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Colpo di frusta: trattamento manuale e fisiokinesiterapico

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Colpo di frusta: trattamento manuale e fisiokinesiterapico
EUR MED PHYS 2008;44(Suppl. 1 to No. 3)
Colpo di frusta: trattamento manuale e fisiokinesiterapico
S. ORZES1, E. VIVA2, M.E. VERROCCHIO3, R.A. SERGI4, G. DALLA CORTE5, F. FESTA6
Introduzione
Soprattutto l’intensità del traffico odierno causa molti quadri traumatici; il più frequente fra questi è il cosiddetto colpo di frusta. Questo termine (c.di f., whiplash injury) fu usato da Crowe nel 1928 per
descrivere le lesioni, distorsive e non fratturative, da trauma indiretto, sulla colonna cervicale1,2. Molti autori sottolineano il fatto che
per verificarsi, il c.di f. deve avvenire con un’improvvisa variazione
di velocità. Secondo la definizione della Q.T.F., è ”un meccanismo di
accelerazione-decelerazione con trasferimento di energia al collo.
Esso può conseguire a tamponamento o collisioni laterali di autoveicoli o verificarsi in seguito a tuffi o in altre circostanze...”. Nell’urto
frontale (impatto) si verifica prima l’iperflessione e poi l’iperestensione. Nel tamponamento, che è l’evento più frequente (più del 90%
di tutti gli eventi lesivi cervicali), si verifica prima l’iperestensione e
poi la iperflessione. Esperimenti compiuti dalla U.S. Air Force nel
562 hanno dimostrato che la resistenza all’accelerazione in flessione
è di circa 10 volte superiore alla capacità di resistenza all’accelerazione in estensione, quindi le lesioni avvengono prevalentemente in
questa ultima direzione (che è molto più pericolosa). Questo è un
complesso quadro sintomatologico che coinvolge tutto il corpo2-7 e
non solo il rachide cervicale e può comportare una serie di restrizioni
o lesioni vertebrali, paravertebrali (fasce, tendini, legamenti, muscoli),
del sistema nervoso periferico e simpatico, del cervello, dei vasi e dei
visceri associate. I danni sono variabili e possono andare da un semplice stiramento muscolare a una rottura legamentosa, vascolare ecc.
Le lesioni capsulo-legamentose dipendono anche dalla posizione
in cui si trova il capo al momento del trauma (più o meno ruotato),
per cui, pur essendoci un tamponamento antero-posteriore, ci può
essere anche un trauma obliquo-laterale, tanto più grave in quanto
la capsula articolare risulta già impegnata nello stress a protezione
della rotazione
L’E.O. consiste nell’esame clinico: 1) dei muscoli, volto ad evidenziare l’eventuale presenza algica muscolo-legamentosa; 2) della
mobilità, per esplorare l’esistenza di una limitazione funzionale.
La scala di Quebec del 1992 semplificata riporta la valutazione
degli esiti del colpo di frusta in 4 stadi: 0..,assenza di sintomi;
1…dolore; 2…dolore + sintomi muscolo-scheletrici; 3… dolore +
sintomi neurologici; 4… dolore + lussazione o frattura e/o lesione
del midollo spinale.
Non esiste un esame strumentale specifico per valutare gli esiti
del c. di f. Un lavoro canadese, del 2001, citato da8, (semplificando
molto) afferma che un Rx è necessario se: 1) età>65 aa.; 2) evento
traumatico pericoloso (caduta da > 1 m. o >5 gradini; da bicicletta;
alta velocità, ribaltamento, espulsione, carico assiale sul capo, decesVol. 44 - Suppl. 1 to No. 3
1U.O. di R.R.F. Feltre. U.L.S.S. N.2
2Specialista in ORL. Clinica O.R.L.
(BL);
(VR).
3Specialista M. Fis e Riab. R.R.F.”ANFFAS ONLUS”Grottammare (AP);
4Spec. M. Fis. e Riabilitazione. Istituto Soncin ULSS 16 Padova,
Poliambulatorio S. Benedetto Scorzè (VE) ULSS 13 Mirano;
5U.O. di R.R.F. Feltre. U.L.S.S. N.2 (BL);
6Professore Ordinario di Ortognatodonzia e Gnatologia,
Università degli Studi “G.D’Annunzio”, Chieti-Pescara.
so nello stesso incidente ecc.); 3)parestesie agli arti; 4)rotazione cervicale <45%; 5)alterato stato di coscienza o assunzione di droghe,
alcolici etc. Le Rx dinamiche sono necessarie per indagare potenziali
instabilità da lesioni capsulo-ligamentose e discali; la T.A.C. per valutare la struttura ossea, soprattutto nel caso di fratture; la R.M.N. per
le lesioni dei tessuti molli (soprattutto neurologiche) e per la diagnosi di fratture occulte.
L’atteggiamento posturale assunto dal rachide cervicale (verticalizzazione e/o cifosi) dopo il trauma consiste nella maggior parte dei
casi in una riduzione o in una perdita della lordosi fisiologica e di
per sé non è patognomonico (è solo un segno di difesa antalgica o
di alterazioni posturali (malocclusioni, respirazione orale, problemi
podalici ecc.)9-10.
