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11 Ernesto De Martino - Consiglio Regionale della Basilicata

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11 Ernesto De Martino - Consiglio Regionale della Basilicata
BASILICATA
REGIONE
NOTIZIE
Enzo Vinicio
Alliegro
LÕOPERA DI ERNESTO DE
MARTINO, LA ÒLUCANIAÓ
E LA RIFORMA DEGLI
STUDI ETNOLOGICI
Un itinerario di ricerca.
«Che cosa è stato infatti per me la Lucania, durante le mie ricerche, se non la terra del ricordo, la patria cercata che mi difendeva
dalla minaccia di restare apolide, senza né campanile, né filo
d’erba, né volto umano in un paesaggio domestico, né voce
amica, né nulla che avesse potenza di memoria o invito di prospettiva? (...). Coloro che non hanno radici, che sono cosmopoliti,
si avviano alla morte della passione e dell’umano: per non essere
provinciali occorre possedere un villaggio vivente nella memoria,
a cui l’immagine e il cuore tornano sempre di nuovo (...)»
(E. De Martino, da: Il mio villaggio, di Albino Pierro, 1959)
Il 6 Maggio 1965 a Roma, veniva a mancare E. De Martino.
A 30 anni dalla morte del celebre etnologo e storico delle religioni,
che negli anni ‘50 realizzò in Basilicata numerose inchieste etnografiche, si presenta un profilo della sua ricca opera di studioso.
Le fondamenta dell’etnologia riformata: “pars destruens e
pars construens”. Da “Naturalismo e storicismo in etnologia”
(1941) a “ll mondo magico” (1948)
«Nello scandalo iniziale dell’incontro etnografico - in quanto incontro
al limite o alla frontiera- e nell’obbligo di sospendere, rimettere in
causa, ripercorrere con pensiero e fondare di nuovo il telos
dell’Occidente stimolato dal rapporto con l’etnos: in questo, e proprio
in questo, sta la promessa più alta di una etnologia riformata»1
Così De Martino concludeva uno degli ultimi articoli pubblicati quando era ancora in vita. Si tratta del saggio “Promesse e minacce
dell’etnologia” apparso nella raccolta “Furore, Simbolo, Valore” del
1962.
Le ultime righe di “Promesse e minacce dell’etnologia” soprariportate,
fanno riferimento ad un tema dominante della produzione demartiniana, quello dell’etnocentrismo critico, analizzato di recente da P.
81
EVENTUALE
Didascalia foto
Cherchi2, ma sono altresì importanti in quanto esplicitano un obiettivo
che De Martino perseguiva fin dalle prime pubblicazioni, vale a dire
la riforma degli studi etnologici, che se non tema dominante, può
essere considerato filo conduttore che collega la vasta e multiforme
produzione demartiniana.
L’obiettivo di rifondare gli studi etnologici è l’oggetto, esplicito, del
primo volume che De Martino pubblica.
In “Naturalismo e storicismo in Etnologia”, del 1941, si legge:
«Con la presente raccolta di saggi noi ci lusinghiamo di aver creato almeno le premesse affinché tale stato di cose abbia fine, di aver
iniziato la radicale riforma del sapere etnologico (...)»3.
La riforma del sapere etnologico è l’obiettivo che il giovane De
Martino si è prefissato e per il raggiungimento del quale sottopone
ad una serrata revisione critica alcune correnti antropologiche. Nel
mirino di De Martino ci sono le istanze naturalistiche imperanti in
Etnologia che dovrebbero essere soppiantate da una metodologia
storicistica. A tal proposito De Martino realizza una serie di saggi di
storia degli studi: viene analizzata la scuola antropologica inglese
(Tylor, Frazer) e di essa De Martino critica l’interpretazione intellettualistica data ai fenomeni magico-religiosi. L’accusa è quella di aver
impiegato per l’interpretazione categorie (causa-effetto) mediate
dall’esperienza occidentale.
La scuola sociologica francese viene presa di mira nella persona di
Durkheim (la doppia ipostasi di individuo e società) e di Levy-Bruhll.
A loro va unicamente riconosciuto il merito di aver spazzato via la
scuola inglese. De Martino inoltre si sofferma sull’etnologia religiosa
e sulla scuola storico-culturale.
La riforma cui De Martino intende giungere richiede una concreta
esemplificazione. E’ necessario verificare, come dire, sul campo,
quanto è stato affermato, quanto è stato postulato più che sperimentato. La metodologia storicistica deve dare prova di sé e De Martino
lancia la sfida all’etnologia naturalistica nel campo di studio che a
quest’ultima è più congeniale: il campo problematico degli studi
magico-religiosi.
Il “Mondo magico”4, apparso quale primo volume nella collana
“Viola” Einaudi nel 1948, ma scritto tra il ‘44 ed il ‘45, si apre con
un capitolo intitolato “Il problema dei poteri magici”. Chiunque voglia
analizzare il mondo magico non può eludere la tematica della natura
dei presunti poteri magici. De Martino parte dalla constatazione che
circa la natura dei poteri magici esiste un atteggiamento di chiusura
aprioristica. Esiste un presupposto ovvio secondo il quale i poteri
magici sono irreali e De Martino pone in risalto come tale giudizio
scaturisce da un altro presupposto che concerne il giudizio conferito
al concetto stesso di realtà. Il giudizio conferito ai poteri magici (reali
o irreali) risente, o meglio, è direttamente connesso alla concezione
82
serbata alla realtà. L’analisi dei
poteri magici che De Martino si
accinge a compiere smaschera
quindi il legame che esiste tra
giudizio conferito alla presunta
realtà o irrealtà dei poteri magici
e la concezione stessa di realtà,
cosicché l’analisi dei poteri
magici concerne non solo la
natura dei poteri magici (oggetto
conosciuto) ma pure l’analisi del
concetto stesso di realtà (del soggetto conoscente).
Partito dalla verifica dei poteri
magici, elemento imprescindibile
per l’analisi del mondo magico e
sottolineata «I’organica inserzione dei poteri magici nel mondo
culturale correlativo » 7 , De
Martino si ritrova innanzi alla
paradossia della natura culturalmente condizionata che rimanda
al dramma storico del mondo
magico, oggetto del secondo
capitolo. Nel secondo capitolo
De Mar tino getta le basi,
potremmo dire, le fondamenta su
cui pressoché tutta la produzione
successiva si verrà edificando. Le
ricerche sul campo che De
Martino realizzerà negli anni
‘50 in Basilicata così come le
analisi teoriche e di storia degli
studi risentiranno delle formulazioni espresse in questa parte
del volume.
