Dopo il Ponte della Castellina, presso il quale giace un piccolo
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Dopo il Ponte della Castellina, presso il quale giace un piccolo
7. Oltre la Castellina: Russi e la campagna bagnacavallese Dopo il Ponte della Castellina, presso il quale giace un piccolo santuario dedicato alla Madonna della Tosse, il fiume Lamone abbandona definitivamente la SP 302 Brisighellese-Ravennate proseguendo in direzione Fossolo ma prima di raggiungere il centro abitato piega improvvisamente verso Pieve Cesato, ritrovandosi così a scorrere proprio tra questi due paesini. Nei pressi di Pieve Cesato, e comunque prima di giungere a Russi, il Lamone è attraversato dal Canale Emiliano Romagnolo (CER), le cui acque, utili ad irrigare i territori della pianura emiliano-romagnola, provengono dal fiume Po. Nel suo percorso, il CER incontra anche i fiumi Reno, Sillaro, Santerno, Senio, Montone, Ronco, Savio e Uso. Il Ponte della Castellina prende il nome dall’omonima villa, situata poco lontano. Stando alle cronache, la villa esisteva già nel XIII secolo, ed era proprietà dei signori Manfredi di Faenza, che la vollero per controllare in particolar modo la zona fluviale del Lamone. Villa Castellina è ricordata soprattutto per il brutale delitto consumatosi il 2 maggio del 1285: protagonisti furono tre cugini, appartenenti alla dinastia dei Manfredi. A seguito di una lite, Frate Alberico invitò a pranzo presso la villa Manfredo e suo figlio Alberghetto, in virtù di un’apparente riconciliazione. Ma a pasto pressoché concluso, due sicari di Alberico si scagliarono sugli invitati, uccidendoli a suon di pugnalate. Il Buti descrive così l’epilogo dell’evento: E quando essi ebbono desinato tutte le vivande egli comandò che venessono le frutta et allora venne la sua famiglia armata […] et uccisono tutti costoro alle mense, com’erano a sedere; e però s’usa di dire: “Elli ebbe delle frutta di frate Alberigo”. Le voci di questo barbaro avvenimento giunsero ai quei tempi lontano; anche Dante seppe dell’accaduto, e nel suo «Inferno» (XXXIII, 118) spese qualche parola a proposito delle vili intenzioni di Alberico: I’ son frate Alberigo;/ i’ son quel da le frutta del mal orto,/ che qui riprendo dattero per figo. A dieci anni di distanza dall’assassinio della Castellina, nel 1295, Alberico volle la riconciliazione – questa volta in modo sincero – con i parenti diretti dei due cugini uccisi: il luogo scelto per la pace fu il convento delle monache di Santa Chiara, di cui si è già parlato in precedenza. A tutt’oggi la Villa Castellina giace in abbandono, ma ancora si impone lungo la strada che dal paese conduce a Faenza. Dopo Pieve Cesato, il Lamone giunge a Russi, incrociandosi con via Madrara: ha inizio, sul lato destro, il lungo tratto di campagna russiana che terminerà poco oltre il Palazzo S. Giacomo, situato prima di Cortina. Nel tratto di fiume che precede questa antica residenza dei Rasponi, si incontrano i resti della chiusa appartenente alla medesima famiglia, il cosiddetto “Muraglione”, costruito con lo scopo di alimentare un mulino in Traversara. Ora resta solo qualche mattone – calpestato qua e là da pescatori molto attrezzati data la forte corrente dell’acqua – ma fino agli anni ’50 del novecento questa zona era una vera e propria “spiaggia dei bagnacavallesi”, come qualcuno l’ha definita. In estate o nei giorni di festa ci si dava appuntamento presso le cascatelle del vecchio mulino ottocentesco per un bagno fresco, per prendere il sole e, nel caso dei più piccoli, per giocare. Come detto, la vecchia chiusa è oggi meta di pescatori, ma anche di coloro che non possono fare a meno di una passeggiata in riva al fiume. Il palazzo di S. Giacomo, definito da Enrico Para “la Versailles dei Rasponi”, fu fatto costruire tra il XVI e il XVII secolo dai Conti Rasponi, a cui appartenne fino alla metà del XIX secolo, quando Alessandro Rasponi morì lasciando solo tre figlie femmine: Ida, che entrava sposa in casa Negri, Zaira che entrava in casa Testi e sarebbe divenuta madre di mons. Alessandro Testi Rasponi, illustre studioso della storia della chiesa ravennate, e del generale Giacomo Testi Rasponi, Attilia che sposava Armando, il terzogenito di Luigi Carlo Farini. Scrive Gaetano Savini verso i primi anni del 1900: Questa sontuosa villa fin