Iperprescrizione degli inibitori di pompa. È costosa e non basata
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Iperprescrizione degli inibitori di pompa. È costosa e non basata
Iperprescrizione degli inibitori di pompa. È costosa e non basata sulle prove di efficacia Titolo originale dell’editoriale: "Overprescribing proton pump inhibitors. Is expensive and not evidence based" Riferimenti di pubblicazione: BMJ 2008; 336:2-3 Gli inibitori di pompa (PPI) sono una delle classi di farmaci più frequentemente prescritte al mondo perché associano un alto livello di efficacia ad un basso livello di tossicità. Tra il 25 e il 70% dei pazienti che assumono questi farmaci lo fa per indicazioni non appropriate. In Gran Bretagna nel 2002 è stato introdotto omeprazolo generico e ora rappresenta più dei 4/5 di tutte le prescrizioni di PPI. In questi 5 anni, le prescrizioni di PPI sono raddoppiate, anche se il decremento dei prezzi ha comportato una riduzione complessiva della loro spesa. I PPI hanno sostituito gli altri antiacidi e ora rappresentano oltre il 90% della spesa farmaceutica per il trattamento della dispepsia. Nel 2000 il NICE ha pubblicato una linea guida sulla prescrizione dei PPI relativamente selettiva, soprattutto per l’utilizzo a lungo termine. Se le prescrizioni si limitassero alle indicazioni raccomandate, la spesa per PPI sarebbe di gran lunga meno del 90% del totale della spesa per il trattamento della dispepsia. Ma quali sono le prove per dimostrare che le linee guida sono disattese? Si potrebbe supporre che l’iperprescrizione avvenga principalmente nelle cure primarie, ma vi sono innumerevoli prove di un uso inappropriato nelle cure secondarie. In Australia, Irlanda e Gran Bretagna, tra i pazienti ospedalizzati che assumevano PPI, il 63%, 33% e 67% rispettivamente non aveva l’indicazione. Nel Michigan, USA, il 20% dei pazienti assumeva PPI al momento del ricovero, mentre un altro 40% ha avuto la prescrizione durante il periodo di degenza (soprattutto come prevenzione). Alla dimissione, metà dei pazienti prendeva PPI – più del doppio rispetto a prima del ricovero. In questo studio, il 90% dei pazienti non necessitava della terapia a meno che aver avuto un reflusso gastroesofageo per un certo tempo nel passato non rappresenti una ragionevole indicazione di utilizzo dei PPI. Uno studio svolto in Nuova Zelanda ha riscontrato che il 40% dei pazienti ospedalizzati prende PPI in modo inappropriato. 2/3 di questi prendono ancora il farmaco alla dimissione e la maggior parte nei 6 mesi successivi. In Gran Bretagna, il suggerimento sulla durata del trattamento con PPI è stato specificato in meno di una lettera di dimissione su 5. Solo 1/3 delle lettere suggeriva la data di rivalutazione della prescrizione e solo la metà il motivo per il quale fosse iniziata la protezione gastrica. Sono disponibili parecchi studi anche sull’utilizzo dei PPI nella medicina generale. In uno studio di coorte svedese, tra i pazienti che avevano assunto PPI per 4 anni, il 27% era in grado di interrompere del tutto il trattamento. Un audit prospettico ha individuato che 1/4 dei pazienti ricoverati per un emergenza in un ospedale del Galles prendeva PPI, solo la metà in maniera appropriata. L’audit è stato ripetuto 6 mesi dopo la disseminazione ai medici delle linee guida del NICE: la stessa proporzione di pazienti stava prendendo PPI e ancora solo metà di questi per indicazioni raccomandate. I PPI hanno portato ad un enorme avanzamento terapeutico. Soprattutto nel lungo periodo, hanno modificato la vita dei pazienti con reflusso gastroesofageo e con complicazioni associate e si sono dimostrati preziosi per i soggetti a rischio di patologie iatrogene dell’apparato gastrointestinale superiore. Un trattamento a breve termine con PPI può essere considerato per trattare un vasto range di patologie peptiche. Ma i farmaci sono chiaramente sopra-utilizzati e non si devono dimenticare gli effetti collaterali. È stata riportata una crescente prevalenza di pneumonia e di enteriti da Campylobacter, così come un raddoppio del rischio di infezioni da Clostridium difficile1. Nefriti interstiziali acute e osteoporosi non sono usuali ma sono state collegate al trattamento con PPI2. Attualmente, comunque i problemi più rilevanti associati all’iperprescrizione di PPI sono l’effetto sulla spesa farmaceutica e la scarsa motivazione dei medici ad aderire alle linee guida. Bibliografia 1. Dial S, Delaney J, Barkun A, Suissa S. Use of gastric acid-suppressive agents and the risk of community-acquired Clostridium difficile- associated disease. JAMA 2005;294:2989-95. 2. Yang Y, Lewis J, Epstein S, Metz D. Long-term proton pump inhibitor therapy and risk of hip fracture. JAMA 2006;296:2947-53. Unità di Informazione sul Farmaco - Centro di Riferimento Regione Veneto Via S. D’Acquisto 7 - 37122 Verona http://uif.ulss20.ulss20.verona.it Tel: 045/8076062 Fax: 045/8011693 e-mail: [email protected] Numero verde: 800434233 – 800518318