1 "La Scuola Italiana" dell`Astrattismo Maturo presentazione di
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1 "La Scuola Italiana" dell`Astrattismo Maturo presentazione di
"La Scuola Italiana" dell'Astrattismo Maturo presentazione di Riccardo Barletta Afro Alberto Magnetti Alberto Burri Enrico Prampolini Anche la societa' ha un'anima. L'insieme scomposto degli atti e la trama apparente degli eventi di un certo momento storico forma la sua anima. Segni complessi e difformi. Essi passano come il fiume di Eraclito, con acque che non ritornano mai piu' su se stesse. Pero' nella letteratura, nella musica, e nelle arti, questi segni rimangono: e con continuita' ci parlano per sempre, con voce accertata, dal loro silenzio. La bella mostra della Fondazione Matalon ne e' un esempio. Utile per una messa a punto in questo svoltare di millennio. Presenta un panorama scelto della pittura italiana anni 40 - 70 (in ordine di nascita: Magnelli, Licini, Prampolini, Soldati, Reggiani, Fontana; Capogrossi, Birolli, Corpora, Music; Aro, Burri; Vedova, Carmi, Consagra, Crippa, Scanavino, Arnaldo Pomodoro, Tancredi; Manzoni). Personalita' diverse, ricerche non convergenti. Eppure, con occhi d'oggi, ci rendiamo conto che contempliamo queste opere come dei classici. Ma fu cosi', ieri? Chi ha vissuto quel periodo sa che, sul piano storico, fu l'epoca che andava dal dopoguerra, alla guerra di Corea e al terrorismo, mentre nell'arte il conflitto si svolse tra figurativi e non-figurativi, tra astratti geometrici e astratti informali, tra sostenitori della pittura e sperimentatori di tecniche non tradizionali. Nell'arte fu una guerriglia di trincea. Mentre il minimo comun denominatore, unente tutti quanti gli artisti, fu l'opposizione ai passatisti, nonche' un sentimento di liberta' estetica e morale riconquistato. Certamente il Futurismo stava alle spalle: il primo futurismo troppo lontano perche' risalente agli annni Dieci, il secondo futurismo degli anni Trenta troppo debole e poi sbiadito. Cancellato dalla doppia coltre sia dell'arte di regime, sia dal perbenismo del "ritorno all'ordine" in funzione borghese. Dal 1945, per dirla breve, si volto' pagina. Pertanto la guerriglia del moderno avvenne in ordine sparso. Sostenuta dall'entusiasmo e da una lucida utopia. Fatta piu' di cuore che di cervello. La generazione ottocentesca - Magnelli, Licini, Prampolini, Soldati, Reggiani, Fontana - fu sicuramente la piu' spinta e risoluta. Quella che prese coraggiosamente sulle spalle la rottura col figurativo. Magnelli, Soldati e Reggiani attenti a predisporre la base di una sintassi solida e costruita, Prampolini e Fontana sperimentatori, nel concepire la traduzione dell'immagine in supporti materico - tattili scatenanti nuove flessioni di percezione. La generazione entro gli anni Dieci - Capogrossi, Birolli, Corpora, Music - implicata da una parte ad attuare la cerniera tra cubismo e astrattismo in Birolli e Corpora, e dall'altra a sbiadire la figurativita' nell'evocazione in Music; figurativita' che viene a sua volta oltrepassata del tutto in una segnicita' pura, e in un certo senso orgiastica, da Capogrossi. La generazione che conclude gli anni Venti - Afro, Burri, Vedova - travalca a sua volta la forma sezionata dal bisturi del cubismo nella forma sfrenatamente organica dell'informale. Questo lavoro precedente trova subito una piattaforma, uno zoccolo duro. Appare ancor più analiticamente approfondito, declinato in varie pulsioni "egoiche", in Carmi, Consagra, Crippa, Scanavino, Arnaldo Pomodore, Tancredi, la generazione nata negli anni Venti. Il passaggio provocatorio all'oggetto - visto come sfida alla societa' nonche' alla storia della pittura - appare poi il momento terminale. Il momento additato da Piero Manzoni, con la "merda d'artista". Bestemmia, in cui si cancellano la forma, lo stile, la pittura, la tradizione, nel gesto di Cambronne. Deflagrazione dei concetti autonomi di pittura e di Copyright © 2000-2007 Museo Fondazione Luciana Matalon Foro Buonaparte 67 20121 MILANO - P. Iva: 13165320154 1 scultura. Con occhi d'oggi, tutta questa produzione d'arte, messa a confronto, ci appare come un panorama consolidato e ricco di humus. Alberi diversi di una stessa foresta. Sta di fatto che vi si avvertono due cose, tipiche. La prima e' il senso della forma plastica, nella sua configurazione armonica, che mantiene una intima consistenza "architettonica", una sua gravita' interna e tattile. Coerenza a quella prevalente linea italica che concretamente dall'arte romana va al romanico, a Giotto e indotti, fino al Caravaggio. E cio' pure sui segmenti dell'astrazione o delle aperture spazialiste. La seconda cosa tipica e' un lirismo di base. Un lirismo mediterraneo, che esclude le inflessioni espressioniste e i masochismi d'oltralpe. Per cui anche le forme drammatiche stanno dentro a un habitat solare. Si tratta, in sintesi, di un astrattismo che puo' essere visto e apprezzato quale "scuola italiana". Momento di creativita' fondante. Stato di grazia che seppe accompagnare, stilisticamente, emotivamente, il passaggio di una società statica prevalentemente agricola a una società industrializzata. Soprattutto con Fontana. E' sua la folgorante intuizione tecnico-plastica che riusci', per cosi' dire, a sbirciare pur in tempi immaturi un altrove. Nell'alba della nuova configurazione epocale. Quella che sta attuandosi gradatamente proprio in questi nostri giorni. Le dimensioni dilatatissime e impescrutabili dello spazio-tempo. Perfettamente corretta appare, in questa mostra storica, l'introduzione di due opere (1961, 1970) di Luciana Matalon. Appartenente alla generazione successiva, benche' allora giovanissima, la Matalon dimostra non solo la continuita' di ispirazione rispetto all'astrattismo maturo di cui sopra si e' scritto - quello in Italia svoltosi negli anni Trenta, in effetti, puo' definirsi "astrattismo primitivo" - ma soprattutto svolge l'assunto lirico con perfetta congruenza. Si tratta di una prosecuzione della lezione dello spazialismo cosmico. Tramite una formativita' segnicamente ultrasensibile, per distillazione, l'autrice capta dell'astrattismo il succo simbolico. La proteina iconica. Quella che le acconsente di tradurre l'invisibile, spodestando i sembianti frusti del reale. Quindi permettendo lungimiranti viaggi dell'anima. RICCARDO BARLETTA Milano, 5 Marzo 2001 Copyright © 2000-2007 Museo Fondazione Luciana Matalon Foro Buonaparte 67 20121 MILANO - P. Iva: 13165320154 2 Comunicato Stampa tratto da Exhibart Uno dei principali obiettivi della Fondazione Matalon era quello di riuscire a divenire, nell’arco di poco tempo, uno dei luoghi più importanti del circuito culturale e figurativo milanese. A giudicare dagli esiti della prima mostra, la Scuola italiana dell’astrattismo maturo, tale scopo appare pienamente raggiunto. Infatti, oltre a possedere una sede espositiva di grande impatto e originalità, la Fondazione Matalon è riuscita nell’intento di raccogliere alcuni autentici capolavori di artisti italiani contemporanei oramai consacrati a livello mondiale. Burri, Fontana, Manzoni, Vedova, Crippa, Birollli, Capogrossi sono solo alcuni dei nomi presenti nella rassegna, a dimostrazione dello straordinario fervore culturale che animava la scena italiana (e milanese in particolare) alla fine della Seconda Guerra Mondiale : gli ultimi bagliori, peraltro alquanto sbiaditi, del futurismo insieme alla ricerca post cubista si innestarono nella grande esperienza dell’action painting americano, regalando al nostro paese una serie di nomi che solo oggi vengono prepotentemente rivalutati (il caso di Alfredo Chighine è emblematico). Inoltre, ed è quello che rende la ribalta milanese così stimolante, ognuno di questi maestri segue una strada assolutamente personale, un percorso figurativo originale che rende difficile qualsiasi paragone tra le diverse scelte espressive. Eppure questi “alberi della stessa foresta” hanno un humus comune, un approccio all’oggetto artistico che li accomuna : “sta di fatto che vi si avvertono due cose, tipiche. La prima è il senso della forma plastica, nella sua configurazione armonica, che mantiene una intima consistenza architettonica, una sua gravità interna tattile [...]