La zattera di Lampedusa, opera dell`artista Taylor DeCaires, giace
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La zattera di Lampedusa, opera dell`artista Taylor DeCaires, giace
GalileiTimes News LICEO STATALE SCIENTIFICO, CLASSICO, LINGUISTICO GALILEO GALILEI LEGNANO Anno V - N° 3 Febbraio 2016 La zattera di Lampedusa, opera dell’artista Taylor DeCaires, giace sul fondale dell’Isola di Lanzarote. L’opera rievoca il dramma dei profughi che perdono la vita solcando le acque del Mediterraneo nella speranza di un futuro migliore e fa parte del Museo Atlantico, prima collezione artistica sottomarina d’Europa. GalileiTimes 3 4 6 8 10 11 12 13 14 Anno V N° 3 Febbraio 2016 2 IN QUESTO NUMERO NELLA SCORZA DI BETULLE NATO IN UN CAMPO DI CONCENTRAMENTO COSA VUOL DIRE LEGGERE UN LIBRO? SCANDALO: COPERTE LE STATUE CAPITOLINE? PAROLE... LO SCRITTORE CHE HA RINNOVATO LA LETTERATURA HORROR PRIMAVERA 1945 UN’AVVENTURA SOLITARIA, COSTELLATA DA PAESAGGI INCREDIBILI E VICENDE ESTREME CONIATI 2 EURO PER I CINQUANT’ANNI DALLO SBARCO IN NORMANDIA COORDINAMENTO REDAZIONALE Antonella Polimeno Camastra PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Federico Chinello IN REDAZIONE Marco Bagatella, Federico Chinello, Maria Vittoria Crugnola, Lorenzo Fortunato, Michela Grasso, Andrea Meddi Clara Morelli, Beatrice Mugnaini, Antonella Polimeno Camastra, Emanuela Re Cecconi, Letizia Santini, Martina Tognoni, Annalisa Toia N° 3 Febbraio 2016 PER COMUNICARE CON LA REDAZIONE: [email protected] GalileiTimes 3 VITA D’ISTITUTO Nella scorza di Betulle Al Galilei uno spettacolo teatrale per ricordare la Shoa I l 27 Gennaio nell’auditorium della scuola si è svolto lo spettacolo teatrale “Nella scorza di betulle”, in occasione della giornata della memoria. I ragazzi che vi hanno preso parte frequentano il triennio del liceo classico e hanno affrontato 4 mesi di prove prima di andare in scena. Ma l’importanza di ciò che è stato rappresentato non sta solamente nel grande lavoro che è stato fatto, sta soprattutto nel messaggio che si voleva dare. Sono stati presentati artisti che in qualche modo hanno tentato di ricordare la Shoa e gli eventi terribili di quegli anni, artisti che hanno caricato sulle loro spalle un compito gravoso e difficile: rendere in modo chiaro la realtà di milioni di persone che non sono più qua per raccontarla nel suo orrore. Sono stati letti dei testi, testimonianze vere e concre- te di persone sopravvissute a quella serie infinita di soprusi e umiliazioni, a quella perdita improvvisa e immediata della consapevolezza di appartenere alla specie umana, che hanno dovuto sopportare nei campi di concentramento,sterminio e addestramento. Il tutto era intervallato dal racconto di un viaggiatore-filosofo, osservatore ben cosciente di ciò che gli si parava davanti agli occhi: i residui di uno dei peggiori periodi della storia contemporanea mischiati al paesaggio muto e dolce della Polonia. E mentre i ragazzi leggevano, raccontavano, cantavano, alle loro spalle si svolgeva un identico racconto silenzioso che si rispecchiava nelle loro parole. “Nella scorza di betulle” è stata un’esperienza meravigliosa, non solo per noi che abbiamo avuto l’immensa fortuna di parteciparvi, ma credo (e spero) anche per chi ha avuto l’occasione di vederlo, rare volte infatti si può trovare un modo di rivisitare l’Olocausto così particolare e diverso rispetto alle solite rappresentazioni, immersi in un bosco di betulle tra cui si sono trovati pesanti fardelli della nostra storia, perché si, questa storia non è solo di chi l’ha vissuta ma anche nostra, che dobbiamo sentirci in dovere di ricordare e tramandare per chi, in quei campi, ha perso l’occasione di farlo. di MICHELA GRASSO “Rare volte si può trovare un modo di rivisitare l’Olocausto così particolare e diverso rispetto alle solite rappresentazioni.” Alcuni studenti* del nostro Liceo, guidati dai rappresentanti Mattia Caon e Gioele Giannotti, hanno speso le proprie vacanze di Carnevale a ridipingere la nostra Aula Studio. I ragazzi, aiutati da alcune ragazze del Liceo Artistico Candiani, hanno reso l’aulettta un luogo più accogliente e hanno dato un esempio di come sia possibile ottenere grandi risultati quando si uniscono le forze. Un grazie ai rappresentanti e a tutti i volontari che hanno impiegato il proprio tempo e le proprie energie per tutti noi. * (Potete trovare i nomi dei volontari su una delle pareti dell’auletta) N° 3 Febbraio 2016 GalileiTimes 4 MONDO STORIE DI VITA / SHIN DONG-HYUK, ESULE NORDCOREANO FUGGITO DAI CAMPI DI PRIGIONIA A 23 ANNI Nato in un campo di concentramento Ambascaitore ONU per i diritti umani, ha raccontato la sua odissea nel libro “Fuga dal Campo 14” di MARTINA TOGNONI “A quasi 10 anni dalla sua fuga, il corpo di Shin è una mappa recante i segni dell’orrore che ha vissuto.” S hin Dong-Hyuk, nato il 19 novembre 1982, oggi ha 32 anni; quando parla non gesticola, la sua voce sembra non tradire nessuna emozione, si