Sintomatologia
È diversa e spesso complessa; nei casi meno gravi tende a manifestarsi, nella sua reale entità, dopo alcune ore dall’evento traumatico (quando l’edema e le eventuali emorragie si sono sufficientemente instaurate). Il paziente può lamentare dolenzia, stanchezza, rigidità, nausea, cefalea etc. Se la lesione è grave può coinvolgere i
dischi, le articolazioni, i legamenti e i sintomi possono manifestarsi
più precocemente. Si può avere, oltre ai sintomi suddetti, algie radicolari a tutti i distretti del rachide, nevralgie suboccipitali, parestesie
agli arti, acufeni, turbe della visione, difficoltà di concentrazione,
confusione ecc. C’è accordo sul fatto che l’insulto più severo avvenga a livello della regione cervicale media4. Panjabi e coll., citati da1,
hanno individuato, soprattutto attraverso test su un campione osteoligamentoso da cadavere, che dopo 50-75 ms dall’impatto, si ha la
formazione di una curvatura a S della colonna cervicale; questo è il
momento in cui avvengono maggiormente i fenomeni lesivi. In tale
fase le articolazioni intervertebrali del tratto inferiore della cervicale
mostrano una iperestensione che oltrepassa i normali limiti fisiologici; inoltre è proprio a livello C5-C6 che si sviluppa la massima concentrazione delle forze agenti sulla colonna cervicale. Anche la rota-
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ORZES
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zione supera i limiti fisiologici solo a livello C6-C7 e C7-T1, raggiungendo un massimo associato alla curva ad S.
L’E.M.G. mostra che i muscoli sono reclutati relativamente in
ritardo (la loro azione comincia 100-125 ms dopo l’impatto, ma per
sviluppare una tensione efficace sono richiesti altri 60 ms, quando
cioè si sono già in parte verificati i movimenti anomali tra i vari segmenti e i fenomeni compressivi).
Se un muscolo viene stirato gran parte dello stiramento avviene a
carico delle fibre intrafusali dei fusi muscolari che normalmente regolano la lunghezza muscolare. Un brusco stiramento forzato induce un
riflesso nervoso che causa una maggior contrazione muscolare (questo contribuisce ad aumentare il ritorno brusco del collo dalla iperflessione o dalla iperestensione). Le fibre extrafusali possono essere
lese e si può sviluppare emorragia ed edema. Questo può esitare in
fibrosi, contrattura, trigger points, rigidità e dolore cronico4.
Per Travell J.D. et al.11 il c.di f. può attivare i trigger points di
diversi muscoli; tra questi gli spleni, gli S.C.O.M., soprattutto se il
trauma viene da dietro, poiché questi muscoli resistono al movimento forzato all’indietro del capo e i muscoli spinali (lunghissimo del
dorso, ileo-costale, semispinale, multifido etc.) che possono essere
stirati durante l’incidente. Per4 anche gli scaleni, il lunghissimo del
collo, l’elevatore della scapola, il romboide e il trapezio vengono
frequentemente lesi.
I nervi periferici possono essere lesi lungo tutto il loro percorso
A) acutamente quando passano attraverso muscoli o fasce contratti o
infiammati; B) cronicamente per cicatrici perineurali o per una compressione neurovascolare (s. scaleni; costoclavicolare, etc.). Il plesso
cervicale può essere danneggiato dallo stiramento durante l’impatto
o da ipertonicità o flogosi degli scaleni. Il sistema nervoso simpatico
deriva dai metameri toracici e si porta, tra l’altro, ai 3 gangli cervicali. Alcune fibre accompagnano la carotide interna e le arterie oftalmiche dentro l’orbita; altre, attraverso le arterie vertebrali, entrano
nel cranio e si portano al vestibolo, ad alcuni nervi cranici e alla
faringe. I sintomi simpatici possono essere: uditivi (acufeni, sordità);
oculari (vista offuscata, dolore retrobulbare, alterazioni di dilatazione
pupillare ruotando il capo); vestibolari (vertigini); poi altri come
miosi, rinorrea, sudorazione, lacrimazione, fotofobia etc. Può essere
intaccato il sistema vascolare (es. art. vertebrali). Anche il cervello
può risentire del trauma per l’impatto contro la volta. Ricordiamo
che il cervello e il midollo spinale si muovono nella scatola cranica
e nel canale vertebrale in modo involontario e ritmico in una atmosfera liquida (il cervello e il midollo galleggiano). L’asse cerebro-spinale è avvolto da tre membrane: la dura madre (più esterna), l’aracnoide (media) e la pia madre (più interna). Aracnoide e pia madre
costituiscono le meningi molli e nello spazio che intercorre tra esse
è contenuto il liquido cefalo-rachidiano, che costituisce un importante mezzo di supporto, di galleggiamento, di protezione entro cui
l’encefalo e il midollo spinale si muovono. Mentre la porzione encefalica della dura madre aderisce intimamente alla parte interna del
cranio o endocranio (specie a livello delle suture), la porzione spinale non aderisce alla parete interna dello speco-vertebrale se non
in alcuni punti [solo sul pavimento del forame magno e di C1C2(C3) e in seguito scorre libera fino a S2]. La dura madre è separata
dallo speco vertebrale dallo spazio peridurale, occupato dai plessi
venosi intra-rachidei e/o da tessuto adiposo semifluido. Il whiplash
a livello cranico può far compiere ai due emisferi cerebrali del peso
di circa 500gr. ciascuno, uno spostamento sul tronco cerebrale con
stiramento e allungamento del midollo fino a 5 cm. I casi più seri
possono causare tetraplegia, coma o morte. La superficie anteriore
del midollo cervicale, con le fibre anteriori piramidali, può essere
schiacciata contro il dente dell’epistrofeo.
