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Se America e Russia tornano nemiche
DIARIO MARTEDÌ 2 SETTEMBRE 2008 DI REPUBBLICA ■ 36 Lo scontro tra le due superpotenze sembra rievocare i fantasmi della Cortina di ferro. Ma molte cose sulla scena internazionale sono mutate al punto che la stabilità mondiale è sempre a rischio ILGRANDE FREDDO Se America e Russia tornano nemiche LIBRI SANDRO VIOLA JOHN LEWIS GADDIS orme di russofobia circolano da molto tempo, in Occidente. Cominciarono a diffondersi nei tre o quattro decenni tra la fine delle guerre napoleoniche e la sconfitta russa nella guerra di Crimea, quando la Russia fu la maggiore potenza continentale tra le grandi nazioni d’allora. E divamparono più tardi, dopo il 1917, quando la rivoluzione bolscevica divenne lo spauracchio dell’ordine economico-sociale in tutta Europa. Per non parlare del quarantennio successivo al secondo conflitto mondiale, quando il confronto tra Est e Ovest, tra l’Alleanza atlantica e lo schieramento comunista del Patto di Varsavia, produsse per tutto il periodo della Guerra fredda il rischio (in un paio d’occasioni non tanto vago) dell’olocausto nucleare. Dev’essere anche per questo, per ragionare senza le remore d’una paura della Russia, che parecchi commentatori politici tendono adesso a giustificare la condotta di Vladimir Putin nella breve guerra del Caucaso: convinti che la durezza delle reprimende occidentali contro il regime moscovita scaturisca anche stavolta dall’antica, immarcescibile russofobia euroamericana. E a dire la verità, questi commentatori hanno una parte di ragione. Perché è vero che i governi e soprattutto i media occidentali hanno tuonato e ancora tuonano contro la Russia, come se il presidente georgiano Mickeil Saakashvili non fosse il maggiore e più diretto responsabile della guerra nel Caucaso. Come se a metter mano ai cannoni fossero stati per primi i russi. Il bollente Saakashvili è caduto in una trappola, Putin non aspettava altro che una mossa sbagliata del georgiano per scatenare le truppe corazzate russe sulle montagne del Nord Ossezia e poi nella stessa Georgia? Questo è possibile. Ma quando si valuta l’origine d’un conflitto armato, onestà vuole che non si possa prescindere dalle responsabilità di chi ha aperto il fuoco per primo. Ciò che i governanti e il giornalismo euro-americani non hanno fatto, puntando invece il loro dito accusatore quasi soltanto sul fulmineo e devastante contrattacco russo. La russofobia è infatti cambiata, non è più quella dell’Ottocento. Non adopera il linguaggio d’un Michelet, che parlava della Russia come d’un «mondo senza legge che rifugge ogni progresso, tende anzi alla regressione verso l’antica barbarie, e mira a sconvolgere la moderna civiltà occidentale». Né parla più come Friedrich Engels, convinto che i russi fossero guidati da una forza cieca tesa a rendere il loro paese sempre «più vasto, potente e temuto». La russofobia del momento si limita a leggere gli eventi degli ultimi anni senza mai tener conto degli errori che l’Occidente, e in particolare i governi di Washington, hanno compiuto nei confronti della Russia dal crollo del comunismo sino ad oggi. Ignorando cioè che l’irruenza dell’attuale regime moscovita, le continue spallate che esso sta dando sulla scena internazionale per riprendersi lo spazio La guerra fredda Mondadori 2008 ROBERTO VALLE La Russia e l’Eurasia. Geopolitica, iconografia e istoriosofia del Great Game e del New Great Game Nuova Arnica 2008 ROGER BARTLETT Storia della Russia Mondadori 2007 STANISLAV JEANNESSON La guerra fredda Donzelli 2007 FRANCES STONOR SAUNDERS Guerra fredda culturale Fazi 2007 WARREN I. COHEN Gli errori dell’impero