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2010, Diritto e genetica delle popolazioni, Amedeo Santosuosso

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2010, Diritto e genetica delle popolazioni, Amedeo Santosuosso
Capitolo 5
DIRITTO E GENETICA DELLE POPOLAZIONI
di AMEDEO SANTOSUOSSO E ILARIA ANNA COLUSSI
SOMMARIO: 1. La genetica delle popolazioni. — 2. Persone, materiali e informazioni dal punto di vista del
diritto. — 3. Tipologie di biobanche: presupposti scientifici e problemi giuridici. — 4. Regolamentazione giuridica delle biobanche. — 5. Un significativo caso presso la Corte Suprema islandese. —
6. Il fallimento di deCODE Genetics. —7. Biobanche, privacy e il limite dell’interesse.
1. La genetica delle popolazioni.
La genetica ha conosciuto negli ultimi decenni un notevole sviluppo e
ha ampliato i suoi “tradizionali” oggetti d’indagine. Dallo studio delle
modalità di trasmissione dei geni da un individuo all’altro (genetica dell’ereditarietà dei caratteri o “classica”), essa si è focalizzata sulla ricerca
relativa alla natura molecolare dell’ereditarietà, con l’intento di chiarire
come l’informazione genetica sia codificata nel DNA e tradotta in un
determinato fenotipo per mezzo dei processi biochimici della cellula (genetica molecolare), fino a concentrare l’attenzione sul patrimonio genetico
d’intere popolazioni umane (genetica delle popolazioni). Quest’ultima
branca della genetica — in cui trovano una loro sintesi l’evoluzionismo
darwiniano e la genetica mendeliana — indaga l’ereditarietà dei geni in
“popolazioni mendeliane”, intese come « gruppi di individui interfertili che
condividono gli stessi loci, ovvero il medesimo pool genico, con possibilità
di alleli diversi » 1. La genetica delle popolazioni, dunque, osserva come
queste evolvano sia in termini quantitativi (considerando le varianti alleliche presenti all’interno di una popolazione) sia qualitativi (prendendo in
esame le frequenze alleliche 2, fenotipiche 3 e genotipiche 4), secondo una
1 Il “pool genico” è « l’insieme dei geni di una popolazione », l’allele è la « variante di un gene »,
mentre la combinazione di alleli, diversa da persona a persona, è indicata come « genotipo » (di tipo
recessivo o dominante). Per le nozioni di genetica richiamate nel presente scritto cfr. PIERCE, Genetica,
Bologna, Zanichelli, 2005, cap. 23; HARTL-CLARK, Genetica di popolazione, Bologna, Zanichelli, 1993,
passim e DALLA PICCOLA-NOVELLI, Genetica Medica Essenziale, Roma, Il Minotauro, 2006, passim.
2 Con “frequenza allelica” si intende il rapporto tra il numero di esemplari dell’allele considerato e
il numero totale di alleli per quel gene. Sulla nozione di “frequenza allelica” si basano pure i concetti
di “polimorfismo”(inteso come « il numero dei loci polimorfici sul numero totale di loci esaminati nella
popolazione ») e di “eterozigosità” (« frequenza totale degli eterozigoti per un dato locus »), due
parametri impiegati nello studio della variabilità genetica.
1
II, 5
La dimensione genetica
prospettiva tanto c ronologica (ottica temporale), quanto geografica o
topologica (distribuzione spaziale). Il campo di indagine che si configura
porta, quindi, ad assegnare un carattere interdisciplinare alla materia, che
s’intreccia con l’oggetto di studio della biologia molecolare, dell’ecologia,
della sistematica, della storia naturale, della matematica, come si evince
dall’esame dei mezzi conoscitivi di cui essa si avvale, i quali sono
classificabili in una componente teorica (come gli strumenti derivati dalla
statistica e dalla teoria delle probabilità, quali i modelli matematici e gli
algoritmi) e in una porzione empirica o sperimentale (ovvero il ricorso ai
“marcatori genetici” 5 e alle analisi del genoma 6, mediante linkage e
clonaggio molecolare 7).
Le applicazioni di questo genere di studi sono molteplici, ad esempio,
nel tentare di ricostruire storicamente lo sviluppo dei popoli e delle specie
naturali 8, di comprendere e predire gli effetti sulle popolazioni di fenomeni
genetici, quali: la deriva genetica casuale, la mutazione, il sistema di
accoppiamento e l’efficienza riproduttiva, le migrazioni o flusso genico, la
selezione naturale e altri ancora. Rilevanti sono soprattutto le sue ricadute
nell’ambito della medicina, nella spiegazione della genesi e del funzionamento dei processi biologici coinvolti nella determinazione dei tratti e dei
meccanismi delle diverse malattie genetiche. La genetica delle popolazioni,
infatti, analizzando la correlazione tra fattori ambientali, predisposizione
genetica e insorgere delle patologie, favorisce le ricerche epidemiologiche
che mirano a individuare il disease relevant gene (ovvero il fattore genetico
che, fin dalla nascita, causa la malattia), potenzia i cohort studies (“studi
successivi”, che esaminano solo le malattie che insorgono nel corso della
3 La “frequenza fenotipica” è « la proporzione d’individui in una popolazione aventi un dato
fenotipo con una determinata frequenza ».
4 Con “frequenza genotipica” si intende la proporzione di uno specifico genotipo a un dato locus,
considerato che sono possibili molti genotipi diversi per locus.
5 I marcatori genetici rappresentano una qualsiasi caratteristica degli organismi, determinata dai
geni e non dall’ambiente, quale il colore degli occhi, il gruppo sanguigno ecc.
6 Gli studi di genetica delle popolazioni possono essere condotti anche esaminando il DNA
mitocondriale (trasmesso solo in linea materna) o dall’ottica del cromosoma Y (trasmesso solo in linea
paterna).
7 Il linkage è lo studio delle associazioni tra il tratto malattia e le varianti polimorfiche mediante
l’identificazione di una serie di marcatori, la cui probabilità di essere associati alla malattia è significativamente più elevata della probabilità di essere indipendenti da essa. L’associazione alla malattia
si valuta con il metodo della “massima verosimiglianza” (maximum likelihood). Per clonaggio
molecolare si intende l’identificazione e la clonazione di un gene attraverso la sua posizione, senza
conoscerne a priori la funzione.
8 Cfr. CAVALLI SFORZA-MENOZZI-PIAZZA, The History and Geography of Human Genes, Princeton,
Princeton University Press, 1994.
2
Diritto e genetica delle popolazioni
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vita) e incrementa gli studi della farmacogenetica e farmacogenomica, che
perseguono il modello della “medicina personalizzata”, « by allowing a
better match between the drug and the individual genetic profile » 9.