muove appena. E’ un uomo come molti ma la sua storia ha dell’incredibile. Shin infatti è l’unica persona nata in un campo di concentramento nordcoreano riuscita a evadere. La sua famiglia era rinchiusa nel campo 14 di Kaechon, il più grande e anche il più duro “spazio di rieducazione e lavoro collettivo”, da due generazioni: suo zio era scappato in Corea del Sud e, come dice la legge, per le tre generazioni successive la famiglia del fuggitivo fu imprigionata. Shin è stato concepito durante uno dei cinque incontri coniugali concessi per buona condotta ai detenuti durante un anno; è stato cresciuto dalla madre, insieme al fratello più grande, mentre il padre lo ha visto solo poche volte. Una sera, quando aveva 13 anni, sentì la madre Jang Hyegyung e il fratello progettare un piano di fuga. Shin li denunciò. Così gli avevano insegnato, così era consuetudine fare. Lo fece solamente per avere un po’ di cibo in più. Ma le guardie sospettavano che anche lui fosse coinvolto nel piano e lo rinchiusero in una cella, torturandolo per mesi. Quando giustiziarono i suoi familiari, Shin era in prima fila. In quei momenti non provò nulla, anzi, era sollevato di non essere al loro posto. Il giovane racconta anche di aver odiato la madre; poiché lo aveva messo al mondo in quella realtà. Molte madri infatti, rinchiuse nei lager, preferiscono uccidere il proprio bambino, appena dopo il parto. Oggi invece, Shin, se potesse rivedere sua madre, le chiederebbe perdono per tutto quello che ha fatto. Come il giovane nordcoreano racconta, la vita all’interno del campo 14 è infernale e alienante. Tutti i prigionieri scontano l’ergastolo e la speranza di vita è circa di 45 anni; la giornata è scandita dal lavoro e dalle violenze. Sono le guardie che comandano: tutti si devono sottomettere al loro potere. A ogni piccola mancanza, corrisponde un’amputazione o un giro nei sotterranei. Nelle baracche ci sono vasche d’acqua per affogare i detenuti, ganci attaccati al muro per sospenderli sopra al fuoco, flaconi d’acqua mista a peperoncino N° 3 Febbraio 2016 da versare nel naso. Il suicidio è vietato in questi campi come nei Lager nazisti. Shin racconta che durante una ispezione a scuola, una insegnante trovò in tasca a una bambina cinque chicchi di mais; quindi le ordinò di andarsi a mettere in ginocchio di fronte alla lavagna e iniziò a picchiarla con una bacchetta. I bambini di nove anni guardavano. La testa e il naso della ragazzina iniziarono a sanguinare. Poi crollò a terra svenuta, allora Shin e i compagni la portarono a casa trascinandola per le braccia. Morì durante la notte. A 22 anni, nel 2004, Shin conobbe un altro detenuto, un certo Park, mentre lavorava nella fabbrica tessile. Lui veniva da fuori, aveva visto cosa c’era al di là del muro. Raccontò a Shin della libertà, del mondo, e soprattutto di tutto il cibo che aveva mangiato. Questo fu il vero motivo che convinse Shin a scappare: la fame. Perciò i due progettarono la fuga e il 2 gennaio 2005 riuscirono finalmente a scappare da quell’inferno. I due compagni colsero l’occasione quando furono assegnati alla raccolta legna sulla collina vicino al perimetro. Park fu il primo a tentare di scavalcare la recinzione elettrificata, ma venne folgorato. Shin allora usò il suo corpo come una sorta di messa a terra e riuscì nell’impresa, ustionandosi solamente una gamba. Dopo aver corrotto le guardie di frontiera andò in Cina e vagabondò per circa un anno guadagnandosi da vivere lavorando per alcuni allevatori locali. Si convinse a spostarsi sentendo che molti fuggiaschi si erano salvati grazie alle chiese coreane. Andò quindi verso Pechino, Tianjin, Jinan e Hangzhou, non trovando qualcuno che potesse o volesse dargli qualcosa in più che un pasto caldo. A Shanghai finalmente conobbe un giornalista che lo portò all’ambasciata sudcoreana. Venne quindi interrogato più volte sia dai sudcoreani che dagli americani sottoponendosi anche alla macchina della verità. Iniziò poi un percorso di recupero per ex prigionieri dei lager nordcoreani e affrontò una forte depressione causata anche dei sensi di colpa provocati dalla fuga. Grazie ad associazioni benefiche visse alcuni anni in California per poi trasferirsi definitivamente e Seoul. A quasi 10 anni dalla sua fuga, il corpo di Shin è una mappa recante i segni dell’orrore che ha vissuto: le caviglie deformate dai ceppi per tenerlo appeso a testa in giù durante l’isolamento, mentre la schiena è marchiata da ustioni. Le braccia sono piegate ad arco per i lavori forzati, il dito medio della mano destra è stato mozzato per avere fatto cadere una macchina da cucire. Il basso ventre forato dal gancio con cui le guardie l’avevano appeso sopra le fiamme per torturarlo. Gli stinchi sono bruciati dal recinto elettrificato scavalcato durante la fuga. Oggi è conduttore di Inside NK, programma (visibile anche su You Tube) impegnato nella propaganda e nell’informazione contro la dittatura nordcoreana, inoltre Shin