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Libretto - I Teatri

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Libretto - I Teatri
www.reggiomotori.bmw.it
Collana
LIBRI ALL’OPERA
Teatro Municipale Valli, 3 e 5 marzo 2010
La vera costanza
Dramma giocoso in tre atti
Musica di Franz Joseph Haydn
Libretto di Francesco Puttini e Pietro Travaglia
Prima rappresentazione: Palazzo di Eszterháza 25 aprile 1779
(Universal Edition - Wien; a cura di H.C. Robbins Landon
Rappresentante per l’Italia: Universal Music Publishing srl - Milano)
Edizioni del Teatro Municipale Valli, Reggio Emilia
Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, 2010
Libro programma a cura di Lorenzo Parmiggiani e Mario Vighi
Ufficio stampa, comunicazione e promozione
In redazione: Veronica Carobbi
L’editore si dichiara pienamente disponibile a regolare le eventuali spettanze relative a diritti di riproduzione per le
immagini e i testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte.
Indice
Notizie
13
Il libretto
Personaggi
Atto primo
Atto secondo
Atto terzo
23
25
47
65
Immagini
71
Saggi e contributi
Un tesoro nascosto, di Elio De Capitani
Sentimento e sensibilità ne ‘La vera costanza’, di Jessica Waldoff
83
93
Notizie
15
La vera costanza è un dramma giocoso in tre atti composto da Haydn nel 1778
su libretto in italiano di Francesco Puttini (rielaborato da Pietro Travaglia)
e rappresentato per la prima volta presso il Teatro di Eszterháza il 25 aprile
1779. Tra il 1753 e il 1791 Haydn scrisse 17 opere oltre a diversa musica per il
teatro di marionette presente nel parco del castello degli Esterházy.
La vicenda
Primo atto
Un terribile temporale in mare causa il naufragio di una piccola barca in un
villaggio di pescatori: i naufraghi, la Baronessa Irene, il Marchese Ernesto, il
damerino Villotto e Lisetta, cameriera della Baronessa, vengono soccorsi da
Masino e da sua sorella Rosina. La Baronessa, temendo che il nipote (il conte
Errico) voglia sposare una povera pescatrice (Rosina) ordisce un complotto per
indurre Rosina a prendere in sposo Villotto. Solo a nozze avvenute la stessa
Baronessa sposerà il marchese Ernesto. Ma ciò che tutti ignorano è che Errico, già da cinque anni lontano, prima di partire aveva sposato Rosina e che
dalla loro unione era nato un figlio. Alla proposta della Baronessa di sposare
Villotto, Rosina si dibatte tra la volontà di essere fedele e la realtà di un marito
lontano e indifferente. Inaspettatamente però Errico arriva e, sospettando il
tradimento della moglie, minaccia di uccidere Villotto. Anche Ernesto sostiene il complotto della Baronessa, che desidera sposare, e chiede a Masino di
costringere sua sorella Rosina ad accettare la corte di Villotto. Errico decide di
testare la costanza della moglie parlandole con crudeltà e offrendola a Villotto
ma Rosina si dichiara pronta a morire piuttosto che sposare Villotto. Errico
17
l’abbraccia per questa dimostrazione di fedeltà ma la Baronessa se ne accorge
e mostra ad Errico un’immagine di colei che lei intenderebbe dargli in moglie.
L’ammirazione espressa da Errico davanti all’immagine fa disperare Rosina.
Secondo atto
Nel castello della Baronessa, Ernesto supplica Rosina di accettare Villotto: da
ciò dipende infatti il suo matrimonio con la baronessa. Ma la dichiarazione di
Ernesto che “solo lei potrà renderlo felice”, viene udita e fraintesa dalla Baronessa e da Errico: entrambi attaccano Rosina che decide di fuggire. Errico
furioso per l’infedeltà della consorte, ordina a Villotto di cercarla e ucciderla.
Ma Lisetta rivela l’errore e persuade Errico della fedeltà della moglie. Pentito
di ciò che ha fatto, Errico cerca Rosina – che nel frattempo si è nascosta con
il figlio in una torre nel villaggio di pescatori. Giunto al villaggio incontra un
bambino che lo conduce da Rosina: qui Errico chiede perdono a Rosina e
abbraccia suo figlio.
Atto terzo
Ancora un tentativo da parte della Baronessa di dividere Rosina ed Errico
inviando a entrambi delle lettere fasulle. Ma l’inganno viene subito scoperto
e alla Baronessa non rimane che rassegnarsi ed accettare Rosina come moglie
del nipote.
Franz Joseph Haydn
Nacque nel 1732 a Rohrau (Bassa Austria) in una famiglia di modeste condizioni; a otto anni si trasferì come corista a Vienna, dove studiò violino, clavicembalo e composizione (allievo anche di Porpora). Dopo un periodo presso il
conte Morzin a Lukawetz bei Pilsen (Boemia) nel 1761 viene ingaggiato come
maestro di cappella e compositore dai principi Esterházy, al cui servizio rimase
fino al 1790, vivendo anche nella residenza estiva Eszterháza (Ungheria) della famiglia. Attraverso la diffusione data dalla stampa alle sue composizioni,
Haydn divenne celebre in Europa. A Vienna fu in contatto con Mozart ed
ebbe come allievi, fra gli altri, Pleyel e Beethoven. Nel 1790, morto il principe
Nicolaus, Haydn accettò un invito dell’impresario Salomon e si recò a Londra
per dirigere personalmente un gruppo di sinfonie composte per l’occasione
18
(1790-92), ottenendo un enorme successo. Tornò a Londra nel 1794-95, poi,
in patria, gli fu affidata la direzione della ricostruita cappella degli Esterházy. Il
suo catalogo comprende 107 sinfonie, più di venti opere, oratori e messe, concerti per strumento solista, musica da camera e per pianoforte, pezzi vocali; è
considerato il padre della sinfonia, della sonata e del quartetto. Morì a Vienna
nel 1809.
19
Il libretto
21
La vera costanza
Dramma giocoso in in tre atti
Libretto
Francesco Puttini e Pietro Travaglia
Personaggi
Rosina Pescatrice virtuosa e di spirito soprano
Baronessa Irene Zia del Conte Errico e amante d’Ernesto soprano
Lisetta Cameriera della Baronessa, amante non corrisposta di Masino soprano
Conte Errico Giovine volubile e stravagante, sposo segreto di Rosina tenore
Marchese Ernesto Amico del Conte tenore
Masino Capo dei pescatori, fratello di Rosina baritono
Villotto Ricco ma sciocco, destinato sposo di Rosina basso-baritono
Marinari
Il piccolo figlio di Rosina
Nota
Le parti stampate in colore grigio nella presente edizione non vengono eseguite.
23
Atto primo
[Sinfonia]
posso appena respirar.
Scena prima
Spiaggia di mare terminata dall’orizzonte
e lateralmente ingombrata da folti alberi,
fra’ quali diverse casette rustiche e capanne
pescaresce. Si vede il mare in fierissima burrasca.
Nave dentro la quale vi saranno la Baronessa
Irene, il Marchese Ernesto, Villotto e Lisetta.
Il muggito del mare, il balenar de’ lampi,
il rimbombo de’ tuoni verrà accompagnato
dall’ultima parte della Sinfonìa; si vedranno
li suddetti personaggi scendere dalla nave
coll’aiuto de’ marinari in un palischermo, che
sarà alzato in qua e in la a discrezione dell’
onde; calmata qualche poco la tempesta, si vedrà
avvicinarsi al lido.
Rosina e Masino escono da una casetta,
spaventati.
ROSINA
(vedendo il palischermo, che cerca approdare)
Ma quel legno a noi s’appressa!
[Introduzione]
ROSINA, MASINO
Che burrasca, che tempesta,
che paura, che terrore,
batte ancora in petto il core,
MASINO
Come il mare gli fa guerra!
ROSINA
Sventurati!
MASINO
A terra, a terra.
ROSINA
Son confusi.
MASINO
Non temete.
ROSINA, MASINO
Pescatori, dove siete?
Deh venite ad aiutar.
(escono diversi pescatori in aiuto)
25
ROSINA
Date mano.
VILLOTTO
Chi mi allenta un po’ la vena!
MASINO
Via, sarpate.
LISETTA, VILLOTTO
Non ho forza, non ho lena!
Non ho fiato da parlar.
ROSINA
Su coraggio.
MASINO
Vi stancate?
ROSINA
Signori, via calmate
l’affanno ed il timor.
ROSINA
Forti adesso.
MASINO
Venite alla capanna,
ve l’offro di buon cor.
MASINO
Presto a voi.
(Scendono li detti personaggi a terra)
ERNESTO
(alla Baronessa)
Sì, sì, mia cara, andiamo.
ROSINA, MASINO
Siete in salvo, e qui fra noi
vi potete ristorar.
LISETTA
Partiamo via di qua.
LA BARONESSA
Chi m’aiuta? Chi m’aiuta?
Oimè, ch’io moro?
Ah, mi sento, oh Dio, mancar.
ERNESTO
Baronessa, mio tesoro,
qui son io, non paventar.
LISETTA
Chi mi regge, poverina!
26
VILLOTTO
Fuggiam da questo loco,
un miglio ancor più in là.
BARONESSA
Andiam, che a poco a poco
comincio a respirar.
ROSINA, MASINO
Non più temer dovete,
or che non siete in mar.
TUTTI
È già sereno il cielo,
ritorna il mare in calma,
e lieta ancor quest’ alma
ritorni a giubilar.
[Recitativo]
MASINO
S’è lecito, Signora, vorrei sapere…
(scusate l’insolenza)…
Dice il proverbio antico,
che ogn’uno in casa d’altri
verbigrazia usa la cortesia;
vorrei saper, chi è mai vossignoria?
BARONESSA
(Non connette costui) Come?
Tu non conosci la Baronessa Irene?
ERNESTO
La zia del Conte Errico,
tua padrona?
ROSINA
(Misera me! Che sento!)
LISETTA
E non sapete,
ch’io son la cameriera favorita,
e mi chiamo Lisetta?
VILLOTTO
E non vedete al nobil portamento
ch’io sono Don Villotto,
cittadino della città d’un bel castel vicino?
MASINO
Compatisca, Eccellenza, l’ignoranza,
cioè, la poca pratica,
anzi l’oscurità di sua progenie…
BARONESSA
E tu chi sei? Come ti chiami?
E questa bellissima fanciulla…
MASINO
Io son Masino,
capo de’ pescatori,
e in quanto a quella,
sappia lei, che è Rosina mia sorella.
BARONESSA
Numi! Rosina è questa?
(Colei che vo’ cercando)
Mira, mira, Villotto, la tua sposa.
VILLOTTO
(Che contentezza! Oh cara!)
ROSINA
Nell’inchinarmi a voi, signora amabile,
permettete che possa tributarvi il mio core
fede, rispetto, ubbidienza e amore.
(gli bacia la mano)
BARONESSA
(Quant’è scaltra costei!)
VILLOTTO
(A questa è bella)
27
BARONESSA
(Ernesto, che ti par)
ERNESTO
(Finger conviene)
BARONESSA
Cara Rosina, ah troppo avvilisci
il tuo volto; un foco, un brio
veggo negl’occhi tuoi,
che ispira a tutti amor.
ERNESTO
Siete vezzosa, siete vaga e gentil.
Siete una rosa, un giglio, un tulipano.
ROSINA
Perché mortificarmi,
perché farmi arrossir con tal favella?
LISETTA
Quand’una è bella, è bella,
e si deve lodar; io son sincera.
MASINO
(Gente cui si fa notte innanzi sera)
BARONESSA
Senti Rosina, io penso di formar
la tua sorte.
ROSINA
(Oimè ! Ch’io tremo)
BARONESSA
(a Rosina)
28
Mira il signor Villotto,
ricco, giovine e bello.
Io vo ch’entr’oggi,
che a te porga la mano.
ROSINA
Come… Signora… oh Dio!
BARONESSA
Ti sembra strano
il favore improvviso?
VILLOTTO
(Subito ha fatto colpo il mio bel viso)
ROSINA
Io… (che dirò? mi perdo.)
BARONESSA
Ti confonde il piacer?
ROSINA
Vorrei…
BARONESSA
T’intendo: vorresti dir
che ai rai di così bel sembiante,
un dolce foco
già ti si desta in sen,
ma non ardisci
di palesare il tuo nascente amore,
e timido s’arresta
il labbro, e il core.
[Aria]
BARONESSA
Non s’innalza,
non stride sdegnosa
debil fiamma
se l’aura non spira.
Ma se il vento d’intorno
s’aggira debil fiamma un incendio si fa.
(parte, con Ernesto e Lisetta)
Scena seconda
Rosina, Villotto e Masino
[Recitativo]
ROSINA
(In quel cimento oh Dio!
Or mi trovo meschina!)
VILLOTTO
(Parla fra sé, che gusto ell’è già cotta.)
MASINO
(Par che questa faccenda
voglia essere scabrosa)
VILLOTTO
(Sospira, abbassa gli occhi, è vergognosa
vo’accostarmi pian piano:
al meritevol merto… .)
(s’accosta)
ROSINA
Che comanda?
VILLOTTO
Io comandarvi? Oibò, siete dispotica
assoluta padrona…
MASINO
Adagio, signor mio; veda che ci son io,
che per giusta ragion godo il primato.
VILLOTTO
Oh caro mio cognato,
vi compatisco, è ver…
ROSINA
Cosa pretende?