. La seconda è un lirismo di base. Un lirismo mediterraneo che esclude le inflessioni espressioniste e i masochismi d’oltralpe ; per cui anche le forme drammatiche stanno dentro ad un habitat solare” (R. Barletta). E’ dunque evidente che siamo di fronte ad un movimento culturale che fu di straordinaria importanza per le generazioni di artisti dei tardi anni sessanta e primi anni settanta. Un movimento culturale che, giustamente, la Fondazione Matalon, eleva definitivamente ( e finalmente...) a scuola pittorica. Copyright © 2000-2007 Museo Fondazione Luciana Matalon Foro Buonaparte 67 20121 MILANO - P. Iva: 13165320154 3 BIOGRAFIA DEGLI ARTISTI AFRO BASALDELLA (Afro-Libio, detto Afro) Udine 1912- Zurigo 1976 Dopo la morte del padre, pittore e decoratore, compie i primi studi a Venezia e a Firenze. Si diploma in pittura a Venezia (1931). Nel 1928 con i fratelli Mirko e Dino e con A. Filipponi espone alla I Mostra della Scuola friulana d'avanguardia (Udine, ottobre), e l'anno seguente alla XX Esposizione dell'Opera Bevilacqua La Masa (Venezia). Sempre nel 1929 vince una borsa di studio della Fondazione Marangoni, grazie alla quale può recarsi a Roma, dove incontra Scipione, Mario Mafai e Corrado Cagli. Nel 1932 trascorre un periodo a Milano, frequentando con il fratello Mirko lo studio di Arturo Martini. Nel 1933 espone a Milano alla galleria del Milione . Tra il 1934 e il 1935 è a Roma, vicino a Cagli e al "tonalismo" da lui interpretato con accenti che si riallacciano alla pittura veneta. Nel 1936 si cimenta in un ciclo di affreschi per il collegio dell'Opera Nazionale Balilla di Udine (distrutti poco tempo dopo), una delle imprese in cui si esprime la vocazione architettonica della pittura tonale (cfr C. Cagli , Muri ai pittori, in "Quadrante", maggio 1933). Nel 1937 a Parigi collabora con Cagli alle vaste decorazioni per l'Esposizione internazionale. Si interessa alla pittura impressionista e cubista.E’ del 1937 una importante personale alla Galleria della Cometa di Roma: Libero de Libero, presentandolo in catalogo, esalta la matrice veneta del suo acceso colorismo. Nel 1938 esegue degli affreschi a Rodi (villa del Profeta e Albergo delle Rose) e a Udine (casa Cavazzini). Nel 1939 partecipa alla III Quadriennale di Roma ed espone con Mirko a Torino (galleria della Zecca) e a Genova (galleria Genova). Nello stesso periodo la sua attività di pittore-decoratore si esplica in alcune mostre romane dedicate a temi sociali e "autarchici" :Maternità e infanzia, del Tessile, del Minerale (le opere, eseguite a tempera su pannelli, sono andate perdute). Alle soglie della guerra, Afro partecipa al clima di rinnovamento che si esprime nell'attività di e nelle varie edizioni del Premio Bergamo .Le opere del periodo 1940-’42 (le nature morte, le Rovine e i quadri di figura) vivono in una dimensione più interiore ed evocativa, le superfici tonali si stemperano e si frantumano in una sorta di impressionismo della memoria. Dal 1941 alla fine del conflitto Afro è a Venezia, dove insegna mosaico all'Accademia . Realizza i cartoni per i mosaici del palazzo dei ricevimenti dell'E42 (Roma-EUR). Nelle opere successive al 1943 si manifesta una tendenza alla sintesi lineare e coloristica, in sintonia con la nuova attenzione italiana per il linguaggio cubista e postcubista. Questo periodo di ricerche, durato fino a tutto il 1947, fu la premessa della sua produzione postbellica che sfocerà nell’Informale. Decisivo nella formazione del suo linguaggio astratto fu anche il lungo soggiorno compiuto negli Stati Uniti (1950). ARNALDO POMODORO Arnaldo Pomodoro, nato a Morciano di Romagna nel 1926, è stato insignito fra le tante onorificenze ricevute, anche della laurea honoris causa conferitagli dall'Università di Dublino e del premio Ubu assegnatogli per la scenografia dell'opera di Koltes, "Nella solitudine dei campi di cotone", nel '92. Russia, Stati Uniti, Giappone, Australia: le sculture dell'artista si trovano nelle piazze di città come Milano, Copenaghen, Brisbane, davanti al Trinity College di Dublino, Los Angeles, Roma (nel cortile della Pigna dei Musei Vaticani) o Mosca (di fronte al palazzo della Gioventù). Le sue celeberrime "sfere", notissime tra il grande pubblico, si trovano sempre a Roma, davanti alla Farnesina, a New York e a Pesaro, città nella quale l'artista ha trascorso tutta la sua gioventù. Della cospicua produzione del Maestro Pomodoro fanno parte anche le "Colonne", prologo naturale dell'obelisco di Terni, collocate all'interno dei giardini reali di Honolulu e a Copenaghen. BIROLLI RENATO (Verona, 1905 - Milano, 1959) Nasce a Verona nel 1905 da famiglia operaia e si forma nell'ambiente cittadino, frequentando brevemente anche l'accademia d'arte Cignaroli dalla quale viene espulso. Nel 1928 entra nella redazione Copyright © 2000-2007 Museo Fondazione Luciana Matalon Foro Buonaparte 67 20121 MILANO - P. Iva: 13165320154 4 dell'"Ambrosiano" come correttore di bozze. L'ambiente del giornale lo mette in contatto con il mondo artistico contemporaneo, favorisce la conoscenza con Persico. Nel 1931 dipinge la sua prima opera "nuova", il San Zeno pescatore che esporrà poi alla galleria del "Milione" accanto ad opere di Sassu e Manzù. Inizia in quegli anni anche l'attività di critico, collaborando con vari giornali. Nel 1936 va a Parigi, dove incontra Lionello Venturi. Nel 1938 partecipa attivamente alla nascita di "Corrente" che segna un momento di stasi nell'attività artistica di Birolli che dipinge pochissimo, ma si impiega attivamente nella resistenza e si dedica alla stesura di centinaia di disegni molti dei quali destinati ad illustrare fogli di propaganda antifascista e l'Unità clandestina. Terminata la guerra, promuove la fomdazione della Nuova Secessione Artistica (1946) che nell'anno seguente prende il nome di Fronte Nuovo delle Arti. Nel 1950 entra a far parte del Gruppo degli Otto legato a Lionello Venturi. Soggiorna lungamente alle Cinque Terre, località tutte che segneranno precisi momenti nella sua produzione artistica. Sono gli anni che vedono anche la sua presa di posizione polemica con le tendenze realistiche della cultura ufficiale del P.C.I. al quale sta passando la cultura italiana di sinistra. La diretta conoscenza della contemporanea arte americana segna una precisa reazione da parte di Birolli, come dimostrano le ultime opere realizzate prima dell'improvvisa scomparsa avvenuta il 3 maggio 1959. ALBERTO BURRI Alberto Burri nasce a Città di Castello (Perugia) il 12 marzo 1915. Si laurea in medicina nel 1940. Quale ufficiale medico è fatto prigioniero degli alleati in Tunisia nel 1943 e viene inviato nel campo di Hereford, Texas. Qui comincia a dipingere. Tornato in Italia nel 1946, si stabilisce a Roma e si dedica alla pittura. Nel '47 e '48 tiene le prime personali a Roma (Galleria La Margherita). Nel 1951 partecipa alla fondazione del gruppo "Origine" con Ballocco, Capogrossi, Colla, e l'anno successivo espone, alla Galleria dell'Obelisco, Neri e Muffe. Dal 1950 assumono rilievo i Sacchi, fino a predominare nelle mostre personali che, dopo Roma, si tengono oramai anche in varie città americane ed europee: Chicago, New York, Colorado Springs, Oakland, Seattle, San Paolo, Parigi, Milano, Bologna, Torino, Pittsburgh, Buffalo, San Francisco. Al volgere del sesto decennio, nei successivi appuntamenti con il pubblico (Venezia, Roma, Londra, New York, Bruxelles, Krefeld, Vienna, Kassel) appaiono i Legni, le Combustioni, i Ferri. Agli inizi degli anni sessanta si segnalano in successione ravvicinata, a Parigi, Roma, L'Aquila, Livorno, e quindi a Houston, Minneapolis, Buffalo, Pasadena, le prime ricapitolazioni antologiche che, con il nuovo contributo delle Plastiche, diverranno vere e proprie retrospettive storiche a Darmstadt, Rotterdam, Torino e Parigi (1967-1972). Gli anni '70 registrano una progressiva rarefazione dei mezzi tecnici e formali verso soluzioni monumentali, dai Cretti (terre e vinavil) ai Cellotex (compressi per uso industriale), mentre si susseguono le retrospettive storiche: Assisi, Roma, Lisbona, Madrid, Los Angeles, San Antonio, Milwaukee, New York, Napoli. In anni recenti Burri realizza complessi organismi ciclici, a struttura polifonica. Il primo è stato Il Viaggio, presentato a Città di Castello nel 1979 e passato l'anno successivo a Monaco di Baviera, poi Orti a Firenze nello stesso '80, Sestante a Venezia (1983) e Annottarsi (‘85 e ‘87-’88), che inizia da Roma la presentazione in varie città europee. A Città di Castello dal 1981 è esposta in permanenza a Palazzo Albizzini una scelta selezione di opere, omaggio di Burri alla sua città. Nell'84, per inaugurare l'attività di Brera nel settore del contemporaneo, Milano ospita una esaustiva mostra di Burri. La fortuna critica del pittore si intreccia strettamente da un lato con le reazioni-contrasto relative alla divulgazione della sua opera, sempre in rapporto ad una diversa evoluzione del gusto secondo la cultura di fondo dei vari paesi europei ed americani, dall'altro con le approssimazioni ed i tentativi della critica di rapportarne il significato e le motivazioni alle pseudo-categorie divulgate di uso internazionale: art brut, informale, concettuale, etc. In questa logica, i quotidiani e i periodici d'informazione finiscono per registrare, dagli anni cinquanta ad oggi, un'esemplare mutazione del gusto di massa, dalla ripulsa scandalizzata alla accettazione curiosa, all'accettazione motivata, all'esaltazione acritica. In concreto la linea portante della lettura critica passa sostanzialmente attraverso i testi sollecitati dalle mostre e attraverso i saggi ospitati da riviste specializzate. È significativo che le prime assonanze venissero da voci di poeti (L. De Libero, L. Sinisgalli, Alberto Burri, Roma, 1947; E. Villa, Burri, Roma, 1963; J.J. Sweeney, Burri, Roma, 1955). Sweeney, dopo aver accolto l'opera di Burri in una selezione al Guggenheim Museum (Younger European Painters, New York, 2 dic. 1953 - 21 feb. 1954), ne illustrava il Copyright © 2000-2007 Museo Fondazione Luciana Matalon Foro Buonaparte 67 20121 MILANO - P. Iva: 13165320154 5 lavoro in un saggio monografico (Burri, Roma, 1955), lo presentava alla VII Quadriennale di Roma nello stesso anno e vi ritornava con appassionata e lucida partecipazione in occasione della mostra itinerante del '57-'58 (Paintings by Alberto Burri, Carnegie Institute, Pittsburgh, 1957) e della Biennale veneziana del '58. Saranno sempre esponenti della critica internazionale a seguire il processo espositivo e divulgativo dell'opera di Burri (J.P. Byrnes, The Collages of Alberto Burri, Colorado Springs, 1955, Seattle, 1956; M. Tapié, Burri et César, Parigi, 1956; A. Pieyre de Mandiargues, Alberto Burri, Milano, 1957; E. Vietta, Alberto Burri, Basilea, 1959; P. Wember, Alberto Burri, Krefeld e Vienna, 1959; H. Read, Alberto Burri, Londra, 1960), mentre la critica italiana sembra accorgersi di questo outsider nel momento stesso in cui se ne verifica l'accettazione accademica nell'ambito del museo e nelle "rappresentative" dell'arte attuale. Pagine appassionate gli dedica Arcangeli (Opere di Alberto Burri, Bologna, Torino, 1957); Argan ne presenta la prima retrospettiva (Burri, Bruxelles, 1959) e la personale alla XXX Biennale di Venezia (1960). I primi approfondimenti storici sono di Calvesi, (Alberto Burri, in "Quadrum", n. 7, Bruxelles, 1959) e di Crispolti (Mostra antologica, opere dal 1948 al 1955, Roma, 1961; Alternative Attuali, Omaggio a Burri, L'Aquila, 1962). Gli anni sessanta vedono convergere sull'artista attenzioni e consensi importati a svariate giustificazioni critiche e metodologiche, nel tentativo di inquadrare in sistemi generali le motivazioni contenutistiche e formali. Si segnalano in tal senso gli apporti di Brandi, culminati, dopo la presentazione di una mostra nel '62, in un'ampia e documentatissima monografia (Burri, Roma, 1963, contributi al catalogo generale di V. Rubiu) con motivi ripresi in successive occasioni (Assisi, 1975, Napoli, 1978). Dopo quella sintesi ufficiale e nuove stimolanti prospettive di indagine proposte da Calvesi (Alberto Burri, Milano, 1971), saranno ancora le esposizioni, tematiche o retrospettive, a stimolare il lavoro esegetico degli ultimi due decenni, dal contributo, ancora una volta, di Sweeney (Houston, 1963) alla retrospettiva storica di Brera ed alle personali in varie città europee: H.G. Sperlich, B. Krimmel, Alberto Burri, Darmstadt, Rotterdam 1967; A. Passoni, Alberto Burri, Torino, 1971; J. Leymarie, Alberto Burri, Roma, Parigi, 1972; M. Calvesi, Alberto Burri, Disegni, tempere e grafiche, Pesaro, 1976; B. Mantura, G. de Feo, Alberto Burri, Roma, 1976, Madrid, Lisbona, 1977; G. Nordland, Alberto Burri a retrospective view 1948 - 1977, Los Angeles, 1977, San Antonio, Milwaukee, New York, 1978; R. Causa, G.C. Argan, Alberto Burri, Napoli, 1978; N. Sarteanesi, E. Steingräber, Alberto Burri, Il Viaggio, Città di Castello 1979 e Monaco di Baviera 1980; V. Bramanti, Alberto Burri, Firenze, 1980, Jan Butterfield, Umbrian echoes and alchemical implications, Palm Springs, 1982; G.C. Argan, Burri-Sestante, Venezia, 1983; C. Pirovano, Burri, Milano, 1984; G. Fournet, P. Falicon, D. Abadie, Alberto Burri, Rosso e Nero, Nizza, 1984; J. Leymarie, La poétique de la matière, Parigi, 1985. Sintesi veloci dell'opera complessiva di Burri, variamente orientate sotto il profilo critico, sono state offerte in agili monografie da V. Rubiu (Alberto Burri, Torino, 1975), da F. Caroli (Burri, Milano, 1979), da S. Lux (Alberto Burri dalla pittura alla pittura, Roma, 1984) e da G. Serafini (Burri, Firenze, 1991). Nel 1989 la Fondazione Palazzo Albizzini acquisisce gli Ex Seccatoi del Tabacco, complesso di capannoni industriali destinati fino agli anni Sessanta all'essiccazione del tabacco. Queste architetture irripetibili, di insolita grandezza, completamente dipinte di nero all'esterno per desiderio di Burri, sono state così trasformate in una gigantesca scultura, contenitore ideale per i grandi cicli pittorici come Il Viaggio, Orsanmichele, Sestante, Rosso e Nero, Annottarsi, Non Ama il Nero. Queste ed altre numerose opere, tra cui le tre sculture Grande Ferro Sestante, Grande Ferro K, Ferro U, collocate all'ingresso degli Ex Seccatoi del Tabacco, sono state donate dall'artista a Città di Castello per completare il primo nucleo collocato a Palazzo Albizzini. Nel 1990 la Fondazione Palazzo Albizzini ha pubblicato un amplissimo volume con la documentazione relativa a circa 2000 opere dell'artista (Burri contributi al Catalogo Sistematico). Sempre nel 1990, Burri espone in una galleria privata di New York (Salvatore Ala Gallery) il ciclo Palm Springs, 11 grandi cellotex del 1982. Segue la mostra "Perielio: Burri-Saffo" all'Istituto Italiano di Cultura in Atene. Nello stesso anno, la galleria Sapone di Nizza espone alla F.I.A.C. di Parigi una serie di Cellotex e la scultura "Grande Ferro R" viene installata al Palazzo delle Arti e dello Sport "Mauro De André" di Ravenna. Nel 1991 una grande retrospettiva, organizzata dalla Pinacoteca Nazionale di Bologna, è allestita a Palazzo Pepoli Campogrande di Bologna, ove vengono esposte per la prima volta le opere di piccolissimo formato. La mostra prosegue poi per Locarno, ospitata nella Pinacoteca Comunale Casa Rusca. Contemporaneamente il Castello di Rivoli presenta 20 Cellotex inediti. Sempre nel 1991 Burri espone alla Mixografia Gallery di Los Angeles. Nel 1992 viene presentato al pubblico il ciclo Metamorfotex agli Ex Seccatoi del Tabacco di Città di Castello. Con Copyright © 2000-2007 Museo Fondazione Luciana Matalon Foro Buonaparte 67 20121 MILANO - P. Iva: 13165320154 6 l'occasione la Fondazione Palazzo Albizzini presenta il catalogo degli Ex Seccatoi del Tabacco, con bibliografia aggiornata. Nuovamente la Galleria Sapone di Nizza