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di ricordi - Campo de`fiori

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di ricordi - Campo de`fiori
Campo de’ fiori
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SOMMARIO
Editoriale:
Rassegnarsi è vile.................................3
Interviste:
Claudio Natili e i Romans...................4-5
Scooby Doo live on stage..............16-17
Collezionismo:
Il bottone mattatore delle rccolte moderne.......................................................6-7
Roma che se n’è andata:
Per i meandri del ghetto.....................8-9
Suonare Suonare:
ZEPHIRO..................................10-11-12
Cinema News:
Paranoid Park......................................14
Attualità:
E se viaggiare fosse anche imparare..21
Il rispetto dei posti H............................34
Energeticamente.................................39
Strade dissestate.................................45
Ecologia e ambiente:
Il summit mondiale sul clima.................52
Neuropsichiatria, Psicologia,
Logopedia, Psicopedagogia:
La psicoterapia nell’ambito della promozione della salute...................................20
Le guide di Campo de’ fiori:
Bomarzo...........................................22-23
Come eravamo:
A carnevale ogni scherzo vale..............28
Civitonici illustri:
Il capo d’arte Olindo Percossi...............25
Arte:
Stefano Guerriero e la sua arte.............18
Cleto Maggetti e le sue opere...............26
Sabrina Salvatori e Civita Castellana....60
Anthony Heinl ex ballerino dei Momix...29
Messaggi:..............................54-55-56-57
Una “Fabrica” di ricordi:
La chiesa di San Rocco........................40
Il Fumetto:
Nana di Ai Yazawa...............................42
L’angolo CIN CIN:
Quante bottiglie conservare nella nostra
cantina.................................................36
Album dei ricordi..........................46-47
Le storie di Max:
Mia Martini...........................................48
Noel................................................43-44
Annunci Gratuiti...........................68-69
Selezione offerte immobiliari............70
Nel cuore............................................71
I Girasoli.............................................19
Il mondo del Jazz...............................24
Rubrica medica.............................30-31
Vita cittadina.......................................49
Visita il nostro sito completamente rinnovato
www.campodefiori.biz
Campo de’ fiori
3
di Sandro Anselmi
L’
anno è appena iniziato e anche se riponiamo in lui
tutti i sogni, le aspettative e le possibilità di realizzare i migliori progetti, sappiamo di vivere un
momento molto difficile, in cui le relazioni umane
hanno ceduto all’illusoria, onnivora ricchezza materiale, che fagocita tutto velocissimamente e senza
mediazioni.
L’egoismo e la corruzione hanno sommerso tutte le
Istituzioni ed hanno bloccato ogni forma di sviluppo e di progresso, ingozzando una classe politica
avida e scadente.
La deturpazione dei valori non risparmia neanche i
più deboli, anzi!
Essi vengono sempre più discriminati e abusati, e
l’onta di azioni basse, disgustose, barbare, non
ricade quasi mai su nessuno.
Non c’è più morale né giustizia!
Non possiamo più sopportare passivamente che si
compiano violenze e sopraffazioni nei confronti di
chi non può difendersi e, per di più, non potrà mai
far male.
Dobbiamo scrollarci dei timori e dei falsi
pudori.
Rassegnarsi è vile, dobbiamo reagire!
Fosse questo il proposito estremo del 2008 per
riempire quella “assenza” nei confronti del diverso,
chiunque esso sia.
Auguriamoci che nel tempo a venire ci si possa
comprendere, amare e rispettare in quell’immaginario abbraccio collettivo, attendendo ad un bisogno più che a un diritto, ad una necessità più che
ad una regola.
Riconciliamoci con noi e fra noi per restaurare la giustizia, riprendendoci la nostra libertà
e parlare tutti il linguaggio del cuore.
Campo de’ fiori
4
Claudio Na til
In questa voglia
di anni ‘70 abbiamo pensato di
raccontarvi
la
storia di un grupSandro Alessi e
po e di un suo
Claudio Natili
componente
Claudio Natili, autore di tutti i loro grandi successi. I Romans nascono a Roma
nel 1959 dall’incontro di tre giovani studenti ed un chitarrista….
“Io venivo dal Liceo Augusto e mi piaceva
già strimpellare con la chitarra nelle feste
che si facevano una volta nelle case.
Conobbi un amico, un batterista, che non
era molto bravo, ma, essendo un amicone,
disse che c’erano tre ragazzi che stavano
cercando un chitarrista per il loro gruppo
musicale, e da questo incontro sono nati i
Romans. Il nostro primo contratto fu con il
locale “Florida” di Via Capo Le Case a
Roma”.
Da qui l’incontro con colui che fu il
vostro primo vero impresario:
Paolino Tagliaferri.
“Un personaggio favoloso… noi eravamo
giovani e lui era già affermato con artisti
del calibro di Peppino di Capri, Fred
Buongusto, che gestiva insieme al
Marchese Gerini: noi siamo stati molto fortunati ad entrare nella sua scuderia….
Avevamo riposto tutte le nostre speranze
su un brano La tua Mano, di MogolPaoli, che, a quei tempi, ancora non erano
veramente conosciuti, ma non ebbe suc-
cesso.
Nel 1972 arriva la prima partecipazione ad Un Disco per l’Estate
“Presentammo Voglia di Mare e la storia
di questa canzone fu una cosa assurda!
Erano già cinque - sei anni che giravamo
tutte le case discografiche per cercare di
fare un disco che ci facesse conoscere al
grande pubblico, perché noi eravamo
bravi e conosciuti ma solo nel giro dei
locali. Avevamo perso tutte le speranze,
quando a Milano, mentre suonavamo in un
locale, arrivò tale Bruno Pallesi, un cantante dell’epoca, il quale, sentendoci suonare, ci fece i complimenti e ci chiese se
avevamo un pezzo da presentare ad Un
disco per l’estate. Noi un pezzo pronto non
ce l’avevamo, ma rispondemmo di si. E
così lui ci invitò per il giorno successivo in
ufficio per ascoltarlo… Se fosse stato
buono ci avrebbe fatto partecipare ad Un
Disco per l’Estate… Tutta la notte passata
a comporre insieme ad Ignazio Polizzy,
autore, insieme a me, di tutti i brani dei
Romans, scomparso prematuramente, ed
uscì Voglia di mare, un pezzo prettamente
estivo che ci portò molto fortuna.”
Inizia così il successo del gruppo formato da 5 componenti: Claudio Natili
(chitarra), Ignazio Polizzy (tastiere),
Alberto Catani (batteria), Alfredo
Dentale (basso) e Toni Coclite (voce)
ed arrivarono successi quali Quando
una Donna, Mi Mancherai e Caro
Amore Mio (finalista al Festivalbar
1973), “che io composi in un momento
molto triste della mia vita perché, mentre
gli altri componenti del gruppo andavano
in tournee, io, essendomi rotto una gamba
giocando a pallone, ero a letto in ospedale. Questa canzone racconta dell’amore
vero, della nostalgia che ci assale quando
si lascia la propria ragazza per qualche
mese e si vorrebbe tornare subito per rivivere i bei momenti insieme a lei…”
Nel 1974 esce un long playing che
conteneva anche il brano Un
Momento di Più, 45 giri che ricevette
un grande successo di vendite…
“La facciata B era Quando una Donna,
che risultò talmente bello che ci spinse a
dare il nome a tutto il disco e da lì ci accorgemmo che qualcosa era cambiato… il
pubblico cantava le nostre canzoni, ci chiedeva gli autografi… era arrivato il successo !!!”
Arriviamo ad un episodio che io non
conoscevo, pur avendo seguito sempre i vostri successi. Sto parlando di
Tornerò, portato al successo da I
Santo California, ma….
“Il pezzo era nato per i Romans ed era
stato composto da me e Polizzy. Una sera
dovevamo suonare a Bologna e prima di
suonare io prendo la chitarra e faccio sentire ai ragazzi un nuovo pezzo. Il cantante
si rifiutò di cantare il brano perché per lui
non poteva andare e poi non accettava il
parlato femminile che diceva: …la rosa che
mi hai lasciato… Io e Polizzy non ci arren-
Campo de’ fiori
li e i Romans
demmo e lo facemmo ascoltare a Bruno
Pallesi, il nostro discografico, il quale lo
fece sentire subito a Vittorio Salvetti, ma
entrambi ci dissero che non andava.
Qualche tempo dopo, passeggiando per
Via della Giuliana, a Roma, incontrai il
discografico Palumbo che mi chiese un
pezzo per dei giovani napoletani che allora si chiamavano I Chi. Io proposi Tornerò
che avrebbe dovuto avere un altro titolo.
Un mio amico, il regista sceneggiatore
Alfredo Riannetti (l’automobile con Anna
Magnani, Febbre di Cavallo..), veniva sempre a sentirci al Club 84 ed una sera,
quando salì sul palco a suonare con noi un
sassofonista bravissimo, Fred California,
Alfredo espresse la sua ammirazione e fu
sorpreso che, con il nome che aveva, non
avesse ancora sfondato. Questa cosa mi
rimase impressa e, pensando anche agli
allora famosi Santo & Johnny, pensai a I
Santo California. A proposito di Tornero’,
a Marzo del 2006 ci hanno chiamato a Los
Angeles e ci hanno premiato come gli
autori del brano, che nel frattempo ha
fatto il giro del mondo cantato da grandissimi artisti, e nel 2005 in Messico e
California è stata la canzone più venduta”.
Nel 1976 cambia la voce solista. Toni
Coclite lascia il gruppo ed arriva
Daniele Aloisio. Il primo brano da lui
cantato è subito un successo:
Coniglietto, arriva al quarto posto
della Hit Parade. Nel 1978 arriva l’incontro con Gianni Boncompagni.
“Gianni aveva appena aperto una sala
insieme alla CGD a Roma, dotata di tutte
le ultime apparecchiature e ci chiese di
registrare subito un longplayng. Lo chiamammo I Ricordi Piu’ Belli del Nostro
Amore ed in sala eravamo accompagnati
addirittura da una grandissima orchestra,
diretta dal maestro Paolo Olmi ed il risultato fu un disco bellissimo. Ma da allora
iniziò la nostra sfortuna. Boncompagni litigò con la casa discografica e furono ritirati tutti i dischi dai negozi, nonostante nella
prima settimana avessimo già venduto
4500 copie. Nel 1982 venne a mancare
Flavio Carraresi il nostro produttore e
subito dopo ci lasciò anche il caro Ignazio
Polizzy e così ci fermammo. Nel 2006
insieme a Daniele Aloisio abbiamo riformato il gruppo e abbiamo ripreso a fare serate.”
Nel frattempo Claudio Natili ha cominciato
a scrivere anche per il Teatro e, soprattutto, è autore da anni nel Puff di Lando
Fiorini. Con Carlo Giustini ha scritto la
nuova commedia Perché Capitano Tutte a
Me in scena al Teatro delle Muse di Roma,
riscuotendo grande successo di pubblico.
Sandro Alessi
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6
Campo de’ fiori
Il Bottone mattatore d
Sono molte migliaia gli appassionati collezion
Il
fantasioso
mondo del collezionismo minore
ci offre, continuamente,
spunti curiosi,
quanto impensabili, di raccolte
interessanti
e
piene di fascino.
Fra queste, ricca
di “storia”, è
quella relativa ai
di Alfonso Tozzi
bottoni : buttonofilia, secondo i francesi, nasturofilia per
i romeni.
Il bottone, ignoto all’antichità classica che
usava indumenti ampi e svolazzanti trattenuti con cinghie o nastri, fu ideato in
Francia nel XIII secolo: veniva fabbricato a
mano con rozze apparecchiature, utilizzando soprattutto ossa di animali. Con il passare del tempo i bottoni
cominciarono
ad
essere usati anche
come accessorio
ornamentale, per
i lussuosi vestiari
di principi, alti
prelati, nobildonne. Francesco I se
ne farà applicare più
di tredicimila sul suo
vestito in velluto nero,
mentre si dice che
Enrico III, in occasione della morte
della sua favorita,
portasse bottoni
a forma di teschio.
Gli artigiani dell’epoca
e, successivamente, le
industrie specializzate, per meglio soddisfare la ricca e vanitosa clientela, crearono
bottoni originalissimi, elaborati, appariscenti e, spesso, preziosi, utilizzando: avorio, ceramica, legno, osso di cervo o di
balena, zanne di cinghiale, porcellana,
carta compressa, vetro, madreperla,
cuoio, cristallo, giada, perle, pietre nobili
unite ad oro ed argento, il corozo, ricavato dai semi di alcune piante, duro e duttile, definito “l’avorio vegetale”; in qualche
caso furono realizzati, su ordinazione,
esemplari di diamante.
Il bottone assunse
forme svariate:
dalle più comuni, tonde,
romboidali,
triangolari,
quadrate, alle
più strane a
forme di maialino, di orsacchiotto, a cuore, a petali
di fiore, curiosamente,
anche a forma di occhio, del tipo preferito
dalle signore eleganti degli anni Venti e
Trenta per chiudere al collo le loro pellicce.
A Parigi, data l’importanza assunta da
questi
“umili”
oggetti,
nasce
la
“Corporation des Boutonniers”, veri e
propri orafi, capaci di conferire al bottone
la veste e la funzione di un gioiello.
Altrettanto bravi gli artigiani russi, che
hanno eseguito splendidi esemplari di bottoni, conservati nel museo storico di
Mosca. Il loro impiego era largamente diffuso, sia tra gli Zar, che tra i boiardi e la
borghesia mercantile, già nel XVI e XVII
secolo. Per gli Zar venivano realizzati direttamente nel laboratorio del Cremlino, ad
opera di maestri della corporazione degli
orafi e degli argentieri, e sono capolavori
in filigrana o sfaccettati, a squame, nelle
forme più varie, spesso arricchiti da smalti.
La particolare cura posta per la creazione
di questi oggetti – autentiche opere d’arte
in miniatura – e il materiale di pregio usato
per realizzarlo, furono determinanti per far
scattare il virus del collezionismo.
Le prime notizie che si hanno intorno alla
collezione dei bottoni risalgono alla seconda metà dell’Ottocento, allorquando, alla
morte del famoso musicista francese
Antoine Louis Clapisson – autore di
celebri operette,
fra le quali la
nota Fanchonnette, si seppe che aveva
lasciato al Conservatorio di Parigi, oltre a
numerosi e pregiati strumenti musicali
antichi, anche una raccolta di 1750 bottoni.
Il musicista, appassionato collezionista,
raccolse l’oggetto senza un tema fisso, ma
ognuno con una sua piccola o grande storia, che conosceva a memoria e citava agli
amici senza mai sbagliarsi.
Altri grandi collezionisti furono: a Gand, in
Belgio, fra la fine dell’Ottocento e gli inizi
del Novecento, il genialoide Van Zeelen,
conosciuto per aver riunito su cento cartoni, custoditi in sei grandi scaffali, dodicimila bottoni, in uso in Europa tra il IX e il XIX
secolo, ma il pezzo di cui
andava orgoglioso – il più
importante – era quello
appartenuto a Carlo Magno.
In Austria, Arthur Hamilton,
un ricco cittadino inglese,
possedeva, nei pressi di
Vienna, una raccolta di oltre
ventimila bottoni di uniformi
di diversi reggimenti di tutto
il mondo.
L’imperatrice
Margherita
d’Asburgo,
duchessa
di
Savoia, sposa di Ottavio
Farnese, donna colta e protettrice delle arti, era una appassionata di bottoni fatti di diamante, mentre il cardinale
Ranuccio Farnese collezionava i
bottoni con gli stemmi gentilizi; altri
collezionisti d’epoca di un certo spessore
furono Luigi Filippo, che si considevara un
notevole conoscitore della materia e possedeva una raccolta di alcune migliaia di
esemplari e la nobildonna piacentina
Caterina Buragia.
La collezione viene comunemente suddivisa in tre grandi settori: bottoni per vestiti
femminili, per vestiti maschili, per divise
militari; questi ultimi spesso costituiscono
un settore a parte, come ha ampiamente
dimostrato il capitano di vascello Carlo
Sabatini di Modena, il più competente del
settore, con oltre 5.000 esemplari.
Una volta operata la suddivisione, i bottoni vanno separati per epoca e nazionalità
ed infine per classe o lignaggio.
Il valore di un bottone è determinato
ovviamente dalla sua “età e dalla materia
di cui è formato”: si va da qualche euro,
Campo de’ fiori
7
delle raccolte moderne
nisti nel mondo: nutrita la schiera degli italiani
per quelli comunissimi a 10/20 euro, per i
grandi bottoni in metallo decorato, ai
50/100 euro, per i piccoli bottoni in argento, fino a raggiungere e superare i mille
euro ed oltre, per i bottoni di epoca vittoriana.
I micromosaici del Cinquecento e quelli
creati nel XVIII secolo – periodo di maggior splendore per il bottone – in Francia
ed in Inghilterra, in oro e pietre preziose,
in ceramica Wegwod o con ricami su seta,
hanno quotazioni di mercato proibitive.
Fra i grandi collezionisti italiani: il piemontese Franco JACASSI, con una raccolta che comprende oltre 100.000 bottoni rari, tutti diversi, oltre a serie comuni
che superano i quindici milioni di pezzi, e
Giorgio Gallavotti, di Sant’Arcangelo di
Romagna, artefice, nella sua città, del
“Museo del bottone”, comprendente esemplari dalla fine dell’Ottocento ai giorni
nostri, nonché ispiratore del C.I.B.
(Collezionisti Italiani Bottoni), associazione
con alcune centinaia di aderenti, solo per
citarne alcuni.
Un discorso a parte meritano i NETSUKE,
piccoli ciondoli-bottone, che dal XVIII
secolo stringono la fascia che cinge in vita
il Kimono giapponese.
Questi oggetti, realizzati in materie pregiate, che, forse impropriamente, vengono
inseriti nel collezionismo dei bottoni, sono
tuttavia richiestissimi dai buttonofili, i quali
riescono, nelle contrattazioni o nelle aste,
ad assicurarseli dietro versamento di alcune migliaia di euro.
Per concludere è appena il caso di segnalare che, ultimi entrati in questa grande
famiglia collezionistica, sono i bottoni
BEAT, in voga negli anni scorsi con la
moda omonima: esprimono, su chi li
porta, uno stato d’animo, un’idea o una
posizione, ma anche il dubbio del punto
interrogativo.
A questo proposito è opportuno ricordare
che la moda BEAT fu una corrente di pensiero e di protesta che esaltava atteggiamenti ribelli, anticonformisti ed asociali;
seguita da molti giovani in tutto il mondo,
si ispirava al movimento musicale nato in
Inghilterra verso la metà dello scorso
secolo ed i cui più noti esponenti furono i
Beatles ed i Rolling Stones.
Campo de’ fiori
8
Roma che se n’è andata: luoghi
Per i meandri del ghetto
S. Angelo, il più piccolo dei Rioni di Roma,
prende il nome dalla chiesa, edificata nell’anno 770, di Sant’Angelo in Pescheria,
con riferimento al vicino mercato del pesce
che, per lungo tempo, restò ubicato sotto
le colonne del Portico di Ottavia, edificio
religioso meglio conosciuto nel medioevo
come “Regio Sancti Angeli in foro
piscium”, ossia presso il mercato del
pesce.
Soltanto una breve annotazione per ricordare che questa chiesa ebbe una grande
importanza storica; infatti, proprio da
Sant’Angelo in Pescheria, dopo avere
ascoltato trenta messe dello Spirito Santo
a partire da mezzanotte, il giorno della
Pentecoste del 1347 uscì Cola di Rienzo “
… armato de tutte arme …“, con il solo
capo “discoperto”, preceduto dai gonfaloni
e seguito da una “ … moltitudine di garzoper avviarsi al
ni tutti gridanti …“,
Campidoglio e parlare al popolo nel tentativo di ripristinare la Repubblica Romana.
Il Rione si sviluppava originariamente su
quello che era il sito del Circo Flaminio,
qui costruito durante il III secolo a.C. da
Gaio Flaminio, ma già nel Medioevo, quando il Circo e diversi fabbricati di epoca
romana non esistevano più, vennero
costruite nuove case, utilizzando prevalentemente l’abbondante materiale di risulta
presente in zona, cosa che, ancora oggi, si
può facilmente notare, osservando i muri
delle costruzioni più antiche.
Allorquando Paolo IV, Gian Pietro Carafa,
1555 - 1559, come già ricordato, emise la
Bolla con la quale disponeva la segregazione della comunità ebraica, circa la metà
di questo antichissimo Rione divenne il
Ghetto di Roma e, mentre migliaia di ebrei
furono costretti a vivere ammassati in piccole, vetuste e insalubri case, appena fuori
da quell’ignobile “recinto” agiate famiglie
cristiane risiedevano in eleganti palazzi.
In questo sito il nobile romano Lorenzo
Manili costruì la propria dimora.
Successivamente, siamo nel XVI secolo, i
Savelli pensarono bene di costruire in cima
al Teatro di Marcello un bellissimo palazzo,
passato più tardi alla proprietà degli Orsini
e, in altra parte del Rione, la potente famiglia dei Mattei eresse ben quattro palazzi,
che insieme formarono la cosiddetta “isola
dei Mattei”. Altre nobili famiglie, come i
Costaguti, i Santacroce ed i Serlupi, scel-
sero
di
costruire le
loro residenze
in Sant’Angelo.
Antica la presenza degli
ebrei in questo
luogo,
tanto
che,
come testimonia l’anonimo cronista, che taluni
studiosi individuano nella
persona del
diplomatico
pontificio
Bartolomeo di
Jacovo da Valmontone, autore della “Vita
di Cola di Rienzo” :
“ … nacque nello Rione della Regola. Sio
avitazio fu canto fiume, fra li mulinari,
nella strada che vao alla Regola, dereto
Santo Tomao, sotto lo Tempio delli Iudei
…“
Ma veniamo a tempi molto più recenti.
Sono ormai passati più di trecento anni da
quel triste 14 luglio 1555; la città è in attesa della demolizione di quelle case che
costituirono il Ghetto di Roma, il quartiere
non è più soggetto a coprifuoco, non ci
sono più le porte d’ingresso, quel sito è
ormai Roma, gli ebrei sono cittadini italiani a tutti gli effetti ma, come ben sai, i
costumi di un popolo sono difficili da cambiare, non si possono modificare nello spazio di poche settimane o, se preferisci, di
pochi mesi, a volte occorrono decenni. Al
momento, gli ebrei che abitano nel Ghetto
mantengono vive e integre le loro abitudini e manifestazioni, qui trovi ancora gli
abiti usati, i venditori di stracci e le donne
mentre chiacchierano sedute sulle soglie,
in cerca di luce per cucire e aria per respirare, in quei caratteristici cortili - piazzette, formatesi, quasi spontaneamente, agli
incroci dei contorti meandri.
E’ proprio su quelli che furono i meandri
del Ghetto che desidero intrattenerti,
anche se non è facile ricostruirne l’esatta
topografia. Brevemente: all’interno due
grandi trasversali, la “strada di Rua” o
“Ruga delli Judei”,
in origine “Ruga
Judaeorum”, partiva da Piazza Giudia con
andamento parallelo alla “strada di
Piscaria”, mentre la “strada Fiumara” si
sviluppava oltre le case affacciate sul
Tevere, quindi, verso Monte Cenci, la
“piazzetta delle Scole”, un luogo che prendeva il nome dalla presenza delle cinque
“scole ebraiche”, la “scola del Tempio”, la
“scola Nova”, la “scola Siciliana”, oltre alle
due di rito spagnolo, ossia la “scola
Catalana” e la “scola Castigliana”, fondate
dagli ebrei che, espulsi dalla Spagna alla
fine del Quattrocento, vollero stabilirsi a
Roma.
