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NON È GIUSTO CHI METTE IL FIAMMIFERO? VERGOGNA PARLA
http://www.ilpaese-buti.it/ Aut. Trib. di Pisa n. 11/90 del 9.4.1990 Direttore responsabile: Paola Alberti Giugno 2011 - Anno XXII - N. 4 Stampa: TIPOGRAFIA MONTE SERRA - Via Barsiliana - Vicopisano (Pi) - Tel. (050) 799.477 INCENDI NON È GIUSTO Tutto il paese è rimasto colpito profondamente. Come accade al cospetto di morti improvvise e premature. Le reazioni sono di incredulità, di rabbia, di stordimento. Ciò non avviene soltanto nelle persone più coinvolte nella tragedia, ma anche negli amici, nella folla che si stringe ai funerali. Si assiste a grandi emozioni, manifestazioni di un dolore tanto visibile quanto effimero. Non può che essere così, altrimenti la vita non potrebbe continuare. "La morte dei giovani è un naufragio, quella dei vecchi un approdare al porto" dice Plutarco. Un naufragio che colpisce duramente i familiari stretti. E quindi che dire al babbo, alla mamma, al fratello. Vogliamo credere che la partecipazione di tanti al lutto sia stata una sia pur lieve consolazione per loro. E conforto sia venuto dall'affetto per Monica dimostrato dagli amici ai funerali anche con le parole dette da Giulia Pelosini e con l'intenso ricordo di Pamela Radi, che riproduciamo: “Lei era la vita fatta persona, con i suoi eccessi e le sue debolezze, la sua grinta e la sua sensibilità e non basterebbero mille aggettivi per descriverla. La Mò è e resterà semplicemente la Mò! Posso affermare però con assoluta certezza che lei era..... - era bella, è tanto bella: era sempre sorridente e il suo sorriso era contagioso... quella boccalona ti badava, ti rideva e riusciva a farti stare sempre bene, lei ti faceva sentire bene; - era il folclore: quando arrivava....la sentivi....non c'era verso che potesse andà diversamente, la sentivi rivà da lontano e già ti rendeva felice! A Bientina quando anche i miei amici hanno avuto l'onore di conoscerla l'hanno subito soprannominata “Terremò”....la Mò! - era dolce e sensibile: ebbene sì la Mò era anche una dolciona. Io l'ho conosciuta in un momento un po' particolare della mia vita e lei mi ha dato la forza per riuscire a stare bene....non dimenticherò mai i suoi abbracci, i suoi baci e le sue espressioni tipo: “le mi bimbe, vi vò bene sodo!”; per non parlare della sua bimbina adorata...la Cate...era la sua gioia più grande, le brillavano gli occhi quando ne parlava, era orgogliosissima d'avé una nipotina così bella! - era intelligente: mi ricordo come fosse ieri quando mi disse che pensava di iscriversi all'università. All'inizio ero un po' scettica, le dissi che doveva esser sicura, che doveva farlo se se la sentiva ma che avrebbe dovuto anche metterci tanto impegno per concluderla in tempi relativamente brevi...e lei mi disse che ce l'avrebbe fatta se voleva perché lei era la Mò ! ...e così è stato....”mi laureooooo” diceva, l'ha fatto davvero e l'ha fatto anche bene! Che capo ragazzi che aveva! - era altruista e generosa: la Mò si sarebbe tagliata una gamba per aiutarti, sarebbe corsa in capo al mondo per soccorrerti...era unica...lei non chiedeva mai niente...lei dava e basta! Dopo il servizio civile alla Misericordia ha deciso di diventare infermiera, perché era troppo nella sua indole, era più forte di lei...ni garbava sodo! Lei riusciva a dare tanto alle persone, lei ci metteva l'anima in tutto quello che faceva! Che altro aggiungere....chi ha avuto l'onore di conoscerla l'ha amata e lo sa che la Mò era tutto questo ed altro, lei ha lasciato un po' di sé dentro ognuno di noi...resterà per sempre nelle nostre teste e nei nostri cuori...e ci mancherà terribilmente tanto... Mò ti voglio un mondo di bene, ti amiamo tutti infinitamente....non ti dimenticheremo mai....ciao!” Gli effetti del naufragio rappresentato dalla scomparsa di Monica, ci sono stati comunicati anche da Andrea Bacci, che ha detto: “Alcuni anni addietro, quando ci siamo ritrovati in questa stessa chiesa per dare l’ultimo saluto a Dolando, è stato dato l’addio alla storia del canto del maggio, ad una persona che aveva contribuito alla fondazione della compagnia “Pietro Frediani” e che cantava il maggio da sempre, fin dalla giovinezza essendo nato in una famiglia di maggianti. In quel caso, con l’addio alla storia si salutava una persona che aveva vissuto una lunga vita. Oggi, invece, siamo qui per dare l’ultimo saluto ad una giovane vita che era il futuro della compagnia del maggio...”