a mezzo secolo addietro era arredata con lusso principesco; le sale avevano arazzi storici e oggetti d’arte di valore. Ma decaduta e estinta questa nobile famiglia colle figlie del conte Alessandro, la villa poco a poco è stata spogliata di quanto conteneva; della chiesa pure furono venduti i marmi preziosi che conteneva. Furono anche demolite altre fabbriche che la rendevano più vasta, non più coltivati i giardini, e atterrato il bosco. In questi ultimi anni poi è stata venduta a varie famiglie, così è prevedibile che fra non molti anni, non effettuandosi i costosi restauri che si richiederebbero per conservarla andrà a poco a poco in rovina. Oggi, viste le condizioni del palazzo, possiamo affermare che Savini seppe veder bene. Con molta probabilità, quando egli scrisse queste righe era già stata demolita la parte più antica del palazzo, quella che si spingeva verso il fiume. Palazzo San Giacomo è noto con questo nome solo dalla seconda metà del XVII secolo; in precedenza era nominato come palazzo di Raffanara dalla località su cui sorgeva, località che, agli inizi del cinquecento, aveva assunto la fisionomia di un villaggio rurale. E tale nome di Raffanara o Raffanaria, per un certo periodo si accompagnò a quello di San Giacomo. Attualmente solo una via posta nei pressi di Boncellino, in direzione Traversara, porta questo particolare nome col quale veniva chiamato il palazzo, via Raffanara. Gli storici sono d’accordo nel ritenere che col nome di Raffanara si intendesse, oltre la suddetta località, anche il tratto conclusivo del fiume Lamone. Dagli alti argini del fiume spiccano, oltre al palazzo, l’intero centro abitato e i resti del “famoso” zuccherificio Eridania. Un po’ più lontano dal fiume rispetto a S. Giacomo e all’Eridania giace la Villa Romana di Via Fiumazzo, raggiungibile senza problemi a piedi scendendo dall’argine destro del fiume in prossimità del palazzo e proseguendo lungo il viale alberato che si apre quasi di fronte all’attuale ingresso. Il valore storico di Russi risiede tutto nel vecchio Teatro Comunale e nella Rocca del Castello, attualmente sede del Museo Civico. Molto caro ai russiani è poi il Corso Farini, al termine del quale si erge Porta Nuova. Dalla stazione ferroviaria in periferia, passa la linea Ravenna-Firenze, che prevede anche la fermata a Russi e accompagna fedelmente il Lamone fino a Crespino. Sono diversi i personaggi famosi riconducibili in qualche modo a Russi: basti citare Domenico Antonio Farini, Luigi Carlo Farini, Alfredo Baccarini. A fianco di questi nomi, che sono i più significativi, si possono aggiungere quelli dei pittori Cino Cantimori e Silvio Gordini. A Boncellino, piccola borgata sulla sinistra del Lamone sviluppantesi parallelamente a Russi, ha inizio il percorso ciclo-naturalistico del fiume Lamone, un percorso ininterrotto che porta fino alla foce; esso è percorribile sia a piedi che in bicicletta. Prima di Boncellino esistono sentieri lungo il fiume ma essi non sono inseriti in un percorso preciso, il rischio quindi è quello di rimanere bloccati strada facendo. Boncellino però è diventato famoso per via di Stefano Pelloni (Boncellino, 1824 – Russi, 1851), conosciuto come “il Passatore”, il più temibile tra i briganti romagnoli. Il soprannome gli viene dal mestiere di traghettatore sul fiume Lamone esercitato dal padre. Il “Passator cortese” – così definito dal Pascoli – compì le sue malefatte nella Romagna di metà Ottocento; a lui è dedicata la 100 km del Passatore, una gara podistica con partenza da Firenze e arrivo a Faenza. Ma se il Lamone, per così dire, ha dato la vita a Stefano Pelloni, allo stesso modo gliela ha tolta, infatti la vita del Passatore venne troncata il 23 marzo 1851, quando egli si trovava nei pressi dell’argine destro del Lamone in località Russi, per la precisione all’interno della Villa Spadina, oggi distrutta. Paola Amadesi ha fatto luce sulla morte del bandito e ci dice che quel giorno il Passatore che aveva sparato sul sussidiario Apollinare Fantini cadde colpito da una fucilata alla schiena. Si rialzò, cercando la fuga verso l’argine del fiume, al di là del quale c’era la sua casa natale ed il Boncellino […] Non fece che qualche passo, quando fu finito da un altro colpo. Così è morto, all’età di 27 anni, il “re della strada e della foresta”; il merito se