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Cicatrizzazione e guarigione

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Cicatrizzazione e guarigione
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Cicatrizzazione e guarigione
Autori:
Diego Ribuffo, Professore associato, Cattedra di Chirurgia Plastica - Università di Cagliari,
Azienda Policlinico Universitario.
Introduzione
Non a tutti medici, ed in particolare non a tutti i chirurghi è chiaro che le ferite e le loro
complicanze possono a volte mettere a repentaglio la vita del paziente, ne possono compromettere
la funzione e quasi sempre ne compromettono l'estetica.
La capacità di guarigione delle ferite, mediante la formazione di tessuto cicatriziale, è essenziale
alla sopravvivenza di tutte le specie evolute. Molto è cambiato da quando si riteneva che la
cicatrizzazione ed in genere la guarigione delle ferite fossero processi non modificabili dall'uomo: è
oggi possibile per il medico intervenire attivamente in alcune delle ferite croniche, sia dal punto di
vista genetico sia con somministrazione di sostanze contenenti fattori di crescita, oggi disponibili in
commercio. E' possibile che nel futuro prodotti nuovi e ben testati potranno essere utili in ognuna
delle fasi della cicatrizzazione.
Al momento, un atteggiamento conservativo, passivo e non interventista è ancora il "gold standard"
nelle ferite acute in pazienti sani, anche se è ormai chiaro in quale direzione debbano prodursi gli
sforzi dei ricercatori nei prossimi anni.
La ricerca sulle miriadi di eventi molecolari che sono interessati nella guarigione delle ferite sta
andando avanti a grande velocità, ed è perciò auspicabile che ogni medico possa mantenere una
familiarità di base con questi prodotti e con la terminologia ad essi associata.
Cenni storici
I meccanismi della guarigione delle ferite hanno interessato i medici sin dall’antichità. Gli scritti più
antichi ne trattavano diffusamente, e va ricordato come 7 su 48 casi clinici del Papiro di Smith
(1700 AC) trattassero appunto di questo tema.
I medici dell’antichità (egiziani, greci, indiani ed europei) avevano già intuito l’importanza della
detersione delle ferite, della rimozione dei corpi estranei, della sutura dei margini e della protezione
delle ferite con materiali e fasciature pulite.
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Con l’invenzione della polvere da sparo e le conseguenti frequenti ferite d’arma da fuoco, però, una
nuova filosofia di trattamento delle ferite emerse, non più solo basata sull’attesa della guarigione
naturale: per i seguenti 250 anni, i chirurghi trattarono aggressivamente le ferite con elementi quali
l’olio bollente, la cauterizzazione, l’acqua calda. I risultati disastrosi di un tale approccio furono
compresi appieno solo nella metà del 1500, quando il chirurgo francese Ambroise Parè riscoprì
casualmente l’importanza del trattamento non aggressivo per le ferite. Infatti, durante la battaglia di
Villaine, l’esaurimento dell’olio bollente obbligò lo stesso Parè ad utilizzare medicazioni non
aggressive. Con sua grande sorpresa, i monconi d’amputazione guarirono ben più velocemente e
senza gravi complicanze.
Per più di tre secoli dalle osservazioni di Parè, il progresso scientifico sul processo di guarigione
delle ferite si limitò agli esperimenti di John Hunter sulla contrazione della ferita, sugli scritti di
Alexis Carrel a proposito del trapianto d’organi e sugli scritti di Joseph Lister sull’infezione. E’ solo
nel XX secolo che questo affascinante capitolo inizia a svilupparsi.