Parla12 del c.di f. solo dicendo che può causare un deficit del
nervo abducente (innerva il muscolo retto esterno)13 afferma che in
circa il 30% dei casi si manifestano alterazioni del sistema visivo
2
(<accomodazione e/o convergenza, paralisi o paresi oculomotorie, s.
di Horner, oftalmoplegia internucleare ecc.).
Il dolore di spalla è frequente (sia per trauma diretto che indiretto
da cintura) e va differenziato da quello muscolare (es. trapezio) e da
quello radicolare.
– Lombalgia: si verifica nel 35-57% dei casi e nel 24% tende a persistere.
– ATM. Lo spasmo muscolare anteriore può indurre spasmo dei
muscoli masticatori; anche il complesso disco-articolare può essere coinvolto.
– Lesioni viscerali. Frequenti ma spesso misconosciute o asintomatiche. Tra queste ci sono le lesioni tracheali, dell’intestino tenue,
del crasso, del mesentere, dell’omento, del rene, del fegato, della
milza, dell’utero, del diaframma, dello stomaco, delle mammelle;
poi talvolta lesioni esofagee ed ipolaringee con stravaso ematico
muscolare locale ed edema post-traumatico; spesso esistono
disturbi della deglutizione.
Indicazioni bibliografiche di trattamento
Riportiamo succintamente l’opinione di alcuni autori (anche se è
difficile selezionarli fra i tanti).
Trevisan C.8, basandosi sull’evidenza scientifica, come trattamento
nella fase acuta, nei gradi 1°-3° della Q.T.F., indica: 1)rassicurare il
paziente (tra l’altro il mantenimento delle abituali attività è un fattore
importante di miglioramento e riduce i tempi di recupero); 2) neck
school, variazioni dell’attività lavorativa, agopuntura e tecniche di rilassamento non sono indicate nel grado 1°; sono opzionali nei gradi 2°-3°
se i sintomi durano dopo 3 settimane; 3)fisioterapia: esercizi per il
ripristino dell’articolarità, di rieducazione muscolare ed isometrici a
basso carico devono essere intrapresi rapidamente, se necessario in
alternativa al riposo nel caso il dolore sia importante; 4)farmaci: 1° grado solo analgesici; 2°-3° grado analgesici non oppiacei e F.A.N.S. max.
per 3 settimane (gli oppioidi possono essere usati nel grado 3°con
dolore severo per periodi limitati); i miorilassanti, gli psicofarmaci e il
metilprednisolone ad alte dosi non sono indicati nella fase acuta.
Sono raccomandati solo in certe circostanze: 1)la rieducazione
posturale; 2)la mobilizzazione; 3)la manipolazione; 4)la trazione;
5)l’agopuntura; 6)ghiaccio, TENS, US, massaggi, laser, radar etc.;
7)riposo (controindicato nel 1°; massimo 4 dì nel 2°-3°); 8)collare
(controindicato nel 1°; massimo 72 ore nel 2°-3°).
Sono da evitare: 1)cuscini cervicali; 2) spray e stretch; 3) iniezioni
intra-articolari, epidurali o dei T.P. con steroidi; 4)collari magnetici;
5)Pilates, Feldenkrais, Alexander, rimedi omeopatici. Tuttavia c’è
sostanziale mancanza di studi di qualità in questo campo. Sostanzialmente negli stadi 1°-3°il trattamento consiste in: rassicurare, invitare
a riprendere le normali attività, suggerire un programma di esercizi
di recupero della funzione e prescrivere con cautela analgesici e
FANS; possono essere inserite modalità passive di trattamento conservativo. Il riposo, l’astensione dal lavoro e il collare sono di dubbia efficacia e andrebbero fortemente limitate perché sono sospettate di favorire la cronicizzazione dei sintomi.
Monticone et al.14 sottolineano che il c.di f. è in genere benigno
con elevata percentuale di auto-risoluzione spontanea in fase acuta,
tuttavia se il dolore persiste oltre i 45 dì, aumenta la probabilità di sviluppo della fase cronica e questi pazienti presentano bassissime percentuali di autorisoluzione e necessitano di interventi multidisciplinari.
Sostanzialmente anche nelle fasi subacuta e cronica, come trattamento
danno indicazioni abbastanza simili alla fase acuta; raccomandano
molto interventi attivi (esercizi, norme posturali ed educative).
In15 citano studi sulla possibile origine psicologica della cronicizzazione del dolore. La consapevolezza di disabilità e le aspettative di
un risarcimento possono essere determinanti per lo sviluppo della
cronicità. Il pensiero e la previsione del dolore condizionano la per-
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October 2008
COLPO DI FRUSTA: TRATTAMENTO MANUALE E FISIOKINESITERAPICO
cezione del dolore stesso; intensi stimoli emotivi (rabbia, ansia ecc.)
e il senso di indecisione, come pregiudizi negativi sull’evoluzione,
aiutano la cronicizzazione. Consigliano un approccio multidisciplinare integrato di tipo cognitivo-comportamentale a forte impronta fisica, con autotrattamento del paziente che enfatizza il miglioramento
della gestione della funzione più che la riduzione del dolore residuo.
