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Riprendiamo a sindacare?
Relazione Politico Sindacale Segretario Mazzoni Riprendiamo a sindacare? Il “patto concertativo”, siglato nel 1993 tra l’allora Governo Ciampi e la CGIL, Cisl e Uil, permise alle organizzazioni sindacali di divenire parte integrante del processo decisionale dello Stato in politica economica, con un importante ruolo consultativo. Ovvio che questa concessione comportasse un costo. Questo fu il raffreddamento dell’azione sindacale, e l’accettazione di un sistema salariale “flessibile verso il basso” e il declino dei potere d’acquisto dei salari. In questa struttura i sindacati purtroppo hanno spesso avuto un ruolo di difensori dello status quo, di privilegi acquisiti da talune categorie e sono stati completamente privi di una visione a lungo termine. Secondo me in questo sta la crisi del modello sindacale, nella sua eccessiva politicizzazione e nella perdita della capacità contrattuale che ha portato a volte alla degenerazione in cui le Sigle sindacali preferiscono difendere il sistema, invece di tutelare i propri iscritti in maniera efficace. Oggi dobbiamo prendere atto della crisi di rappresentanza, che riguarda tutto il sindacato, senza distinzioni. Crisi di rappresentanza, che interessa anche la politica come le associazioni delle imprese. Perché se è vero che sempre più cittadini non vanno a votare, è anche vero che la maggior parte dei lavoratori non è iscritto ad alcun un sindacato. Ci sono milioni di precari, giovani ma non solo, che non vedono nelle organizzazioni sindacali un soggetto che li possa rappresentare. Ad oggi solo un italiano su venti si sente rappresentato da un sindacato. E meno di uno su dieci dichiara di fidarsi. Intanto però in Italia chiunque può inventarsi una sigla sindacale. E a fronte di una pletora di organizzazioni c’è una pletora di contratti collettivi. La banca dati “Unico lavoro” ne ha contati 1131. Perché? Perché il sindacato punta tutto sul contratto nazionale così da limitare il più possibile l’importanza degli accordi integrativi aziendali….che invece sono importantissimi, sia per la nostre condizioni di lavoro, sia perché consentono azioni territoriali di proselitismo e rafforzamento. C’è chi si preoccupa della deriva del sindacato, ma c’è anche chi la considera naturale espressione del cambiamento dei tempi. E non manca un’élite economica e politica che considera il sindacato un’istituzione in fase di estinzione. A questo proposito, se non mi sorprende l’atteggiamento del Primo Ministro nei nostri confronti, lamento di più le enunciazioni del Ministro Poletti, che pure viene dal mondo delle cooperative: “discutiamo coi sindacati, ma decidiamo noi”. La crisi dei sindacati ha radici lontane, come ho già detto, e precede i processi di globalizzazione e la rivoluzione dei computer e la stessa finanziarizzazione dell’economia. Con la crisi abbiamo assistito al ritorno di fiamma delle riforme strutturali come complemento essenziale delle politiche di austerità. In sostanza 1 una forma aggiornata di thatcherismo-reaganismo su scala europea e, in particolare, nell’eurozona, sotto l’egida dell’asse Berlino-Francoforte-Bruxelles. Era già successo, ricordate il “Pacchetto Treu”? Ma rimanevano ancora lontani i due principi fondamentali della deregolazione neoliberista: la libertà di licenziare e di ridurre i salari. Oggi la crisi spalanca le porte alla madre di tutte le riforme strutturali nel campo del lavoro con la sua completa e definitiva deregolazione. E’ difficile osservare nella storia dei rapporti e delle riforme sociali, se si escludono le vere e proprie rotture rivoluzionarie, passaggi così radicali e generali come quelli che si sono verificati nell’eurozona nel corso della crisi. Uno di questi momenti è la lettera della BCE al governo italiano dell’estate 2011. Le prescrizioni della “Lettera” sono molto più dettagliate di un normale programma di