VILLOTTO
Brevemente dirò: lo sposo io sono,
cioè son servitore da lui, di lei… .
perché son destinato… mi spiegherò…
deve saper mia cara…
MASINO
(Oh che pezzo di Massa di Carrara)
VILLOTTO
(a Rosina)
Su via volgete, o bella,
quegli occhi fulminanti,
e mirate, carina, il vostro sposo,
che sospira il momento…
ROSINA
Più non posso soffrir,
morir mi sento.
(parte)
29
VILLOTTO
Senti sposina…
MASINO
Piano.
VILLOTTO
Non v’è piano, né monte;
non vedi che sospira,
more per me, delira?
La voglio seguitare.
MASINO
Amico, già mi pare ch’abbi perduto
affatto i lucidi intervalli.
VILLOTTO
Come a dire?
MASINO
Sei cieca talpa,
e prendi lucciole per lanterne.
VILLOTTO
Io son… mi meraviglio;
io ci vedo, e ci sento
e non discorro a caso.
MASINO
Di tua bestialità son persuaso.
[Aria]
MASINO
So che una bestia sei:
30
so che sconetti appieno,
e che non sai nemmeno
dove il cervel ti sta.
Tu prendi in ogn’istante
per mosca un elefante,
un grillo per cavallo,
per bue un pappagallo,
che dici non si sa.
Astrologhi, t’immagini,
e con le tue scioccagini
balzi di qua di là.
So che una bestia sei, ecc.
Ritirati, confonditi,
che un pazzo al mondo simile,
no certo non si dà.
(parte)
Scena terza
Villotto, poi il Conte
VILLOTTO
Oh questa si che è bella,
cosa c’entra il grillo,
e il pappagallo…
ma voglio seguitarla.
Oh cara! Oh cara! Quando tu mi vedrai…
CONTE
Fermati, dove vai?
VILLOTTO
Vado se no’l sapete… vi dirò:
vado, vorrei però farvi capace.
Io vado, Signor sì, dove mi piace.
CONTE
Temerario balordo, tu non sai.
Ch’io sono il tuo padrone?
VILLOTTO
Ah voi siete il Nipote della Zia?
Amico perdonate; amor qui mi condusse,
e mi fa delirare per la bella beltà
che m’innamora.
CONTE
Non mi stupisco, aman le belve ancora.
VILLOTTO
Ah, mia cara Rosina…
CONTE
Questa forse è colei.
VILLOTTO
Questa è colei: la bella pescatrice;
son io, son io lo sposo fortunato.
CONTE
Me ne consolo assai.
VILLOTTO
Bene obbligato.
CONTE
Olà, villano indegno, parti, fuggi, va via,
che se ti vedo girar più qui d’intorno,
fo balzarti il cervel.
VILLOTTO
Schiavo, buon giorno.
(parte timoroso, poi torna)
CONTE
Il piacer della caccia
dove mai mi trasporta?
In questo loco la Rosina soggiorna,
quelle capanne, oh Dio!
M’empiono di rossor,
qui mi costrinse non so
qual forza ignota a sposare colei…
VILLOTTO
S’è lecito, vorrei sapere
un poco il come, ed il perché…
CONTE
E non partisti ancora?
Tu dunque a mio dispetto.
(gli va incontro)
VILLOTTO
Non s’incomodi, vado; (maledetto!)
(parte e poi torna)
CONTE
Amai Rosina, è vero,
e quel sembiante m’indusse a delirar,
ma poi sposata, non mi sembrò più bella.
VILLOTTO
Signor, la Baronessa veda lei che sta qui…
CONTE
Sciocco villano, già che sei qui venuto
per voglia di morir…
(adirato)
31
VILLOTTO
Aiuto, aiuto.
(fugge)
CONTE
La Baronessa qui?
Comprendo adesso ciò che tenta eseguir.
Ma giuro al cielo…
che impegno sciocco è il mio.
Ama costui Rosina la spo… che dico?
Ella è pure mia moglie?
Eh che son pazzo…
Oibò… Villotto astringerò a ricusarla,
e quando ostinato si mostri, allora invano,
la morte fuggirà da questa mano.
(parte)
Scena quarta *
Rosina e Lisetta
ROSINA
Dunque la Baronessa a sè mi chiama?
Oh Dio, cara Lisetta;
da qual gelida mano
sento stringermi il cor?
LISETTA
Vi compatisco. Quel volere obbligarvi
a sposar per forza un sciocco, un scimunito.
ROSINA
Ah non è questo il maggior de miei mali.
* In questa edizione viene posticipata dopo la scena X
32
LISETTA
Ma parlate, fidatevi di me.
ROSINA
Di voi mi fido, e a voi
la mia vita abbandono;
sappiate oh Dio! che moglie
e che madre io sono.
LISETTA
Come? Che sento mai!
ROSINA
Or compie un lustro, che il Conte Errico
vide la prima volta questo volto infelice,
e in un istante per mia sventura ne divenne
amante.
LISETTA
(Già me l’immaginavo.)
ROSINA
Fuggo allora ogni incontro,
egli mi siegue, al monte, alla marina,
alla foresta e in van
mi celo in quella parte, e in questa.
LISETTA
Fan così tutti gli uomini.
ROSINA
Mi vede un giorno, allor, che giro
al fonte, e a piedi miei prostrato,
m’offre la man di sposo.
LISETTA
Oh, come sono scaltri! Come la sanno far!
ROSINA
Io non l’ascolto; snuda la spada, vuol ferirsi,
io grido: giunge Masino, lo frena; ei chiede
singhiozzando, o Rosina, o la morte:
mio fratello pietà ne sente,
e allora gli offro la mano e il core, mi do
per vinta,
e ne trionfa amore.
LISETTA
Come farne di meno?
Io che son di buon core,
non aspettavo tanto.
ROSINA
Eccomi sposa d’un cavalier che m’ama,
e neppure un momento si divide da me.
Fu troppo breve la mia felicità?
Appena scorse eran due lune, oh stelle!
Parte, mi lascia: ah che fatal momento!
Che partenza crudel! Più non lo vedo;
dono intanto alla luce un pargoletto,
che nascondo gelosa,
e nel mio duol tiranno
lo pasco sol di lagrime, e d’affanno.
(piange)
LISETTA
No cara, non piangete.
Sento spezzarmi il cor!
Povere donne, oh andiamoci a fidar!
Pianti e sospiri…
ROSINA
Taci, cara Lisetta,
non affliggermi più;
purtroppo, oh Dio! Per mio crudel tormento
le tenerezze sue tutte rammento.
[Aria]
ROSINA
Con un tenero sospiro,
ah, ah Rosina mi diceva:
e la mano mi stringeva
tutto affetto, e tutto ardor.
Poi con viso languidetto,
con le lagrime sul ciglio
la baciava con rispetto
e spargea di pianto ancor.
Come, oh Dio! Potè l’ingrato
qui lasciarmi in abbandono?
Che crudel destin spietato;
che tiranno fido cor!
Ah, ah, Rosina mi diceva, ecc.
Scena quinta
Villotto, poi il Conte da una parte, Masino,
poi Ernesto dall’altra
VILLOTTO
Evviva allegramente,
presto, presto sarò sposo
e già sento che il core batte
per la gioia vicina.
Sposa, mio caro bene,
vieni presto e consola…
33
IL CONTE Ecco che viene;
(gli mostra una pistola)
questa è la sposa tua,
vedi quanto è leggiadra;
ella sospira l’acquisto del tuo cor…
Tu di Rosina dei ricusar la mano.
VILLOTTO
Come? Perché? Se quella m’ama, ed ora
qui venuto son io
per donare la mano all’idol mio?
CONTE
Amico, io qui m’ascondo:
se altrimenti farai,
con grand’ardore
verrà la sposa
a trapassarti il core.
(si ritira)
MASINO
È antico quel proverbio:
la donna è sempre donna,
e per la donna
si perde qualche volta…
ERNESTO
Basta non più parole: io qui mi celo:
se no’l farai, di venir ti prometto
(gli mostra uno stile)
con questo ferro a trapassarti il petto.
(si ritira)
VILLOTTO
Ed ora che farò: par che incomincino
a tremarmi le gambe…
se colui che lì si trova a caso…
ma alla fine io chi son? Non son lo sposo?
Piano… se quel amico
qui ne vien colla sposa oh, brutto intrico.
MASINO
Che caso metafisico,
anzi caso pensato; entriamo un poco
nel midollo del caso;
mia sorella verbigrazia ricusa,
e quello poi qui ne vien furibondo
con il ferro alla mano, io mi confondo.
Scena sesta
La Baronessa, Rosina, Lisetta e detti
ERNESTO
Sei qui, Masino? Ascolta.
Qui vien la Baronessa con Rosina;
tu devi in ogni conto
obbligar tua sorella
a sposare Villotto.
BARONESSA
Ecco Rosina mia,
lo sposo che ti attende
osserva, osserva, come gli brilla il cor…
ma tu sospiri? Trattieni a forza il pianto!
Forse ti rendi ingrata?
MASINO
Oh, quest’è bella. Io direi verbigrazia…
LISETTA
(Che disdetta!)
34
ROSINA
No, che ingrata non sono
alla vostra bontà, ma non mi sento
inclinata a legarmi, ah, contentatevi,
che meschina, ed abietta
come vissi finor…
BARONESSA
Taci fraschetta:
comprendo il tuo pensiero;
in questo punto tu dei sposar Villotto;
olà Masino costringi tua sorella
or a dargli la mano.
MASINO
Il matrimonio,
signora mia, dev’essere tra lei, e lui…
ERNESTO
(piano a Masino)
(Or siamo al punto, amico,
questo è il ferro, lo vedi?)
MASINO
(tremante)
Si, signore…
(entrano la Baronessa, Rosina e Lisetta)
BARONESSA
Eh son’io che comando:
accostati, Villotto,
porgi a costei la mano.
ROSINA
(Numi, aita!)
LISETTA
(Che caso!)
VILLOTTO
Per me son persuaso.
Ella ha ragione, e voglio…
Senta facciam così…
CONTE
(piano a Villotto)
(Son pronto, eccomi qui
e questa è la pistola)
VILLOTTO
(tremante)
(Non signore… )
BARONESSA
Ma che si tarda più? Masino…
ERNESTO
(Sbrigati.)
MASINO
Piano… un momento ancora…
BARONESSA
Non più indugi: Villotto,
ti sei forse pentito?
VILLOTTO
(Qui bisogna morir non v’è riparo)
Pentito; oh questo mai!
CONTE
(Vedi ch’io sparo)
35
[Aria]
VILLOTTO
(al Conte)
Non sparate… mi disdico…
(alla Baronessa)
Mia Signora… una parola.
Se la sposa… oh brutto intrico!
Maledetta la pistola,
che tremar così mi fa.
(alla Baronessa)
Ma sentite il mio pensiero:
io diman, signora mia
(al Conte)
nol credete, non è vero,
è un pretesto, una bugia,
non la voglio, signor, nò.
(alla Baronessa)
Mia signora, non sparate, ecc.
Ah, che in mezzo a quello e questa
divenuta è la mia testa,
come appunto una girandola,
che con razzi, botte e folgori
su per l’aria se ne va.
(parte)
Scena settima
Baronessa, Rosina, Masino, Lisetta, il Conte
ed Ernesto
BARONESSA
Vanne sciocco balordo; intendo, intendo
del rifiuto il motivo.
Indegni, sì, vedrete,
che son Dama, son donna, e son offesa
36
(a Rosina)
e tu femmina scaltra,
eleggi la tua sorte.
O sposa di costui, o della morte.
(parte)
CONTE
(Voglio vederne il fine: se Villotto
si tornasse a cangiare,
il cranio all’aria io gli farò saltare.)
(parte)
ROSINA
(Che tirannia!)
LISETTA
(Che pena!)
ERNESTO
(piano a Masino)
Udisti il tuono
del tuo fatal destino?
Pensa però
che il fulmine è vicino.
(parte)
ROSINA
Vi sono più tormenti
più sventure per me?
Numi clementi
se togliermi volete
d’ogni ben la speranza,
conservatemi almen la mia costanza.
(parte)
Scena ottava
Lisetta e Masino
LISETTA
Eppur sappi…
MASINO
Non so dove mi sia
Sono stordito ho il cervello sconvolto.
MASINO
Che cosa?
LISETTA
Eh via coraggio; qui ci son io per te.
MASINO
Che puoi tu farmi?
LISETTA
Io posso consolarti,
e potrei forse forse anche giovarti.
MASINO
Ma come? In che maniera?
Se mi ritrovo in un mare di guai.
LISETTA
Eppure tu non sai
che a questo v’è il rimedio.
MASINO
E sarebbe?…
LISETTA
Se mai… qui capitasse una…
Che ti vuol bene…
ti potrebbe aiutar.
MASINO
Io non capisco.
LISETTA
Mi vergogno.
MASINO
Parla, parla.
LISETTA
Per te…
MASINO
Per me, che dici;
LISETTA
Guardami fisso, fisso…
MASINO
Ecco ti miro.
LISETTA
Ah, Masino, mio ben, per te sospiro.
MASINO
E in tal guisa pretendi d’aiutarmi?
Eh figlia mia, tu vuoi precipitarmi?
LISETTA
Lo so, che non son bella…
MASINO
Tu sei bellissima;
37
ma ti par tempo e poi è mia
massima antica filosofica
di non credere a donne.
LISETTA
Ma pur sai, che ogni regola
ha la sua eccezion posso
vantarmi ch’io son una mano,
non vo’ lodarmi.