La produzione artistica, costituita dagli
acquarelli di Ettore Roesler Fran, su Roma
sparita è l’unica documentazione a noi pervenuta di quello che fu il Ghetto di Roma,
anche se è pur vero che l’artista, per ritrarre quel particolare quartiere, oltre ai suoi
pennelli, adoperò spesso l’obiettivo fotografico, riuscendo così a conservare alcune
immagini davvero uniche, cosa che altri,
dopo di lui, non riuscirono a fare, essendo
arrivati a cose compiute, ossia quando
quelle case erano già state completamente spianate.
Ettore Roesler Franz confidava ad alcuni
amici che vi fu un particolare momento
della sua vita artistica durante il quale
dovette impegnarsi non poco per anticipare, a volte soltanto di poche settimane, l’opera dei “demolitori” della vecchia Roma e
ciò allo scopo di riuscire a fermare con i
suoi colori quelle immagini della città che,
Campo de’ fiori
9
i, figure, personaggi
di Riccardo Consoli
di lì a poco, sarebbero state cancellate e
distrutte per sempre. L’artista sosteneva
che per lui, assieme ad un misto di rabbia,
era un piacere poter gareggiare con quei
tenaci “demolitori”.
La Roma che egli amava di più e che ci ha
tramandato non è tanto quella dei grandiosi monumenti o dei palazzi principeschi,
ma piuttosto quella delle povere e umili
case, anche se, talvolta, mescolate e confuse con qualche dimora baronale, oltre a
quella dei balconcini fioriti, dei ricchi pergolati lungo le sponde del Tevere e, naturalmente, dei meandri del Ghetto.
Nei quadri dell’artista, tutti realizzati a
valle dell’abbattimento del “recinto”, il
Portico di Ottavia costituisce l’epicentro di
una zona che fu pure nido di osterie e
covo di pescatori, una sorta di perno centrale attorno al quale, di volta in volta, ci
vengono presentati i tanti tuguri e i numerosi meandri, un susseguirsi di scene
molte volte tristi, a volte raggianti di vita;
possiamo osservare il timpano e il colonnato dello stesso Portico collegati ad una
casa con scala esterna, ben in vista e con
parapetto fatiscente, nel cortile un gruppo
di capre disposte in semicerchio, con il
pastore addormentato in mezzo a loro e,
ancora, un gran pavese di panni stesi.
Acquerelli dove è protagonista assoluta la
luce del sole, che consente di valorizzare
ogni particolare. Così: un magnifico frate
dominicano barbuto, intento ai suoi acquisti nel mezzo di un largo; un deposito all’aperto di cappotti, giacche, vestiti e stoffe
di ogni genere; un ombrellaio al lavoro;
canestri e altri recipienti ai quali bene si
accompagna l’indicazione “vini di Marino”;
una cesta, la cosiddetta “canefora”, poggiata sul selciato; un vecchio carretto
abbandonato; un uomo in bottega dietro il
suo banchetto di lavoro.
Elementi eterogenei nella composita varietà dei meandri del Ghetto e, mentre
incombono le già programmate “demolizioni”, facciamo appena in tempo ad
osservare una serie di edifici fatiscenti, con
orribili scale esterne prive di corrimano e
ballatoi senza parapetto, protetti da poche
tavole inchiodate, povere case sopraelevate nel corso dei secoli, allo scopo di acquistare in altezza gli ambienti necessari alla
comunità, che aumentava di numero;
vicoli e case interamente aperte al com-
mercio dalla verdura, agli articoli per la
casa, agli oggetti di piccolo antiquariato e
poi, in mezzo a tutto ciò, senza alcuna
apparente relazione logica, una magnifica
finestra crociata o guelfa, come si usava
dire un tempo, posizionata in alto.
Un tempo a Roma e dintorni si pescava
ovunque, sopratutto nel Tevere, dove
abboccava persino la spigola, pesce di
mare per eccellenza, che risaliva il fiume
attratta dai rifiuti commestibili, divenendo
di qualità più pregiata per via della fatica
fatta nuotando contro corrente. Il pescato
affluiva sui banchi di vendita al pubblico,
disposti nei mercati della città, in tale
quantità e qualità da lasciare stupefatti
turisti e viaggiatori, ma principalmente nei
banchi di Sant’Angelo in Pescheria, mercato del pesce per eccellenza, sul quale ci
siamo intrattenuti in altra sede.
Questo mercato è stato per moltissimi
anni elemento caratterizzante il Ghetto di
Roma, passaggio obbligato del commercio
ittico. Qui era costumanza che la testa dei
pesci “nobili” dovesse andare in regalo ai
Conservatori di Roma quando gli esemplari eccedevano la lunghezza di cinque palmi
e un’oncia, corrispondenti al nostro metro
e tredici centimetri, come ricordato da una
bella lapide del XVII secolo, apposta lungo
la scala del Palazzo dei Conservatori.
Una volta demolito il Ghetto alcune delle
colonne romane, prima incorporate nelle
facciate di antiche case, sono rimaste in
piedi, quasi a volerci ricordare quello che
era stato l’antico limite; Ettore Roesler
Franz ha voluto riprodurre antichi archi
illuminati dalla luce del sole, attraverso la
paziente ripetizione degli antichi mattoni
disposti a raggiera. I meandri del Ghetto
sono sempre raffigurati con tutte le vivaci
immagini di vita e, a completamento, ecco
cosa scrive Cesare Pascarella in una delle
sue deliziose prose:
“ … dal fondo di un vicolo s’avanza un
gruppo numeroso e pittoresco di suonatori strimpellando mandolini e chitarre; essi
hanno in capo grandi tube ornate di fiori e
sono tutti vestiti di forme disusate. Le
esclamazioni di sorpresa e le domande si
incrociano fra i portoncini e le finestre:
Che è successo? … Che d’e’? … E’ ritornato carnevale? … Chi so? … E una voce
superando il frastuono delle voci degli
strumenti e delle risate di cui ormai il vico-
lo è pieno, risponde: So’ li pittori che
vanno a magnà li carciofoli, in Ghetto … “.
La Sinagoga, sul Lungotevere dei Cenci, è
oggi il luogo di culto della comunità ebraica di Roma, con la sua cupola quadrata,
visibile da molti punti della città e fu
costruita tra gli anni 1899 e 1904. Il
“Tempio”, come amano chiamarla gli ebrei
romani, rappresenta la riconquistata cittadinanza dopo la vergogna del Ghetto; è
frequentata praticamente da tutti, anche
se in città insistono altre Sinagoghe più
piccole. Nessuna immagine all’interno,
solo simboli e numerosi scritte in ebraico,
quasi tutte versetti delle Scritture, che
esaltano la sacralità del luogo.
Il Ghetto di Roma, un luogo così fitto di
presenze e di incroci, non solo reali ma
anche simbolici poiché osservando, sia
pure nei dipinti, quelli che furono i suoi
meandri e le sue case affollate e strette,
possiamo soltanto immaginare dove e
come hanno vissuto, per più di trecento
anni, uomini e donne, quotidianamente
impegnati a svolgere i pochi mestieri loro
consentiti. Ma la vita di tante generazioni
in questo luogo ha aiutato la comunità di
Roma nel mantenimento delle “tradizioni”,
nel capire l’importanza dell’unità della
famiglia innanzi tutto e poi ancora il legame con il commercio, la sopravvivenza del
giudaico romanesco ma, soprattutto, il
senso di appartenenza a quel luogo, a
quelle pietre, a quello spazio.
10
Campo de’ fiori
di Carlo Cattani
2° Intermezzo (“Vento lungo,fiato
corto”)
< …che vento tira? e che ne so … er
vento è ‘r vento ! … che ‘n devo da
guardà? a rosa? e mò che che centreno li fiori …. qui so foje …. F O J E E E
E ! … se so annata a le lementari?….
e si che ciò la quinta … ahò, a bello,
si stò qui è pe l’esami de curtura
generale e de ramazza ... mica pe li
titoli quibbollenti come quarcheduno
che so io che s’anbosca ... che ta
credi!…si ho studiato a giografia? ..
me sembra … chi so o ricorda … so
passati na cifra d’anni… si ma li fiori
che centreno? … a rosa de venti? en
che dè? … lassamo perde li fiori… lassamo perde le lementari … che me
sta a venì na commozione cerebrale
si ripensò a li tempi de quanno c’era
la pora mamma che me ce portava
cor cestino dove che dintra ce metteva er pane co a frittata e a cipolla!>
La ventata di interesse della nostra rubrica
verso la band Romana degli ZEPHIRO è
ancora sostenuta e, volentieri, vi esponiamo alle “folate” di Claudio Todesco, chitarrista-compositore, portavoce, in questa
occasione, della band.
Carlo: ripartiamo parlando dei testi che si
“appoggiano” alle vostre musiche….
Claudio: nel cd, costituito da 10 brani, ho
scritto 8 testi, per un altro sono co-autore
con Emanuele e un altro è opera di “TRIS”;
per quanto mi riguarda, sono perlopiù
testi “introspettivi”, che parlano di mie
esperienze personali ma in maniera non
esplicita, tanto da suscitare, da parte di
chi ha avuto modo di ascoltarli, delle
interpretazioni per me inaspettate …..
Carlo: cosa vi aspettate dalla pubblicazione di “IMMAGINA UN GIORNO”? Come
vi state dando da fare per propagandarlo?
Claudio: sicuramente l’esibizione live rappresenta la nostra “prima linea”: abbiamo
finora realizzato, suonando con una certa
frequenza mensile, circa 200 concerti,
sparsi fra Roma, la Regione, altre Regioni
e pure un’esibizione in Francia a
Montpellier … in queste occasioni portiamo con noi copie del cd e riusciamo a venderne diverse …. 4/5 anni fa, non avrei
mai pensato ci fosse qualcuno disponibile
a tirare fuori dei soldi per comprare un
“mio” cd …. invece, adesso, accade … e
mi chiedono, … ci chiedono, pure una
dedica! Stiamo lavorando per inserire la
pubblicità del disco su diversi portali di
musica; abbiamo facilitato l’acquisto del cd
anche on line dal nostro sito, con l’uso
della carta di credito; poi stiamo allargando la cerchia di negozi di dischi tradizionali, che a Roma e dintorni possano “distribuire” il cd … ricerchiamo attivamente una
distribuzione Nazionale!
Carlo: è importante per la diffusione della
musica anche il rapporto con il “sistema
radiofonico/televisivo” ….
Claudio: abbiamo spedito il cd ad un
certo numero di radio anche al di fuori dei
confini regionali, confidando nella diffusione da parte delle stesse. Già abbiamo
beneficiato di alcuni passaggi radio, sia in
termini della sola diffusione del brano sia
in occasione di interviste e dirette di mini
concerti in acustico: a tal proposito consentimi di esprimere un ringraziamento
sincero a Radio Rock /Radio Rock Italia
(www.radiorock.it e www.radioro-ckitalia.it), a Radio Meridia-no 12 (www.radiomeridiano12.com), a Radio Roma
(http://italymedia.it/radioroma/radiodeivip.htm), a Mep Radio di Rieti
(www.mepradio.it), a Radio Città Del
capo e Ciao Radio di Bologna e a tante
altre emittenti, comprese diverse radio e
tv via web, che ci hanno ospitato o hanno
in programmazione il videoclip di
“Lontano da un luogo lontano”. Poi,
qualche settimana fa, siamo stati ospiti
della web radio universitaria di Roma
“RADIO SAPIENZA” e per loro abbiamo
eseguito un minilive in acustico di tre
brani e, ancora, su Radio DUE RAI nel
programma “Versione Beta” c’è stato un
doppio appuntamento con la nostra band
con la trasmissione di Lontano da un
luogo lontano e L’Albero, altro brano
estratto dal nostro cd. Anche “RADIO
DEEJAY” ad ottobre ci aveva “aperto i
microfoni”, trasmettendo Lontano da un
luogo lontano nella trasmissione
“Collezioni private”
… insomma, nel
nostro piccolo, con mezzi assolutamente
“autarchici”, stiamo cercando di “soffiare”
più in là possibile!
Carlo: ho notato, nella mia esperienza
passata in qualità di manager di alcune
rock band, che le emittenti radiofoniche
sono ben disposte ad “impreziosire” la
classica intervista ad un gruppo con una
mini esibizione in acustico, caratterizzando meglio il passaggio: che ne pensi?
Claudio: allora…. io, inizialmente, ero
molto scettico sui cosiddetti “unplugged”:
essendo un chitarrista, preferisco l’esibizione “collegata” …. Rock … a volume …
amo l’energia … anche il “rumore” … il
trasmettere qualcosa anche per il tramite dell’impatto sonoro … con dei suoni
che “ti penetrano” …. l’unplugged, sicura-
Campo de’ fiori
mente arriva all’audience suscitando altre
sensazioni ... ne abbiamo fatti alcuni, ci
hanno dato delle soddisfazioni … ce li
chiedono e … ben volentieri li riproponiamo … ne abbiamo fatto uno in tv su
“TeleAmbiente”, nell’ambito del concorso
di cui ti dicevo prima, “Note in Ombra”,
che ci ha fruttato la vincita della manifestazione …..
Carlo: So che aderite da tempo all’associazione “NO SLAPPERS”: vuoi parlarne
anche per diffondere notizie a riguardo, di
sicuro interesse per i nostri lettori.
Claudio: si … con molta onestà, posso
dirti che “NO SLAPPERS” ha notevolmente contribuito al raggiungimento dell’attuale livello di “visibilità” della band;
“NO SLAPPERS” che cosa è? Posso
risponderti premettendo le parole del suo
ideatore Fernando Regaldo, lui stesso
musicista, chitarrista in seno alla rock
band degli “S.O.S” (www.sosrock.it) <No
Slappers è stata una scommessa contro chi dice che va tutto
storto e non si può fare niente se
non ci sono i soldi !>… sorta nel
2003, è un’associazione fra
bands di cosiddetta “musica originale”, messa su per le bands;
non persegue scopi di lucro, nel
senso che gli introiti che si ricavano dall’organizzazione dei concerti vengono reinvestiti per la realizzazione di locandine, noleggi di
services, manifatture di magliette
e quant’altro di supporto alla
musica delle bands iscritte ….
spesso capita che le persone che
sono “nel cuore” dell’associazione
anticipino dei fondi, sperando nel
recupero dopo gli eventi organizzati …
citando le note introduttive di presentazione dal sito dell’associazione: www.noslappers.it <….è il più grande movimento
autogestito di gruppi di musica indipendente a Roma, con oltre 200 bands iscritte….> …la denominazione “NO SLAPPERS” si rifà a un’espressione dispregiativa in uso nei quartieri ghetto Americani e
ripresa “alla fondazione” del movimento,
nell’intento di stigmatizzare la distanza
dai “princìpi artistici” di chi sceglie di suonare nelle tribute e cover band, quelle formazioni che propongono l’esecuzione di
materiale di gruppi famosi e che, di fatto,
sono le “preferite” dalla maggior parte dei
locali, che puntano sul sicuro del repertorio dell’artista/i “clonati”, facendole esibire
… ma con “NO SLAPPERS” non è più così
nera la situazione! Fernando si fa davvero
in quattro per la buona riuscita degli eventi “NO SLAPPERS” e si è circondato di
persone, tra le quali ci sono anche i mem-
bri di ZEPHIRO, che danno una mano in
maniera periodica. Ognuno ha un compito: io ad esempio mi occupo del merchandising dell’Associazione, ma c’è chi si
occupa di aggiornare il sito, chi ricerca le
serate, chi si relaziona con i media etc.….
più in piccolo potremmo paragonarla
all’organizzazione interna ad una band,
dove i vari elementi si interessano in quei
settori di utilità per il gruppo a loro più
congeniali per esperienze trascorse, attitudini etc.. .
Carlo: come vi rapportate con la scena
musicale Romana? C’è conflittualità, gelosia, concorrenza …
Claudio: sicuramente c’è concorrenza ma
in buonafede … noi, più che altro, siamo in
concorrenza con … noi stessi … con quello che possiamo fare… cerchiamo di capire i nostri limiti, cerchiamo di comprendere dove possiamo arrivare e la prima concorrenza è con noi stessi; poi, qualche
altra band in gamba costituisce uno stimolo per fare meglio! A parte qualche
caso particolare, il rapporto in genere con
le altre bands è sicuramente di massima
cordialità e collaborazione …. permettimi
un inciso: noi suoniamo frequentemente
anche perché ci esibiamo spesso in abbinamento con altri gruppi, magari una
volta procurando noi una serata e successivamente all’inverso …… si ha il piacere di
condividerla con musicisti che poi divengono amici, unito al fattore di utilità di
questa attività “reciproca” di ricerca di
opportunità per esibirsi dal vivo. La cosa
migliore sarebbe avere un manager al
quale affidare le tante diverse problematiche. Il tempo è quel che è per tutti noi: chi
lavora, chi ancora studia, comunque, si
“ruba” il tempo per occuparsi di tutto
quanto serve a far “soffiare” la musica di
“ZEPHIRO”!
Carlo: parliamo, adesso della realizzazione del vostro primo cd “IMMAGINA UN
11
GIORNO”: dal sogno nel cassetto alla
prodotto finito.
Claudio: è proprio il caso di dire “dal
sogno”… perché sin da ragazzino, da
quando imbracciavo per le prime volte una
chitarra, ho sempre desiderato poter pubblicare un disco …. e adesso che da qualche mese lo giro e lo rigiro fra le mani,
sono ancora incredulo che ho realizzato
quel sogno… detto questo, posso affermare che è stato più il tempo che abbiamo
impiegato per risolvere tutte le problematiche burocratiche, di grafica, di aspetti
esteriori per la presentazione del cd, che
quello speso per occuparci della musica
stessa … questo è abbastanza paradossale e sintomatico dei tempi d’oggi … sicuramente c’è un sistema Italiano, vedi anche
la burocrazia SIAE, che non ti facilita e
rende lungo e travagliato il progetto discografico per una band indipendente e autoprodotta …. abbiamo fatto parecchia preproduzione, nel senso che
siamo entrati in studio già con
le idee chiare sui suoni, arrangiamenti, sovraincisioni di chitarra, anche se sono pochissime
e molto brevi, e poi con uno
studio già svolto per le voci e i
cori; per quanto riguarda i giorni di lavorazione, tra registrazioni editing, missaggio e masterizzazione, in totale abbiamo
impiegato un paio di settimane.
Poi c’è stato tutto il discorso
grafico
relativamente
alla
copertina e al booklet che è in
allegato al cd …. sono aspetti
importantissimi … un cd con
una veste grafica professionale
ha sicuramente il suo peso nell’insieme
del progetto … la musica è fondamentale, naturalmente ma come si dice… anche
l’occhio vuole la sua parte … in generale
anche con le immagini scelte si vuole
comunicare qualcosa …. così come dal
vivo, con la gestualità e per quanto esprimi verbalmente…
Carlo: allora, dammi il “pensiero” alla
base dell’adozione della foto che illustra il
cd e il significato del titolo “IMMAGINA
UN GIORNO”.
Claudio: la copertina rappresenta la
porta di una cabina elettrica … ora, a prescindere dal reale impiego di questa porta
... E’ UNA PORTA! ... aprendo questa porta
… la copertina del cd … l’ascoltatore entra
in un “mondo di stati d’animo” … scendendo nei particolari, noi abbiamo disposto, in un momento successivo al periodo
di composizione, i brani, seguendo questa
logica:
continua a pagina 12........
12
brani più diretti, solari, fino ad arrivare alle
ultime canzoni, più cupe, più ragionate, più
studiate ... forse anche più progressive, perché no, come una sorta di successione temporale di stati d’animo ... dal mattino alla
sera … questo è un significato che non so se
sia percepito, ma questa era la nostra idea
nella scelta della scaletta del cd.
Carlo: torniamo a te: parlami della tua formazione musicale, gli ascolti, i musicisti che
ti hanno ispirato nel modo di suonare.
Claudio: riprendendo ed integrando quello
che già avevo accennato all’inizio di questa
conversazione, spazio tra i generi, così
come anche gli altri ragazzi del gruppo … il
mio genere preferito, quello che mi ha
suscitato maggiori interessi, è sempre stato
il rock progressivo … adoro i vecchi filmati
degli anni ’70 dei King Crimson, degli Yes, di
El &P, dei Genesis … per quanto riguarda i
musicisti, sicuramente cito Robert Fripp tra i
miei preferiti, poi i classici Jimmy Page e
Ritchie Blackmore …. anche se io non seguo
il loro stile … essendo la nostra formazione
ad una chitarra sola, nell’economia della
band devo avere una “multifunzionalità”,
diciamo che sono un “jolly” … senza essere
un maestro di tecnica, per carità, ma devo
realizzare accompagnamenti, assoli, arpeggi … i miei punti di riferimento anche se
possono essere chitarristi supertecnici non
implicano che io lo sia … si badi, io non sono
contro la tecnica strumentale, che rappresenta un modo per ampliare la via della
comunicazione musicale, ma contro il suo
abuso che può ostruire tale via.
Carlo: la tua prima chitarra?
Claudio: a quindici anni, una Kort, poi cambiata con una Gibson Les Paul, quindi sono
passato ad una Fender Stratocaster e, da
oltre tre anni, suono con grande soddisfazione con una Fender Telecaster, dall’attacco diretto …. è squillante e poi l’ho personalizzata con un magnete “hot noiseless” al
manico che conferisce “corpo” alle frequenze basse …. essendo una formazione ad una
sola chitarra, è importante che io sia
coprente, oltre che ad aver un piglio squillante … forse questa modifica ha dato più
concretezza al sound della band ….
Carlo: agli esordi schieravate una cantante e nel cd accreditate un altro batterista in
luogo di Alessandro Inolti …
Claudio: si, proprio spinti dall’esigenza di
fare un rock particolare ed originale, avevamo provato, a tavolino, a metter su un band
di rock progressivo con una voce femminile
… una cosa non dico rara ma non frequentissima … abbiamo collaborato con questa
ragazza, Tiziana, abbiamo fatto anche due
concerti con lei, poi le nostre strade si sono
separate per problemi vari …. abbiamo continuato a cercare altre voci femminili, purtroppo, all’epoca, non trovammo persone di
nostro gradimento e alla fine, per caso, un
giorno, provammo un ragazzo, che non era
Emanuele … capimmo in quei giorni che,
forse, i nostri pezzi, erano più adatti ad
esser cantati da un uomo e questo ragazzo
li aveva interpretati molto bene … poi lui
decise di non dare seguito al nostro invito di
unirsi alla band … poco più tardi, incontrammo Emanuele che si propose egregiamente e fu “soffiato” da Zephiro …. al resto
Campo de’ fiori
della scena! Emanuele è un ragazzo con una
voce molto potente, una buonissima estensione e dal vivo è molto comunicativo, energico …… quello che cercavamo! …. tra
l’altro, anche se i brani non li ha scritti direttamente, è riuscito a realizzare le giuste
interpretazioni … per quanto riguarda la
batteria, posso e voglio dirti che Alessandro,
nonostante la “sua tenera età” si è presentato a noi da professionista! In due prove si
dimostrò perfettamente a suo agio rispetto
all’esecuzione dell’intero album che era
appena uscito e dopo 3 prove ha suonato
live con noi…. IMPECCABILMENTE !