L’oggetto di studio di tale branca della genetica è rappresentato da dati
genealogici, clinici e personali dei diversi componenti della popolazione,
dati relativi al contesto in cui essi sono inseriti, alle condizioni ambientali,
agli stili di vita e alle abitudini alimentari, ovvero da un coacervo di
informazioni ricavate, da un lato, da tessuti, materiali e campioni biologici
e, dall’altro, da questionari e archivi personali, familiari, generazionali e
storici. Quest’insieme di elementi viene oggi sistematizzato in precise
infrastrutture, denominate “biobanche” 10, le quali rappresentano la frontiera più avanzata della bioinformatica, una vera e propria « Encyclopedia
of tomorrow » 11. Già nell’Europa medievale esistevano primitive forme di
catalogazione della popolazione, nella forma della registrazione cartacea di
nascite, morti e matrimoni, ma è soprattutto con la nascita dello Stato
moderno che emerge la necessità di raccogliere più dati, contemporaneamente al bisogno di conoscere le risorse umane esistenti sul territorio, di
controllarle e di garantire l’ordine e la salute pubblica. Dall’attenzione al
corpo inteso come unicum, nel XX secolo si assiste alla frammentazione di
esso nelle sue singole componenti e lo studio si concentra innanzitutto sulle
molecole (oggetto di attenzione della biologia molecolare), per passare poi
all’analisi di campioni biologici, sangue, tessuti, tramite le tecnologie più
innovative. Da qui deriva, poi, l’odierno bio-banking che rappresenta un
nuovo modo « of organizing life, of collecting, storing and assembling life in
the form of human materials » 12, non monitorando più l’intero corpo dei
cittadini, ma esaminando i singoli dati fisici di un individuo e associandoli ai
suoi dati anagrafici, personali, clinici, familiari: queste raccolte sistematizzate di campioni, profili e informazioni sono istituite a livello di piccoli
9 GOTTWEIS-PETERSEN
(eds.), Biobanks and governance. An introduction, in AA.VV., Biobanks.
Governance in comparative perspective, London/New York, Routledge, 2008, 3. Traduzione.: « rendendo
possibile un migliore collegamento tra il farmaco e il profilo genetico individuale ». Per recenti sviluppi
si veda ASHLEY ET AL., Clinical assessment incorporating a personal genome, in The Lancet Online, 2010,
vol. 375, issue 9725, 1525-1535; ORMOND ET AL., Challenges in the clinical application of wholegenome sequencing, in The Lancet Online, 2010, vol. 375, issue 9727, 1749-1751.
10 Il termine “biobanca” viene utilizzato per la prima volta in letteratura da LOFT-POULSEN, Cancer
risk and oxidative DNA damage in man, in Journal of Molecular Medicine, 1996, 74, 297 ss.
11 LYOTARD , The Postmodern Condition: A Report on Knowledge, Minneapolis (MN), University
of Minnesota Press, 1984. Trad. it.: « enciclopedia del futuro ».
12 GOTTWEIS, Biobanks in action. New strategies in the governance of life, in AA.VV., Biobanks.
Governance in comparative perspective, cit., 24. Traduzione: « di organizzare la vita, di raccogliere,
memorizzare e assemblare la vita nella forma di materiali umani ».
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La dimensione genetica
gruppi di persone (come le raccolte possedute dai diversi dipartimenti
ospedalieri) o di intere popolazioni (come le biobanche utilizzate nell’ambito degli studi di genetica delle popolazioni) ed esse sono il frutto dell’applicazione del computer e di altri mezzi automatizzati al campo della
biologia e della genetica.
2. Persone, materiali e informazioni dal punto di vista del diritto.
Le biobanche utilizzate nell’ambito della genetica delle popolazioni
raccolgono e sistematizzano materiali biologici umani e informazioni tratte
da quei materiali e in tal modo chiamano in causa il diritto, in quanto
strumento e contesto tecnologico nel quale sono coinvolti interessi della
persona umana, alla cui tutela è funzionale ogni sistema giuridico.
Le sperimentazioni condotte nei campi di concentramento nazisti, dove
il controllo dei corpi era totale e i materiali biologici estremamente “maneggiabili” a fini di ricerca e di selezione eugenetica, hanno rappresentato
l’“occasione” storica per affrontare il problema della ricerca scientifica
sull’uomo e i limiti della sua regolamentazione giuridica fino a quel momento. Il Codice di Norimberga, tratto dalla sentenza che chiude il processo
contro i medici e gli scienziati nazisti 13, ha fissato alcuni principi che
sottolineano il valore della persona umana, il divieto di compiere sperimentazioni sull’uomo e di ridurlo a cosa, e ha individuato nell’istituto del
“consenso informato”, ossia libero, volontario, pienamente consapevole,
responsabile e revocabile in qualsiasi momento, la garanzia fondamentale
cui ancorare ogni tipo di attività medica sull’uomo. Nei decenni successivi
le diverse versioni della Dichiarazione di Helsinki 14 e poi la Convenzione
di Oviedo 15 hanno ulteriormente confermato e arricchito questa garanzia.
13 Il Nuremberg Code of Ethics on Medical Research del 1946, in http://ohsr.od.nih.gov/guidelines/
nuremberg.html(ultimo accesso: maggio 2010) fu predisposto da Andrew Ivy, un medico di Chicago cui
fu conferito l’incarico da parte dell’American Medical Association di elaborare una serie di
principi relativi alla ricerca sull’uomo, per sostenere l’accusa nel processo contro i medici e gli
scienziati nazisti.Cfr. SANTOSUOSSO , Corpo e libertà. Una storia tra diritto e scienza, Milano,
Raffaello Cortina Editore, 2001, 165-178 e 189-192.
14 Dichiarazione di Helsinki, Principi etici per la ricerca medica che coinvolge soggetti umani,
adottato dall’Associazione Medica Mondiale nel 1964 ed emendato, da ultimo, nel 2008, in http://
www.wma.net/en/ 30publications/10policies/b3/index.html (ultimo accesso: maggio 2010).
15 Convenzione di Oviedo per la protezione dei diritti umani e della dignità dell’essere umano
con riferimento alle applicazioni della biologia e della medicina: Convenzione sui diritti dell’uomo e la
biomedicina, firmata il 4 aprile 1997 ed entrata in vigore il 1° dicembre
1999, in http://
www.conventions.coe.int/Treaty/en/Treaties/Html/164.htm (ultimo accesso: maggio 2010).
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Diritto e genetica delle popolazioni
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La corrispondenza tra corpo e persona porta, quindi, a individuare nel
consenso la “chiave” per esprimere la libertà dell’individuo, in funzione
della tutela della dignità e della salute dell’uomo.
Negli ultimi tre decenni il consenso informato, per un verso, si è del
tutto giuridicizzato (mentre nel Codice di Norimberga era solo una, pur
autorevole, norma etica) e si è sviluppato nel diritto di rifiutare le cure, fino
a lambire il suicidio assistito e l’eutanasia, e, per altro verso, è diventato una
sorta di modello universale per tutte le relazioni sociali nelle quali aspetti
sensibili del patrimonio giuridico di una persona entrano in rapporto con
strutture sociali organizzate (dalle carte di credito alla privacy in tutte le sue
estrinsecazioni). Oggi la realtà scientifica e tecnologica delle biobanche
utilizzate negli studi di popolazione pone un problema ulteriore: se le
singole componenti e le parti staccate del corpo (come i tessuti, il sangue,
le cellule, i geni e le relative informazioni da essi estraibili) debbano avere
il medesimo status giuridico della persona (e del suo corpo) integralmente
considerata in ragione della loro capacità di rivelare informazioni relative a
quel corpo e a quella persona, ovvero se debbano essere ritenuti beni mobili
autonomi e, come tali, esonerati dalla richiesta di previo consenso per lo
studio di essi.