è ambasciatore dell’ONU per i diritti umani, girando il mondo per raccontare la sua storia. Storia divenuta libro, “Fuga dal campo 14”, scritto dal giornalista americano Blaine Harden. Grazie alle testimonianze di Shin, oggi siamo a conoscenza delle atrocità commesse all’interno dei campi nordcoreani, dove si stima che attualmente vi siano rinchiuse tra le 150 mila e le 200 mila persone, sia oppositori politici e cittadini. E loro, proprio come Shin, accettano questa vita di orrore reputandola l’unica possibile. È stato pro- prio il giovane sopravvissuto a raccontare di come non si fosse mai chiesto cosa ci fosse al di fuori del campo, senza sentire il desiderio di fuggire. Semplicemente credeva che ci fossero persone nate con le armi e altre nate prigioniere. Amore, pietà, famiglia, tutte parole senza un vero signifi- “A Shanghai finalmente conobbe un giornalista che lo portò all’ambasciata sudcoreana.” “La vita all’interno del campo 14 è infernale e alienante.” cato per Shin. All’interno del campo, Dio non era né morto né scomparso, semplicemente non era mai esistito. Circa un cittadino nordcoreano su dieci è stato imprigionato. La cattura scatta per innumerevoli motivi: basta avere una Bibbia o dimenticare la data di nascita di uno dei membri della famiglia Kim. Shin non sa se si sente libero veramente, non riesce ancora ad abituarsi. Pensava che poter mangiare, dormire e muoversi senza chiedere il permesso bastasse per superare gli incubi ed essere felice. “Ma forse mai sarò libero.”. N° 3 Febbraio 2016 GalileiTimes 6 RIFLESSIONI CIBO PER LA MENTE / DALLA DEFINIZIONE DEL DIZIONARIO A CICERONE Cosa vuol dire leggere un libro? Insieme di fogli stampati cuciti insieme e racchiusi in una copertina o alimento della giovinezza e gioia della vecchiaia? di LETIZIA SANTINI S econdo il dizionario, i libri sono “insieme di fogli stampati cuciti insieme e racchiusi in una copertina”. Niente di più giusto, ma secondo voi, cosa sono realmente i libri? Sono soltanto un insieme di pagine, oppure sono qualcosa di più? Sinceramente, io penso che il libro sia un modo per poter evadere dalla vita abitudinaria di tutti i giorni, partendo per mete sconosciute, usando la fantasia e l’immaginazione, un po’ come quando si è piccoli. Nella vita di tutti i giorni, spesso dimentichiamo la spensieratezza di quando si è piccoli, la magia che accompagna ogni momento. Gli scivoli diventano castelli, le altalene aeroplani, la sabbia farina per torte. Spesso mi “Sinceramente, io penso che il libro sia un modo per poter evadere dalla vita abitudinaria di tutti i giorni, partendo per mete sconosciute, usando la fantasia e l’immaginazione, un po’ come quando si è piccoli.” capita di avere nostalgia di quei tempi, quando ancora tutto mi sembrava una nuova realtà da scoprire. Un libro, dunque, non può essere anche questo? Un modo per ricordarsi quanto spensierata possa essere la vita anche oggi, dove tutto sembra correre, e dove ogni momento scompare e viene dimenticato nell’istante stesso in cui passa. Quando si legge il tempo diviene relativo, tutto intorno si ferma. Sembra che vi sia più tempo per tutto, che un momento duri un’eternità. Vi è mai capitato di iniziare a leggere con il sole, e finire quando questi è ormai scomparso dietro l’orizzonte, perdendovi tra mille parole, e altrettanti pensieri? Secondo Cicerone “I libri sono l’alimento della giovinezza e la gioia della vecchiaia.” Cosa vuol dire questa frase? Secondo me, in base al punto di vista può assumere significati differenti. Secondo il mio, Cicerone intende dire che i libri sono come dei piccoli mattoncini di sapere, che impilati uno sull’altro, riescono ad alimentare, quindi rallegrare, incoraggiare, riempire la vita di un giovane, per poi far parte di lui. E dopo? I libri verranno mai dimenticati? Pensatevi tra molti, e molti anni, seduti su una sedia a N° 3 Febbraio 2016 dondolo, intenti a guardare i vostri nipoti. Ogni loro piccolo gesto vi ricorderà le gesta di un eroe dei vostri libri, se mai dovesse agitare un bastoncino potrebbe ricordarvi Harry Potter, o se si imbattesse in disegni strani Shadowhunters, e molti altri ancora. Questo è –ovviamente- ciò che io penso riguardo una delle mie più grandi passioni, ma ho voluto ampliare un po’ la mia “ricerca”, chiedendo ad alcuni miei compagni di lettura cosa significhi realmente leggere per loro. Una di loro mi ha risposto così: “per me leggere significa entrare in un mondo in cui mi sento accettata”. Devo essere sincera, mi ha lasciato molto sbalordita questa sua affermazione, anche se mi ha fatto molto pensare. Un semplice libro, fatto di carta ed inchiostro, può essere un rifugio, può aiutare a dimenticare le preoccupazioni per un attimo, e farti sentire in un posto che senti realmente tuo, personale. Un’altra mia amica, mi ha risposto: “Per me leggere è vivere, perché lo faccio da quando era piccola. Ricordo ancora i libri con le immagini che avevo da bambina, di cui imparavo