Carlo: a cosa dobbiamo la scelta della
denominazione del gruppo, ZEPHIRO, il
vento da ponente ... per noi Romani “er
Ponentino”?
Claudio: allora, ZEPHIRO … con il “PH”,
un vocabolo derivato dal Greco … in origine,
nella mitologia greca è “Zéphyros”, la personificazione del vento di ponente …. un
nome scelto per non ricorrere a qualcosa di
Inglese… intanto, mi comunicava “visivamente” più energia … rispetto al termine in
italiano con la “F” … poi, l’adozione del
nome di un vento … il vento è qualcosa che
spazza via, porta aria nuova … il vento è
dinamica, c’è un significato di cambiamento,
di rinnovamento, di situazione positiva .. c’è
un significato di crescita, di sviluppo …
ZEPHIRO, il vento, porta con sé questo
significato di “fertilità”!
Carlo: nel cd è presente anche un videoclip del brano di apertura “Lontano da un
luogo lontano”: ce ne vuoi parlare?
Claudio: il videoclip è stata un’esperienza
molto interessante … è stato realizzato, ci
tengo a precisare, a titolo gratuito da alcuni
ragazzi, studenti dell’istituto di cinematografia, ospitato all’interno degli “Studios” di
Cinecittà, coordinati dalla regia di Giulia
Cima … il video è stato prodotto in tre giorni, utilizzando attrezzature professionali e il
risultato ci ha davvero soddisfatti …. lo
storyboard lo ha realizzato Emanuele, il
nostro cantante, con la supervisione di
Giulia; il montaggio è stato realizzato da
Giovanni Santonocito, davvero in gamba,
che ha impresso la giusta dinamica al video,
trasferendo al meglio le diverse atmosfere
del brano.
Carlo: perchè avete scelto “Lontano da
un luogo lontano” per la realizzazione di
un vostro primo video?
Claudio: è la canzone più diretta … non
dico la migliore … io ne sono l’autore e per
la musica ha collaborato anche Giacomo
“Tris” Citro, il bassista … una canzone con
cambi di atmosfere, una canzone solare,
con sprazzi “progressivi”, che tendono a
conferire il senso della successione degli
stati d’animo … il video è stato girato, in
parte, in alcuni angoli del quartiere
Tuscolano e in parte all’interno degli
“Studios” di Cinecittà; il gruppo è presente
nelle immagini … era importante, essendo il
nostro primo video … si tratta di un incastro
di immagini tra una ragazza che vaga per il
quartiere e lascia delle cose in terra … degli
indizi, che noi nel corso del video raccogliamo … ma ci sono anche immagini che ci
riprendono mentre suoniamo.
Carlo: quali sono i vostri progetti futuri, le
aspirazioni per i
prossimi me-si?
Claudio: come
accennavo prima, cerchiamo
un ufficio stampa e una distribuzione più capillare per il
nostro 1° album
e una produzione a budget più
elevato, per la
realizzazione di
un secondo album …in generale, vorremmo
esprimere al meglio la nostra
musica!
Carlo:
siamo
giunti alla conclusione del nostro incontro: cosa
dirai al resto della “gang” di questa nostra chiacchierata?
Claudio: IO C’ERO! Mi è piaciuta molto
questa nostra conversazione, mi ha dato
modo di spaziare tra gli argomenti e
comunicare quello che è il modo di operare
e vivere la musica da parte degli ZEPHIRO
… peccato non esser stati tutti presenti ma
motivi diversi non l’hanno consentito … ma
se ci penso meglio, potrei anche dirgli:
<ben per voi … C’ERANO DELLE ZANZARE … GRANDI COSIII’!>…. scusa,
Carlo … hai dell’AUTAN? (www.zephiro.org e www.myspace.com / zephiroband-email : [email protected])
Epilogo <tri tri triii … tri tri triii....... prontii! Qui deposito: è l’operatrice ecologica
Folletto Jolanda matricola 334578/875433?
... pò esse! attenda in linea signora, grazie
… (attesa con intermezzo musicale)
“…eppure il vento soffia ancora spruzza
l’acqua alle navi sulla prora e sussurra canzoni tra le foglie bacia i fiori li bacia e non li
coglie*…” A Jola’ …. so Spartaco … senti
n’po’ … me dicheno che sei stressata … che
stai a questionà per du foje che se ‘n volano … che sta a richiede l’ausilio de le “forze
speciali” …. A Spa … allora se comunica dentro a sta ‘zienda … ce condivisione den formazioni … a Jolà … famola
breve …. stamme a sentì …. ciò un lavoretto pe te stanotte … no straordinario …. so
sordi …… daje, spara , che mò arriva
Natale …. ciò da faje er monopattino
de Drago Boll ar pupo … ce sarebbe da
annà a pulì na galleria … na galleria? ..
en dov’è che stà? … a via dell’Alisei … è
lontano da qua? … un soffio ... na galleria? Ahò… si ma de quale galleria
stamo a parlà? … da a galleria der VENTOOOO … a Jolà! … prima de comincia,
però, mettete du sanpietrini nelle saccocce
..... sinnò voliii …… VIA COR VENTOOO
!>
* versi tratti da “ Eppure Soffia” di
(Pier)Angelo Bertoli –lp Eppure soffia
–CGD-1976.
14
Campo de’ fiori
PARANOID PARK
di
M. Cristina Caponi
Paranoid Park; USA, Francia, 2007.
Genere: drammatico, thriller; regia:
Gus Van Sant; interpreti: Gabe Nevis,
Dan Liu, Jake Miller, Taylor Momsen,
Lauren Mc Kinney, Olivier Garnier,
Scott Green, Winfield Henry Jackson;
sceneggiatura: Gus Van Sant; fotografia:
Christopher Doyle, Rain Kathy Li;
montaggio: Gus Van Sant; scenografia:
John Pearson Denning; costumi:
Chapin Simpson; distribuzione: Lucky
Red; durata: 1h e 30 minuti.
In La donna del ritratto il quieto e attempato criminologo Richard Wanley viene
coinvolto -suo malgrado- in un omicidio,
difendendo una bella donna a lui estranea.
Decide di nascondere il cadavere e tacere
sull’accaduto, ma la paura lo assale.
Fortunatamente era solo un sogno. Magari
potrebbe dire lo stesso il sedicenne Alex
(Gabe Nevis), protagonista di Paranoid
Park, film premiato al festival di Cannes
2007. Anche lui è responsabile di una
morte accidentale (il cadavere in questione è quello di un agente della sicurezza
ferroviaria) e anche lui decide di continuare la sua vita senza dir nulla dell’accaduto.
Il frustrante smarrimento del giovane è
solo all’inizio.
Il regista di Portland Gus Van Sant torna
dietro la macchina da presa per narrare
vicende aventi come personaggi principali
adolescenti dolenti e disorientati. Questa
volta lo fa concependo l’adattamento cinematografico di un romanzo breve dello
scrittore Blake Nelson.
I protagonisti della sua ultima opera interagiscono fra loro in un background metropolitano, in cui gli adulti sono quasi o del
tutto assenti. Più precisamente, lo scenario cardinale
intorno a cui ruota l’intera
storia del nostro eroe è il
paradiso degli skater più
spericolati, degli artisti delle
tavole su quattro ruote,
dove la tragedia si consuma
sul rappreso cemento armato di periferia. È l’asetticità
dei rapporti umani, sia che
si tratti delle amicizie sia
che riguardi le prime esperienze sessuali, che colpisce
sin da subito il pubblico alla
stregua di un pugno allo
stomaco, rivelando una patina del più
totale nichilismo. Ma tutto questo è solo
Paranoid Park: tempio del disorientamento
adolescenziale e della rabbia giovane, nell’epoca dell’America repubblicana di Bush.
A livello tecnico, l’autore di Da morire bissa
alcuni stilemi, già riscontrati in alcuni dei
suoi lungometraggi più recenti, come
Elephant e Last days, e si compiace del
suo stesso manierismo estetico. Per far
scaturire la bellezza dell’immagine, bastano pochi ingredienti: il dilungarsi su inquadrature fisse, l’imperare di
sgranature, rallentamenti e
accelerazioni e, infine, lo
sfolgorante utilizzo del
super 8 alternato alla pellicola 35 mm.
Spiazzante la scelta della
colonna sorona, cockatil originale d’ipnotizzanti musiche composte da Elliot
Smith, Beethoven e Nino
Rota. Ferrata l’interpretazione del debuttante
Gabe Nevis nel ruolo
dell’angariato Alex; il suo efebico volto
d’angelo stride alla perfezione con la
scaltrezza che s’intuisce nello sguardo.
Una piccola indiscrezione: le selezioni
per il film, a cui tutti i giovani interpreti hanno partecipato prima di essere
scelti dal regista, sono state ampiamente reclamizzate su alcuni banner
pubblicitari del sito myspace.com.
Tuttavia, sfalsando l’ordine cronologico
degli eventi e anteponendo la freddez-
za dei tempi morti ai risvolti polizieschi, lo
spettatore esce dalla sala abbastanza
scombussolato. Il finale aperto non fa altro
che cristallizzare –ulteriormente- qualsiasi
tipo di giudizio etico-morale.
Questo e quanto altro possiamo aspettarci
da un artista che ha osato rendere omaggio al re del brivido Alfred Hitchcock, realizzando un ready made in technicolor di
Psycho.
Campo de’ fiori
Roma - Viterbo - Civita Castellana
Vallerano - Porto D’Ascoli - Teramo
www.lisi-bartolomei.com
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Scooby Doo
di Sandro Alessi
Dopo il successo ottenuto in Inghilterra e
negli Stati Uniti, dove ha registrato sempre
il tutto esaurito, è arrivato anche a Roma
il musical “Scooby-Doo Live on Stage”.
Nella splendida cornice del Teatro
Olimpico abbiamo potuto assistere alla
rivisitazione, in chiave musicale, del fortunatissimo cartoon, nato negli anni ‘70 e firmato da Hanna e Barbera. La tournèe teatrale ha debuttato a Milano in Ottobre e,
dopo aver fatto tappa a Brescia, Trieste,
Torino, Rimini e Firenze, è finalmente
approdata a Roma, per la gioia di grandi e
piccini amanti del danese più famoso al
mondo e dei suoi amici. La produzione è
stata curata da Daniele Luppino, lo stesso che ha portato in Italia le fatine Winxs,
e la regia affidata a Salvatore Vivinetto,
che ha dichiarato ai nostri microfoni che
“per la versione italiana non sono stati fatti
molti cambiamenti: la storia e la sua evoluzione sono rimaste le stesse, ma sono
stati aggiunti otto brani musicali di Fabio
Serri, che formano un cd, e cambiate
alcune coreografie grazie alle sapienti
mani di Alberta Palmisano e Massimo
Savatteri”. Lo spettacolo racconta la storia della gag della Mistery Machine (il furgone usato per trasportare l’attrezzatura
necessaria per le indagini): il pauroso
Scooby (Giuseppe Baldasseroni), il fifone Shaggy (Marco Iacomelli), la bella
Daphne (Laura Causino Vignera), l’intelligente Velma (Daniela Lidia Simula)
ed il belloccio Fred (Giuseppe Verzicco)
sono impegnati a risolvere il mistero che
aleggia sul set del film dell’orrore che sta
girando lo zio di Daphne, funestato da
strani incidenti e popolato da improbabili
fantasmi. I ragazzi, tutti molto bravi, sono
apparsi anche molto disponibili, tanto che
alla fine di ogni spettacolo rimanevano ad
attendere i piccoli fans per le foto ricordo
e, colti dall’euforia, dopo l’interviste di rito,
ne abbiamo approfittato anche noi facendoci immortalare con gli interpreti.
Marco/Shaggy che ne pensi di tutta
questa gente che viene ad applaudir-
Campo de’ fiori
live on stage
Campo de’ fiori
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vi ogni sera ? “Tutti questi spettatori,
che ci hanno seguito fin qui nella nostra
tournèe, ogni sera ci danno forza e coraggio per crescere artisticamente e ci aiutano a superare la stanchezza fisica, in
quanto recitare questo musical è molto
faticoso” E’ vero che vieni dal mondo
musicale? “Si, ho iniziato con una mia
rock band chiamata Venere e con cui continuerò a cantare e suonare ed il mondo
musicale mi ha attratto fin da bambino”.
Giuseppe/Scooby sei davvero agile
sul palco nonostante tu sia costretto
ad indossare un costume così ingombrante! “In effetti ho avuto bisogno di
molte prove ed accorgimenti per arrivare a
questa libertà di movimenti. Una sera sono
addirittura caduto dal palco. Non si vedeva nulla ed ho fatto un volo di un metro e
mezzo che, grazie al mio costume imbottito, è finito bene! Da quella sera abbiamo
posto un nastro visivo per segnalare il
bordo del palco.” Il motivo di tanto successo? “Penso che Scooby conquisti
ognuno di noi, indipendentemente dall’età, perché raccoglie in sé molte fobie
comuni agli uomini; non è certo il cane
perfetto, è un fifone che riesce però a
cavarsela in ogni situazione”.
Scooby-Doo fu trasmesso per la prima
volta nel 1969 in America sulla CBS.
All’epoca, il responsabile della programmazione Fred Silverman era alla ricerca di
un programma capace di costituire una
valida alternativa al filone dei super-eroi.
L’idea venne ad Hanna e Barbera e, dopo
alcuni cambiamenti e l’ispirazione del
nome Scooby-Doo presa dalla canzone di
Frank Sinatra “Stranger in the night”, il
programma venne chiamato “Scooby-Doo
where are you?”. Da quell’idea il succeso
fece il giro del mondo ed ancora è vivo
oggi tra gli appassionati di questo cartoon, grandi o piccoli essi siano.
Campo de’ fiori
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Associazione Artistica Ivna
Artisti di Vignanello, Vallerano, Corchiano,
Civita Castellana condividono l’arte
a cura della Prof.ssa
M.Cristina Bigarelli
Stefano Guerriero e la sua arte
Stefano GUERRIERO,
nato a Civita Castellana il 4 agosto 1973.
Pittore autodidatta di
talento, inizia il suo
percorso
pittorico
durante il servizio
militare. La sua arte
Stefano Guerriero
riprende panorami,
immagini di una quotidianità semplice, vera, che può essere
colta da uno sguardo attento, osservatore,
che la immortala con abilità, con freschezza, sfumandola in tonalità cromatiche varie e vivaci. Protagonisti delle sue
opere sono gli ambienti nei quali, talvolta,
sono presenti le persone, gli animali, nell’
atto stesso di vivere, nella piacevole e
serena immagine della natura.
Alcuni suoi quadri ci parlano anche del
significato di libertà, nel tentativo di andare altrove alla ricerca di terre nuove, che
possano essere luogo di incontro, evitando
il caos, poiché tutto ha un ordine, senza,
però, sradicarsi totalmente dall’origine. Il
fascino del mistero nelle vie oscure dell’universo risiede in quei pianeti, in quei
mondi, in quegli oggetti, di valore temporale e quindi storico, che sembrano fluttuare, per poi galleggiare, e quindi sostenersi grazie ai bagliori e alla intensa luce,
che sembra quasi svincolarli dall’immenso
vuoto che li circonda.
La fonte di ispirazione di Guerriero, risiede
nella realtà così come è, in una elaborazione ed in un accostamento dei soggetti
trattati, che fanno intravedere le luci e le
ombre di una giornata, attraverso la tecnica dell’olio su tavola. Una passione quella
di Stefano Guerriero iniziata nel 1994 e col
tempo consolidata.
Guardando alcuni dei suoi dipinti si ha la
sensazione che le immagini siano in rilievo, anche se, ci rivela l’artista, si tratta di
un effetto ottico volutamente ottenuto.
Paesaggi, persone, esseri viventi che non
assumono significati particolari, ma semplicemente parlano di sé.
Il messaggio centrale dell’arte di Guerriero
è la vita!
I suoi dipinti sono in movimento, vivi, intrisi di colore ed emanano il piacere che l’artista ha nel parlare della vita, prediligendola in modo evidente e appassionato
rispetto agli oggetti inanimati.
Guerriero ama dipingere e noi non possiamo fare altro che pregiarlo!
Campo de’ fiori
il diario dei
Giras
questa pagina è dei ragazzi speciali
19
li
Venerdì 21 Dicembre 2007, presso il centro socio educativo Rosa Merlini Frezza, si è tenuto il tradizionale pranzo di Natale, durante il
quale sono stati donati ai ragazzi strumenti musicali acquistati con il ricavato delle offerte, raccolte in occasione dei funerali di Giuseppa
Berto (Giuseppina), che aveva espressamente manifestato questa volontà.
Cuore di
mamma
Viareggio - Il nostro amico Michele Moscioni insieme
a Marcello Lippi
Commissario Tecnico della Nazionale Azzurra
Campione del Mondo a Berlino 2006
La “nostra poetessa”
Luana Bongarzone ha
guadagnato l’oro nella
gara di bocce per la 1°
categoria, che si è svolta
domenica 13 Gennaio, in
seno all’VIII edizione
della Giornata Sportiva
Borgiana.
Congratulazioni Luana!!!
Cuore è un dono che ci ha unito le
nostre vite...
Amore sei tu mamma che hai
voluto che io uscissi dal tuo
grembo...
Tesoro sei tu, oro solare che
illumina
i tuoi occhi...
Sfiorano le scie rosse dorate del
tuo bel viso rosa, argentato di
lacrime contente...
Le sopracciglia brillano di luci
solari sfumati
dal cielo raso di stelle rosse...
Accese di rosso tramonto...
Rosato come un fiore dorato...
Una rosa rossa bagnata di
rugiada..
Luana Bongarzone
20
Campo de’ fiori
CENTRO DI CONSULENZA
Neuropsichiatrica, Psicologica, Logopedica,
Psicopedagogica
Via T. Tasso 6/A - Civita Castellana (VT)
Tel. 0761.517522 Cell. 335.6984281-284
www.centroceral.com
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LA PSICOTERAPIA
NELL’AMBITO DELLA PROMOZIONE DELLA SALUTE
… “ci impegniamo
a
riconoscere
le persone
stesse come la maggiore risorsa per la salute…e a riconoscere
nella salute e nella sua tutela un fondamentale investimento sociale e una sfida
decisiva, nonché ad affrontare in modo
globale il problema ecologico del nostro
modo di vita”. (OMS-Carta di Ottawa per la
promozione della salute, 1986). Per
Promozione della Salute quindi si intende il
processo che consente alla gente un maggiore controllo sulla propria salute e di
migliorarla. Per conseguire uno stato di
benessere fisico, mentale e sociale l’individuo o il gruppo deve poter individuare e
realizzare le proprie aspirazioni, soddisfare
i propri bisogni e modificare l’ambiente o
adattarvisi. La salute è pertanto, in quest’ottica, una risorsa per la vita quotidiana,
non un obiettivo di vita. La salute non è
dunque identificabile solo come assenza di
malattia, ma è un concetto positivo che
insiste sia sulle risorse sociali che su quelle personali, oltre alle capacità fisiche.
Purtroppo in questi ultimi venti anni il
modello bio-medico è stato il paradigma
dominante e si è spesso trasformato in
“imperialismo” con aspettative di passività
dal paziente, che già nella sua stessa definizione rimanda implicitamente ai sinonimi
di sottomissione, remissività, che patisce
sofferenze, sottovalutandone preoccupazioni, osservazioni, dignità e persino potenzialità di recupero. La gente non dovrebbe
colpevolizzarsi per questa passività, ma è
importante che impari a riconoscerla.
Bisogna inoltre considerare quello che si
può definire il “fascino della passività”. A
a cura del Dott. Fedeli
Gianluca
Psicologo Psicoterapeuta
Formatore in promozione
della salute
quasi tutti piace essere accuditi e accuditi
bene! E a molti aggrada poter cedere alcune incombenze della propria vita in modo
che vengano gestite da altri.. perchè dunque non rivolgersi all’istituzione medica per
farsi gestire la propria salute?
Tutto questo ha spesso fatto fallire le
opportunità di promuovere la salute.
Tuttavia, anche se solo molto recentemente, stiamo assistendo anche in Italia ad un
mutamento di paradigma di riferimento e
cioè da quello bio-medico a quello biopsico-sociale, in cui appunto gli elementi
fondamentali del modello sono suggeriti
dalle 3 parti che compongono il relativo
termine: Bio per biologico, che tiene conto
dei determinanti genetici e biologici della
salute; Psico per psicologico, che riconosce
l’influenza che la dimensione mentale,
emotiva ed anche spirituale esercitano
sulla salute; Sociale, che riconosce l’influenza esercitata sulla salute dal sistema e
dalle relazioni familiari, dalla comunità e
dalla cultura. Secondo questa visione sistemica nulla è influenzato in un’unica direzione, ma esiste piuttosto un circuito di
influenze nell’ambito dell’integrazione
mente-corpo; concetto sostenuto in ambito scientifico in particolare dagli studi di
psiconeuroimmunologia. Dunque secondo
la visione del Modello Biopsicosociale la
salute si determina dalla combinazione
dinamica di aspetti biologici, psicologici e
comportamentali ed è la conseguenza di
una serie di decisioni personali e sociali
sulle quali ciascun individuo ha potenzialmente un notevole controllo. Si comprende
bene quindi quale importanza abbia in tale
ambito un percorso personale di empowerment in psicoterapia, sia per i determinanti individuali della salute, che per gli altri
fattori determinanti la salute stessa in otti-
L’angolo Misterioso
Nella foto accanto è riportata una via di Civita Castellana. Sapresti dirci il nome della Via? I
primi tre che, telefonando in redazione, daranno la risposta esatta, riceveranno un simpatico
omaggio offerto da: Civita Bevande.
ca sistemica. Tra i principali fattori psicologici individuali su cui, in tale ottica, la psicoterapia agisce, ci sono:
- le abilità di Coping: le strategie cognitive
e comportamentali che adottiamo per far
fronte ad eventi che vengono percepiti
come problemi;
- l’autoefficacia: “la convinzione di essere
in grado di organizzare e realizzare le azioni necessarie per gestire adeguatamente le
situazioni che si incontreranno in un particolare contesto, in modo da raggiungere
gli obiettivi prefissati” (Bandura, 1995);
- la hardiness: concetto introdotto da
Maddi e Kobasa (2001) per definire un
insieme di atteggiamenti e di abilità che
migliorano le prestazioni, l’autorevolezza, il
morale, la tempra e la salute nonostante la
presenza di condizioni avverse;
- l’autostima: il modo cioè in cui ci si valuta, l’entità della stima che ci si attribuisce e
quanto validi e capaci ci si reputa;
- la capacità di comunicazione e di risoluzione dei problemi, legata alla capacità di
riconoscere e comunicare i propri bisogni
in modo assertivo e alla capacità di riconoscere fondamentalmente i propri stati interiori, le proprie emozioni e sentimenti e la
capacità di gestione degli stessi.