Per Negrini A. et al.16 la gestione del c.di f. dovrebbe iniziare
immediatamente. Propongono esercizi attivi (da fare anche come
autotrattamento a domicilio) eseguiti in un range articolare limitato,
evitando di provocare dolore. Questi vengono effettuati per aumentare l’articolarità, la propriocettività, per rafforzare la muscolatura
cervicale e la stabilizzazione locale e globale; alla fine vengono
effettuati esercizi per il completo recupero delle funzioni e delle attività. I pazienti che utilizzano strategie di reazione passive possono
presentare un maggior rischio di presentare sintomi cronici rispetto
a quelli che utilizzano strategie attive. Gli studi più recenti dimostrano l’effetto negativo del riposo e dell’immobilizzazione prolungata .
Sconsigliano il collare e, se indispensabile, possono essere eseguiti
esercizi in collare o rimuovendolo più volte al dì per effettuare gli
esercizi prescritti.
Badelon B.F. et al.18 dicono che nella distorsione benigna il collare morbido o semirigido, usato a scopo antalgico, deve essere portato il meno possibile (3-90 dì; in genere 10-15 dì); la immobilizzazione
prolungata può prolungare i dolori e dare rischio di dipendenza. La
cinesiterapia (massaggi + fisioterapia) può essere iniziata subito, ev.
in associazione a FANS e infiltrazioni infraspinose e apofisarie posteriori. Utile la rieducazione (rinforzo muscolare, recupero ampiezze
articolari, riprogrammazione sensomotoria, balneocinesiterapia) prudente, personalizzata e indolore. Le trazioni cervicali, meccaniche e
manuali, aiutano la rieducazione; raramente sono indicate le manipolazioni. Nella distorsione grave, dopo la fase dolorosa, sono utili contrazioni “immaginarie, facilitate dal movimento degli occhi o degli
arti”sotto la minerva. Rimossa la contenzione vanno recuperati articolarità, forza e resistenza muscolare (mobilizzazioni passive ed attive
isometriche e dinamiche in delordosi); utili gli autoallungamenti, l’igiene di vita (non dormire proni, evitare posizioni estreme prolungate, regolare l’atteggiamento e l’ambiente lavorativo etc.). Utili elettroterapia (radar), U.S. e riprogrammazione oculo-cervicale.
Apsit E.19, trattando delle cervicalgie, dice che sono efficaci: trazioni meccaniche e manuali; collari; massaggi (manovre classiche,
connettivale, trasversale profondo, linfatico, del piede etc.); manipolazioni; fisioterapia [I.R., elettroterapia medicamentosa, correnti
antalgiche, U.S., termoterapia (paraffina, fangoterapia ecc)]; balneoterapia; rieducazione della motilità [passiva, analitica, attiva di vario
tipo (riprogrammazione oculocervicocinetica e labirintica, riprogrammazione scapolare etc.); rieducazione muscolare (di rinforzo, di sollecitazione muscolare indiretta, attraverso diffusione di energia); rieducazione globale (propriocettiva, di stiramento del piano posteriore
etc.); autoallungamento, igiene di vita ecc. Anche20 ritiene necessari
riposo in collare per 2 settimane (da non protrarre poiché l’esercizio
attivo riduce i tempi di recupero), massaggi, pompages, mobilizzazioni, U.S., T.E.N.S., laser, magnetoterapia, Mc. Kenzie etc.
Per4 il trattamento comprende manipolazioni, esercizi, terapie
fisiche, termali, farmacologiche e supporto emotivo.
Considerazioni sul trattamento manuale
Da più di 27 anni visitiamo e trattiamo queste disfunzioni con
tecniche manuali. Queste in genere si rivelano molto efficaci e quasi
sempre fanno virare nettamente il quadro verso un miglioramento o
una accettabile guarigione, anche se gli esiti traumatici durano da
anni. Ne abbiamo parlato recentemente19 mostrando i vantaggi ottenuti nella rotazione nel test di Unterberger (112 casi). Qui proponiamo la nostra esperienza.
Vol. 44 - Suppl. 1 to No. 3
ORZES
Molta parte del nostro trattamento attuale deriva dagli studi di
medicina manuale (scuola di Maigne R.22,23), di osteopatia, di posturologia, di kinesiologia applicata e delle tecniche di24 e di25. Sostanzialmente facciamo manovre derivate da un miscuglio di questi insegnamenti. Conosciamo da 18 anni e abbiamo sperimentato su molti
casi il trattamento di questa affezione col metodo Mc. Kenzie26,27
ma, a parte qualche consiglio posturale e di retrazione-allungamento
c.c., praticamente lo usiamo poco poiché secondo la nostra esperienza è più aspecifico, meno controllabile nei risultati e più rischioso dei trattamenti suddetti. Per gli stessi motivi usiamo poco (e mai
nelle prime 2 sedute) manovre ad alta velocità e bassa ampiezza;
sono raramente indispensabili ed aumentano, secondo noi, l’imprecisione e i rischi di danneggiare ulteriormente i tessuti; è meglio, se
possibile, liberare dolcemente le tensioni e aiutare il corpo a ritrovare da solo la sua fisiologia. Il trattamento deve sempre essere individualizzato2,4.