. Toccante l’omaggio di Andrea con il canto delle ultime tre quartine della Passione di Gesù Cristo scritte dal nonno Enzo Pardini proprio nel 1985, l’anno in cui nasceva Monica. Un saluto è stato portato dalla capo contrada dell'Ascensione Wanda Bagni. Un'ultima considerazione: quanto malata è “nel midollo” una società come la nostra che offre così poco ai giovani: non la serenità del lavoro, non la speranza offerta da modelli di civismo, anzi essi sono usati con spietatezza perché consumino; una società che si riduce a rimpiangere di non saper fissare poche, efficaci regole che impediscano le cosiddette stragi del sabato sera. CHI METTE IL FIAMMIFERO? Un amico, giorni fa, mi ha sottoposto una foto di un incendio in un bosco di conifere, nelle Montagne Rocciose, commosso dalla fuga di cervi che vi era ritratta. Gli ho detto che non c'è niente di più bugiardo delle immagini, perché la foto non portava scritto che l'incendio, da quelle parti, nella quasi totalità dei casi, è figlio del fulmine e quindi del tutto naturale. L'uomo non aveva ruolo, né come attore, né come comparsa, giacché quelle aree sono a bassissima pressione antropica. Gli ho detto anche che piante e animali si sono adattati a quel tipo di evento, che in taluni casi risolve problemi di sovrappopolazione animale, o, per le piante, elimina casi di parassitismo e malattia. Cioè, per certi aspetti, incendi benefici. Il mio amico non doveva giudicare quegli eventi sulla falsariga di cosa succede dalle nostre parti, dove gli incendi scoppiano per ragioni diverse dalle cause scatenanti nelle Montagne Rocciose e zone simili. A casa nostra, nel Monte Pisano, gli incendi boschivi sono provocati quasi sempre dall'uomo. Intorno al Monte Pisano, che copre poco più di settanta chilometri quadrati, in un raggio di dieci chilometri dai suoi piedi vivono quasi quattrocentomila persone, con densità superiore a 300 individui per chilometro quadrato. Una volta, quando il bosco era parte del podere, e veniva utilizzato per il taglio della lettiera, erano le liti fra coltivatori la causa dell'innesco. Più raramente il fuoco veniva dato dai pastori per il rinnovo del prato, oppure la miccia era rappresentata dai conflitti fra assegnatari e chi nel bosco andava per raccattare pinelli e stipa. In ogni caso, il motore primo era la lotta per la sopravvivenza. Superata questa fase, che vede gli ultimi (continua in 2a pagina) VERGOGNA Ad una prima lettura frettolosa del sito “Spigai per cambiare”, da cui abbiamo ricavato spunti per l’articolo “Non avete perso nulla”, ci erano sfuggiti gli accenni vigliacchi a Roberto Serafini. Dalle frasi di certi trogloditi, segnali evidenti di una regressione culturale e civile preoccupante, si ricava che collaborano strettamente con lo Spigai personaggi che presentandosi sul proscenio della rete si liberano di tutti i freni inibitori e si sentono in diritto di calunniare le persone. Ciò è potuto avvenire con l’oggettiva copertura dello Spigai, titolare responsa- bile del sito, che poi in un messaggio dell'11 maggio ha la faccia tosta di fare la vittima affermando che lui è “stato oggetto sia di attacchi personali che alla lista” e, massimo dell’ipocrisia, che verso ”chi mi si è rivolto contro con frasi non convenzionali (?), ha prevalso dentro di me il sentimento cristiano del perdono”. Ritornando a Roberto Serafini, il 23 Maggio quei trogloditi sopradetti improvvisano un siparietto sul “nuovo incarico del Sindaco uscente”. In proposito abbiamo ricevuto una lettera dall’interessato. PARLA ROBERTO SERAFINI Mai ho avuto interesse a leggere gli interventi apparsi su “Spigai per cambiare” durante e dopo il passaggio elettorale, anche se in tanti mi suggerivano di farlo, visto il rilievo che mi veniva dedicato in quel sito. Sollecitato una volta di più, mi sono deciso a verificare una serie di esternazioni che mi riguardavano, ma in quei passaggi non ho rilevato ingiurie o accuse tali da essere prese in seria considerazione. Se questo è tutto ciò che hanno scritto su di me nella piazza virtuale, in quella reale ho sentito di peggio. Comunque, fa piacere che qualcuno si preoccupi di trovarmi un lavoro. Magari, me lo avessero chiesto, gli avrei dato un parere sia sull'Ecoform, sull’indifferenziata o differenziata o anche sui…….Burattini. Da fastidio a queste anime nobili il fatto