Da un certo punto di vista, se si ha riguardo della sola dimensione
materiale, il bene separato dal corpo si presenta come una res a sé stante,
il cui rapporto con il resto del mondo può essere regolato con riferimento
agli istituti propri del diritto di proprietà. Sarà quindi il soggetto dal quale
quei campioni sono tratti a poter decidere se trasferire la proprietà di essi
o commercializzarli, fino a brevettare il bene stesso 16 o se lasciarlo in
eredità ai successori. Se, invece, si sposta l’attenzione dalla dimensione
materiale a quella, per così dire, “informazionale”, emerge chiaramente che
quei materiali biologici sono anche portatori di informazioni relative al
16 Sul rapporto tra il materiale biologico, la proprietà di esso da parte del soggetto
da cui
proviene, le informazioni tratte e la brevettazione sono emblematici il caso Moore, nel quale la Corte
Suprema Americana ha affermato che il donatore di un campione biologico non può più vantare diritti
di proprietà su questo a seguito della donazione (caso Moore v. Regents of the University of California,
249 Cal. Rptr. p. 494) e il caso del Dottor William Catalona, in cui il conflitto tra pazienti, Università
depositaria dei campioni e il ricercatore è stato risolto dalla Corte distrettuale del Missouri, riconoscendo all’Università di Washington la proprietà di tutti i materiali biologici e sottolineando che
la ricerca medica può progredire solo se l’accesso ai materiali biologici alla comunità scientifica
non è ostacolato dalle istanze (e dai capricci) dei singoli privati, i quali renderebbero questi preziosi
strumenti mere “chattels” nelle mani del miglior offerente (cfr. caso Washington University vs. William J.
Catalona, et al., 2006 U.S. Dist. LEXIS 22969. Per un commento della sentenza, cfr. ANDREWS, Two
Perspectives: Rights of Donors: Who Owns Your Body? A Patient’s Perspective on Washington University
vs. Catalona, in Journal of Law, Medicine and Ethics, 2006, 34, 398 ss.
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La dimensione genetica
singolo e alla sua famiglia, all’identità, alla salute, alle malattie proprie e del
gruppo biologico di appartenenza 17. In questa diversa ottica risulta difficile
riconoscere alle parti del corpo una loro autonomia e scindibilità da esso,
dal momento che essi appaiono come “supporti fisici” di informazioni
personali. Da questa prospettiva, che valorizza la dimensione “informazionale” connessa ai materiali biologici, il modello dei property rights è parso
insufficiente e si è fatto ricorso a quello dei diritti della personalità, al fine
di tutelare la riservatezza e la personalità dell’individuo da cui le informazioni provengono. Così si spiega la tendenza a riconoscere a ogni parte
proveniente da una persona, sia pure una parte minima quantitativamente
e remota nel tempo e nella distanza genetica, i pieni diritti della persona
intera. Ma è proprio questo modello a essere messo in discussione negli
ultimi anni, come si vedrà più avanti, dopo avere dato conto del quadro più
ampio delle biobanche.
3. Tipologie di biobanche: presupposti scientifici e problemi giuridici.
La raccolta, lo stoccaggio e la sistematizzazione di materiali biologici
umani e delle informazioni a essi connesse si stanno diffondendo oggi
sempre più e diverse sono le tipologie di biobanche adottate. Vi è una tale
eterogeneità che alcuni ritengono utopico riuscire a catalogarle 18 e anche i
differenti termini impiegati per descriverle « reflect not only their diversity,
but also demonstrate a lack of consensus on what exactly is a biobank » 19.
Tuttavia, tentando di elaborare una distinzione, si possono identificare, in
relazione al materiale contenuto, banche genomiche o del DNA (che
raccolgono principalmente dati genetici) e banche di tessuti e cellule
(inclusi i residui chirurgici ed esclusi capelli, unghie, placenta e produzione
di scarto); in base allo scopo perseguito, poi, si osserva l’esistenza di
17 Sulla nuova rilevanza giuridica delle relazioni biologiche si veda la Recommendation 1997(5).
Point 58 of the Memorandum, elaborata dal Consiglio d’Europa; il Document on Genetic Data (17 marzo
2004), prodotto dall’ARTICLE 29 Data Protection Working Part,gruppo istituito sulla base della dir.
95/46/CE, in http://ec.europa.eu/justice-home/fsj/privacy/docs/wpdocs/2004/wp91-en.pdf (ultimo accesso: maggio 2010).
18 Cfr. SALLÉE-KNOPPERS, Existing Human Genetic Research Databases, OECD (Organisation for
Economic Co-operation and Development), Directorate for Science, Technology and Industry, report
on Human Genetic Databases, DSTI/STP/BIO (2005), 14, in http://www.oecd.org/document/50/
0,3343,en-2649-34537-37646258- 1-1-1-1,00.html (ultimo accesso: maggio 2010).
19 BOVENBERG , Property Rights in Blood, Genes and Data. Naturally Yours?, Leiden/Boston, M.
Nijhoff Publishers, 2006, 23. Traduzione: « riflettono non solo la loro diversità, ma dimostrano anche la
mancanza di consenso intorno a cosa sia una biobanca ».
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biobanche impiegate a fini di ricerca e in ambito sanitario (istituite nei
singoli laboratori o negli ospedali, dove « quelli che in passato venivano
comunemente definiti “scarti operatori” […] sono oggi oggetto di una
nuova “corsa all’oro” » 20); biobanche di patologia o a scopo diagnostico e
terapeutico (disease biobanks), i cui tessuti provengono principalmente dai
laboratori di anatomia patologica, di istologia e citologia; banche impiegate
con scopi di sicurezza per la prevenzione e repressione dei reati (di cui si
avvalgono soprattutto le forze di polizia in ambito investigativo penale);
biobanche finalizzate ai trapianti di organi; banche contenenti prodotti degli
screening neonatali oppure cellule staminali, embrioni, ovuli o spermatozoi
per la procreazione assistita; biobanche di popolazione, adottate negli studi
epidemiologici, farmacologici, sulla biodiversità o sull’evoluzione, comunque legate a scopi di ricerca.
Nell’ambito della genetica delle popolazioni numerosi sono gli esempi
che si potrebbero fare 21, ma, limitandoci ai casi più emblematici, rilevano
il modello islandese, da un lato, e quello inglese, dall’altro, ai quali sono
riconducibili anche altre esperienze.
La biobanca islandese, nota come Health Sector Database, è stata
istituita nel 1998, col fine di raccogliere i dati dell’intera popolazione
islandese. Il criterio che orienta la sistematizzazione della rilevante mole di
dati (tendenzialmente 140.000 sui 270.000 abitanti dell’isola) è quello dell’omogeneità di essi, fondata sulla natura e storia del popolo islandese che
discende da un unico gruppo progenitore insediatosi in zona circa mille anni
fa. L’isolamento e la modesta dimensione del popolo islandese sono di
grande utilità nel perseguimento dei fini di ricerca 22, in quanto in una
popolazione geograficamente isolata, caratterizzata da pochi fondatori, da
pochi cognomi, da scarsa emigrazione e immigrazione e da una determinata
barriera linguistica, l’endogamia ha limitato il pool di geni trasmessi da una
generazione all’altra, ha favorito l’instaurarsi di alti livelli di omozigosità e
il mantenimento di differenti frequenze alleliche nel tempo rispetto alle
20 MACILOTTI-IZZO-PASCUZZI-BARBARESCHI, La disciplina giuridica delle biobanche, in Pathologica,
2008, 100, 86.
21 Cfr. German National Ethics
Council, Biobanks for research:Opinion, Berlin, Nationaler
Ethikrat,2004, 33 ss., in http://ec.europa.eu/research/biosociety/pdf/ethikrat-opinion-biobanks.pdf (ultimo accesso: maggio 2010).