Maigne R.22 fa notare che anche se la colonna è radiologicamente
intatta, con particolare frequenza si riscontrano un raddrizzamento
segmentario, una inversione della curva, un piccolo disassamento
dell’apofisi odontoide dell’epistrofeo in rapporto alle masse laterali
dell’atlante. Se ricercati, radiologicamente si possono trovare blocchi
funzionali del rachide cervicale superiore (spazio atlo-assoideo che
non cambia in flesso-estensione) e inferiore (che causa una ipermotilità sottostante). Afferma che sono molto frequenti i sintomi psichici (depressione, sinistrosi etc.), ma che questi si attenuano quando si
trova un rimedio al dolore dei pazienti (spesso causato da un D.I.M.,
sovente del rachide cervicale superiore). Il dolore comunemente
presenta una topografia fissa e con manovre precise è possibile esagerarlo, diminuirlo, provocarlo; può essere evocato premendo su
punti vertebrali specifici (massiccio articolare, spinosa, punto cervicale anteriore etc.); nella maggioranza dei casi un solo segmento è
responsabile dei sintomi. La manipolazione in genere è la soluzione
terapeutica; deve essere molto specifica, dolce e discreta, mai globale e mai sistematicamente bilaterale, per studiare le reazioni del
paziente a questa manovra.
Gatto R. et al.21 hanno dimostrato l’efficacia della terapia manuale
negli esiti di c.di f. Parlano di s. delle zone transizionali in cui i sintomi e i dolori di origine vertebrale sono situati a vari livelli ma tutti
dallo stesso lato, per DIM nelle zone transizionali (occipito-cervicale,
cervico-dorsale, dorso-lombare e lombo-sacrale). Ritengono che la
medicina manuale, poiché spesso fa regredire completamente o parzialmente gran parte dei sintomi, sia da effettuare precocemente e
prima di ogni trattamento fkt (ev.da effettuare più tardi se necessario). Poi utilizzano Mc Kenzie, TENS, laser, magnetoterapia, massoterapia, esercizi oculomotori, rieducazione posturale globale, paracetamolo, mesoterapia di farmaci allopatici e omotossicologici, agopuntura, argilla etc.
Va sottolineato che, poiché il c.di f. è un insulto all’intero corpo,
l’esame e l’eventuale trattamento debbono sempre comprendere tutto
il corpo, anche se il paziente non riferisce traumi o sofferenze in
molti distretti. Spesso la distorsione cervicale in sé è solo la punta
dell’iceberg5-7,14 parla di “cisti energetiche” che vengono impresse e si
fissano nell’organismo e che bisogna tentare di sciogliere, di rimuovere. Il corpo umano è unito tridimensionalmente, come una rete,
dal tessuto fibroso che rende tutta la struttura interdipendente. È indispensabile fare alcuni cenni anatomici sulle fasce del collo che vengono bruscamente sollecitate nel c.di f. e che possono indurre
disfunzioni anche molto distanti. Questi collegamenti aiutano a capire la biomeccanica di molte lesioni e dimostrano che lo stiramento di
una struttura può portare brutalmente la distensione ad altri distretti.
Le fasce del collo sono prevalentemente tre: 1) la superficiale
posta tra cute e sottocute circonda completamente il collo inguainando il muscolo S.C.O.M. e il m. trapezio; 2) la media che va da un
muscolo omoioideo all’altro inguainando i muscoli sottoioidei; 3) la
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ORZES
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profonda che è situata davanti alla colonna cervicale e riveste i
muscoli prevertebrali.
– È necessario accennare anche ai loro collegamenti con il centro
frenico.
– Il centro frenico è collegato al tessuto fibroso che riveste il pericardio (legamenti freno-pericardici).
1) Il pericardio è collegato alla colonna attraverso i legamenti vertebro-pericardici che si portano al pericardio da un ispessimento
particolare dell’aponevrosi cervicale profonda compreso tra C4 e
D4. Dalla D4 in su questo sistema fasciale si porta all’occipite,
inserendosi poco dietro la sincondrosi sfeno-basilare, attraverso
la fascia prevertebrale. Questa continua nel temporale e dietro
nell’occipite, nel legamento nucale posteriore, nelle spinose, nei
tubercoli anteriori delle trasverse cervicali etc. Essa riveste la parte anteriore dei corpi vertebrali (separando gli scaleni dal lungo
del collo e dal grande retto anteriore) e contiene le inserzioni
craniche della maggior parte dei muscoli cervicali. Quindi, attraverso queste strutture fasciali il diaframma è collegato (sospeso) al
rachide cervico-dorsale fino a D4, all’occipite e al temporale.
2A) L’aponevrosi pretracheale (o viscerale), più sottile e delicata, che
collega l’osso ioide con il pericardio, contribuisce a formare un
manicotto fasciale che circonda la trachea e l’esofago (le parti
laterali del manicotto sono rinforzate dalle guaine carotidee e la
parte posteriore dalla lamina alare della fascia prevertebrale; poi
è collegata con le fasce superficiali). Dallo ioide, continuandosi
superiormente con la fascia buccofaringea essa si collega con lo
sfenoide.