che qualcuno, dopo un'esperienza difficile e faticosa come quella di rivestire il ruolo di Sindaco, decida di tornare al suo vecchio e nobile lavoro. Uno che può fare a meno dei Burattini, laddove esistono, o a qualcuno che ci “sistemi”. La preoccupazione più forte nel voler ritornare alla mia Azienda, di cui sono stato dipendente anche per questi dieci anni di aspettativa, è che il mio lavoro, la mia professione (tecnico TV e altro) nel frattempo non ha più mercato essendo cambiato radicalmente il mondo dell’elettronica. Ciò poteva essere un motivo ulteriore di riflessione per come immaginare il futuro. Per me, però, le priorità in termini di bisogni, di necessità sono altre, tant’è che mancandomi otto mesi al raggiungimento del diritto alla pensione, avevo deciso (seppur particolarmente onerosa in tempi di difficoltà economiche) di passare alla contribuzione volontaria per raggiungere l'obbiettivo. Solo per riacquistare il tempo e la libertà. Qui, ho avuto l'opportunità di usare lo strumento della Cassa Integrazione Guadagni in deroga attivata dalla Regione Toscana per sostenere situazioni di crisi aziendali con ripercussioni sui livelli occupazionali, purtroppo molto frequenti oggigiorno. Per il percorso sopra delineato, il sottoscritto è adesso in cassa integrazione. Questo è il nuovo incarico del Sindaco uscente, con buona pace delle bocche della verità (a Buti si dice: quelle che si aprono e “ni si dà fiato”), ma che, stante il mio sentimento cristiano.... perdono. ELEZIONI NON AVETE PERSO NULLA (in 2a pagina) CHI METTE IL FIAMMIFERO? (continua dalla 1a pagina) episodi negli anni settanta del secolo scorso, con l'abbandono del podere da parte dei mezzadri e dell'esercizio della pastorizia che al podere era correlata, dovevano scomparire gli incendi. E invece no, si sono infittiti, man mano che si perdeva un qualsiasi interesse economico per il monte. E' chiaro che la cosa non torna. Si è fatta una dietrologia, da discorsi al bar, che voleva gli incendi appiccati per alimentare gli interventi di rimboschimento. Da qualche parte è stato vero, ma non qui dove le maestranze forestali, sia quelle alle dipendenze degli Enti preposti, che quelle degli appaltatori, il lavoro l'avevano comunque garantito. Infatti, non si lavora solo per spegnere o per ripiantare, ma anche per far taglio selettivo, apertura e mantenimento di infrastrutture anticendio (bacini d'acqua, piste forestali, cesse parafuoco) e per la bonifica forestale in genere. E allora occorre avere il coraggio di dirsela tutta: negli ultimi vent'anni, fatto salvo un 10% circa provocato da incendiari prezzolati per strategie di ampio respiro che miravano non a piccoli appalti locali, ma ad enormi campagne acquisti a livello nazionale (vedi anno 1994) sostenute dal tamtam dell'informazione, e tolto ancora un 5% imputabile a poveri balordi che davano fuoco sempre negli stessi posti (e tutti regolarmente scoperti), il resto va imputato: 1) al mitomane, stimolato dalla comunicazione di massa televisiva, ma anche da quella artigianale, che involontariamente valorizza il suo operato (facebook, youtube, ecc.). L'azione del mitomane appartiene ad una mentalità urbana, e presenta modalità di esecuzione riconoscibili in quanto il fuoco è sempre appiccato vicino ad una strada carrozzabile che consente la rapida e sicura fuga dell'incendiario (che non è uomo di bosco!); al massimo all'imbocco d'una pista forestale, ma mai oltre. 2) all'agricoltore urbano, il coltivatore del fine settimana. Figura che prolifera a seguito della suddivisione dei poderi dismessi. Trattasi di soggetti acculturati (magari sono direttori di banca o docenti universitari) che fanno un bel falò ai bordi della proprietà, vicino al bosco, magari aiutandosi con la benzina. Poiché sono rispettosi della legge, ciò non avviene d'estate. Sommando le percentuali sin qui elencate, si arriva si e no al 50%. E l'altro 50%? Esso è riferibile, purtroppo, a motivazioni che logica vorrebbe oggi estinte, perché dovute a rivalità, vendette e rappresaglie. Ma com'è possibile, se gli “interessi” sono scomparsi con l'agricoltura e la pastorizia? La risposta è semplice: perché si sono introdotti nella zona nuovi interessi creandosi, così, una nuova categoria di utilizzatori legali, e nuove piccolissime bande di utilizzatori fuori legge. Il nuovo “interesse” è peloso, figlia due volte l'anno, non ha nessuna specie concorrente