22 Non
sono di questo parere Árnason, Sigurgíslason e Benedikz che rilevano un’elevata
eterozigosità della popolazione islandese e alte variazioni del DNA mitocondriale (cfr. ÁRNASONSIGURGÍSLASON-BENEDIKZ, Genetic homogeneity of Icelanders: fact or fiction?, in Nature Genetics, 2000, 25,
373 s.). In risposta e a sostegno dell’omogeneità degli islandesi replicano Gulcher, Helgason e
Stefannson (GULCHER-HELGASON-STEFÁNSSON, Genetic homogeneity of Icelanders, in Nature Genetics,
2000, 26, 395 ss.).
7
II, 5
La dimensione genetica
altre popolazioni, così da determinare l’insorgere
di malattie rare
recessive23. Analogamente, nell’ambito delle patologie poligeniche, il
numero di geni coinvolti è più basso in un isolato genetico rispetto ad una
popolazione più ampia e geneticamente più eterogenea, come pure i fattori
ambientali, quali ad esempio il clima e la dieta, sono più omogenei e tali
sono rimasti per secoli.
Studi analoghi a quello islandese sono stati condotti nel 2005 sui Native
Americans dell’Arizona per la comprensione del diabete; esperienze simili
si riscontrano anche in Finlandia (progetto Genome EUtwin) e, per guardare all’Italia, in Sardegna 24, dove l’isolamento e la consanguineità della
popolazione ha facilitato l’insorgere della talassemia, in alcune zone montane del Trentino-Alto Adige 25 e del Friuli-Venezia Giulia 26, nonché
nell’entroterra ligure 27 e in altre zone, dove si trovano isolati genetici.
Diversa è la scelta compiuta dal Regno Unito che con la UK Biobank
punta, invece, sulla diversità genetica della popolazione inglese per effettuare altre tipologie di ricerche. In funzione dello studio dei fattori a rischio
nello sviluppo di malattie poligeniche, la biobanca, ospitata nell’Università
di Manchester e avviata dal 1999 tramite un coordinamento tra diverse
strutture, quali il Wellcome Trust, il UK Medical Research Council e il
Department of Health, con la supervisione di un Interim Advisory Group on
Ethics and Governance, si compone di dati — genotipici e medici, non
genealogici — relativi a circa 500.000 soggetti di età compresa tra i 45 e i 69
anni. Anche in Estonia è stata adottata una simile forma di sistematizzazione eterogenea (Estonian Genome Project).
Tutte queste tipologie di biobanche sollevano problemi giuridici, come
le questioni circa il consenso dei partecipanti, il loro diritto di autodeter23 Le malattie genetiche si distinguono in: monogeniche, in cui il difetto del gene è il principale
responsabile della patologia, e poligeniche o complesse o comuni, date dalla presenza di mutazioni in
più geni e il cui fenotipo malattia è il risultato dell’interazione tra i geni, l’ambiente e stili di vita, per
cui i geni non sono responsabili della patologia, ma solo predispongono a essa (“geni di suscettibilità”).
Alla prima categoria appartengono malattie dovute al difetto di geni collocati su cromosomi non sessuali
(distinte in malattie autosomiche di tipo dominante, come la corea di Huntington, o recessive, come la
fibrosi cistica, la talassemia, l’anemia falciforme) ovvero causate da difetti del cromosoma X (emofilia
e distrofia muscolare). Nella seconda
categoria
rientrano le patologie cardiovascolari e
psichiatriche, l’asma, le malattie respiratorie, il diabete e alcuni tumori.
24 Cfr. http://www.sardegnaricerche.it/documenti/13-116-20090116134413.pdf (ultimo accesso:
maggio 2010).
25 Cfr. http://www.tissuebank.it (ultimo accesso: 15 maggio 2010).
26 Cfr.
http://www.burlo.trieste.it/?M-Id=369/M-Type=CONTENT (ultimo accesso: maggio
2010).
27 Cfr. http://www.arsliguria.it/index.php?option=com-content&task=view&id=2392&Itemid=
157 (ultimo accesso: maggio, 2010).
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Diritto e genetica delle popolazioni
II, 5
minazione, l’adeguata informazione sulle prospettive di studio e, in parallelo, il loro diritto a non sapere, la tutela della privacy, la confidenzialità che
essi possano o meno riporre nell’impiego dei dati da parte dei ricercatori, gli
eventuali usi secondari o futuri che si prospettano nel prosieguo della
ricerca, la durata dello storaggio, il data sharing nella comunità scientifica, i
benefici a livello della collettività e il coinvolgimento pubblico, le ricadute
sui membri della medesima famiglia, i rischi di stigmatizzazione e discriminazione dei gruppi partecipanti, la governance e il monitoraggio della
biobanca, le misure di sicurezza, i soggetti competenti all’accesso, la necessità o meno di organismi indipendenti di controllo e di comitati etici di
supervisione, la formazione del personale adeguato, l’accreditamento delle
strutture impiegate e gli standard di qualità, i possibili utilizzi commerciali
e la brevettabilità dei risultati raggiunti, nonché l’impiego dei dati a scopo
forense da parte delle forze di polizia.
4. Regolamentazione giuridica delle biobanche.
La disciplina delle biobanche è stata oggetto di diversi atti adottati a
livello internazionale, europeo e nazionale, in un quadro che, però, appare
farraginoso.
Sul piano internazionale la Dichiarazione universale sul genoma umano
e i diritti umani, adottata dall’UNESCO nel 1997 28, subordina ogni tipo di
ricerca al rispetto della dignità umana , dei diritti fondamentali e dell’unicità di ogni uomo, nonché alla previa richiesta di consenso, e vieta di ridurre
l’uomo ai suoi dati genetici, di fare del genoma un oggetto di profitto, di
discriminare in base al genoma. Essa, poi, impone la confidenzialità dei dati
genetici associati ad una persona identificabile, e il rigore, la prudenza,
l’onestà intellettuale, la responsabilità in capo ai ricercatori, e sollecita la
cooperazione internazionale in materia 29. La Convenzione di Oviedo, per
28 Dichiarazione Universale sul genoma umano e i diritti umani dell’11 novembre 1997, cui
seguono la Dichiarazione internazionale sui dati genetici umani del 16 ottobre 2003, e la Dichiarazione
sulla Bioetica e i Diritti Umani del 19 ottobre 2005, in http://portal.unesco.org/en/ev.phpURL- ID=12027&URL-DO=DO-TOPIC&URL-SECTION=-471.html (ultimo accesso: maggio 2010).
29 Esistono già progetti di cooperazione in tema di biobanche, come il P3G (Public Population
Project in Genomics), PHOEBE (Promorting Harmonisation of Epidemiological Biobanks in Europe),
GA2LEN (Global allergy and asthma European network), tutti finanziati nell’ambito del VI Programma
quadro dell’UE; il programma GEN2PHEN (Genotype to phenotype databases: a holistic solution) e
BBMRI (Biobanking and biomolecular resources research infrastructure), finanziati mediante il VII
Programma. Il primo network di biobanche in Europa è stato istituito nel 2001 con il nome di
Eurobiobank, nell’ambito del V Programma quadro.
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La dimensione genetica
parte sua, ribadisce i medesimi principi e aggiunge il doveroso rispetto della
vita privata del singolo in relazione ai dati relativi alla sua salute, il suo
diritto a conoscere le informazioni che lo riguardano o a rifiutare l’informativa. Rilevante nel panorama normativo internazionale è la Raccomandazione R (2006) 4 del Consiglio d’Europa 30, che disciplina la ricerca
condotta sui materiali biologici di origine umana, distinguendo i tessuti in
due categorie: quelli identificabili (identifying materials), direttamente o
tramite un codice (che può essere in possesso dei ricercatori o di un
soggetto terzo), e i tessuti non-identificabili (unlinked anonimysed materials). Notevole importanza rivestono, inoltre, le guidelines dell’OCSE
denominate Best Practice Guidelines for BRCs 31, che forniscono le regole
operative e gli standards qualitativi per l’attività di raccolta e conservazione
dei materiali biologici.