2B) Sotto lo ioide il sistema fasciale si inserisce solidamente nella
cartilagine tiroidea e si divide per formare una sacca che ospita la
ghiandola tiroidea. Scendendo, dietro ai muscoli sottoioidei, lungo il collo, si fonde, attraverso l’aponevrosi cervicale media, con
il pericardio fibroso anteriore dietro lo sterno attraverso il l. sterno-pericardico sup. che si diparte dalla stessa zona in cui si inserisce l’aponevrosi media. Quindi esiste un collegamento fasciale
tra sfenoide, fasce buccofaringee, osso ioide, cartilagine tiroidea,
sterno e diaframma toracico.
3) Esistono due legamenti sterno-pericardici: 1) il superiore, triangolare, deriva dall’aponevrosi cervicale media, dal manubrio e dall’articolazione del manubrio con la 1°costa; 2) l’inferiore, triangolare, nasce alla base dell’appendice xifoide, scambia qualche fibra
con il diaframma e si inserisce sulla parte media del diaframma
(sospende il cuore in decubito dorsale); queste strutture, quindi,
unendo lo sterno col pericardio, solidarizzano lo sterno con il
centro frenico.
4) Analogamente la guaina carotidea, tubo fasciale longitudinale che
passa verticalmente attraverso il collo e che sul davanti si fonde
con la fascia pretracheale e medialmente con la fascia prevertebrale, circondando le arterie carotidee comune e interna, le vene
giugulari e il nervo vago, si attacca direttamente sulla superficie
inferiore della base craniale. Essa forma un ovale attorno al canale carotideo (che fora la parte petrosa del temporale e dà passaggio alla carotide interna) e al forame giugulare (questo è posto
tra l’occipite e la rocca petrosa del temporale ed è attraversato
dai nervi IX, X, XI, dalla vena giugulare e dall’arteria meningea
posteriore). Questa guaina si estende verso il basso nel torace
per fondersi con la fascia dell’arco aortico a sn e con l’arteria brachio-cefalica a dx. Queste guaine carotidee possono essere considerate estensioni del pericardio fibroso nel collo e in alto verso il
cranio. Quindi, ricordando le connessioni tra pericardio e diaframma, esiste una continuità fasciale che collega il temporale e
l’occipite con il diaframma.
5) Esistono poi i legamenti tracheo-pericardico; bronco-pericardico
ed esofago-pericardico ecc.
È evidente che una brusca sollecitazione del collo non può non
4
Figura 1.
coinvolgere queste fasce che portano la disfunzione al mediastino,
al centro frenico e quindi alle strutture addominali intimamente unite, soprattutto attraverso le fasce, col diaframma. Ne consegue che
l’esame e il trattamento debbono prendere in considerazione anche
queste strutture.
I problemi cervicali e craniali vanno esaminati con attenzione ed
eventualmente trattati per ultimi e con molta delicatezza, soprattutto
durante la prima seduta, in particolare se il trauma è recente. Bisogna iniziare il trattamento lontano dalle disfunzioni alte suddette; in
genere si inizia liberando le disfunzioni degli arti inferiori e soprattutto del sacro. Questo viene effettuato poiché lo stiramento dei
muscoli e dei legamenti cervicali tende a coinvolgere tutta la colonna e anche il bacino. Il legamento longitudinale comune anteriore
dalla base occipitale si porta fino al 2° segmento sacrale e anche al
coccige; il l.l. comune posteriore va dall’occipite al coccige; i l.
sovraspinoso, interspinoso e nucale connettono in serie le spinose;
lo stesso si può dire dei l. intertrasversari, dei l. gialli, di quelli che
uniscono i complessi articolari posteriori etc. Abbiamo già accennato
alle inserzioni della dura madre. Queste considerazioni sono importanti perché queste strutture sono indissociabilmente collegate, sia
dal punto di vista diagnostico che terapeutico. Liberando le limitazioni basse possono migliorare anche parte delle disfunzioni alte
poiché le strutture che le sostengono non sono più vincolate in certe
direzioni dal basso e possono muoversi con più libertà. Non raramente liberando solo il bacino si può donare una maggior escursione articolare al rachide cervicale. La cura del solo rachide cervicale e
dorsale alto può dare risultati inferiori perché queste strutture possono essere ancora vincolate, trattenute da tensioni basse (o anche
alte) che interferiscono con la loro libertà di movimento; queste possono anche tendere ad indurre recidive. Considerazioni analoghe
vanno fatte per le fasce, i visceri, il diaframma etc. Sintetizzando
molto, esaminiamo sempre i piedi (tibio-tarsica, sottoastragalica,
scafoide, cuboide, metatarsi etc ), le articolazioni tibio-peroneali, le
ginocchia, le anche (soprattutto per quanto riguarda la rotazione
interna della dx, spesso limitata), le sacro-iliache, la colonna in toto
(dalla dorsale in giù liberiamo molto dolcemente parte delle direzioni bloccate), il torace e le coste (soprattutto la 1°), le spalle etc.