americano Salerno 2007 FRANCIS FUKUYAMA America al bivio Lindau 2006 BRUNO BONGIOVANNI Storia della guerra fredda Laterza 2005 RALF DAHRENDORF La società riaperta Laterza 2005 ANDRÉ FONTAINE La guerra fredda Piemme 2005 F Berlino 1961: l’insegna che indica il confine del settore americano Analisi parziali Un regime chiuso La russofobia di oggi non tiene conto degli errori che l’Occidente ha compiuto verso Mosca dopo il crollo del comunismo La politica di Putin si distingue per una sprezzante indifferenza verso ogni critica che venga dal di fuori dei confini russi che l’Urss aveva occupato per un quarantennio, sono in parte — anche se soltanto in parte — una risposta all’arroganza dei vincitori della Guerra fredda, un balsamo per le umiliazioni imposte alla Russia dagli americani e dai loro alleati. Ma detto questo, riconosciute a Putin alcune delle ragioni che lo hanno portato a reagire sfidando apertamente, come ha fatto in questi giorni, l’America e gli europei, resta che la Russia è «altro». Qui non si parla, sia chiaro, di cultura: delle due famose tendenze che in Russia hanno sempre diviso l’intelligencija tra slavofili e occidentalisti, quelli che volevano conservare l’unicità russa e quelli che aspiravano a far parte dei valori e della cultura occidentali. Qui si parla dei rapporti politici col mondo. E in quest’am- bito la Russia è storicamente un paese “diverso”: che non s’adegua all’ordine e alle regole internazionali, restio a integrarsi negli assetti mondiali, e anzi con un’oscura vocazione all’isolamento. C’è una frase pronunciata giorni fa da Dmitrij Medvedev, il clone di Putin, che va tenuta a mente: «Se gli occidentali romperanno qualsiasi forma di collaborazione con la Russia, poco male. Noi siamo pronti a fronteggiare ogni eventuale loro decisione, fosse pure una totale interruzione dei rapporti». E la frase ha ancora più significato, se la si mette a fianco della frase scandita all’inizio degli anni Sessanta dell’Ottocento dal principe Aleksandr Gorciakov, ministro degli Esteri di Alessandro II, che stracciò i trattati del dopo-Crimea e riportò la flotta russa nel Mar Nero da cui gli alleati SILLABARIO IL GRANDE FREDDO TZVETAN TODOROV a guerra fredda, che all’indomani della seconda guerra mondiale ha opposto democrazie e totalitarismo, è dunque terminata con la disfatta incondizionata di uno dei belligeranti, il regime comunista. Questa disfatta non è avvenuta per un intervento esterno, come per la Germania nazista, ma dal crollo del sistema totalitario stesso (…). Il crollo del regime comunista non ha tuttavia portato, alle popolazioni dell’Europa dell’Est e della vecchia Unione Sovietica, la felicità attesa. Poiché il potere del partito si era sostituito all’autorità dello stato, la caduta dell’uno ha rivelato la scomparsa anteriore dell’altro; ora, l’assenza di stato è ancor peggio di uno stato ingiusto, perché essa lascia il campo libero al puro confronto delle forze brute, cioè a un’ascesa spaventosa della criminalità. L l’avevano bandita: «La Russie», disse il principe in francese, la lingua della diplomazia d’allora, «ne bouge pas. Elle se recueille». Volendo dire che la Russia non risponde alle proteste esterne, le ignora, e si chiude in sè stessa. Bene: se diamo un’occhiata alla condotta della Russia di Putin negli ultimi anni, è questo che vediamo. Una sprezzante indifferenza verso ogni critica o riserva che venga dal di fuori dei confini russi (quanto alle critiche dall’interno, ci pensa la polizia). Quale altro paese avrebbe infatti costruito un regime con qualche centinaio di ex agenti segreti senza neppure tentare un camuffamento, allestire una facciata appena decente, lasciando