De Martino espone fin da subito
le caratteristiche del dramma del
mondo magico, in bilico tra la
perdita della presenza ed il relativo riscatto, ed in contrapposizione ai casi psicopatologici in
cui non è dato alcun riscatto
della presenza che “abdica
senza compenso”. Un mondo in
cui la presenza crolla senza pos-
EVENTUALE
Didascalia foto
sibilità di riscatto, in cui sia
andata definitivamente perduta;
oppure un mondo in cui essa
non costituisce alcun problema,
in cui sia stata definitivamente
conquistata, è altra cosa rispetto
al mondo magico il cui dramma
è quello del crollo della presenza
che è costretta al riscatto. Il concetto di “crisi della presenza” e
quello di “riscatto della presenza” detengono nella formulazione teorica di De Martino un
ruolo che è davvero difficile
sopravvalutare. Attraverso questi
concetti De Martino si appresta a
rigettare una serie di modelli teorici che sono stati elaborati nelle
discipline etnologiche nell’ambito
delle tematiche magiche, e ne
elabora uno nuovo.
L’anima che può andare perduta, il morto che può contagiare,
il mago che può “affatturare”, la
forza magica maligna che
incombe, i rituali d’imitazione, le
reazioni a momenti critici
dell’esistenza sono altrettante
esemplificazioni della dinamica
presente nel dramma magico: la
perdita della presenza ed il
riscatto.
L’analisi di De Martino non si
arresta, non può arrestarsi,
innanzi allo svelamento della
dinamica crisi-riscatto. Essa piuttosto è protesa a porre in risalto
cosa ci sia dietro, quale sia il
substrato che regge e ad un
tempo rende possibile tale stato
di cose. Ebbene De Martino
attraverso questo incessante
scavo acquisisce la consapevolezza che alla base della dinamica crisi-riscatto ci sia il dramma
storico di una presenza non
data, di una presenza che rischia di perdersi in un mondo che è
anch’esso labile.
«Il rischio magico - scrive De Martino - della irruzione caotica del
mondo nell’io o del deflusso incontrollato dell’io nel mondo implica
necessariamente un rischio anche per l ‘oggettività del mondo: la
crisi del limite che separa la presenza da ciò che si fa presente ad
essa è infatti la crisi delle due sfere distinte che ne dovrebbero risultare. Presenza garantita e mondo di cose e di eventi definiti si condizionano a vicenda: onde la crisi della presenza è anche la crisi
del mondo nella sua oggettività»6.
Il dramma storico del mondo magico postula quindi una presenza
che rischia di perdersi in un mondo che rischia di crollare.
Alla magia soggiace una dinamica, crisi-riscatto, che rimanda al
dramma di una presenza che rischia di perdersi in un mondo
tutt’altro che garantito. Gli istituti magici sono quindi definibili quali
espedienti posti in essere per garantire l’Esserci. Essi assolvono alla
fondamentale funzione di garantire ciò che rende possibile ogni altra
cosa, senza la quale null’altro sarebbe possibile, ovvero la presenza
nel mondo in un mondo dato.
L’analisi di De Martino mette quindi a nudo cosa si cela dietro il
dramma storico del mondo magico. La dinamica crisi-riscatto, disvela
una presenza non ancora garantita ed un mondo non ancora dato.
Una tappa fondamentale per l’etnologia riformata: il contatto con
la realtà popolare, la militanza politica e il “Cristo” di C. Levi.
“Intorno a una storia del mondo popolare subalterno” (1949).
Nella parte precedente si è posto in risalto lo stretto legame esistente
tra i lavori realizzati da De Martino negli anni ‘40 e quelli realizzati
negli anni ‘50. Soprattutto è stato posto in risalto l’importante ruolo
avuto dalle prime due pubblicazioni sul resto dell’opera. Tale legame,
tuttavia, a pensarci bene, solleva alcune importanti considerazioni ed
alcuni importanti interrogativi che devono essere chiariti.
Il legame individuato tra i due momenti dell’opera demartiniana
potrebbe indurre a ritenere che la matrice dei contributi teorici e delle
ricerche empiriche condotte da De Martino negli anni ‘50 sia unicamente costituita dagli interessi maturati negli anni ‘40. Si potrebbe
quindi ritenere che lo stimolo da cui le ricerche prendono avvio sia
unicamente di carattere teorico, perché teorici sono i quesiti lì formulati. Si rende quindi necessario verificare se oltre agli interessi teorici
ci sia stato qualcos’altro che abbia potuto in qualche modo determinare tale interesse.
E’ alla vita di E. De Martino nella seconda metà degli anni ‘40 che
bisogna prestare attenzione, ed in particolare alle esperienze, dirette
ed indirette, che De Martino fece della realtà socio-culturale del Sud
d’Italia. Per venire a capo di questo aspetto, può essere utile prendere
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in considerazione il saggio “Intorno a una storia del mondo popolare
subalterno”, pubblicato nel 1949 sulla rivista “Società”7. In questo
saggio, dal quale scaturì un lungo dibattito sulla cultura popolare8,
De Martino conferisce un preciso significato ai primi volumi editi.
Nel saggio del ‘49, “Intorno ad una storia del mondo popolare
subalterno” le acquisizioni del ‘41 e del ‘48 vengono caricate di ulteriori ed importanti significati, le conclusioni vengono problematizzate
ed estese. In base a cosa avviene questa operazione di ulteriore attribuzione di significato?
E’ possibile rispondere a questo interrogativo attraverso alcune asserzioni dello stesso De Martino il quale esplicita le motivazioni di tale
reinterpretazione. Le parole di De Martino sono estremamente chiare:
a determinare la rilettura dei primi testi, i cui assunti non vengono
assolutamente sconfessati o ripudiati, piuttosto riconfermati ed estesi,
concorrono le esperienze che De Martino ebbe, sul volgere degli anni
‘40, della realtà del Sud Italia, esperienze dirette (segretario a Lecce
e a Bari) ed indirette (la lettura del “Cristo” di C. Levi che era stato
pubblicato nel ‘45), oltre alle permanenze a Tricarico, ospite di R.
Scotellaro.
E’ utile riportare le stesse parole pronunciate da De Martino a proposito del testo del ‘41.
«(...) Solo più tardi, come militante della classe operaia nel
Mezzogiorno d’Italia, mi resi conto che il “naturalismo” della etnologia tradizionale si legava al carattere stesso della società borghese, che fra le condizioni di esistenza, per es., dei braccianti delle
Murge e la inerzia storiografica delle scritture etnologiche e folkloristiche vi era una connessione organica, e che il mio interesse teoretico di capire il primitivo nasceva in uno col mio interesse pratico
di partecipare alla sua liberazione reale. A rinsaldare nella mia
coscienza i fili di questa connessione vennero le pagine di C. Levi
(...)»9.