Per concludere, è importante ricordare che
numerosi ricercatori hanno esplorato ed
evidenziato che gli aspetti psicologici
hanno un notevole impatto sulla nostra
salute. Al centro delle loro ricerche si evidenzia sempre che individui diversi vivono
in modo diverso gli eventi della loro vita.
Esistono atteggiamenti che aumentano i
problemi ed altri che li riducono. Ma fatto
più importante è che anche coloro che non
possiedono un modo efficace di gestire gli
aspetti della propria vita possono imparare
a farlo.
Campo de’ fiori
21
E se viaggiare
fosse anche imparare?
Le vacanze di Natale
sono lontane e, da un
pò, siamo ormai tornati, pieni di letizia, a
dare qualche altra
bracciata nella mota
che ci arriva fino a
metà busto. Scusate il
di Debora
Attanasio
pessimismo, ma, mentre scrivo, sono appena rientrata da un
paese nordeuropeo che visito spesso per
prendere una boccata di civiltà, e, ogni
volta, il confronto è sempre più doloroso,
specialmente quando, appena rincasata
dall’aeroporto, trovi l’ennesima bollettatruffa della Telecom che, nel paesino dove
abito, ha sventagliato abbonamenti Alice
Flat a raffica (19 euro forfettari più le telefonate, due mesi gratis e installazione gratuita, diceva la spacciatrice, e ci siamo
ritrovati tutti, senza aver ricevuto contratti
da firmare, con bollette oltre i 250 euro
dove, tra le voci, risulta anche il costo d’installazione che ci siamo fatti da soli). Al
momento di scrivere, al servizio assistenza
cade la linea ogni volta che stanno per
passarci l’operatore e qualcuno pagherà
per esasperazione. Agli altri staccheranno
la linea in attesa di chiarimenti (io sarò tra
quelli), e chissà come finirà. E’ inutile che
cerchiamo di difenderci (e so che i meno
attenti, quelli che fanno i turisti, non gli
esploratori, se la prenderanno): siamo tra
i peggiori dell’Unione Europea. Non vi dirò
il nome della nazione che ho visitato, non
voglio contribuire a farla diventare oggetto d’invasioni barbariche, ma vi dico solo
che non è ricca, che da tre mandati il presidente della loro Repubblica è una donna,
e noi non riusciamo a farne eleggere una
in Parlamento, a meno che non sia stata
una soubrettina. D’altra parte, solo pochi
giorni fa ho sentito un tale dire “Chiedo un
parere ad un altro medico perché quello
che mi ha fatto la diagnosi era una donna”.
Parliamo dei mezzi pubblici di questa
nazione che, mi fa piacere sottolinearlo,
negli anni ‘80 pativa il 20% di disoccupazione e ora si avvia verso il 4%. Ho preso
molti autobus, e arrivavano esattamente
all’ora segnata sulla tabella. Dalla fermata
ho notato un gruppo di selvaggi sguaiati,
che si fotografavano a vicenda, mentre
posavano a gestacci e cantavano inni.
Erano romani: si notavano come una Ford
Ka rossa nella neve. A bordo, tutto era
pulitissimo, le anziane erano sedute e i
bamboccioni in piedi, i biglietti li paghi
inserendo le monete in un aggeggio e se
non hai monete te le cambia l’autista,
invece di andare a caccia di tabaccherie.
Nessun maniaco palpeggiava le ragazze e,
al momento di scendere, non c’è stato
bisogno di sfidare a duello nessuno, anche
perché le corse sono così frequenti che
non c’è calca. La sera i locali sono pieni di
ubriachi, come capita in tutti i paesi del
nord, ma, persino quando si trascinano, i
clienti dei pub posano il bicchiere nel posto
giusto, cercano di vomitare solo in bagno
e se ti danno fastidio e glielo dici, se ne
vanno. Nessuno guida il venerdì e il sabato sera: gli autobus che ti riportano in provincia funzionano per tutta la notte (la
nostra ferrovia Roma Nord ha l’ultima
corsa stirata alle 21.00 scarse nei giorni
feriali, molto prima nei festivi), i taxi costano meno e sono tantissimi (qui, a momenti scoppia la guerra civile perché volevano
rilasciare nuove licenze) e la gente fa la
fila educatamente per prenderli. La pubblicità della campagna contro la guida in
stato d’ebbrezza è shockante, con immagini di incidenti e gente sfigurata, robetta
che qui scatenerebbe le ire di tutte le
associazioni di difesa dell’ipocrisia di cui
abbondiamo. Sulla tv di Stato ci sono cinque tipi di programmi: i notiziari (che spiegano i veri problemi sociali e non trasformano la cronaca nera in uno spettacolo),
gli show musicali (veri), i film (belli), i quiz
(veri), i documentari, soprattutto quelli
storici. Stop. La tv trash non sanno nemmeno cosa sia. Gli uomini fanno ancora il
baciamano alle donne, le abbordano solo
se quelle hanno lanciato sguardi significativi, altrimenti rinunciano. Se gli lasci
attaccare bottone, non ti mettono le mani
addosso prima di sapere come ti chiami, e
nonostante ciò non sentono la loro virilità
compromessa. In un grande magazzino ho
pagato una buona camicetta (non cinese)
5 euro, due paia di bei calzini di cotone
con pipistellini ricamati (non cinesi) 1,50,
la sera di Capodanno non ho dovuto raccomandarmi a nessuno per avere un tavolo ad un ristorante al centro: ho lasciato il
nome al direttore di sala e dopo 3/4 d’ora,
ragionevoli per la serata particolare, mi
hanno seduta, cibata e dissetata. Conto:
identico al giorno prima. I camerieri
non grugnivano di malumore perché alle
22.00 chiudevano le cucine e li mandavano a divertirsi dove gli pareva. Uscendo,
ho notato che, in quasi tutti i locali, la raccolta del vetro usato è divisa per colori
(verde, bianco e marrone), e qui stiamo
ancora alle rivolte popolari per le discariche, perché non ci entra in testa che la
spazzatura andrebbe semplicemente riciclata (quanti di voi lo fanno già?). Sono
uscita e sono stata al solito pub, dove non
c’era il biglietto d’ingresso speciale per
Capodanno: si entrava gratis. Le consumazioni costavano la stessa cifra degli altri
giorni, a mezzanotte hanno spento la
musica e abbiamo fatto il conto alla rovescia, poi ci siamo abbracciati tutti, donne
comprese che non ti guardano dall’alto in
basso pensando “Io sono cento volte
meglio di te, nana mediterranea”. Vi
basta? Aspetto già il commento acido della
solita immancabile signora frustrata che
mi consiglia “Tutti pronti a dire che l’estero è meglio: e perché non te ne vai?”. One
moment, please, datemi solo un minuto;
ce la sto mettendo tutta per mettere insieme i pezzi, abbandonare questo catino di
lacrime e non sentir più parlare di veline e
tronisti, di culturine e quote rosa, di parcheggi e traffico, di benzina che aumenta
solo qui (lo sapete che in Spagna costa
ancora 1 euro al litro?), di raccomandazioni e presentazioni, di rivolte contro chi pretende che le leggi siano applicate, di leggi
Biagi e di inganni per scavalcarne gli
emendamenti, di balzelli e gabelle.
Credetemi, forse quando vi fate i vostri
weekend all’estero con colazione compresa, distratti dallo shopping, non avete
modo di rendervi conto delle differenze,
soprattutto perché le lingue, in Italia, non
le studiamo (non le studiate), nemmeno
sotto tortura. La prossima volta, guardatevi meglio intorno e cerchiamo di copiare.
22
Campo de’ fiori
o
z
r
a
Bom
Le guide di Camp
sero qui dopo aver risalito il Tevere, non
siano molto numerosi e siano, per lo più,
relativi a tombe e necropoli. Quale fosse il
nome del centro in epoca etrusca si ignora completamente. Per quanto riguarda la
sua ubicazione, essa deve ricercarsi nell’attuale Bomarzo più che a Pianmiano,
che altro non sarebbe la necropoli dell’omonimo centro etrusco, a tale uso quasi
esclusivamente adibita. L’abitato nasce e
si afferma con funzioni di sorveglianza e
controllo delle vie commerciali che
dall’Etruria marittima penetravano, attraverso la valle del Tevere e dei suoi affluenti, nella parte centrale della penisola italiaca. Il nome originario doveva essere
Dalla provincia di Roma, dove abbiamo
Polimartyum, da cui Bomarzo, derivante
“visitato” i paesi di Filacciano e Civitella
dall’unione del termine greco Polis, città, e
San Paolo, torniamo nella provincia di
di quello latino Martis, Marte, cioè città di
Viterbo, precisamente a Bomarzo, suggeMarte, concretizzando, nel nome, un diffustivo centro della Tuscia, gioiello di urbaniso culto per questa divinità. Lo sviluppo
stica medievale, ben conservato, situato
della cittadina continua ininterrotto nel IV
tra gli estremi speroni rocciosi nord-oriene III secolo, pur tra i contrasti, le guerre e
tali dei Monti Cimini, originati dal loro antile lotte che contraddistinguono questo
co apparato lavico, e l’ampia vallata del
periodo, in cui inizia e si afferma l’avanzaTevere. Conta attualmente 1.760 abitanti
ta romana nei territori posti lungo l’asse
ed è possibile raggiungerlo attraverso l’audel Tevere. Nel 310 a.C., infatti, avviene la
tostrada A1, uscendo ad Attigliano, in direprima battaglia del lago Vadimone; nel
zione Viterbo o tramite la Superstrada
308 il console P. Decio Mure ritorna in queOrte-Viterbo, uscita Bomarzo.
sti luoghi, distruggendone i maggiori cenSTORIA Il paese sembra ritrovare le sue
tri; nel 283, infine, in prossimità dell’abitaorigini nel VI secolo a.C., in pieno periodo
to, se non addirittura proprio nel suo terrietrusco, nonostante i resti rinvenuti durantorio, si ha la seconda e più grande battate gli scavi nella zona di Pianminano, da
glia del lago Vadimone, che determina l’inPlanum Meonianum, così definito per aver
clusione dell’abitato sotto la diretta
ospitato un primo stabile insediamento dei
influenza dei Romani, che si consoliderà
Meoni, i quali abbandonata la Lidia, giuncon il tempo. Già a partire dai Padri
Apostolici, molto probabilmente,
Santa Maria Assunta
Bomarzo fu una delle città affidate da
San Pietro stesso alle cure pastorali di
San Tolomeo. Nel V secolo ebbe un
altro grande Vescovo, Anselmo, eletto
per acclamazione non solo Episcopum,
ma anche Dominum e Pastorem.
Essendo lui signore di Bomarzo,
affrontò il re goto Totila, che lo fece
prigioniero e lo maltrattò. Fu eletto
Protettore del paese. La sua morte si
presume avvenne verso la fine del VI
secolo. Nel 1647 le sue venerate spoglie, per secoli rimaste sotto il pavimento del Duomo, furono riposte, dal
duca Ippolito Lante, sotto l’altare maggiore, già fatto preparare dagli Orsini.
Bomarzo diede anche un Pontefice:
Papa Sabiniano, che successe a San
Gregorio Magno, dal 604 al 606.
L’estensione territoriale della Diocesi
non doveva essere troppo vasta e al
tempo di San Gregorio fu unita a quella di Ferento. Così mentre inizialmente
i suoi vescovi si firmavano Episcopus
Ferentensis-Polimartyum, successivamente lasciarono E. Polimartyum. La fine dei
Vescovi bomarzesi avviene secolo XI, con
il Vescovo Lamberto, l’ultimo che, nel
1015, sottoscrisse documenti conciliari
come Episcopus Polimartiensis. Nel periodo medievale divenne feudo di signori
viterbesi e si ridusse numericamente,
identificandosi in un castello dalla fisionomia guerresca. Solo in seguito venne
acquistato dagli Orsini, che lo cambiarono
profondamente dal punto di vista architettonico, con influssi vignoleschi, come
dimostra il sacro bosco, voluto da Vicino
Orsini e poi governato dai Borghese.
ITINERARIO TURISTICO Dal punto di
vista archeologico di notevole interesse
sono: la necropoli di Montecasoli, l’insediamento etrusco-romano del
Pianmiano ed il cimitero paleocristiano di Santa Cecilia. A 3 km da Bomarzo,
inoltre, sorge la frazione di Mugnano in
Teverina, con il Palazzo Orsini e la Torre
Medievale. All’interno del paese, sul lato
sinistro della cattedrale, s’innalza un campanile, con un possente basamento. La
sua indiscutibile robustezza, per le poderose pietre ben squadrate che lo compongono e la cornice classica che lo delimita
nella parte superiore, ha fatto supporre
l’esistenza d’un antico monumento funebre d’epoca romana. Tale tesi viene sostenuta dall’inclusione di alcuni antichi reperiti nel territorio, ma specialmente da un
rilievo funerario marmoreo raffigurante tre
personaggi: marito, moglie e figlio, indiscutibilmente di epoca romana,probabilmente della prima metà del I secolo a.C..
Il centro storico, chiamato dai bomarzesi “dentro”, è un chiaro esempio di urbanistica medievale. Le case sono addossate
l’una all’altra e divise solamente da piccolissimi e tortuosi vicoli o scalinate strette e
ripide. Alla fine del 1400, però, Corrado
Orsini diede inizio ad una serie di lavori
che trasformarono, poco a poco, l’originaria fortezza medievale in una maestoso
palazzo, oggi sede del municipio di
Bomarzo. Pregevole dal punto di vista
architettonico è il Duomo. Costruito sul
finire del 1400, su una preesistente basilica paleocristiana, mostra una architettura
da ricondurre al Brunelleschi, che, proprio
in quel periodo, aveva gettato le basi della
nuova architettura rinascimentale. Si presenta con una grande facciata e due gradinate a ferro di cavallo. Di buona fattura
e risalente alla metà del ‘600, la pala d’altare maggiore raffigura il Vescovo Anselmo
che tiene sul palmo della mano la città di
Campo de’ fiori
po de ’ fiori
Bomarzo. La parte superiore fu completata solo alla fine del 1600 e custodisce le
reliquie di S. Anselmo patrono di Bomarzo,
vissuto alla fine del VI secolo. La chiesa
di Cristo Risorto è un edificio di recente
costruzione, inaugurato nel 1986 e situato
nella parte nuova del paese. E’ costituito
da più corpi cilindrici di varie dimensioni
che si intersecano l’uno con l’altro. Ma di
certo, l’elemento più caratteristico, anzi,
oserei dire esclusivo, per il quale Bomarzo,
più che per qualsiasi altra cosa, è famoso,
è il meraviglioso Parco dei mostri, noto
anche come Bosco Sacro, divenuto la principale attrattiva turistica del paese. Esso
venne fatto costruire nel 1552, dall’allora
Duca di Bomarzo, Vicino Orsini, in seguito
alla morte della moglie Giulia Farnese.
Pirro Logorio, che completò San Pietro
dopo la morte di Michelangelo e realizzò
Villa d’Este a Tivoli, fu l’architetto al quale
fu commissionata la realizzazione dell’opera. Sono grandi statue e sculture in peperino integrate alla perfezione nella natura
del bosco, perfettamente tenuto con vialetti alberati e grandi prati curatissimi a
decorare il parco, completate da numerose iscrizioni che accompagnano il visitatore. Varcato l’ingresso, sormontato dallo
stemma degli Orsini, si incontrano due
sfingi ed una serie di teste, raffiguranti
alcuni antichi Dei, Saturno, Giano, Fauno,
Evandro e la triplice testa di Ecate. Il percorso si dirama e la parte più consistente
del parco è quella che si svolge prendendo
il sentiero di destra, dove, dopo pochi metri, si incontra una delle più grandi scultore: Ercole che squarta Caco, la lotta tra i
giganti, la lotta del bene contro il male,
uno dei temi ricorrenti in tutto il giardino.
Oltrepassando altre interessantissime
sculture, si arriva al grande ninfeo ad emiciclo, con alcuni degli episodi plastici più
singolari del parco, come, ad esempio, l’e-
23
di Ermelinda Benedetti
foto Mauro Topini
norme
mascherone
dalla bocca spalancata.
Tra le tante statue
spunta la casa pendente, la più divertente
delle meraviglie da visitare. Quasi alla fine del
percorso, nella sua
parte più alta, sorge il
Tempietto, elegante
edificio in antis, tetrastilo, con pianta ottogonale sormontata da
una da cupoletta, dedicato da Vicino alla sua
Il parco dei Mostri
seconda moglie Giulia
Farnese. Il parco, a
mio avviso, non si può descrivere, né
immaginare, si deve visitare, per rimanere
a bocca aperta. Questa singolare ed esclusiva opera d’arte fu, a lungo, trascurato
fino al 1954 quando venne acquistato dal
Giovanni Bettini, che lo ha riportato all’antico splendore.
TRADIZIONI E FESTE Le manifestazioni
tradizionali di Bomarzo ruotano, quasi
esclusivamente, intorno alla figura del
Santo protettore, Sant’Anselmo, che si
festeggia il 24-25 aprile e al quale i bomarzesi sono molto devoti. Ogni dieci anni,
poi, la ricorrenza assume una forma molto
più solenne, in quanto la statua del santo
viene esposta in chiesa e venerata giorno
e notte dalla popolazione. In tale occasione le spoglie del Santo vengono processionalmente e solennemente portate per
le vie del paese. La parte religiosa è affiancata dall’antico Palio di Sant’Anselmo e
la sagra del biscotto. Il Palio è stato ripristinato da poco, ma antiche fonti testimoniano che si correva già nel 1600 ed erano
addirittura due, l’uno il 24, l’altro il 25 aprile, pagati con baiocchi e altre monete dell’epoca e organizzati da un incaricato, fino
Sant’Anselmo
a ridursi, poi, a semplici corse di cavalli.
Oggi la gara si disputa tra i cinque rioni in
cui è stata diviso il paese: Dentro, il più
antico, Borgo, Poggio, Croci, Madonna del
piano. Come ogni palio che si rispetti è
aperto da un bellissimo e curatissimo corteo storico, in costumi cinquecenteschi,
accompagnato dalla locale Banda musicale, che prende il via dal castello Orsini. Ad
essi si uniscono ragazzi e ragazze in abiti
tradizionali del luogo, che distribuiscono ai
presenti
il
famoso
“biscotto
di
Sant’Anselmo” a fette, gli sbandieratori, i
Priori delle contrade con i loro stendardi, i
fantini a cavallo ed infine il carroccio, trainato da due buoi bianchi, che trasporta il
nuovo Palio, uno stendardo dipinto ogni
anno da un abile artista, che verrà gelosamente custodito nella chiesa del rione vincitore, al quale va anche un compenso in
danaro. Il corteo percorre le vie addobbate del paese, fino a giungere alla pista del
Fossatello, dove si corrono i fatidici cinque
giri. La sagra del biscotto di
Sant’Anselmo è stata istituita nel 1973
dall’Associazione Pro-loco, con il fine di
promuovere e valorizzare questo dolce
tipico di Bomarzo. A forma di ciambella del
peso di circa 1 kg, era anticamente chiamato Pane di Sant’Anselmo, che secondo
la tradizione veniva distribuito dal Vescovo
ai pellegrini in cammino verso la città
Santa di Roma, o ai bisognosi del paese.
Ancora oggi si usa la stessa ricetta tramandata di madre in figlia. A queste si
affiancano le manifestazioni annuali organizzate dal comitato festeggiamenti locale.
SAPORI TIPICI Biscotto o pane di
Sant’Anselmo, per il quale è stata istituita una vera e propria festa ed è stato riconosciuto ufficialmente prodotto tipico tradizionale. La ricetta è gelosamente conservata, ma gli ingredienti principali sono:
anice, uova, limoni, liquori vari, zucchero,
farine, lievito.
Lo sapevate che l’Astronauta Roberto
Vittori è originario di Bomarzo, ed il suo
paese gli ha dedicato una cartolina.
...continua dal n. 44
Ciò che conta in questa musica è lo stile
individuale del solista improvvisatore che
si riconosce attraverso una serie di particolarità quali, la tonalità del suo strumento piuttosto che la sua concezione armonica e ritmica ed è proprio da queste che
discendono direttamente, sia il progressivo
moltiplicarsi degli stili strumentali, sia gli
stessi creatori di musica.
Ricordavo Bessie Smith. Tutto per questa
cantante comincia presso gli studi di registrazione della Columbia a New York.
Correva il 27 febbraio 1923, lei aveva
appena venti anni, in quella occasione,
allorquando finisce di interpretare il brano
dal titolo down hearted blues i responsabili della Columbia comprendono subito
che quello appena registrato è un capolavoro del blues; purtroppo Bessie perdette
la vita ad appena trentasette anni a seguito di un grave incidente automobilistico.
Ma di ciò non bisogna sorprendersi poichè
il Jazz è costellato da innumerevoli storie
altrettanto toccanti. Basti ricordare Leon
Bismarck Beiderbecke - Bix, “il ragazzo
con la cornetta”; Thomas Wright Waller Fats Waller, “il genio ridente”; Benjamin
David Goodman - Benny Goodman “il re
dello Swing”: Edward Kennedy Ellington,
“il Duca” e ancora tanti altri autentici
giganti come: Count Basie, Billie Holiday,
Woody Hernan, Dizzy Gillespie, Charlie
Parker, John Coltrane, Ella Fitzgerakd,
Gene Krupa, Charles Mingus, Jelly Roll
Morton, Lionel Hampton, Lester Young,
Sonny Rollins, Fletcher Henderson, solo
per citarne alcuni.
Ti sarà di certo capitato di assistere alla
proiezione di un film nell’ambito del quale
viene celebrato il funerale di una persona
di colore con immancabile accompagnamento di una band. Bene, è proprio in tale
contesto che si riesce a percepire l’umanità di questa musica e del mondo dei negri
d’America, riuscendo a coglierne tutta l’emotività.
I primi musicisti, una piccola cerchia di
numi del Jazz primitivo, si riunivano nelle
case di piacere, piuttosto che nei fangosi
vicoli di New Orleans e lì, con i loro strumenti,
improvvisavano pezzi sempre
diversi, costituiti da un accompagnamento
base sul quale facevano alternativamente
ingresso, con i loro assolo, i vari strumenti.
Tutto ciò fino a quando Duke Ellington,
grande compositore della Storia del Jazz,
ricevette tra l’altro una Nomination
all’Oscar per la colonna sonora del film
Paris Blues del 1961, non si adoperò per
mettere ordine in questa magica musica;
qualche intenditore suggerisce che, per
potersi rendersi conto di che cosa sia realmente il Jazz, è sufficiente ascoltare alcune particolari incisioni, come quelle del
pianista Jelly Roll Morton e della sua Red
Hot Peppers; del trombettista King Oliver
e della sua Original Creole Jazz Band
oppure della Original Dixieland Jazz Band
del trombettista Nick LaRocca, nonché
qualche esecuzione del saxofonista clarinettista Sidney Bechet al quale, dopo la
sua morte, sulla Costa Azzurra è stato
dedicato l’unico monumento di tutta la
Storia del Jazz.
Prima di concludere questa breve introduzione una precisazione, a questo punto
potresti chiedermi: che cosa è il Jazz? La
risposta è semplice: non lo so!
Non commettere mai l’errore di chiedere
ad un musicista che cosa sia il Jazz. Egli,
come me, semplicemente non lo sa, anche
se essendo un Jazzman, con il Jazz convive giorno e notte, vuoi qualche esempio?