A livello comunitario, poi, rilevano la direttiva 2004/23/CE 32 e la
successiva direttiva 2006/17/CE 33, che impongono la tracciabilità dei tessuti
e delle cellule donate, anche assegnando uno specifico codice alla donazione e al prodotti ad essa associati. La direttiva 98/44/CE 34, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, traccia, invece, i confini
della brevettabilità dei materiali biologici, vietando che il corpo umano
possa costituire invenzione brevettabile, ma ammettendo che un elemento
isolato dal corpo, compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene,
possa essere sottoposto a brevetto.
Quanto agli aspetti relativi alla ricerca scientifica, alla tutela della salute
e della riservatezza in termini generali vanno ricordati la direttiva 95/46/CE
35 e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta di Nizza)
36, nonché, a livello di mera indicazione di un gruppo di lavoro, le 25
Raccomandazioni sulle implicazioni etiche, giuridiche e sociali del genetic
testing 37che, in tema di banche di popolazione, sottolineano i rischi di
30 Raccomandazione R (2006) 4 del 15 marzo 2006, in http://www.coe.int/t/dg3/healthbioethic/
Activities/02-Biomedical- research-en/Rec%20biomat%20CM.pdf (ultimo accesso: maggio 2010).
31 OECD global forum on knowledge economy: biotechnology,
Guidance for the operation of
biological research centres (BRCs),2001, in http://www.oecd.org/dataoecd/60/44/23547773.pdf(ultimo
accesso: maggio 2010).
32 Dir. 2004/23/CE, in G.U. dell’Unione europea, 7 aprile 2004, n. L 102.
33 Dir. 2006/17/CE, in G.U. dell’Unione europea, 9 febbraio 2006, n. L 38/40.
34 Dir. 98/44/CE, in G.U. della Comunità europea, 30 luglio 1998, n. L 213/13.
35 Dir. 95/46/CE in G.U. della Comunità europea, 23 novembre 1995, n. L 281/31.
36 La Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea, in G.U. della Comunità europea, 18
dicembre 2000, n. C 364/01.
37 25 Recommendations on the ethical, legal and social implications of genetic testing, Brussels,
2004, elaborate dalla Commissione europea, in http://ec.europa.eu/research/conferences/2004/genetic/
pdf/recommendations-en.pdf (ultimo accesso: maggio 2010).
10
Diritto e genetica delle popolazioni
II, 5
discriminazione dei gruppi etnici in caso di lesioni alla privacy dei partecipanti.
Tra le norme adottate a livello nazionale nello spazio territoriale
europeo, guardando innanzitutto al caso italiano, si nota la totale inerzia del
legislatore, alla quale tentano di sopperire “linee guida” 38, atti secondari 39 e
atti non vincolanti 40. Di rilievo giuridico indiscutibilmente maggiore è
l’Autorizzazione del Garante della Privacy relativa al trattamento dei dati
genetici 41, che non distingue tra materiali biologici e informazioni e
permette l’utilizzo dei dati genetici a scopo di ricerca scientifica e statistica,
finalizzata alla tutela della salute della collettività in campo medico, biomedico ed epidemiologico, a patto che ci si avvalga di dati anonimi e vi sia
uno specifico progetto di ricerca.
A differenza dell’Italia, nella gran parte dei Paesi europei sono state
adottate norme di fonte primaria per disciplinare organicamente il fenomeno delle biobanks. Tra le leggi in vigore, sintomatica è quella islandese,
approvata nel 1998 dal Parlamento (Althingi) 42, che ha istituito il database
centralizzato, attribuendo a una compagnia privata(Islensk erfdagreining
ehf, legata a deCODE Genetics, una società fondata dal genetista islandese
Kári Stefánsson e finanziata da capitale americano) l’onere di sostenere i
costi della costruzione dell’infrastruttura, con annesso il diritto esclusivo di
licenza nella raccolta, nel trattamento, nell’impiego a scopo di profitto dei
dati medici e genetici dell’intera popolazione, per un periodo pari a dodici
anni. Le particolarità del caso islandese si evidenziano, da un lato, nel fatto
che la raccolta dei dati è finalizzata a scopi di profitto, tanto che l’accesso
di altri ricercatori e scienziati ai dati è ammesso solo a condizione di non
38 Cfr. il documento redatto da un gruppo di lavoro istituito all’interno del Comitato Nazionale
per la Biosicurezza e le Biotecnologie relativo al riconoscimento e all’accreditamento delle biobanche,
21 novembre 2008, in http://www.governo.it/ biotecnologie/documenti/linee-guida-definitivo-2008.pdf
(ultimo accesso: maggio 2010).
39 Cfr. il Decreto del
Ministero delle Attività Produttive del 26 giugno 2006, in http://
www.sviluppoeconomico.gov.it/ pdf-upload/documenti/phpui6A5n.pdf(ultimo accesso: maggio 2010), che
stabilisce la procedura di certificazione delle Biobanche come CRB (Centri di Risorse Biologiche).
40 Cfr. il documento pubblicato dalla Società Italiana di Genetica Medica nel 2003, in http://
www.cnrb.it/loghi/ telethonlinee%20guida%20biobanche%20genetiche%20.pdf (ultimo accesso: maggio 2010), che esclude dalla biobanca uno scopo di lucro.
41 Garante per la protezione dei dati personali, Autorizzazione al trattamento dei dati genetici, 22
febbraio 2007, in G.U. 19 marzo 2007, n. 65, in http://www.privacy.it/garautor20070222.html (ultimo
accesso: maggio 2010).
42 Health
Sector Database Act 1998,n. 139, in http://eng.heilbrigdisraduneyti.is/laws-andregulations//nr/659 (ultimo accesso: maggio 2010), che si collega all’Act on the Protection of Privacy as
Regards the Processing of Personal Data 2000, n. 77, in http://www.personuvernd.is/information-inenglish/greinar//nr/438 (ultimo accesso: 15 maggio 2010) e all’Act on Biobanks 2000, n. 110, in
http://eng.heilbrigdisraduneyti.is/laws-and-regulations/laws//nr/3093 (ultimo accesso: maggio 2010).
11
II, 5
La dimensione genetica
rovesciare gli interessi commerciali perseguiti da deCODE, interessi concretizzatisi soprattutto nell’accordo stipulato con l’azienda farmaceutica
Hoffmann-La Roche per la produzione di medicinali utili al trattamento di
circa dodici malattie comuni; d’altro lato, è da notare la modalità con cui
sono stati raccolti i dati, ovvero sulla base di un “consenso presunto”,
giustificato da esigenze di risparmio di tempo e denaro 43, cioè senza
richiesta di approvazione da parte dei cittadini, ma dando loro solo il potere
di esprimere il dissenso alla catalogazione, secondo un meccanismo di
opt-out. Nella biobanca islandese tutti i dati, sia quelli di nuova acquisizione
sia i dati registrati negli ospedali fin dal 1915, sia i dati tratti dai registri dei
matrimoni e delle nascite delle parrocchie, nonché quelli relativi a persone
defunte, sono stati prima sottoposti a un coding system, che li rende
anonimi (anche se in modo reversibile, essendo fissate “chiavi” di decodificazione, in possesso del Ministero della Salute) e successivamente
sono stati distribuiti in tre databases 44, connessi in una rete unitaria che fa
capo a un computer centralizzato. La proprietà di questo ampio spetto di
informazioni è stata riconosciuta all’intera popolazione, ma posta sotto la
responsabilità del governo islandese che si è attribuito l’accesso diretto al
database e ha altresì imposto a deCODE il pagamento di una tassa annuale
di gestione nonché le spese per i lavori del Comitato etico di sorveglianza.