Altrettanto eloquenti le parole espresse nei confronti del “Mondo
Magico”:
«Appunto questo dramma esistenziale della presenza che rischia di
non esserci nel mondo, e che, per esserci in qualche modo, si
riscatta mercé l’articolazione mitica del caos insorgente e la
demiurgia dell’azione compensatrice e riparatrice, appunto questo
dramma fu l’oggetto del mio Mondo Magico: ma questo dramma
mi si dichiarava con sempre maggiore evidenza come il dramma
di essere respinti dalla storia, giacenti in una condizione di radicale alienazione, deietti in un mondo non loro (....). Ebbene: il
Mondo magico (solo dopo mi si è chiarito) non fu che una contemplazione, sul piano mondiale, dell’oscura angoscia teogonica
perennemente incombente nello sguardo dei contadini poveri di
Puglia, una contemplazione che volle per quanto possibile essere
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pura, cioè universale e obiettiva, ma che proprio per questo
rinsaldò in me l’impegno pratico di militante della classe
operaia»10.
Nella revisione di alcuni assunti
presenti nei libri del ‘41 e del
‘48 furono quindi decisivi gli
incontri, diretti ed indiretti, che
De Martino ebbe con i contadini
del Sud Italia, con i contadini
delle Murge che negli androni di
antichi palazzi baronali testimoniavano a viva voce il dramma
di una massa di diseredati.
Sul volgere degli anni ‘40, pertanto, la struttura complessiva
della etnologia riformata è stata
pressoché abbozzata. De
Martino ha avviato le importanti
operazioni di demolizione e di
edificazione. Ha sferrato un duro
colpo alle correnti
naturalistiche (‘41), ha elaborato
alcuni concetti chiave (‘48) ed ha
chiarito quali devono essere i
compiti dell’etnologia (‘49).
Un primo risvolto dell’etnologia riformata: i soggiorni a
Tricarico (PZ), il “folklore progressivo” e la nuova concezione degli studi demologici.
“Note Lucane” (1950), “ll
Folklore Progressivo” (1951),
“ll Folklore” (1951), “Per un
dibattito sul folklore” (1954).
Nel volume del ‘48 De Martino
aveva fatto esperienza, attraverso documenti etnologici, del
dramma storico del mondo
magico, del dramma di una moltitudine di uomini costretti ad
una perenne lotta contro il
rischio di perdere la presenza.
Era stata un’esperienza fonda-
Foto di E. De Martino
85
EVENTUALE
Didascalia foto
mentale, importantissima, ma si trattava pur sempre di una esperienza indiretta, mediata da materiale documentario asettico. Gli incontri
con i braccianti di Puglia e quelli mediati dal “Cristo” di Levi avevano
invece posto in risalto come tale mondo non fosse poi così lontano,
anzi, che fosse ben più vicino di quanto si potesse supporre. Esso era
dentro casa, presente nell’ambito della propria nazione. Bastava fare
pochi chilometri a Sud di Roma, varcare il confine di Eboli per poter
penetrare in un mondo non tanto diverso da quello descritto nel
“Mondo magico”. Le regioni che saranno definite da De Martino
come quelle racchiuse tra le acque benedette dello Stato Pontificio e
le acque salate dei mari del Mediterraneo, le stesse terre che erano
state denominate “Le Indias de por acà”, saranno per De Martino lo
spazio di un incontro reale con degni rappresentanti delle masse
subalterne.
Alla realtà delle masse oppresse del popolo del Sud Italia, De
Martino giungerà attraverso una serie di viaggi realizzati tra il 1949
ed il 1951.
De Martino si porta di frequente in Basilicata, a Tricarico. E’ ospite di
R. Scotellaro e di sua madre, F. Armento.
Le esperienze di Tricarico saranno oggetto del primo articolo che De
Martino dedicherà alla realtà lucana. Si tratta dell’articolo “Note
Lucane”11 apparso sulla rivista “Società” del 1950 ed inserito da De
Martino nel volume del 1962 “Furore, Simbolo, Valore”.
L’articolo si apre con la descrizione del quartiere rabatano e dei suoi
abitanti:
«La Rabata di Tricarico è l’immagine del caos. (...) La luce lotta qui
ancora con le tenebre, e la forzata coabitazione di uomini e bestie
suggerisce l’immagine di una specie umana ancora in lotta per
distinguersi dalle specie animali.
Rachitismo, artritismo e gozzo insidiano i corpi: eppure essi vivono. Eccoli qui, davanti a noi, a raccontarci la loro storia.».12
Oltre alla estrema povertà, rivelata tra l’altro attraverso il racconto
delle storie di vita di alcuni contadini, De Martino pone in risalto che
la gente rabatana ha preso coscienza della propria subalternità e che
in alcuni casi è stata finanche capace di intraprendere delle concrete
lotte di rivendicazione. Giunto a Tricarico De Martino incontra un
popolo che bussa alla storia. Un popolo che ha avviato il processo di
riscatto e di emancipazione, un popolo che grida al mondo intero la
propria disperazione.
«Essi -scrive De Martino- vogliono entrare nella storia non soltanto
nel senso di impadronirsi dello Stato e di diventare i protagonisti
della civiltà, ma anche nel senso che, fin da oggi, fin dal presente
stato di indigenza, le loro storie personali cessino di consumarsi
privatamente nel grande sfacelo del quartiere rabatano (...)».13
86
L’esperienza di Tricarico al di là
di tutto ciò, costituisce per De
Martino una sorta di iniziazione
nel Regno del Sud Italia. Una
sorta di tirocinio dal quale emergerà la consapevolezza della
necessità di dar seguito a tale
esperienza, di fare in modo che
abbia una significativo seguito. E
così sarà.
Il concetto di “Folklore progressivo”, definito da De Mar tino
come: «proposta consapevole
del popolo contro la propria
condizione socialmente subalterna, o che commenta, esprime in
termini culturali, le lotte per
emanciparsene»14 costituisce una
ulteriore testimonianza del programma riformista cui De
Martino lavorava. L’etnologia
riformata demartiniana ridefinisce l’oggetto di studio, il popolo,
non più inteso in una accezione
arcaica. Il popolo demartiniano
è un popolo che ha preso
coscienza della propria subalternità e che ha avviato il processo
di riscatto. Un popolo non mero
ricettacolo di repertori culturali
provenienti dall’alto, ma esso
stesso capace di porsi criticamente di fronte a tali repertori,
capace di trasformarli secondo
le proprie esigenze15 o di crearli
ex novo. Il folklore, quindi, è
concepito da De Martino quale
disciplina chiamata a documentare tale presa di coscienza e a
sostenere ed orientare tale processo di emancipazione e dl
creazione.