Fisiopatologia
Le Fasi della Guarigione delle Ferite
Howes, Sooy e Harvey in un famoso lavoro notarono che la forza tensile di una ferita iniziava ad
aumentare dopo un periodo apparentemente quiescente di 4-5 giorni. Da qui partirono le
osservazioni per la classica descrizione delle tre fasi nella guarigione delle ferite:
infiammazione
fibroplasia
maturazione
Fase infiammatoria
La sequenza degli eventi ha inizio con uno stimolo all’infiammazione che evoca una risposta
infiammatoria aspecifica. Lo stimolo può essere un danno fisico, una risposta antigene-anticorpo,
od una infezione. L’infiammazione è una risposta cellulare e vascolare che serve a richiamare gli
elementi atti alla detersione della ferita stessa dal tessuto devitalizzato e dai corpi estranei. Le prime
modifiche sono vascolari. Dopo il danno si ha un periodo transitorio di 10-15 minuti di
vasocostrizione, che ha lo scopo di aiutare il fenomeno dell’emostasi nell’area interessata. In
seguito inizia una fase di vasodilatazione in cui viene richiamato sangue dalle zone vicine. Le pareti
dei vasi divengono permeabili, e i leucociti ivi addensatisi iniziano a migrare al di fuori per il
processo di detersione. La maggior parte degli studiosi ritiene che l’istamina sia responsabile tanto
della vasodilatazione iniziale, che del successivo aumento di permeabilità. I fattori emostatici
rilasciati dalle piastrine, le varie chinine, i componenti del complemento ed il sistema delle
prostaglandine partecipano tutti nell’invio di segnali di controllo cellulari per iniziare la fase
infiammatoria.
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Ad un altro livello la fibronectina, un fondamentale componente del tessuto di granulazione, sembra
promuovere l’adesione e la migrazione dei neutrofili, dei monociti, dei fibroblasti e delle cellule
endoteliali nella regione interessata dalla ferita. La fibronectina è abbondante nelle prime 24-48 ore
dal danno, per poi scomparire gradualmente una volta che la sintesi proteica e la flogosi cronica
divengono predominanti. La risposta infiammatoria dei tessuti è poi mediata da sostanze locali
all’interno della ferita.
Il ruolo preciso rivestito dalle diverse cellule dell’infiammazione rimane oscuro. Tanto i leucociti
polimorfonucleati che i monociti migrano all’interno della ferita in quantità direttamente
proporzionali alle concentrazioni circolanti. Benché l’iniziale essudato della ferita contenga
soprattutto polimorfonucleati, all’interno della ferita stessa essi hanno una minor emivita rispetto ai
monucleati, cosicché quando vi è una flogosi prolungata, l’essudato diviene prevalentemente
composto da monociti.
Alcuni studi condotti utilizzando sieri anticellulari hanno evidenziato come il processo di
cicatrizzazione possa procedere normalmente in assenza di polimorfonucleati e linfociti, ma che i
monociti debbano essere presenti affinché si scateni la produzione di fibroblasti e la conseguente
invasione dello spazio della ferita. Ovviamente, nell’iniziale essudato sono presenti frammenti
cellulari, corpi estranei, enzimi proteolitici e collagenolitici.
Fase proliferativa e fibroblastica
A partire dal secondo o terzo giorno dall’evento traumatico, i fibroblasti iniziano ad infiltrare l’area
interessata, lungo il reticolo di fibrina costituitosi durante la fase dell’emostasi. E’ allora che i
fibroblasti iniziano la produzione di svariate sostanze essenziali alla riparazione della ferita, dai
glicosaminoglicani alle fibrille di collagene. I primi sono costituiti da unità di disaccaridi uniti ad un
nucleo proteico. L’acido ialuronico è sintetizzato per primo, e poi è la volta del condroitin-4-solfato,
del dermatansolfato, e dell’eparinsolfato. Non appena secreti dai fibroblasti, essi sono idratati sino a
formare un gel amorfo che ha un ruolo importantissimo nella susseguente aggregazione delle fibre
collagene. La conversione del tropocollagene nelle fibrille di collagene è mediata dall’azione di due
enzimi e del calcio. Le fibrille di collagene iniziano ad apparire come accumuli di sostanza di base e
nei 2-3 giorni seguenti sono sintetizzati a tassi sempre più elevati. I livelli di collagene aumentano
di continuo per circa 3 settimane, ma mentre una crescente quantità di collagene si accumula nella
ferita, il numero di fibroblasti attivi inizia a diminuire.