che ne limiti l'espansione e si chiama cinghiale. Non mi sto a dilungare sul fatto che la sua introduzione nel Monte Pisano è stata, dal punto di vista ambientale, un'operazione scorretta, scellerata, e ancor più grave perché garantita dalla Provincia, competente per materia. Ma ritornando a bomba, alle cause d'incendio, non è la categoria dei cinghialai (quelli legittimi) la colpevole. A coprire l'altro 50% sono le rappresaglie dirette contro di lui, il cinghialaio, e che assumono la forma del fiammifero, della candela e dell'innesco. Troppa sicurezza? No, solo così si spiegano motivazioni e modalità con cui il fuoco vendicatore viene appiccato. Infatti, questi incendi partono da località difficilmente raggiungibili e che consentono vie di scampo (per l'urgenza della fuga o per evitare premature scoperte) note a pochissimi utilizzatori e/o frequentatori del bosco. Va detto, ancora a discolpa dei cinghialai legittimi, che questo tipo di caccia è “costosissima” e che il bosco è indispensabile per poterla praticare. Dar fuoco al bosco sarebbe da idioti. Purtroppo sono oggetto di rappresaglia dato che la loro attività regolamentata ha limitato un diritto venatorio che qualcuno considerava “ad libitum”, senza restrizioni di sorta. In effetti la specie dei cacciatori tradizionali si è sentita espropriata di diritti eterni e inalienabili che credevano di possedere. E' possibile che qualcuno di loro, ritenendosi “non garantito” da leggi e regolamenti, si faccia giustizia da solo al grido: “Non posso più io, non potrà più nessuno”? Ritengo sia un'eventualità possibile, ma di peso marginale. E' invece la nuova specie, quella del bracconiere, nata sul Monte Pisano a seguito dell'introduzione del cinghiale (quindi dal 1980), il protagonista della nuova rappresaglia. Il bracconiere non ha regole, perché la sua attività è fuori dalle regole; non ha diritti stanziali, perché è nomade; non obbedisce a concessioni in quanto sfrutta le concessioni altrui; non ha remore perché è un fuorilegge. Il bracconiere è il primo nemico del cinghialaio, in quanto lo depreda dei “suoi” cinghiali; e se il cinghialaio ce lo intoppa, son dolori. Peggio ancora se la lite scoppia fra un cinghialaio, “colluso e in affari” con il bracconiere, e quest'ultimo. E allora, senza far riferimento alle molte leggende al riguardo, che raccontano di coltelli alla gola, gomme sventrate ai fuoristrada, e via lameggiando, vige la regola del “non posso più io, non ti diverti più neanche te”. Regola che viene applicata nel peggiore e più efficace dei modi. Chi va per bosco, per diletto e ancor di più per lucro, sa come, dove, quando e con quali condizioni di temperatura e di vento, si può dar fuoco per ottenere l'effetto desiderato: l'avvertimento, l'intimidazione o la rappresaglia totale. E senza essere scoperti in flagrante. Renzo Zucchini NON AVETE PERSO NULLA Un po’ in ritardo qualcuno ci ha suggerito di andare a leggere i proclami apparsi sul sito “Spigai per cambiare” e abbiamo visto che ce n’è di roba… Ad un certo punto, si legge una nota sotto il titolo: “Il Paese: capito perché non abbiamo risposto?”, che segue l’uscita del n. 2 del nostro periodico, dove alle domande rivolte ad Albertino seguiva uno spazio bianco. Il testo integrale della nota è il seguente: “Le persone con un po di lungimiranza, leggendo "Il Paese" capiranno il motivo per cui Civica" non ha mandato le risposte. IL GIORNALE" IL PAESE" rappresenta molti cittadini e non siamo noi a dire che è schierato politicamente... Noi ci siamo sempre dissociati dall'anteporre ideologie politiche al BUON SENSO! Le nostre risposte per i CITTADINI sono nel programma elettorale che state ricevendo nelle vostre case! INOLTRE parlate anche di Palio di Buti... di personaggi politici nazionali a cui associate la figura di Alberto Spigai, (ma non avete altro da tirare fuori?).... Ma non avete capito che è proprio questo che la gente non vuole più vedere. NOI FAREMO il bene del Territorio in cui viviamo? Gli interessi politici ed economici resteranno sempre Fuori!”. A questo discorso parecchio sconclusionato non solo dal punto di vista della forma, si aggiungono commenti del tipo “Il Paese è veramente vergognoso”, e “...purtroppo ci sono delle persone che mettono prima i propri interessi al bene del paese e la paura di perdere "tanti privilegi" li fa smattare...”