Tra il 1950 ed il 1954 De
Martino produce una serie di
saggi e di articoli protesi a chiarire quali debbano essere i com-
piti di una disciplina riformata
secondo le nuove coordinate del
folklore progressivo. I saggi
“Folklore Progressivo” e “Il
Folklore” del 1951 e “Nuie
simme ‘a mamma d’ ‘a bellezza”
del 1952 ne sono una testimonianza. Nell’ ar ticolo “Il
Folklore” del ‘51 De Martino
scrive:
«D’altra parte il folklore non è
soltanto tradizione, memoria
presente del passato, ma contiene anche motivi progressivi,
vivaci riflessi delle aspirazioni
attuali, del mondo popolare, e
accenni e indicazioni verso il
futuro. (...) Questo patrimonio
folkloristico progressivo è stato
sempre, per ovvie ragioni, trascurato dalla scienza folkloristica tradizionale, la quale
proprio in questa «omissione»
rivela il suo più palese carattere classista. Spetta a noi raccogliere questo patrimonio,
conservarlo, rimetterlo in circolazione, e soprattutto stimolarne l’incremento (...)».16
Nella lettera indirizzata alla
redazione di “ Lucania ”, nel
1954, De Martino in veste propositiva scriverà:
«Si tratta (...) di analizzare gli
aspetti della vita culturale del
mondo contadino, vedere
come questi aspetti si legano
alle condizioni materiali di
esistenza, scoprire come questa miseria sia controllata e
diretta da determinati organismi culturali (p.es. la Chiesa)
individuare e definire i
momenti di sblocco dalla tradizione (p.es. alcuni aspetti
dei movimenti evangelici nel Mezzogiorno), stabilire in che misura
le forme culturali egemoniche della società meridionale hanno plasmato il costume contadino e in che misura hanno segnato il passo
(e perché lo hanno segnato) di fronte alla superstizione più cruda,
e, ancora, in che misura sono venute a compromesso con queste
forme più arretrate di vita culturale. E’ per servire a questo tipo di
ricerche più propriamente storiche che occorre raccogliere il materiale sulla miseria culturale».17
Una prima verifica-applicazione dell’etnologia riformata: la
destorificazione del negativo. “Angoscia territoriale e riscatto
culturale nel mito achilpa delle origini” (1951-1952).
Prima di analizzare la spedizione etnologica in Lucania avviata da
De Martino nell’ottobre del ‘52, può essere utile prendere in considerazione il saggio “Angoscia territoriale e riscatto culturale nel mito
achilpa delle origini” apparso sulla rivista “Studi e materiali di Storia
delle Religioni”18. Il saggio del ‘51 sulla mitologia Aranda costituisce
un piccolo passo in avanti, nel senso che De Martino spinge l’analisi
nel cuore del nucleo della teoria espressa nel “Mondo Magico”. Vi
entra dentro, completa la strada aperta in precedenza e ne ultima il
transito.
Oggetto del volume del ‘48 era stato il cosiddetto “dramma storico
del mondo magico”, ovvero la presenza che rischia di andare perduta e che poi, faticosamente si riscatta. Crisi della presenza e reintegrazione culturale, erano stati i concetti esplicativi impiegati per leggere una serie di dinamiche magico-religiose. L’analisi dispiegata da
De Martino, protesa allo svelamento della crisi-riscatto, si arrestava
tuttavia a tale dinamica: nulla veniva detto a proposito di come il
riscatto avvenisse concretamente. Nel saggio “Angoscia territoriale e
riscatto culturale nel mito achilpa delle origini” De Martino si accinge
a fare proprio questo. A tal proposito analizza il mito achilpa delle
origini degli Aranda, aborigeni australiani, un popolo nomade di
cacciatori e raccoglitori che negli spostamenti trascinano un palo totemico che viene eretto nei nuovi insediamenti.
De Martino analizza il rito impiegando le chiavi di lettura approntate
nel Mondo Magico: di mezzo c’è infatti la crisi della presenza e il
relativo riscatto. La crisi in questo caso è costituita dall’ “angoscia territoriale”.
«Questa angoscia territoriale è una forma particolare di quell’angoscia esistenziale che altrove definimmo come una situazione storicamente individuata in cui la presenza non è decisa e garantita, ma
fragile e labile, e quindi continuamente esposta al rischio di non mantenersi di fronte al divenire, e soggiacente per ciò stesso all’angoscia.
L’angoscia territoriale degli aborigeni australiani è storicamente connessa a un momento critico dell’esistenza di notevole rilievo per una
umanità di nomadi raccoglitori e cacciatori, e cioè il peregrinare,
87
l’inoltrarsi nel territorio sotto la spinta delle varie necessità vitali»19.
La crisi della presenza insorge in momenti critici dell’esistenza. Nel
caso del popolo Aranda, quando lascia un territorio conosciuto e plasmato culturalmente per inoltrarsi in un territorio sconosciuto, quindi
pieno di insidie. Tale spostamento è troppo rischioso perché possa
essere condotto senza alcuna precauzione, perché gli uomini della
tribù possano essere lasciati soli con se stessi. E’ necessario
qualcos’altro. E’ necessario che gli uomini si sentano protetti, si sottraggano al pericolo che incombe minaccioso. E’ necessario che si
operi il riscatto della presenza in crisi. E’ necessario che l’angoscia
territoriale riceva una soluzione.
Chiarita la natura della crisi della presenza De Martino presta quindi
l’attenzione all’altro aspetto che il dramma storico del mondo magico
prevede, il riscatto. Realizza quindi un’analisi che tende a smascherare, a chiarire secondo quali meccanismi il riscatto si realizzi. Il mito
delle origini narra di un eroe mitico, Numbakulla che in illo tempore,
nell’atto della fondazione dell’insediamento diede inizio ad una serie
di rituali, tra cui, l’erezione del palo Kauwa-auwa.