che il regime appaia alla luce del sole per quello che è: tutto il potere al Kgb? In quale paese sensibile alle obbiezioni della comunità internazionale gli ex Kgb avrebbero potuto amministrare direttamente, senza interposte persone, la ricchezza energetica russa, liberi di trasferirne una parte sui loro conti bancari all’estero? Dove, per fare un altro esempio, potrebbero svolgersi elezioni insieme risibili e vergognose come quelle che Putin ha congegnato così da perpetuare il suo regime? E dove l’assassinio degli oppositori (Politvoskaja, Livtinjenko) resterebbe dopo anni ancora avvolto nel mistero mistero, insabbiato, insoluto? In questi interrogativi non c’è russofobia. Essi servono a capire che la Russia è appunto “diversa”. Che ha solo un piede, mai tutti e due, nella comunità delle nazioni. Che è ancora per molti versi premoderna, nel senso che i settant’anni di comunismo ne hanno congelato l’evoluzione. Solo che adesso è più ambigua di quanto non fosse quando si chiamava Urss. Molti gerarchi del regime devono aver masticato amaro, infatti, quando Medvedev ha detto che la Russia è pronta ad affrontare un’interruzione dei rapporti con l’America e l’Europa. Perché è vero che anche l’Urss aveva ridotto al solo controllo degli armamenti o quasi, i rapporti con l’Occidente: ma Stalin, Breznev, Suslov, Gromyko non avevano ville sul lago Lémano o sulla Costa Azzurra. Non avevano depositi nelle banche americane, arabe, europee. Almeno sul piano personale, quindi, l’isolamento non li spaventava. Ma per gli ex Kgb, il gruppo detto nel mondo della finanza internazionale la Kremlin Inc., è diverso. Rompere con l’Occidente non potrebbe comportare il rischio di vedersi prima congelare e poi forse espropriare, la ricchezza accumulata in questi anni? Così, se è comprensibile che si voglia mettere in risalto la serie degli errori americani che avrebbero provocato il risentimento russo, e dunque la prova di forza nella guerra d’agosto, è necessario non dimenticare la natura del regime che ha oggi il potere in Russia. Questo regime, dice Lilia Shevtsova, autrice di due ottimi libri su Putin, non potrebbe sopravvivere senza far credere ai russi che la patria è una fortezza assediata. Senza agitare lo spettro d’un nemico alle porte. Non si tratta quindi di Ossezia del Sud, Abkhazia, Georgia. La guerra e il suo seguito dovevano servire principalmente alla stabilità del regime. Gli autori IL SILLABARIO di Tzvetan Todorov è tratto da Memoria del male, tentazione del bene, pubblicato da Garzanti. Vladimir Bukovskij, scrittore ed ex dissidente sovietico, è autore, tra gli altri, de Il convoglio d’oro e de La mentalità comunista pubblicati da Spirali. I Diari online TUTTI i numeri del “Diario” di Repubblica sono consultabili su www.repubblica.it, cliccando dalla homepage sul menu Supplementi. Qui i lettori troveranno tutte le uscite dell’inserto con le pagine comprensive delle illustrazioni. Repubblica Nazionale Ryszard Kapuscinski Eric J. Hobsbawm Anna Politkovskaja L’Occidente è sempre pronto a venire in aiuto alla Russia, se non altro per assicurarsi la pace Non può esserci alcun ritorno al mondo precedente la Guerra fredda, perché troppo è cambiato Vorrei davvero che i nostri figli potessero essere liberi… Per questo invoco il disgelo Imperium, 1993 Il secolo breve, 1994 La Russia di Putin, 2005 ■ 37 YALTA GUERRA FREDDA IL MURO E L’URSS NUOVE TENSIONI OGGI Nel febbraio 1945 nella conferenza di Yalta, Stalin, Churchill e Roosevelt decidono l’equilibrio postbellico dell’Europa. Nel ’46 Churchill parla di una “cortina di ferro” tra Est e Ovest L’espressione è stata introdotta nel ’47 da Bernard Baruch e Walter Lippmann. Il presidente