le storie a furia di sentirle per riuscire a leggerle da sola. Non ho mai GalileiTimes 7 RIFLESSIONI “Per me leggere è vivere, perché lo faccio da quando era piccola. Ricordo ancora i libri con le immagini che avevo da bambina, di cui imparavo le storie a furia di sentirle per riuscire a leggerle da sola.” pensato alla mia vita senza la lettura, è come una necessità al pari del bere e del mangiare. Quando leggo mi sento in pace con me stessa, mi sento capita, mi sento incoraggiata a fare qualcosa. Come diceva Umberto Eco, ho la possibilità di vivere altre vite e altre situazioni.” Io penso che questo sia ciò che tutti noi pensiamo, e che tutti noi proviamo nello sfogliare le pagine di un libro. Un altro pensiero, è stato: “Se un libro è davvero bello è quasi come entrare a far parte della storia stessa, come se per un certo periodo potessi vivere in un mondo differente, anche migliore.” Quante volte capita di entrare nel libro, camminare tra le parole, e saltare tra le pagine, immaginando di essere davvero parte della storia? Infine, l’ultimo mio compagno di lettura mi ha risposto: “Mi piace leggere perché è interessante, potrei passare pomeriggi interi leggendo. Mi permette di imparare cose nuove ed ampliare il mio lessico.” La lettura, infatti, non solo può essere interessante, ma anche costruttiva: può insegnare culture e tradizioni differenti, parole nuove e ricercate, quindi come rivolgersi, come parlare. La cultura di una persona, si vede anche dal modo in cui questa parla, da come imposta il discorso, dalle parole che usa, come dice un mio professore. In conclusione, vorrei riproporvi la domanda. Cosa vuol dire leggere un libro, per voi? N° 3 Febbraio 2016 GalileiTimes 8 ATTUALITÀ Scandalo: coperte le statue capitoline? Come i media ci manipolano di CLARA MORELLI N o, il messaggio non è “è tutto un complotto”, sono i fatti visti da una prospettiva diversa. Diversa dalla bomba mediatica che dopo il 26 gennaio ci è esplosa addosso, da ogni quotidiano, telegiornale e sito web. I fatti sono noti a tutti: in occasione della visita del presidente Iraniano Rohani a Roma, le statue nude dei musei capitolini sono state coperte. La risposta delle autorità politiche competenti è stata un italianissimo non ne sapevamo nulla e poi il caos: ogni rete televisiva grida allo scandalo e, come previsto, grida da piazza in protesta si levano da ogni profilo facebook e twitter, “ci siamo venduti!”, “l’arte non si copre!”, “siamo lo zerbino dell’Iran!”. Quanti si sono fatti trascinare dalla vis polemica che ha pervaso il mondo della comunicazione? Tanti. Quanti sono andati oltre il sentito dire, oltre la scia della “Quanti si sono fatti trascinare dalla vis polemica che ha pervaso il mondo della comunicazione?” frase fatta? Quanti hanno riflettuto criticamente sul gesto, si sono domandati il contesto, hanno cercato di capirne le motivazioni? Pochi. Troppo pochi. Crearsi un opinione propria, che sia frutto di una riflessione profonda e individuale non è una cosa semplice, richiede un sforzo, un impegno, un passo in più rispetto alla notizia flash sentita di sfuggita alla radio. Cambiereste idea se sapeste che il gesto di coprire tempo- N° 3 Febbraio 2016 raneamente alcune statue è un’abitudine consueta quando si tratta di relazioni diplomatiche? Cambiereste idea se sapeste che nel giugno dello scorso anno, in occasione della visita del Pontefice a Torino sono stati coperti alcuni dipinti considerati forti di Tamara de Lempicka? Probabilmente no, non ancora. La domanda è perché? La risposta non è semplice, ci sarà un motivo per il quale bisogna studiare anni per fare l’ambasciatore e il diplomatico. GalileiTimes Rispetto. La realtà non segue una direzione univoca, tra il bianco e il nero ci sono infinite tonalità di grigio, e saperle distinguere significa pensare in modo critico, prendere un fatto e scandagliarlo in ogni sua sfumatura, per capirlo e farsi un’opinione che non sia un urlo cieco e infondato. In questa occasione nessuno ha sminuito la meravigliosa anima italiana, la straordinaria danza di forme, colori che è la nostra arte. L’Italia non deve sentirsi svilita. Non bi- sogna dimenticare che Rohani ha fatto una scommessa di 17 miliardi di euro sull’Italia, 17000 milioni. Da sempre l’Iran predilige la qualità del made in Italy a ogni prodotto europeo e intercontinentale, non a caso l’Italia è stato il primo paese visitato dopo la fine dell’embargo imposto all’Iran negli ultimi decenni (Per quale motivo credete che la stampa internazionale si sia così accesa e indignata?) Ma fondamentale è capire il sottile confine tra rispetto per l’ospite e servilismo. Quando si riceve un esponente politico di religione ebraica si ha l’accortezza di escludere dai cibi offerti maiale e coniglio, non per questo la cucina Italiana è svilita. In questo caso nessuno ha imposto a Roma di coprire i suoi nudi, è stata un accortezza diplomatica per tutelare Rohani (probabilmente all’oscuro di ogni