Gli Aranda nell’erigere il palo totemico -Kauwa-auwa- nei nuovi
insediamenti, non farebbero quindi nient’altro che reiterare ciò che
accadde in illo tempore per opera dell’eroe mitico, secondo il modello esplicativo approntato da M. Eliade. Ed è proprio in questa reiterazione che risiede la risoluzione della crisi. Scrive De Martino:
«Questi elementi che il mito ci fornisce, ci indicano il palo
Kauwa-auwa nella sua funzione di riscattare dall’angoscia territoriale un’umanità peregrinante: piantare il palo kauwa-auwa in
ogni luogo di soggiorno e celebrare l ‘engwura, significa iterare il
centro del mondo, e rinnovare, attraverso la cerimonia, l’atto di
fondazione compiuto in illo tempore».20
Attraverso la reiterazione di un modello archetipale gli Aranda sottraggono un evento storico al divenire storico. Abbandonare il villaggio, lasciare il territorio conosciuto ed esperito culturalmente, inoltrarsi in un’area ignota, dare vita ad un nuovo insediamento sono atti
minacciosi e precari dall’esito a dir poco incerto.
Sono atti rischiosi che possono porre in pericolo l’intera comunità.
Ritualizzarli, ovvero svolgerli seguendo un modello mitico, significa
sottrarli a tale pericolo. Ed ecco l’analisi giungere ad una importante
concettualizzazione, la “destorificazione del divenire”, ovvero “stare
nella storia come se non ci si stesse”, realizzare un’azione storica,
“qui e adesso” esattamente come venne realizzata “altrove in illo
tempore”.
«Nella marcia da sud verso nord delle comitive Achilpa il palo
kauwa-auwa assolveva dunque il compito di destorificare la peregrinazione: gli Achilpa, in virtù del loro palo, camminavano mantenendosi sempre al centro ».21
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“Angoscia territoriale e riscatto
culturale nel mito achilpa delle origini” può essere letto come primo
ed importante contributo fornito
da De Martino per saggiare alcune delle più importanti acquisizioni del “Mondo Magico”. Un passo
importante e per certi versi fondamentale per l’etnologia demartiniana, nella misura in cui anticipa
ed annuncia le ricerche condotte
in Lucania ed in Puglia protese
anch’esse a porre in risalto casi
concreti del dramma storico del
mondo magico, casi concreti di
crisi e di riscatto della presenza.
L’etnologia riformata sul
campo. Le spedizioni etnologiche d’équipe in Lucania, il
saggio “Note di viaggio”
(1953)
L’ingresso nel Sud Italia, ovvero
nel profondo Sud dell’ “oltre
Eboli”, venne realizzato da De
Martino attraverso tappe successive, in un processo lento ma
graduale. Tra il 1949 ed il
1951, fu ospite a Tricarico di R.
Scotellaro in una serie di soggiorni che restano, fondamentalmente, ancora in ombra, quasi
congiuntamente alla inchiesta sul
bracciantato agricolo della CISL
realizzata anch’essa nel 1951.
Nell’estate del 1952, con
Zavattini e Benedetti, De Martino
compie in alcuni paesi della
Basilicata una preinchiesta che
sarebbe poi sfociata, nello stesso
anno, nella spedizione etnologica di ottobre che può essere
assunta quale prima ed importante esperienza di ricerca condotta da De Martino nel Sud
Italia.
Foto di Carlo Levi
89
Le modalità attraverso le quali l’inchiesta venne condotta -al di là
degli esiti, pur importanti, cui giunse- possono senz’altro costituire
una angolazione privilegiata per porre sott’occhio un aspetto non
privo di importanza nel quadro più vasto dell’etnologia demartiniana.
Siamo nel 1952. Sono trascorsi soltanto pochi anni dall’avvio della
ricerca-intervento della Unrra Casas a Matera che, tuttavia, sembra,
piuttosto lontana. La direzione del progetto materano era stata affidata a Friedman che doveva coordinare una équipe di studiosi che
annoverava: E. Bracco (preistoria), L. De Rita (psicologia), F. Gorio e
F. Quaroni (struttura urbana), A. Giordano (criminalità), G. Isnardi
(ambiente fisico), G. Marselli (economia e sociologia rurale) R.
Mazzarone (sanità e demografia). Il settore antropologico era stato
affidato a Tentori, in seguito al declino di De Martino che non aveva
perso l’occasione per esplicitare il proprio dissenso nei confronti di un
progetto non condiviso metodologicamente.
«Io ho diffidenza per le spedizioni troppo complesse, alle quali
partecipano numerosi specialisti con diversissimo orientamento culturale, operanti ciascuno indipendentemente dall’altro per ciascun
settore di ricerca, (...) senza un indirizzo unitario di metodo e di
obiettivi e senza pratica di lavoro collegiale proficuo(...)».22
De Martino rifiuta il modello della ricerca impiegato a Matera, non
accetta le ricerche solo apparentemente collegiali, incapaci di fornire
«una visione d ‘assieme», «prive di un reale nucleo problematico che
indirizzi i rispettivi apporti dei diversi collaboratori». Rifiuta questo
modello e ne propone uno proprio che adotterà anche in seguito.
Ecco quindi un ulteriore elemento che pone in risalto l’intento riformista di De Martino.
Una nuova disciplina, che voglia effettivamente essere tale, togliersi di dosso il peso del passato, deve necessariamente essere in grado di elaborare delle modalità specifiche di rilevazione empirica dei dati.
Veniamo alla spedizione di De Martino, ai collaboratori e naturalmente agli obiettivi che De Martino si era posto, non prima tuttavia di
aver problematizzato il senso profondo che la ricerca probabilmente
assumeva.
La spedizione doveva servire, secondo le parole dello stesso De
Martino per la stesura di un «volume scientifico di etnologia lucana,
(...) e che avrà lo scopo fondamentale di illustrare i rapporti storici fra
cultura popolare e cultura cattolica».23 Le motivazioni, anzitutto, sembrano quindi di natura scientifica.
Congiuntamente, o meglio quale corollario di tale obiettivo, vi sono
motivazioni di carattere pratico-politico. A tal proposito può essere
utile volgere ancora lo sguardo a quanto De Martino aveva asserito
in relazione al progetto Olivetti di Matera:
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«(...) Una spedizione di questo
tipo rischia di risolversi in una
serie di monografie indipendenti, dalle quali è assai difficile trarre una visione d’assieme dei problemi e alle quali
manchi, in ogni caso, l’energia culturale di un “libro“
destinato a formare l’opinione
pubblica e a diventare strumento di lotta per un mondo
migliore »24
ed altrove:
«Ciò di cui abbiamo bisogno
è un’opera che abbia l’efficacia, l’unità e il calore di Cristo
si è fermato a Eboli e che, al
tempo stesso, sia opera di
scienza e non di letteratura».25
Alla luce di tali citazioni sembra
piuttosto difficile disgiungere il
De Mar tino studioso dal De
Martino impegnato nella reale
emancipazione delle masse
subalterne. E’ difficile disgiungere ma allo stesso tempo è difficile
far derivare l’uno dall’altro.