Presto fatto!
Louis Armstrong diceva: “…è la mia idea di
come si dovrebbe suonare una canzone…”;
Jimmy Rushing, grande cantante blues,
affermava:“ … è qualcosa che dondola
nella testa e che poi esce dalla bocca dopo
essere passata dal cuore … ”;
Ella Fitzgerald, grande cantante Jazz,
riesce ad essere ancora più vaga: “ …
ecco, tu senti una sorta di …, insomma
non so…, ecco… fai dello Swing … ”;
Wing Manone, sosteneva che:“ … Jazz è la
percezione di un aumento del tempo benchè si continui a suonare con lo stesso
tempo … ”;
Gene Krupa, grande batterista, affermava:
“ … Jazz è l’assoluta ed ispirata interpretazione ritmica … ”
Glenn Miller memorabile interprete con
Benny Goodman della Swing Era diceva: “
… è qualcosa che si deve sentire, … una
sensazione che puoi comunicare ad altri
…” . Tutto chiaro?
Detto ciò vediamo di comprendere cosa è
successo a casa nostra dove, a differenza
di altre nazioni europee, il Jazz tarda ad
affermarsi e si deve arrivare alla fine degli
anni sessanta, inizio settanta del secolo
scorso, per rilevare alcune significative
presenze nostrane; prima di allora dalle
nostre parti il Jazz era quasi un fatto marginale con pochissimi “fruitori” , limitati,
per lo più, a piccoli gruppi di appassionati
che, per loro formazione e cultura, restavano inesorabilmente legati ai più classici
fra gli stili Jazzistici.
Ricordo l’anno 1952 allorquando, malgrado una generale situazione non propriamente florida, la Seconda Guerra Mondiale
era terminata da poco, ho avuto la possibilità di ascoltare molta musica Jazz e,
anche se ben presto per i sopraggiunti
impegni di lavoro, sono stato costretto ad
abbandonare, restano ancora oggi vivi
nella mia memoria molti piacevoli ricordi.
In quel di Catania, una città dove era
ancora massiccia la presenza U.S.A., ho
avuto l’opportunità di frequentare, assieme ad altri giovani “fruitori” , un corso alla
guida e all’ascolto del Jazz tenuto presso
la sede dello United State Institute Story.
Delle cose apprese in quei lontani anni
molte le ricordo ancora, il resto è frutto di
mie successive attente e interessate ricerche.
Come detto, da noi il Jazz tarda ad affermarsi, ma gli italiani ben sappiamo che
non sono secondi a nessuno, mi ritorna
alla memoria un’intervista di parecchi anni
or sono concessa da Franco Zeffirelli il
quale, richiesto sulle capacità e sull’inventiva degli italiani, così rispondeva: “ … per
motivi legati alla mia professione, ho la
possibilità di andare in giro per il mondo e,
talvolta, succede che ho l’opportunità di
osservare un particolare lavoro che mi colpisce per il buon gusto, la ricercatezza e la
perfezione di esecuzione, lavori che evidenziano una fattura del tutto particolare,
ebbene, quasi sempre scopro che in quei
lavori che tanto mi avevano colpito c’è la
mano di un italiano … ”.
Ebbene si, anche per il Jazz, musica giunta da noi abbastanza tardi, tre grandi
appassionati che rispondono al nome di
Arrigo Polillo, Giuseppe Barazzetta e
Roberto Leydi, con molto impegno e grande competenza, si sono dedicati all’ascolto
ed allo studio di questa musica pervenendo alla pubblicazione della “Enciclopedia
del Jazz” opera che costituisce il nostro
vanto in quanto prima al mondo per la sua
mole e i suoi contenuti.
Riccardo Consoli
Campo de’ fiori
25
CIVITONICI ILLUSTRI
Il capo d’arte
OLINDO PERCOSSI
di Enea Cisbani
OLINDO PERCOSSI, ceramista e designer,
titolare della Cattedra di Decorazione
Ceramica presso il locale Istituto d’Arte,
nasce a Civita Castellana il 3 Dicembre
1905.
Dal 1917 al 1919 è uno dei primi studenti
dei corsi biennali della “Regia Scuola d’Arte
Ceramica” che dagli angusti e malsani
locali del Palazzo Andosilla in Via Ferretti,
si era trasferita nella sede storica di Via
Gramsci dopo i lavori di ristrutturazione
della ex Chiesa di San Giorgio voluti e promossi dall’avvocato Ulderico Midossi.
Diplomato a pieni voti dalla scuola, dal
1922 al 1949 è ceramista nonché eccelso
decoratore nelle più importanti manifatture ceramiche civitoniche, tra cui la
“F.A.C.I.” di Adolfo Brunelli in Via Ferretti e
la prestigiosa, nonché rinomata “palestra”
di ceramisti di rara maestria, Ceramica
“Marcantoni” dominata dalla possente
figura di Casimiro Marcantoni, suo fondatore e industriale illuminato.
Nel 1949 il talento artistico di Olindo
Percossi, affinato in tanti anni di lavoro,
viene notato dal preside Alfredo Crestoni il
quale lo chiama a dirigere il reparto di
decorazione ceramica presso la scuola
d’arte, che dopo i disastri del secondo conflitto mondiale, stava faticosamente risorgendo.
OLINDO PERCOSSI, ALFIO DE ANGELIS e
FERNANDO PIERGENTILI, tutti ex Allievi
della scuola, sono i valenti e prestigiosi
ceramisti locali che dal 1949 al 1972 dirigono il laboratorio ceramico formando e
istruendo una folta e innumerevole schiera di ceramisti locali nonché artisti di grande livello come Franco Valeri, Franco
Giorgi, Luigi Paolelli e Giuseppe Bertolini
Berg nonché allievi destinati poi a diventare professori essi stessi della scuola come
Dino Brizzi, Fernando Patrizi, Carlo
Brunelli, Fernando Sacchi e Beniamino
Tofanacchio.
Dal 1949 al 1972, ininterrottamente, il
professor Percossi dirige il settore della
decorazione ceramica creando opere di
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0761.513117
pregevole fattura conservate nella scuola
che si contraddistinguono sia per gli elevati canoni formali ed estetici, nonché per i
raffinati e policromi smalti frutto di una
appassionata ed intensa attività di ricerca.
Nella ricca produzione scolastica di quegli
anni possiamo osservare due distinti periodi: un primo livello, (1945-1964), dominato da figure e composizioni elementari di
derivazione umana ed animale con smalti
superficiali monocromi e policromi a
seconda del tipo di composizione; un
secondo periodo, (1964-1972), invece,
dominato da elementi ceramici improntati
ad una spiccata geometria di base con
smalti estremamente ricercati e dai vivaci
colori come il giallo, il verde e il rosso.
Nel 1955, unitamente al professore Luigi
Paolelli, realizza i pannelli per la facciata
della Chiesa di san Lorenzo in Via Bonanni
e per l’abside della Chiesa di San
Benedetto in Via Ferretti, quest’ultimo formato da minuscole tessere in ceramica a
colori oro e blu cobalto che contornano le
figure dei Santi.
Prima allievo della scuola e successivamente docente o “Capo d’Arte” secondo la
terminologia tecnica ministeriale allora in
uso.
Una famiglia, quella dei Percossi, formatasi nella scuola d’arte: il padre del professor
Percossi, il Sig. Giuseppe, e la sorella,
signora Iris, sono stati per lunghi anni i
custodi integerrimi dell’Istituto d’Arte.
Una vita per l’arte ceramica e la scuola,
dominata dalla spiccata professionalità e
dal rigore umano e professionale, tenacemente perseguiti nonostante gravi lutti
familiari come la perdita di due figlie in
tenera età.
Il figlio del professor Percossi, il signor
Massimo, tuttora tiene vivo e saldo il ricordo del papà, prematuramente scomparso
nel 1972, mentre era ancora in servizio.
www.campodefiori.biz
[email protected]
26
Campo de’ fiori
CLETO MAGGETTI E LE SUE OPERE
Temi semplici, forme
che nascono modellando i metalli, ma forte
carica espressiva e
capacità di trasmettere
un’idea, queste sono le
opere del Maestro
Cleto Maggeti, nato a
Colleferro l’8 ottobre
di
del 1944.
Cristina Collettini
La sua creatività è lo
sviluppo di una vena
artistica, che caratterizza tutta la sua famiglia: il bisnonno Lorenzo realizzava in ferro
oggetti di uso quotidiano, il nonno Cleto,
meccanico di precisione, lavorò, fino all’età di 84 anni, presso la “Tudini e Talenti”.
Il padre Vincenzo si dilettava nel costruire
modelli di navi in legno.
Da bambino, Cleto va spesso a far visita al
nonno, osserva, domanda, ruba con gli
occhi l’opera avita, torna a casa, “cattura”
le immagini dei libri e le riproduce su
lamierini.
Diplomatosi a Colleferro in elettrotecnica,
si trasferisce in Canada, dove frequenta i
corsi di pneumatica e oliodinamica, e nel
contempo, lavora part-time presso una
ditta elettronica, che costruiva languages
labs.
E’ in questo contesto che nascono le prime
opere di Cleto Maggetti, che evolvono poi
negli aerei in volo, realizzati quando, tornato in Italia, viene assunto come strumentista elettro-pneumatico presso una
ditta farmaceutica.
Ma è al congedo dal lavoro che Cleto può
finalmente dedicarsi alla sua arte e dar
vita ad una serie di mini statue stilizzate,
in ferro lavorato, che espone ai mercatini
dell’Hobby di Colleferro.
Quella che nasce come espressione di
manufatti artigianali diventa ben presto la
vetrina di piccole opere d’arte, quando
Cleto, spinto da amici e parenti, comincia
a farsi conoscere e partecipa ad una serie
di eventi locali, vincendo premi che gli
riconoscono una capacità di espressione
fuori del comune, quando insomma l’artigiano Cleto diventa il Maestro Maggetti.
“Le iniziali composizioni del Maggetti
appaiono come opere di espressione artigianale pura e semplice, ma a ben guardare già si nota una trascendente volontà
di espressione artistica a tutto campo”
dice di lui lo scultore e critico d’arte Enzo
Porcelli, e ancora “Nella semplicità delle
figure, seppure l’uso del mezzo di norma
assai rigido, si legge un’azione immaginifica tale che trascina e fa palpitare i personaggi anche quando rappresentati in statica postura, e spesso egli sottintende il
movimento ivi raffigurato del prima e del
dopo.” Il metallo è a tutti gli effetti un
materiale difficile da lavorare, ancor più se
a freddo, ed ogni pezzo delle opere di
Cleto è filettato e avvitato, ma questa sua
caratteristica ben si sposa con la linearità
dell’idea che Cleto vuole esprimere.
L’idea nasce da sé nella mente dell’artista,
a volte scaturisce da scene di vita quotidiana, a volte è il risultato di una forte
emozione, molto spesso si manifesta di
notte in un turbinio di immagini sovrapposte. Ed il maestro corre ai suoi strumenti, alle sue orpelle, plasma il
metallo per dar vita a quelle immagini, assembla pezzi di uso quotidiano e li trasforma in figure stilizzate
della realtà.
Ecco quindi che dei semplici
bulloni diventano i pesi di un
ginnasta, i bossoli di un fucile
le teste dei cavalieri, un bottone lo scudo di un balestriere. Ma l’abilità artigiana di
Cleto nel dare un nuovo significato ad oggetti di uso comune diventa genialità artistica
quando la capocchia di un
chiodo diventa la testa reclinata del Cristo morente ne “Il
Crocefisso”, o quando su di
un disco metallico si sviluppano le scene più significative
della natività nel “Presepe”, o
ancora quando semplici barrette metalliche, abilmente
assemblate, riescono ad
esprimere in una sola opera i
momenti più significativi della vita del
Cristo, la nascita, la vita, la crocifissione e
la resurrezione ne “L’Evento”.
L’arte del Maestro è poi magistrale nella
sua opera “La Battaglia di Piombinara”,
dove un’infinità di soldati sguainano le
spade, lanciano giavellotti, si difendono
con i propri scudi, tendono gli archi con le
frecce, mantengono alte le bandiere in
equilibrio sui destrieri o cadono tramortiti
a terra.
E’ la sua opera più impegnativa, dove la
freddezza del materiale contrasta fortemente con il calore della scena rappresentata, è l’opera vincitrice del I° premio alla
“I° Mostra Concorso Creativa..mente”,
contesa dai negozianti di Colleferro per
essere esposta nelle loro vetrine, capace
di catturare gli sguardi degli esperti d’arte
così come dei semplici passanti.
28
Campo de’ fiori
Come eravamo
A Carnevale ogni scherzo vale
E’ tornato puntuale il
17 Gennaio, giorno
di S. Antonio Abate,
il periodo gioioso del
carnevale. Quest’anno sarà breve ed
intenso, partendo a
ridosso delle feste
natalizie, terminerà,
infatti, Martedì 5
Febbraio. Noi qui a
di
Alessandro Soli
Civita Castellana lo
viviamo in un modo
tanto particolare quanto unico nel suo
genere, all’insegna del divertimento più
spensierato ed irriverente, subendo, a
volte, critiche per gli eccessi che qualcuno
si permette di fare, ma cercando, con i
magnifici carri allegorici e le sontuose
mascherate, di renderlo indimenticabile.
Come non posso, però, ricordare i carnevali della mia infanzia e giovinezza, quando i mezzi a disposizione erano pochi e
scarsi (non esistevano gli sponsor). Tutti si
arrangiavano e cercavano di mettere in
pratica le idee più bizzarre, come ad esempio fare una corazza da guerriero, adoperando barattoli di latta e vecchie pentole di
alluminio (col coperchio che faceva da
scudo). Chi sfilava coi carri o tra i gruppi
mascherati, sfoggiava il costume del gruppo di appartenenza, gli altri, invece, si
mescolavano alla folla indossando l’ormai
scomparso “domino” (Larga tunica con
cappuccio
dal
colore
uniforme).
Predominava il nero, ma anche il rosso e il
giallo facevano il loro effetto.
La principale caratteristica era la maschera sul volto, quella maschera che ti permetteva di fare di tutto, senza essere riconosciuto.
Potevi corteggiare con moine e gesti allu-
Carnevale 1957 - gruppo mascherato “o giro de Pepparello” - foto del Sig. Damiano Alberto Carluccio
sivi chi non avevi avuto il coraggio di
affrontare direttamente, potevi trascinare
nella mischia, in frenetici balli e salti, chi
avresti voluto incontrare in altri luoghi e
circostanze.
Era quel sano e genuino divertimento,
figlio di un’altra epoca, che faceva del carnevale un’occasione irripetibile.
Una cosa è certa, nei miei ricordi non c’è
né rimpianto, né invidia, né compatimento
per le generazioni di civitonici che si apprestano a vivere questo carnevale, perché
ognuno è figlio del suo tempo, ognuno si
può divertire a suo piacimento.
Non bisogna però dimenticare le buone
abitudini e l’educazione, che a volte si perdono, abusando di bevande alcoliche o
quant’altro.
Non sto qui a fare il moralista, ma l’esperienza vissuta in tanti carnevali come semplice spettatore, e da civitonico (perché
non ho mai sfilato in gruppi o carri), mi
porta ad affermare quanto sia importante
divertirsi e divertire, e se è vero, come da
proverbio, che “a carnevale ogni scherzo
vale”, allora accettiamo la manciata di coriandoli, che ci colpiscono il viso e ci entrano nei vestiti, con lo spirito giusto. Viviamo
il carnevale come va vissuto e cerchiamo
tutti, dico tutti, di far sì che questa antichissima tradizione non si perda tra ripicche, odi e gelosie.
Buon divertimento!
Campo de’ fiori
29
Anthony Heinl, ex ballerino dei Momix si racconta dopo
lo stage allo IALS di Roma dal 21 al 23 Dicembre 2007
di Nancy Ciccarelli
La mia esperienza con i Momix è stata
molto interessante: sono stato primo ballerino per sei anni e assistente coreografo
di Moses Pendleton in una compagnia di
danza, conosciuta e apprezzata per la
varietà di illusioni ottiche tipiche degli
spettacoli ai quali si assiste.
Il corpo di ballo è molto numeroso, a volte
eravamo tra i 35 e i 40 elementi che si esibivano. Prima di andare in scena occorrono almeno 4 mesi di preparazione e durante gli allenamenti vengono ripresi vari stili
di danza modern e contemporanea, che
spaziano da quella di Martha Graham, a
Jose Limon, a Paul Taylor all’Alvin
Ailey. Con i Momix sono stato in tourneé
toccando diverse parti del mondo, esperienza questa che mi ha permesso di conoscere nuovi posti e nuove persone. Mentre
ero in giro ad esibirmi nei vari teatri, stavo
frequentando il Boston Conservatory of
Music , Dance and Theatre e , laurearmi tra prove di danza e viaggi, è stata
veramente una bella soddisfazione.
Riguardo i differenti ritmi di vita delle città,
ho notato alcune differenze tra New York e
Milano o Roma. Ad esempio negli Stati
Uniti vige la cultura della puntualità, men-
tre in Italia occorre calcolare il tempo del
traffico, quello per parcheggiare la propria
auto, ecc…a New York gli orari delle prove
erano molto serrati, io stesso addirittura
non avevo neanche il tempo di andare dal
dottore.
Tra gli spettacoli più significativi, per me,
posso citare Opus Cactus (presentato
per la prima mondiale nel 2001 al Joyce
Theatre di New York) e Sun Flower
Moon dove, attraverso la fusione di più
corpi, i ballerini creano sculture nelle rocce
o elementi della natura. Spesso capitava
che gli stessi danzatori erano gli autori
delle coreografie, mentre a Moses si deve
la regia dell’intero spettacolo, dall’idea iniziale alla creazione della giusta atmosfera,
grazie anche alla scelta delle luci, dei colori dei costumi e della scenografia, tutti elementi essenziali per riuscire a coinvolgere,
emotivamente, il pubblico, che si estranea
dalla realtà e vive alla leggerezza di corpi
che fluttuano nello spazio. La Compagnia
avverte quando il pubblico trova uno spettacolo affascinante ed è incredibile pensare a tutto il lavoro che lo precede. Allestire
uno show della durata di 90 minuti circa,
infatti, comporta un’organizzazione non
indifferente. Mi sono reso conto di quanto
è difficile, ad esempio, pensare contempo-
raneamente allo
spazio
scenico,
alla scelta
delle musiche, dell’illuminazione, e di
come div e n t a
realmente
impegnativo riuscire a coordinare tutto lo staff
tecnico
impegnato nei preparativi dell’esibizione.
Gli ultimi spettacoli a cui ho preso parte
sono Comix, andato in scena al Teatro
Parioli di Roma, e Why di Daniel
Ezralow. Attualmente ho formato una
compagnia di danza che si chiama “AH” e
lavoro con 5/6 ballerini. Sono sempre alla
ricerca di buona musica, ne ascolto moltissima ogni giorno, perché credo che aiuti la
creatività, e per il 2008 mi prefiggo di portare in scena miei spettacoli oltre a dedicarmi all’insegnamento.
30
Campo de’ fiori
RUBRICA MEDICA promossa dalla Farmacia della Dottoressa Grazia Liberati
COMUNICATO
Dal 1° Gennaio 2008, per poter detrarre dalla dichiarazione dei redditi
le spese sostenute per l’acquisto dei medicinali, è necessario presentare in farmacia la tessera sanitaria, al fine di poter emettere lo scontrino fiscale “parlante”, contenente il nome del farmaco acquistato ed il codice fiscale del destinatario.
Coloro che non avessero ancora ricevuto la tessera sanitaria, o l’avessero smarrita, possono
contattare il
NUMERO VERDE 800.030070 attivato dall’Agenzia delle Entrate.
Dott.ssa Grazia Liberati
Ho 34 anni, sono
sempre
stata
“grassottella” ma
negli ultimi anni,
nonostante
le
continue
diete,
sono andata progressivamente
aumentando
di
Dott. Fabio Cesare
Campanile - specia- peso fino a raggiungere lo stato
lista in chirurgia
attuale di 97 chigenerale
logrammi; sono
alta 1,55. Attualmente sono a dieta
perenne sotto controllo medico ma
non riesco ad ottenere alcun risultato. A volte perdo qualche chilo ma
rapidamente lo riacquisto. Che possibilità ci sono per risolvere il problema?
Gentile Signora,
come può immaginare il suo è un problema assai diffuso, che giorno dopo giorno
diventa sempre più pressante. In tutto il
mondo stiamo assistendo ad un aumento
del numero di persone in sovrappeso o
addirittura obese, e questo è ormai diventato un vero problema per la salute della
nostra popolazione tanto che molti usano
ormai il termine di “epidemia” di obesità.
In Italia il 25% della popolazione adulta è
in sovrappeso o addirittura obesa. Solo
nella nostra Regione i dati ISTAT (dati
2004) ci dicono che è obeso più di un
adulto ogni dodici!
Quando valutiamo il peso di un paziente
che si rivolge a noi, lo classifichiamo utilizzando un semplice valore, l’indice di
massa corporea. Quando questo indice è
superiore a 30 definiamo la persona
“obesa”, quando superiore a 40, come nel
suo caso, diciamo che è in uno stato di
“obesità grave”.
Il primo trattamento di uno stato di
sovrappeso o di obesità è, come tutti sappiamo, una terapia dietetica. Tuttavia alcune distinzioni devono essere fatte in modo
“Bicycles” - © 1993 Claudia Paveri Minetti
www.claudiapaveriminetti.com
chiaro. Da diversi anni chi si occupa di
questo problema sa che, quando si superano certi livelli di peso, è assai improbabile dimagrire con il solo aiuto della dieta,
seppur sotto controllo medico. Diversi
studi clinici hanno infatti sottoposto ad un
controllo rigoroso gruppi di persone affette da obesità grave trattati con una dieta
controllata, dimostrando che, dopo 5 anni,
il 95% delle persone studiate era tornato
al suo peso originario.
Uno studio recente ha preso in considerazione persone con un peso medio anche
inferiore al suo, sottoposte a schemi dietetici tra i più noti ed accreditati, sempre
sotto costante controllo medico. Al termine di un anno la perdita di peso osservata
era mediamente inferiore ai 3 chilogrammi. Questo tipo di studi sono stati più volte
confermati; d’altra parte sappiamo che
tutte le raccomandazioni delle società
scientifiche a partire dalla Consensus
Conference emessa nel 1991 dal prestigioso National Institute of Health sottolineano che l’intervento chirurgico è l’unico
modo per ottenere un consistente calo
ponderale in una persona affetta da grave
obesità.
Ecco perché per Lei, arrivata a un peso di
97 chilogrammi, è ormai molto difficile
ottenere dei risultati apprezzabili con la
dieta e l’intervento chirurgico deve essere
preso in considerazione.
Una cosa deve essere sottolineata. Quei
depositi di grasso sono senza dubbio molto
antiestetici, ma il motivo che ci suggerisce
di consigliare un intervento chirurgico ad
una persona del suo peso è completamente diverso e con l’estetica non ha nulla a
che vedere. Questa condizione infatti è alla
base dell’insorgenza di altre malattie come
l’ipertensione, il diabete, l’arteriosclerosi
con le sue complicanze (infarti cardiaci,
ictus), problemi respiratori, e via via, fino
addirittura ad alcuni tumori. La probabilità
di sviluppare una di queste complicazioni
dell’obesità è tale che è possibile calcolare
che, in base al suo peso ed alla sua età, la
spettanza di vita è ridotta, nel suo caso, di
circa 7 anni rispetto ad una persona con le
stesse sue caratteristiche, ma normopeso.