governo. Non solo sono prescritte le terapie, ma le dosi, i tempi e le modalità di assunzione. In breve, la rimozione degli ostacoli alla libertà di licenziamento, la flessibilizzazione dei salari tramite la riconduzione dei contratti a livello aziendale, il ridimensionamento della spesa sociale. Quanto alla deregolazione dei salari, il compito è affidato alla tendenziale liquidazione del contratto collettivo nazionale, o alla sua irrilevanza, ponendo al centro la contrattazione aziendale – una forma di americanizzazione che ha trovato in Marchionne il profeta e l’esecutore. Si può tranquillamente affermare che l’austerità, considerata quasi universalmente una politica monetaria e fiscale stupida e autolesionista provoca la sostanziale neutralizzazione del potere di contrattazione Il crollo del welfare residuale 11 milioni di cittadini già non accedono più alle cure per difficoltà economiche. Il definanziamento di 31 miliardi della sanità pubblica tra il 2010 e il 2014, sfibra il sistema. Solo 10 regioni oggi garantiscono i LEA, nonostante la nostra spesa sanitaria procapite sia inferiore del 40% degli altri paesi europei. 70.000 posti letto persi in 10 anni dagli ospedali in mancanza di un contestuale investimento in assistenza residenziale e nelle riforma delle cure primarie, senza dimenticare il problema delle carenze di organico, hanno reso le strutture pubbliche dei veri e propri lazzaretti, dai quali è difficile uscire oltreché entrare. Come ho avuto modo di dire a pubblico, colleghi, all’Assessore Montaldo e allo stesso Ministro Lorenzin in occasione degli Stati Generali della Salute, noi siamo l’ultimo baluardo a salvaguardia di un’assistenza che sembra sempre più sottratta ai dirigenti per essere attribuita a figure che non sono investite istituzionalmente del mandato di diagnosi prevenzione e cura proprie delle nostre professioni. Non possiamo più tollerare pressapochismi ed avventure di chi passa per un paio di anni nelle nostre aziende per poi sparire o scappare non senza aver creato ulteriori danni. La gestione della sanità, secondo noi, deve ritornare senza se e senza ma allo Stato. Qualunque affidamento, anche parziale, alle Regioni, riproporrà gli stessi problemi di sprechi e intromissioni della politica che si sono finora manifestati. Il 2 federalismo è fallito e le diseguaglianze tra i cittadini di diverse aree geografiche sempre più palesi. E la migrazione sanitaria un fatto. Controllo Centrale Noi siamo favorevoli alla volontà di riportare a livello centrale il controllo sulla erogazione dei LEA sottraendolo, almeno in parte, al Ministero dell'Economia per restituirlo al Ministero della Salute. Ma rimaniamo colpiti dal fatto che non si affronti nei LEA la questione lavoro in sanità, delle nostre condizioni di lavoro specie nei punti del sistema maggiormente sottoposti a stress quali i Pronto Soccorso, sempre piu' gravose e rischiose. Abbiamo visto il risultato del mancato coinvolgimento delle organizzazioni sindacali della Dirigenza medica e Sanitaria nella definizione del Patto, un esercizio laboratoristico di Regioni e Governo che non supererà la prova dei fatti. Una vera e propria occasione perduta che non sana le asimmetrie tra ciò che dovremmo fare nella cura e ciò che realisticamente ci permettono di fare. Piano Cottarelli E’ più che evidente agli occhi di tutti che non si potranno sopportare ulteriori sacrifici, pena il crollo dell’intero sistema, come sottolinea anche il rapporto dell’OCSE. L’Italia ha una spesa sanitaria pubblica pro capite di oltre un terzo inferiore alla media degli altri paesi dell’area Euro considerati nella spending review, e il divario si è triplicato dall’inizio degli anni 2000. Per questo, secondo l’Ocse, “nella situazione descritta, eventuali riduzioni di spesa non finalizzate soltanto al recupero di inefficienze si ripercuoterebbero ulteriormente sull’accesso, in particolare da parte dei cittadini più svantaggiati, sui