. Al soggetto che fa riferimento ai nostri interessi e ai tanti privilegi che avremmo sempre anteposto a quelli del paese, in considerazione della sua giovane età chiederemo in privato che specifichi quali L’angolo della memoria interessi e privilegi, così nell'occasione ricostruiremo meglio le rispettive biografie. Andiamo al sodo: la tesi che sta alla base della nota è il voler accreditare “Spigai per cambiare” come “lista delle persone”. Facciamo notare che alla testa della lista degli innocenti ci sta un immacolato alfiere, che è riuscito a dichiarare (si sente che ha un attimo di esitazione alla domanda dell’intervistatore di Punto Radio, ma poi si butta) di essere socialista e insieme il Berlusconcino di Buti. Un alfiere che ha messo insieme, strumentalmente, socialismo (un’idea a cui i suoi più stretti familiari erano molto “attaccati”), Berlusconi e la destra (pronunciamenti a suo favore sia del PdL che della Lega). Un’operazione volgare, di cui Spigai, è evidente, nemmeno si rende conto. A questo proposito è il caso di raccontare un aneddoto che circolò nei primi anni 80. Apparso sulla stampa l'elenco degli iscritti alla P2 di Gelli, uno di questi, Cicchitto (oggi capogruppo del PdL alla Camera dei Deputati), a quei tempi socialista lombardiano, si avvicina in una riunione a Riccardo Lombardi dicendogli: “Scusa, sai...”. E per tutta risposta riceve un manrovescio in piena faccia. Ecco come verrebbero giudicati dai veri socialisti coloro che oggi si dichiarano socialisti e berlusconiani. Si diceva, riguardo al sito, che contiene tanta roba, ma credeteci, di “poco succhio”: strizzando strizzando rimangono solo le notizie, ripetute ossessivamente, sulle numerose apparizioni degli elicotteri dell’ENEL che volteggiano sulle Cascine per stabilire dove piazzare “il camino”. Ci sono butesi che in buona fede hanno votato la “lista degli innocenti” sperando di cambiare in meglio. Li vogliamo rassicurare: il cambiamento vero l’ha fatto il centrosinistra, non avete perso nulla. di Giuliano Cavallini 50° anniversario dei nati nel 1921. Da sinistra: Leopoldo Bernardini, Paolo Leporini, Carlo Filippi, Ario Ciampi, Natale Baschieri, Nello Balducci, Rino Leporini, Alfredo Guerrazzi, Opelio Degl’Innocenti, Giacomo Scarpellini, Castellazzo Batisti, Rosaldo Bacci, Angiolo Nocchi, Gino Pasqualetti, Giuseppe Balducci, Mario Buti, Adriano Palamidessi, Spartaco Vannucci, Marino Guidi, Dino Priori, Narciso Bonaccorsi, Natale Pratali, Paolo Parenti, Vando Franceschini, e Valentino Filidei. OMAGGIO A WILLIAM Antonio Batisti, nel quindicennale della scomparsa di William Landi, gli ha voluto rendere omaggio pubblicando un cd che comprende la digitalizzazione dei quaderni relativi alla raccolta di soprannomi, stornelli, giochi, filastrocche e modi di dire, che a più riprese sono stati riprodotti anche sul nostro periodico. Il cd può essere acquistato nelle edicole. Il ricavato dalla vendita sarà impiegato da Antonio per donare alla Biblioteca Comunale un lettore di libri digitali per incentivare la lettura. Nel cd troviamo anche il romanzo “Un vestito di cotone stampato”, edito nel 1994 a cura de “Il Paese”. In poche righe, ne vogliamo tratteggiare il contenuto. Ammirando in modo specialissimo il romanzo di William, speriamo che il riassunto sia di incentivo all’acquisto del cd e quindi un contributo per il successo della lodevole iniziativa di Antonio. La vicenda della protagonista, Gonda, una contadina, si colloca all’inizio del millenovecento e ha come cornice il nostro paese e le figure sociali in esso dominanti: i mezzadri, i corbellai, le tessitrici e i “sor padroni”. I primi subiscono il giogo di un contratto che conserva alcuni caratteri medioevali come le servitù derivanti dal patto colonico. Ad esempio la scelta del nome del neonato è un diritto del proprietario (…il sor Lorenzo aveva dato un’occhiata al calendario…; quel giorno era l’undici agosto Santa Radegonda, e “Radegonda” aveva detto… Per giorni e giorni Giovacco aveva cercato di abituarsi a quel nome, ma sembrava aver l’argento vivo addosso, poi cominciò a chiamarla Gonda, così restava più nella mente, e Gonda era rimasta). Le donne del contadino periodicamente sono costrette a fare il bucato al padrone e si devono portare al “sor padrone” le primizie, polli, uova, ecc. Alla difesa strenua da parte dei proprietari dei loro privilegi feudali, si contrappone però la crescente consapevolezza dei propri diritti da parte dei