Forti critiche sono state sollevate a questo sistema, in relazione soprattutto
alla “delega” concessa dallo Stato a una società privata nella gestione dei
dati, allo scopo di profitto perseguito (principale rispetto ai fini di ricerca),
nonché per quanto concerne la presunzione del consenso e l’anonimizzazione45.
Cfr. le note allegate alla legge in questione, sez. III, 3, § 3.
Il primo database contiene le informazioni fenotipiche e quelle relative alla salute dei singoli, il
secondo è una raccolta di dati genealogici provenienti dalle diverse forme di registrazione pubblica, il
terzo racchiude informazioni genotipiche desunte dall’analisi dei campioni biologici.
45 Cfr. le critiche mosse da Mannvernd, un’associazione fondata sul web a tutela dell’etica nella
scienza e nella medicina o le polemiche circa la violazione dei principi del consenso, espresse
dalla Icelandic Medical Association (AMA), nonché dalla World Medical Association (WMA) e da
Lewontin che ha polemizzato circa il monopolio delle informazioni da parte di una società privata,
evidenziando i rischi di stigmatizzazione e discriminazione (LEWONTIN, People are not Commodities, in New
York Times, 23 gennaio 1999). La concessione di licenza esclusiva da parte dello Stato a deCODE è stata
criticata per violazione del diritto alla ricerca scientifica: si verrebbe, infatti, a delineare un sistema di
monopolio scientifico attribuito alla società privata, il che porta a presupporre che lo Stato si sia
attribuito una (non dimostrata) proprietà dei dati personali dell’intera popolazione e, in virtù di tale
potere e della teoria della rappresentanza politica, abbia potuto delegarne l’uso a un altro soggetto.
Non sono mancate, poi, le critiche all’anonimizzazione dei dati: per alcuni si tratterebbe di un
meccanismo scelto solo per “glissare” sulla richiesta di consenso, in quanto quest’ultimo non è
necessario nel caso di mancata identificazione, ma tale scelta in realtà “nasconderebbe” un accordo
tra il Governo e deCODE, che fingerebbero di anonimizzare i dati per poterli meglio gestire (cfr.
MCINNIS, The Assent of a Nation. Genethics and Iceland, in Clinical Genetics, 1999, 55, 234 ss.).
43
44
12
Diritto e genetica delle popolazioni
II, 5
Nel Regno Unito, invece, si è voluto far tesoro delle critiche all’esperienza islandese ed è stato previsto l’impiego a fini di ricerca solo di dati
anonimizzati, raccolti su base volontaria con consenso espresso (opt-in), ma
previsione di eccezioni per scopi di ricerca e di interesse pubblico. A
differenza della biobanca islandese, il modello scelto nel Regno Unito
guarda a una charitable company (detta UK Biobank Limited), proprietaria
dei dati, sostenuta da enti pubblici, cui è demandato il compito di gestire i
dati e assicurarne trattamento e diffusione adeguati. Inoltre, si prevede
un’apposita politica relativa alla proprietà industriale delle ricerche conseguite, al fine di impedire un abuso di brevettabilità e commercializzazione
dei dati 46.
Nel complesso comunque non si sfugge a una impressione di complessiva disorganicità delle regolamentazioni, che è tanto più evidente quanto
più le biobanche si collocano in una dimensione che attraversa gli Stati
nazionali, tanto da essere difficile non dare ragione a chi tratteggia un
quadro giuridico di rara confusione: « the framework embraces a disorganized, fragmented, confusing array of overlapping, potentially relevat but
also potentially inconsistent statutory and common law rules, decisions and
non binding guidelines » 47.
5. Un significativo caso presso la Corte Suprema islandese.
I problemi giuridici che le biobanche di popolazione sollevano hanno
trovato una “visibilità” concreta in una vicenda affrontata dalla Corte
Per altri, invece, l’anonimizzazione sarebbe corretta, in virtù del fatto che la ricerca condotta da
deCODE deve essere considerata come uno studio statistico ed epidemiologico, che, ai sensi della
Raccomandazione R (97) 5 del Consiglio d’Europa, non richiede il consenso dei partecipanti, essendo
al di fuori del rapporto terapeutico e riguardando una ricerca su dati, non su persone (per
approfondimenti, cfr. SANTOSUOSSO , The Right to Genetic Disobe- dience: the Iceland case, in
MAZZONI (ed.), Ethics and Law in Biological Research, in Kluwer Law International, 2002, 163
ss.).
46 Per la disciplina della UK Biobank cfr. UK Biobank, Ethics and Governance Framework,
ottobre 2007, in http://www.ukbiobank.ac.uk/docs/EGFlatestJan20082.pdf (ultimo accesso: maggio
2010) e UK Biobank: Protocol for a large-scale prospective epidemiological resource, marzo 2007,
in http://www.ukbiobank.ac.uk/docs/UKBProtocolfinal.pdf (ultimo accesso: maggio 2010).
47 GIBBONS, Governance of population genetic databases: a comparative analysis of legal regulation in
Estonia, Iceland, Sweden and the UK, in HÄYRY-CHADWICK-ÁRNASON-ÁRNASON, The Ethics and
Governance of Human Genetic Databases. European Perspectives, Cambridge, Cambridge University
Press, 2007, 134. Traduzione: « il quadro comprende un insieme disorganizzato, frammentato, confuso
di regole che si sovrappongono, potenzialmente rilevanti ma anche potenzialmente incoerenti, di norme
di Common Law, di decisioni e linee guida non vincolanti ».
13
II, 5
La dimensione genetica
Suprema islandese nel 2003 48 che si trova « exactly at the cross-road of
individuals’ right to privacy, the important implications of biological links
among individuals and creation of bio banks in the course of a huge genetic
population study » 49.
Nel caso in esame una donna, agendo nella qualità di rappresentante
legale della figlia minorenne, aveva chiesto che i dati clinici e genealogici del
padre defunto della figlia non fossero inseriti nel database nazionale. A
fronte del rigetto alla richiesta da parte del Ministero islandese della salute
(confermato dalla District Court), rigetto fondato sull’asserzione che lo
Health Sector Database Act non riconosceva espressamente ai parenti un
diritto di opt out per i dati dei defunti, atteso che tale diritto cessa con la
morte e non è ereditabile, la donna si era rivolta alla Corte Suprema,
affinché le fosse riconosciuta tale facoltà. Ella aveva basato la pretesa su un
“interesse personale” della figlia alla cancellazione, in virtù della “familiarità” dei dati genetici nel medesimo gruppo biologico, ovvero aveva sostenuto che i dati del padre consentissero di inferire anche le caratteristiche
genetiche della figlia e che, quindi, la coinvolgessero direttamente. La Corte
ha negato che la figlia potesse agire in rappresentanza del padre, ma le ha
riconosciuto un diritto personale ad agire per impedire il trasferimento dei
dati del genitore nel database, in ragione del carattere “condiviso” delle
informazioni ricavabili da tali dati. Tale diritto deve essere ammesso non
sulla base della legge contestata (che taceva sul punto della richiesta di opt
out da parte dei parenti), ma in virtù della Costituzione islandese e del
diritto alla privacy individuale, ivi riconosciuto 50.