L’aumento nella forza tensile della ferita che ha luogo durante la fase fibroblastica corrisponde ad
aumentati livelli di collagene nella ferita, ed è dunque logico che questo aumento nella forza tensile
sia maggiore quando la curva di sintesi del collagene sia in salita, anche se la cicatrice continuerà ad
essere molto forte per qualche tempo. In sintesi, la vera fase fibroblastica inizia intorno al 4° giorno
dal danno, e dura circa tra le 2 e le 4 settimane, a seconda della regione e delle dimensioni della
ferita. In seguito il contenuto in glicoproteine ed in mucopolisaccaridi presenti nel tessuto
cicatriziale ed il numero di fibroblasti attivi sarà marcatamente diminuito, benché la regione attorno
alla ferita rimarrà ad alta densità cellulare per molti mesi.
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Fase di maturazione o di rimodellamento
La classica fase di maturazione della ferita inizia circa tre settimane dopo l’evento traumatico. A
questo punto la sintesi del collagene e la sua degradazione sono accelerate. Durante questa fase la
cicatrice, inizialmente dura, rilevata e pruriginosa diviene matura, e la ferita continua ad
incrementare la sua forza tensile. La maggior parte del collagene di tipo III, depositato nella fase
iniziale, è rimpiazzato da collagene di tipo I, sino a che non viene ottenuto il normale rapporto
esistente nella cute di 4 a 1 tra tipo III e tipo I.
Le macromolecole della matrice intercellulare sono progressivamente degradate, l’acido ialuronico
ed i livelli di condroitin-4-solfato diminuiscono sino a ricordare quelli del derma normale, ed il
contenuto acquoso dei tessuti ritorna gradualmente alla normalità. Via via che il nuovo collagene
viene depositato durante questa fase, i legami crociati divengono più stabili e definitivi. La durata
della fase di maturazione dipende da molte variabili, incluse l’età del paziente, il suo patrimonio
genetico, il tipo di ferita e la sua sede anatomica, nonché la lunghezza e l’intensità del periodo
infiammatorio.
I componenti cutanei nella Guarigione delle ferite
Metabolismo e fisiologia cutanea
E’ noto da tempo che la cute possiede alcune rare proprietà: La cute ha l’abilità di tollerare lunghi
periodi di ischemia senza effetti nefasti, basti pensare ai lembi chirurgici, ai reimpianti e così via.
La cute è il solo organo del corpo umano che non lavori routinariamente a 37° C, il che spiega in
parte il suo basso metabolismo. La vascolarizzazione cutanea soddisfa largamente i requisiti
metabolici della cute stessa. Si valuta che i vasi sanguigni possano trasportare da 20 a 100 volte il
requisito di ossigeno e fattori nutritizi che servono per la sopravvivenza cellulare e per le sue
funzioni. La classica spiegazione di questi fenomeni riguarda le capacità di termoregolazione
dell’organo cute. Nonostante l’abbondante vascolarizzazione, la perfusione cutanea è insufficiente
a supportare il processo della guarigione delle ferite, che richiede tessuto di granulazione. Pare
quindi che la ricca vascolarizzazione di cui dispone la cute serva in realtà a mantenerne le proprietà
meccaniche, e ad adattarsi a continui stimoli traumatici, di compressione e di variabilità termica.
La Riparazione Epiteliale
L’epitelio che ricopre il corpo umano è costantemente esposto ai traumi fisici e chimici, cosicché lo
strato più esterno è costantemente traumatizzato e rigenerato da cellule disposte negli strati basali
della cute. La risposta epiteliale al danno locale segue sempre le stesse fasi della mobilizzazione,
migrazione, mitosi e differenziazione cellulare. La porzione epiteliale della riparazione della ferita
inizia con la mobilizzazione cellulare e la migrazione nella ferita: l’infiltrato aumenta per le mitosi e
la proliferazione cellulare, mentre la differenziazione è responsabile della maturazione e
dell’aspetto finale dell’epitelio. Le cellule epiteliali immediatamente adiacenti alla ferita vanno
inizialmente incontro ad un processo di mobilizzazione durante il quale essi divengono più grandi,
più schiacciate, e si distaccano dalle cellule adiacenti e dalla membrana basale.
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Lo stimolo alla migrazione è apparentemente dovuto ad una perdita dell’inibizione da contatto. Via
via che le cellule marginali iniziano la loro migrazione, le cellule immediatamente dietro di esse
tendono ad appiattirsi, rompono le loro connessioni intercellulari, mentre l’epitelio scorre a riempire
il gap della ferita. Questo flusso epiteliale continua sino a che le cellule in avanzata incontrano altre
cellule provenienti dal lato opposto della ferita, per arrestarsi così d’improvviso (inibizione da
contatto). Durante la sua migrazione nella ferita, l’infiltrato cellulare rimane quantitativamente
elevato per processi mitotici.