Durante la 1°seduta esaminiamo ma non trattiamo in fase acuta (o
trattiamo molto dolcemente se il trauma è datato) il rachide cervicale. Non possiamo descrivere le singole manovre; ci limitiamo solo a
dire che spesso tentiamo di liberare alcune tensioni alte (occipiteC1-C2-C3) unendo tra loro gli indici e i medi e tentando, separando
queste dita (i due indici uniti dai due medi uniti) a contatto delle
spinose, di separare le spinose stesse tra di loro. In genere dopo
qualche decina di secondi si avverte una pulsazione ritmica (della
frequenza del respiro) che indica che la zona si sta liberando. Questa zona è importantissima, tra l’altro, per la postura. Ricordiamo che
suoi piccoli muscoli (piccolo e grande retto posteriori, piccolo e
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grande obliquo, piccoli retti anteriori e laterali), hanno unità motorie
piccole, con numero ridotto di fibre muscolari; queste hanno grande
importanza propriocettiva. Utilizziamo molto il trattamento craniocervicale (è indispensabile). Molto utili sono gli allungamenti globali
decompensati (Mezieres, R.P.G., etc.).
Considerazioni e conclusioni
In un lavoro precedente19 abbiamo dimostrato che il trattamento
manuale è in grado di modificare subito e in maniera significativa il
test di Unterberger. In genere già il primo trattamento manuale rappresenta una tappa importante, fondamentale nell’evoluzione positiva della sintomatologia, anche nei casi inveterati già stati sottoposti a
vari tipi di terapie.
Eseguiamo spesso altri test posturologici. 1) Importante è il test
di svincolo occlusale28,29 che si effettua ponendo dei rotolini di cotone tra le arcate dentarie (o ponendo un cartoncino tra i denti30); si fa
deglutire il paziente. Questo viene effettuato principalmente per eliminare le interferenze occlusali sulla postura. Se questo test modifica
la rotazione della marcia ad occhi chiusi indica una influenza patologica dei recettori della masticazione sulla postura; ev. vengono proposti bite, ortodonzia etc. 2) Altrettanto importante è anche la valutazione podalica (dolori, callosità, disfunzioni morfologiche, posturali etc). In genere vengono proposti plantari di tipo posturologico es.
K.S.31 o30. Poi, 3) oltre al sistema osteo-articolare, valutiamo 4) la
cute (es. cicatrici), 5) gli occhi (molto importanti) etc. Per brevità terminiamo questa digressione.
Sindromi vertiginose.
Data la frequenza e l’importanza di questo disturbo è utile parlarne un po’ più estesamente.
Per Alpini D.30 la vertigine, conseguente a c.di f., può essere
interpretata anche come conflitto tra la cosiddetta propriocezione
generale (muscoli, legamenti e articolazioni) e la cosiddetta propriocezione speciale (macule e cupole): queste differenti informazioni
sensoriali vengono integrate ed elaborate nel cervelletto e quindi
proiettate ai nuclei vestibolari. Afferma che il tratto C2-C5 partecipa
poco al controllo neuro-fisiologico della stabilizzazione del capo e le
informazioni propriocettive da qui provenienti interagiscono in
modo poco significativo con quelle labirintiche nella stabilizzazione
del campo visivo; anche se il segmento è spesso in disfunzione nel
c. di f., il suo trattamento non può apportare significativi miglioramenti nella sintomatologia vestibolare. Molto più importanti sono il
rachide cc alto (C0-C1-C2) e anche il lombare. Sconsiglia, se non in
mani molto esperte, le manipolazioni e le trazioni cervicali; dice
anche che il massaggio reflessogeno e i pompage possono attivare
frequentemente riflessi propriocettivi o spasmo delle arterie vertebrali con scatenamento di crisi vertiginose acute che possono protrarsi. Preferisce allungamenti dei muscoli sub-occipitali utilizzando i
movimenti di protrusione-retrazione, sia da seduto che da supino.
Romano M.31 dice che gli organi maggiormente interessati nel
mantenimento dell’equilibrio sono l’apparato visivo, l’orecchio interno e i propriocettori muscolari e meccanici articolari, soprattutto cervicali. Sembra non ci sia una rigida importanza gerarchica e in ogni
individuo i tre sistemi sono integrati ma con una preferenzialità di
uno rispetto agli altri due. Esiste una certa ridondanza; possono
essere scelte le informazioni più idonee e si può anche sopperire
alla carenza percettiva temporanea di uno dei recettori. I pazienti
con esiti di c.di f. senza vertigini hanno la capacità di riposizionare il
capo, partendo da una rotazione, simile a quella dei soggetti sani; al
contrario quelli che hanno vertigini mostrano una capacità inferiore
a riposizionarlo, soprattutto partendo da un’estensione. Esiste un
surplus di movimento forse per vicariare il deficit di informazioni dei
meccanocettori articolari, attingendole dai propriocettori muscolari
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stirati. Per questa plasticità di controllo dell’equilibrio propone esercizi che stimolano tutte le afferenze sensoriali per compensare i
sistemi deficitari e per affinare quelli integri.
L’equilibrio e la sue forme patologiche sono dati da un sistema
complesso di afferenze ed efferenze che in sintesi possono essere
ricondotte a: 1) afferenze vestibolari ed oculari; 2) afferenze cervicali, articolari e muscolari, vascolari, nervose del simpatico cervicale;
3) alterazioni delle strutture nucleari e reticolari del tronco encefalico le quali insieme al cervelletto contribuiscono ad integrare il
segnale proveniente dalla periferia per il mantenimento dell’equilibrio sia statico che dinamico.