Il caso islandese mette in luce la necessità di rimodulare alcune classiche nozioni ricevute dalla tradizione, riflettendo sia sul consenso sia sul
concetto di riservatezza. La scelta di creare un database contenente tutti i
dati della popolazione sulla base di un “consenso presunto” porta a desumere che il gruppo biologico-sociale sia titolare del diritto al consenso, e
non il singolo, che, invece, godrebbe solo di un diritto di dissenso, e ciò pare
condurre a dover riconoscere una nuova figura di “consenso di gruppo” 51.
48 Icelandic Supreme Court, November 27, 2003, No. 151/2003, Ragnhildur Gumundsdóttir v.
The State of Iceland.
49 SELLAROLI-CUCCA-SANTOSUOSSO, Shared genetic data and the rights of involved people, in Law
and the Human Genome Review, 2007, 26 198. Traduzione: « esattamente al crocevia tra il diritto
individuale alla riservatezza, le importanti implicazioni dei legami biologici tra gli individui e la
creazione di biobanche nell’ambito di ampi studi di genetica delle popolazioni ».
50 Costituzione della Repubblica di Islanda (Stjórnarskrá lydveldisins Íslands 33/1944). All’art. 71
stabilisce il « diritto all’immunità della privacy, alla casa e alla vita familiare », in http://
www.government.is/constitution/,(ultimo accesso: maggio 2010).
51 Questa posizione è sostenuta, ad es., da Helgason (HELGASON , Consent and Population genetic
14
Diritto e genetica delle popolazioni
II, 5
Il sacrificio del consenso personale si scontra, però, con la natura “condivisa” dei dati genetici, in quanto le prospettive della genetica riportano in
luce proprio il singolo, ma in una nuova ottica. La tradizionale nozione di
privacy — anch’essa individuale, come nel caso del consenso — non sembra
più potersi limitare agli stretti confini della persona, ma, con l’emergere del
concetto di “gruppo biologico”, apre a considerazioni circa i diritti della
famiglia biologica 52. Ne esce un quadro diverso, in cui dimensione individuale e di gruppo si intersecano: se, infatti, la titolarità del consenso viene
riconosciuta al gruppo, la natura “personale” del dato genetico si allarga a
un gruppo che non è l’intera società (come nel caso del consenso presunto,
appunto), ma l’insieme dei consanguinei. Si aprono questioni del tutto
inesplorate, come quella dei confini della “famiglia biologica” e quella del
grado di parentela, o distanza biologica, entra la quale il ragionamento della
Corte possa estendersi. Estremizzando, la pretesa omogeneità genetica del
popolo islandese potrebbe anche portare a riconoscere, alla pari del consenso collettivo, un diritto alla privacy collettiva, che, in virtù dei legami
genetici comuni, porta a identificare un connotato di “condivisione” da
parte del singolo con l’intera popolazione, e quindi un suo diritto di opporsi.
6. Il fallimento di deCODE Genetics.
La regolazione delle biobanche di popolazione si trova oggi ad una
svolta significativa. Un nuovo “capitolo” pare, infatti, aprirsi su questo
versante, a seguito di un evento che probabilmente fungerà da “spartiacque” nella storia della genetica delle popolazioni, in generale, e nella
vicenda islandese, in particolare: si tratta del fallimento della società
deCODE Genetics, « the leader in the worldwide race to identify the causes
of common disease » 53, avvenuto il 16 novembre 2009 e dovuto a debiti
accumulati dalla compagnia, al recente crollo dell’economia islandese e alla
crisi finanziaria che ha colpito Lehman Brothers, uno tra i massimi sostedatabases: a comparative analysis of the law in Iceland, Sweden Estonia and the UK, in HÄYRY-CHADWICKÁRNASON-ÁRNASON, The Ethics and Governance,cit., 105 ss.).
52 La nuova idea di privacy emerge anche nel Working Document on Genetic Data del 17 marzo
2004, cit., del Gruppo 29, il quale rileva la presenza del biological group come « legally relevant, social
group », e anche nel Memorandum della Raccomandazione R (97) 5 del Consiglio d’Europa, al punto
38, ove si fa riferimento alla « hybrid legal protection » che spetta ai terzi, appartenenti alla medesima
linea biologica.
53 WADE, A Genetics Company Fails, Its Research Too Complex, in New York Times, novembre
2009. Traduzione: « il leader nella competizione mondiale per l’identificazione delle cause delle malattie
comuni ».
15
II, 5
La dimensione genetica
nitori, a livello finanziario, del progetto. Per Stefánsson, fondatore di
deCODE, le cause sono da cercare anche nel fatto che la società è stata
fondata in una fase in cui molti strumenti non erano ancora disponibili o
erano eccessivamente costosi, non riuscendo a realizzare farmaci in tempi
soddisfacenti per gli investitori. Secondo alcuni scienziati 54, invece, vi
sarebbe un errore scientifico, ovvero l’errata pretesa di spiegare le malattie
più comuni attraverso i genome-wide association studies (GWAS) 55, rivelatisi poco utili a raggiungere lo scopo previsto, dal momento che le
mutazioni genetiche capaci di spiegare la genesi delle maggiori malattie
sarebbero ben più numerose di quelle individuate da deCODE e un impatto
prevalente sarebbe rappresentato dalle condizioni ambientali e dagli stili di
vita: il fallimento della compagnia, allora,« is not just the death of a
company, but the death of an idea » 56.
A prescindere dalle cause che hanno portato al fallimento, deCODE si
trova oggi nella condizione di essere ricapitalizzata dalla Saga Investments,
una venture company statunitense. Le preoccupazioni circa la destinazione
dei dati gestiti dalla compagnia, la tutela della privacy dei singoli, la finalità
di commercializzazione in campo genomico, gli interessi dei ricercatori
all’accesso a tali informazioni riappaiono, allora, con forza. Se, da un lato,
gli studiosi sono convinti che « it would be a huge loss if the data disappear » 57, dall’altro ci si chiede quale sarà la sorte dei dati e delle informazioni catalogate nel database. La fallita società ha promesso che si verificherà solo un passaggio di proprietà — da deCODE a Saga - della Islensk
erfdagreining ehf, ossia della compagnia che di fatto gestisce il database e
ciò, quindi, farà in modo che non sia alterata la politica di privacy finora
adottata, né il modo di operare. La nuova compagnia 58 proseguirà, perciò,
la ricerca in campo genetico e diagnostico (con l’abbandono, però, degli
studi finalizzati a individuare farmaci ad hoc) e continuerà a essere così
54 Così D. Goldstein, genetista alla Duke Univ ersity di Durham, North Carolina (in CHECK
HAYDEN, Icelandic genomics firm goes bankrupt, in Nature, 2009, 462, 401).
55 Traduzione: « studi di associazione a livello genomico ».
56 WALLACE,
GeneWatch PR: deCODE Genetics files for bankruptcy, in http://www.genewatch.org/
article.shtml? als[cid]=532338&als[itemid]=565639(ultimo accesso: maggio 2010). Traduzione: « è non
solo la morte di una società, ma la morte di un’idea ».