lo presero Apollinare Fantini e il caporale Giacinto Calandri. Prima di giungere a Villanova di Bagnacavallo, piccola frazione situata dopo Boncellino, anch’essa sulla sinistra del fiume, il Lamone bagna la località di Traversara, che deve il suo nome all’antichissima e principesca nobiltà ravennate dei Traversari. Questa piccola cittadina è ricordata soprattutto per la Torre degli Hercolani, visibile dalla strada S. Vitale e situata a pochi passi dall’argine sinistro del Lamone. Datata 1371, fu costruita per i conti Hercolani di Traversara. Quando la famiglia fece edificare il proprio palazzo in centro a Bagnacavallo, la torre divenne luogo di villeggiatura estiva e continuò ad esserlo fino all’ottocento. Subì delle modifiche nel 1717 e nel 1736. Danneggiata dai bombardamenti nel 1944, la torre è stata in parte ricostruita. A pochi metri da Traversara, sulla bella Via Palazza che scende dall’argine destro del Lamone e si dirige a Piangipane, è sita l’antica Villa Spreti, detta anche Villa Palazza, nella cui proprietà rientra anche la chiesa di Santa Rosa da Lima, che osserva la villa dall’altra parte della strada. La casa, con le sue terre intorno, appartenne ai marchesi Spreti, che la fecero costruire probabilmente nel corso del XVI secolo, anche se per diverso tempo fu di proprietà dei conti Baracca di Lugo. La piccola chiesetta, invece, fu fatta costruire nel 1685 da Bonifacio Spreti, ed ospita al centro la lapide sepolcrale di Marianna del Sale, morta nel 1837, qui seppellita per volere del marito che poi si fece prete. L’abitato di Villanova di Bagnacavallo si presenta molto curato e familiare fin dai primi momenti. Conta 2600 abitanti ma la borgata è piuttosto estesa: la si può osservare dal Ponte della Pace, situato sul Lamone e a pochi passi dal centro. La cittadina è conosciuta per l’Ecomuseo delle Erbe Palustri – luogo di interesse in occasione della Sagra delle Erbe Palustri – di cui fa parte anche l’Etnoparco “Villanova delle Capanne”. Non lontani il monumento ai Caduti di Villanova e un esemplare di Ponte Bailey. L’esemplare in questione era montato sul fiume Lamone fino al Duemila: lo avevano voluto gli Inglesi durante le operazioni militari della Campagna d’Italia. In totale di tali ponti ne furono costruiti 2494. Riprendendo le parole di Giuseppe Masetti contenute in un testo appartenente al Museo della Battaglia del Senio-Alfonsine-Ravenna, il Ponte Bailey rimane ancora oggi un capolavoro di ingegneria meccanica in grado di reggere una portata media di 30t. Grazie all’utilizzo modulare dei suoi componenti può essere facilmente montato in poche ore da squadre di operai anche senza l’ausilio di mezzi meccanici […] La resistenza e la compattezza degli elementi, la rapidità di montaggio e riutilizzo fanno del Bailey uno strumento utile e insostituibile per ponteggi provvisori e d’emergenza, in largo uso tutt’ora presso grandi imprese di costruzione, il Genio Civile, le Ferrovie dello stato. Il Bailey di Villanova si ricollega alla storia anche perché in quello stesso punto in cui gli Inglesi avrebbero poco dopo montato il ponte, vennero impiccati, nel novembre del 1944, Antonio Bandoli, Fausto Fantoni e Matteo Morelli, tre giovani martiri villanovesi scelti dai tedeschi; inizialmente i soldati scelsero quattro giovani, ma il quarto dei condannati, Francesco Bagnari, riuscì a fuggire e ad avere poi vita lunga: morì infatti nel 2004. Remo Emiliani dice in proposito: L’Eccidio dei Tre Martiri fu un episodio che segnò profondamente la storia di Villanova. Il 16 novembre 1944, in seguito all’aggressione ai danni di un militare tedesco, i nazisti rastrellarono numerosi villanovesi: tra essi scelsero quattro giovani che vennero impiccati sulla via Rampa, lungo l’argine del fiume Lamone, nonostante i disperati tentativi dell’arciprete don Giovanni Melandri di sottrarli alla forca. Furono così uccisi Fausto Fantoni (29 anni), Antonio Bandoli (26 anni) e Matteo Morelli (20 anni); il quarto dei condannati, Francesco Bagnari, riuscì invece a fuggire perché la corda alla quale era stato appeso si spezzò. A ricordare l’evento c’è ora, in prossimità del fiume, una targa commemorativa che riporta il nome dei tre martiri. Il Ponte della Pace, le cui origini risalgono all’inizio di questo secolo, è stato montato a sostituzione proprio del Bailey.