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Internazionale 8-14 Maggio
9 7 7 112 2 2 83008 n. 1101 • anno 22 Katha Pollitt Charlie Hebdo merita quel premio internazionale.it Libia Tra gli scafisti di Zuwara 3,00 € Stati Uniti Le scuole di Baltimora tolgono la speranza PI, SPED IN AP, DL 353/03 ART 1, 1 DCB VR de 7,00 € • be 6,00 € • ch 6,00 CHF • uk 4,4 £ 51101 8/14 maggio 2015 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo Curarsi con gli allucinogeni Nelle università statunitensi sono ripresi gli studi sulle sostanze psichedeliche, con risultati sorprendenti 8/14 maggio 2015 • Numero 1101 • Anno 22 Sommario “I dittatori dormono male, hanno il sonno agitato, si alzano tardissimo, fanno le cose a orari strampalati” ANtoNio muñoz moliNA, pAgiNA iN copertiNA La settimana Terapia psichedelica consigli Nelle università statunitensi sono ripresi gli studi sulle sostanze allucinogene, con risultati sorprendenti (p. 40). Illustrazione di Séverin Millet, lettering di Mariona Alegre. Giovanni De Mauro europA 18 Polonia Wprost AfricA e medio orieNte 20 Arabia Saudita Al Monitor 22 Democrazia nel mondo arabo Bitácora AsiA e pAcifico 24 Nepal Nepali Times 26 Indonesia Financial Times Americhe 28 Stati Uniti The New York Times visti dAgli Altri 30 I migranti africani 32 sognano il Nordeuropa The New York Times Le architetture dell’Expo Le Monde cAmbogiA 50 Social shopping Brand Eins stAti uNiti 52 Le scuole di Baltimora tolgono la speranza Aeon libiA 58 Tra gli scaisti tecNologiA 101 I cartograi digitali di Zuwara The Guardian aiutano il Nepal The Atlantic portfolio ecoNomiA e lAvoro 64 Bambine madri Stephanie Sinclair 102 Grecia Ivory Tower ritrAtti 70 Mamoun Eltlib Brownbook cultura viAggi 78 Cinema, libri, musica, arte Financial Times Le opinioni 72 Bhutan grAphic JourNAlism 74 Cartoline dalla Jugoslavia (via Vienna) Aleksandar Zograf culturA 77 Il premio 23 Amira Hass 36 Katha Pollitt 38 Rami Khouri 80 Gofredo Foi 82 Giuliano Milani 84 Pier Andrea Canei 86 Christian Caujolle 94 Tullio De Mauro della discordia The Guardian POP 90 La fame Martín Caparrós 93 Il tiranno cineilo Antonio Muñoz Molina le rubriche 14 Posta 17 Editoriali 104 Strisce 105 L’oroscopo scieNzA 96 Ingegneria genetica New Scientist Articoli in formato mp3 per gli abbonati le principali fonti di questo numero Aeon È un magazine online britannico di idee e cultura. L’articolo a pagina 52 è uscito il 27 aprile 2015 con il titolo School of failure. Brand Eins È un mensile economico tedesco, fondato nel 1999. L’articolo a pagina 50 è uscito ad aprile del 2015 con il titolo Heimvorteil. Brownbook È un bimestrale di cultura fondato negli Emirati Arabi Uniti. L’articolo a pagina 70 è uscito il 12 febbraio 2015 con il titolo “Where are the libraries?” The literary radical ighting Sudan’s crackdowns. Financial Times È un quotidiano economico di Londra. L’articolo a pagina 72 è uscito il 10 aprile 2015 con il titolo A dragon’s eye view: hot-air ballooning in Bhutan. Le Monde È un quotidiano francese progressista. L’articolo a pagina 32 è uscito il 5 maggio 2015 con il titolo Les multinationales battent pavillon à l’Expo universelle. Wprost È un settimanale polacco di politica ed economia, fondato nel 1982. L’articolo a pagina 18 è uscito il 3 maggio 2015 con il titolo Blef zamiast wyborów. Internazionale pubblica in esclusiva per l’Italia gli articoli dell’Economist. Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 7 internazionale.it/sommario Due modi di deinire il giornalismo, diversi ma forse complementari. Margaret Sullivan è la public editor del New York Times: risponde alle domande dei lettori sulle scelte del giornale, ma lavora fuori dalla redazione e le sue opinioni sono personali. Ha riassunto in 395 parole quello che pensa del giornalismo, sotto forma di consigli agli studenti. Eccone alcuni. Correggi e ammetti gli errori subito. Il mix ideale è: 20 per cento divertente, 80 per cento serio. Non cercare scorciatoie. Chiedi consiglio a persone brave. Pensa più alla correttezza che all’obiettività. Sii rigoroso. Veriica i fatti spietatamente. Sii aggressivo: un giornalista passivo non è un vero giornalista. Non essere mai noioso: sii coinvolgente e chiaro, soprattutto quando l’argomento è complicato o diicile. Laurie Penny, invece, è una columnist del settimanale britannico New Statesman, femminista, impegnata politicamente. Ha scritto trenta consigli a un giovane giornalista. Fatti sempre pagare. Racconta le storie che interessano a te. Fai capire chiaramente quali sono le tue convinzioni e i tuoi pregiudizi, mettili sempre in discussione. Impara dai migliori. Scrivi e parla con la tua voce. Costruisci rapporti con altri giornalisti, la collaborazione è più importante della competizione. Racconta le storie di cui nessuno parla. Non leggere i commenti online. Proponi, proponi e continua a proporre. Tieni duro. u Immagini Aiuti dal cielo Charikot, Nepal 30 aprile 2015 Gli abitanti di Charikot, nel nordest del Nepal, guardano gli elicotteri che hanno portato viveri e generi di prima necessità dopo il terremoto di magnitudo 7,8 che ha colpito il paese il 25 aprile. In Nepal sono arrivate squadre di soccorso e aiuti da molti paesi. Terminata la ricerca dei superstiti, adesso gli sforzi sono concentrati sull’assistenza sanitaria. Foto di Daniel Berehulak (The New York Times/Contrasto) Immagini Buco nero Sanaa, Yemen 29 aprile 2015 Un cratere provocato dai bombardamenti aerei sauditi nell’aeroporto della capitale controllata dai ribelli sciiti houthi. Le operazioni militari della coalizione guidata da Riyadh per fermare l’avanzata dei ribelli e dei loro alleati, i militari rimasti fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, sono cominciate il 26 marzo. Il 5 maggio e il 6 maggio i ribelli houthi hanno lanciato colpi di mortaio al conine con l’Arabia Saudita, uccidendo otto persone a Najran. Come rappresaglia la coalizione ha efettuato almeno trenta raid lungo il conine nordoccidentale, causando decine di vittime. Secondo le Nazioni Unite, dall’inizio del conflitto sono morte almeno 1.200 persone. Foto di Hani Mohammed (Ap/Ansa) Immagini Primo maggio turco Ankara, Turchia 1 maggio 2015 Il corteo per il primo maggio ad Ankara. I manifestanti portano ritratti di leader del sessantotto turco. Nella capitale turca la manifestazione si è svolta senza incidenti. A Istanbul, invece, ci sono stati violenti scontri tra la polizia e i dimostranti, scesi in piazza per protestare contro il governo del presidente Recep Tayyip Erdoğan, ritenuto autoritario e repressivo. Negli scontri a piazza Taksim, il luogo simbolo delle proteste dell’estate 2013, ci sono stati almeno 24 feriti. Gli agenti hanno arrestato 140 persone. Foto di Adem Altan (Afp/Getty Images) [email protected] Atlantide russa u Mi ha molto colpito l’articolo “Atlantide russa” (Internazionale 1099). La storia presenta molte analogie con quanto successo all’epoca del fascismo al villaggio walser di Agaro, in provincia di Verbania. Come Mologa, anche Agaro nel 1938 (dopo circa sette secoli di esistenza) fu “sacriicato” per costruire il bacino di alimentazione di un impianto idroelettrico. Fu