cosa, sono come sopra detto gli ambasciatori ad occuparsi delle modalità 9 ATTUALITÀ degli incontri. ndr): nell’ottica (discutibile) della cultura islamica la simpatia eccessiva verso i costumi occidentali avrebbe potuto essere strumentalizzata dall’opposizione politica di Rohani, estremisti integralisti (non isis ma quasi, “Non bisogna dimenticare che Rohani ha fatto una scommessa di 17 miliardi di euro sull’Italia, 17000 milioni.” ndr), è inutile esplicitare quale delle due tendenze politica sia quella migliore per l’Europa e per il mondo oserei dire. Lungi da me santificare l’Iran e la sua neopolitica filo-occidentale o screditare il valore della magnifica bellezza artistica italiana. In ogni caso ciò che è bene ricordarsi di fare è riflettere, sempre. N° 3 Febbraio 2016 GalileiTimes Parole... di FEDERICO CHINELLO L a parola, prerogativa dell’essere umano, nacque migliaia di anni fa. Da allora nessun altro vivente è riuscito ad elaborare uno strumento comunicativo tanto pregnante. L’uomo, senza dubbio, fu indotto a parlare da un’esigenza di tipo essenzialmente pratico: trasmettere elementari informazioni ai propri simili; ma non solo. E’ infatti possibile collegare la nascita della parola anche ad una sopita istanza interiore, ad un’intima, ancora incosciente, necessità - connaturata all’uomo stesso - di esternare il proprio pensiero. Col tempo, abbiamo imparato ad utilizzare la parola per comunicare contenuti anche molto complessi: tra questi, i sentimenti, le emozioni. Soprattutto per mezzo della letteratura, la parola è divenuta uno strumento di scavo attraverso cui portare alla luce la nostra interiorità, proiettandola nella realtà a noi circostante. Questo ruolo di tramite della parola costituisce tuttavia anche il suo principale limite: ridurre una tumultuosa suggestione dell’animo a una 10 L’OPINIONE ordinata sequenza di vocaboli implica inevitabilmente la perdita di alcune, importanti, sfumature. Ciò si evidenzia soprattutto nell’ambito della letteratura. Lo scrittore, consapevole di non poter esprimere a pieno i propri moti interiori, cerca di farli giungere al lettore almeno in parte, ma l’aspirazione risulta pressoché vana. Vana perché, se è vero che con la scrittura si riesce a trasmettere un contenuto, l’atto dello scrivere cela in ogni caso una continua lotta tra sentimento e parola: la seconda cerca di domare il primo, di imbrigliarlo con redini fatte di un razionale susseguirsi di lettere. Ma il sentimento è spesso troppo forte e ha la meglio sulla parola, che, rassegnata, deve ammettere il proprio limite. La parola si presenta dunque come un’entità ancipite: conferisce forma al pensiero, ma inevitabilmente ne riplasma la sostanza, semplificandola. Scrisse Johann Wolfgang Goethe: “Ciascuno esplori se stesso e troverà che la cosa è molto più difficile di quanto non si possa pensare; poiché purtroppo abitualmente le parole sono per l’uomo dei meri surrogati: per lo più egli pensa e sa meglio di quanto si esprima”. Nonostante il naturale im- N° 3 Febbraio 2016 poverimento cui è soggetta qualsiasi percezione interiore convertita in linguaggio, la parola è senza dubbio uno strumento espressivo senza paragoni, duttile e dalle infinite potenzialità. Le lettere sono elettrodi, le frasi circuiti. E gli elettrodi, assieme ai circuiti, formano straordinari congegni, originano nuovi mondi, dove regna un’essenza profonda e impalpabile. Negli ultimi anni, soprattutto a seguito della massiccia diffusione di modalità comunicative improntate all’immagine, stiamo assistendo ad una progressiva riduzione dell’uso della parola adeguata da parte dei più. Con l’avvento dell’era digitale, i ritmi di vita dell’uomo sono divenuti frenetici. “Velocità” è il termine chiave della modernità. In ogni ambito si richiedono sintesi e brevità. Tutto ciò produce conseguenze gravi sul linguaggio, le cui fondamenta risultano oramai corrose. Di generazione in generazione la sintassi si semplifica, il patrimonio lessicale si depaupera: trasmettere il proprio pensiero senza incorrere in un’eccessiva banalizzazione è impresa ardua. Come all’interno di un processo involutivo, l’uomo moderno non nutre più il desiderio di penetrare la realtà che lo circonda attraverso la parola, ma si nutre di significati già confezionati, propinatigli dalla società del consumismo. L’uomo moderno, incoscientemente prigioniero in una gabbia di silenzio. L’uomo moderno, parlato e non parlante. GalileiTimes 11 CULTURA Lo scrittore che ha rinnovato la letteratura horror Lovercraft morì convinto di essere stato una nullità L ovecraft è stato uno scrittore che ha rinnovato la letteratura del terrore, unendo nei suoi racconti fantascienza, fantasy e horror. È stato fonte di ispirazione per scrittori del calibro di Stephen King e Neil Gaiman, e per registi come Guillermo del Toro e John Carpenter. Nonostante la popolarità raggiunta ai nostri giorni, Lovecraft non vide mai una sua opera sotto forma di libro, solo