Piuttosto, può risultare più proficuo e meno distante dal vero,
ritenere questi due aspetti, facce
contrapposte della stessa medaglia. Vale a dire risvolti
dell’impalcatura teorica che De
Martino aveva elaborato a proposito della etnologia riformata.
Da questo punto di vista la spedizione etnologica in Lucania
potrebbe essere assunta quale
derivazione degli impegni teorici
e pratico-politici (di emancipazione) che De Martino voleva
assolutamente che una etnologia
riformata avesse.
Se si analizza l’oggetto di studio
della spedizione in Lucania, le
prime pubblicazioni da essa scaturite, le analisi realizzate e i
risultati prodotti, senza trascurare del resto alcuni aspetti legati
alla ricerca nel suo concreto
svolgersi (criteri di scelta dei
Comuni selezionati) e le stesse
modalità di reperimento dei
fondi, risulta che in tale spedizione le due istanze sopra individuate ebbero entrambe un ruolo
tutt’altro che marginale.
Il De Martino della prima spedizione etnologica in Lucania, è
uno studioso impegnato attivamente nel mostrare in azione
l’etnologia riformata, per la
quale comprensione e riscatto,
sostegno e guida per l’emancipazione sono poli strettamente
legati, se pur distinti.
La spedizione etnologica in
Lucania venne realizzata tra il
30 settembre ed il 31 ottobre del
1952. De Martino, oramai quarantaquattrenne, non parte da
solo. Con lui e con Grazia de
Palma che lo aveva seguito a
Tricarico nei soggiorni precedenti, dei giovani collaboratori: D.
Carpitella con la qualifica di
musicologo, M. Venturoli collaboratore nella raccolta del materiale etnologico, F. Pinna operatore cinematografico e fotografo.
Complessivamente 5 ricercatori,
addestrati in ambiti specifici e
posti sotto la direzione di De
Martino che nei documenti ufficiali viene presentato come etnologo responsabile della direzione.
Chi finanzia e/o patrocina la
spedizione? La pubblicazione
recente dei taccuini redatti nel
corso della spedizione, e relativi
anche alla fase preparatoria, presentano uno spaccato della ricerca
davvero insolito e non privo di sorprese. Nei resoconti ufficiali pubblicati da De Martino si menziona la casa editrice Einaudi e la casa editrice Universale Economica, la “Società di Etnografia Italiana”, il
“Centro Nazionale Studi di Musica Popolare”, il “Centro del Teatro e
Spettacolo Popolare” e la “RAI”. Nei taccuini risulta che la ricerca
venne sostenuta inoltre da alcune riviste come “ Rinnovamento
d’Italia”, “Stampa Democratica”, “Società Specchio” e soprattutto da
alcuni dei maggiori partiti di sinistra dell’epoca, PCI e PSI e un importante sindacato, la CGIL, «Un’origine partitica», dunque, come scrive
C. Gallini.26
Veniamo adesso alle modalità concrete di rilevazione empirica.
Oggetto della ricerca sono i canti popolari e la magia, e già questo è
estremamente indicativo della novità della ricerca demartiniana che è
tutt’altro che una ricerca olistica, piuttosto selettiva e specifica, rivolta
solo ad alcuni ambiti ed in relazione ad un preciso focus problematico elaborato in precedenza.
Attraverso strumenti di registrazione audio-visuale, opportunamente
impiegati da Pinna e Carpitella, De Martino acquisisce una serie di
dati che in seguito riceveranno un’opportuna lettura. I canti vengono
registrati in adunanze pubbliche, presso le Camere del Lavoro mentre
gli scongiuri e le credenze magiche vengono silenziosamente trascritti
su taccuini che in seguito riceveranno la idonea interpretazione per
poi confluire, a partire dal 1953 nei saggi che De Martino vi dedicherà.
Ultimata la spedizione, De Martino si appresta velocemente a fornire
alcune notizie. Il primo resoconto viene dato alle stampe pressoché a
ridosso del viaggio. Viene pubblicato infatti nel 1952 sul numero IV
della rivista “Società”.
L’articolo è scritto da De Martino con Carpitella ed è intitolato “Una
spedizione etnologica in Lucania”. Più consistente, diversamente
impostato il saggio pubblicato l’anno seguente, nel 1953, dal titolo
“Note di Viaggio”27 che richiama in qualche modo “Note Lucane” del
1950.
“Note di viaggio” viene scritto, dunque, nel 1953 e proprio per questo assume un rilievo del tutto particolare. E’ il primo resoconto scientifico che De Martino realizza e proprio per questo può essere utile
per considerare quanto spazio e quanta importanza viene conferita
alle opzioni formulate in precedenza. Il concetto di crisi della presenza è stato formulato, così come quello di destorificazione del negativo
e di folklore progressivo. Del resto sono state pure compiute alcune
importanti precisazioni in merito alla etnologia naturalistica ed al
folklore tradizionale così come sono state formulate alcuni importanti
precisazioni in relazione all’effetto cosiddetto “boomerang” della
etnologia, ed al ruolo di riscatto, di guida e di sostegno che l’etnologia può avere nei confronti delle masse diseredate che hanno preso
91
coscienza della propria subalternità. Bene. Quali degli assunti teorici
formulati in precedenza vengono ripresi? A quale ambito problematico De Martino conferisce più importanza?
A ben guardare, “Note di viaggio” può forse essere considerato
quale capolinea in cui pressoché tutte le istanze demartiniane convergono. Vi è senz’altro un cospicuo impiego del concetto di “crisi della
presenza”, tradotto pure con i termini “labilità della presenza”. Vi è
un chiaro ed esplicito riferimento alle tematiche della presa di
coscienza della precarietà della esistenza da parte del popolo, che
rimanda al folklore progressivo. In “Note di viaggio” è anche presente la tematica dell’etnologia impegnata nel guidare il riscatto degli
oppressi. Il De Martino di “Note di viaggio” è uno studioso legato
alle opzioni del “Mondo Magico” ma che non ripudia affatto “Intorno
ad una storia del mondo popolare subalterno”.
«Leggendo le scritture di etnologi e folkloristi non mi è mai accaduto di vedervi affiorare ciò che pur costituisce uno dei momenti più
caratteristici di questa mia esperienza lucana, la tensione drammatica fra interesse scientifico e interesse etico-politico, fra storia da
contemplare e storia da vivere e da fare».28
Interesse scientifico ed interesse etico-politico, dunque. Ma soprattutto
interesse scientifico. Interesse a formalizzare alcune strategie esplicative che di lì a poco si sarebbero tradotte in precisi itinerari di ricerca.