la ine della storia travagliata del centro abitato più alto dell’Ossola, costruito dai coloni di etnia walser, più volte distrutto dalle valanghe e sempre ricostruito. Secondo i racconti dei vecchi, gli ultimi irriducibili se ne andarono dalle loro case quando l’acqua arrivava ormai al terzo gradino. Anna Mader Il maestro che vorrei u Una volta ero dentro NotreDame a Parigi, mi trovavo nell’abside. Tre giovani insegnanti stavano guidando un gruppo di bambini che potevano avere 6-8 anni. Per raccontare la storia della cattedrale e delle opere che conteneva, li avevano fatti sedere in terra e lì sul posto avevano messo in scena le vicende che raccontavano, come in un piccolo teatro. I bimbi seguivano e non ce n’era uno che si distraesse. Penso che la vera essenza dell’insegnare consista in questo: far nascere e coltivare la curiosità e, parallelamente, far nascere e coltivare il valore del dubbio. Marco Schiattareggia Reportage da Kobane u Vi ringrazio per avermi fatto conoscere Zerocalcare attraverso il reportage su Kobane. Ho appena comprato il suo ultimo libro e sono felicissima! Marta Russo Sala d’attesa u Ho cominciato a portare le copie di Internazionale che avevo già letto nella sala d’attesa dell’ambulatorio in cui lavoro: le persone leggono Internazionale e, se prima erano solo i telefonini a fare da passatempo, ora più d’uno legge, anziani, adulti e ragazzini. Quando la pila di copie si assottiglia (qualcuno chiede di portare via un numero che stava leggendo) ne porto altre. Questo dimostra come, con poco, si possano difondere informazione e buone letture. Valeria Moschese u Nel numero 1100, nel portfolio a pagina 64, la cantante dei dischi di Agathe è Mercedes Sosa, non Sosa Mercedes; nella rubrica di Tullio De Mauro a pagina 96, in ottobre a Bastia Umbra non si terrà il congresso del Movimento di cooperazione educativa, ma il quinto incontro nazionale della Rete di cooperazione educativa. Nel numero 1099, nell’articolo a pagina 56 su Nayipidaw, la capitale birmana, il parco misura 165 acri (circa 67 ettari), non ottomila metri quadri. Errori da segnalare? [email protected] PER CONTATTARE LA REDAZIONE Telefono 06 441 7301 Fax 06 4425 2718 Posta via Volturno 58, 00185 Roma Email [email protected] Cuccioli senza tasto of Immagina la scena: io e la mia famiglia siamo di ritorno da un lungo viaggio, dopo ore di tentativi ho inalmente avuto la meglio sul fuso orario e i miei tre igli si sono addormentati. È mezzanotte passata, mi si chiudono gli occhi dalla stanchezza ma non posso andare a dormire: devo prima scoprire come far stare zitto Furby. Furby – visto che 14 non siete ancora genitori potreste non saperlo – è un peluche elettronico a metà strada tra una civetta e un Gremlin, che interagisce con l’ambiente circostante. Dopo aver cercato invano un tasto of mentre quello strano animale mi sghignazza tra le mani, mi rivolgo a Google: “Come si spegne Furby?”. Il verdetto mi devasta: “Furby non può essere spento”, leggo sul sito del produttore, “ma si può facilmente far addormentare in questi due semplici modi”. No, aspetta un attimo: vuol dire che dopo aver lottato con tre piccoli indemoniati, ora Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 Domenico Starnone Sbalzi beneici Errata corrige Dear Daddy Claudio Rossi Marcelli Siamo in attesa della prima bimba e ci è venuta una pazza idea: se prendessimo anche la nostra prima cagnetta, per farle crescere insieme?