in riviste pulp e morì convinto di essere stato una nullità. “Il senso dell’umorismo mi ha aiutato a sopportare la vita: infatti, in mancanza d’altro riesco sempre a procurarmi un sorriso sarcastico riflettendo sulla mia stessa insignificante ed egoistica esistenza!” Lovecraft proveniva da un ambiente familiare travagliato: il padre morì in manicomio dopo la sua nascita mentre la madre cadde lentamente in preda alla follia, impedendo al figlio di uscire di casa o di andare a scuola, tutto ció aggravato da un crollo finanziario che porto la sua famiglia alla povertà. Questi fatti lo portarono ad escludersi dalla società e a considerarsi estraneo al mondo, rispecchiandosi nei personaggi creati dalla sua penna. Nonostante la sua solitudine ebbe un incredibile corrispondenza con altri intellettuali, scrivendo all’incirca 100 mila lettere in 20 anni, tra cartoline e resoconti, alcuni anche da 70 pagine. Al centro dei suoi di LORENZO FORTUNATO “La visione pessimistica della vita era un elemento tipico di Lovecraft.” racconti pone un pantheon di incredibili creature mostruose e divine dai mille occhi e tentacoli, provenienti dalle profondità dello spazio, le quali hanno creato l’umanità per puro errore. La visione pessimistica della vita era un elemento tipico di Lovecraft, il quale considerava la vita un fenomeno sopravvalutato, difatti nei suoi racconti gli umani sono solo pedine che subiscono lo scorrere degli eventi, culminanti con un finale a sorpresa grottesco. Nonostante il suo cinismo e la sua apatia, nei suoi scritti dimostrò una ricchezza di umanità e genio, riflettendo sulla vita e sulla religione, mostrando anche come a volte gli esseri piú mostruosi si nascondano dentro di noi. È interessante come le creature nate dalla sua penna rappresentano gli aspetti piu brutali e malvagi dell’uomo, nascosti da un velo sottile che può stracciarsi quando si affronta il vero volto della realtà. “Questa nostra razza umana non è che un banale incidente nella storia dell’universo. Negli annali dell’eternità dell’infinito non ha più importanza del pupazzo di neve di un bambino nella storia dei popoli delle nazioni di questo pianeta” GalileiTimes 12 CULTURA Primavera 1945 Un salto indietro per rivivere quei momenti con gli occhi semplici di un ragazzo di 17 anni di EMANUELA RE CECCONI “Quello che invece va perdendosi dalla memoria collettiva sono tutte le piccole storie di gente ordinaria.” L a storia sta finalmente per subire una svolta netta, dopo anni di conflitti apparentemente insanabili, battaglie infinite, tuoni di aerei nel silenzio della notte e eserciti allo stremo. Le vicende e gli esiti della “Grande Storia” sono più o meno noti ai posteri, quello che invece va perdendosi dalla memoria collettiva sono tutte le piccole storie di gente ordinaria vissuta in quei tempi bui. La mia proposta è di fare un piccolo salto indietro nel tempo per rivivere quei mesi di trasformazione con gli occhi semplici e forse un po’ inconsapevoli di un ragazzo di 17 anni (per comodità lo chiameremo Giovanni) che non si trovava ancora al fronte, in quanto minore, bensì occupato in una azienda statale la quale produceva calzature per l’esercito ufficiale. L’indagato speciale, classe 1927, mi racconta volentieri di quel tempo per noi lonta- nissimo ancora ben impresso nella sua memoria... La tragedia era giunta come inevitabile: dopo la guerra in Abissinia e le forti sanzioni della Società delle Nazioni ai danni dell’Italia fascista, il nostro Paese di ritrovò alle strette e si avvicinò agli unici che sembravano offrire un appiglio al Duce: Hitler e la sua Germania. Quando la guerra scoppiò, l’Italia si trovava ormai troppo vicina alla Germania e la scelta di entrare in guerra al fianco dei tedeschi era in quel frangente quasi obbligata. Giovanni allora era poco più che un bambino. La notizia ovviamente scosse la tranquillità di quegli ambienti che dopo anni di dittatura si erano costruiti un proprio equilibrio, le razioni di pane e zucchero, le campane notturne, i giovani al fronte, un’atmosfera mista di ammirazione e orrore per un ragazzino. Tuttavia la vita scorreva abbastanza N° 3 Febbraio 2016 tranquilla, i fronti erano lontani e quelli che rimanevano erano troppo occupati a lavorare. La situazione per la popolazione precipitò quando l’Italia cambiò fronte: i fascisti dopotutto era pur sempre Italiani, ma i tedeschi no, i tedeschi erano cattivi, spietati con quelli che li avevano traditi; e si sa, più si avvicina la fine, più i violenti si sfogano sui deboli. Tornando alla primavera del 1945, l’armata tedesca ormai conservava solo pochi avamposti nella nostra Penisola, a cui però si attaccò con i denti. In un pomeriggio qualunque il nostro Giovanni camminava con un amico lungo il Sempione, andava in ditta, verso i colli di Sant’Erasmo, (in quella zona erano stanziate le sentinelle tedesche) , quando d’un tratto uno sparo ruppe il silenzio. In fondo alla strada accasciato giaceva un uomo, una