contadini. La spinta maggiore al cambiamento, però, viene dalla categoria più matura, i corbellai. Alcuni di loro formano il Circolo Francesco Ferrer (L’indirizzo politico del Circolo era confuso come era confusa la valutazione che gli altri, interessati o no, ne facevano. I fondatori si dicevano anarchici; in seguito, nella commozione del martirio, avevano preso il nome di Francesco Ferrer come simbolo di ribellione al potere costituito. D’altra parte avevano allacciato legami con i socialisti di città: erano parte di quella lunga catena di gente mossa da un oscuro e incontrollato moto di rivolta che si avviavano verso la ribellione organizzata. Gli altri consideravano questa gente, quanto meno, dei sovversivi, ma più spesso un’associazione a delinquere, una diretta derivazione della “mano nera”, come già avevano chiamato i primi assertori di un rinnovamento sociale…). Momento centrale è il comizio dell’oratore socialista ( i soci del Circolo Ferrer sono andati a cercarlo a Pisa) che incoraggia la lotta delle tessitrici che stanno per dare inizio ad uno sciopero per strappare un maggior compenso per la tela. La piazza dove si svolge il comizio è quella di San Francesco. Si contrappone alla voce dell'oratore il suono delle campane della vicina chiesa (...il quaresimalista per tutta risposta si girò e con un gesto imperioso e con la voce dette inizio di nuovo all'Uffizio, che gli altri cantarono incerti, ma che lui proseguì a voce piena recandosi verso la porta. Prese le due imposte, le aprì lentamente, con solennità, senza smettere di cantare; a braccia aperte stava per spingerle verso il muro quando un urto violento sulla faccia lo fece cadere per terra. “Porca M...” bestemmiò Florio, dopo la labbrata, richiudendo di schianto la porta. Don Giordano accorse, portò il quaresimalista, stordito, verso il centro della chiesa, dove tutti gli si fecero intorno. “Gliel'avevo detto io di lasciar perdere!” gli disse...). Un episodio che conferma il ruolo conservatore giocato della Chiesa, che nella sostanza pende dalla parte dei borghesi. In tale contesto dove si fronteggiano e si scontrano le forze sociali presenti a Buti, si dipana la storia d’amore di Gonda con Pietro. Gonda scende dalla casa poderale a mezza costa e non sop- porta più di entrare in paese ed essere vestita in un modo miserabile (...”C'è che in questo saccone sono stufa di starci” proruppe Gonda strusciando le mani sulla gonna e con le lacrime agli occhi salì di corsa le scale..). Allora decide, con i risparmi, di acquistare un vestito di cotone stampato e lo indossa (… con il senso di sfida che sentiva in quel suo vestito nuovo, un senso che, per il paese, le servì di difesa... perfino gli uomini si voltavano a guardarla e sussurravano qualcosa fra loro; in quelle parole e in quegli sguardi si accavallavano e si confondevano complimenti, invidia, rimprovero... “Guà, la contadina s'è fatta signora” disse velenosamente, e forte per farsi sentire da Gonda, la Manolunga...). Il gesto di Gonda viene mal giudicato fino al punto che Giovacco, il padre, è buttato fuori dal podere per il comportamento scandaloso della figlia. “Tanti nomi non sono più neanche ricordi, tanti fatti sono quasi meno credibili di favole; fra altri nomi e altri fatti Gonda, per le feste, la sera aspetta ancora fra l'ansia e la rabbia il suo vecchio che non di rado beve un pò più del necessario. I poderi intorno al suo, uno alla volta, sono stati abbandonati quasi tutti e il suo sor padrone attuale se la tiene cara, pur cercando di fare il più possibile il proprio interesse. Il sor Lorenzo, sempre vivo anche lui, spesso spesso s'abbocca con Pietro, vorrrebbe rivederlo in un suo podere, sarebbe disposto a portargli l'energia elettrica su, a mezza costa, nella vecchia casa di Taddeo o a dargli una casa anche giù, in paese; per Gonda non ci sarebbe neppure da pensare al bucato; ormai da tempo, anche per opera di Gosto che organizzò i sindacati bianchi, non esiste più quell'obbligo. Pietro, corte- giorno non possono fare a meno di avere pietà l'uno dell'altro e di essere tristi per se. Si consolano una volta ogni tanto a bere un caffè insieme, magari nel bar dei padroni che, ormai, dopo una guerra, qualche schiaffo e un'altra guerra è diventato il bar di tutti. Gonda non ha più quel vestito di cotone stampato; le durò tanto, più di qualsiasi altro vestito, ci vollero anni e anni perchè potesse