[Aria]
LISETTA
Io son, poverina,
né ricca né bella,
ma sono buonina,
son tutta bontà.
Eppur con gli amanti,
che fiero destino!
Son tanto infelice,
non trovo pietà.
Ingrato Masino,
mi vedi languire,
vuoi farmi morire,
che ria crudeltà!
Io son poverina, eco.
(partono)
Scena nona
Entrano il Conte, indi Rosina
CONTE
Ah che già sono ormai
stanco di più soffrir;
la Baronessa si sdegni pure.
38
Io voglio in libertà godere.
ROSINA
Per sfogar le mie pene,
dove, dove n’andrò…
(al Conte)
Sposo, mio bene,
amato mio conforto…
CONTE
(sostenuto)
E tu chi sei?
ROSINA
La povera Rosina,
l’umile pescatrice, vostra serva.
CONTE
Ed io chi sono?
ROSINA
Un nobil cavaliere,
cui piacque sollevarmi
dal mio stato mendico all’alto grado
di vostra sposa…
CONTE
Taci: non proferir tal nome.
Un tempo è ver, t’amai;
ma fu per bizzarria.
ROSINA
Fu, se m’amaste tutta vostra bontà,
non già mio merto.
CONTE
(Eppure un certo moto, sento nel petto.)
Olà, parti.
ROSINA
Ubbidisco.
CONTE
(Il cor mi trema, io gelo.)
ROSINA
Parto mio ben,
giacché non m’è concesso
dirvi sposo adorato;
ah vi sovvenga d’avere un giorno amata
la povera Rosina!
Addio, mia cara, mia perduta speranza…
permettete, che sulla mano almeno
l’ultimo bacio imprima…
(piangendo, gli bacia la mano)
CONTE
Eh lascia.
(Oh Dio! Un barbaro son io se più resisto.)
Vanne pur… senti… oimè,
Rosina amata.
Scena decima
Villotto e detti
VILLOTTO
Pure alfin l’ho trovata…
Il Conte! Eh non la scampo. Or m’uccide
di botto.
CONTE
(vedendo Villotto, subito si cangia)
Vieni, caro Villotto.
Ecco la tua Rosina.
ROSINA
Caro sposo, che dici?
VILLOTTO
Non signore…
(Ah costui me la fa)
mi meraviglio: io son…
CONTE
Sì sì, tu sei di Rosina l’amante.
ROSINA
(Ah che quel core cangiato è in un istante.)
VILLOTTO
Oibò, sbagliate;
non vo’ più prender moglie,
ho risoluto d’andarmene alla guerra.
CONTE
Va benissimo;
amor pure è una guerra
osserva, attendi,
e come dei pugnar,
da me l’apprendi.
[Recitativo ed Aria]
CONTE
Mira il campo all’intorno
che sen giace in riposo;
39
all’improvviso, ecco,
ecco suona il tamburo;
che rumor! che sussurro! All’erta, all’erta!
Corre ogn’un, prende l’armi.
Il capitano di qua di là s’aggira
ordinando le schiere,
i fanti, li cavalli, e le bandiere.
S’incomincia la marcia,
a passo lento lo squadron s’incammina,
presto, presto, affrettate.
Si scopre il campo ostil… alto: fermate;
già la bella nemica
ecco ne vien: su via, spirto, valore;
se tu la vinci, sarà tuo quel core.
A trionfar t’invita
già la guerriera tromba;
vanne con alma ardita
quel core a debellar.
Ripara quell’assalto,
ritirati con arte,
accorri in quella parte,
per vinta già si dà.
Vedi in quel vago viso
amor che scherza e vola;
mira in quei labbri il riso,
la grazia e la beltà.
Digli, che a suoi bei rai…
(Villotto si accosta)
Perfido, olà, che fai?
Pensa, che tu, che sei…
ch’io ti farò tremar.
Oimè! Che smania orribile!
Mi perdo, mi confondo;
e fuori già del mondo
da un turbine, da un vento
40
mi sento trasportar.
(parte)
Scena undicesima
Rosina, Villotto indi Masino
VILLOTTO
Ecco che siamo o cara,
qui soli in libertà.
ROSINA
Da me che voi?
VILLOTTO
Son vincitore, ed or voglio la mano.
ROSINA
Vanne lungi da me.
(vuol partire)
MASINO
Ferma villano.
VILLOTTO
Cognato, ho vinto, ho vinto;
tu non sai la battaglia passata,
che il Conte… oh, che allegrezza!
MASINO
Cosa dice costui? Rosina io non l’intendo.
ROSINA
Me stessa in quest’istante io non
comprendo.
[Finale I]
ROSINA
Ah, che divenni stupida:
che barbaro martire!
Non so quel che mi dire,
non so nemmen parlar.
VILLOTTO
Amico, quella spasima,
pena, languisce e more:
io sono il vincitore,
e seppi trionfar.
MASINO
Per me rimango stolido:
non ne capisco niente;
è cosa veramente
da farmi taroccar.
ROSINA
Oh, Dio! che fiero palpito
dentro il mio petto sento.
VILLOTTO
Del gran combattimento
il fatto vi dirò.
MASINO
Che un gran bestia sei,
io ti ripeterò.
VILLOTTO
Al suono del tamburo
s’incominciò a marciare.
MASINO
È cosa da crepare,
cattera m’hai seccato.
ROSINA
Deh placa ingiusto fato
il fiero tuo rigor.
VILLOTTO
“A trionfar t’invita
già la guerriera tromba.”
MASINO
Facciamola finita,
che tu sconetti ancor.
VILLOTTO
“Ripara quest’assalto,
ritirati con arte,
avanza in quella parte,
per vinta già si dà.”
MASINO
“Tu prendi in ogn’ istante,
per mosca un elefante,
un grillo per cavallo,
che dici non si sa.”
ROSINA
Ah, per pietà cessate,
basta, non più tacete.
Cieli, se giusti siete,
non tanta crudeltà.
A TRE
O che gran giorno/pazzo/caso è questo
41
troppo per me funesto/molesto,
che disperar mi fa.
(partono)
Scena dodicesima
La Baronessa ed Ernesto indi Rosina, Villotto
e Masino, l’un dopo l’altro
BARONESSA, ERNESTO
Bel godere la campagna
con il caro bene a lato:
idol mio piacer più grato
no di questo non si dà.
BARONESSA
Qui rallegra la marina.
io mi moro adesso qua.
MASINO
Inchinando, supplicando
per colei cioè per quella,
cioè a dir per mia sorella,
di lasciarla in libertà…
BARONESSA
(a Rosina)
Troppo è inutile quel pianto.
ERNESTO
(a Masino)
Nulla vagliono i tuoi prieghi.
ERNESTO
Qui gioir fa il colle e il prato.
BARONESSA, ERNESTO
Ubbidisci, e pensa intanto
che punirti io ti saprò.
(partono)
A DUE
Idol mio piacer più grato
no di questo non si dà.
(Rientra Rosina)
ROSINA
Ah mi veggo già smarrita,
e che farmi più non so.
(parte)
ROSINA
Sospirando singhiozzando
nella mia funesta sorte:
non lo sposo, ma la morte
sol vi chiedo per pietà.
VILLOTTO
Io la voglio seguitare.
VILLOTTO
Palpitando, lacrimando,
lo vedrete, oh, che ruina,
se non ho la mia Rosina,
VILLOTTO
Sì, signore.
42
MASINO
No, signore.
MASINO
Non si parta.
VILLOTTO
Eh si parta.
A DUE
Non/Eh si parta, cosi vò.
(contrastano)
Scena tredicesima
Lisetta e detti
LISETTA
Salvati, fuggi,
Villotto caro,
meco non vieni,
Masino bello.
(affannata)
Ernesto… il Conte…
Non v’è riparo,
ti van cercando,
ti van trovando;
ah, nascondetevi,
per carità.
VILLOTTO
Come?… ma dimmi?…
MASINO
Dove?… ma senti?…
LISETTA
Se più tardate,
vi giungerà.
VILLOTTO
Eccomi pronto.
MASINO
Ecco men vado.
MASINO, VILLOTTO
E zitto, zitto,
m’ascondo qua.
(si nascondono in parti opposte)
LISETTA
Che precipizio,
che gran ruina!
Contro costoro,
contro Rosina;
soffrir non posso
tal crudeltà.
(Masino e Villotto escono di nuovo con timore)
VILLOTTO
Sento rumore,
qui non sto bene.
MASINO
Parmi di udire
gente, che viene.
MASINO, VILLOTTO
Voglio nascondermi
presto di là.
(s’ incontrano e si spaventano)
VILLOTTO
Soccorso, aiuto…
43
MASINO
Oimè, son morto…
lo voglio trucidar.
(Rosina)
VILLOTTO
La vita in grazia…
ROSINA
Eccoti il petto mio,
svenami, sposo amato,
dà fine al mio pensier.
MASINO
Non mi uccidete…
LISETTA
Ma voi che fate?
Con chi l’avete?
Perché tremate?
Quest’è pazzia.
MASINO, VILLOTTO
Fu l’apprensione,
la fantasia,
fu certo un sbaglio,
non v’è che dir.
A TRE
Via non più chiacchiere:
qui ci vuol spirito,
convien risolvere,
convien partir.
(partono)
Scena quattordicesima
Il Conte, poi Rosina
CONTE
Dov’è, dov’è l’indegno?
Cadrà per questa mano;
non so frenar lo sdegno,
44
CONTE
Oimè, che incontro è questo!
Non so dove mi fa.
ROSINA
Ferisci, anima mia,
squarciami il petto, il core.
CONTE
Ah no, mio dolce amore,
ecco ritorno a te.
ROSINA
Misera già non sono
se fido torni a me.
A DUE
Che amabile contento!
No, che più bel momento
di questo, oh Dio! non v’è.
Scena quindicesima
La Baronessa, Ernesto e Villotto, indi Lisetta
e Masino
BARONESSA
Che miro, Rosina?
ERNESTO
(in osservazione)
Il Conte con quella?
VILLOTTO
È qui la sposina?
Mi voglio accostar.
ROSINA
Oimè in un momento
cangiato è quel core,
mio sposo adorato…
CONTE
Che brami da me?
ROSINA
(Che giubilo io sento!)
ROSINA
Ti muova il mio pianto…
CONTE
(Nel seno ho un gran foco!)
CONTE
Più tempo non è.
BARONESSA
L’ardore fra poco
vedrete mancar.
ROSINA
Ah, misera, oh, Dio!
Chi vide del mio dolor più tiranno
più fiera empietà!
LISETTA
La pace è già fatta.
Ho il core contento.
MASINO
Or più non pavento,
né so che bramar.
BARONESSA
(dando al Conte il ritratto della
sposa destinatagli)
Contino, in pittura la sposa vi dono;
sì vago visino è degno d’amor.
CONTE
Che amabil ritratto,
che grazia, che incanto!
BARONESSA, LISETTA, CONTE,
ERNESTO, VILLOTTO
Piano, piano,
osserviamo, cosa dice, cosa fa.
CONTE
Sei pur cara, sei pur bella,
e l’eguale non si dà.
ROSINA
Della mia perversa sorte
quest’è troppa crudeltà.
LISETTA, MASINO
Piano, piano,
osserviamo questa cosa come va.
45
TUTTI
Ah, per la pena,
per il timore
sento che il core
nel sen mi palpita
e un moto insolito
provar mi fa.
CONTE, VILLOTTO
Ah, per il foco,
pel grand’ardore
ho un batticuore
dentro alle viscere
che freme, e strepita,
tremar mi fa.
Fine primo atto
46
Atto secondo
Scena prima
(Cortile nel Castello di Belmonte)
La Baronessa ed Ernesto
BARONESSA
E ben, che dice adesso,
ho ragion di temer?
ERNESTO
Tutto congiura a danno mio;
mancava questo ritardo ancora
alli nostri sponsali.
BARONESSA
Ah caro Ernesto
se provo anch’io tormento,
lo sa il ciel;
ma vorresti, che in un dolce riposo
passar dovessi i giorni a te d’accanto
e mio nipote intanto
sciogliendo il freno
alla sua voglia
per capriccio sposasse una villana?
così vile il Contino.
BARONESSA
Ah tu non sai l’umor bizzarro e strano
di mio nipote; il temo
che la scaltra Rosina
sedur lo possa un dì:
pensiamo Ernesto al riparo opportuno.
ERNESTO
Ogn’opra, ogn’arte impiegherò, perché
colei s’induca a sposare Villotto:
ma oh Dio! chi sa, se poi…
BARONESSA
Perché sospiri?
Sgombra pura dall’alma ogni timore,
saran sempre per te gl’affetti, e il core.
(parte)
ERNESTO
Ah voglia pure il ciel, mi sia concesso
passar tutti i miei giorni a lei d’appresso.
ERNESTO
Creder non potrò mai
47
Scena seconda
spiega gl’affetti tuoi.
VILLOTTO E DETTO
Io non ne posso più, son disperato,
Rosina più non trovo:
ho creduto chiamarla col mio canto,
e non la vedo ancor. Vado di trotto…
VILLOTTO
Che dico.
ERNESTO
Dove, dove, Villotto?
VILLOTTO
Rosina ritrovar.
ERNESTO
Senti, a momenti qui giungerà,
ma dei con grazia e vezzo
presentarti a lei;
spiegar tutto l’ardor…
VILLOTTO
Non occor’altro:
sentirete una forza d’espressione,
che neppur l’ebbe Marco Cicerone.