propone opere di Burri alla F.I.A.C. di Parigi al Grand Palais, questa volta con quadri dal 1949 al 1992. La Galleria delle Arti di Città di Castello ospita una mostra di grafica. La Obalne Galerije di Pirano e la Moderna Galerija di Lubiana espongono una retrospettiva di opere grafiche (dal 1962 al 1981) tra il 1992 e il 1993. Nel 1993 presso gli Ex Seccatoi del Tabacco viene aperto al pubblico un nuovo ciclo, dal titolo Il Nero e l'Oro, che consta di 10 Cellotex. Nello stesso anno viene realizzata per Faenza un'opera in ceramica di grandi dimensioni, che porta lo stesso titolo, collocata al Museo Internazionale delle Ceramiche, dono dell'artista alla città. Sempre nel 1993 presso il Museo delle Genti d'Abruzzo di Pescara vengono esposte le opere grafiche del Maestro. Nel 1994 Burri partecipa alla mostra The Italian Metamorphosis 1943-1968 presso il Solomon R. Guggenheim Museum di New York. Dall' 11 maggio al 31 giugno '94 presso la Pinacoteca Nazionale di Atene viene presentato il ciclo Burri il Polittico di Atene, Architetture con Cactus, che verrà esposto in seguito presso l'Istituto Italiano di Cultura di Madrid (1995). Il 10 dicembre 1994 viene celebrata la donazione di Burri agli Uffizi, che comprende un quadro Bianco Nero del 1969 e tre serie di grafiche datate 1993-94. Alberto Burri Muore a Nizza il 13 febbraio 1995. GIUSEPPE CAPOGROSSI Roma, 1900-1972 Il padre, Guglielmo, appartiene a un'antica e nobile famiglia romana, quella dei conti Capogrossi Guarna. La madre, Beatrice Tacchi Venturi proviene da una famiglia originaria di San Severino Marche. Una figura determinante per l'artista è costituita da un fratello della madre, Pietro Tacchi Venturi, segretario generale della Compagnia del Gesùe e un noto storico delle religioni. Terminati gli studi classici, nel 1918 combatte sull'Adamello (Trentino). Nel 1922 conseguita la laurea in giusriprudenza lo zio gesuita lo introduce nello studio professionale di Giambattista Conti, affreschista e grafico. Qui ricopre il ruolo di apprendista, ma nello stesso tempo disegna e dipinge dal vero composizioni di oggetti, ritrae compagni di lavoro ed esegue copie dai grandi maestri (Michelangelo, Piero della Francesca). Nel 1923 passa nella Scuola di Nudo di Felice Carena, a Roma tra le più accreditate. Qui dipinge nature morte e ritratti femminili e diventa amico del giovane pugliese, Emanuele Cavalli. Intorno al 1925 frequenta la Casa d'Arte Bragaglia. Esordisce nel 1927 in una personale insieme a Cavalli e Francesco Di Cocco organizzata nell' hotel Dinesen. Vi espone opere di piccolo formato: un Autoritratto (acquistato con ogni probabilità da Emanuele Fiano), qualche paesaggio e alcune vedute di Roma. Tra il 1927 e il 1931 compie ripetuti soggiorni a Parigi, dei quali purtroppo manca una ancora una sufficiente documentazione. Nel 1930 è ammesso alla XVII Esposizione Biennale Internazionale d'Arte di Venezia. Nel 1931 stringe un sodalizio con Cavalli, esteso di lì a poco anche a Corrado Cagli. Nel 1932 alla III Mostra del Sindacato Regionale Fascista Belle Arti del Lazio espone sette quadri, tra cui Arlecchino (1931), Donna con velo (1931), che risentono ancora dei suoi studi parigini (gli impressionisti, Picasso, André Derain). Il nuovo sodalizio è appoggiato da Pier Maria Bardi, direttore della Galleria di Roma. Qui nel 1932 espone insieme a Cavalli e Cagli. Agli inizi del 1933 a Milano Capogrossi e gli altri due sodali espongono come "Gruppo dei nuovi pittori romani" nella Galleria del Milione, epicentro dell'Astrattismo italiano. In ottobre decidono di stilare il Manifesto del Primordialismo Plastico, ma in seguito a divergenze teoriche e pratiche sciolgono il sodalizio. In dicembre a Parigi tuttavia prende parte nella Galerie Jacques Bonjean a l"'Exposition des Peintres Romains" con Capogrossi, Cavalli, Cagli e Sclavi, presentati da Waldemar George come "Ecole de Rome". Nel 1935 a Roma alla II Quadriennale d'Arte Nazionale espone un gruppo di opere tra cui Ritratto del pittore Paladini (1933), Giocatore di ping-pong (1933; Roma, collezione Galleria Comunale d'Arte Moderna), Ritratto (1934 circa; Roma, collezione Galleria Nazionale d'Arte Moderna) e Piena sul Tevere (1934) tra i suoi capolavori del periodo tonale. La critica lo riconosce tra i protagonisti del rinnovamento della pittura romana. Nel 1937 è presente in tre mostre internazionali: nel 'The 1937 International Exhibition of Paintings" di Pittsburgh (Ballo sul fiume vince il secondo premio), nell"'Anthology of Contemporary Italian Painting" della Cometa Art Gallery di New York e una rassegna di arte italiana nell'Akademie der Kunste di Berlino. Nel 1939 ha una sala personale alla III Quadriennale di Roma. Nel 1942 vince un premio al IV Premio Bergamo con il dipinto Ballerina.In questi anni nella sua pittura, riflettendo anche su Cézanne, avvia una Copyright © 2000-2007 Museo Fondazione Luciana Matalon Foro Buonaparte 67 20121 MILANO - P. Iva: 13165320154 7 trasformazione per cui il colore si accende nelle gamme dei rossi, viola e arancio, mentre la pennellata si anima. Nel 1946 inaugura nella Galleria San Marco la sua prima personale: una nutrita rassegna di opere dal 1927 al 1946. Dal 1947 soggiorna ripetutamente in Austria, nei pressi di Lienz, dove disegna cataste di legna, che gli suggeriscono forme sempre più geometrizzate. Nel 1948 alla XXIV Biennale di Venezia presenta Le due chitarre (1948; Roma, collezione Galleria Nazionale d'Arte Moderna), frutto della nuova fase neocubista. Nel 1950 a Roma con grande scandalo della critica esordisce con la nuova produzione astratta nella Galleria del Secolo.. Nel 1964 Capogrossi dichiarerà di essere semplicemente in una fase più avanti del figurativo, in cui le forme naturali non sono più imitate ma assimilate. Negli anni del dopoguerra le sue ricerche sul segno lo affermeranno come uno dei maggiori esponenti dell’Informale in campo internazionale. Nel 1974, dopo che l'artista ha distrutto o riutilizzato diverse tele figurative, la Galleria Nazionale d'Arte Moderna può allestire un'antologica dell'intera sua attività. Bibliografia: G. C. Argan, M. Fagiolo, Capogrossi, Roma 1967; B. Mantura, Capogrossi, catalogo della mostra, con una introduzione di P. Bucarelli, Roma 1974; Capogrossi: Gouaches Collages Disegni, con uno scritto di G. C. Argan e una nota introduttiva di G. Capogrossi, Milano 1981; Capogrossi fino al 1948, catalogo della mostra, a cura di B. Mantura e con la collaborazione di G. Capogrossi, P. Rosazza e F. R. Morelli, Roma 1986, con bibliografia fino al 1948; F.R. Morelli, Avvio di Capogrossi all’arte, in "Idea", dicembre 1987; Scuola Romana. Artisti tra le due guerre, catalogo della mostra a cura di M. Fagiolo e V. Rivosecchi e con la collaborazione di F. R. Morelli, Milano 1988 EUGENIO CARMI Eugenio Carmi nasce a Genova nel 1920. Studia a Torino sotto la guida di Felice Casorati e si applica a lungo nel campo della grafica. Fra le tappe principali del suo percorso artistico si ricorda la partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1966, a partire dalla quale sviluppa una linea sperimentale esemplificata nelle opere elettroniche presentate alla mostra "Superlund" (1967) curata da Pierre Restany a Lund, in Svezia, o nel "Carm-o-matic" esposto a "Cybernetic Serendipity" a Londra (1968). Successivamente realizza programmi sperimentali per la Rai, tiene seminari d'arte visiva al Rhode Island Institute of Design di Providence, negli Stati Uniti, insegna all'Accademia di Belle arti di Macerata e Ravenna. Famose sono le illustrazioni per le favole di Umberto Eco pubblicate in tre volumi in Italia e all'estero. Prima di approdare alla XIII Quadriennale di Roma "Proiezioni 2000", tiene importanti esposizioni a Milano (1990), Budapest (1992), Lussemburgo (1997, in occasione del semestre lussemburghese di presidenza UE), Amburgo (1998), Barcellona e Los Angeles (1999). PIETRO CONSAGRA Pietro Consagra, uno dei più importanti scultori internazionali, é nato a Mazara del Vallo (Trapani) nel 