portarlo senza scandalo e oggi che potrebbe portarli più belli è ridotta, dai lutti e dagli anni, a vestirsi sempre di nero. Però ha fatto con le figlie prima, poi con le nipoti, quello che ha potuto: le ha viste scendere con i vestiti che i raccolti potevaano permettere, con le scarpe coi tacchi alti e le calze di seta in mano, che si sarebbero cambiate giù, in una casa amica o in un andito; ed ora non hanno più bisogno neppure di far così, ora stanno tutte al paese e cercano di avere, o sognano, per se e per i figli cose che Gonda non riesce a capire e che qualche volta condanna, così come non capivano e condannavano lei le contaadine dei suoi tempi”. RIPENSANDO AGLI ANNI ‘50 UN’AVVENTURA William con la sorella Ilelda. Successivamente, durante “la Festa” del paese, si ha un’ulteriore e più seria provocazione. Un gruppo di giovani: (... per lo più contadini: vino, ponci, sigarette e un po' di schiamazzo portarono ben presto qualcuno a reggersi in piedi a stento. Quando Stefano s'accorse che tutti, più o meno, ed anche lui stesso, erano su di giri, li portò verso il bar dei padroni e premendo dentro Pietro si rivolse agli altri:”Ed ora un ponce qui, pago io a tutti!”). Uno sberleffo irriverente verso i padroni, a cui segue un ultimo gesto di rivolta di Gonda: (... Gonda, ora, capiva solo l'umiliazione di Pietro, quello che avrebbe dovuto passare a seguito di quel gesto...”Bettina voglio mettermi il vestito” disse trasognata toccandole un braccio. Un quarto d'ora dopo erano a giro insieme...). Nel racconto, a questo punto, si ha un salto temporale e ci ritroviamo nel 1961: semente, rifiuta sempre, non è risentimento per quanto successe dopo quella "Festa", passò dei momenti brutti, è vero: qualche giorno senza tornare a casa, neppure un'opra al frantoio, poi, dopo il raccolto, quel terremoto di cambio dei poderi e dei sor padroni; e le botte che avevano avuto lui e Gonda, ma tutto questo non brucia più. Se rifiuta è per lo stesso motivo che non ha più risentimenti, per lo stesso motivo che lo tiene attaccato alla terra, quando ormai figli, salvo uno che sta con lui, e nipoti se ne sono allontanati: ‘Siamo tropppo vecchi per cambiare’. È così, troppo vecchi. Pietro e il sor Lorenzo sono ancora un contadino e un padrone, ognuno tira ancora al proprio interesse, con più forza di quei tempi il contadino, con meno il sor padroone, ma quando per qualche momento capita loro di guardarsi l'un l'altro il fisico che decade giorno per Conservo il ricordo di un fatto accadutomi nel mese di luglio del cinquantuno alla gora di Puntaccolle, precisamente di Migliaia. Una gora che era una magia e che attirava come una calamita tutti i ragazzetti. Ci si arrivava attraverso un passaggio buio e stretto affacciandosi, all'improvviso, sullo scenario assolato del rio Magno; una vista che andava da Borgo Maggiore fino alla Vandinella compreso tutta la Via Nova e il suo via-vai. In più lo spettacolo dell'acqua che di fondo al muretto cadeva a precipizio accanto alla gigantesca ruota del frantoio, laggiù laggiù in uno sprofondo che sembrava una voragine. Forse tutti s'era attratti per il solo star lì, sui muretti, a guardare scorrere l'acqua, di cui ce n'era tantissima. Quando le donne vi si immettevano dentro per lavare i panni, gli raggiungeva il ginocchio. Quella mattina (avevo appena sei anni) corsi alla gora, così come facevo spesso, e contenta "d'un ci trovà' nimo", decisi di entrare nell'acqua. Tante volte avevo provato a fare quel passo temerario, ma c'era sempre qualcuno che me lo impediva. Misi gli zoccolini sul lavatoio e mi addentrai nell'acqua. Dopo tanti anni, ho ben presente la vivissima sensazione che avvertii. Allo stesso tempo, però, fu come posare i piedi sul burro. Percepire l'intensità di stare dentro quell'acqua e "cascacci" dentro fu tutt'uno. Rialzarsi non fu per niente facile perché i piedi non facevano presa. Quando mi riuscì, rimisi gli zoccoli uscendo fuori dal cancello. Ero completamente bagnata e pensai impaurita: “Chissà che succede quando torna la mi' mamma”. Infatti, l'ultima raccomandazione prima di dirigersi verso la segheria, era proprio quella di non andare per rii e per gore. Terrorizzata rimasi al sole facendo lo sdingolo sul cancello per tutta la mattina. Purtroppo, mentre la brusina di telamare s'asciugò in un volo, i calzoncini di "frustagno" no. Quel giorno non si arrivò neppure a sera per "riscòte' la