Truman lanciò la dottrina del “containment” allo scopo di frenare l’espansionismo dell’Urss Nel 1989 con l’abbattimento del muro di Berlino, costruito nel 1961, crolla il simbolo della divisione tra Est e Ovest. Nel 1991 con la fine dell’Urss l’era della guerra fredda sembra archiviata L’apertura filooccidentale delle “rivoluzioni colorate”, in Georgia (2003), in Ucraina (2004), in Kirghizistan (2005) ha l’effetto di creare nuove tensioni nei rapporti tra Russia e Occidente Dopo il riconoscimento da parte di Mosca dell’indipendenza di Ossezia del Sud e Abkhazia, in Georgia, si teme una nuova guerra fredda tra Russia e Stati Uniti Le tappe Cosa è cambiato con la fine dei blocchi Intervista a Vladimir Bukovskij ORA IL MONDO MEGLIO BREZNEV NAVIGA A VISTA DI QUESTO PUTIN LUCIO CARACCIOLO PIETRO DEL RE ignori, ho chiesto di incontrarvi questa sera senza che fossero presenti i vostri più stretti collaboratori per sottoporvi in estrema confidenza gli orientamenti della mia nazione sui gravi problemi che attualmente dobbiamo affrontare». Così alla Casa Bianca, il 3 aprile 1949, alla vigilia del battesimo del Patto atlantico, il presidente americano Harry Truman confidenzialmente comunicava agli alleati che cosa fosse la guerra fredda. Ad ascoltarlo, con deferenza e poca voglia di obiettare, i ministri degli Esteri atlantici, tra cui il nostro Carlo Sforza. Per Truman il problema non era tanto «lo schiacciante potenziale militare dell’Urss», ma «la minaccia del comunismo in quanto idea». Quindi l’Occidente doveva prima contenere l’espansionismo sovietico, poi, da una «sicura posizione di forza», «rimuovere nel mondo non sovietico le cause delle controversie economiche e sociali su cui il comunismo prospera» e insieme «creare attive contromisure che minino la base della potenza sovietica». Uno scontro strategico da vincere con le armi della politica e dell’economia, senza rischiare la guerra con il colosso sovietico. L’accento cadeva sul soft power. Per questo era necessaria la solidarietà di tutti gli alleati, «perché solamente dall’azione congiunta si può sperare di ottenere lo scopo che ci è comune, senza pagare uno scotto schiacciante che alla fine potrebbe spingerci ad adottare misure di stampo totalitario». MOSCA vero, i venti che soffiano in questi giorni ricordano quelli della prima Guerra fredda. Tuttavia, fino alla caduta del Muro di Berlino c’era una netta contrapposizione tra due mondi: quello comunista e totalitario da una parte, quello liberale e democratico dall’altra. Oggi, invece, dietro alle ambizioni del Cremlino c’è soltanto uno spirito revanscista che vorrebbe far tornare la Russia alla grandezza imperiale di un tempo». Così la vede Vladimir Bukovskij, lo scrittore ed ex dissidente sovietico che, nel 1976, dopo undici anni di prigionia negli ospedali psichiatrici, fu scambiato con l’allora leader comunista cileno Luis Corvalán, a sua volta detenuto nelle carceri di Pinochet. Se non ci sono più differenze ideologiche, qual è allora la natura della contrapposizione in gioco? «Anche se è cominciato con la guerra in Georgia, l’attuale conflitto non si misura sul potenziale militare dei due blocchi. Del resto, sono certo che né la Russia né la Nato siano oggi capaci di fare una Terza guerra mondiale. Quello in atto lo definirei piuttosto uno scontro economico, energetico, centrato sulle rispettive riserve di idrocarburi. È per questo motivo che la Russia si sente così forte e continua a provocare stupidamente l’Occidente». Oltre all’ovvio deterrente nucleare, che cosa potrebbe impedire alla Guerra fredda di diventare calda? «I soldi. Tutti gli esponenti della classe dirigente russa tengono i loro risparmi