–Daniela Parole devo addormentare anche Furby? Ecco, questo è quello che succede con un peluche. Passando al cane: più che una pazza idea la vostra mi sembra un’idea folle. Non potreste aspettare ancora un po’? Non siete ancora esperti di neonati e non siete ancora esperti di cani, e secondo me non è il caso di cominciare le due cose contemporaneamente. Vostra iglia sarà una gioia enorme e anche una fatica enorme, e una cagnolina da addestrare non è dotata di tasto of. [email protected] u Qualche tempo fa un giornalista, alla radio, si è adombrato perché alcuni ascoltatori mandavano sms col testo tutto in maiuscole. Sembra che gridiate, ha detto infastidito, e si è capito che in quella graia VEDEVA la maleducazione di chi in treno sta sempre al cellulare difondendo a voce alta i fatti suoi. Sì, ho scritto VEDEVA, ma giuro che non l’ho fatto per inoculare un urlo nel vocabolo. Volevo solo mettere in rilievo il ruolo dello sguardo nella lettura, desideravo ricordare a me stesso che la silata delle lettere e delle loro combinazioni è una messinscena complicata. Mentre il lettore tiene dietro al corteo dei segni, la parola scritta si aferra come può ai suoni dell’oralità e subito si muovono nel cervello conigurazioni e afetti ed efetti d’ogni tipo. Grosso modo è così che leggiamo. E più abbiamo familiarità con la lettura, più andiamo spediti, da 300 a 900 parole al minuto. Ma attenzione, l’eccesso di familiarità tende a ottunderci. Piano piano le parole non ci fanno più impressione, anzi diventano uno spettacolo abusato quasi come la folla di immagini in tv. Quindi – chissà – gli sbalzi graici potrebbero giovarci. Costringerebbero noi lettori abili a incepparci, a guardare con più attenzione vocaboli come: IngIUsTiziA, sfRutTAmENto, DisuGUAgliaNZa, gUeRRa, paCe, TragIcI faTTi, soFfEReNzA, fAMe, SetE, sterMINIO, tOrTuRa, maFiE, BASTA. Editoriali Contro tutte le condanne a morte “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra ilosoia” William Shakespeare, Amleto Direttore Giovanni De Mauro Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen, Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini Editor Carlo Ciurlo (viaggi, visti dagli altri), Gabriele Crescente (opinioni), Camilla Desideri (America Latina), Simon Dunaway (attualità), Alessandro Lubello (economia), Alessio Marchionna (Stati Uniti), Andrea Pipino (Europa), Francesca Sibani (Africa e Medio Oriente), Junko Terao (Asia e Paciico), Piero Zardo (cultura, caposervizio) Copy editor Giovanna Chioini (web, caposervizio), Anna Franchin, Pierfrancesco Romano (coordinamento, caposervizio), Giulia Zoli Photo editor Giovanna D’Ascenzi (web), Mélissa Jollivet, Maysa Moroni, Rosy Santella (web) Impaginazione Pasquale Cavorsi (caposervizio), Valeria Quadri, Marta Russo Web Giovanni Ansaldo, Annalisa Camilli, Donata Columbro, Francesca Gnetti, Stefania Mascetti (caposervizio), Stella Prudente, Martina Recchiuti (caposervizio), Giuseppe Rizzo Internazionale a Ferrara Luisa Cifolilli, Alberto Emiletti Segreteria Teresa Censini, Monica Paolucci, Angelo Sellitto Correzione di bozze Sara Esposito, Lulli Bertini Traduzioni I traduttori sono indicati dalla sigla alla ine degli articoli. Marina Astrologo, Stefania De Franco, Andrea De Ritis, Giusy Muzzopappa, Floriana Pagano, Dario Prola, Francesca Rossetti, Fabrizio Saulini, Irene Sorrentino, Andrea Sparacino, Bruna Tortorella Disegni Anna Keen. I ritratti dei columnist sono di Scott Menchin Progetto graico Mark Porter Hanno collaborato Gian Paolo Accardo, Luca Bacchini, Francesco Boille, Catherine Cornet, China Files, Sergio Fant, Andrea Ferrario, Anita Joshi, Andrea Pira, Fabio Pusterla, Marc Saghié, Andreana Saint Amour, Francesca Spinelli, Laura