livelli e sulla qualità dell’assistenza sanitaria”. Bocciato quindi il piano Cottarelli proposto (5,25% del PIL) per la spesa sanitaria pubblica in quanto non compatibile con il modello di Servizio Sanitario Nazionale esistente in Italia. Cottarelli mandato a casa, ricominciamo tuttavia coi tagli chiesti ai Ministeri. Tagli in sanità L’ obiettivo stimato di risparmiare coi tagli in sanità 10 miliardi di euro in tre anni rimane. Questi i principali caposaldi: riorganizzazione del sistema d'acquisto di beni e servizi, digitalizzazione, riassetto della rete ospedaliera, applicazione di costi standard e maggiori controlli e verifiche. Niente di nuovo… Nell'attesa di sapere quanto poi effettivamente sarà la cifra e se tutti i risparmi saranno reinvestiti nel comparto, in cima all'agenda degli interventi contro sprechi e inefficienze, c'è la revisione del sistema di acquisto di beni e servizi. Un piatto che in sanità vale 35,1 miliardi di euro, più di un terzo del Fondo sanitario. La ricetta anti-sprechi prevede lo sviluppo e l'integrazione delle centrali d'acquisto e una valutazione sempre più attenta al costo/beneficio del prodotto o servizio da acquistare. Contro la corruzione prevista anche la rivisitazione dei 3 sistemi di controllo interno delle aziende sanitarie con procedure e modelli uguali per tutti. Altro tema i costi standard, dalla cui piena applicazione ci si attende secondo gli annunci un risparmio di 3-4 miliardi. C'è poi l'area della digitalizzazione sanitaria. Da questa partita, secondo quanto dichiarato dal Ministro della Salute ci sono margini per un recupero di 7 miliardi in 5 anni. Altri risparmi sono previsti della riorganizzazione della rete ospedaliera e dal taglio delle cliniche con meno di 60 posti letto. Previsti infine anche maggiori controlli sull'appropriatezza di prescrizioni, ricoveri ed errori in sanità, nonché per l'acquisto di farmaci e dispositivi, con un'attenzione particolare all'eliminazione di ogni possibile conflitto d'interesse. Sul ventilato ulteriore taglio di 3 miliardi al fondo la Lorenzin per ora lo esclude: 'Mi è stato chiesto solo il taglio del 3% delle spese del ministero'. Speriamo…….. Casa salute e sistema di prevenzione Intanto si sta avviando in varie regioni il percorso di riordino e riassetto della rete di offerta. E, per quello che mi riguarda, persistono molti dubbi sull'opzione "Casa della Salute". L'obiettivo è quello di migliorare la qualità dell' assistenza mediante una razionalizzazione organizzativa, tenendo però conto dei vincoli e delle limitazioni imposte dalla situazione economico e finanziaria alle regioni, che di fatto impongono di lavorare, nella migliore delle ipotesi, in condizioni di "isorisorse" rispetto al passato. Tutti i Piani Operativi pongono particolare enfasi al "Potenziamento delle Cure Primarie" ribadendo la necessità di continuare il percorso avviato verso l'assistenza e la medicina di iniziativa. E’ doveroso superare definitivamente la concezione del territorio come servizio dell' ospedale, una politica pericolosamente distorsiva nella allocazione delle risorse, che ha fortemente penalizzato il territorio anche nel recente passato. È impensabile tuttavia continuare a programmare ampliamenti e incrementi qualiquantitativi di offerta assistenziale senza affrontare prioritariamente l'argomento dei livelli minimi di dotazione di personale, a fronte degli impegni assistenziali richiesti dalla programmazione regionale. Mi chiedo però se il modello organizzativo della Case della Salute che si stanno realizzando sia in grado di garantire un effettivo valore aggiunto rispetto alla rete assistenziale territoriale esistente, in termini di presa in carico assistenziale integrata e coordinata, semplificazione dell'accesso e orientamento e governo della domanda, senza correre il rischio di creare, invece, solamente un ulteriore centro di produzione di prestazioni, nella logica della medicina