Esiste un gruppo di recettori cellulari (integrine) recentemente descritto, che pare responsabile del
mantenimento di un contatto cellulare totale attraverso un ponte tra la matrice proteica
extracellulare ed il citoscheletro interno cellulare. Le integrine si legano a specifiche proteine
extracellulari mediante il riconoscimento di una regione con una sequenza aminoacidica ben
precisa. I legami integrine-matrice possono essere inibiti da anticorpi monoclinali e peptici di
sintesi, che bloccano i recettori o i siti dove essi si attaccano. Attraverso un blocco selettivo dei
recettori, potrà essere forse possibile un giorno manipolare il milieu della ferita a livello molecolare,
controllando l’angiogenesi, la crescita cellulare, la guarigione della ferita e la contrazione della
ferita stessa da un punto di vista clinico.
Collagene
Il collagene è il principale costituente del tessuto connettivo, ed è responsabile di un terzo del
contenuto proteico del corpo. E’ una proteina particolare, in quanto sono quasi assenti gli
aminoacidi che contengono sulfuri, come la cisteina ed il triptofano. Nella sua forma stabile, il
collagene contiene idrossiprolina e idrossilisina, due aminoacidi con distribuzione altrimenti molto
limitata (collagene, elastina, frammento C1q del complemento, e parte terminale
dell’acetilcolinesterasi). Il collagene ha una struttura terziaria e quaternaria molto complessa, che
consiste in tre catene polipeptidiche, che restano nella loro configurazione relativa mediante legami
covalenti. Ogni struttura a tripla elica costituisce una molecola di tropocollagene. Le unità di
tropocollagene si associano in maniera regolare a formare i filamenti di collagene, a loro volta
aggregatisi in fibre di collagene, visibili al microscopio.
Esistono cinque tipi di collagene, a seconda delle basi delle catene aminoacidiche. Il tipo I è
particolarmente abbondante nella cute, nei tendini e nelle ossa. Questi tessuti contengono più del
90% del collagene del corpo umano. La cute normale lo contiene con un rapporto di 4:1 rispetto al
tipo III, più presente a livello delle papille dermiche. Nelle cicatrici ipertrofiche ed immature, il tipo
III può addirittura raddoppiare (33% del totale). La sintesi del collagene ha luogo sia all’interno che
all’esterno delle cellule, e certe sostanze inibiscono la sua formazione sia interferendo con la sua
sintesi, o attivando la sua degradazione.
Il tessuto connettivo normale esiste in uno stato di equilibrio dinamico tra sintesi e degradazione, e
lo rende vulnerabile agli stimoli locali come ad esempio le forze meccaniche che agiscono sul
tessuto. Mentre una sintesi incontrollata di collagenasi risulterà in una degradazione eccessiva del
collagene, una presenza non sufficiente di collagenasi risulterà in una fibrosi eccessiva. L’omeostasi
viene raggiunta mediante l’attivazione della collagenasi da parte dell’ormone paratiroideo, i
corticosteroidei e la colchicina e dall’inibizione della sintesi della collagenasi da parte della alfa-2macroglobulina sierica, dalla cisteina e dal progesterone. I processi del rimodellamento del
collagene e la collagenolisi offrono l’opportunità per un intervento terapeutico nelle sindromi di
cicatrizzazione anomala.
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I miofibroblasti e la contrazione della ferita
La contrazione della ferita è una parte attiva ed essenziale del processo di riparazione mediante cui
l’organismo arriva alla chiusura di una perdita di sostanza. Una cicatrizzazione in senso ipertrofico
è invece un risultato indesiderato del processo di guarigione, a volte dovuta al processo di
contrazione della ferita, altre volte alla fibrosi o ad altri danni tissutali.