ferita alla coscia e fiumi di sangue. Non si era fermato all’alt quel disgraziato, se lo caricarono in spalla, le mani alzate in segno di pace e corsero verso l’ospedale. Di episodi come questi ne accadevano molti, alla luce del giorno, in quei mesi finali, stremati. Poi finalmente la liberazione, gli Americani entrarono a Milano, l’Italia si volgeva verso un futuro democratico e libero. Ma che ne rimane di quelle storie ordinarie, di gente comune, che fino all’ultimo rimase nella propria terra a convivere con il dolore? GalileiTimes 13 CINEMA Un’avventura solitaria, costellata da paesaggi incredibili e vicende estreme La storia è ispirata alla leggendaria vicenda del trapper statunitense Hugh Glass L eonardo DiCaprio, Tom Hardy e Domhnall Gleeson: The Revenant, ultima pellicola del regista messicano Iñárritu, era sulla bocca di tutti ancor prima di uscire nelle sale italiane il 16 Gennaio 2016. La storia è ispirata alla leggendaria vicenda del trapper statunitense Hugh Glass, che ha compiuto oltre 300km di marcia solitaria nei territori del Missouri senza armi né viveri, dopo essere stato ferito da un orso e abbandonato dai suoi compagni in fin di vita. Per quanto possa sembrare una storia paradossale e forse un po’ banale per reggere un intero film, Iñárritu riesce a tenerci attaccati allo schermo per ben due ore e mezza, preoccupati della sorte di DiCaprio (morirà anche questa volta?) in quella che forse potremmo definire la sua più grande interpretazione dal 1990 ad oggi. Certo non bisogna aspettarsi un film ricco di dialoghi e teatrale quanto The Hateful Eight, bensì un’avventura solitaria, costellata da paesaggi incredibili e vicende estreme: la natura contro l’uomo. Hugh Glass affronta i pericoli più svariati, primo tra tutti un orso grizzly. L’orso di The Revenant ha forse superato la fama dell’attore principale, tanto da incuriosire un po’ tutti e diventare uno dei principali argomenti di discussione di tutto il film. Compare sullo schermo per circa sei minuti, con una realisticità pazzesca, ma a detta del regista è una creazione di CGI (Computer-Generated Imagery): non un vero orso, ma una fantastica performance di computer grafica. Se il grizzly è un grandioso risultato digitale, gli scenari apocalittici non hanno nulla a che vedere con un green screen: le riprese sono avvenute nel gelido clima Canadese e nella Terra del Fuoco Argentina, mettendo alla dura prova i macchinari da ripresa e l’incolumità degli attori. Leonardo DiCaprio, noto per aspirare ad una perfezione recitativa, questa volta è arrivato ad indossare una pelliccia di 45 chili, svegliarsi alle tre di notte per il trucco, recitare a temperature sotto zero dichiarando di “aver rischiato più volte l’ipotermia” e prendere una bronchite, che però rende la tosse di Hugh Glass realisti- ca più che mai. Dopo l’impresa erculea, Leonardo ha ottenuto il plauso generale ed il Golden Globe, che ha dedicato alle popolazioni indigene che nel corso della storia hanno perso la propria indipendenza, sono state sottomesse e private di tutto, quelle popolazioni a cui l’attore si riferisce cosi: “è giunto il tempo di riconoscere la vostra storia e di proteggere i vostri territori (….) è giunto il tempo che le vostre voci siano sentite e che il pianeta sia protetto per le prossime generazioni”. Infatti The Revenant non è solo la drammatica vicenda di un cacciatore statunitense, ma è anche la storia degli indiani d’America che possono sembrare “i cattivi” del film ma che, se guardati con un po’ più di attenzione, sono le vere vittime di tutta la vicenda, le vittime silenziose dell’avidità umana. N° 3 Febbraio 2016 di ANTONELLA POLIMENO CAMASTRA “Un’avventura solitaria, costellata da paesaggi incredibili e vicende estreme: la natura contro l’uomo.” GalileiTimes 14 CURIOSITÀ NUMISMATICA / PERCHÉ LA MONETA RIPORTA I VERSI DELLA POESIA CHANSON D’AUTOMNE DI PAUL VERLAINE Coniati 2 euro per i cinquant’anni dallo sbarco in Normandia I primi versi della poesia furono utilizzati da Radio Londra, insieme dei programmi radiofonici trasmessi dalla BBC e indirizzati alle popolazioni europee, come messaggio in codice l’1 luglio 1944 di MARIA VITTORIA CRUGNOLA N on sono mai stata un’appassionata di numismatica e ho sempre ritenuto del tutto inutile collezionare monete dello stesso valore ma con dritti differenti. Eppure poco tempo fa mi sono vista brillare tra le mani una moneta da due euro nuova nuova da sembrare appena uscita dalla pubblicità della “Cillit Bang”. Guardandola attentamente mi sono subito accorta che non erano i soliti due euro con il nostro amatissimo Dante Alighieri, ma la moneta in ricordo dei cinquant’anni dallo sbarco in Normandia (1944 – 2014). E guardando più attentamente mi sono accorta che sulla moneta era presente una brevissima poesia che vi riporto: CHANSON D’AUTOMNE Les sanglots longs Des violons De l’automne Blessent mon coeur D’une langueur Monotone. CANZONE D’AUTUNNO I singhiozzi lunghi dei