Gli esiti maturi dell’etnologia riformata: “Morte e pianto rituale” (1958), “Sud e Magia” (1959).
Nel 1958 viene alla luce “Morte e pianto rituale”29, una ricerca storico-religiosa che ha per oggetto il lamento funebre antico nell’ambito
del nume ciclico.
La “crisi del cordoglio”, viene letta da De Martino quale esemplificazione della “crisi della presenza” oggetto del volume del ‘48. Innanzi
al cadavere si fa spazio la possibilità di non riuscire a trascendere
l’evento luttuoso. I rituali funebri in generale ed il lamento funebre in
particolare, non fanno nient’altro che prescrivere alcuni comportamenti che permettono ai congiunti di trascendere l’evento luttuoso.
L’analisi di De Martino sul lamento funebre lucano serve per colmare
le lacune relative al materiale documentario storico che presenta un
mito de ritualizzato. I documenti lucani, se pur de mitizzati permettono a De Martino di analizzare nel suo intero corso la dinamica crisiriscatto, secondo le coordinate metodologiche espresse nel saggio
“Storicismo e irrazionalismo nella storia delle religioni” del 1957.
Attraverso una serie di moduli verbali, mimici e melodici il lamento
funebre permette di superare la crisi della presenza che l’evento luttuoso implica. Il rituale fissa il comportamento e lo difende da eventuali regressioni patologiche. In particolare, il lamento funebre sblocca “l’ebetudine stuporosa” e blocca il “planctus irrelativo”, ovvero
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impedisce che di fronte al cadavere si resti immobili (assenza) o
al contrario si assumano comportamenti violenti (scarica convulsiva). I rituali funebri e i relativi comportamenti prescritti destorificano l’evento luttuoso, permettono che «si superi lo strazio
rendendolo oggettivo». Al di là
dei contenuti specifici presenti
nel volume, può essere importante sottolineare che l’analisi di De
Martino è protesa ad analizzare
struttura, significato e funzione
del pianto funebre che viene
contestualizzato e storicizzato,
così come avverrà per la bassa
magia cerimoniale, oggetto di
“Sud e Magia”30, la cui sopravvivenza documentata nei paesi
della Basilicata, viene utilizzata
da De Martino per denunciare i
limiti di espansione della cultura
“alta”, laica e cattolica.
Secondo De Martino in Lucania
vige un regime esistenziale in cui
la presenza è costantemente
posta in bilico. “Essere agiti da”
è la forma particolare che la crisi
della presenza in questo caso
assume ed alla quale si contrappone la magia, intesa da De
Martino quale sistema ideologico, valoriale e comportamentale
che difende l’individuo dal
perenne rischio di perdere la
presenza.
Le ricerche condotte da De
Martino in Basilicata possono
essere lette quali prodotti
dell’impalcatura teorica costruita
da De Martino negli anni precedenti, ovvero quali esemplificazioni dell’etnologia riformata cui
molti anni prima l’etnologo
napoletano aveva messo mano.
Foto di Zavattini
93
In questi lavori convergono le acquisizioni teoriche più importanti formalizzate in precedenza e che saranno ancora di scena in “La terra
del rimorso”31 (in cui De Martino formalizza meglio che altrove l’idea
di arricchire gli studi meridionalistici di una consistente dimensione
storico-religiosa), e, se pur diversamente dispiegate, in “La fine del
mondo”.32
I volumi lucani di De Martino delineano senz’altro una immagine
della Basilicata del tutto particolare, in cui sono presenti, se pur sotto
forma di relitti, istituti culturali marginali, dalle radici remote, che tuttavia proprio per il fatto di esistere chiamano in causa tutta la società.
Una immagine preistorica, quindi, che colpevolizza tutti, e che tenacemente sopravvive negli anni ‘50.
A quarant’anni da quelle ricerche, ed a trent’anni dalla scomparsa
dell’autore, una rilettura di quelle opere e di quel tempo, congiuntamente ad uno sguardo al nostro, sembrano inderogabili, quantomeno
per valutare quale esito abbia avuto l’augurio di sviluppo enunciato
da De Martino nella prefazione a “Morte e pianto rituale”, per valutare se le contadine lucane abbiano finalmente smesso di piangere!
«Ci sia consentito di ringraziare (...) tutte le contadine lucane che
di buon grado ci fornirono le informazioni richieste, piegandosi
alla ingrata fatica di rinnovare davanti ad altri, nella forma del
rito, il cordoglio per i loro morti (...). Per queste povere donne che
vivono negli squallidi villaggi disseminati fra il Bradano e il Sinni,
non sapremmo disgiungere il nostro ringraziamento dal caloroso
augurio che, se non esse, almeno le loro figlie o le loro nipoti perdano il nefasto privilegio di essere ancora in qualche cosa un
documento per gli storici della vita religiosa del mondo antico, e si
elevino a quella più alta disciplina del pianto che forma parte non
del tutto irrilevante della emancipazione economica, sociale, politica e culturale del nostro Mezzogiorno».33
E se le parole di De Martino, alla luce di una serie di mutamenti
sopraggiunti, sembrano oggi, a trent’anni, più che un augurio una
profezia che con il passare del tempo si è andata via via concretizzando, il merito è anche suo che ha contribuito in maniera decisiva a
sottolineare la drammaticità della “miseria culturale” ed il ruolo
tutt’altro che passivo della dimensione socio-culturale nei processi di
sviluppo, ieri come oggi.
Ma oltre a tutto ciò a De Martino dobbiamo altro: ad esempio, l’aver
imparato che gli istituti culturali sono come dei camaleonti, capaci di
mascherarsi, di trasformarsi e di rigenerarsi. Più che decretare l’avvenuto trionfo, proprio in sintonia con le ricerche di De Martino, sembra
quindi più opportuno porsi sulle orme della “miseria culturale” e sui
mille sentieri che è in grado di percorrere, nel tentativo di snidarla
laddove si è nascosta.
Note
1) E. DE MARTINO, “Promesse e minacce dell’etnologia”, in: Furore, Simbolo,
Valore, Feltrinelli, Milano, 1980, pg.
167.
2) P.CHERCHI, “II Signore del limite”,
Liguori, Napoli, 1994.
3) E. DE MARTINO, “Naturalismo e storicismo in etnologia”, Laterza, Bari,
1941, pg. 9.
4) E. DE MARTINO, “Il Mondo
Magico”, Boringhieri, Torino, 1973.
5) Ibidem, pg. 70.
6) Ibidem, pg. 144.