ERNESTO
Oh bravo… ella qui viene.
VILLOTTO
Ah cara pel contento
mi treman le ginocchia,
più non posso parlar.
ERNESTO
Così ti perdi?
Su via coraggio, parla,
48
ERNESTO
Or bene.
Ritirati in disparte,
alla tua amata io parlerò per te.
VILLOTTO
Bella pensata.
(si pone in disparte)
Scena terza
Rosina, Masino e detti
ERNESTO
Vieni Rosina,
appunto giro in traccia di te.
ROSINA
Per ubbidirvi eccomi pronta.
ERNESTO
Sappi, che un cavalier son io,
e non son uso a soffrir negative.
MASINO
(Oh molto male incomincia la cosa.)
VILLOTTO
(piano ad Ernesto)
(Si contenta la sposa… )
ERNESTO
(Hai troppa fretta.)
ROSINA
Conosco il vostro merto…
ERNESTO
Or bene ascolta,
né giova questa volta
addur pretesti, io voglio,
e non ti parlo invano…
VILLOTTO
(Posso darle la mano)
ERNESTO
(M’hai seccato.)
Io voglio in quest’istante,
che tu sposi Villotto.
VILLOTTO
Eccomi pronto.
ROSINA
(a Villotto)
Indieto temerario importuno…
E voi, Signor, pensate,
che ho bastante coraggio,
da farmi rispettar; che modo è questo:
qual ragione, qual diritto avete voi
sulla mia libertà?
Se siete nobile è un puro caso,
e quando la virtù non vi guida,
e il vostro grado con opre degne,
e illustri conservar non sapete,
siete un plebeo, un cavalier non siete.
ERNESTO
(Oimè! Questo rimprovero
nel più vivo del core
a penetrarmi arriva.)
(mortificato, si ritira in disparte)
MASINO
Brava, sorella, evviva.
VILLOTTO
Viva la sposa, e il caro mio cognato,
giacchè tutto è aggiustato,
vogliamci ora sposar…
MASINO
Eh va al malanno:
cattera, questa è cosa
da farmi dar di volta:
quello là mi minaccia,
questa piange, e sospira,
e quest’altro delira;
tutti fanno schiamazzo,
non si può più soffrir.
VILLOTTO
È pazzo.
MASINO
A me pazzo? Cospetto!
Voglio farti vedere
con una prova piena
che tu sei un gran matto da catena.
[Duetto]
49
MASINO
Massima filosofica
che non può mai fallir,
un uomo, verbigrazia
ch’abbia il cervello in tasca,
che va da palo in frasca,
un pazzo si può dir.
Signori letterati,
io mi rimetto a voi,
il pazzo fra di noi,
diteci voi qual è.
ERNESTO
Ah, Rosina crudel, tu mi vuoi morto.
VILLOTTO
Senti che mormorio,
senti che cosa dicono.
Tu la mia sposa, ed io
siam pazzi tutti, e tre.
ROSINA
Come? Che dite?
MASINO
Sì, che son pazzo è vero
per te, per lui, per lei.
Ed impazzir potrei
per lui, per lei, per te.
(parte)
VILLOTTO
Senti Masino… Se lo porta il vento.
Vo’ andargli appresso; ah, povero cognato!
Non v’è rimedio, è pazzo dichiarato.
(parte)
Scena quarta
Rosina ed Ernesto, indi la Baronessa, poi il
Conte, poi Lisetta e finalmente Villotto
50
ROSINA
Signor, che dite? Io bramo
che viviate felice.
ERNESTO
Ah perduto son io.
Se tu dell’idol mio
non secondi il voler.
ERNESTO
Amo la Baronessa,
mi struggo a suoi bei rai;
ma non potrò giammai
possedere il mio ben,
se tu non porgi a Villotto la mano.
ROSINA
Davvero. Non intendo
qual parte il vostro amore abbia con me.
(Purtroppo lo comprendo.)
ERNESTO
Deh non cercar di più son troppo amante,
ed ella è troppo bella,
e mi fa delirar;
(entra la Baronessa che rimane in
osservazione)
Rosina ah credimi,
tu sei l’unica mia speranza.
BARONESSA
(Ohimè! che ascolto!)
ERNESTO
Sì tu sei la mia speme.
(entra il Conte)
CONTE
(Numi! sogno, o deliro!)
ERNESTO
Io per te vivo in pene.
LISETTA
(Oh, questa è curiosa!)
ERNESTO
Tu mi puoi sollevar.
VILLOTTO
(Viva la sposa!)
ERNESTO
Da te sola dipende la mia felicità.
BARONESSA
(Perfido, indegno!)
CONTE
(Infida, scellerata!)
LISETTA
(Come si spiega ben!)
VILLOTTO
(Femmina ingrata!)
ERNESTO
E lieta in un istante,
solo render tu puoi quest’alma amante.
[Aria]
ERNESTO
Per pietà vezzosi rai,
deh vi muova il dolor mio.
Sol da voi dipende, oh Dio!
La mia calma, il mio piacer.
(parte)
Scena quinta
Rosina indi la Baronessa, il Conte, Lisetta e
Villotto che si fanno avanti
ROSINA
Che destino crudel!
Dover soffrire in mezzo a tanti affanni…
BARONESSA
(a Rosina)
Ah perfida t’ inganni!
Tu mia rivale?
CONTE
Ascolta infida, e trema.
ROSINA
Piano, Signora… Oh Dio! Sono innocente.
[Quintetto]
BARONESSA
51
Va pettegola insolente
già comprendo il tuo disegno,
non son io se il core indegno
non ti fo dal sen strappar.
(parte)
ROSINA
Deh, caro sposo, alla mia fé sincera…
Scena sesta
Rosina indi Masino
ROSINA
Ma che ingiustizia è questa!
Tutti contro di me?
Su via, uccidetemi,
si placherà così l’iniqua stella.
CONTE
Va infedele, menzognera
ti ci ho preso, ti ci ho colto;
non son cieco non son stolto,
e mi voglio vendicar.
(parte)
MASINO
Ah Rosina sorella,
siamo precipitati.
[Recitativo]
MASINO
La Baronessa
di qua, di là gridando, ha dato l’ordine
di fare trucidar; sorella mia,
per salvar la mia pelle,
alla natia capanna or m’invio;
se vuoi venir, colà t’aspetto, addio.
(parte)
ROSINA
Cara Lisetta mia, tu pur severa…
LISETTA
Va furbaccia lusinghiera,
vuoi con tutti far l’amore:
che vergogna, che rossore,
non ti posso sopportar.
(parte)
ROSINA
Villotto, per pietà, dimmi favella…
VILLOTTO
Va sfacciata bricconnella
far le smorfie a quel Milordo,
non son cieco, non son sordo
né mi faccio corbellar.
(parte)
52
ROSINA
Che fu?
[Recitativo ed Aria]
ROSINA
Misera chi m’aiuta,
chi soccorso mi dà?
Folle! Che spero?
Chi chiamo? A chi mi volgo?
Un sol pietoso
per me più non si trova; ove son mai;
ditemi, ingrate stelle, in che peccai?
Ma che penso? Che so?
Vado… ma dove?
Dove rivolgo il piede?
Dove? E il figlio, oh Dio!
Come potrò salvar?
Io gelo, io tremo in così rio martire:
né so restar, né so di qui partire.
Dove fuggo, ove m’ascondo,
senza aita e senza scorta?
Vado… resto… mi confondo,
ah, non ho chi mi conforta,
chi m’uccide per pietà.
E pensando al caro figlio,
tutta, oh Dio! Gelar mi sento:
ah che sol per lui pavento,
ah lui sol temer mi fa.
Eh si vada; più non teme
un’afflitta sventurata,
avvilita disperata,
del destin la crudeltà.
(parte)
Scena settima
Sala. Il Conte e Villotto
CONTE
Ah, che perfida donna!
VILLOTTO
Che donna indiavolata!
CONTE
Vorrei sbranarla e divorar quel core.
VILLOTTO
Vorrei con queste mani farla in pezzi.
CONTE
Vado a farne un eccidio.
VILLOTTO
Vo a farne una rovina.
CONTE
Indegna!
VILLOTTO
Scellerata!
CONTE
Empia!
VILLOTTO
Assassina!
CONTE
Villotto?
VILLOTTO
Signor Conte?
CONTE
Con chi l’hai?
VILLOTTO
Con Rosina.
CONTE
Con chi?
VILLOTTO
Colla mia sposa.
Che dite? Vi par cosa…
53
far me smorfie a colui…
CONTE
Sì, sì tu devi il torto vendicar.
VILLOTTO
Adesso vado…
Vado adesso a trovarla;
griderò, piangerò
e se bisogna ancor m’ammazzerò.
CONTE
Ferma, ferma, conviene
far un’altra prodezza;
VILLOTTO
Dite pure.
CONTE
Devi uccider Rosina,
devi passarle il core.
VILLOTTO
(Piccola bagatella!)
VILLOTTO
Io voglio dir, cioè no, solo intendo…
veda lei se il fratello…
CONTE
Uccidi ancora quello.
VILLOTTO
(Peggio, peggio!)
E pur direi… mi pare…
trovando un altro modo…
CONTE
Che modo? Non v’è modo?
Io mi protesto,
vita sua morte tua; il modo è questo.
VILLOTTO
Vita sua, morte tua!
E chi son io, da farmi sbudellar?
Non son sì pazzo.
CONTE
E se ricusi,
uccido te.
CONTE
Ah vigliacco poltrone,
nato sol per mangiare,
e per far ombra, mori una volta.
(mette mano)
VILLOTTO
Ma piano,
prima s’ha da veder.
VILLOTTO
Piano, piano… udite… fermate…
Siete in errore, e a torto m’insultate.
CONTE
Non più parole;
e quel che ho detto ho detto.
CONTE
Sciocco villano, t’ho sofferto assai.
54
VILLOTTO
Ah, per pietà se morir devo,
mi lasci un sol momento
per poter fare almeno il testamento.
[Aria]
VILLOTTO
Già la morte in manto nero
passo passo a me sen viene
fuor del mondo andar conviene,
e qui tutto ho da lasciar.
Lascio dunque ai cari amici
viver anni più felici.
Item lascio alla mia sposa
questo povero mio cor.
Item lascio… ma non s’affretti;
lascio… adagio… piano, aspetti.
No signor… un poco ancora
favorisca d’aspettar.
Già non mi guarda,
con sè ragiona
il tempo è proprio
mi vò salvar.
(parte)
Scena ottava
Conte e poi Lisetta
CONTE
Ed acciò non mi resti per colei
un’ombra di pensier, vo’ divertirmi,
vo’ ridere, e scialar.
LISETTA
Ah, signor Conte,
sappiate che Rosina
è innocente, ed a torto…
CONTE
Non m’annoiar;
già so quel che vuoi dirmi.
LISETTA
Non sapete però che la meschina
disperata partì, che forse adesso…
CONTE
Forse adesso Villotto per mio cenno
Le strappa il cor dal petto.
LISETTA
Ah che faceste mai!
Povera amica!
Rosina sventurata…
E voi sì crudo,
siete stato capace…
E non sapete quanto…
Oh Dio! non posso… il pianto
m’esce proprio dal core…
CONTE
Io non capisco
questo pianto perché?
LISETTA
Perché mi è nota
la bontà di Rosina,
perché voi dopo averla ingannata,
tradita, abbandonata,
estinta la volete;
ed ella invece
55
rassegnata, amorosa,
per voi sempre sospira,
piange, si strugge…
CONTE
Ah dove,
dov’è la mia Rosina?
Voglio al suo pie’… ma oh Dio!
Chi sa… Villotto (commosso)…
deh non tardar, t’affretta,
vola, cara Lisetta…
LISETTA
Eccomi, vado…
CONTE
No, no; ferma, ch’io stesso a lei n’andrò…
Ma oimè! qual vento orribile
scuote le piante, e fa tremare il monte?
LISETTA
Ma voi freneticate:
devo andare, o restar?
CONTE
Oh, che stupore!
Là da lungi rimiro un lieto stuolo
di vaghe pastorelle.
LISETTA
Ah, poveretto!
È fuor di sé, delira.
[Recitativo ed Aria]
CONTE
Ma quale ascolto, oh Dei!
Insolita armonia?
Ah, non m’inganno è Orfeo
che cercando Euridice
suona la Tracia lira.
Ah, vieni, unisci
le tue corde al mio canto.
Che vò cercando anch’io
la mia sposa, il mio ben,
l’idolo mio.
Or che torna il vago Aprile,
pastorelle mie vezzose,
sull’erbette, sulle rose
deh, venite a riposar.
Ma che miro? Non è quella?
Si, ch’è lei Rosina bella,
tra le ninfe ed i pastori,
che mi viene ad incontrar.
Deh, ritorna ai primi amplessi,
vieni pur mia dolce speme,
qui staremo, cara insieme,
l’aure liete a respirar.
Ma tu fuggi a me t’involi,
e mi lasci a palpitar?
Ah fortuna instabilissima,
che di me ti prendi gioco,
e girando a poco a poco
m’hai ridotto a delirar.
(parte)
LISETTA
Oh vedete che flemma,
56
che ci vuole con voialtri ominacci:
pria le donne uccidete,
poi come il cocodrillo piangete.
(parte)
che di pena moro, oh Dio,
e resister più non so.
Scena nona
Campagna con casa rustica di Rosina e torre in
parte diruta contingua alla medesima. Rosina
esce dalla sua casa conducendo per mano il
piccolo suo figlio.