nelle banche inglesi o americane, le loro mogli preferiscono abitare in Svizzera o in Costa Azzurra, i loro figli stu- Uno scenario senza regole Questo mondo è molto più anarchico di sessant’anni fa. Dieci anni fa qualcuno pensava che fossimo passati dai due padroni al padrone unico. Ma nessuno può governare il mondo Manicomi Parla lo scrittore che per la sua dissidenza contro il regime sovietico fu imprigionato e chiuso in manicomio fino allo “scambio” con il leader comunista cileno Corválan «S IL PONTE GLIENICKER Il ponte tra le due Germanie dove avveniva lo scambio di spie in piena Guerra fredda; sotto, un manifesto di propaganda comunista antiamericana In poche frasi Truman tratteggiva l’essenza della guerra fredda. Dove il fattore decisivo non era la tensione permanente fra le due superpotenze rivali, ma l’uso che di questa tensione Washington e Mosca facevano per compattare i rispettivi blocchi. E per tenere sotto controllo i partner più riottosi. Non era facile per britannici e francesi, ma anche belgi e olandesi, rinunciare ai loro imperi per sottostare alla tutela americana. Per Parigi, poi, che aveva subìto tre invasioni tedesche in sessant’anni, digerire il graduale inserimento della Germania occidentale – e ancora più di quella unificata, dopo il 1990 – nelle strutture atlantiche, era quasi anatema. Eppure la forza maggiore – le devastazioni belliche e la percezione della minaccia sovietica – convinsero gli europei occidentali, chi più chi meno spontaneamente, ad aderire all’appello di Truman. Sul fronte opposto, con metodi molto più hard, Stalin otteneva lo stesso, cementando intorno a Mosca un vasto impero esterno, che si spingeva fino a mezza Berlino. Oggi qualcuno in Occidente sostiene che l’Urss sia tornata, travestita da Federazione Russa. E che Putin sia un emulo di Stalin. Specularmente, in Russia molti – quasi tutti – sono convinti che l’America sia di nuovo il Nemico, dopo le illusioni dei primi anni Novanta. Dunque vivremmo una seconda guerra fredda. Facile obiettare che la storia non si ripete, e che gli slogan servono alla propaganda, meno all’analisi. Di più: anche accettando per amore dell’argomento che la Russia sia una nuova Urss, pur rimpicciolita, e che l’America abbia in testa solo di liquidare Mosca, mancano gli ingredienti fondamentali della guerra fredda. A cominciare dai blocchi. Dopo otto anni di Clinton e altrettanti di Bush, il blocco atlantico esiste solo sulla carta. Anzi, si è allargato fino a includere molti ex satelliti di Mosca e persino le repubbliche baltiche già annesse da Stalin, ma anche per questo non è più un blocco. Semmai, un multicolore raduno di tribù variopinte, ognuna per sé e nessuna per tutte. Quanto a Putin, il fu Patto di Varsavia è oggi la punta di lancia dello schieramento più antirusso (antisovietico?) della Nato. Intorno a Mosca, per ora, nessun alleato sicuro, solo partner occasionali interessati a cavalcare per propri scopi la tensione russo-americana. Questo mondo è molto più anarchico di sessant’anni fa. Sicuramente più interessante, ricco di nuovi/vecchi protagonisti (Cina) o di aspiranti tali (India, Brasile). Stracarico di promesse quanto di potenziali se non già effettive minacce. Dieci anni fa qualcuno pensava che fossimo passati dai due padroni al padrone unico. Impossibile. Nessuno, nemmeno l’America al suo apice, può governare il mondo. E adesso che i padroni vengono al massimo percepiti come padrini, tutto diventa possibile. Financo che la Georgia sfidi la Russia. E che Putin ne approfitti per vendicarsi delle umiliazioni subìte. Dopo la guerra fredda, in Georgia è finito il dopo-guerra fredda. Tutti navighiamo a vista. Come il Titanic. «È