di attesa, a forte rischio di inappropiatezza. Miope di sicuro è l’atteggiamento di malgoverno del sistema di prevenzione che troviamo in tutti i piani regionali: la parcellizzazione delle competenze ha privato il settore della necessaria guida strategica. In tutto questo si procede con un taglio lineare del 50% delle strutture per la Prevenzione, ingiustificatamente sovradimensionato rispetto alla riduzioni previste complessivamente per il SSN, costringendo a incoerenti e pericolosi accorpamenti e sovrapposizioni di funzioni e 4 competenze che per il loro assolvimento richiede specifici saperi, competenze e abilità. La prevenzione merita certamente un'attenzione e uno sforzo maggiore. La Regione Lazio ad esempio, che è scandalosamente al primo posto per la spesa sanitaria complessiva distanziando, e di molto, tutte le altre regioni, per quanto riguarda la prevenzione fa mostra di insospettata virtù. La spesa per questo settore si attesta, infatti, agli ultimi posti della classifica nazionale. Mai più di 5 euro procapite al mese. E si vede. Il Lazio è, infatti, "gravemente inadempiente" su ben sei degli indicatori LEA relativi alla salute collettiva, con ampie criticità nelle le coperture di vaccinazioni non obbligatorie ma fortemente raccomandate, per l'adesione ai programmi di screening oncologici. Valori critici si riscontrano per gli indicatori relativi alla sanità pubblica veterinaria e all'igiene e la sicurezza alimentare.". Il sistema prevenzione nel Lazio non è mai stato governato, limitandosi, nei casi più fortunati, ad una mera amministrazione, in quasi totale carenza di programmazione e visione strategica. A nostro avviso è assolutamente necessaria una riorganizzazione totale del sistema prevenzione: partendo dalla ridefinizione dell'assetto regionale, aggregando in un'unica direzione o area tutti gli ambiti della prevenzione in un'architettura coerente con il mandato e soprattutto che riproponga a stampo quella dei dipartimenti di prevenzione. L'assistenza territoriale e la prevenzione non hanno bisogno di particolari risorse tecnologiche o impiantistiche e la spesa riflette quasi esclusivamente la consistenza degli organici, paurosamente impoveriti da decenni di blocco del turn over e ormai arrivati, in particolare per alcune ASL a livelli bassissimi, con fortissime disparità territoriali, con evidenti problemi, sia in ordine alla effettiva erogazione dei LEA, sia soprattutto in termini di inique disuguaglianze di offerta assistenziale e preventiva nell'ambito stesso della regione. La definizione degli organici minimi deve precedere logicamente, ancorché cronologicamente, la programmazione dell'offerta e l'individuazione delle opzioni organizzative ed è assolutamente ineludibile per garantire l'erogazione dei LEA ad un adeguato livello di qualità e sicurezza. Prepensionamenti Madia e riforma PA Il Ministro Madia ha firmato il 28 aprile la Circolare n° 4 in materia di "Piani di razionalizzazione degli assetti organizzativi e riduzione della spesa di personale. Dichiarazione di eccedenza e prepensionamento. Nella circolare vengono esaminati i limiti entro i quali è ammesso il ricorso al "prepensionamento" per riassorbire le eccedenze conseguenti alla riduzione delle dotazioni organiche o alla redazione di piani di ristrutturazione che determina una riduzione della spesa di personale. In ogni caso, viene sottolineato nel testo, il prepensionamento non può essere utilizzato come strumento per eludere i requisiti previsti dalla riforma MontiFornero. Ci avviamo dunque ad una riforma della pubblica amministrazione che include la licenziabilità dei dirigenti, tagli alle loro indennità di risultato e l’uscita di alcune decine di migliaia di dipendenti che dovrebbe preludere ad un ricambio generazionale. Nel frattempo si è dato il via a 20 mila prepensionamenti. Ma per ora non si parla di assunzioni, al contrario di quanto promesso da Madia. 