Ecco che si giustifica il ricorso ad un intervento chirurgico, che è una misura apparentemente drastica, certamente gravata
di complicanze, ma in grado di ridurre questa mortalità per malattia di oltre il 90%.
Campo de’ fiori
Dott.ssa
Patrizia Scavalli specialista in pneumologia, allergologia, medicina del
lavoro.
Sono madre di un
bimbo di dodici
anni che recentemente è stato colpito da attacchi
d’asma, specialmente la notte.
Da cosa può essere stata causata e
quali sono le cure?
L’asma può avere
tantissimi fattori scatenanti:
Allergeni
La maggior parte degli allergeni sono
sostanze comunemente presenti nell’ambiente, che vengono introdotte nell’organismo per vie diverse come l’inalazione o
l’ingestione, come i pollini (minuscole ed
invisibili particelle che si liberano dai fiori
di erbe e piante), gli acari della polvere
(bestioline piccolissime che si nutrono
della forfora ed altri derivati epidermici
umani e vivono ovunque ci sia polvere
domestica che trattiene la forfora), muffe
e funghi, derivati epidermici animali (forfore, peli, saliva di gatto, cane e cavallo).
Vanno inoltre ricordati gli allergeni alimentari, tra cui i più comuni sono il latte
vaccino e i suoi derivati, l’uovo, il pesce e
la frutta secca; non bisogna dimenticare
che svolgono un ruolo importante in questo senso anche i coloranti e i conservanti, presenti ad esempio nello scatolame.
Infezioni
Le infezioni che interessano le vie respiratorie (dal naso ai bronchi) sono in grado di
dare episodi asmatici. Le infezioni virali
sono frequenti nei mesi invernali, dal
comune raffreddore all’influenza. E’ consigliato eseguire la vaccinazione antinfluenzale perché è stato dimostrato che riduce
la frequenza di questi episodi.
Medicine
In alcuni casi l’aspirina e i suoi derivati
possono causare un’asma anche grave.
Fattori lavorativi
Alcune categorie di lavoratori come i fornai, i contadini, i falegnami, i verniciatori
che manipolano dei composti del tipo degli
isocianati, sono a rischio per insorgenza di
asma.
L’esercizio fisico
Da tempo è conosciuto il suo ruolo scatenante nei confronti dell’asma, specialmente nei bambini, per raffreddamento ed
essiccamento dei bronchi durante lo sforzo
L’inquinamento atmosferico rappresenta un grave problema per la salute ed
in particolare i prodotti di combustione dei
motori Diesel, che emettono concentrazio-
ni di monossido di
carbonio e di anidride carbonica
relativamente
basse, ma che
generano più di
100 volte le particelle prodotte da
un analogo motore a benzina (i
famigerati
PM10).
Sono pertanto i
maggiori responsabili dell’inquinamento, che causano malattie polmonari, cardiache
e non solo, specie
negli anziani.
Però, se si guarda ai fattori che possono
proteggere o predisporre alla malattia, il
quadro non è poi così chiaro, malgrado gli
studi si siano accumulati nel tempo.
Eccesso di igiene
Negli ultimi vent’anni l’attenzione si è concentrata su quello che sembrava un
aumento dell’incidenza della malattia tra i
bambini, soprattutto nei paesi industrializzati, che tra l’altro vantano condizioni igieniche superiori. Di qui l’ipotesi che la
“troppa” igiene, quindi il minor numero di
infezioni respiratorie nell’infanzia, potesse
impedire la maturazione del sistema
immunitario che, appunto, una volta che
entra in contatto con elementi ambientali
irritanti (polveri, pollini eccetera) dà origine alle reazioni esagerate tipiche delle
malattie allergiche e alla sintomatologia
asmatica. Questo vale anche per il numero eccessivo di docce, con l’uso di saponi
troppo aggressivi, che distruggono e portano via le sostanze che proteggono la
pelle (il cosiddetto mantello idrolipidico, prodotto dalla pelle sana come barriera alle sostanze tossiche e alle infezioni
cutanee), con la conseguenza di un
aumento di dermatiti, soprattutto fra i giovani.
E sempre restando ai bambini, da tempo
sono state osservate forme simili all’asma
(sibili respiratori) che compaiono durante
forme influenzali o batteriche che poi non
si traducono nell’asma classico con la crescita.
Può anche darsi che in effetti l’asma sia
soltanto un sintomo comune a molti
disturbi che però hanno cause differenti.
Un po’ come la febbre, che in tempi lontani era considerata una malattia in sé, ma
oggi si sa essere un effetto di molte malattie differenti.
Il riscaldamento globale
31
del pianeta noto come “global warming”
ha portato dei cambiamenti anche nel
mondo vegetale con una anticipazione
della fioritura di alberi e piante.
Ovviamente anche la nostra provincia ne
risente. Come sappiamo i pollini che tradizionalmente causano la stragrande maggioranza di manifestazioni allergiche nel
Viterbese sono quello del nocciolo del
cipresso, dell’olivo fra gli alberi e della
parietaria, dell’ambrosia delle graminacee
fra le piante. A questi se ne stanno aggiungendo di nuovi, legati all’utilizzo di nuovi
alberi ornamentali nei viali delle nostre
città (tipico è l’esempio della betulla) dal
polline fortemente allergizzante.
Ci aspettiamo quindi un aumento dei casi
di rinite, congiuntivite ed asma, spesso fra
loro associate.
Per curare l’asma è bene sempre partire
nelle forme iniziali da farmaci locali (colliri,
spray nasali, aerosol pressurizzati, broncodilatatori) passando poi agli antistaminici
e ai cortisonici sistemici nelle forme più
serie. Non dimentichiamo l’importanza e
l’efficacia dei vaccini antiallergici anche
nella somministrazione sublinguale.
I costi dei trattamenti, come abbiamo già
sottolineato, sono elevati, spesso a carico
del paziente: è però dimostrato che un
paziente affetto da rinocongiuntivite allergica non curato ha più probabilità di diventare asmatico di uno trattato correttamente.
È necessario quindi cercare di rallentare
questo processo, non solo mediante lo
ricerca di nuovi farmaci, ma soprattutto
attraverso la prevenzione, evitando l’esposizione a tutte le sostanze che possono
scatenare la malattia.
INDIRIZZATE LE VOSTRE DOMANDE AI MEDICI SPECIALISTI CHE COLLABORANO
A QUESTA RUBRICA DIRETTAMENTE PRESSO LA NOSTRA REDAZIONE,
Piazza della Liberazione n. 2 - 01033 Civita Castellana (VT) - Tel/Fax: 0761.513117
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Campo de’ fiori
32
Per ricordare il Professor
Vince
Civita Castellana 1953 conferimento della cittadinanza onoraria al Prof. Vincenzo Ferretti.
1) Prof. Vincenzo Ferretti- 2) Otello Patrizi- 3) Ottorino Zenoni- 4) Alfio Micheli- 5) Don Marciano Ercolini- 6) Vilma Cardelli in Minio- 7) Rosa
Merlini Frezza- 8) Conte Feroldi De Rosa- 9) Famiano Panichelli (Nanetto)- 10) Angelo Agnitelli- 11) Dr. Danilo Cerri- 12) Dr. Remo Santori- 13)
Dr. Bondì- 14) Vittorio Fantera- 15) Enrico Bravini- 16) Giuseppe Evangelisti- 17) Prof. Mercuri- 18) Don Luigi Baldassi
Premessa: Tutte le
informazioni
che
appaiono in questo
articolo, sono derivate da racconti di persone anziane, la maggior parte decedute,
di Arnaldo
che hanno frequentaRicci
to a vario titolo l’ospedale Andosilla ai tempi del Prof.
Vincenzo Ferretti.
Per molti giovani di Civita Castellana e dintorni (al di sotto degli anta) il nome
Vincenzo Ferretti identifica solamente la
via che parte dalle quattro strade e termina all’altezza dell’ospedale Andosilla.
Codesto articolo è dedicato principalmente a questi giovani, che per ovvi motivi,
non conoscono chi era quest’uomo, considerato invece (da quelli che hanno superato gli anta e qualche cosa meglio) senza
tema di essere smentiti, un grande benefattore, della popolazione che ha vissuto a
Civita e nei paesi limitrofi, durante la prima
metà del ventesimo secolo.
A ricordo del Prof. Ferretti, ovviamente
oltre al nome della via sovra citata, esiste
anche una lapide all’interno del cortile
dell’ospedale ove sono scolpite le seguenti parole:
AL PROF. VINCENZO FERRETTI,
VALOROSO DIRETTORE PER 40 ANNI
DI QUESTO OSPEDALE, APOSTOLO
MIRABILE DEL BENE, TUTTO DIEDE
PER LA SALUTE DEI SOFFERENTI,
SENZA NULLA CHIEDERE. L’AMMINISTRAZIONE OSPEDALIERA INTERPRETE DEGLI UNANIMI SENTIMENTI
DI RICONOSCENZA CODESTA MEMORIA POSE NEL TRIGESIMO DELLA
DIPARTITA CONFORTO E STIMOLO
PER SEGUIRNE IL LUMINOSO ESEMPIO. ADDI 27 DICEMBRE 1955.
Ebbene, con molta probabilità, i vari utenti o visitatori che si recano frettolosamente all’ospedale Andosilla, forse non hanno
mai letto queste parole che sono le sole a
ricordare Il Professore all’interno della
struttura ospedaliera.
Con questo articolo voglio raccontare al
lettore alcuni episodi relativi alla sua sola
vita professionale e sottolineo vita professionale, dato che Lui non ha mai avuto
vita privata per tutto l’arco di tempo che
ha prestato la sua lunga, instancabile e
preziosissima opera medica all’Andosilla.
Il Professor Ferretti era sempre in servizio,
ventiquattro ore su ventiquattro; (H24
acca ventiquattro come si dice nel linguaggio militare) non si prendeva ferie o
giorni di riposo.
Solo una volta si prese un giorno di riposo,
per andare ai funerali del suo bravo e stimato collaboratore, dott. Lupo Vincenzo
(nonno materno del dott. Faggiani attualmente medico a Civita) che morì improvvisamente nel 1945 all’età di 53 anni; il
Professore rimase profondamente colpito
da questo triste avvenimento.
Quelli che l’hanno conosciuto (ne sono
rimasti in vita pochi!) sanno bene che Lui
viveva in una stanza, all’interno
Campo de’ fiori
33
enzo Ferretti (1873 - 1955)
dell’Ospedale, la sua abitazione era lì e
consisteva di una semplice e spartana
camera, con un letto, un comodino uguale a quello degli ammalati ed una semplicissima scrivania.
Quest’uomo dedicò tutta la sua vita alla
scienza medico chirurgica; non aveva
moglie nè figli, aveva pochissimi amici e
non conosceva nessun divertimento.
Nell’arco di un anno, le volte che usciva
dalla cinta ospedaliera, si potevano contare con le sole dita di una mano e sicuramente non usciva per divertimento.
Molto probabilmente il Professor Ferretti
veniva da una famiglia agiata con cultura
laico - liberale, sviluppatasi notevolmente
dopo l’Unità d’Italia; era noto a tutti che
dal punto di vista della religione, non era
credente.
Il personale paramedico di allora, era composto non solo da normali dipendenti ma
anche da religiose (monache). Le monache erano in servizio quasi in tutti gli ospedali italiani, compreso l’Andosilla, dove, in
realtà, avevano gerarchicamente di fatto,
una funzione superiore ai normali paramedici.
A Civita, la direzione delle religiose era
affidata ad una monaca di nome Suor
Giovanna, stretta collaboratrice del
Professor Ferretti, il quale, quando doveva
mettere in riga (come si suol dire) un
paramedico, perché a suo giudizio non
aveva fatto il proprio dovere professionale
in modo corretto, non esitava a redarguire
anche con brutte parole, sia le religiose
che gli altri. Perfino Suor Giovanna si beccava le romanzine di Ferretti, in silenzio!
Il Professore si dedicava completamente
1939 - Il Principe Umberto in visita all’Ospedale Andosilla di Civita Castellana
alla cura degli ammalati; la sua missione
era una sola: curarli nel miglior modo possibile, secondo quanto la scienza medica e
le strutture sanitarie di allora gli potevano
offrire. Nel suo lavoro era severissimo, con
se stesso e
con gli altri:
non ammetteva errori o
manchevolezze nei confronti dei ricoverati.
Non ossequiava
nessuna
autorità,
nè
religiosa, nè
politica: aveva
però un grande rispetto per
l’autorità sanitaria in generale e quella
da Lui stesso
rappresentata.
Allora, le cure
mediche ospedaliere erano
L’ospedale negli anni ‘50
a pagamento
e per gli indigenti spesso si facevano carico i comuni. La maggior parte degli italiani, comunque aveva difficoltà a pagarsi le
cure mediche; ebbene il Professor Ferretti,
quando capiva che il paziente non poteva
pagare, trovava il modo di fornire gratuitamente il proprio servizio!
Un signore ottantenne di Civita, attualmente in vita, anni fa, mi raccontò un episodio riguardante il Professore, avvenuto
negli anni immediatamente precedenti la
guerra mondiale. Il suo papà (che aveva
dodici figli) venne operato d’urgenza dal
prof. Ferretti per problemi intestinali, era
in serio pericolo di vita.
L’intervento andò a buon fine e fu salvato.
Dopo la convalescenza mandò un figlio
(l’attuale ottantenne ancora vivente) dal
Professore, per regalargli due fagiani, in
segno di riconoscenza; il Prof. Ferretti lo
ringraziò e gli disse : “…ringrazia tuo
padre.......mi fate però più felice se vi
mangiaste questa prelibata cacciagione
insieme a tutta la vostra famiglia……dedicando la cena alla mia salute….” Con un
semplice gesto rispedì al mittente i due
fagiani!
Continua sul prossimo numero...
34
Campo de’ fiori
Giovanni Crescenzi
CORCHIANO. L’orgoglio di aver avuto
un avo che combatté
in prima linea, durante la Prima Guerra Mondiale, ha spinto un giovane di
Corchiano, Gianluca
Federici, a voler far
conoscere le gesta
di
valorose del suo
Ermelinda Benedetti bisnonno.
Giovanni Crescenzi nacque a Corchiano, in
provincia di Viterbo, il 24 giugno del 1884.
All’età di soli nove anni rimase orfano del
padre e dovette prendersi cura della
madre, del fratello e della sorella, più piccoli di lui, lavorando duramente nei campi.
Nel 1908 decise di partire per l’America, in
cerca di fortuna e lì rimase fino al 1914.
L’anno successivo scoppiò il primo grande
conflitto mondiale.
Anche l’Italia entrò in guerra e così anche
Giovanni, nonostante non più giovanissimo, al contrario di molti suoi connazionali,
mandati al fronte alla sola età di 16 anni (i
famosi “Arditi”), venne chiamato alle armi.
Furono proprio quei giovani compagni che
lo chiamarono scherzosamente, per quanto in quella situazione si potesse scherzare, “nonno”.
Grazie alle sue conoscenze musicali, per le
quali faceva già parte della banda musicale del paese, venne mandato nel corpo dei
bersaglieri per suonare nella fanfara.
Gli vennero concessi quattro giorni di
licenza per procurarsi quella tromba che lo
accompagnò per tutta la guerra, anzi, per
tutta la vita.
Riuscì a comprarne una di terza mano due
giorni dopo, a 5 lire, nel vicino paese di
Gallese, durante i festeggiamenti del
patrono San Famiano e tornò subito al
fronte.
A lui venne ordinato di suonare la carica
che incitava all’attacco, nella famosa battaglia sul fiume Piave e fu l’unico superstite di tutto il suo plotone, rimanendo
nascosto in territorio nemico per due ore,
fino a che, dopo una lunga battaglia, non
venne raggiunto da altri commilitoni, che
occuparono l’avamposto nemico.
Giovanni, in realtà, riuscì a scamparla più
di una volta. In un’altra occasione, infatti,
rimase sepolto sotto la neve per 24 ore,
dopo che, nel tentativo di salvare alcuni
suoi commilitoni, da un’offensiva nemica,
venne travolto da una slavina.
Tratto in salvo, fu mandato al campo militare medico, a causa delle gravi conseguenze riportate. Per tale avvenimento e
per altri, altrettanto eroici, gli furono conferite la medaglia di bronzo e la medaglia
d’argento al valor militare direttamente dal
Re d’Italia, per gli esempi di altruismo e di
coraggio dimostrati.
Terminata la guerra fece ritorno al suo
paese, dove si sposò ed ebbe una figlia. In
quel periodo, vennero concesse pensioni
per i reduci di guerra, ma, a causa della
perdita dei suoi documenti di riconoscimento nella slavina, non poté beneficiarne.
Solo nel 1969, Liuzzi, dopo vari accertamenti, lo riconobbe reduce di guerra, conferendogli, meritatamente, il titolo di
Cavaliere di Vittorio Veneto.
Partecipò a molti raduni dei bersaglieri.
In particolar modo, in quello del 1969,
svoltosi a Civita Castellana, all’età di ottan-
tacinque anni, corse come un giovanotto
al passo di fanfara, lasciando tutti meravigliati.
Morì il 19 maggio 1981, alla veneranda età
di 97 anni, mantenendo, fino all’ultimo,
una tempra invidiabile.
Devoto a Dio, al Re e alla sua amata patria
Italia, fu un esempio per la sua famiglia.
Così lo ricorda Gianluca, che tante volte
rimase incantato ad ascoltare queste affascinanti vicende, realmente vissute e che,
con vanto, ha voluto raccontarci.
Custodisce, ancora, gelosamente lo strumento musicale del suo caro bisnonno,
che vorrebbe fosse ricordato degnamente
per le sue imprese memorabili.
Il rispetto dei posti H
Non potevamo non prestare attenzione al
problema sollevato dalla signora Giuliana
Valeri, circa la difficoltà all’utilizzo del parcheggio disabili, sito accanto all’ingresso
del Forte del Sangallo di Civita Castellana.
Il fatto, già rimbalzato sulla stampa locale,
merita una profonda riflessione e evidenzia lo scarso senso civico, ed ancor più
l’assenza di sensibilità verso questi argomenti.
La signora Giuliana, a causa della sua
grave disabilità, è in regolare possesso del
Disco H, che le “dovrebbe” dar diritto al
parcheggio di cui sopra tanto più che è
prospiciente la sua abitazione, se questo,
però, fosse possibile, visto che molti auto-
mobilisti “normali”, spesso, lo occupano.
La polemica, poi, costruita sulla “paternità” del posto H, è senza alcun fondamento, in quanto la Valeri non ha mai dichiarato questo. Bisogna, se mai, segnalare,
come per altri parcheggi H della nostra
città, l’anomalo posizionamento e lo scarso spazio, che ne rendono difficoltosa la
manovra d’accesso e di uscita.
E’ la solita storia!
Giuliana, come tutte le persone con difficoltà, chiede fatti e non parole, ma sa che
la sua voce è debole e non riesce ad arrivare a chi dovrebbe.
Aiutiamola a scuotere l’indifferenza e combattere l’ignavia.
Campo de’ fiori
36
L’angolo ... cin cin
di Letizia Chilelli
Quante bottiglie conservare nella nostra cantina
Viste le Feste appena trascorse, avremo
quasi tutti nelle nostre case delle bottiglie
che abbiamo ricevuto in dono che andranno a sommarsi con quelle già “esistenti”
nella nostra “cantina personale”.
Come conviene, in generale, suddividere la
nostra scorta per non avere degli squilibri
ed evitare degli sprechi?
Ebbene, tenendo conto delle occasioni
medie di consumo si può procedere in questo modo:
- Vini Spumanti o Champagnes, 5 Bottiglie
- Vini Bianchi, 35 Bottiglie - Vini Rossi
Leggeri, 40 Bottiglie - Vini Rossi
Invecchiati, 15 Bottiglie - Vini da Dessert, 5
Bottiglie. Naturalmente, secondo le preferenze, si possono effettuare alcune variazioni, dovute anche alle circostanze e alle
scadenze del calendario. Per esempio
durante la stagione fresca o fredda si berranno più i vini rossi , anche invecchiati,
mentre in estate la preferenza si accorda ai
vini bianchi; per le Feste, conviene aumentare la scorta degli spumanti, i quali però
devono essere consumati in un tempo
abbastanza circoscritto per evitare brutte
sorprese.
Dalla cantina-tipo di circa 100 unità di vino
ho escluso i liquori, gli aperitivi e le altre
bevande del genere.
Questo tipo di provviste, infatti, dipende
dai gusti personali, c’è chi in cantina vuole
solo il vino e chi desidera tenervi uno spazio dedicato ai liquori, che non danno fastidio, anzi la arricchiscono.
Per “rafforzare” la nostra partita di vini,
potremmo regolarci in questo modo:
- Liquori come Grappa, Cognac, Amaro,
Whisky, 5 Bottiglie – Aperitivi, 5 Bottiglie Sciroppi e Punches, 3 Bottiglie - Birre
(dipende dall’uso che ne viene fatto, cioè
se come bevande complementari o da
pasto in più di qualche circostanza). Una
buona cantina, comunque, deve essere
sempre “equilibrata e variata”, e mai monocorde.
Capita spesso che certi appassionati che
nutrono un amore esclusivo per un determinato vino riempiano la loro cantina solo
di quei prodotti, peccando in questo caso di
esclusivismo: la cantina esige una varietà
di temi e una certa dose di fantasia, per
avere il piacere di provare vini sconosciuti o
bevuti troppo raramente.
Inoltre, si sente spesso dire : “ Non tengo
in cantina vini bianchi, perché non mi piacciono!” oppure : “Detesto i vini rossi, quindi stasera, berremo solo vini bianchi!”, questa è una pura manifestazione di egoismo,
soprattutto se abbiamo l’abitudine e il piacere di invitare gli amici, che vengono in
questo modo costretti a pasteggiare con un
solo vino per il quale magari non hanno
molta simpatia o che ancora peggio non si
abbina correttamente con le pietanze servite per la cena.
Concludendo questo excursus sulla cantina, mi piace indicare anche un altro vantaggio per chi possiede questo ambiente
veramente curato nei dettagli: la possibilità
di invitarvi gli amici per l’aperitivo o per uno
spuntino (à “Merenna” alla quale assistevo
spesso da piccola ogni volta, anzi quasi
tutti i pomeriggi, quando andavo a casa di
Peppe in campagna.
Mi piace ricordarlo qui, in questo mio ango-
lo, perché è a lui che debbo la mia grande
passione per il vino… mi sembra così di
risentire il profumo del mosto e della sua
risata…).
Se si offre uno Spumante come aperitivo, è
necessario passarlo almeno per un’oretta in
frigorifero per abbassarne la temperatura,
poiché la cantina conserva bene gli
Spumanti, ma non li rende già pronti da
bere al momento, se così fosse, sarebbe
una cantina troppo fredda che recherebbe
sicuramente dei danni ai vini rossi che
come sappiamo non devo scendere a meno
di 10°C.