L’esistenza dei miofibroblasti è conosciuta sin dal 1971, quando Gabbiani, Ryan e Majno notarono
per primi un tipo di fibroblasti nel tessuto di granulazione con alcune somiglianze al tessuto
muscolare liscio. I miofibroblasti differiscono dai fibroblasti normali perché hanno microfilamenti
citoplasmatici simili a quelli delle cellule muscolari lisce. All’interno del sistema filamentoso sono
alcune aree di “corpi densi” che servono da attacco per la contrazione. I nuclei hanno numerose
irregolarità di superficie come quelle delle cellule lisce, ma differenti da quelli dei normali
fibroblasti. I miofibroblasti sono anche differenti dai normali fibroblasti in quanto essi hanno
connessioni intercellulari ben formate, quali i desmosomi e le macule adherens.
Alcuni studi sull’immunologia dei fibroblasti e sulle loro reazioni alle varie manipolazioni chimiche
usando agonisti ed antagonisti della muscolatura liscia hanno mostrato un ben evidente aumento
della contrattilità del tessuto di granulazione mediante la serotonina. Questa azione era ossigeno,
dose e tempo dipendente, in quanto il tessuto di granulazione doveva avere per lo meno 7-8 giorni.
La conclusione di questi studi fu che la sorgente della contrattilità risiede nei miofibroblasti.
Rudolph ha studiato in maniera approfondita i miofibroblasti, evidenziando in particolare la
relazione diretta tra la percentuale di contrazione della ferita, ed il numero dei miofibroblasti
presenti all’interno della ferita stessa. In generale si dà oggi per scontata la teoria della trazione, che
considera l’intero tessuto di granulazione come un organo contrattile. Questo concetto implica
l’azione dei miofibroblasti per accorciare la ferita, seguita dalla deposizione di collagene e
dall’instaurarsi di legami crociati, per mantenerne la tensione.
Gli innesti a tutto spessore inibiscono la contrazione della ferita aumentando la velocità di
scomparsa dei miofibroblasti dalla ferita. La quantità di derma innestato, e non già lo spessore
dell’innesto, determinano il grado di prevenzione della contrazione della ferita. Benché presenti in
una grande quantità di patologie della contrazione dei tessuti, come il morbo di Dupuytren e di
Ledderhose, la malattia di Peyronie, i miofibroblasti non sono stati implicati nella loro eziologia.
Secondo Rudolph la contrazione delle ferite non è dovuta alla alla contrazione intracellulare dei
miofibroblasti, ma piuttosto alla tensione applicata dai miofibroblasti alla matrice cellulare
circostante utilizzando un meccanismo locomotorio. Mentre la matrice del gel di collagene si
contrae come risultato dell’attività dei fibroblasti senza ostacoli dalla periferia, le ferite in vivo si
possono contrarre solo quando si sviluppino all’interno dei fibroblasti delle fibre simil-muscolari
(osservabili nei miofibroblasti).
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Forza Tensile
La forza tensile di una ferita è una misurazione della sua capacità di carico per unità di superficie,
mentre la forza di rottura è definita come la forza necessaria per rompere la cicatrice,
indipendentemente dalle sue dimensioni. Con il variare dello spessore della cute (e dunque delle
varie regioni anatomiche), la forza di rottura può variare svariate volte; la forza tensile, al contrario,
sarà costante per ferite di dimensioni simili. Studi sperimentali hanno mostrato evidenze sul fatto
che le fibre di collagene sono per la gran parte responsabili per la forza tensile delle ferite. Il tasso
di aumento della forza tensile di una ferita in via di cicatrizzazione può variare notevolmente non
solo tra le differenti specie, ma anche tra individui della stessa specie, o tra differenti regioni del
corpo umano. Il pattern di guarigione è però simile tra classi filogenetiche. Tutte le ferite
guadagnano forza entro i primi 14-21 giorni, ma poi le curve possono divergere notevolmente a
seconda dei tessuti coinvolti. Nella cute, la massima forza tensile viene raggiunta dopo circa 60
giorni dal trauma, ed in condizioni anche ideali non supera mai l’80% della forza tensile della cute
integra prima del trauma.
Fattori che influenzano la guarigione delle ferite
Sono vari, e ci soffermeremo solo su alcuni.