Le vertigini da c. di f. cervicale sono sempre non rotatorie. Le
rotatorie sono quasi sempre l’espressione di una patologia del recettore vestibolare periferico legata ad una precisa causa patogenetica
(es. formazione di otoliti-cupololitiasi). Non che non ci possano
essere sovrapposizioni tra le due patologie conseguenti a trauma
distorsivo cervicale, ma in genere la patologia vestibolare da c. di f.
dimostra all’esame otovestibolare anomalie di tipo centrale dovute
all’allungamento - stiramento del midollo spinale e del tronco encefalico nel movimento di flessione rapida del rachide al momento del
trauma. La presenza del sintomo vertigine nella patologia cervicale
nel colpo di frusta è rapportabile in generale alla deficienza del controllo propriocettivo cervicale specie nei movimenti del capo. Nella
posizione della testa rispetto al tronco una funzione recettoriale fondamentale spetta ai corpuscoli dei Pacini situati nei legamenti articolari delle vertebre cervicali, in particolar modo nell’articolazione
occipito-atlantoidea e nei fusi neuro muscolari dei muscoli del collo.
I corpuscoli di Pacini sono responsabili dei riflessi tonici cervicali ad
azione sui muscoli oculari e sugli arti mentre i fusi neuro muscolari
sono responsabili del riflesso di raddrizzamento evocati nel collo ad
azione sul corpo. Perciò una particolare attenzione deve essere
posta alla normofunzione dei muscoli del collo in quanto molto
importanti nel mantenimento della postura cefalica. Questa a sua
volta ha una funzione preminente di guida sulla postura del corpo
(funzione circolare).
Vogliamo in questa sede ricordare l’importanza della funzione
della muscolatura oro-facciale9-10,32-33 sia in relazione alla patologia
dello sviluppo scheletrico craniofacciale (matrice funzionale) sia in
relazione a certe “verticalizzazioni” secondarie della colonna cervicale dovute a disfunzionalità (respirazione orale e deglutizione infantile). Questa verticalizzazione e/o rettilineizzazione della C.C. porta ad
una riduzione dei movimenti di flesso estensione durante il trauma
per cui traumi della stessa forza lesiva possono provocare in soggetti
predisposti traumi più importanti. Da qui l’importanza di una diagnosi corretta per poter impostare una terapia causale dato che dal
punto di vista clinico la riduzione della mobilità e una contrattura
antalgica della muscolatura del rachide cervicale non sono patognomonici solo del c.di f. Un fattore etiopatogenetico importante ma
spesso sottostimato in normalità o in patologia è la funzione respiratoria nel determinismo della postura del capo e di conseguenza
importante nella verticalizzazione della C.C. con alterazioni della
funzionalità delle catene cinetiche rette anteriori in cui va inquadrata
la lingua, la mandibola intesa come organo respiratorio, l’osso ioide,
il diaframma etc. fino al pube9-10.
Guidetti G. et al.34-36 segnalano notevoli miglioramenti della sintomatologia generale del c.di f. dopo trattamento manuale e
miglioramenti soprattutto dei disturbi dell’equilibrio (causati, oltre
che dalla eventuale vestibolopatia, dalla modificazione delle afferenze propriocettive cervicali e di vari altri distretti somatici). Essi
hanno cercato di “detendere i tessuti fibrosi, favorire il recupero
circolatorio (arterioso, venoso e linfatico) attraverso tecniche miofasciali e di correggere le limitazioni articolari”. Per questo il trattamento di questa sintomatologia sarà probabilmente oggetto di un
lavoro successivo anche perché questa patologia spesso invalidan-
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te risponde sovente bene e rapidamente al trattamento manuale
(che per noi è quasi sempre indispensabile; bastano in genere 1-4
sedute).
Riassunto
Il colpo di frusta è un complesso quadro sintomatologico che coinvolge
l’intero corpo (non solo il rachide cervicale) e può comportare una serie di
restrizioni o lesioni vertebrali, paravertebrali (fasce, tendini, legamenti,
muscoli), del sistema nervoso periferico e simpatico, del cervello, dei vasi e
dei visceri associate. Il ruolo delle fasce cervicali è importante perché, se
bruscamente sollecitate, possono veicolare la forza del trauma in distretti
lontani (mediastino, centro frenico, addome ecc.). Tutta la colonna e il bacino tendono ad essere coinvolti attraverso i segmenti ossei, i legamenti, la
dura madre etc. Per questo la valutazione e il trattamento manuale devono
prendere in considerazione molti distretti. E’importante, soprattutto nelle prime sedute, lavorare con molta prudenza, dolcezza e precisione; è meglio
iniziare il trattamento correggendo le regioni lontane dal collo. È importante,
soprattutto in presenza di cefalea, sindromi vertiginose etc., trattare con particolare cura la regione cervicale alta. Come sottolineano anche Maigne R. e
Gatto R., il trattamento manuale risulta molto efficace (per noi è spesso indispensabile e frequentemente è sufficiente) nella cura di questa affezione,
anche se non tutti gli autori concordano su questo (molti lo sconsigliano).
Possono essere associati altri presidi (F.K.T., collare, terapia medica ecc.)
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