5 La circolare fissa le modalità di attuazione delle norme a suo tempo varate dal governo Monti, e poi estese da quello guidato da Enrico Letta. Già in base a quei provvedimenti, era possibile applicare ai lavoratori delle amministrazioni pubbliche le regole pensionistiche antecendenti alla riforma Fornero nell’ambito delle procedure di mobilità, per smaltire gli esuberi (sia per soprannumero, ossia superamento della dotazione organica in tutte le aree e qualifiche, sia per eccedenza, ovvero in caso di superamento solo in una o più aree o qualifiche, con possibilità quindi di riassorbimento in un'altra I requisiti per l’uscita sono quelli in vigore fino al 2011, per i quali era poi previsto un successivo e graduale aggiornamento: per quest’anno sono richiesti 66 anni e 3 mesi (con 20 di contributi) per l’uscita di vecchiaia oppure, per l’anzianità, 42 anni e 6 mesi per gli uomini e 41 anni e sei mesi per le donne di contributi indipendentemente dall’età. Obbligo assicurativo Nel decreto sulla Pubblica amministrazione si cela l'accenno ad un possibile rinvio dell’obbligo assicurativo per i medici imposto lo scorso 13 agosto: il dato di fatto è che i medici per legge devono assicurarsi ma le assicurazioni non sono obbligate ad assicurarli. Un controsenso che non cambierà perché le compagnie non vogliono l’Rc obbligatoria come non volevano a suo tempo la Rc auto, solo che gli automobilisti erano di più dei sanitari. Tutto si gioca in una triangolazione fra tre leggi: da una parte, la 114/2014 di conversione del decreto Pa, dall’altra la legge 148/2011, manovra di Ferragosto Tremonti che impose l’obbligo di assicurarsi dai rischi Rc, dall’altra ancora la legge Balduzzi 2012 che apre a un Fondo per facilitare l’accesso alle polizze Rc ai sanitari in difficoltà. All’articolo 27 comma 1c) la legge del 2014 allarga le previsioni dell’articolo 3 comma 4 della Balduzzi del 2012. Quest’ultimo impone al governo di avviare il Fondo – sentita la conferenza stato-regioni - con un regolamento almeno per i medici Ssn: convenzionati e dipendenti ospedalieri. Il regolamento doveva arrivare in estate ma non c'è ancora. In compenso, i medici ospedalieri per la 114 restano esclusi dall’obbligo assicurativo. Per la legge Pa occorre rispettare l'ambito applicativo della legge Tremonti del 2011 (articolo 3, comma 5, lettera e) nella quale si ricorda che l’obbligo Rc sussiste su tutti i professionisti iscritti agli albi. In altre parole, secondo l'indirizzo del governo Renzi il regolamento evocato dalla legge Balduzzi dovrebbe valere per tutti i medici e non solo per quelli del Ssn: finché non esce, difficile sussista un obbligo Rc. Acn Si sono aperte l’11 aprile le trattative per il rinnovo delle convenzioni dei medici di famiglia, dei pediatri e degli specialisti ambulatoriali presso la sede della SISAC a Roma. Da parte mia solo pochi commenti. Inutile ribadire che riteniamo inaccettabile un rinnovo a costo zero delle convenzioni. La stessa Ministra ha dichiarato a febbraio che non si possono riformare le cure primarie a costo zero. 6 Nella piattaforma SISAC c’è un eccesso di trasferimento di responsabilità alle Regioni e conseguente ulteriore frammentazione del sistema e voi conoscete bene cosa io pensi dello strapotere delle regioni. Ribadiamo che come medici vogliamo entrare nella organizzazione e programmazione anche delle singole regioni. Ribadiamo la centralità dei medici e degli altri professionisti non demandando ad altri profili sanitari le competenze mediche. Siamo disponibile a sedere in qualsiasi momento al tavolo di trattativa delle convenzioni per confrontarci con le altre sigle sindacali e la parte pubblica nell’impegnarci per migliorare la salute dei cittadini. Infine una piccola nota sull’atteggiamento FINMG: rifiutiamo questa logica autoreferenziale che porta la maggiore organizzazione del settore a chiedere tavoli separati di contrattazione. Un approccio esclusivo che stride con la