1920. Stabilitosi a Roma nel 1944 é stato tra i fondatori del gruppo Forma nel 1947. La presenza della frontalità e del punto di vista unico si manifesta nella sua scultura nel 1948 e diviene una scelta teorizzata nei primi Colloqui del 1952. Nel 1960 vince il Gran premio internazionale per la scultura alla Biennale di Venezia. Nel 1968 nelle Sottilissime e nella La Città Frontale propone la bifrontalità e in seguito la serie delle Muraglie (1976), degli Addossati (1976), delle Interferenze (1985), delle Sibilline (1990), delle Porte e delle Facciate. Le sue opere sono nei principali musei europei e americani. Autore di numerosi saggi sull'arte, vive e lavora a Roma e a Milano. ANTONIO CORPORA Antonio Corpora è nato a Tunisi il 15 agosto 1909. Dopo aver frequentato la scuola delle Belle Arti della città natale, si recò a Firenze dove tenne una mostra personale nel 1930. Nello stesso anno si recò a Parigi e da allora è stato continuamente in contatto con gli artisti dell'avanguardia internazionale. Conobbe nel 1934 i pittori non figurativi che si raccoglievano intorno alla galleria del Milione a Milano e dall'estero partecipò attivamente, con articoli e mostre allo sviluppo del gusto astratto. Nel 1939 tenne una mostra personale nella stessa galleria del Milione. In Italia, nel dopoguerra, Corpora fu in prima linea nella battaglia per il rinnovamento del linguaggio pittorico: Copyright © 2000-2007 Museo Fondazione Luciana Matalon Foro Buonaparte 67 20121 MILANO - P. Iva: 13165320154 8 nel 1945, a Roma, fu tra i fondatori di quel gruppo neocubista che tra i primi propose in termini polemici la necessità di uno sganciamento dai moduli troppo vieti della pittura precedente e che fu soprattutto un movimento di energica opposizione a quella che era stata l'arte del cosiddetto "Novecento Italiano". Nel 1947 fece parte del "Fronte nuovo delle arti" e nel 1952 espose a Venezia nel gruppo degli Otto Pittori Italiani, il gruppo, cioè, che raccogliendo per la prima volta le esperienze della pittura del dopoguerra, creava una ben definita tendenza e si sviluppava in un orientamento sicuro e deciso. Va precisato tuttavia che, pur nella comunanza di idee, la sua inquieta personalità e l'originalità della sua ricerca mal sopportavano le costrizioni dei raggruppamenti, essendo per temperamento pronto a raccogliere ogni suggerimento ed a svilupparlo immediatamente secondo le necessità della sua tematica. Intuito il valore delle ricerche informali puntò decisamente verso quelle soluzioni che, per essere prodotte da nuove esigenze, di condizione e di linguaggio, giungevano a creare quella che fu definita "un art autre". Ma "l'autre" di Corpora ha conservato un principio morale, per cui l'artista non intende dimenticare il rapporto che esiste tra la sua individualità e la società l'automatismo è proiettato nella sfera logica di un ordine mentale. Da "altre" necessità quindi, ad "altre" ancora, in un superamento continuo di ogni modulo che è indice di vitalità e, soprattutto, di capacità creativa originale. Da tempo la sua arte non ha parentele con l'informale, proiettata come è in uno spazio-tempo mentale. Le opere esposte alla XXXIII Biennale di Venezia sono il risultato luminoso di una grande personalità. Corpora è stato premiato alla Biennale di Venezia nel 1948, 50, 52, 56, Alla Quadriennale di Roma del 1955; ottenne nel 1951 il Premio Parigi. Primo premio alla Biennale Romana nel 1968. Ha esposto nelle pi importanti rassegne d'arte internazionali, in Italia e all'estero. ROBERTO CRIPPA (Monza, 1921 - Bresso, 1972) si diploma presso l'Accademia di Brera nella sessione 1947/1948 sotto la guida di Aldo Carpi, Carlo Carrà e Achille Funi. In questi anni, quelli del secondo dopoguerra, a Milano sorgono correnti artistiche di diversa matrice linguistica che testimoniano il clima di fermento culturale e di apertura verso l'Europa. E' un'umanità che reagisce all'epoca di chiusura dittatoriale e dà libero sfogo alle proprie forze di rinnovamento. E' una città che risponde all'offesa dei bombardamenti con l'ansia di ricostruire per riprendere il flusso di vita interrotto. Si trovano così vicini, nel tempo e nello spazio, movimenti artistici di diversa qualità estetica: il M.A.C. (Movimento per l'Arte Concreta), alla ricerca della forma pura, estranea ad ogni forma di imitazione o di legame col mondo esterno; il Movimento Spaziale capeggiato da Lucio Fontana, pronto a valersi delle conquiste scientifiche e tecnologiche per sconfinare i limiti fissati dal quadro o il Movimento Nucleare dei primi anni Cinquanta in netto contrasto con l'astrattismo geometrico e a favore di una fenomenologia dei processi atomici. In tale contesto culturale, così diversificato nelle proposte, risultano comprensibili le difficoltà di orientamento e le incertezze che può incontrare un giovane artista. E' il caso di Roberto Crippa che nella fase iniziale del suo percorso artistico, dopo aver sperimentato un linguaggio post-cubista di tipo picassiano, testimone dell'impegno di apertura al clima internazionale, attraversa un periodo in cui due diverse tendenze espressive sembrano convivere: una pittura astratto-geometrica e un'altra informale di tipo gestuale si accavallano senza un chiaro sviluppo temporale. Se la prima è in sintonia con i precetti del M.A.C., la seconda non è insensibile all'Action Painting di Jackson Pollock, presente alla Biennale di Venezia del '48 e del '50, né alle dichiarazioni spazialiste dei primi manifesti. La scelta a favore di quest'ultimo orientamento è segnata dall'adesione di Crippa al terzo manifesto spazialista del 1950: Proposta di un regolamento. Qui si ribadisce l'importanza del mezzo tecnologico e dello sviluppo dell'opera d'arte in senso spaziale. In questa prospettiva si inserisce il motivo della spirale, con cui l'autore esperisce la superficie della tela in termini dinamici: il motivo orbitale mai perfettamente circolare, dà luogo a un'infinita morfologia di linee in grado di verificare la presenza dello spazio in tutta la sua estensione, spesso varcando i confini imposti dal quadro. Il "moto spaziale" trascende così la dimensione fisica dell'opera d'arte prefigurando, nella prosecuzione ideale delle linee, una dimensione mentale dello spazio. In un simile campo d'azione alla libertà gestuale della mano segue l'azione liberatoria dell'artefice che dà sfogo alle proprie pulsioni creative grazie all'automatismo impresso ai movimenti ellissoidali, senza per questo venir meno a Copyright © 2000-2007 Museo Fondazione Luciana Matalon Foro Buonaparte 67 20121 MILANO - P. Iva: 13165320154 9 una lucida tecnica esecutiva. Le linee si snodano senza sbavature in percorsi solo in apparenza dettati dal caso per giungere a una peculiare identità compositiva. Il lavoro di Crippa è presieduto da un sottile senso dell'ordine e da una regia attenta ai valori pittorici legati alla forma e al colore: dagli elementi meccanomorfi (ingranaggi, rotelle) che ricoprono e strutturano lo sfondo del quadro ai valori cromatici accesi e uniformi che caratterizzano i cerchi dipinti di giallo, rosso, blu e verde. L'attenzione rivolta alle qualità pittoriche del dipinto resta tuttavia subordinata al moto spiraliforme. Quest'ultimo, elemento essenziale nella produzione artistica dei primi anni Cinquanta, segue due orientamenti opposti: una polarizzazione "centripeta" in cui il moto spiraliforme non fuoriesce dalla tela bensì resta concentrato al suo interno con particolare interesse all'assetto compositivo e un'altra "centrifuga" in cui la forza cinetica dei percorsi lineari si estende al di là del quadro. Se il primo subisce un processo implosivo, come attesta l'ammasso curvilineo collassato al proprio interno, il secondo ne subisce un altro esplosivo, con una fuga diversificata di linee all'esterno. Un'apertura dei confini che se da un lato consente una maggiore libertà gestuale, dall'altro, il diradarsi eccessivo delle linee, indebolisce il costrutto visivo. A tale carenza iconica supplisce spesso lo sfondo animato dai