diano nelle università di Parigi o Berlino. Si tratta indubbiamente di un’élite schizofrenica, che vuole rompere con l’Occidente pur continuando a godere dei beni che offre la società occidentale». Fin dove si può spingere Putin col ricatto del petrolio? «L’arma energetica può essere davvero devastante. Provi solo a immaginare come avrebbero potuto usarla Stalin, Krusciov o Breznev. Per l’Europa sarebbero stati guai. Ma è anche un’arma evanescente. Sappiamo che in Russia i ritmi di estrazione del petrolio stanno calando così come, prima o poi, scenderà il prezzo del petrolio. Questi futuri cambiamenti si ripercuoteranno sulla stabilità della Russia, che oggi appare perciò un paese dal futuro estremamente incerto». Nel comportamento di Medvedev e Putin riesce a percepire automatismi di stampo sovietico? «La loro isteria mi fa piuttosto pensare a Hitler. Al contrario, i leader dell’era sovietica mostravano più apatia ma più buon senso. Era ubriachi di ideologia, ma riuscivano a mantenere un comportamento equilibrato». Putin come Hitler: non le sembra un paragone eccessivo? «Il premier russo è un uomo molto irritabile, molto nervoso e molto complessato. Mi riferisco ai suoi complessi di inferiorità, gli stessi di Hitler. Poi, come il capo del Terzo reich che non la smetteva di lamentarsi del fatto che la Germania era stata umiliata, Putin ripete fino alla noia che la Russia è stata offesa e che l’Occidente non ne rispetta la dignità». Alla luce di quelli che sono stati i rapporti tra Urss e Occidente nel secolo scorso, le sembrava prevedibile arrivare in poche settimane a una situazione così compromessa? «Per i leader il Cremlino era chiaro sin dagli anni Sessanta che l’Unione Sovietica sarebbe crollata. Non sapevamo quando, né potevano prevedere l’ora esatta, ma era qualcosa che davano per scontato. Quelli che sono oggi al potere sembrano invece navigare a vista per quanto riguarda il futuro del paese. E quando sulla loro rotta incontrano un ostacolo cominciano a parlare di complotti, tradimenti, attività sovversive. Il che è caratteristico della mentalità paranoica dei servizi segreti». Si direbbe che lei preferisca i dittatori sovietici agli attuali dirigenti del Cremlino. «Putin e la sua cerchia mi sembrano a volte più pericolosi dei gerontocrati di una volta, i quali prima di agire erano abituati a riflettere. Detto ciò, hanno anche loro commesso errori madornali». Come quando invasero l’Afghanistan? «Sì. Ma allora si resero conto di aver fatto un errore. Mi è capitato di leggere i protocolli delle riunioni del Politburo in cui si discuteva se mandare o meno le truppe in Afghanistan. Il dibattito durò un anno intero, con persone che dicevano: “Perché mai dobbiamo entrare in Afghanistan? Cosa diranno gli altri? Ci accuseranno di essere degli invasori. A che pro?”. Oggi è un altro paio di maniche. La logica di attaccare la Georgia somiglia a quella dei monelli del cortile che dicono: “Adesso gliela facciamo vedere noi a quei bastardi che ci hanno picchiato”. Una logica idiota, da teppaglia». LIBRI ANNA POLITKOVSKAJA La Russia di Putin Adelphi 2005 PETER HOPKIRK Il grande gioco Adelphi 2004 HENRY KISSINGER L’arte della diplomazia Sperling Paperback 2004 KARL E. MEYER La polvere dell’impero Corbaccio 2004 ROBERT KAGAN Paradiso e potere Mondadori 2003 SAMUEL HUNTINGTON Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale Garzanti 2000 JOSEPH SMITH La guerra fredda (1945-1991) il Mulino 2000 JOST DÜLFFER Yalta, 4 febbraio 1945. Dalla guerra mondiale alla guerra fredda Il Mulino 1999 ZBIGNIEW BRZEZINSKI La grande scacchiera Longanesi 1998 NOAM CHOMSKY I cortili dello zio Sam Gamberetti 1995 Repubblica Nazionale