gravità della situazione della sanità italiana e con la tanto proclamata necessità di fare integrazione e rete. Abbiamo bisogno ora di maggiore senso di responsabilità, della fine del collateralismo e di ricominciare a pensare in modo unitario per il bene dei medici e per una modernizzazione reale dei servizi per i cittadini. Se la concertazione è oggettivamente finita con le parole del Ministro del lavoro e di Renzi, non deve finire l’unità intersindacale, pena la scomparsa delle nostre organizzazioni. La Sisac ha ribadito in apertura di seduta la sua volontà di attenersi rigidamente al Regolamento esistente, rifiutando adeguamenti che tengano conto della intervenuta variazione della rappresentanza sindacale. E’ stato riferito che le consultazioni avvenute in questi mesi su tavoli separati hanno evidenziato: 1. Una marcata distanza su alcuni punti della bozza Sisac da parte della stragrande maggioranza delle OO.SS. 2. Incertezze e confusione, anche da parte pubblica sulle conseguenza della Legge Balduzzi e dell’Atto di Indirizzo. 3. Una diffusa diffidenza sulla fattibilità del nuovo ACN. 4. La disponibilità di alcune Organizzazioni Sindacali, nonostante ciò, a collaborare in corso di trattativa. Alla luce di quanto previsto dall’Art. 5 del Patto per la Salute 2014-2016, appena approvato, si sono chiariti ruolo e funzioni di AFT e UCCP. Il comma 14 dello stesso articolo indica come si intende finanziare tale riorganizzazione: “Le Regioni, sulla base della propria programmazione e tenendo conto dei diversi livelli di servizio, provvedono alla dotazione strutturale, strumentale e di forme organizzative di cui alla lettera b-bis), dell'articolo 1, comma 4 della legge n.189 del 2012 sulla base dell'ACN e dei conseguenti accordi regionali e aziendali, anche riutilizzando le risorse precedentemente destinate alla remunerazione dei fattori produttivi.”. Si avranno quindi, con ogni probabilità, 21 SSR diversi: le Regioni vogliono mano libera, con un ACN fragilissimo. Ribadisco quelli che rappresentano per noi punti non negoziabili: Il comma 1 del modificato Art. 8 del D.L. 502/1992 prevede che le attività e le funzioni disciplinate dall'accordo collettivo nazionale siano inseriti nell'ambito dei livelli essenziali e uniformi di assistenza, fatto salvo quanto previsto dalle singole regioni in materia di LEA aggiuntivi, con relativa copertura economica a carico del bilancio regionale. Se ne evince che 7 eventuali scostamenti regionali da quanto previsto dall’ACN possono essere per eccesso e non per difetto, fatte salve le relative coperture economiche. Si devono definire criteri di indirizzo per favorire l’integrazione fra i livelli di negoziazione nazionale, regionale e aziendale, rendendo possibile un disegno organico e una policy coerente. Se la medicina territoriale dovrà subentrare nella fornitura di prestazioni prima in capo all’organizzazione ospedaliera, si rende indispensabile promuovere l’assistenza domiciliare, l’assistenza residenziale territoriale e l’interazione territorio-ospedale. La riduzione dei posti letto ospedalieri, rendono necessaria una rimodulazione dell’assistenza territoriale, che trova una sponda normativa nell’Art. 8 del D.L. 502/1992 modificato e nella L. 189/2012 (“Legge Balduzzi”). Tale riorganizzazione deve però salvaguardare due condizioni: 1. La capillarità degli studi medici, che compensano con la loro prossimità al cittadino il progressivo allontanamento della risposta ospedaliera; 2. Il meccanismo di scelta fiduciaria, come ribadito anche nel punto b, comma 1, del succitato Art. 8. Il blocco del contratto pubblico Altra questione primaria oggi è il blocco ventilato e poi smentito dei contratti al 2020. Adesso la Madia ha confermato il blocco fino al 2015, per mancanza di risorse. Abbiamo fatto una rapida ricerca su Google sulle dichiarazioni del Governo che vi riporto: giugno: approviamo la riforma della Pubblica Amministrazione e con i