7) E. DE MARTINO, “Intorno a una storia del mondo popolare subalterno”, in:
Società, V, 1949, n.3, ora in: R.
Brienza, “Mondo popolare e magia in
Lucania”, Basilicata, Roma-Matera,
1975.
8) C. PASQUINELLI, “Antropologia culturale e questione meridionale. Ernesto
De Martino e il dibattito sul mondo
popolare subalterno negli anni
1948-1955”, La Nuova Italia Editrice,
Firenze, 1977.
9) E. DE MARTINO, 1949, op. cit., pg.
46
10) Ibidem, pg. 47-48.
11) E. DE MARTINO, “Note Lucane”, in:
Società VI, 1950, n.4 ora in: E. De
Martino, 1980, op. cit.
12) Ibidem, pg 171
13) Ibidem, pg. 179
14) E. DE MARTINO, “Il Folklore progressivo”, in: L’Unità, 28 Giugno 1951,
ora in: C. Pasquinelli, op. cit., pg. l44.
15) P. BOGATYREV, “Semiotica della
cultura popolare”, Bertani, Verona,
1982.
16) E. DE MARTINO, “Il Folklore”, in:
Un Calendario del popolo, 7, 1951, ora
in: C. Pasquinelli, op. cit., pg. l46.
17) E. DE MARTINO, “Per un dibattito
sul folklore”, in: Lucania, 1 Febbraio
1954, ora in: C. Pasquinelli, op. cit.,
pg. l59.
18) E. DE MARTINO, “Angoscia territo-
94
riale e riscatto culturale nel mito achilpa
delle origini”, in: Studi e Materiale di
Storia delle religioni, vol. XXIII,
1951-’52, ora in: E. De Martino, 1973,
op. cit., pg. 261-276.
19) Ibidem, pg. 263
20) Ibidem, pg. 270
21) Ibidem, pg. 270
22) E. DE MARTINO, citazione riportata
da C. Gallini nell’introduzione al volume: E. DE MARTINO, Note di campo,
Argo, Lecce, 1995, pg. 45.
23) Ibidem, pg. 46
24) Ibidem, pg. 45
25) Ibidem, pg. 46
26) C. GALLINI, 1995, op. cit., pg. 49
27) E. DE MARTINO, “Note di viaggio”,
in: Nuovi Argomenti, I, 1953, n.2, ora
in: R. BRIENZA, op. cit., pg. l07-133.
28) Ibidem, pg. l26.
29) E. DE MARTINO, Morte e pianto
rituale. Dal lamento funebre antico al
pianto di Maria, Boringhieri, Torino,
1958.
30) E. DE MARTINO, Sud e Magia,
Feltrinelli, Milano, 1959.
31) E. DE MARTINO, La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del
Sud, Il Saggiatore, Milano, 1961.
32) E. DE MARTINO, La fine del
mondo, Einaudi, Milano, 1977.
33) E. DE MARTINO, Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di
Maria, Boringhieri, Torino, 1958, pg. IX.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
1) AA.VV., L’antropologia italiana. Un secolo di storia., Laterza, Bari,
1985.
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Roma, 1993.
4) R. BRIENZA, Mondo popolare e magia in Lucania, Basilicata,
Roma-Matera, 1975.
95
5) P. CHERCHI, M. CHERCHI, Ernesto De Martino, Dalla crisi della
presenza alla comunità umana, Liguori, Napoli, 1987
6) P. CHERCHI, Il signore del limite. Tre variazioni critiche su Ernesto
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7) R. DI DONATO, ( a cura di ), La contraddizione felice? Ernesto De
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8) M. ELIADE, Il mito dell’eterno ritorno, Borla, Roma, 1968.
9) M. ELIADE, Trattato di storia delle religioni, Boringhieri, Torino
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10) U. FABIETTI, Storia dell’antropologia, Zanichelli, Bologna, 1991.
11) C. GALLINI, ( a cura di) “Ernesto De Martino. La ricerca e i suoi
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12) C. GALLINI, Introduzione a: E. De Martino, Note di campo ,
Argo, Lecce, 1995 13) Lombardi-Satriani L.M., il silenzio, la memoria
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14) L.M. LOMBARDI-SATRIANI, introduzione a: E. De Martino,
Furore, Simbolo, Valore, Feltrinelli, Milano, 1980.
l5) M. MASSENZIO, introduzione a: E. De Martino, Storia e metastoria, Argo, Lecce, 1995.
16) C. PASQUINELLI, Antropologia culturale e questione meridionale.
Ernesto De Martino e il dibattito sul mondo popolare subalterno negli
anni 1948-1955, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1977.
Le maggiori pubblicazioni di E. De MARTINO
l) Per una visione completa dell’opera di De Martino si veda: M.
Gandini, “Ernesto De Martino. Nota bio-bibliografica”, in: Uomo e
Cultura, 10, 1972.
2) E. DE MARTINO, Naturalismo e storicismo in etnologia, Laterza,
Bari, 1941.
3) E. DE MARTINO, Il Mondo Magico, Boringhieri, Torino, 1948.
4) E. DE MARTINO, “Intorno a una storia del mondo popolare subalterno” in: “Società”, V, 1949, n.3.
5) E. DE MARTINO, Note Lucane in: Società VI, 1950, n.4.
6) E. DE MARTINO, “Angoscia territoriale e riscatto culturale nel mito
achilpa delle origini” in: Studi e Materiale di Storia delle religioni,
96
Vol. XXIII, 1951-’52 7) E. De
Martino, “Note di viaggio”, inNuovi Argomenti, I, 1953, n.2.
8) E. DE MARTINO, Morte e
pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria,
Boringhieri, Torino, 1958.
9) E. DE MARTINO, Sud e
Magia, Feltrinelli, Milano, 1959.
10) E. DE MARTINO, La terra
del rimorso. Contributo a una
storia religiosa del Sud , Il
Saggiatore, Milano, 1961.
11) E. DE MARTINO, Magia e
Civiltà, Garzanti, Milano, 1962.
12) E. DE MARTINO, Furore,
Simbolo , Valore, Feltrinelli,
Milano, 1962
Pubblicazioni postume
l) E. DE MARTINO, La fine del
mondo. Contributo all’analisi
delle apocalissi culturali, (a cura
di C. Gallini),Einaudi, Milano,
1977.
2) E. DE MARTINO, Note di
campo, Spedizione in Lucania,
30 Sett. 31 Ott. 1952, (a cura di
C. Gallini), Argo, Lecce, 1995.
3) E. DE MARTINO , Storia e
metastoria, I fondamenti di una
teoria del sacro, (a cura di M.
Massenzio), Argo, Lecce, 1995.
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