motivi meccanici che rinforzano così la struttura estetica del quadro. La prima coppia di opere esposte - Spirale, 1951 e Creazione del mondo, 1952 - esemplifica il caso di spirale a forza centripeta: fondo monocromo su cui si staglia con netta evidenza il calcolato dipanarsi e aggrovigliarsi dei filamenti fino a dar forma grafica al flusso energetico impiegato. In seguito ai contatti maturati a New York nei primi anni Cinquanta, si realizza il passaggio dalla stagione delle Spirali a quella dei Totem. Nella metropoli americana Roberto Crippa espone presso la galleria Alexander Jolas, stringe amicizia con Max Ernst e incontra Matta, Brauner e Tanguy, tra i maggiori esponenti del Surrealismo di seconda ondata. Una serie di esperienze che non solo lascia emergere la necessità di rinnovamento creativo ma indica anche un nuovo orientamento linguistico. L'investigazione spaziale condotta tramite il motivo della spirale ha ormai accertato i precetti diffusi dai manifesti dello Spazialismo. Il flusso vitale dell'artefice, fin ora costretto tra le spire dell'astrazione grafica, ha bisogno di concretizzarsi in un linguaggio visivo più aderente alla realtà del mondo esterno, in una raffigurazione più dichiaratamente mimetica. La stesura delle spirali subisce così un cambiamento radicale: non più esili filamenti, dal calibrato e lucido andamento, bensì cordoni grassi di materia pittorica adatti a riflettere la libertà del gesto in termini più spregiudicati e istintuali. Da questo vortice prende forma una figurazione primordiale, fortemente espressiva, i così detti Totem, che si sviluppano tra il '54 e il '56. Se nella stagione precedente la forza cinetica suggerita dalle linee esprime un'energia fisica, pari a quella di un campo gravitazionale, in questa fase pittorica la stessa forza assume una dimensione umana, si colora di valori archetipici che confluiscono in una iconografia aggressiva. D'altro canto, il totem, nella sua accezione antropologica di relazione di parentela, rappresenta il capostipite del clan, la cui nascita, risalendo a tempi immemorabili, acquista dimensioni mitologiche. Per questo il totem è una sorta di antenato umano che condensa, agli occhi di Crippa, una forza vitale tanto profonda quanto misteriosa. I lavori, Totem e Personage, entrambi del '56, rappresentano sì delle creature antropomorfe, ma con tratti animali che impediscono il riconoscimento della loro identità. Esse manifestano la primordialità dell'istinto libera da ogni controllo razionale. Ciò conferisce all'immagine totemica una purezza ferina immune ai condizionamenti imposti dalla civiltà. La successiva fase creativa, intrapresa verso il 1957, si caratterizza per il cambiamento del materiale artistico e della tecnica esecutiva: non più pittura ad olio o acrilica bensì cortecce d'albero, sugheri e carte di giornale fissati e assemblati con colle e chiodi. Si formano così collages polimaterici dai rilievi accentuati in grado di raggiungere una dimensione scultorea. Ma nonostante la diversità del mezzo impiegato, l'effetto finale resta affine ai canoni estetici della pittura: armonia cromatica, equilibrio formale e allusioni iconiche desunte dalla naturale foggia del legno. Una sensibilità pittorica che si coglie non solo nelle stesse proprietà vegetali di sugheri e cortecce ma anche nel solido impianto compositivo retto da un attento lavoro di coordinazione: la scelta-selezione degli elementi e la loro dislocazione-unione sulla superficie del quadro. Una coerenza di percorso creativo ben sintetizzata dal connubio dei rilievi plastici, testimoni dell'attività scultorea avviata nei primi anni Cinquanta, con la resa pittorica d'insieme. Una coerenza, tuttavia, che si avverte non solo in senso estetico ma anche in quello poetico. In queste opere emerge una figurazione primordiale, continuazione estrema dei Totem, così lontana nel tempo da risultare inintelligibile. Si intuisce la presenza di paesaggi, di forme di vita o di elementi ancestrali, ma si ignora il loro senso ultimo. Si posso formulare molte chiavi di lettura che non faranno altro che allargare il ventaglio dell'interpretazione, Copyright © 2000-2007 Museo Fondazione Luciana Matalon Foro Buonaparte 67 20121 MILANO - P. Iva: 13165320154 10 come avviene in Person del '59. Dal 1961 si assiste ad una fase di transizione in cui la fisica asprezza delle cortecce si accompagna alla mentale levigatezza dell'amiantite. Questo materiale si presta bene ad accogliere le accese stesure cromatiche dell'artista che mitiga così la severa costruzione dei legni scuri. E' il primo indizio di un'inversione di tendenza che vede, negli anni successivi, il progressivo incrementarsi della vivacità espressiva. Roberto Crippa pare rivendicare una gioia di vivere che si riflette nell'impiego vario ma calibrato dei colori. Landscape del '63, ad esempio, è un'opera dominata dal grigio dell'amiantite e dall'ocra dei sugheri, non senza l'aggiunta di sporadiche porzioni di rossi e blu. Una complessiva tendenza al decorativismo che raggiunge il suo apice nelle opere in sola amiantite. Si è così giunti a una nuova stagione pittorica il cui inizio può risalire al 1965 circa. I sottili fogli d'amianto appianano la superficie del quadro di cui resta, sottile e nitido, il rilievo del disegno inciso. E' ormai scomparso l'impianto architettonico delle cortecce e dei sugheri. Queste strutture in rilievo cedono il posto alla superficie spianata dell'amianto che lascia emergere la finezza della linea, la semplicità della forma e la purezza del colore. Ne segue un'eleganza d'insieme, più o meno sobria a discrezione delle gamme cromatiche stese: vi sono opere dominate dai grigi il cui aspetto monacale accentua uno stile parco, essenziale e vi sono altre variopinte, sfavillanti di colori all'insegna sì dell'entusiasmo percettivo ma pur sempre temprato dal rigore formale. In quest'ultimo stile si rappresentano immagini astrali - come vuole l'intenso monocromo Landscape del '66 -,veicoli volanti, vedute aeree o ingranaggi meccanici. Una visione sensibile alla spettacolare bellezza del creato che non finisce di meravigliare l'occhio dell'artista. Ancora una volta è la purezza della natura, il fascino dei suoi misteri ora non più umani ma cosmici, ad alimentare l'ultima fase creativa di Roberto Crippa. FONTANA LUCIO (Rosario de Santa Fé 1899 - Comabbio, Varese 1968) Trascorsa in Italia gran parte dell’infanzia e della prima giovinezza, vi torna nel 1928 ed è allievo di Adolfo Wildt all’Accademia di Brera a Milano; si diploma nel 1930. In quello stesso anno espone le sue opere alla Galleria del Milione. A partire dal 1931 esegue una serie di “tavolette graffite”, primo passo verso l’astrazione, abbracciata nel 1934 grazie all’incontro con gli artisti milanesi. Nel 1933 partecipa alla V Triennale di Milano in collaborazione con il gruppo di architetti BBPR e con lo studio Figini e Pollini. All’inizio del 1935 tiene al Milione una personale tutta costituita da sculture astratte; in marzo, a Torino, presso lo studio di Casorati e Paulucci, è tra i firmatari del manifesto della I Mostra collettiva di arte astratta italiana. Con Bogliardi, Reggiani, Ghiringhelli, Licini, Melotti e Veronesi aderisce inoltre ad “Abstraction-Création”. Nella seconda metà degli anni ‘30 lavora come ceramista, a Sèvres e ad Albisola, mentre durante la seconda guerra mondiale vive a Buenos Aires; torna in quegli anni ad uno stile prevalentemente figurativo. Nel ‘46 fonda l’Accademia di Altamira, dove elabora l’idea dell’arte spaziale. Tra il 1947 e il 1952, in Italia, lancia cinque consecutivi manifesti dello Spazialismo, nei quali esprime la volontà di superare le tecniche e le dimensioni tradizionali di pittura e scultura, offrendo un’esperienza sensoriale più ampia. Nasceranno così le serie dei “concetti spaziali”, delle “nature” (1959), delle “ellissi”(1967). LICINI OSVALDO (Monte Vidon Corrado, Ascoli Piceno, 1894 - ivi, 1958) Studia a Bologna, si iscrive all’Accademia di Belle Arti nel 1908. Nel 1913 