ROSINA
Caro figlio partiamo
ci sarà scorta il Ciel.
Ma quale ascolto
confuso calpestio…
Potessi almeno
ritrovare un asilo a custodir
quest’innocente…
Oh Dio! Dov’andrò?…
In questa torre
m’asconderò per ora…
Il cielo, il mondo
mi vuole oppressa,
e solo ancor m’avanza
fra le sventure mie la mia costanza.
(entra col figlio nella torre)
[Recitativo ed Aria]
ROSINA
Eccomi giunta al colmo
della miseria umana;
afflitta e stanca più non mi reggo in piè;
ma per salvarti,
caro figlio, si fugga…
Vieni, oh Dio!
Tu mi guardi, e t’arresti?
Ah perché mai nascesti
da una madre infelice.
Più non si tardi, andiamo.
Sassi amati, vi lascio, e voi capanne,
che foste un dì presenti
al mio funesto amore,
compatite i miei casi, e il mio dolore.
Care spiagge, selve, addio;
io mai più vi rivedrò.
Se vedete l’idol mio,
dite pur che la Rosina
poverina, se n’andò.
Ah non pianger mio tesoro,
[Recitativo accompagnato]
(Prende il figlio per la mano per partire)
Scena decima
Masino indi Villotto, poi Lisetta
MASINO
Giro di qua, di là,
né posso ancora Rosina ritrovar.
Sediamo un poco:
tra’l viaggio e la paura
le mie gambe già più regger non ponno
e verbigrazia il sonno…
si vò dormire un poco quietamente;
quando si dorme non si pensa a niente.
(s’addormenta)
57
VILLOTTO
Qui Rosina senz’altro
sarà tornata;
io voglio… ma che vedo!
Masino addormentato?
Adesso è tempo di far il colpo…
ma… piano…
(cava la spada)
par ch’io tremi?
Ohibò… trema la mano.
[Finale II]
VILLOTTO
Animo risoluto,
spirito qui ci vuole;
(s’avanza con paura)
e senza far parole,
morto lo stendo là su via andiamo.
(Masino si muove)
Aiuto… aiuto…
s’è risvegliato già
(s’avanza con paura)
ma zitto dorme ancora,
già tiro il colpo. Mora…
LISETTA
Che fai, crudele…
(gli leva la spada)
VILLOTTO
Oimè, oimè!
MASINO
Adagio, adagio, che cos’è?
(s’alza)
58
MASINO, VILLOTTO
La vita, per pietà.
LISETTA
No, non temer, Masino,
Lisetta tua ringrazia:
quel barbaro assassino
uccider ti voleva.
VILLOTTO
Cioè, non me credeva.
MASINO
Perfido, verbigrazia
ti voglio trucidar.
VILLOTTO
(a Lisetta)
Vieni, non mi tenete.
MASINO
Vieni, non m’impedite.
LISETTA
Eh, via non più tacete.
MASINO, VILLOTTO
Vorrei partir di qua.
VILLOTTO
Forse ci rivedremo.
MASINO
Forse c’incontreremo.
A TRE
Ah, tutta/tutto tremo e il fiato
la paura quasi mancar mi fa.
(partono)
Scena undicesima
Lisetta, indi la Baronessa ed Ernesto
LISETTA
Masino, deh, senti,
ascoltami, oh Dio,
seguirlo vogl’io,
mi palpita il cor.
BARONESSA
Che vedo? Lisetta
perché sì smarrita?
ERNESTO
Deh, fermati, aspetta
qual strano accidente?
LISETTA
Villotto… Masino…
stizzato… arrabbiato,
lasciate ch’io parta,
m’affanna il timor.
BARONESSA
Ma spiega?
ERNESTO
Ma parla.
BARONESSA
Vedesti il Contino?
ERNESTO
Trovasti Rosina?
LISETTA
Affatto non vidi
né questo né quella
chi la poverella…
Lasciate ch’io vada,
m’uccide il dolor.
BARONESSA
Tu sogni o sconnetti.
ERNESTO
Sei pazza e deliri.
LISETTA
Che pena è mai questa!
A TRE
Mi gira la testa,
e un fiero sospetto
mi gela d’orror.
Scena dodicesima
Villotto e Masino da parti opposte e detti
MASINO
Perfido, indegno t’ho pur trovato.
VILLOTTO
Nelle mie mani sei capitato.
MASINO, VILLOTTO
Vedo qui gente, pon riparar.
59
ERNESTO
Olà fermatevi, che cos’avete?
BARONESSA
Presto quietatevi, che pazzi siete?
VILLOTTO
Colei ringrazia.
MASINO
Ringrazia quello.
LISETTA
M’hai fatto piangere, Masino bello.
BARONESSA, ERNESTO
Qual ira, o stolidi, vi fa sdegnar?
MASINO
Sotto quell’albero; era di giorno.
(Il caso è barbaro e inaspettato)
ERNESTO
Eh non occorre far l’insensato;
dov’è Rosina?
MASINO
(Qui sta l’imbroglio.)
BARONESSA
Via non più repliche,
Rosina voglio.
VILLOTTO
Voglio la sposa, Signora, sì.
60
MASINO
L’ho ricercata più non si trova,
di quella misera non v’è più nuova.
BARONESSA
Come?
ERNESTO
Che dici?
LISETTA
La cara amica?
VILLOTTO
La cara sposa?
MASINO
Se ne partì, sì.
TUTTI
Presto si cerchi, presto si vada
per ogni loco, per ogni strada,
anche sotterra s’ha da trovar.
(partono)
Scena tredicesima
Il Conte poi il piccolo figlio di Rosina, indi
la stessa e finalmente la Baronessa, Ernesto,
Villotto, Lisetta e Masino
CONTE
Ah, dov’è la mia Rosina?
(smaniando) Chi m’ insegna dove sta?
Sento un’aura a me d’intorno
tremolando, che mi dice
l’infelice, è morta già.
(s’avanza il figlio di Rosina, piangendo)
Ma che miro? E tu chi sei?
Dimmi, o caro, perché piangi?
(il figlio dice: “La mia mamma sta languendo”)
La tua mamma sta languendo?
Vieni, o caro pargoletto,
deh, conducimi da lei.
(il figlio gli dà la mano)
Non temer, non griderà.
(parte il figlio)
Ah, qual moto, eterni Dei!
Che tumulto io sento in petto,
che gelar tutto mi fa.
CONTE
Mia speranza, idolo mio,
torno a te, pentito sono,
e morir voglio al tuo piè.
(s’inginocchia)
ROSINA
Timorosa avanzo il piede,
tremo, oh Dio! Che mai sarà!
Numi, Errico…
ROSINA
Sposo amato, ecco il tuo figlio.
Vanne, o caro a piedi suoi;
corri abbraccia il genitor.
CONTE
Amata sposa!
CONTE
Figlio, oh Dio, mel disse il core,
dolce pegno del mio amore,
l’alma mia regger non so.
ROSINA
Dì, sei tu mio bel tesoro?
Io non credo agli occhi miei.
CONTE
Si, son io.
ROSINA
Deh lascia… oh Dio!
Sposo, aita!… Io manco, io moro,
ah, ricordati di me.
(sviene)
ROSINA
(rinviene)
Come? Oimè!
CONTE
Ben mio perdono.
Sì son io, solleva il ciglio,
ah, spezzar mi sento il cor!
ROSINA, CONTE
Che bel giorno, che contento;
per la gioia in tal momento
chi resister mai potrà?
BARONESSA, LISETTA, ERNESTO,
MASINO, VILLOTTO
Che stupore, che cosa impensata!
Che sorpresa, che strano accidente!
Mi confondo né so che pensar.
Qui Rosina col Conte? Stordisco.
61
Un fanciullo con quello? Impazzisco.
Son perplessa/perplesso né so cosa far.
LISETTA, MASINO
Son già moglie e marito.
BARONESSA
Ah, pettegola sfacciata.
VILLOTTO
Signor no, non v’acconsento.
ERNESTO
Ah, ridicola villana.
BARONESSA, ERNESTO
Il mio sdegno, il mio furore,
ah, non posso più frenar.
VILLOTTO
Ah, che sposa indiavolata.
ROSINA
Non ha fine il mio penar.
CONTE
Che maniera di trattar?
Quest’ingiuria non conviene;
la mia sposa, il caro bene,
voi dovete rispettar.
BARONESSA
Scellerati v’aspettate
che tremar io vi farò.
ERNESTO
Per pietà non v’adirate.
BARONESSA, VILLOTTO
Non colei soffrir non vò,
io la lite moverò.
CONTE
Non vi prezzo e non pavento.
ROSINA
La mia colpa è sol d’amore.
62
LISETTA, ROSINA, MASINO
Deh, vi muova…
BARONESSA, ERNESTO,
VILLOTTO
Non ascolto.
ROSINA, LISETTA, MASINO
Ecco il figlio…
BARONESSA, ERNESTO
Via di qua.
CONTE
Tant’ ardir! Che impertinenza!
BARONESSA
È la vostra un’insolenza.
ROSINA
Numi, aita! Per pietà.
CONTE
(alla Baronessa)
Vada pur se non le piace.
BARONESSA
Me n’andrò, ve lo prometto.
CONTE
E ciascun farò tremar.
LISETTA, MASINO
Ma prudenza!
LISETTA, MASINO, POI CON
VILLOTTO
Quest’è cosa da crepar…
ERNESTO, VILLOTTO
Ma rispetto!
ROSINA
Quest’è troppa crudeltà.
CONTE
Siete ardita…
TUTTI
Già per l’aria a poco a poco
sorge un nembo e oscura il giorno,
freme il turbine d’intorno
né so come finirà.
Fine atto secondo
BARONESSA
Siete un pazzo.
LISETTA, MASINO
Via cessate!
ERNESTO, VILLOTTO
Via calmate!
ROSINA, LISETTA, MASINO
Pace, pace!
BARONESSA, CONTE, ERNESTO
Guerra, guerra!
BARONESSA, ERNESTO
E mi voglio vendicar.
ROSINA
E nemmen posso parlar.
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Atto terzo
Sala. Rosina da una parte col figlio, il Conte
Errico dall’altra parte, portando ciascuno una
lettera di mano
CONTE
Che donna ingannatrice!
Amare un vile, un sciocco
e burlarsi di me.
ROSINA
Che ingrato cor!
Mostrarmi tant’affetto,
e tradirmi così.
CONTE
(guardando il foglio)
Certo è il delitto.
ROSINA
Sicuro è il cangiamento.
CONTE
Ma che miro?
Rosina è in questo loco!
ROSINA
Il Conte? Io tremo.
CONTE
Io smanio.
ROSINA
Io son di foco.
CONTE
Perfida, donna ingrata!
Mi potesti posporre ad un Villano?
ROSINA
Ah crudele inumano!
E ardisci ancora farti beffe di me?
Cessa una volta
d’oltraggiar una povera meschina,
che a te solo donò gli affetti e il core…
CONTE
Tu menti, scellerata:
(le dà il foglio)
ecco la prova
del tuo sincero amore.
Leggi, leggi infedele, e ti confondi.
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ROSINA
Leggi tu prima questo, e poi rispondi.
CONTE
“Parti da me per sempre:
un’infelice misera
pescatrice, più soffrir non so… ”:
questo è un inganno;
io non lo scrissi mai.
ROSINA
(legge)
Il fatto avaro,
mi costringe a lasciarti,
idolo mio;
e al mio Villotto… Oh Dio!
Questa è una frode,
e quest’è un tradimento.
Ti giuro, ti protesto…
CONTE
Alfin comprendo
che della Baronessa
un tiro è questo.
Perdon a miei trasporti,
oblia il passato,
e sola regnerai entro il mio seno.
ROSINA
Oh cari accenti!
Io son felice appieno.
[Duetto]
CONTE
Rosina vezzosina,
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deh, quella tua manina,
porgi per sempre a me.
ROSINA
Sposino gentilino,
pronta con un inchino,
prendila pur con me.
CONTE
Stringi tu ancor la mia.
ROSINA
Quella di te ben mio.
CONTE
Sì mio tesor, la mano.
ROSINA
Oimè stringete piano.
CONTE
Oh, Dio! che dolce fiamma…
ROSINA
Che fiamma al cor mi sento…
A DUE
Di gioia, di contento
moro, ben mio, per te.
Luce mie care, vezzose stelle,
sempre serene, vi vò veder.
Oh, qual momento!
Che bel contento!
Il sommo è questo
d’ogni piacer.
Scena ultima
La Baronessa ed Ernesto, poi il Conte, Rosina
ed il figlio, indi Villotto e Lisetta, finalmente
Masino
ERNESTO
Sì, mia cara,
poc’anzi ebbro di sdegno vidi il Conte,
che appena osò mirarmi in volto.
BARONESSA
E di Rosina nulla sapesti?
ERNESTO
Affatto.
CONTE
Di Rosina, un esatto
ragguaglio io vi darò.
VILLOTTO
Lisetta ancora,
oppur lo dirò io…
MASINO
Vorrei sapere,
verbigrazia se il Conte…
CONTE
È già palese
un meditato inganno,
che me pose di nuovo in fier periglio
quest’è la sposa mia e questi è il figlio.
VILLOTTO
Dirò siccome il fatto…
non è il fatto, il destino…
quest’è la sposa, e quello è lo sposino.
LISETTA
Signora perdonate:
mi capitò la sorte
ne volli profittar.
BARONESSA
(Ah, son delusa!)