Ossigeno
E’ stato dimostrata l’alta sensibilità dei fibroblasti alla variazione delle pressioni di ossigeno, ed in
particolare si è visto che è possibile stimolare sia i miofibroblasti che la produzione di collagene
mantenendo la ferita in uno stato di iperossia. L’ossigeno tra l’altro converte le cellule in via di
rigenerazione al metabolismo aerobico, ed è dimostrato che una delle maggiori cause di infezione
delle ferite, e della difficoltà di guarigione delle stesse è una scarsa PO2 della ferita. La terapia
iperbarica aumenta considerevolmente la perfusione tissutale, sempre che i vasi capillari circostanti
la ferita non siano obliterati, e dunque non può modificare l’ischemia della ferita in assenza di una
perfusione soddisfacente.
Steroidi e vitamina A
E’ ben noto come l’azione degli steroidi antinfiammatori possa inibire la cicatrizzazione mediante
un’azione sui macrofagi, la fibrogenesi, l’angiogenesi e la contrazione della ferita. Di converso, i
meccanismi attraverso i quali la vitamina A e gli steroidi anabolizzanti possono ripristinare
l’infiammazione monocitica sono meno noti. E’ comunque assodato che il deficit di vitamina A
ritardi la cicatrizzazione.
Vitamina C
L’importanza dell’acido ascorbico nella sintesi del collagene è conosciuta sin dal Sec. 16°. E’ noto
infatti che la sua carenza causa una permanente immaturità dei fibroblasti, una mancata formazione
di matrice extracellulare, ed una formazione di capillari immaturi e non adatti nel tessuto di
granulazione, il che porta ad emorragie locali. Persino ferite già guarite possono manifestare i segni
di una prolungata carenza di vitamina C, il che sottolinea il continuo turnover del collagene
all’interno delle ferite stesse per un loro riarrangiamento.
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Fumo
La sua azione deleteria sulla cicatrizzazione si esplica mediante una vasocostrizione e la limitazione
del flusso capillare necessaria alla perfusione periferica. Il fumo inoltre contiene alti livelli di
monossido di carbonio, che tendono a spostare la curva ossigeno-emoglobina verso sinistra, e a
formare carbossiemoglobina.
Fattori di crescita
Su questi polipeptidi si è sviluppata negli ultimi anni un’intensa ricerca, ed è oggi dimostrato che
essi inducono anche la migrazione cellulare, e dunque non sono esclusivamente mitogeni, ma che
hanno anche capacità chemiotattiche che portano leucociti e fibroblasti nell’area traumatizzata..
Particolare importanza rivestono gli FGF (fattori di crescita per i fibroblasti) ed i PDGF (derivati
dalle piastrine), che stimolano l’angiogenesi, la fibroplasia e la produzione di collagene. L’EGF
(fattore di crescita dell’epidermide) agisce sulla proliferazione dei cheratinociti mediante un
aumento della loro capacità migratoria e di formare nuove colonie. Insieme al TGF-alfa e ad altre
citochine, l’EGF è parte di un vero e proprio sistema per la crescita e la differenziazione dei
cheratinociti epidermici. Sembra chiaro oggi come il miglioramento della cicatrizzazione potrà
avvenire, nel futuro, non già con l’uso di un singolo GF a seconda delle circostanze o dei tessuti
interessati, ma con una diversa combinazione dei vari GF.
Diabete
E’ oggi dimostrata l’assenza di microarteriopatia nel diabete, e di converso la presenza di
macroangiopatia. Da ciò consegue che oggi l’eziologia delle ulcere diabetiche è ritenuta neuropatica
(per alterazioni nel flusso perineurale). La patologia a carico del microcircolo si esplica invece
attraverso un aumento della viscosità ematica, un’aumentata aterosclerosi a carico del tronco
tibioperoniero, un aumento della pressione vensosa retrograda nell’arto inferiore (con aumentata
trasudazione ed edema) che unita ad una diminuita capacità di fagocitosi e di lisi batterica, rendono
il paziente più suscettibile alle infezioni. Mentre la chiusura delle ulcere può dunque oggi essere
trattata mediante la rivascolarizzazione, il processo di guarigione delle ferite rimane nei diabetici
ancora rallentato.
Medicazioni occlusive semipermeabili
Agiscono favorevolmente sulla guarigione delle ferite mediante l’isolamento termico, le modifiche
nel pH, PO2 e PCO2 della ferita, nonché la permanenza dei fattori di crescita nella ferita. La
semipermeabilità permette l’uscita dei vapori e dei gas, prevenendo però l’entrata dei batteri.