scrive i Racconti di Bruto vicini alla poetica futurista. Influenzato dalle frequentazioni futuriste, nel 1916 parte volontario per la guerra. Ferito, nel 1917 si reca a Parigi in convalescenza presso la sua famiglia. Risiede in Francia fino al 1920, frequenta i caffé dove espone i suoi lavori e incontra fra gli altri Picasso, Cocteau, Modigliani. Espone più volte al Salon d’Automne e al Salon des Indépendents, presenta la sua prima personale alla Galleria André Devambez. Nel ‘28 partecipa alla mostra degli Italiens de Paris, organizzata da Mario Tozzi. Interviene alle mostre di Novecento all’estero, nel 1931 partecipa alla I Quadriennale romana. Nel 1934 entra in contatto con il gruppo parigino di Abstraction-Création e con gli artisti del Milione. Nel 1935 a Torino è presente alla I mostra collettiva di arte astratta italiana, allo studio di Casorati e Copyright © 2000-2007 Museo Fondazione Luciana Matalon Foro Buonaparte 67 20121 MILANO - P. Iva: 13165320154 11 Paulucci. Dagli anni ‘40 il suo astrattismo assume accenti fortemente lirici e vicini all’arte informale. Nel 1941 aderisce alla fondazione del Valore primordiale Milano-Como con Munari e Nizzoli. Solo nel 1948 l’artista ricompare sulla scena artistica esponendo alla XXIV Biennale ove viene nuovamente invitato nel 1950. Nel 1957 è un anno cruciale per la fortuna critica di Licini, alla XXIX Biennale, presentato da Umbro Apollonio, ottiene il Gran Premio Internazionale di Pittura. MAGNELLI ALBERTO (Firenze, 1888 - Meudon, Parigi 1971) Verso il 1911 si avvicina agli intellettuali e agli artisti che fanno capo alla rivista “La Voce”. Con Aldo Palazzeschi nel 1914 si reca a Parigi. Grazie a questo soggiorno scopre il movimento cubista e frequenta Apollinaire, Picasso, Max Jacob, Gris, Matisse. Tornato in Italia, fra il 1915 e il ‘18 (anno delle “explosions lyriques”), realizza alcune serie di opere astratte. La pittura figurativa del dopoguerra - incentrata sul paesaggio e su temi di vita contadina - richiama l’originaria passione per i primitivi toscani. Fra il 1931 - anno in cui si trasferisce definitivamente a Parigi - e il 1934 realizza la serie di dipinti denominati “Pierres”, che segna un ritorno all’astrazione, incentrata anche in seguito sulla ricerca di equilibri cromatici e ritmi interni delle forme. Espone le “Pierres” nella prima personale parigina, da Pierre Loeb. A Parigi si unisce al gruppo “Abstraction-Création”; nella seconda metà degli anni ‘30 espone anche a Milano alla Galleria del Milione. Nel ‘37 espone alla mostra “Origines et Développement de l’Art International Indépendent” al Jeu de Paume, e tiene la prima personale a New York, alle Boyer Galleries. Nel ‘39, alla Galerie Charpentier, è presente al “Salon de Réalités Nouvelles”; parteciperà anche alle edizioni del dopoguerra. Durante l’occupazione nazista, Magnelli vive in Provenza in compagnia della moglie e dei coniugi Arp e Delaunay. Nel ‘45 espone tre opere alla mostra “Art Concret”, allestita alla Galerie Drouin. Nella stessa galleria tiene una grande retrospettiva nel ‘47. Consacrato come uno dei grandi maestri dell’astrattismo internazionale, gli verranno dedicate sale personali alle Biennali di Venezia del 1950 e del ‘60. PIERO MANZONI (Soncino, Cremona 1933 - Milano 1963) Abbandonati gli studi classici era passato a Milano all’Accademia di Brera, presto da lui disertata. La sua arte nasce e si sviluppa al di fuori di qualunque collegamento o riferimento al passato. Inizia a esporre nel ’57 i suoi “Achromes” e fino al ’62 è presente in ben sessanta mostre, con 23 collettive e 7 personali nella sola Milano. Le altre si sono svolte un po’ ovunque in Italia e in Europa. Stimolato nelle sue mosse iniziali dagli “Ambienti spaziali” di Lucio Fontana, si inserisce subito in quel filone al limite della non-arte lungo il quale già transitava Yves Klein. I suoi “Achromes” infatti non sono veri dipinti, ma semplici tele bianche immerse nella colla e poi arricciate in modo da formare un rilievo astratto o sistemate a forma di griglia, del tutto prive d’immagine. Aderisce tra il ’56 e il ’58 al Movimento Nucleare e insieme a Castellani fonda la rivista Azimuth. Tra gli artisti trova solidarietà, oltre che in Castellani, in Bonalumi, Baj e Fontana. Manzoni è convinto che sia preciso compito dell’artista quello di rinnovare le strutture ideologiche della società e di attivarle impedendo l’usura di cose già viste e scontate. Rifiuta qualunque idea di “quadro” tradizionale e fa continue sperimentazioni ricorrendo a trovate ed espedienti che fanno scalpore. Agli “Achromes” quasi esclusivamente bianchi sono seguiti assemblaggi in colori fosforescenti, altri in polistirolo espanso e cotone idrofilo, imbevuti di cobalto di cloruro, cangianti al variare del tempo. Di questo periodo è anche il progetto di un soffitto e di una parete pneumatica, semovente e pulsante. Del ’60 sono poi le sfere tenute in sospensione da getti d’acqua, sculture a movimenti autonomi al variare della luce solare e capaci di emettere suoni e ancora, uova sode con impressa sopra la propria impronta digitale, consumate dagli ospiti appositamente invitati. È questo il primo esempio di happening, una forma di comunicazione poi largamente adottata e seguita da diversi artisti. A questa data Manzoni è ormai molto lontano dalle sue mosse iniziali e si avvicina piuttosto all’ironia beffarda e all’anarchia intellettuale di Duchamp. È il momento in cui a Parigi Klein e altri fondano il Nouveau Réalisme; Manzoni, che ha una posizione di netto rifiuto nei confronti Copyright © 2000-2007 Museo Fondazione Luciana Matalon Foro Buonaparte 67 20121 MILANO - P. Iva: 13165320154 12 dell’arte-mercato, inventa la “Base magica”, un piedistallo sul quale il pubblico, come fa egli stesso, può esporsi, venendo da lui debitamente firmato. Seguono i palloncini con “Fiato d’artista” e le 90 lattine di “Merda d’artista”. Queste sue immagini-simbolo che offrono una lettura inequivocabile, hanno attratto l’attenzione di tutte le avanguardie europee nel giro d’anni della sua breve vita. Anche oggi Manzoni rimane al centro dell’interesse internazionale, sempre più stimolato dalle innumerevoli mostre che dal 1997 l’Archivio Opera Piero Manzoni di Milano organizza in tutto il mondo, determinando forti lievitazioni di mercato. Tra le sue imprese memorabili rimangono anche la “Linea per le vie della città di Rotterdam”, di centinaia di metri e la “Linea di 7.200 km.”, conservata nel Museo di Herning in Danimarca, che è l’opera più grande mai realizzata al mondo. ANTON ZORAN MUSIC Music nasce a Gorizia e studia all’Accademia di Belle Arti di Zagabria. Risiede a Venezia e soggiorna spesso in Svizzera. Dal 1954 si trasferisce stabilmente a Parigi dove tuttora vive ed opera. La sua è una pittura fatta di luce e di colori tenui e trasparenti. Dipinge soprattutto paesaggi e animali PRAMPOLINI Biografia non disponibile REGGIANI MAURO (Nonantola 1897- Milano 1980) Tra il 1911 e il ’16 frequenta il Regio Istituto di Belle Arti di Modena. Nel 1924 si trasferisce a Milano. Dal 1926 l’attività espositiva dell’artista è intensa, partecipa alle biennali e quadriennali e alle esposizioni all’estero organizzate da Novecento, condividendo la tendenza di “ritorno all’ordine”. Nel 1926 si reca a Parigi con alcuni artisti, e nel 1930, durante un secondo viaggio, conosce Arp, Kandinsky, Magnelli, Ernst e i Delaunay . Nel marzo 1932 è presente alla Galleria del Milione col gruppo formato da Bogliardi, Ghiringhelli e Soldati. Nel 1935 lo studio torinese di Felice Casorati ed Enrico Paulucci lo accoglie nella I mostra collettiva d’arte astratta italiana. Del medesimo anno è l'adesione ad Abstration-Création; è nominato insegnante nella Scuola Superiore degli Artefici dell’Accademia di Brera, incarico che manterrà, ad eccezione del periodo bellico, fino al 1946. Nel 1952 partecipa alla Biennale di Venezia. Viene eletto per il biennio 1954-55 presidente del MAC, Movimento Arte Concreta. Umbro Apollonio lo presenta alla XXVIII Biennale di