violini d’autunno mi feriscono il cuore con languore monotono. L’autore della poesia è Paul Verlaine, poeta francese vissuto tra il 1844 e il 1896 e considerato un “poeta maledetto” (vedi nota a margine). Il tono di molte delle sue poesie che combinano spesso malinconia e chiaroscuro, rivela, al di là della forma efficace di semplicità, una sensibilità profonda. Ma cosa c’entra Verlaine con la seconda guerra mondiale dato che sarebbe stato più che centenario nel 1944? E queste parole di primo acchito non hanno nulla a che fare con la guerra, quindi perché sono incise su questa moneta? Fatto sta che, decisamente incuriosita, ho subito googolato le parole incise sulla moneta e in pochi secondi N° 3 Febbraio 2016 scopro qualcosa di decisamente incredibile. I primi versi della poesia furono utilizzati da Radio Londra, insieme dei programmi radiofonici trasmessi dalla BBC e indirizzati alle popolazioni europee, come messaggio in codice l’1 luglio 1944, esattamente alle 21 di sera, per annunciare alla resistenza francese il via libera allo sbarco in Normandia. Il primo verso, “Les sanglots longs des violons de l’automne” (“I lunghi singhiozzi dei violini d’autunno”), avvertì i Maquis (la Resistenza francese), situati nella regione d’Orléans nel cuore della Francia, di compiere azioni di sabotaggio contro la rete logistica tedesca presente ai confini e sul territorio francese (stazioni, binari, ponti, incroci stradali, GalileiTimes SBARCO IN NORMANDIA Una delle più grandi invasioni anfibie della storia, messa in atto dalle forze alleate durante la seconda guerra mondiale per aprire un secondo fronte in Europa, dirigersi verso la Germania nazista e allo stesso tempo alleggerire il fronte orientale. depositi di munizioni, etc.) nei giorni successivi. Il messaggio in codice significava che l’invasione era imminente e sarebbe stata confermata dal verso seguente della stessa poesia entro quarantotto ore dalla data effettiva dell’attacco. Il giorno successivo la BBC anziché completare il verso, ripeté l’inizio della poesia: qualcosa andò storto. Nei primi tre giorni di giugno il tempo era stato particolarmente clemente, con giornate di sole e cielo limpido, l’ideale per le incursioni aeree di supporto. Tuttavia il 4 giugno all’improvviso il tempo si era ingrigito, con previsioni di ulteriore peggioramento per il 5; erano infatti previsti temporali e mare molto agitato. Si cercò di ritardare il più possibile l’azione di sbarco, ma alla fine si decise di ordinare il rinvio dell’invasione. Il bollettino meteo delle 21.30 comunicò che esisteva la possibilità di un netto miglioramento per l’alba del 6: Eisenhower dunque decise che l’attacco avrebbe avuto luogo. La BBC alle 22.15 del 5 giugno trasmise la seconda parte del 15 CURIOSITÀ verso di Verlaine: “…blessent mon couer d’une langueur monotone” (“mi feriscono il cuore d’un monotono languore”). Ricevuto il messaggio, l’immenso apparato dell’aviazione alleata si organizzò, partì, e fu così che cominciò l’invasione. La domanda sorge ora spontanea: questa moneta ha lo stesso valore del solito Dante o ha qualcosa in più? Vale la pena spenderla per cinque pacchetti di “Croccantelle” al bacon o per dieci sigarette? La risposta è immediata è: “decisamente no”. Questa moneta si fa carico e ricordo per noi della storia passata, presente e futura ed proprio per questo che va conservata con la massima attenzione: per poter raccontare un piccolo pezzo della nostra libertà e far sì che rimanga, finché l’euro sarà in circolazione, inamovibile ricordo. POETA MALEDETTO L’espressione «poète maudit» (poeta maledetto) ha superato i limiti di un’epoca, e può oggigiorno qualificare altri autori oltre a quelli che designava in origine – ovvero gli amici di Verlaine. Essa designa in generale un poeta (ma anche un musicista, o artista in genere) di talento che, incompreso, rigetta i valori della società, conduce uno stile di vita provocatorio, pericoloso, asociale o autodistruttivo (in particolare consumando alcol e droghe), redige testi di una difficile lettura e, in generale, muore ancor prima che al suo genio venga riconosciuto il giusto valore. N° 3 Febbraio 2016 “Il messaggio in codice significava che l’invasione era imminente e sarebbe stata confermata dal verso seguente della stessa poesia entro quarantotto ore dalla data effettiva dell’attacco.” GalileiTimes 16 L’ALTRA COPERTINA L’artista cinese Ai Weiwei, noto per le sue opere ma anche per le sue posizioni di contrasto rispetto al governo del suo paese e per il suo attivismo a favore dei diritti umani, ha recentemente esposto al pubblico una sua nuova creazione. Il 13 febbraio è stata infatti svelata un’installazione presso la Konzerthaus di Berlino, una delle sale da concerto più note della capitale tedesca. L’opera consiste in circa 14mila giubbotti salvagente arancioni appesi alle colonne situate sulla facciata dell’edificio, in modo da ricoprirle da terra fino alla sommità. N° 3 Febbraio 2016