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Clinica
Classificazione clinica della guarigione delle ferite
Clinicamente vengono distinte tre diverse tipologie di guarigione delle ferite:
Per prima intenzione
Per prima intenzione ritardata
Per seconda intenzione
Guarigione per prima intenzione
Si verifica quando i margini della ferita sono ben accostati tra di loro e non sono presenti spazi vuoti
o occupati da materiale necrotico o estraneo (come avviene in una sutura chirurgica correttamente
eseguita).
Guarigione per prima intenzione ritardata
Si verifica quando il riavvicinamento dei margini della ferita non avviene immediatamente ma dopo
un relativo periodo di tempo. Questo tipo di guarigione viane di solito impiegato nelle cicatrici
infette. Nei giorni successivi al trauma l'insieme di terapia medica e processi di guarigione della
ferita permettono così di controllare l'infezione ed ottenere una guarigione per prima intenzione
anche in caso di ferita infetta.
Guarigione per seconda intenzione
Nella guarigione per seconda intenzione è l'organismo che deve provvedere al riempimento degli
spazi morti tra i margini della ferita per ripristinare la continuità cutanea. Per assolvere questa
funzione le fasi dell'infiammazione e della fibroplasia si svolgono in tempi molto più lunghi. La
maggiore produzione di tessuto di granulazione e la maggiore contrazione della ferita che
normalmente ne consegue portano a risultati estetici sempre poco soddisfacenti.
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Complicanze
Cicatrici patologiche
Per cause genetiche, metaboliche o fisiche, durante il processo di guarigione possono verificarsi
alterazioni di tipo qualitativo e quantitativo della risposta connettivale. Ciò porterà alla formazione
di cicatrici patologiche:
atrofiche
ipertrofiche
cheloidi
(Vedi fig. 1)
Cicatrici atrofiche
Si definisce atrofica una cicatrice biancastra, depressa, slargata, scarsamente resistente. Queste
cicatrici sono dovute ad errori in difetto nella deposizione di materiale connnettivale. La loro
eziologia può essere legata alla presenza di fattori sistemici che ostacolino la guarigione o a fattori
locali quali patologie vascolo-nervose o errori di tecnica chirurgica. (Vedi fig. 2)
Cicatrici ipertrofiche
La cicatrice ipertrofica è rilevata, rossastra, dura anelastica, pruriginosa o dolente. Differentemente
dal cheloide (vedi in seguito) non invade i tessuti circostanti e mostra una tendenza alla regressione
spontanea (talora molto lenta). (Vedi fig. 3)
Cheloide
La cicatrice cheloidea presente le stesse caratteristiche della cicatrice ipertrofica, può essere
conseguenza di lesioni minime (anche semplici lesioni da grattamento) e non presenta alcuna
tendenza alla regressione, ma tende a diffondersi ed a recidivare e peggiorare in seguito
all'escissione chirurgica. La distinzione clinica tra cicatrice ipertrofica e cheloidea può a volte
essere molto difficoltosa mentre istologicamente la cicatrice cheloidea è caratterizzata da
metacromasia del collageno e della presenza di particolari tipi di cellule. (Vedi fig. 4)
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Fattori predisponenti alle cicatrici ipertrofiche e cheloidee
Locali
Cicatrizzazione per seconda intenzione
Orientamento errato della cicatrice
Natura dell'agente lesivo
Loco-regionali
Sede della ferita (sono più esposte le regioni sternale, deltoidea, scapolare, periorifiziale,
sottoauricolare)
Sistemici
Età (sono più soggetti i bambini)
Razza (maggiore frequenza nelle persone di colore)
Sesso (lieve prevalenza nelle donne rispetto agli uomini)
Fattori costituzionali
Fattori idiopatici
Fig. 1: Grafico della cicatrizzazione. Si noti che la cicatrizzazione cheloidea non tende alla
regressione.
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Fig. 2: Cicatrice atrofica del ginocchio
Fig. 3: Cicatrice ipertrofica del ginocchio
Fig. 4: Cicatrice cheloidea della regione toracica
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