risparmi finanzieremo il rinnovo contrattuale; luglio: in autunno nessuna manovra e nessun blocco dei contratti; 22 agosto: il blocco dei contratti? pura invenzione dei giornalisti; 3 settembre: non ci sono i soldi per il rinnovo del contratto per il 2015. Le parole discordanti degli annunci non mi sorprendono data la generale confusione. Il Governo vuole rendere efficiente e moderna la Pubblica Amministrazione e mortifica quelli che la devono rendere efficiente. E’ certo che l’autunno sarà caldo, caldissimo. I circa 4 milioni di dipendenti pubblici e le loro famiglie faranno sentire la propria voce. Il funzionamento della macchina amministrativa peggiorerà. L’annuncio del Governo sul blocco dei contratti anche per il 2015 “gelerà” ancora di più i consumi. Le famiglie spenderanno ancora di meno e la produzione industriale calerà ancora di più con ripercussioni negative per i lavoratori dell’industria e della produzione in generale. Un annuncio come quello del Ministro Madia, peraltro fatto arrivare per mezzo televisivo, senza convocare le organizzazioni sindacali, è un colpo tremendo per l’economia di tutto il Paese. Dobbiamo continuare a fare sacrifici? Non saranno certamente i Medici e i Dirigenti Sanitari a dire di no. Sono anni che facciamo la nostra parte. Ma vogliamo che il Governo e il Ministro della Salute comunichino ai cittadini cosa intendono fare del Diritto costituzionale alla CURA. Se il comparto Scuola, quello della Sicurezza sono, a ragione, considerati strategici, la Salute dei Cittadini non è forse da considerare altrettanto 8 importante? Il Governo riprenda a negoziare o i medici pubblici e i dirigenti sanitari sì che diventeranno fannulloni. I DEF hanno sempre colpevolmente omesso la programmazione delle risorse per le retribuzioni del pubblico impiego. Il punto è che quelle risorse vanno trovate. I dirigenti medici hanno già subito una lunga pausa, persa una parte consistente del loro potere d'acquisto, e adesso il famoso differenziale tra pubblico e privato non può essere più utilizzato come un'arma. Pretendere che gli stessi lavoratori a cui si chiede uno sforzo di modernizzazione ed efficientamento, producano risultati mentre si impoveriscono e continuano a veder negate aspettative basilari come un rinnovo di contratti è un'inutile ingiustizia alla quale in caso di conferme ci opporremo con tutti i mezzi a nostra disposizione. Il rischio è che nuovi pericoli si nascondano dietro l’angolo. Mi riferisco in particolare alla concreta possibilità che i tagli richiesti agli enti locali si riflettano sulla spesa sanitaria delle varie regioni. Bisogna trovare soluzioni incisive per intervenire sull’annoso problema del precariato e sbloccare il turn over. L’attuale sistema tende ad appiattire la nostra professione, senza valorizzarne le peculiarità. E’ per questo che come intersindacale abbiamo chiesto di rilanciare con forza la specificità medica oppure di ricollocare altrove la nostra professione. Dobbiamo riconsiderare il nostro ruolo, ma senza obbligatoriamente uscire dal sistema di dipendenza pubblica. Dobbiamo prendere posizione dura su questa partita. E' ora di parlare in maniera univoca, forte e chiara. La nostra organizzazione non è seconda a nessuno, né per rappresentatività, né per capacità di negoziazione. E, a differenza di altri, non scodinzola, al primo cenno di gratificazione e di attenzione di un ministro, durante un dibattito mediatico e privo di contenuti reali di cambiamento quale Gli Stati Generali della salute cui ho partecipato. Io ho parlato chiaro a pubblico e media in più di un’occasione. E così occorre fare in questi momenti cruciali fino alla legge di stabilità. Il ruolo del Sindacato Un diverso equilibrio tra competenze e poteri nelle aziende sanitarie, in grado di garantire sostenibilità economica e salvaguardia del nostro sistema sanitario è oggi di importanza cruciale. Ma è ancora più cruciale recuperare quella solidarietà