ERNESTO
(Ah, lo previdi!)
MASINO
(Ah, Giove ti ringrazio
davver! Che gran proverbio è quel che dice… )
ROSINA
(alla Baronessa)
Eccomi a voi d’avante,
non sposa del Contino,
ma vostra umile ancella:
tal sarò finch’io viva; e se vi resta
odio contro di me, volgete un sguardo
all’innocente figlio,
che pietade a voi chiede
(s’inghinocchiano)
unito con la madre al vostro piede.
BARONESSA
Non più, figlio, ti bacio;
cara, t’abbraccio;
io meditai l’inganno,
ed or veggo, che a torto
oltraggiai la virtù.
67
Contino, amici, andiamo uniti;
e ognuno applauda, intanto
che al caro Ernesto la promessa adempio
d’una vera costanza al raro esempio.
[Coro ultimo]
TUTTI
Ben che gema un’alma oppressa,
mai non perde la speranza;
se conserva la costanza,
se la regge la virtù.
Fine dell’opera
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Saggi e contributi
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Elio De Capitani
Un tesoro nascosto
Eccoci dunque arrivati a Reggio Emilia con questo piccolo evento, gioioso e memorabile, grazie al quale ben sette teatri europei hanno unito i loro sforzi per
celebrare degnamente il poliedrico genio di Franz Joseph Haydn a duecento anni
dalla sua morte. Riportare alla luce questo tesoro nascosto è stata un’esperienza
appagante, ardua e un poco tormentata: siamo stati alla fine premiati dal grande
diletto e dal consenso ottenuto a Madrid e pure a Treviso – dove si notò la grande freschezza e vivacità della reazione del pubblico per comprensione immediata
della lingua, non solo per le parti comiche. Vedrete e sentirete voi stessi: La vera
costanza è uno splendido gioiello, un diamante sorprendente. Ma fino ad ora il
diamante era grezzo e aveva grandi denigratori delle sue possibilità reali. Solo abili
intagliatori potevano ridare lucentezza a questa pietra opaca, per farla risplendere
non solo all’orecchio ma anche all’occhio d’oggi. Il maestro López Cobos e io
abbiamo lavorato con perfetta intesa a questa sfida. È stato un grande incontro,
artistico e umano, il nostro, e abbiamo provato assieme la gioia di trasmettere ai
giovani cantanti tutte le intuizioni sulle potenzialità nascoste dei personaggi, ben
oltre quanto appariva alla prima lettura. Il mio lavoro è stato assai facilitato dall’affiatamento dello staff di regia che mi ha affiancato, tutto nel segno dell’Elfo, il
teatro d’arte contemporanea in cui siamo impegnati da tanti anni a Milano. E così
vedrete i costumi geniali di Ferdinando Bruni, la deliziosa e accurata macchinascena-giocattolo di Carlo Sala, le preziose luci di Nando Frigerio ma potrete godere anche gli originali e incalzanti recitativi che abbiamo elaborato con il maestro
Michele Errico.
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Eszterháza: la libertà di Haydn d’esser lontano, ma ben dentro il mondo
Tutti i remake, tutti i numerosi libretti settecenteschi ispirati alla Pamela di Richardson – La vera costanza è in quella scia, vedremo meglio poi – possono essere
ricondotti alla prassi, che conosciamo bene anche oggi, di cavalcare l’onda del successo di un’opera, di un tema, di un soggetto e riutilizzarli a oltranza, fino ad averne
spremuto anche l’ultima stilla di possibile consenso del pubblico. Ma Haydn era,
per un certo verso, più libero: viveva fuori dal mondo nella piccola e protetta corte
“di campagna”, come lui stesso definiva il Palazzo estivo di Eszterháza, trasformato dal principe Nicola I nella Versailles d’ Ungheria e in un vero laboratorio di
sperimentazione musicale da Haydn. Preso dalle necessità di metter su ogni mese,
ogni settimana, un numero impressionante di opere – sue e d’altri, ma sempre da
lui dirette: oggi lo diremmo sovrintendente e direttore artistico assieme - Haydn
prende un libretto di seconda mano, originariamente scritto per Anfossi, e liberamente lo reinterpreta, trovando chiavi geniali e sfruttando a pieno tre ricchezze
importanti che offre: originalità dei personaggi, una vera delizia; originalità estrema nella versificazione, per l’uso assai musicale, con virtuosismi onomatopeici,
della lingua italiana – un piacere che si affina sempre più all’ascolto; e una certa
originalità drammaturgica, pur con gravi difetti di sviluppo della trama e di credibilità dei passaggi psicologici dei personaggi, come vedremo.
Haydn ha scritto musica preziosa e assai teatrale quindi: ma al di là dei meriti indubbi, fa comunque difetto questo benedetto libretto, non certo all’altezza del suo
genio musicale. Nella prima telefonata dal Teatro Real di Madrid per propormi
l’opera, il carissimo amico Carmelo Di Gennaro mi disse: “La musica è splendida,
davvero splendida, ma è una sfida: Puttini non è Da Ponte”. Dopo averlo letto ho
capito che chiamarla sfida era un eufemismo. Ferdinando Bruni, con cui condivido
da anni la direzione artistica del Teatro dell’Elfo, mi disse sornione: “È un libretto
che chiede molto al regista: i passaggi psicologici essenziali dei personaggi avvengono in camerino.”
E infatti. La storia, diremmo oggi il soggetto, è un classico del settecento: un tardo
remake tra i mille di cui ha goduto, in quel secolo, la suddetta Pamela di Richardson.
L’ossimoro Rosina: dolce forza, tenacia arrendevole, sfrontato pudore
Si narra l’amore impossibile tra un conte e una timida fanciulla del popolo, in
questo caso una pescatrice – quindi di rango e di ceto assai inferiore – ma che, pur
arrossendo di continuo come si confà a una brava fanciulla del popolo degna di
rispetto, mostra animo nobile e risoluto, doti di sopportazione superumane e una
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tenacia davvero invidiabile: da qui il titolo, visto che la nostra Rosina di costanza ne
ha da vendere. La vicenda per sommi capi: è fatta sostanzialmente dalle trame della Baronessa Irene e del suo amante, il Marchese Ernesto, per costringere Rosina a
sposare Villotto, borghese arricchito ma d’aspetto assai poco sublime e di cervello
per giunta svanito. Tale insistenza della Baronessa nasce dall’esigenza di mettere
in salvo suo nipote, il Conte Errico, da un matrimonio scandaloso e avvilente con
Rosina: una donna, pur bella, ma assolutamente inadeguata per il suo bassissimo
rango. (Non si sa e non si saprà mai perché, ma la Baronessa ha stabilito che lei
ed Ernesto non si potranno sposare finché Villotto non sposa Rosina e la toglie
di mezzo).
La stranezza lunare del Conte
Tutto inutile in realtà: anche se la Baronessa non lo sa, Rosina e il Conte sono già
sposati, e hanno pure un figlio, di cui il Conte non ha neppure il sospetto, avendo
già abbandonato Rosina, dopo solo due mesi, per sopravvenuta grave irrequietezza, che lo ha fatto volar via. Come si arriva a dipanare la vicenda, tra equivoci
e contro equivoci, fino al lieto finale, meglio lasciarlo raccontare dallo spettacolo
stesso. Mi preme dirvi la prima stranezza: rispetto alla Pamela, qui si rinuncia al
possibile pathos dell’attesa conquista sociale di un matrimonio ambito e a favore
d’un pathos assai diverso: la riconquista di Errico da parte di Rosina, e la ricostruzione non più della coppia ma della famiglia.
Ma la vera stranezza più spiazzante, quella che alla prima lettura potrebbe disarmare un regista, è nei mutamenti insensati d’umore del Conte: lunatico, preda di
raptus improvvisi e immotivati, di trasporti erotici e di improvvisa freddezza, oggi
diremmo al limite della psicolabilità. Ad ogni entrata in scena, muta d’accento e di
pensier: davvero il Conte è mobile, qual piuma al vento, ma lo è in una misura talmente patologica da aprirmi la strada a un possibile ribaltamento totale del gioco,
che ne ha fatto un personaggio per nulla banale, con un malinconico e divertente
fascino lunare: un uomo perso in se stesso, un Casanova smarrito che non capisce
più nulla tra donne reali, immagini e manichini, che afferra alla fine un bandolo
della realtà – al vedere accanto a Rosina il figlio che, lui ignaro, hanno avuto – e
pare rientrare in sé e diventar normale. Pure la Baronessa, di fronte al nipotino
sconosciuto, cessa le ostilità e consente al lieto fine.
La stranezza lunare del Conte, ancora improbabile nel libretto, ho potuto elevarla
ad una qualità nuova, costruendo una sua diversa follia, sfruttando appieno le intuizioni e finezze inusuali della musica e tingendo ogni suo atto di uno straniamento
poetico che attinge a una sorta di ipersensibilità pre-romantica: farlo arrivare, vi85
cino almeno, a quella dimensione altra che in grandi opere d’arte hanno i conturbanti protagonisti, spingendo il Conte verso uno strano ibrido tra Don Giovanni,
Don Chisciotte e il Casanova smarrito di Fellini.
Cambiare l’aria
Ma occorreva ancora risolvere, per il Conte e per tutti, molte contraddizioni fastidiose, operare tagli radicali in recitativi troppo ripetitivi e soprattutto, contro una
convenzione operistica che avrebbe ucciso l’opera, dare alle arie continuità scenica
e solo raramente accettarle come sospensione dell’azione e come puro sentimento
e pensiero che sgorga dall’animo del personaggio. Nessuna aria è stata occasione di
riposo per la regia, come spesso accade: molte sono un duo o un trio con interlocutori muti. Ed eccole allora trasformate in numeri teatrali e non solo musicali, dove
il senso dell’azione non è mai banalmente illustrato da gesti scontati, ma sgorga
dalla relazione scenica tra personaggi, in una fitta invenzione di gag e controscene,
tutte strettamente sorvegliate e incanalate in un percorso quasi coreografico, dove
la strategia di dislocazione dei significati approfitta di ogni possibile idea per avvertire lo spettatore del doppio o triplo senso metaforico di molte parole, frasi, gesti o
situazioni. Comporre polifonicamente una complessità assai leggibile – l’arte è un
ossimoro – che diventa puro piacere, in analogia con la scrittura musicale.
Amor pure è una guerra
Un semplice esempio riferito al Conte. Mi è nata l’idea di fare del suo primo recitativo una grande lezione pratica di corteggiamento amoroso e conquista della
donna, lezione che il Conte stesso, bizzarramente, fa proprio a Villotto, per indurlo
a sedurre Rosina. Quel carattere da numero con marcia militare – un obbligo quasi
rituale per l’epoca – frammisto a una struggente elegia d’amore per la donna, intesa
qui come eterno femminino senza concretezza di persona, ho trovato il modo di
farlo assurgere ad un più chiaro significato con pochi, semplici gesti del Conte:
sfilare la sciarpa a Rosina, decorare con quella un manichino preso da un baule
della contessa, trasformare il manichino stesso in un doppio della donna. Ogni
gesto, carezza o bacio dato al manichino, è stato un tempo un gesto, una carezza o
un bacio impressi sul corpo di Rosina, che non può credere ai suoi occhi nel veder
svelati, come trucchi del mestiere di un bravo seduttore, quei gesti amorosi che a
lei sembrarono struggenti e spontanei, unici, dedicati a lei sola. Il contrappunto
parodistico di Villotto, che ripete con goffa precisione e bramosa voluttà i gesti del
Conte, producono uno straziante effetto comico, come le schizofreniche improv86
vise gelosie di Errico (“Barbaro, olà che fai?”). Ma è il Conte stesso a cadere vittima
del suo gioco, smarrendo la ragione nell’accorgersi, alla fine, dello straziante sdoppiamento di se stesso di fronte allo sdoppiamento della donna. E il suo “mi perdo,
mi confondo, e fuori già del mondo, da un turbine, da un vento mi sento trasportar…”
è l’inizio di una febbre di follia che lo porterà all’altra aria, al delirio visionario di
Orfeo e Euridice (qui Haydn parodizza Anfossi) che ho inglobato – grazie anche
agli splendidi figuranti e agli acrobati del mio sognato circo-mondo-magia – in un
altrettanto visionario e magico cambio di scena, in cui la spiaggia diventa bosco.
Non interrompendo mai, neppure in quel caso, l’azione.
Donne consapevoli
Avere risolto così la stranezza difettosa del Conte, mi ha fatto fare un grande
passo in avanti, ma molto restava da ideare per ricondurre l’opera all’unità che io
immaginavo nella mia mente. M’ha aiutato una attenta analisi delle arie femminili
nell’opera: quelle della Baronessa Irene, di Lisetta e di Rosina. Tre visioni dell’eros
distinte: la prima turbinosa e passionale, la seconda giocosa, maliziosa e furbetta, la
terza idilliaca ma corposa e sensuale. Mentre gli uomini non domano, pur in modi
diversi, la loro passione (non il Conte, abbiamo visto, ma neppure Ernesto), oppure
non hanno confidenza con le cose amorose e meno ancora carnali (il burbero ma
timidissimo Masino e lo sprovveduto e incontenibile Villotto), le donne invece
sanno cosa vogliono, anche in rapporto al loro corpo. E sanno per questo far fare
agli uomini, prima o poi, ciò che vogliono. Non sono le donne ingessate della Pamela, saldamente congelate da Richardson nel loro decoro prude, ipocrita e, sotto
sotto, assai morboso. Qui sono donne in carne e ossa, piene di consapevolezza dei
loro desideri, potenzialmente assai vive, in lotta ognuna per avere qualcosa per cui
vale la pena lottare.
