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Noi, annichiliti da troppe possibilità
CRONACHE Corriere della Sera Giovedì 17 Marzo 2016 27 Inseguendo la felicità La classifica mondiale dell’Onu: l’Italia è soltanto al 50esimo posto Capacità di ridere e generosità tra i criteri. In testa c’è la Danimarca Lo studio Il Rapporto mondiale della Felicità è redatto dal Sustainable Development Solutions Network, organismo dell’Onu che classifica 156 Paesi La prima edizione risale al 2012. Da allora il rapporto è pubblicato ogni anno. L’indice misura «la felicità interna lorda» attraverso sei parametri L’Italia non è un Paese felice. La notizia è certificata dall’Onu, nell’ultimo World Happiness Report pubblicato alla vigilia della Giornata mondiale della Felicità delle Nazioni Unite (20 marzo). Peggio di noi la Grecia, meglio l’Uzbekistan, il Nicaragua, la Malesia, tutte davanti in Danimarca 2° Svizzera 3° Islanda 4° Norvegia Il filosofo 5° Finlandia Noi, annichiliti da troppe possibilità 6° Canada 7° Olanda 8° Nuova Zelanda 9° Australia Natoli: paghiamo la corruzione diffusa e la sensazione di non potersi fidare dell’altro 10° Svezia 50° Italia 157° ciale (avere qualcuno su cui contare), la libertà nelle scelte di vita, la generosità, l’assenza di corruzione, la capacità di divertirsi, ridere e sentirsi spensierati e le preoccupazioni degli ultimi giorni. Le risposte degli italiani sono state tutte sotto la media della sufficienza (5,9) come già nel 2015 1° 50° Burundi 157° CdS D unque, non ci sentiamo felici. E se non ci sentiamo felici, c’è poco da fare, non lo siamo. La felicità è una percezione soggettiva e soprattutto non sopporta la coniugazione imperativa: sii felice! Del resto, come insegna il filosofo Salvatore Natoli, docente di Filosofia teoretica alla Bicocca di Milano, al quale si deve un importante saggio (Feltrinelli) sull’argomento, esistono due tipi di felicità: lo stato di grazia e il bene stabile, ma è nella seconda accezione la felicità vera e più profonda. Natoli segnala alcuni limiti dell’inchiesta: «Gli indicatori — dice — sono insufficienti. Per esempio, non ve d o l ’a l truismo, che è ben diverso dalla generosità: felicità comporta una reciprocità che custodisce». I parametri possono essere intelligenti ma non sufficienti, e comunque non sono né oggettivi né universali. «Certo, è complicato stilare un ordine di soddisfazione o uno standard di aspettative in contesti diversi». Prendiamo il caso italiano. «Si può ipotizzare che l’idea della corruzione diffusa sia determinante: non puoi essere felice se ti senti tradito da quelli che dovrebbero tutelarti». È questo che provoca uno stato di instabilità preoccupata? «Direi una irrequietezza e una tristezza costante, laddove l’elemento felicitante è invece il poter poggiare la testa sul petto dell’amico. Una società senza fiducia, deprivata del bene collettivo e del senso di cittadinanza non promette felicità». Quando non è un’esplosione gioiosa, la felicità non può prescindere dall’armonia con il mondo, oltre che con se stessi: «Non c’è felicità senza abbandono all’altro, la felicità è una quiete, che come ricorda Freud è il momento culminante dell’eros: il riposare nell’altro». Difficile, in Italia, abbandonarsi all’altro. La dimensione fiduciaria e collaborativa non fa per noi. Ma forse il discorso, per altri versi, si può estendere, L’incontro su fondi pensione e fondazioni Il richiamo di monsignor Ravasi «Torniamo a un’economia non dominata dalla finanza» La chiusura del suo intervento, amara, è affidata a una citazione di Søren Kierkegaard, il filosofo danese: «La nave è ormai in preda al cuoco di bordo. Ciò che trasmette al microfono del comandante non è più la rotta, ma quello che mangeremo domani». Si naviga a vista nell’Italia e nel ROMA La classifica 1° di Paolo Di Stefano Fra questi ci sono la salute, l’assenza di corruzione e le aspettative di vita calcolate in base al reddito pro capite, al livello di corruzione e alla percezione di sé classifica. Il podio è per Danimarca, Svizzera e Islanda. Seguono Norvegia, Finlandia e Canada. Lo studio ha incrociato i dati di 156 Paesi nel biennio 2013-2015, calcolando le risposte in una scala da 0 a 10 e considerando il Pil reale pro capite, l’aspettativa di vita in buona salute, il supporto so- mondo di oggi, secondo il cardinale Gianfranco Ravasi, fine biblista e presidente del Pontificio consiglio della cultura. E invece c’è un grande bisogno di una «politica alta, capace di progettare», che ai «marinai insegni non solo a fare bene i nodi ma anche il senso del mare