paga", la ricevetti prima di “desinà'” e con una bella frustina fresca (mamma diceva che ci voleva fresca perché avvettava meglio). F.MV. Cascine ieri di Claudio Parducci Una bella formazione del Circolo " Le due vie" che partecipò, con alterne fortune, al campionato amatori anno 1980. Da sinistra, in piedi: Yarcek, Cioppe, Tons, Otellino, Puppino, Resembrik, Tarantini, Gufo; accosciati: Darietti, Natale, il Gatto, Bologna, Tobia, il Grebano e Marchino. LA STREGATA Conoscevo una vecchia donnetta che aveva dei dubbi superstiziosi sulla vicina di casa, diceva che la stregava. E pensà che questa poveretta gli faceva anche le faccende domestiche. Me lo disse una amìa della vecchia, una di ‘velle che nun regge neppure ‘r piscio. Lì per lì nun ci ‘redevo, mi pareva impossibile che fusse ‘osì perché nun ‘redevo che fusse maligna a quel mo' dato che tutta la su’ vita l’aveva finita in chiesa (ci andava senza capire er signifìato perché ci andava). Io nun so perché ci sono questi soggetti e d’artra parte vanno sopportati: dev’essere una paura che hanno drento che lì fa ragionà a quer mo'. Rimanendo nel caso, lo diceva doppo che ni faceva mille favori: era come lavà’ la testa all’asino, anzi peggio. Badate che è diffusa sodo ‘vesta malattia, si io la chiamo malattia. Diceva un medìo di una condotta ‘vi vicina a proposito di ’veste ‘ose ‘vi: “Vengano da te se hanno una malattia, ma contemporaneamente vanno dai guaritori. E se nun guarisceno, la colpa la danno a noialtri, mentre se guarisceno dìano che sono stati quell'artri. Vacci a capi’ ‘varcosa”. Insomma ‘vella donna, se ni sentiva la testa, dubitava forte della su’ amìa. E pretendeva che ni facesse le faccende. Se fòri trovava i fiori secchi nei vasi, un ci pensà’ neppure un seòndo ch’èra lèi la causa. Invece èra er su’ marito che ce lo sgocciolava quando a sera rivava alticcio. Lui, quando la sentiva sbraitare a quer mò, ci rideva. E invece di fargli una parola confessando la propia colpa, attenuando così ‘vella tensione che c’èra verso 'vella donna generosa per l’idèe stupide che aveva preso la su’ moglie. Il marito nun solo nun ni diceva nulla alla vecchietta che era sua la colpa der fatto che gli seccava i fiori, ma nemmeno faceva trapelà’ di come la pensava, che la moglie avesse idèe malate circa la donna sospettata ingiustamente di essere una strega. Un giorno la vecchia andò dar prete ritenendo che l’averebbe messa sulla via bona, che ce l’averebbe levate le streghe di casa sua, ma nun trovò pane per e su’ denti. Il prete, rendendosi subito conto delle ‘ose, gli fece un discorso che averebbe persuaso anco un maiale. Gli disse, infatti, di farsi visitare da un medìo che n’averebbe detto ‘verche avevano tutti ‘ vecchi di ‘vell’età e che er sangue, probabilmente, gli scorreva pòo bene e n’aveva dato, si vede, alla testa e che nun poteva darsi che una la ‘vale si dimostri generosa pòi ti facci stà male, cioè ti streghi. Insomma, ci si confondette parecchio. Ma nun ci fù verso, anche er prete dovette accorgisi che nun aveva ottenuto nulla con la lavata di testa che n’aveva fatto. Alla vecchia, il problema, gli durò finché fù decrepita. Attilio Gennai AVVISO PER “L’ANGOLO DELLA MEMORIA” SIAMO ALLA RICERCA DI FOTO DI GRUPPO: SCOLARESCHE, GITE, ALTRO. FATEVI VIVI CON GIULIANO CAVALLINI ALLO 0587 723610. ANAGRAFE NATI Pacini Gaia nata a Pontedera il 2 giugno 2011 Iacopini Riccardo e Signorini Serena sposi a Ponsacco il 18 giugno 2011 Graziani Stefano e Loretti Tiziana sposi a Vicopisano il 4 giugno 2011 Xhebexhiu Kristjano nato a Pontedera l’11 giugno 2011 MORTI Cantini Mattia nato a Pontedera il 12 giugno 2011 Tedeschi Giulietta nata a Pontedera il 9 giugno 2011 De Ranieri Olivia nata a Pontedera l’11 giugno 2011 Passetti Amedeo nato a Pontedera il 16 giugno 2011 Pratali Elena nata a Pisa il 31 maggio 2011 De Nicolais Francesca nata a Pisa il 19 giugno 2011 MATRIMONI Giusti Maria nata a Vicopisano il 28 maggio 1925 morta a Pontedera il 27 maggio 2011 Foti Maria nata a Gioiosa Ionica (RC) il 10 dicembre 1940 morta a Pontedera il 19 maggio 2011 Leporini Mario nato a Buti il 3 aprile 1926 morto a Buti il 19 giugno 2011 Giorgi Moreno nato a Peccioli il 5 agosto 1949 morto a Buti il 12 giugno 2011 Doveri Ginevra nata a Capannoli il 21 dicembre 1925 morta a Buti il 6 giugno 2011 Barzacchini Pietro e Peri Elisa sposi a Porcari (LU) il 14 maggio 2011 (dati aggiornati al 30 giugno 2011)