)
PAGINA 6
FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno IV – Numero 673
Ordine dei Farmacisti della Provincia di Napoli
La Bacheca
ORDINE : DISLIPIDEMIE ED EVENTI CORONARICI:
INCIDENZA E APPROPRIATEZZA
Le malattie cardiovascolari risultano a tutt’oggi un’importante problematica di
sanità pubblica cui va rivolta grande attenzione.
Parlare di qualità delle cure significa parlare non solo di efficienza ed efficacia delle prestazioni ma
anche di qualità e sicurezza del servizio offerto. E' infatti aumentata la percezione sociale del problema
della medical malpractice e si è andata affermando una sempre maggiore attribuzione di
responsabilità civile e penale all'operatore sanitario.
La conoscenza e la gestione dei farmaci rappresentano una componente fondamentale del processo
assistenziale e comprende tutto il sistema attraverso i processi utilizzati dall'organizzazione per
assicurare un corretto trattamento ai pazienti.
Tale gestione deve essere intesa come un'attività coordinata e multidisciplinare, che coinvolge i
processi relativi alla conoscenza e monitoraggio delle terapie farmacologiche, alla selezione,
prescrizione e distribuzione. Questi sono stati i temi sviluppati nell’evento DISLIPIDEMIE ED EVENTI
CORONARICI: INCIDENZA E APPROPRIATEZZA che si è tenuto il 18 giugno presso il nostro Ordine
nell’ambito del Piano Formativo 2015.
L’evento, organizzato con il supporto non condizionante della Sigma Tau, azienda molto sensibile su
questi temi, e progettato dalla dott.ssa E. Feola ha visto la partecipazione attiva di tutti i partecipanti
che hanno mostrato un notevole interesse verso gli argomenti trattati da docenti molto qualificati.
ORDINE:Istituito un Sussidio per i Colleghi Iscritti
all’ALBO in Stato di Disoccupazione
Il Consiglio dell’Ordine al fine di offrire un sostegno economico agli iscritti all’Albo
che si trovino in stato di disoccupazione involontaria e in difficoltà economica, ha
approvato nel Consiglio del 19 Novembre 2014 uno specifico “Fondo di
solidarietà” messo a bilancio nel 2015.
Il Regolamento, consultabile sul sito istituzionale dell’Ordine, prevede per l’anno 2015 l’erogazione di
un sussidio nella misura massima di euro 150,00 pro capite in favore degli iscritti all’Albo che si
trovano da almeno 12 mesi inoccupati e che versano in difficoltà economiche.
Nel regolamento pubblicato sul sito sono chiariti:
 i requisiti per la partecipazione,
 l’importo del fondo di solidarietà
 le modalità di partecipazione.
L’istanza potrà essere presentata nel periodo dal 01 giugno al 30 settembre di ogni anno, corredata
da:
1. Domanda di accesso al Sussidio, in carta libera (v. allegato - sito istituzionale)
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