57 Così M. Dermitzakis, genetista presso l’Università di Ginevra (in CHECK H AYDEN, Icelandic
genomics firm goes bankrupt,cit.). Traduzione: « sarebbe una grave perdita, se i dati sparissero ».
58 Il nuovo Chief Executive della società è Earl Collier, avvocato, in precedenza vice presidente di
Genzyme (compagnia statunitense di biotecnologie), mentre Kári Stefánsson assume l’incarico di
Direttore della ricerca. Per la nuova composizione della società cfr. WADE, Out of Bankruptcy, Genetics
Company Drops Drug Efforts, in New York Times, gennaio 2010 e in http://www.decode.com/news/
news.php?story=112(ultimo accesso: maggio 2010).
16
Diritto e genetica delle popolazioni
II, 5
garantito che la proprietà dei dati rimanga in capo ai donatori e che
l’anonimizzazione impedisca la concessione dei dati a compagnie di assicurazioni o datori di lavoro 59. Tuttavia molti osservano 60 che il carattere
preminentemente capitalistico della società acquirente non potrà non influire sull’ampliamento delle ipotesi di accesso ai dati (trasmessi, ad esempio, alle università o alle aziende farmaceutiche) o di uso futuro di essi
(chiedendo ai partecipanti un broad consent), nonché sulla commercializzazione delle informazioni. Solo il prosieguo degli eventi ci darà risposta in
tal senso.
7. Biobanche, privacy e il limite dell’interesse.
Le prospettive di ricerca che la genetica di popolazione offre sono
numerose. In particolare, è la medicina che, spostandosi « from its morphological, phenotypic to a molecular, genotypic orientation » 61, può trarne
giovamento. Eppure, il progresso non può procedere senza considerare
adeguatamente i diritti delle diverse “parti” coinvolte: il diritto alla ricerca
scientifica non può prevalere per definizione sui diritti dei singoli, che
forniscono informazioni utili proprio al conseguimento di quegli obiettivi.
Per altro verso, le pretese di privacy individuale, che possono paralizzare la
ricerca devono essere comprese nella loro reale portata. Ne deriva, allora,
che le due esigenze, lungi dall’essere opposte o in contraddizione tra loro,
devono trovare un bilanciamento.
Nella ricerca di questo bilanciamento il punto critico è costituito dal
fatto che le informazioni di tipo genetico hanno un carattere attuale e
potenziale (il significato di molte di esse non è ad oggi noto) e, per altro
verso, riguardano il diretto interessato e i suoi consanguinei (il gruppo
biologico). Dunque, la quantità di informazioni e la loro estensione nel tem_
59 Per questa posizione cfr. LEESE, deCODE data — what will happen to it and does it matter?,
dicembre 2009, in http://www.phgfoundation.org/newsletter/month/12/2009/#story-4976 (ultimo accesso:
maggio 2010).
60 Così D. Vorhaus, avvocato statunitense, e H. Wallace, direttrice di GeneWatchUK, organizzazione a tutela della privacy genetica dei cittadini britannici (in HENDERSON, Privacy fears as DNA testing
firm deCODE Genetics goes bust, in Times online, novembre 2009, in http://www.timesonline.co.uk/tol/
news/science/genetics/article6920653.ece, ultimo accesso: maggio 2010).
61 BRAND, Challenges for Public Health Genomics – the Public Health Perspective on Genomebased Knowledge and Technologies, in AA.VV., Genomics and Public Health. Legal and Socio-Ethical
Perspectives, a cura di KNOPPERS, Leiden/Boston, M. Nijhoff Publishers, 2007, 197. Traduzione: « dal suo
orientamento morfologico, fenotipico a uno molecolare, genotipico ».
17
II, 5
La dimensione genetica
po e nello “spazio genetico” di un individuo sono gli aspetti da
valutare. Il modello seguito finora, in nome del carattere potenzialmente
identificante dell’informazione estraibile da qualsiasi cellula di un
individuo, estende a ogni minima parte dell’individuo stesso le tutele
proprie di un intero essere umano, senza tenere conto del tipo di attività
svolta su quel materiale (non tutte le attività di ricerca sono uguali e hanno
lo stesso potenziale offensivo verso i diritti dell’individuo e del suo gruppo
biologico), della distanza nel tempo (tra quando un campione è stato
tratto e il momento di suo utilizzo per attività di ricerca a basso
impatto) e della distanza genetica (dal momento che non si può non
tenere conto del fatto che noi condividiamo con gli appartenenti al
nostro gruppo biologico percentuali decrescenti di informazioni comuni).
In questo senso è emblematica la Raccomandazione R (2006) 4 (vedi
sopra), laddove, a proposito dei materiali biologici per la ricerca, stabilisce
che: « Information and consent or authorisation to obtain such materials
should be as specific as possible with regard to any foreseen research uses
and the choices available in that respect » (art.10).
Noi crediamo che oggi una estensione tendente all’infinito del modello
individualistico di protezione dei diritti sia improponibile sul piano
pratico62 e concettualmente fondata su un assunto erroneo. Essa, infatti,
pur volendo dichiaratamente distaccarsi dal modello proprietario, ne
adotta una delle pretese più paradossali, ossia quella che vuole che la
proprietà si estenda usque ad caelum et usque ad inferos. Ma, così come la
proprietà fondiaria ha dovuto fare i conti con l’attività mineraria e con il
sorvolo della aviazione commerciale, scoprendo in breve di non poterla
impedire, così la pretesa informazionale e genetica, usque ad common
62 E fonte di reazioni di rigetto in toto della prospettiva giuridica garantista in nome di un
realismo ineluttabile: cfr. LUNSHOF-CHADWICK-VORHAUS-CHURCH, From genetic privacy to open consent, in
Nature Review Genetics, 2008, 9, 406 ss. In generale, nell’ambito delle biobanche la tradizionale nozione
di “consenso” è sottoposta a revisione, specialmente in riferimento al caso di possibile utilizzo
dei campioni per scopi successivi a quelli espressi nella fase di raccolta del consenso. Per alcuni
sarebbe preferibile un broad and general consent per progetti a lungo termine (ma senza idonea
informativa, visto che dati più precisi non sono possibili al momento della richiesta del consenso); altri
suggeriscono di ricontattare il soggetto cui i dati si riferiscano, appena emerga la necessità di
riutilizzare i dati; altri ancora sono a favore del blanket consent o “consenso in bianco”, mentre per
alcuni si dovrebbe optare per un multi-layered consent, ovvero un consenso con un pluralità di opzioni,
diversificate in base alle diverse finalità.
18
Diritto e genetica delle popolazioni
II, 5
ancestor e all’infinito, non può non fare i conti con il limite dell’interesse di
chi agisce in nome della privacy. In tutta la zona grigia, dove la distanza
temporale e/o genetica diventa importante, la capacità di interdizione del
diritto alla privacy potrà essere mitigata dal criterio sostanziale
dell’interesse a impedire una attività (in modo non dissimile da quanto
prevede l’art. 840, comma 2°, del codice civile italiano: « Il proprietario del
suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale profondità
nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante, che egli non
abbia interesse a escluderle ») o procedurale, secondo il quale per
proporre una domanda davanti a un giudice “è necessario avervi
interesse” (art. 100, cod. proc. civ.) 63.
La scienza interroga il diritto e offre l’occasione per meditare su istituti
tradizionali, come il consenso e la riservatezza, mentre il diritto, di fronte ai
benefici che la genetica può dare, ma anche ai problemi che essa solleva, è
chiamato a cercare soluzioni, che siano, al tempo stesso, nuove e coerenti.
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