In cantina conviene, inoltre, tenere un candeliere con alcune candele: queste serviranno per controllare lo stato di limpidezza
del vino conservato in cantina.
Altro consiglio è quello di tenere anche dei
cestelli portabottiglie che servono per trasportare le bottiglie dalla cantina alla tavola e per servire la bottiglia in cui è presente un sedimento che si è formato con l’invecchiamento e che si è depositato su di un
lato verso il fondo della bottiglia.
Il cestello deve contenere la bottiglia sollevata dalla parte del collo per permetterci
così la stappatura che ricordo,deve essere
fatta con molta accuratezza, facendo rimanere la bottiglia in posizione orizzontale il
più possibile e senza scossoni.
Gli esempi di cantina che vi ho riportato
sembrerebbero esempi-limite, ma vi assicuro che vi possono dare un’idea del punto
di perfezione che si può toccare allestendo
una cantina personale.
IL PERSONAGGIO
MISTERIOSO
Di lato è riportata la foto di
un famoso attore. Sapresti dire di chi si tratta?
I primi cinque che,
telefonando in redazione,
daranno la risposta esatta
riceveranno un simpatico
omaggio offerto dalla profumeria Paolo e Concetta
Protegge i tuoi valori
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01033 Civita Castellana (VT)
Tel.0761.599444 Fax 0761.599369
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Campo de’ fiori
38
CIVITA CASTELLANA CARNEVALE 2008
SFILATA 27 GENNAIO
SFILATA 3 FEBBRAIO
SFILATA 5 FEBBRAIO
1- Gruppo Biffe “O’ scienziato pazzo”
2- Gruppo Gazibo “Nelle fantasie del
mondo Gitano il Gruppo Gazibo vi legge la
mano”.
3- Gruppo Egizia “Na’ stagione dice all’andra... nun semo più quelle de na vorda”.
4- Gruppo I Forchettoni “Olè”
5- Gruppo Jamaicano “Mary Poppins con
un pò di zucchero la pillola va su, la pillola va su”.
6- Gruppo Catarì “Carramba che
Catarinata!”
7- Gruppo Flaminia “Corre il tempo e fa
paura”.
8- Gruppo Elios “Cò sto sole e cò ste stelle ne vedremo delle belle”.
9- Gruppo le lunatiche “Un diavolo per
capello”.
10- Gruppo i carusielli “Ai carusielli je
piace a pecora!”
11- Gruppo i scroccafusi “O’ scroccafuso
co o’ dragone pia a’ carrozza e va in
Giappone”.
12- Gruppo Sette mejo bocco’ “O’ cinese
c’o’ risciò”
13- Gruppo Speedy “Il re della giungla è
arrivato, e le sue domatrici in piazza l’hanno portato”.
14- Gruppo l’ortofunaro “Da troja a Treja”.
1- Gruppo i carusielli “Ai carusielli je piace
a pecora”
2- Gruppo Sette mejo bocco’ “O’ cinese
c’o’ risciò”
3- Gruppo Speedy “Il re della giungla è
arrivato, e le sue domatrici in piazza l’hanno portato”.
4- Gruppo l’ortofunaro “Da Troja a Treja”.
5- Gruppo Biffe “O’ scienziato pazzo”.
6- Gruppo Gazibo “Nelle fantasie del
mondo gitano il gruppo Gazibo vi legge la
mano”.
7- Gruppo i forchettoni “Olè”.
8- Gruppo Egizia “ Na’ stagione dice all’andra... nun semo più quelle de na vorda”.
9- Gruppo Jamaicano “Mary Poppins con
un po’ di zucchero la pillola va su, la pillola va su”.
10- Gruppo Catarì “Carramba che catarinata!”
11- Gruppo Flaminia “ Corre il tempo e fa
paura”.
12- Gruppo Elios “Co’ stò sole e co’ ste
stelle ne vedremo delle belle”.
13- Gruppo le lunatiche “Un diavolo per
capello”.
14- Gruppo i scroccafusi “O’ scroccafuso
co o’ dragone pia a’ carrozza e va in
Giappone”.
1- Gruppo Catarì “Carramba che catarinata!”
2- Gruppo Elios “Co’ stò sole e co’ ste stelle ne vedremo delle belle”.
3- Gruppo le lunatiche “Un diavolo per
capello”.
4- Gruppo i scroccafusi “ O’ scroccafuso co
o’ dragone pia a’ carrozza e va in
Giappone”.
5- Gruppo i carusielli “ Ai carusielli je piace
a pecora!”
6- Gruppo Sette mejo bocco’ “O’ cinese
c’o’ risciò”.
7- Gruppo l’ortofunaro “Da Troja a Treja”.
8- Gruppo Speedy “Il re della giungla è
arrivato, e le sue domatrici in piazza l’hanno portato”.
9- Gruppo Biffe “O’ scienziato pazzo”.
10- Gruppo Gazibo “Nelle fantasie del
mondo gitano il gruppo Gazibo vi legge la
mano”.
11- Gruppo i forchettoni “Olè”.
12- Gruppo Egizia “Na’ stagione dice
all’andra... nun semo più quelle de na
vorda”.
13- Gruppo Jamaicano “Mary Poppins con
un po’ di zucchero la pillola va su, la pillola va su”.
14- Gruppo Flaminia “Corre il tempo e fa
paura”.
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ENERGETICA...MENTE
Il 54% degli italiani fatica ad arrivare a fine
mese”… “Petrolio alle
stelle. Atteso rincaro
delle bollette”.
Questi sono solo alcuni
dei titoli di giornale che
di Erminio
hanno tessuto la trama
Quadraroli
dell’anno appena trascorso. Tutto ciò, purtroppo, sembra essere solo l’inizio di una
diffusa malattia sociale destinata a divenire patologica se l’Italia non deciderà di
dare una nuova impronta alla propria
“politica” energetica.
Una Nazione ancora troppo dipendente dal
petrolio rischia di inquinare in modo massiccio i propri cieli con le ben note conseguenze sulla salute dei suoi abitanti che si
trovano, tra l’altro, destinatari di una enorme beffa che rende le loro tasche sempre
più vuote. La nostra Penisola, infatti, pur
avendo aderito al Protocollo di Kyoto, continua ad incrementare le proprie emissioni
in atmosfera usando l’oro nero per la produzione di circa il 50% dell’energia.
Questo dato da’ un’idea del larghissimo
ritardo accumulato dall’Italia nella partita
mondiale delle energie rinnovabili e nello
sviluppo di un sistema energetico ecosostenibile.
A tal proposito esiste un’energia che svincola i cittadini dai continui rincari del greggio…l’energia solare: pulita, inesauribile e,
soprattutto, gratuita.
A fronte di una piccola spesa iniziale, infatti, l’energia pulita derivante dalla nostra
stella più luminosa riesce non solo a purificare la nostra aria, ma anche a rimpinguare le finanze degli italiani in larga maggioranza costretti a vivere di rinunce per
poter arrivare alla famosa “quarta settimana”.
Seppur i media pubblicizzino in maniera
marginale l’utilizzo di energie rinnovabili,
in Italia, sembra che qualche cosa si stia
muovendo attraverso lo sviluppo di idonei
meccanismi di incentivazione per sostenere tale tecnologia. Negli ultimi anni, infatti, lo Stato, attraverso la “Legge finanziaria”, ha previsto detrazioni del 55% ( che
continueranno fino al 2010 ) per l’istallazione di pannelli solari termici, concessione di mutui a tasso agevolato nonché gua-
dagni economici e monetari a chi , privatamente, produce energia elettrica con l’utilizzo di pannelli solari fotovoltaici.
Queste scelte dell’Italia, seppur lente,
sembrano essere molto coraggiose e
fanno comprendere appieno come il problema energetico sia al centro dello sviluppo nazionale.
È positivo constatare come stia maturando a livello istituzionale e locale una nuova
mentalità che può rivoluzionare il futuro…energeticamente .
40
Campo de’ fiori
Una “Fabrica” di ricordi
Personaggi, storie e immagini di Fabrica di Roma
La chiesa di San Rocco
Una volta lì, proprio in
cima alla salita che
porta a San Rocco,
c’era l’omonima chiesa
che, posta a baluardo
del rione, lo divideva
da quello del borgo.
Era
una
semplice
di
costruzione, ad un’uniSandro Anselmi
ca navata, con un piccolo campanile ed una
gradinata che saliva alla porta d’ingresso,
per vincere il dislivello del terreno.
All’interno della chiesa, oltre i dipinti raffiguranti il Santo, c’era anche la statua di
Santa Cecilia. Quest’ultima colpiva molto
noi ragazzi, per la sua bellezza ed ancor
più per l’arpa che aveva appoggiata ai suoi
piedi e che noi osavamo suonare, passando le mani sulle vecchie corde di metallo
arrugginito.
La chiesa era sempre chiusa, ad eccezione
del 22 Novembre, quando la banda musicale veniva a prendere la Santa Patrona
per portarla in processione.
Quel giorno era speciale per noi
“Sanrocchesi”: potevamo finalmente
entrare nella chiesa ed addirittura far suonare la piccola campana, tirando, con lena,
la vecchia corda consunta dagli anni.
La chiesa, durante la Seconda Guerra
Mondiale, aveva avuto anche un’altra
destinazione, ospitando, infatti, i soldati
italiani addetti alla sussistenza, che avevano, poco distante, il deposito dei vettovagliamenti, nella cantina dei fratelli Testa,
detti i Pasqualotti.
Mia madre ricorda che zio Mario, suo fratello, che all’epoca aveva intorno agli otto
anni, aveva simpatizzato con i militari,
divenendo la loro mascotte.
Vi trascorreva molto tempo insieme e si
fermava spesso a mangiare con loro, tant’è che, in segno di ringraziamento, lavava
volentieri le loro marmette al fontanile.
Ma se la chiesa occupa un posto impor-
tante nei ricordi della mia infanzia e giovinezza, ancor più ce l’hanno la gradinata
ed il fontanile, che era nel lato opposto, e
delimitava il grande piazzale antistante.
Quanti pomeriggi passati a giocare sulle
scale e, questo, in ogni stagione, visto che
erano poste a mezzogiorno e la mole della
chiesa le copriva dalla tramontana.
Quante storie, quanti racconti fantastici,
hanno potuto ascoltare quei mattoni,
quando nelle sere d’estate ci si attardava
un po’ di più, alternando i giochi alle bevute al fontanile, nella speranza di incontrarvi qualche ragazza che era venuta, magari, fin quassù, per prendere un po’ d’aria
fresca e dissetarsi con l’acqua leggera
della Selva, come era di fama.
Quante volte ci arrampicavamo sulle grate
delle finestre, poste ai lati della scala, per
sbirciare l’interno della chiesa.
Ho impressa chiara, nei ricordi, la pietra
miliare, appoggiata alla base del muro che
dava sulla strada, e il grande tiglio, che,
con la sua chioma, sfiorava la grondaia del
tetto.
Ai suoi piedi c’era un macigno di pietra
lavica dove ci sedevamo in torno.
Da quei gradini, che erano un osservatorio
naturale, con una vista che spaziava fino a
Civita e Corchiano, vedevamo venire su
per la salita le persone, i carri, le macchine e, non di rado, le masnade di ragazzi
degli altri rioni che, in assetto di guerra,
venivano ad espugnare il nostro.
Allora accorrevamo tutti in quella zona di
confine, per difendere il nostro territorio
e… via alle sassaiole, alle fiondate, alle
frecciate … eravamo tanto buoni, ma
anche tanto selvaggi!
Spesso bisognava ricorrere alle cure di
Suor Rosa per gli esiti delle battaglie,
quando, oltre qualche ginocchio sbucciato,
ne usciva qualche testa rotta, come capitò
anche a me durante una battaglia con i
“borghigiani”.
Mi ricordo che era carnevale e quelli di noi
con qualche anno di più, mi accompagnarono, con la testa rotta, a casa di mia
nonna, dove tutte le donne stavano preparando i frittelloni, e mia madre esclamò:
“ora t’hanno mascherato per bene”.
Quanta vivacità c’era, una volta, nel nostro
rione e quanti nomi si rincorrevano durante i giochi chiassosi: “Paolo, Gianni,
Claudio, Maurizio, Valter, Carlo, Gabriella,
Simonetta, Sandro, Pasqualino, Amedeo,
Antonio, Giulia, Vittorio, Arturo, Gian
Franco, Silvano, Danilo, Roberto......”
Ora che la chiesa non c’è più, ed al suo
posto sorge una casa, anche noi, di quelli
ancora in vita, che da lì siamo partiti per
diversi destini e ci siamo dispersi, ci ritroviamo solo nei ricordi.
42
Campo de’ fiori
“Il Fumetto”
LETTERATURA PER IMMAGINI CHE EMOZIONA
NANA di Ai Yazawa - edito da Planetmanga
Questo manga colpisce per l’originalità
sin dalle prime battute: due ragazze,
accomunate dallo
stesso nome, Nana,
si incontrano proprio
mentre decidono di
cambiare vita.
di
Due ragazze di
Daniele Vessella
carattere opposto,
ma complementari e questo puzzle che
incarna le loro esistenze darà luogo a una
storia dove il loro spirito vitale si scontri, si
allontani per poi riallacciarsi.
Due ragazze, Nana Osaki e Nana
Komatsu, intrecceranno la loro vita in
un’amicizia vera e profonda… un’amicizia
che le farà crescere e maturare. Infatti,
scopriamo la Osaki all’apparenza cupa e
aggressiva, ma leggendo la sua intimità
troveremo una ragazza estremamente fragile e con la paura di restare sola. La sua
voglia di sfondare come cantante rock e di
dimostrare il suo valore cozza col suo desiderio di formare una famiglia vera e l’essere stata abbandonata dalla madre quand’era bambina.
Nana Komatsu, invece, apparentemente è
di facili sentimenti e superficiali, ma scavando nella sua personalità troveremo un
cocktail di emozioni che attraverso mille
sfaccettature la portano dal ricercare l’amore perfetto alla voglia di essere indipendente, dalla paura di arrivare su un
obiettivo alla voglia di raggiungerlo.
Questo miscuglio di sentimenti ci rivela
come la Komatsu sia incapace di badare a
sé stessa e quanto sia indecisa sul suo
futuro, ma la forte personalità dell’amica
colora di una sfumatura che sovrasta tutte
le altre: la Komatsu acquista una maggiore capacità di amare davvero. Mentre la
Osaki, attingendo alla spensieratezza e alla
voglia di vivere della coinquilina, porta
nella sua vita un po’ di serenità.
Questo doppio filo è narrato con maestria
dalla Yazawa che, attraverso i pensieri
delle due protagoniste, ci fa scoprire le loro
intimità caratteriali e dà luogo a un mix
profondo composto da avventura e psicologia.
Un’opera matura che tratta temi come la
droga, lo spettacolo, l’amore, il sesso, il
tradimento, i disagi famigliari; argomenti
scottanti che l’autrice riesce a mettere su
carta in maniera leggera, senza diventare
mai pesante o superficiale. Intorno alle
due protagoniste, la Yazawa mette in
scena un vasto cast di personaggi, tutti
caratterizzati in modo ineccepibile: tutti
hanno il loro vissuto che si intreccerà con
la vita delle due Nana per andare a formare un mosaico che darà vita all’anima dell’opera.
E, visti i numerosi personaggi, è impossibile non immedesimarsi in qualcuno di loro,
perché sono personaggi dal carattere
espressivo e controverso che li fanno
apparire veri, tanto che sembrano presi
dalla strada e traslati sulle pagine di un
fumetto. Un’opera che comunica gioia e
tristezza, capace di farti riflettere e di farti
passare del tempo in spensieratezza.
Un’opera completa, anche nel reparto grafico: le ambientazioni sono reali e tangibili, quasi a voler puntare maggiormente alla
consistenza mai astratta della serie.
Ultimamente, però, l’autrice ha fatto una
scelta coraggiosa: ha diviso le due Nana e
quella “magia” che caratterizzava inizialmente il manga, purtroppo, si è dispersa…
4
5
45
Campo de’ fiori
STRADE disaSTRATE
Civita Castellana - Via Corchiano
Percorrendo le nostre strade, non si può
che costatare lo stato pietoso in cui esse
sono ridotte.
Più che camminare su una strada, sembra
di essere sulle montagne russe. Ci sono
tratti veramente impercorribili, pieni di
crepe, dovute all’acqua piovana, che non
riesce a defluire, a causa della mancanza
dei vecchi e necessari canali di scolo laterali.
Per non parlare poi delle buche che, man
mano, diventano dei veri e propri crateri e
che, nelle migliori delle ipotesi, vengono a
mala pena “rattoppate”, con gli scarsi risultati che tutti conosciamo.
Ma la situazione peggiora enormemente
con la pioggia.
Fiumi d’acqua laterali costringono a camminare al centro della carreggiata occupando, spesso, la corsia opposta col
rischio di scontrarsi con le auto che vengono in senso contrario.
Ad avere la peggio, comunque, sono le
nostre povere auto, con danni immediati o
a lungo termine, e, poi, di conseguenza, le
nostre tasche, con i soldi che dobbiamo
spendere per ripararli.
Ancora più a rischio sono i motocicli, per i
quali le buche sono una delle principali
cause di incidenti.
La situazione è penosa sia nelle strade dei
centri urbani, quanto in quelle fuori.
Abbiamo voluto raccogliere, così, dati concreti, utili a tutti, rivolgendo qualche
domanda all’amico Domenico Mariani,
esperto gommista, titolare dell’omonima,
rinomata Ditta.
D. Quali sono i principali danni causati alle auto dal manto stradale dissestato e con buche?
R. La deformazione o la rottura dei cerchi
e dei pneumatici. A lungo andare danni
alle sospensioni, ai cuscinetti e ai braccetti dello sterzo.
D. Quanti danni di questo genere
riparate in media ogni mese?
R. Il numero preciso non saprei dirlo, ma
ultimamente sono aumentati di molto a
causa del pessimo stato dell’asfalto.
D. Quali sono, in media, i costi che
bisogna sostenere per riparare i
danni?
R. Il costo della riparazione varia secondo
il tipo di macchina che è rimasta danneggiata, ma sono comunque sostenuti in
quanto i pneumatici di oggi una volta danneggiati debbono essere necessariamente
sostituiti.
Questo vale anche per i cerchi che sono
oramai tutti in lega e raramente si possono riequilibrare e rigenerare.
Altra nota dolente delle strade è la segna-
Corchiano - Via Civita Castellana
re di tutto e di più?
Quello che più ci rammarica è verificare
che le tasche dei nostri amministratori
sono bucate, proprio come le nostre strade! Non vengono forse più stanziati i fondi
necessari? Ma è giusto che ci siano e che
S.P. Corchiano - Fabrica di Roma
S.P. Corchiano - Civita Castellana
letica, quando è presente! Dove sono finite, infatti, le indispensabili paline laterali
catarifrangenti che delimitavano lateralmente il percorso stradale, in particolar
modo di notte e sulle strade prive di illuminazione, onde evitare di finire fuori strada? Ne sono rimaste pochissime, una qua
S.P. Falerina
S.P. Corchiano - Fabrica di Roma
ed una là, molte di esse sono rotte, storte
o cadute in terra, senza che possano più
svolgere la loro preziosa funzione.
Scarsa e insufficiente è anche la segnaletica orizzontale, quasi del tutto scomparsa o
presente solo a tratti, praticamente da
immaginare!
Viene spontaneo chiedersi: come è possibile tutto questo se siamo gli unici a paga-
debbano essere spesi per la nostra sicurezza e, qualche volta, per la nostra stessa
incolumità!
Ci siamo limitati a pubblicare solo alcune
foto, delle numerosissime buche che si
incontrano sulle nostre strade, ma che rendono perfettamente l’idea del loro stato di
pericolosità.
Ermelinda Benedetti
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Campo de’ fiori
Album
Civita Castellana anno scolastico 1966-67 III media sez. E - foto del Sig. Sandro Ottavianelli
In altro da sinistra: Aldo Costantini, Alfredo Marini, Mauro Gatti, Franco Saviotti, Roldano Zucchelli, Luigi Martifagna, Fabrizio Sansonetti,
Giancarlo Nisi, Ettore Profili. Al centro da sinistra: Rosa De Santis, Patrizia Palmieri, Loredana Flori, Mariella Mascioli, Sandro Ottavianelli,
Enrico Darida, Tonino Parroccini, Danilo Belfi, Gianfranco Padiglioni. In basso da sinistra: Stefania Sprega, Andreina Sciarrini, Domenica
Peroni, Luisa Finesi, Rita Fontana, Gabriella Romagnoli, Rita Finesi, Laura Zucchelli.
Civita Castellana - classe 1936 - foto della Sig.ra Silvana Corradi
Se vi riconoscete in queste foto, venite in redazione e riceverete un simpatico omaggio. Se desiderate vedere
m dei ricordi
Campo de’ fiori
47
Fabrica di Roma - scuola media del 1965 - foto del Prof. Vinicio Testa
In piedi da sx: Raimondo Maurizi, Luciano Anselmi, Mauro Ferrelli, Prof. Vinicio Testa, Franco Sciarrini, Massimo Ferrelli,
Claudio Ricci, Claudio Pozzo. In basso da sx: Pasquale Angeletti, Fausto Capitoni, Piero Balzerano, Sandro Bedini,
Umberto Malatesta, Roberto Baldassi.
Fabrica di Roma - anni ‘60 - partita scapoli contro ammogliati - foto del Prof. Vinicio Testa
In alto da sx: Salvatore Bocchetti, Mariano Ghirighini, Renato Francola, Sergio Mastrantoni, Pietro Proietti, Francesco Pacelli,
Giuseppe Ceccarelli, Vinicio Testa, Vittorio Patera, Giuseppe Braccini, Fulvio Cencelli, Eraldo Stefanucci, ... , Marcello
Mastrantoni, Luciano Stefanucci, Giuseppe Ghirighini, Sandro Capotondi. In basso da sx: Valerio Alessi, Ottavio Marinelli,
Sandro Cecchini, ..., ..., Angelo Grandi, ..., Fausto Sacchi, Sandro Alessandrini.
e pubblicate le vostre foto, portatele presso la redazione di Campo de’ fiori, esse vi verranno subito restituite.
Campo de’ fiori
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rie
Le sto
di
Max
Mia Martini
(Mimì Bertè)
do tutto è pronto, arriva la notizia che la
cantate è stata arrestata in Costa
Smeralda, a causa di “un innocuo spinello
che neanche avevo fumato”, come ammise lei stessa senza un minimo di vergogna.