professionale che l’acuirsi delle incertezze fa considerare come antiquata. Le modalità della lotta sindacale sembrano molto distanti da facebook….e dai nostri iscritti più giovani. Tuttavia proprio ora che non è di moda dobbiamo riprendere a marciare e lottare, coinvolgendo i più giovani ed i meno estenuati. In momenti di pensiero debole e di individualismi, noi torniamo a riunirci dietro un pensiero forte e orgoglioso: non accetterò disfattismi nichilisti finchè sarò su questa poltrona. Dobbiamo cioè riprendere a "sindacare" E' ora che i sindacati tornino a fare il loro mestiere…sindacare, appunto, non compiacere…come dice la Treccani: "Controllare individui, enti, amministrazioni e il loro operato, specialmente per quanto riguarda lo svolgimento delle mansioni amministrative e pubbliche loro affidate..". Le varie "cabine di regia" cui abbiamo partecipato quest'anno sono solo un contentino, che non ci fa uscire dal pantano dei rapporti tra Stato e 9 Regioni nel quale siamo scivolati. Abbiamo bisogno di bandiere ed identità, agitiamo i nostri vessilli perché non siamo morti né abbiamo ancora perso…Abbiamo delle battaglie da vincere: contratto, valorizzazione del nostro lavoro, legge sulla responsabilità professionale. Occorre riprendere una stagione di lotta meno gratificante e meno comoda nelle nostre esistenze già complicate, ma è l'unica via per riprendere fiato e volare. O chiudere i battenti. Nessuno dopo questa crisi colleghi sarà uguale a prima. Ma se cambiare verso è la nuova parola d’ordine, ebbene io vi spingo a cambiarlo, a recuperare l’orgoglio del nostro lavoro di medici e sindacalisti e il nostro senso di appartenenza ad uno dei sistemi sanitari migliore al mondo, a patto che ce lo lascino governare. Ciao Daniela Trovo fra i mille documenti che mi circondano una vecchia indagine interessante, realizzata dai Dipartimenti di Sanità Pubblica di Bologna, nel 92. “La mortalità evitabile” si chiama e molti dati per quella pubblicazione li aveva forniti la cara Daniela Zoni. Collega dei servizi, sindacalista, amica, bella donna, giovane. In ogni occasione che mi ha portato in Emilia Romagna Daniela mi accompagnava, facendosi carico di una fluida organizzazione degli incontri. Aveva solo 57 anni. L’aspettavamo al congresso SIMET 2013 (non era mai mancata agli appuntamenti sindacali) di cui è sempre stata componente attiva, ma ha dovuto combattere con una crudele malattia che ha avuto la meglio su di lei. Era una collega allegra e sorridente e, al tempo stesso, sensibile e riservata. Si interessava da anni del rapporto tra ambiente e salute e di igiene edilizia, in particolare delle strutture sanitarie e socio-assistenziali. Amava le materie delle quali si occupava ed era sempre pronta a battersi perché ottenessero adeguata considerazione ed un legittimo riconoscimento. Aveva un innato senso della giustizia, che l’aveva portata ad occuparsi anche di questioni sindacali. In questo ambito ha tutelato per anni i diritti e le prerogative dei colleghi con riconosciuta serietà, interesse ed impegno per il servizio pubblico, diventando un punto di riferimento e coordinando la stessa intersindacale aziendale. E’ andata via Daniela per quello che credevamo inizialmente un raffreddore. E’ volata via in silenzio come una farfalla lasciando un vuoto che sarà impossibile colmare. Le sue risa resteranno fragorose nei nostri cuori per sempre, risa che accompagnate dalla sua cortesia e dalla sua passione rendevano il suo fare sindacato unico e coinvolgente. Lo sviluppo della tecnologia ci consente di ampliare continuamente la nostra conoscenza sui fenomeni naturali compresi quelli sulla vita e la morte che ci riguardano particolarmente. Tuttavia come dice il filosofo Norberto Bobbio non ci avvicina affatto alla conoscenza assoluta, anzi sempre di più ci rendiamo conto di quanto sia infinito il conoscibile e quanto grande "il mistero" che non potremo mai comprendere. 10