Venezia nel 1956 . Nel 1962 è di nuovo alla biennale gli viene conferito il I premio alla VI Biennale dell’incisione italiana contemporanea a Venezia e il I premio alla Quadriennale romana. Nel 1966 partecipa alla mostra storica sull’astrattismo organizzata dalla Biennale. Nel 1975 è festeggiato dal Comune natale con una personale alla Torre dei Bolognesi. ROTELLA MIMMO (Catanzaro, 1918) Nel 1949 crea e declama dei poemi fonetici, che chiama “epistalici”, d’ascendenza futurista e dadaista. Grazie a una borsa di studio, negli anni 1951/52 soggiorna all’università di Kansas City. Nel 1954 espone in pubblico come opera d’arte un manifesto lacerato. Sulla tecnica del “décollage” incentrerà la sua produzione successiva, creando dapprima composizioni astratte, poi facendo emergere lettere, scritte e anche immagini. Su invito di Pierre Restany, nel 1960 aderisce al gruppo del Nouveau Réalisme. Soggiorna frequentemente a Parigi. Tra il 1963 e il 64 a Parigi, realizza i “photo-reportages”, impressioni su tela emulsionata: dà alla nuova tecnica il nome di Mec Art. Copyright © 2000-2007 Museo Fondazione Luciana Matalon Foro Buonaparte 67 20121 MILANO - P. Iva: 13165320154 13 Negli anni 1970 - Nella serie degli “artypo” sceglie scarti di fogli tipografici da incollare direttamente sulle tele. Per le “plastiforme” si servirà invece delle stampe su plastica. Negli anni ‘80, nei quali risiede prevalentemente a Milano, torna ad operare sui manifesti pubblicitari, coprendoli con fogli bianchi (“coperture”), ‘sovra-pitturandoli’, o dipingendone i brandelli affissi su pannelli metallici. Viene premiato al Festival d’arte contemporanea di Seul nel 1990. Al Guggenheim di New York partecipa nel 1994 alla grande mostra “Metamorfosi italiana”. Vive e lavora fra Parigi e Milano. EMILIO SCANAVINO Prima mostra personale nel 1948 delle sue opere alla Galleria Isola di Genova. Prevalgono in questo periodo cadenze espressioniste. Nel 1949 nasce il figlio Sebastiano. Nell'anno seguente lascia il lavoro presso il Comune di Genova e si dedica completamente alla pittura. Espone alla XXV Biennale di Venezia. In occasione di una mostra personale nel 1951 alla Galleria Apollinaire trascorre qualche tempo a Londra, dove incontra Philip Martin, Paolozzi e altri. E' profondamente impressionato dall'opera di Francis Bacon. Dal 1951 al '52 lavora nella fabbrica di ceramiche Mazzotti ad Albisola, dove incontra numerosi artisti e stringe amicizia con alcuni di loro, tra questi Fontana, Matta, Corneille, Jorn, Dova, Baj, Crippa, Appel, Fabbri, Sassu e Dangelo. Nel 1952 nasce la figlia Paola, l'anno successivo ottiene un incarico per l'insegnamento del disegno presso il Liceo artistico di Genova. Il critico d'arte e poeta Guido Ballo incomincia ad occuparsi della sua pittura. Si interessa a Scanavino un gruppo di collezionisti, fra i quali l'ingegner Bardini, Paccagnini, e i galleristi Le Noci, Schwarz e Gastaldelli. Nel 1954 espone alla XXVII Biennale di Venezia. Nel 1955 riceve il Premio Graziano, tre anni dopo riceve il Premio Lissone e, alla Biennale di Venezia, il Premio Prampolini. Si trasferisce a Milano con la famiglia. Nel 1960 vince il Premio Spoleto, il Premio Sassari, il Premio Valsesia e il Premio Lignano. E invitato, con sala personale, alla XXX Biennale di Venezia.Negli anni 1965-67 Scanavino abita per qualche tempo a Tradate, ma con scarsa soddisfazione, e perciò si trasferisce nuovamente a Milano. Nel 1966 alla XXXIII Biennale di Venezia, dove è nuovamente invitato con sala personale, vince il Premio Pininfarina. Lavora ora prevalentemente a Calice Ligure dal 1968. In questa località si stabiliscono numerosi artisti che finiscono con il costituire attorno a Scanavino una piccola comunità. Nel 1970 riceve il Gran Premio alla Biennale di Mentone. Nel 1971 Scanavino occupa temporaneamente un atelier a Roma. Stringe rapporti di amicizia e di lavoro con Arturo Zavattini e inoltre con Bozzini, Pesci, Malagò, nell'anno successvio superata con successo una delicata operazione per una malattia circolatoria, dà l'avvio a una nuova fase creativa della sua pittura. Compie viaggi in Belgio, Francia e Germania. Vive e lavora a Calice Ligure. Negli anni '73'74 la Kunsthalle di Darmstadt presenta una sua vasta mostra antologica che, con alcune varianti, passa a Venezia (Palazzo Grassi) e poi a Milano (Palazzo Reale, 1974). Dal 1977 alterna la sua attività tra Parigi e l'Italia. Dal 1982 vive fra Calice e Milano. Nonostante il progressivo aggravarsi della malattia continua a lavorare e ad avere una intensa attività espositiva in spazi pubblici e privati. Muore a Milano il 29 novembre 1986 SOLDATI ATTANASIO Biografia non disponibile PARMEGGIANI TANCREDI (Feltre, 1927 - Roma, 1964) Frequenta il Liceo artistico di Venezia e alcune lezioni da Romano Conversano; In seguito segue le lezioni all’accademia di Venezia i corsi della Scuola libera di Nudo tenuti da Armando Pizzinato stringe amicizia con vedova, Cadorin, Guidi. Copyright © 2000-2007 Museo Fondazione Luciana Matalon Foro Buonaparte 67 20121 MILANO - P. Iva: 13165320154 14 Nel 1950 dopo aver soggiornato in Francia si trasferisce a Roma dove la sua ricerca si indirizza sempre più verso forme di pura astrazione geometrica. Partecipa nel 1951 alla rassegna Arte astratta e Concreta ritorna a Venezia . Elabora una propria teoria del “punto circondato dal vuoto ” come nucleo e fulcro di molteplici coordinate spaziali Tramite Bill Congdon entra in contatto con Peggy Guggenhaim che contribuisce a farlo conoscere al mondo del collezionismo internazionale. Dopo importanti personali al Cavallino di Venezia e al Naviglio a Milano partecipa nel 1954 alla mostra ”tendances actuelles” presso il museo d’arte moderna di Berna. Nel 1958 insofferente al clima culturale veneziano si trasferisce a Milano e poi a Parigi con Tove Dietrichson una giovane pittrice norvegese. Nel 1960 aderisce al Movimento ”Anti proces” e nelle sue opere affiora una larvale figurazione e 62 sono gli splendidi e disperati dipinti intitolati a Hiroshima. Nel settembre del 1964 si toglie la vita gettandosi in Tevere. VEDOVA EMILIO (Venezia, 1919) Dopo aver provato diversi mestieri Nel 1934 disegna e dipinge , negli anni 36 37 e a Roma e in seguito a Firenze dove frequenta una scuola libera a San Frediano. Nel 1942 a Milano entra nel gruppo Corrente, l’anno seguente tiene una mostra alla Galleria della Spiga. Nel 1946, dopo aver partecipato attivamente alla resistenza è tra i firmatari di Oltre Guernica, e in seguito del Fronte nuovo delle arti A Bologna nel 1947 alla mostra “Alleanza della cultura esasperate polemiche spaccano il fronte, Vedova contesta il neorealismo imposto. Nel 1951 alla galleria Catherine Viviano di New York espone le sue “geometrie nere” e riceve il premio giovani alla biennale di San Paolo del Brasile, Nel 1952 aderisce al gruppo degli otto per uscirne l’anno seguente quando inizia le grandi tele del Ciclo della protesta. Nel periodo successivo viaggia, espone in tutta Europa riceve numerosi premi. Dopo i Rilievi e le sculture realizza i Plurimi presentati a Documenta, Kassel nel 1964, nella sala suoni, registrazioni di voci, rumori e musiche nello studio di Vedova nel corso del lavoro. Viene invitato a tenere un ciclo di lezioni in America nel1973 viene realizzato un film: Percorso/ plurimo/ luce. Nel 1976 realizza i cicli dei plurimi binari pittura su pannelli asimmetrici in legno che nello scorrere creano collages in movimento; Negli anni ottanta con i suoi studenti dell’Accademia di Venezia realizza mostre con gigantografie e installazioni degli studenti stessi. Le antologiche a lui dedicate si susseguono , nel 1989 viene invitato in Giappone con la mostra “arts Kites International”? Vedova esprime gli spettri nascosti della sua anima, n agitata galleria di luci e ombre che corrispondono ai numerosi interrogativi senza risposta che si accumulano durante l’esistenza. Copyright © 2000-2007 Museo Fondazione Luciana Matalon Foro Buonaparte 67 20121 MILANO - P. Iva: 13165320154 15