Rimane nel carcere di Tempio Pausania,
vicino Cagliari, per un anno e Coriandoli
spenti, sulla cui copertina mancava soltanto l’etichetta in fase di realizzazione, non
verrà mai rilanciato, diventando, così, uno
di quei casi di dischi impossibili, venduto
solo all’asta. Dopo il periodo di detenzione,
torna a Roma e collabora all’incisione di
dischi di colleghi, come Herbert Pagani,
per l’album Megalopolis; Toto Torquati; il
gruppo rock progressivo Cheto & Co., dai
chiari riferimenti psichedelici, sotto l’influsso di Jimi Hendrix. Insieme alla sorella
Loredana è nei cori dell’album Per un
pugno di Samba, dell’artista brasiliano
Chico Buarque De Hollanda, inciso per la
casa discografica RCA, sotto la guida di
Ennio Morricone e del paroliere Sergio
Lasciata la Juke Box di Carlo Alberto Rossi,
suo primo discografico, Mimì è alla ricerca
di una nuova etichetta. E’ la Durium, con il
manager Mario Minasi, ad interessarsi inizialmente a lei, facendole incidere, il 1°
luglio 1966, il 45 giri Non sarà tardi, versione italiana, curata da Alberto Testa, dell’originale Call Me di Tony Hatch. Sul retro
è stato inciso un brano che si avvicinava
molto al suo frizzante stile iniziale, Quattro
Settimane, composto dall’ex cantante e
discjoker
radiofonico
Giancarlo
Guardabassi, che diventerà, poi, conduttore di programmi radio di successo. Gli
arrangiamenti sono di Puccio Rolens, ma il
45 giri non viene minimamente pubblicizzato e, per di più, nello stesso periodo , la
versione italiana del successo francese di
Hervè Vilard, Fais la rire, che Mimì aveva
già inciso, passa a Little Tony, rimanendo
uno dei suoi successi più significativi.
L’esperienza con l’etichetta milanese,
durata tre anni, non porta buoni risultati e,
nell’estate del ’69, la cantante viene scritturata dalla Esse Records, per la quale
incide un nuovo 45 giri, con i brani:
Coriandoli spenti e L’argomento dell’amore. Per l’occasione, inoltre, la casa discografica le fa realizzare anche un servizio
fotografico, che sarebbe dovuto servire
alla copertina del disco. Ma, proprio quan-
di Sandro Anselmi
Bardotti. Ma Mimì, spinta anche dalla
nuova aria proveniente dall’Inghilterra,
dove prendevano le mosse i primi passi di
un rock ispirato principalmente alla musica
sinfonica e, come già detto, alla psichedelica, sente il bisogno di scrollarsi di dosso
il passato di ragazzina yè-yè, essendo
ormai tramontato il beat. La prima mossa
per rompere col passato è cambiare il
nome, come le consiglia il suo nuovo
talent-scout Alberico Crocetta: Mimì viene
sostituito da Mia, oltre che per l’affinità del
primo con ilsecondo, probabilmente anche
come omaggio a Mia Farrow, e il cognome
diventa Martini, per analogia con uno dei
prodotti italiani più famosi all’estero.
Anche il look, ovviamente, ha bisogno di
essere stravolto e adattato alla sua nuova
identità: tra lo zingaresco e l’hippie, si
mostra, spesso, avvolta in grandi scialli
colorati. Così Mimì Bertè è diventata la più
nota Mia Martini.
continua sul prossimo numero...
Campo de’ fiori
Vita Cittadina
Civita
Castellana
20 Gennaio
Sagra dei
frittelloni
Civita Castellana 17 Gennaio - trasporto de “ ‘o puccio “ in
Piazza Matteotti
foto M. Topini
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Campo de’ fiori
8 Settembre 1943
Circa due anni fa ho perso mio padre, si
chiamava Mario Carofei ed era un uomo
schivo e delicato, eccezionale per bontà e
rispetto degli altri.
Con me, sua unica figlia, aveva stabilito un
rapporto di straordinario amore, tanto che
la sofferenza per la sua mancanza è ancora immensa.
Ho raccolto il suo ultimo respiro alle due di
notte del 17 Novembre del 2005, con lui
se n’è andata parte di me.
Aveva un rapporto di grandissimo amore
ed amicizia anche con mia figlia Simona,
sua unica nipote.
Partecipava sempre interessatissimo ai
successi di studio prima, e poi, dopo la
laurea, a quelli di lavoro. Guardava con
orgoglio la grinta con cui, questa giovane
donna, andava incontro alla vita. Mia figlia
ha affrontato la morte del suo adorato
nonno con dolore composto e maturo. A
distanza di poco tempo dalla morto di mio
padre, ho avuto l’occasione di curiosare
sul blog di Simona, vi ho trovato un ricordo struggente del nonno ed ho rivissuto il
loro legame stupendo, la stima, l’ammirazione ed il rispetto da cui erano legati e mi
sono commossa.
Lo propongo a tutti quelli che lo hanno
conosciuto e lo dedico a tutta la generazione di mio padre.
Grazie papà, grazie Simona.
Claudia Carofei.
Era la mattina dell’ 8 Settembre 1943,
compiva ventuno anni e, a Firenze, faceva
molto caldo.
Lui si occupava di cavalli, prestava servizio
presso una caserma del capoluogo fiorentino come artigliere. La faccia era ancora
da ragazzino, ma i sogni l’aveva messi da
parte tanto tempo prima, quando suo
padre era morto, lasciandolo capofamiglia
adolescente, con due fratelli più piccoli e
una madre da mantenere.
Vennero all’improvviso, lo disarmarono, gli
dissero che gli italiani avevano tradito
l’Alleato, che il Re era scappato, gli chiesero se accettasse di servire Salò e il Reich…
l’alternativa era il campo di prigionia in
Germania.
Aveva 21 anni, compiuti da poche ore,
troppo pochi per una decisione così grave.
Voi che avreste scelto? A che avreste pensato?
Disse: “No, vado prigioniero, col fascismo
no”. Con lui tanti giovani, la maggioranza.
Li caricarono su un treno con solo la divisa estiva che avevano addosso. L’ultima
cosa che vide fu la stazione Santa Maria
Novella, poi chiusero il vagone merci e il
treno partì. Ebbero fame, sete, freddo
durante il viaggio, sicuramente ebbero
paura.
A che pensò durante quell’interminabile
viaggio è facile intuirlo…
Riaprirono i vagoni ch’erano già in
Germania. Lo internarono in un campo di
prigionia, non di sterminio… Sottile differenza, tutt’altro che sostanziale, in realtà
là si moriva ugualmente, per freddo, per
fame, per il capriccio di un sorvegliante.
Era forza lavoro utile al Reich, lo impiegarono nella manutenzione della rete ferroviaria, in una fabbrica chimica, come aiuto
per i contadini nella raccolta delle patate…
faceva tanto freddo, non avevano di che
coprirsi, i pidocchi lo tormentavano.
I sorveglianti spesso ridevano di loro e li
offendevano: “Italiani, traditori!”… come
dar loro torto, in fin dei conti…
Il cibo era poco e di pessima qualità:
zuppa di bucce di patate nelle grandi occasioni e quel che riuscivano a rubare,
rischiando la vita. Un loro compagno era
stato freddato con un colpo di pistola, per
aver dissotterrato, in un campo, delle
patate marce, che voleva tenere per sé,
per mangiarle, perché quella brodaglia che
servivano ogni giorno faceva venire la dissenteria…
Eppure ci furono civili e militari tedeschi
che rischiarono la vita per dar loro, di
nascosto, del pane ed un bicchiere di latte, impietositi da questi
soldati ragazzini ridotti l’ombra
dell’essere umano che furono, che
magari ricordavano loro un figlio
lontano, un fratello disperso.
Passarono i mesi, tanti mesi, poi i
Liberatori iniziarono ad avvicinarsi, deprimendo il morale delle
truppe tedesche, che allentarono
la sorveglianza. Scappò con dei
compagni, a piedi, verso casa,
attraversando l’Europa in fiamme,
l’Italia allo sbando… si combatteva nelle campagne, si rischiava la
vita per un nulla. Ci furono ancora tante persone che lo aiutarono,
condividendo con lui quel poco a
disposizione.
Settimane di cammino per arrivare, un anno e mezzo dopo la sua
cattura, a bussare alla porta di
casa propri.
Gli aprì sua madre: “Chi cercate?”… non l’aveva riconosciuto.
Riuscite ad immaginare una
madre che non riconosce suo
figlio? “Mamma, sono io!”… riusci-
te ad immaginare le lacrime, la gioia, il
dolore, le parole?
Ha voluto lui che imparassi il tedesco, perché, pur nella sua condizione di contadino
di scarsa cultura, credeva nello scambio
culturale fra i popoli. Non aveva smesso di
credere nel valore del confronto e del dialogo. Raccontandomi le sue tribolazioni di
allora, non smise mai di ricordarmi della
contadina tedesca che rischiò la vita propria, e della sua famiglia, per dargli un bicchiere di latte, o del sorvegliante che
allentò la sorveglianza per permettergli di
rubare due patate.
Un giorno, qualche anno fa, lo scorsi silenzioso in lacrime davanti ad un documentario che mostrava le immagini della guerra.
Non credo si accorse di me, ma quel giorno capii che tutto l’affetto e tutto il bene
del mondo, non possono cancellare le
cicatrici che lascia una guerra.
E’ mancato lo scorso 17 Novembre 2005,
circondato dall’affetto della sua famiglia,
spero senza soffrire, senza accorgersene.
Porto spesso al polso il suo orologio e,
ogni volta che lo guardo, mi ritrovo a sperare di essere un giorno degna di quel
ragazzo che quell’8 Settembre fiorentino di
tanti anni fa, ebbe il fegato, o l’incoscienza, di dire no alla dittatura e alla guerra.
di Simona De Santis
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Campo de’ fiori
Ecologia e Ambiente
Il summit mondiale sul clima
di Giovanni Francola
Nel mese di Dicembre 2007, a Bali
(Indonesia), si è tenuta la 13ma conferenza internazionale sul clima, che ha visto
riuniti ben 190 paesi, con la partecipazione di 10.000 addetti ai lavori.
Si è aperta la conferenza con un “sì” storico, da parte dell’Australia, al Protocollo di
Kyoto, un “sì” di enorme valore politico per
il futuro.
La presenza dell’Australia a Bali ha ulteriormente isolato gli Stati Uniti, che rifiutano, ancora oggi, di firmare il trattato.
L’importanza della conferenza è nel fatto
che dovrà, in un qual modo, ridisegnare il
dopo della scadenza del Tattato di Kyoto,
fissata nel 2012.
Da parte dei Paesi sviluppati ci dovrà essere tutto l’impegno per ridurre drasticamente l’emissione di gas serra e, nello
stesso tempo, di non imporre sanzioni
contro Paesi in via di sviluppo, bensì di aiutarli nelle loro crescite sostenibili.
Non dimentichiamo che la maggior parte
di queste nazioni deve affrontare anche
tutti i problemi legati alla povertà.
Quindi si può tranquillamente dire che i
cambiamenti climatici sono la priorità del
futuro ma, a volte, la tempestività nell’affrontare le emergenze non basta, occorre
anche una agenda per le cose che bisogna
fare coinvolgendo maggiormente chi ha il
potere decisionale.
E’ anche vero che l’Unione Europea vuole
a tutti i costi target di stabilizzazione della
Co2 (anidride carbonica) per fermare l’aumento della temperatura a 2 gradi.
Dall’altra parte, gli Stati Uniti, non vogliono sottostare ad impegni vincolanti, come
se i problemi dell’atmosfera siano soltanto
di noi europei. Poi, per chiudere il cerchio,
ci sono la Cina e l’India, che rivendicano il
diritto allo sviluppo.
E’ presto quindi per dire quali effetti avrà
una conferenza così importante nel prossimo futuro, ma il fatto di essere consapevoli che occorrono ulteriori scelte condivise, e una maggiore adesione per tutto
quello che regola il nostro vivere quotidiano, è già un ottimo punto di partenza.
Nel frattempo l’Italia, da quando ha firmato il Trattato di Kyoto, ha fatto molto poco.
Infatti nel 2006 la Commissione Europea
ha notificato al nostro Paese la procedura
d’infrazione, violando l’articolo 8 dir 96/62
F 4/5, con una multa di 20 milioni di euro.
E questo è soltanto l’inizio…
Campo de’ fiori
NATI
MATRIMONI
Corchiano
Corchiano
19.09.2007 Mirko Oliverio
24.09.2007 Lorenzo Broglia
02.10.2007 Hiba Derram
01.12.2007 Rebecca Sberna
Domenico De Mattia/
Corona Dellepiaggi
Massimo Zannotti/
Cristina Evangelisti
53
DECEDUTI
Corchiano
18.10.2007 Guido Telli
18.10.2007 Stelian Stefan
11.11.2007 Antonio Santini
07.12.2007 Iolanda Bacchiocchi
Info Pubb.
0761.513117
54
Campo de’ fiori
Tantissimi auguri a Sua Eccellenza Mons.
Divo Zadi Vescovo, che il 25 Gennaio ha
compiuto gli anni, dal Direttore e dalla
redazione di Campo de’ fiori.
Tantissimi
auguri per un
felice anno
nuovo a Desirè,
Christian, e
Emma Lucrezia,
da Zia Romina e
Zio Enrico.
Auguri a Irmo Soli
che il 23 Gennaio ha
compiuto 85 anni,
dalla moglie, i figli,
i nipoti e da tutta
la redazione di
Campo de’ fiori.
Tanti auguri a Alessia e Sara
Corazza che hanno compiuto gli anni il
18 e il 23 Gennaio, dai genitori, i nonni
e gli zii Alex e Stefano.
O in grande o
niente!
Tanti auguri
Ciccia, intanto
baci e abbracci. Ciao bella
ciao…
Auguriamo un felice
compleanno a Beatrice
Centofanti che il 9
Gennaio ha compiuto 9
anni. Auguri da papà Gianni,
mamma Leonia, lello
Edoardo e i nonni.
Tanti auguri di buon
compleanno al P.F.
capo Fiorello Casale
di Gaeta che il 5
gennaio ha compiuto
gli anni. Un bacio
grande da
Massimiliano e
Maria Cristina.
Tantissimi auguri di
buon
compleanno ad
Azzurra De Angelis
di Corchiano, che il
26 gennaio ha
compiuto 1 anno,
dal papà Pierluigi
(Piggi) e la mamma
Assunta.
Campo de’ fiori
55
Il 9 Gennaio Giulia
Auguri a Franco
Lucchetti ha
Massaccesi e Lucia Manini
compiuto 1 anno…
di Civita Castellana che
… Tantissimi auguri
hanno festeggiato le loro di buon compleanno
splendide nozze d’oro il 5 all’angelo che da un
gennaio. Con tanto affetanno riempie le
to Daniele, Orietta,
nostre vite di amore
Renato, Daniela e i nipoti e sorrisi… Ti vogliaTiziana, Marco, Valerio,
mo un bene infinito
Matteo, Cristian,
… Le zie Marta & Marta..
Federico, Irene e Diego.
Tanti auguri al piccolo Gabriele
Focaracci, che il 5 Dicembre è
venuto al mondo per la gioia di
mamma Debora, papà Gianluca, i
nonni Patrizia e Carlo, i bisnonni, lo
zio Andrea e la zia Antonietta.
Un saluto a Sandro Frangioli
(primo a sinistra) di Sassacci,
valido tecnico di moto, dagli
amici della Guzzi e Ducati e in
particolare da Mario Mele.
Tanti auguri a Massimo Giove che il 19 Gennaio
ha compiuto gli anni, dai suoi nipotini Tony,
Stefania e Daniele, tanti auguri da Romina
e Roberto
Nonna Italia di Corchiano il
10 Gennaio ha compiuto
86 anni. Tanti auguri con
tanto affetto da tutta la
sua tribù.
Tanti auguri a Marcello
Clementi che ha compiuto
5 anni il 27 Gennaio, dai
nonni, dal papà Giuseppe e
dalla mamma Sonia.
56
Campo de’ fiori
Auguri a Maria
Francesca e
Lorenzo che a
Gennaio
compiono 8 anni.
Tanti auguri dai
genitori, i nonni,
Eleonora e
Francesco.
Auguri,auguri e
auguri!!!!
Uè 25anni e una
laurea a pieni
voti... non starai
correndo un po’
troppo…
dai aspettami!!!
un bacio,tvb!
Serena
Tanti
auguri di Buon
Compleanno a
Maria Maddalena
Dima che il 30
Dicembre ha
compiuto 17 anni.
La tua voglia di
vivere e i tuoi
sorrisi sono la
cosa più bella che
tu ci possa regalare, non smettere mai
di sognare e di sorridere… noi lo
faremo insieme a te! Da mamma e papà
per la nostra piccola.
Tanti auguri a
Federico
Bubboni che ha
compiuto 11 anni
il 17 Gennaio,
dai genitori, i
nonni e i suoi
adorati cagnolini
Birillo e Rocky.
Tanti Auguri a Viola Antonelli che
il 15 Febbraio compie 5 anni,
dalla mamma Gabriela, il papà
Claudio, la sorella Aurora, i nonni,
gli zii e i cugini.
Congratulazioni a Sara
Alessandrini che il 19
Dicembre si è
laureata, con merito,
in Ostetricia
presso l’Università La
Sapienza di Roma.
Tanti auguri per un prospero
futuro, da mamma, papà e gli
amici.
Tanti auguri
di Buon Compleanno
a Michaela e
alla piccola Elena,
i colleghi di lavoro.
Tantissimi auguri di
buon compleanno
a Laura Petrucci di
Civita Castellana
che il 20 Febbraio
compie 24 anni.
Infiniti baci dal fidanzato Stefano.
Campo de’ fiori
57
Tanti auguri a Mauro
Barduani che il 18
Dicembre si è l’aureato in
Economia finanziaria,
bancaria e assicurativa
all’Università di Lecce,
dalla famiglia, i parenti e
gli amici.
Tanti auguri a Cecilia
Anselmi che l’11
Febbraio compie gli
anni, dalla mamma, il
papà, il fratellino
Federico e tutta la
redazione di Campo
de’ fiori
Tanti auguri a Sara
Longo che ha compiuto
5 anni il 29 Gennaio,
dalla mamma, il papà, la
sorellina Martina, i
nonni, gli zii e i cuginetti Alice e Matteo.
Tantissimi auguri al
nostro
collaboratore
Alessandro Soli che
festeggia il compleanno
il 4 Febbraio, da tutta la
redazione di Campo de’
fiori
Auguri di Buon
Compleanno al nostro
collaboratore Angelo
Foglietta, da tutta la
redazione di Campo
de’ fiori
Tantissimi
auguri ad
Emanuel che
il 18 Febbraio
compie 15
anni, dalla
mamma, da
Serena, dalla
nonna, e dagli
zii e cugini
Tantissimi auguri al
nostro piccolo ometto
Leonardo che il 4
Febbraio compie 1
anno, da mamma Moira,
papà Felice, i nonni e
gli zii.
Luciana, la mia splendida
sorella festeggerà, il 24
febbraio, il proprio
compleanno.
I miei più affettuosi auguri e..
“ad maiora!”
Antonia
Tanti auguri alla
nostra
collaboratrice
Letizia Chilelli che ha
compiuto gli anni il 21
Gennaio, da tutta la
redazione di Campo de’
fiori
Tantissimi auguri alla
piccola Andrea Celeste De Santis che il 20 febbraio
compirà 2 anni. Auguri da mamma Sara, papà
Massimo, dalle bisnonne, dai nonni, dagli zii.
Ti vogliamo benen sei la nostra stella!!!
58
Campo de’ fiori
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Campo de’ fiori
SABRINA SALVATORI E
CIVITA CASTELLANA
di Enea Cisbani
SABRINA SALVATORI, ex allieva dell’Istituto d’Arte, grafica-designer e pittrice
nasce a Civita Castellana nel 1973.
Nel 1987 si iscrive ai Corsi della Scuola
d’Arte Ceramica, dove nel 1990, giovane e
brillante allieva, vince il primo premio di
decori per piatti promosso dalla Ceramica
“Saturnia” in collaborazione con l’Istituto
d’Arte e riservato agli iscritti della scuola.
Nel periodo 1991-1992 consegue, dapprima il diploma di maestro d’arte ceramica
e, successivamente, il diploma di maturità
d’arte applicata.
E’ laureanda in Ingegneria Edile presso
l’Università degli Studi di Roma “La
Sapienza”, sede distaccata di Rieti.
Attualmente insegna Discipline Pittoriche
presso la Scuola Comunale di Disegno, istituita nel 2002 dall’Assessorato ai Servizi
Sociali del Comune di Ronciglione e rivolta
a quanti vogliano approfondire o conosce-
re i fondamenti del disegno, nella corretta
rappresentazione dei rapporti geometrici e
proporzionali della figura umana e del paesaggio.
Non soltanto la padronanza del disegno a
mano libera, ma anche l’utilizzo dei
moderni programmi informatici per la
visualizzazione grafica al computer in due
e tre dimensioni, caratterizzano il brillante
curriculum professionale di Sabrina
Salvatori.
E’ la titolare, insieme con Dario Salvatori,
di una avviata Bottega d’Arte dedita alla
progettazione e realizzazione di “TROMPEL’OEIL”, ovvero pitture parietali per interni
e spazi pubblici, tecnica pittorica nata nel
XVIII secolo in Francia e successivamente
diffusasi nel resto d’Europa e anche, seppur faticosamente, in Italia e paragonabile
alla tecnica dell’affresco e dell’encausto.
Si tratta di pitture parietali di vaste dimensioni che rappresentano
scorci urbani ed architettonici, nonché paesaggi naturali, che presuppongono
nell’operatore approfondite
conoscenze della tecnica di
rappresentazione prospettica e dei relativi teoremi
geometrici.
La tecnica utilizzata dall’artista civitonica Salvatori, è
alquanto singolare: studio
dal vero del paesaggio
urbano e naturale, elaborazione in rigorose proiezione
ortogonali della spazio
oggetto di rappresentazione, e restituzione prospettica precisa e puntuale
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a pagamento per ditte o società- Tel. Fax 0761.513117
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secondo il metodo “Traccia/Fuga” dell’oggetto attraverso la chiara definizione del
punto di vista e del quadro prospettico,
per una ottimale rappresentazione prospettica.
Le numerose pitture realizzate dallo Studio
per spazi pubblici e privati, riguardano
paesaggi e scorci architettonici dove si
rivela il sapiente uso del colore e della tecnica prospettica di chiara e netta derivazione rinascimentale.
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La rubrica
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cavaliere, alla vigilia del giorno del giuramento, trascorreva tutta la notte
in raccoglimento e preghiera in una cappella e vestito di bianco
Farmacie Civita Castellana aperte nei giorni festivi di Febbraio 2008
03 Febbraio - Farmacia Municipalizzata Via Santa Felicissima
10 Febbraio - Farmacia Filizzola Corso Bruno Buozzi
17 Febbraio - Farmacia Municipalizzata Via Ferretti - Farmacia Versace di Sassacci
24 Febbraio - Farmacia Municipalizzata Via Santa Felicissima
Farmacie Corchiano e Fabrica aperte nei giorni festivi di Febbraio 2008
10 Febbaio - Farmacia Liberati di Fabrica di Roma
17 Febbraio - Farmacia Sangiorgi di Corchiano
Benzinai Civita Castellana aperti nei giorni festivi di Febbraio 2008
03 Febbraio - Esso Via Flaminia - Api Via Corchiano
10 Febbraio - Tamoil Via Flaminia - IP Variante Nepesina - Total Via Terni
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Campo de’ fiori
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Nel cuore
Nel mese di Gennaio è venuto a mancare il papà di Teresa, Nazzareno e Giuseppe e
Ferdinando Gagliardi, padre di Giampiero.
Un forte abbraccio dagli amici speciali e da tutta la redazione di Campo de’ fiori.
Campo de’ fiori seleziona ragazzi/e da inserire nel
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