spazioso e infinito». Co- se è vero che, come osserva Natoli, viviamo nella società del rischio: «L’incremento di possibilità da un lato è una grande chance, dall’altro ci sottopone allo stress continuo della scelta, al terrore di sbagliare, e tutto questo incide nella felicità». La sofferenza può insinuarsi nelle crepe lasciate aperte dall’incapacità di scegliere o addirittura dalla tendenza a non scegliere per non rinunciare: «Siamo dei tossicodipendenti delle possibilità. Ma nessuno, anche volendo, può prendersi tutto o essere tutto, dunque dovremmo trovare un equilibrio nel cogliere le opportunità in ragione delle nostre capacità». Intelligenza dei propri desideri, la chiama Natoli, con una definizione molto efficace. «L’intelligenza dei desideri è un frutto che si raccoglie con il tempo, con l’esperienza e con l’errore. Il deficit, il contrattempo, l’errore sono funzionali alla felicità stabile, cioè alla capacità di stare con equilibrio nel mondo». Il guaio (o la consola- sì come, secondo il «ministro» della Cultura in Vaticano, serve un ritorno «all’etica individuale, personale». Il cardinale ne ha parlato in un dibattito su «Etica e welfare, tra diritti e doveri», rispondendo alle domande del direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana. Ed è dai diritti e dai doveri che è partita la discussione: «I primi — dice monsignor Ravasi — vengono affermati in maniera solenne e imperativa mentre i doveri finiscono sempre per avere un sapore di prevaricazione». Uno squilibrio che attraversa tutti i settori della nostra vita pubblica e privata, dalla politica all’economia, passando per i semplici comportamenti quotidiani. L’evento Ieri a Roma si è svolto un convegno sul ruolo dei fondi pensione e delle fondazioni bancarie organizzato dal centro studi Itinerari previdenziali Chi è Salvatore Natoli, nato nel 1942 a Patti (Messina), è docente universitario e filosofo: tra le sue molte pubblicazioni c’è anche «La felicità» zione) è che è inutile inseguire la felicità. Cechov scriveva che si tratta di una ricompensa che arriva a chi non l’ha cercata. D’altra parte è giusto sapersi accontentare ma non troppo, altrimenti, come diceva Montale, si vive sempre al 5 per cento. «Bisogna cercare ciò che è grande, cimentarsi per raggiungere il meglio di sé». Già, ma cos’è il meglio? «Se uno studia musica, pur sapendo di non essere Mozart, deve confrontarsi con lui, tenerlo sempre in mente come elemento dinamico. Viviamo in una società incapace di riconoscere ciò che è grande: confondiamo il grande con la ripetizione, con la presenza, confondiamo la gloria con la vanagloria, che genera imitazione infelice. Invece riconoscere la grandezza è esperire la distanza e dunque postulare un margine di crescita che può dare felicità». Purché non sia un eterno desiderio insoddisfatto: «Tutta la natura è desiderante, cioè spinge oltre in un’idea di espansione. Il fatto è che dovremmo essere consapevoli che siamo potenze finite, mentre spesso sotto le ali del desiderio ci illudiamo di essere infiniti: un autoinganno infelicitante». Dunque? «Bisogna trovare la propria felicità nel buon uso delle occasioni, in sintonia con ciò che offre il mondo». Si può imparare a essere felici? «Se sai cogliere una possibilità di pienezza nelle pieghe degli accadimenti». Il cardinal Ravasi, noto per le sue lunghe camminate, è arrivato a piedi anche al piccolo auditorium del quartiere Prati. E questa abitudine gli offre lo spunto per un esempio concreto: «L’altro giorno camminavo sul Lungotevere. Mi hanno sorpassato tre ragazze, credo americane. Mangiavano la pasta in quelle vaschette di plastica. Finito di mangiare le hanno buttate per terra. Anche questa è mancanza di etica personale». Ma il cuore del problema sta nell’economia. Stavolta il cardinale chiama in causa il premio Nobel indiano Amartya Sen: «Abbiamo bisogno di tornare a un’economia che non sia dominata dalla finanza». E una prova arriva dalla © RIPRODUZIONE RISERVATA discussione che ha preceduto l’intervento di monsignor Ravasi, un convegno sul ruolo di fondi pensione e fondazioni bancarie, che hanno a disposizione un patrimonio di 250 miliardi di euro. «Hanno la volontà e l’interesse di partecipare allo sviluppo del Paese, per sostenere l’economia reale» dice il professor Alberto Brambilla, presidente del centro studi Itinerari previdenziali che ha organizzato l’evento. «Ma il Fisco — spiega — non deve bastonare. La tassazione sui fondi è stata raddoppiata, l’anno scorso hanno dato allo Stato più di un miliardo». Lorenzo Salvia @lorenzosalvia © RIPRODUZIONE RISERVATA