Lisetta cambia il suo destino
E l’ironia di un eros giocato con leggerezza, reso motore della storia, sortisce molte
sorprese. A Lisetta ho tolto la schiavitù di quel castrante “amante non corrisposta
di Masino” e ho fatto sì che la sua aria, sulla traccia della costruzione musicale di
quei “tutta tutta tutta tutta tutta tutta tutta bontà”, alternati dai “no no no no no
no no no no no…”, siano di una tale maliziosa potenza erotica e seduttiva, da
risultare irresistibili anche per l’imbranatissimo Masino. Non ho cambiato una
parola, ma Lisetta e Masino, a fine aria, si imbucano avvinghiati nel faro sulla
spiaggia. Quando Lisetta ne uscirà, non ci saranno dubbi se sia appagata o no.
87
E per tutta l’opera saranno una coppia, alleati con Rosina – che è infine unita al
Conte. Scenicamente, la coppia ha una fusione musicale che la giustifica appieno.
La fa anzi vivere di una forza sinergica, che rafforza la tessitura visiva dei contrasti
tra i personaggi.
Approfitto di Lisetta per raccontare una delle incongruenze del libretto che la
coinvolge e che ho dovuto sciogliere. Potrei citarne una paginata d’altre, ma questa basti a farvi da traccia per capire uno dei tanti metodi da me seguiti per risolvere buchi drammaturgici – metodo rubato all’eavesdropping shakespeariano,
che il bardo usa con una certa frequenza, un antenato delle nostre intercettazioni
telefoniche. Lisetta, ad inizio del secondo atto, avendo equivocato l’aria del marchese con Rosina, se ne esce di scena dicendo: “Va furbaccia lusighiera, vuoi con
tutti far l’amore: che vergogna, che rossore, non ti posso sopportar.” Rientra dicendo
subito dopo al Conte: “Ah signor Conte, sappiate che Rosina è innocente!”. E come
l’ha saputo? Uno dei tipici cambiamenti avvenuti in camerino, che rendono possibile tutto e il contrario di tutto scenicamente, che cioè invalidano la coerenza
drammaturgica dell’opera e creano gran disagio allo spettatore, oltre che al regista.
Ho risolto facendo rientrare Lisetta di nascosto e facendole ascoltare parte dell’
aria di Rosina. In quel modo tutti vedono la trasformazione di Lisetta e la battuta
successiva ha un senso, per chi la deve recitare e per lo spettatore. Molto elementare ma efficacissimo.
L’eros-fiamma della Baronessa e l’eros-artiglio del Marchese
Oltre al lavorare a ricucire tutti gli strappi della trama, mi dava buoni frutti lavorare alla rielaborazione delle dinamiche di coppia. Marchese e Baronessa, per
esempio: il Marchese è scritto quasi come un cicisbeo, ma l’aria della Baronessa è
tutto un carnale fuoco e fiamme, stupendo. Ho accentuato la carica erotica usando,
in funzione drammaturgia e non puramente tecnico-decorativa, le sue splendide
colorature, che si risolvono nello spettacolo in spasmi amorosi di esilarante beltà,
costruendo per Baronessa e Marchese una coreografia-corteggiamento che ingloba fin l’introduzione musicale all’aria, volendo eliminare ogni attesa o stasi non
drammaturgicamente pertinente. È bastato associare il Marchese Ernesto a questo eros infiammato della Baronessa Irene, farne il suo vero, passionale compliceamante, dotarlo di una autocompiaciuta perversione vampiresca, sottolineata dal
trucco e dalle mani sempre artiglianti, per cambiare di molto la dinamica di questa
coppia e la sua relazione con gli altri personaggi. Mettendo poi in vestaglia Irene
e Ernesto, si ottiene un sorprendete risultato nell’aria pastorale “Bel godere la
campagna”, i cui doppi sensi d’appagamento sensuale diventano finalmente espli88
citi e l’amplesso appena consumato brilla negli sguardi e nelle voci. L’irruzione
supplicante di Rosina, Villotto e Masino che rompe il loro idillio li avvampa d’ira
fulminea che si perfeziona, nell’unisono indignato dell’uscita, con la fretta di ritrovare la turbata intimità amorosa. E, di conseguenza, l’unica aria del Marchese sarà
un potente delirio sensuale a fatica trattenuto – quanto esilarante quel trattenersi a
stento, quell’esprimere un eccesso fingendo di mitigarlo al confronto di una scialba
interpretazione da flebile aria amorosa – e, pur riferito alla Baronessa, quel delirio
non potrà evitare la tracimazione erotica quasi involontaria sul corpo di una turbatissima Rosina, che renderà ancora più gustoso l’equivoco e le conseguenti ire e
insulti di tutti, a corollario.
Pamela, Justine, Figaro
Il Marchese Ernesto guadagna anche dal tumultuoso inizio del secondo atto, dove
Rosina si ribella alle sue nuove pressioni in favore di Villotto, mostrando una nuova piega del suo temperamento, davvero ricco di momenti toccanti ad ogni scena:
“E voi signor pensate che ho bastante coraggio da farmi rispettare. Che modo è questo?
Quale ragione, qual diritto avete voi sulla mia libertà? Se siete nobile è un puro caso e
quando il vostro grado con opre degne conservar non sapete, siete un plebeo, un cavalier
non siete». Qui noi, ironicamente, citiamo la Marsigliese nell’accompagnamento
al recitativo: seppur con leggerezza, vogliamo intenzionalmente alludere. Perché
questi temi, che allora facevano saltare sulla sedia i censori, sono quelli che hanno
fatto irruzione nel Settecento con Le nozze di Figaro di Beaumarchais.
Questo prendere progressivamente piede di Eros nella regia mi ha portato infatti
a riflettere sull’oscillazione del cuore di un secolo, il Settecento, tra tre romanzi,
tutti tra loro opposti per intenti: la citata Pamela (1740) e di contro Le nozze di
Figaro (1778) di Beaumarchais e Justine o le disgrazie della virtù (1791) di De Sade.
Pamela è un’opera edificante, un manuale per cameriere giovani e belle su come
resistere alla seduzione di un nobile e non cedere mai il bene prezioso della verginità. O meglio: cederlo, e pure generosamente, ma solo dopo aver ottenuto d’essere
regolarmente sposate. Il sogno improbabile di molte servette di allora. Justine, è
all’opposto, un’opera di decostruzione della morale, radicale e meticolosa, la storia
di una ragazza tenacemente virtuosa “errante di disgrazia in disgrazia; giocattolo di
ogni scelleratezza; bersaglio di tutti i vizi (...)”: già sul patibolo, finisce crudelmente
uccisa da un perverso fulmine celeste proprio appena salvata dalle mani del boia
dalla sorella Juliette: la scellerata, che ha fatto del vizio la sua legge e la sua fortuna.
Il terzo romanzo, infine, è l’eversivo Figaro, un vero anticipo di rivoluzione, che fece
dire a Danton «Figaro ha ucciso la nobiltà!» o a Napoleone « È un moto già in atto».
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Leggere la Pamela di Richardson è un’esperienza tra lo spassoso e il deprimente,
quanto è disperante la lettura del furore iconoclasta di De Sade, che ha concepito un romanzo filosofico cupo, pornografico e raramente rallegrato dall’ironia.
È invece l’ironia di Figaro, forza costruttrice quanto appare distruttrice, capace
di contenere in sé tensioni opposte, la chiave con cui aprire il possibile scrigno
segreto de La vera costanza. Non una ‘facile’ ironia, ma un’ironia radicale e saggia,
quell’ossimoro di leggerezza profonda che avrebbe portato nella direzione del diapason del secolo: Mozart, con accanto il suo Da Ponte, che tanto hanno appreso da
Haydn per arrivare dove sono arrivati pochi anni dopo.
Provaci ancora, Villotto!
E il culmine dell’ironia stregata del buffo estremo, ironia sublime e malinconica, è
il personaggio calamitante di Villotto. Borghese e assai ricco – saremmo portati a
pensare per lascito, non vedendo merito possibile in quel disgraziato – ingenuo e
orgoglioso, sgraziato e sempre fuori luogo, Villotto è di una comicità autosufficiente, data la sua disastrosa inettitudine, la paura congenita, alimentata da improvvisi folli slanci di coraggio – di quelli tipici di chi è stanco di essere eternamente
preso in giro – controbilanciati da ben più attendibili, tremebonde vigliaccherie,
soprattutto nei suoi scontri con un inarrivabile Conte o con il nemico-da-subito
Masino – che per ben due volte perde la faccia con Lisetta, mostrandosi di pochissimo meno vigliacco di lui. Villotto poteva far a meno quindi di un supplemento
di indagine. Ma crescendo tutti i personaggi accanto a lui, rischiava di starsene
indietro, proprio lui, una delle più felici intuizioni dell’opera. L’aver messo in scena
di recente I due gemelli veneziani di Goldoni – con Ferdinando Bruni splendido
protagonista – mi ha permesso di riversare affettuosamente su Villotto la carica di
tenerezza disarmante e incantata dabbenaggine dello Zanetto goldoniano. E Villotto vola dalla terra alla luna in una vertigine tutta sua, anticipa da buon borghese
persino le sneakers e la macchina fotografica – con la svagatezza di uno Stan Laurel
che ricerca negli altri il suo Oliver Hardy, sfiorando una grazia demente e a tratti
persino un accenno di saggezza da fool shakepeariano. Resterà single, dopo aver
cantato il suo amore e il suo terrore, il suo testamento e la sua follia, dopo averci
fatto divertire con la danza perenne dei suoi piedi e il suo disequilibrio permanente, che rendono spassose entrate e uscite.
Non solo la forza scenica del sentimento di Rosina, la travolgente siderale distanza
del Conte, la malizia di Lisetta accanto all’orgoglio e saggezza popolana di Masino, la tracotanza ostinata della coppia sensuale di Baronessa e Marchese, ma anche
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il destino da tenero clown sconfitto di Villotto cattura il nostro cuore e ci fa lasciare
il teatro con il cuore leggero.
Grazie di cuore ai cantanti, agli attori, agli artisti: soprattutto grazie per essere
magicamente riusciti, una sera o sempre, a essere le tre cose insieme nell’incarnare,
oltre il personaggio, l’utopia del melodramma come arte totale.
91
Fondazione
Consiglio di amministrazione
Presidente
Graziano Delrio
Vice Presidente Vicario
Giuseppe Gherpelli
Giorgio Allari
Enrico Baraldi
Maria Brini
Annusca Campani
Giampiero Grotti
Elena Montecchi
Clementina Santi
Revisori dei conti
Carlo Reverberi presidente
Gianni Boni
Roberto Davoli
Direttore artistico
Daniele Abbado
Consulente per la Danza e RED
Fabrizio Grifasi
143
Fondazione
Segreteria artistica e organizzativa
Marina Basso
Costanza Casula
Lorella Govi coordinatore di produzione
Segretario generale
Daniela Spallanzani
Amministrazione
Paola Azzimondi
Maurizio Ghirri
Wilma Meglioli
Elisabetta Miselli
Personale
G. Paolo Fontana capo settore
Luisa Simonazzi
Copia e protocollo
Sabrina Burlamacchi
Federica Mantovani
Maria Carla Sassi
Archivio Biblioteca Editoria
Susi Davoli capo settore
Liliana Cappuccino
Stampa, comunicazione e promozione
Mario Vighi capo ufficio stampa
Paola Bagni
Veronica Carobbi
Roberto Fabbi
Lorenzo Parmiggiani
Francesca Severini
Biglietteria
Cinzia Trombini
Luca Cagossi Usai
Concorso “Premio Paolo Borciani”
Mario Brunello direttore artistico
Francesca Zini
Servizi tecnici di palcoscenico
Andrea Gabbi direttore tecnico
Federico Bianchi
Mauro Farina
Brunella Spaggiari
Tecnici elettricisti
Luciano Togninelli
Gianluca Antolini cabinista
Marino Borghi
Luca Cattini fonico
Ousmane Diawara
Fabio Festinese
Guido Prampolini
Roberto Predieri
Tecnici macchinisti
Giuseppe Botosso
Gianluca Baroni
Maurizio Bellezza
Carmine Festa
Massimo Foroni
Gianluca Foscato
Renzo Grasselli
Alan Monney
Luca Prandini
Andrea Testa
Sartoria
Monica Salsi
Servizi generali
Maria Grazia Conforte
Mariella Gerace
Giuseppina Grillo
Lorena Incerti
Claudio Murgia
Sergio Petretich
Massimo Valentini
Patrizia Zanon
Libri all’opera
Le pubblicazioni delle Edizioni del Teatro Municipale Valli
The Rake’s Progress di Igor Stravinskij, a cura dell’Ufficio Stampa del Teatro Municipale
Valli, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 1999, pp. 120 (contiene: libretto bilingue ingleseitaliano; saggio e descrizione della struttura dell’opera di Raffaele Pozzi).
Così fan tutte di Wolfgang Amadeus Mozart, a cura dell’Ufficio Stampa del Teatro
Valli, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 1999, pp. 113 (contiene: libretto; articoli e saggi
di Giorgio Strehler, Maria Grazia Gregori, Giovanna Gronda, Frits Noske). ESAURITO
Così fan tutte di Wolfgang Amadeus Mozart, a cura dell’Ufficio Stampa del Teatro Valli,
edizione espressamente realizzata per il Teatro Comunale di Modena, 1999. ESAURITO
Werther di Jules Massenet, a cura dell’Ufficio Stampa del Teatro Municipale Valli, Reggio Emilia,
Edizioni del Teatro Municipale Valli, 1999, pp. 100 (contiene: libretto bilingue francese italiano; articoli e
saggi di Marco Beghelli, Giorgio Cusatelli, Umberto Bonafini).
Andrea Chénier di Umberto Giordano, a cura dell’Ufficio Stampa del Teatro Municipale
Valli, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 1999, pp. 98 (contiene: libretto; saggi di Marcello
Conati, Guido Salvetti, Ugo Bedeschi.
Falstaff di Giuseppe Verdi, a cura di Roberto Fabbi e Mario Vighi, Reggio Emilia, Edizioni
del Teatro Municipale Valli, 2000, pp. 106 (contiene: libretto; saggio di Angelo Foletto; testimonianze di
Hanslick, Bonaventura, Monaldi, Celli, Mila, De Van, Mula; estratti dal carteggio Verdi-Boito).
Otello di Giuseppe Verdi, a cura di Roberto Fabbi e Mario Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del
Teatro Municipale Valli, 2000, pp. 100 (contiene: libretto; saggio di Frits Noske; estratti dal carteggio VerdiBoito; servizio fotografico di Stefano Camellini).
Idomeneo di Wolfgang Amadeus Mozart, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni
del Teatro Valli, 2000, pp. 72 (contiene: libretto; articoli e saggi di Donald Sulzen, Harald Braun, Charles
Osborne; foto di Alda Tacca). ESAURITO
Der fliegende Holländer di Richard Wagner, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia,
Edizioni del Teatro Valli, 2001, pp. 83 (contiene: libretto bilingue; articoli e saggi di Carl Dahlhaus, Alberto
Mari e Luisa Rubini; estratti da scritti di Wagner e Friedrich Nietzsche).
L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti, a cura di Roberto Fabbi e Mario Vighi, Reggio Emilia,
Edizioni del Teatro Municipale Valli, 2001, pp. 72 (contiene: libretto; articoli e saggi di Rubens Tedeschi,
Giorgio Pestelli, Francesco Bellotto).
Il trovatore di Giuseppe Verdi, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro
Municipale Valli, 2001, pp. 94 (contiene: libretto; articoli e saggi di Alberto Arbasino, Pierluigi Petrobelli,
Sergio Cofferati, Ugo Bedeschi).
Tout Rossini, gli atti unici di Gioachino Rossini, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio
Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 2001, pp. 140 (contiene: cinque libretti; saggi di Alessandro
Baricco, Piero Mioli; diverse ricette del Maestro).
Luciano Pavarotti. 40 anni di canto da Reggio al mondo, vol. rilegato + programma,
a cura dell’Ufficio stampa del Teatro Valli, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2001, pp. 90 (contiene:
testi; articoli di Umberto Bonafini, Giorgio Gualerzi, Francesco Sanvitale). ESAURITO
Maria Stuarda di Gaetano Donizetti, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del
Teatro Municipale Valli, 2002, pp. 82 (contiene: saggi di Luca Zoppelli, Paolo Cecchi; estratti da La reina di
Scozia di Federico Della Valle; Sonetto 94 di Shakespeare; fumetto di Casali e Michele Petrucci).
L’incoronazione di Poppea di Claudio Monteverdi, a cura di Roberto Fabbi e Mario
Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Municipale Valli, 2002, pp. 113 (contiene: libretto; saggi di Claudio
Gallico, Francesco Degrada; un fumetto di Matteo Casali e Grazia Lobaccaro).
Il processo di Alberto Colla (prima assoluta), a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni
del Teatro Valli, 2002, pp. 132 (contiene: libretto; note del Compositore; saggi di Quirino Principe, Giovanni
Guanti; un fumetto di Casali e Giuseppe Camuncoli; citazioni e disegni di Kafka).
Manon Lescaut di Giacomo Puccini, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del
Teatro Valli, 2002, pp. 123 (contiene: libretto; saggi di Jürgen Maehder, Ugo Bedeschi, Umberto Bonafini;
estratti dal romanzo Manon Lescaut di Prévost; fumetto di Casali e Werther Dell’Edera).
Tancredi di Gioachino Rossini, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro
Valli, 2003, pp. 106 (contiene: libretto; saggi di Philip Gossett, Marco Beghelli; estratti da Le Rossiniane di
Giuseppe Carpani; fumetto di Matteo Casali e Michele Petrucci).
L’Olimpiade di Giovanni Battista Pergolesi, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia,
Edizioni del Teatro Valli, 2003, pp. 106 (contiene: libretto; un saggio di Francesco Degrada; la Lettera I su
Metastasio di Stendhal; fumetto di Giuseppe Zironi e Yoshiko Kubota).
Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi, a cura di Fabbi e Viaghi, Reggio Emilia, Edizioni
del Teatro Valli, 2003, pp. 112 (contiene: libretto; saggi di Paolo Cecchi, Gianandrea Gavazzeni, Ugo Bedeschi; estratti da romanzi e scritti di James Ellroy, Augusto Illuminati, Jim Garrison; fumetto di Giuseppe
Zironi e Antonio Pepe).
Mahler Chamber Orchestra. Claudio Abbado. Anna Larrson. Concerto con musiche
di Mahler, Beethoven, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2003, pp. 82 (contiene:
testi; saggi di Arrigo Quattrocchi, Lidia Bramani; un racconto di Achille Giovanni Cagna). ESAURITO
Les pêcheurs de perles di Georges Bizet, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni
del Teatro Valli, 2003, pp. 120 (contiene: libretto; un saggio di Marco Beghelli; estratti da Angelo Arioli, Le
Isole Mirabili. Periplo arabo medievale; fumetto di Matteo Casali e Giuseppe Camuncoli).
The Rape of Lucretia di Benjamin Britten, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni
del Teatro Valli, 2004, pp. 122 (contiene: libretto bilingue; prefazione all’opera di Benjamin Britten; un saggio
di Lidia Bramani; otto illustrazioni di Nicola Carrù).
Così fan tutte di Wolfgang Amadeus Mozart, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia,
Edizioni del Teatro Valli, 2004, pp. 154 (contiene: libretto; un saggio di Diego Bertocchi).
Orlando di Georg Friedrich Händel, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del
Teatro Valli, 2004, pp. 94 (contiene: libretto; un saggio di Lorenzo Bianconi; estratti dal Furioso di Ludovico
Ariosto).
Le comte Ory di Gioachino Rossini, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del
Teatro Valli, 2004, pp. 108 (contiene: libretto; due saggi di Mario Marica; la ballata popolare Le comte Ory
et les nonnes de Formoutiers).
Gustav Mahler Jugendorchester. Claudio Abbado. Nona Sinfonia di Mahler. A cura di
Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2004, pp. 55 (contiene: saggi di Peter Franklin, Arrigo
Quattrocchi; antologia di scritti di Claudio Abbado, Theodor W. Adorno, Alban Berg, Pierre Boulez, Luigi
Rognoni, Arnold Schönberg, Ulrich Schreiber, Bruno Walter). ESAURITO
Il ritorno di Ulisse in patria di Claudio Monteverdi, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio
Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp. 96 (contiene: libretto; saggi di Franco Bezza, Claudio Gallico;
estratto dall’Odissea).
Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny di Kurt Weill e Bertolt Brecht, a cura
di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp. 207, tavole a colori (contiene: libretto
bilingue; saggio di Hartmut Kahnt; contributi di Abbado, Adorno, Benjamin, Berio, Bossini, Brecht, Fabbri,
Ferrari, Pestalozza, Sanguineti, Weill). ESAURITO
Peter Grimes di Benjamin Britten, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro
Valli, 2005, pp. 135 (contiene: libretto; scritti di Benjamin Britten, Peter Pears; saggi di Michele Girardi,
Gilles Couderc, Edward Lockspeiser).
Die Zaubeflöte di Wolfgang Amadeus Mozart, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia,
Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp. 207 (contiene: libretto bilingue; saggi di Lidia Bramani, Giorgio Agamben;
contributi di Luigi Pestalozza, Pier Cesare Bori, Salvatore Natoli, Adriana Cavarero, Francesco Micheli,
Fulvio Papi, Marco Beghelli). ESAURITO
Orchestra Mozart. Claudio Abbado. Giuliano Carmignola, Reggio Emilia, Edizioni del
Teatro Valli, 2005, pp. 55 (contiene: saggio di Marco Beghelli; contributi di Francesca Arati, Giulia Bassi).
La traviata di Giuseppe Verdi, a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro
Valli, 2005, pp. 90 (contiene: libretto; note di regia di Irina Brook; saggi di Roberto Verti, Gilles de Van,
Catherine Clément, Rodolfo Celletti, Bruno Barilli).
West Side Story di Leonard Bernstein, 2 voll. a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni
del Teatro Valli, 2005, pp. 68 (libretto) e pp. 49 (saggi).
The Flood di Stravinskij / L’Enfant et les Sortilèges di Ravel, a cura di Fabbi e
Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp. 81.
Le nozze di Figaro / Così fan tutte / Don Giovanni di Mozart (“Le opere italiane
di Lorenzo Da Ponte”), 2 voll. a cura di Fabbi e Vighi, Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp.
189 (libretti) e pp. 88 (saggi). ESAURITO
Filarmonica della Scala. Riccardo Chailly (contiene: un saggio di Oreste Bossini), Reggio
Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2005, pp. 55.
Orfeo ed Euridice di Christoph Willibald Gluck, a cura di Fabbi e Vighi (contiene
libretto, note di regia di Graham Vick, saggi di Fabbri, Kerényi, Hilman), Reggio Emilia, Edizioni del Teatro
Valli, 2005, pp. 80.
Boris Godunov di Modest Musorgskij, a cura di Fabbi e Vighi (contiene libretto, note di
regia di Graham Vick, saggi di Foletto, Bedeschi, contributi di Komarova, Musorgskij, Nori, Raffaini), Reggio
Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2007, pp. 80.
Progetto Miracolo a Milano (prima assoluta) Totò il buonooo di Daniele Abbado. Miracolo a Milano
di Giorgio Battistelli. Petrolio: Ken Saro-Wiwa poeta e martire di Boris Stetka, a cura di Fabbi e Vighi (contiene
copioni e libretti, interviste a Daniele Abbado e Giorgio Battistelli, contributi di Yorgure, De Curtis, Nori,
Gianolio), Reggio Emilia, Edizioni del Teatro Valli, 2007, pp. 105. ESAURITO
Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi, a cura di Fabbi e Vighi (contiene libretto, note di
regia di Giorgio Gallione, saggi di Ruffin, Petrobelli, Zoppelli documenti a cura di Conati), Reggio Emilia,
Edizioni del Teatro Valli, 2007, pp. 116.
L’Alidoro di Leonardo Leo, a cura di Fabbi e Vighi (contiene libretto, note di regia di Arturo
Cirillo, un saggio di Roberto Scoccimarro, un racconto di Giuseppe Montesano), Reggio Emilia, Edizioni
del Teatro Valli, 2008, pp. 125.
Fidelio di Ludwig van Beethoven, a cura di Fabbi e Vighi (contiene libretto, un saggio di
Esteban Buch, alcune lettere di Beethoven, un contributo di Hannah Arendt), Reggio Emilia, Edizioni del
Teatro Valli, 2008, pp. 136.
Nabucco (Nabucodonosor) di Giuseppe Verdi, a cura di Fabbi e Vighi, 2008, pp. 100.
Contiene: libretto; saggi contributi di Gianni Ruffin, Esteban Buch, Vittorio Sermonti, Ugo Bedeschi.
Mahler Chamber Orchestra. Claudio Abbado. Margarita Höhenrieder
Musiche di Mozart, Beethoven. A cura dell’Ufficio Stampa del Teatro Valli, 2008, pp. 50. Contiene: saggi
di Roberto Favaro, Luigi Magnani.
Madama Butterfly di Giacomo Puccini, a cura di Fabbi e Vighi, 2009, pp. 131. Contiene:
libretto; saggi contributi di Michele Dall’Ongaro, Marco Capra, Bruno Barilli, Ugo Bedeschi.
The Blue Planet, di Peter Greenaway e Saskia Boddeke, a cura di Fabbi e Vighi,
2009, pp. 137. Contiene: libretto; saggi contributi di Peter Greenaway, Saskia Boddeke.
A Midsummer Night’s Dream, di Benjamin Britten, a cura di Parmiggiani e Vighi,
2009, pp. 137. Contiene: libretto; saggi contributi di Benjamin Britten, Philipp Brett.
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Amici del Teatro
Giuliana Allegri, Paola Benedetti Spaggiari, Enea Bergianti, Franco Boni, Gemma Siria Bottazzi, Gabriella Catellani Lusetti, Achille
Corradini, Donata Davoli Barbieri, Anna Fontana Boni, Mirella Gualerzi, Umbra Manghi, Grande Ufficiale Gr. Croce llario Amhos Pagani,
Comm. Donatella Tringale Moscato Grazia Maria di Mascalucia Pagani, Ivan Sacchetti, Paola Scaltriti, Mauro Severi,
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Le attività di spettacolo e tutte le iniziative per i giovani e le scuole sono realizzate con il contributo
e la collaborazione della Fondazione Manodori
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Questa pubblicazione, sprovvista del talloncino
a fianco, è da considerarsi copia omaggio.
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