Tonon, Pierre Vanrie, Guido Vitiello Editore Internazionale spa Consiglio di amministrazione Brunetto Tini (presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot (vicepresidente), Alessandro Spaventa (amministratore delegato), Antonio Abete, Emanuele Bevilacqua, Giovanni De Mauro, Giovanni Lo Storto Sede legale via Prenestina 685, 00155 Roma Produzione e difusione Francisco Vilalta Amministrazione Tommasa Palumbo, Arianna Castelli, Alessia Salvitti Concessionaria esclusiva per la pubblicità Agenzia del marketing editoriale Tel. 06 6953 9313, 06 6953 9312 [email protected] Subconcessionaria Download Pubblicità srl Stampa Elcograf spa, via Mondadori 15, 37131 Verona Distribuzione Press Di, Segrate (Mi) Copyright Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione-Non commercialeCondividi allo stesso modo 3.0. 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Info: [email protected] Registrazione tribunale di Roma n. 433 del 4 ottobre 1993 Direttore responsabile Giovanni De Mauro Chiuso in redazione alle 20 di mercoledì 6 maggio 2015 PER ABBONARSI E PER INFORMAZIONI SUL PROPRIO ABBONAMENTO Numero verde 800 156 595 (lun-ven 9.00-19.00), dall’estero +39 041 509 9049 Fax 030 777 23 87 Email [email protected] Online internazionale.it/abbonati LO SHOP DI INTERNAZIONALE Numero verde 800 321 717 (lun-ven 9.00-18.00) Online shop.internazionale.it Fax 06 442 52718 Imbustato in Mater-Bi The Guardian, Regno Unito Abbiamo sentito molto parlare di Andrew Chan e Myuran Sukumaran, i due cittadini australiani condannati per traico di stupefacenti in Indonesia; del loro pentimento negli anni trascorsi in carcere e della loro fucilazione avvenuta il 29 aprile nonostante le proteste internazionali. Alcuni potrebbero trovare irritante quella che può sembrare un’indignazione selettiva dell’occidente. Solo pochi sanno il nome degli indonesiani, brasiliani e nigeriani che sono stati uccisi insieme ai due australiani e ancora meno conoscono l’identità delle 607 vittime di esecuzioni capitali registrate nel 2014 in tutto il mondo da Amnesty international. Probabilmente i numeri reali sono molto più alti. Secondo Amnesty, la Cina ha eseguito più condanne a morte di tutto il resto del mondo messo insieme, ma tratta questi dati come segreti di stato. Jakarta è anche colpevole di applicare un doppio standard. Mentre il presidente Joko Widodo insiste sulla necessità di afrontare con la massima durezza “l’emergenza nazionale” della droga, il governo indonesiano chiede clemenza per i suoi cittadini rinchiusi nel braccio della morte all’estero. Nel mondo la pena di morte è in declino. Nel 1977 solo sedici stati o territori l’avevano abolita nei codici o nella pratica. Ma lo scorso marzo le isole Fiji sono state il 99° paese ad abolirla per tutti i reati. Altri sei stati la riservano solo a casi eccezionali e 35 non la applicano da almeno dieci anni. All’assemblea generale delle Nazioni Unite c’è un sostegno crescente all’ipotesi di una moratoria internazionale. Tuttavia la Cina, l’Iran, l’Arabia Saudita, l’Iraq e gli Stati Uniti continuano a imporre la condanna a morte a un numero consistente di detenuti. L’Indonesia è tra i diversi paesi che hanno ripreso le esecuzioni capitali dopo una moratoria di fatto. A quanto pare, Widodo segue una logica politica e nazionale. Un presidente debole, in guerra perino con alcune fazioni del suo partito, cerca di migliorare la sua immagine all’interno del paese riiutandosi di cedere alle pressioni internazionali. È probabile, quindi, che assisteremo ad altre esecuzioni capitali. Ma prendersela solo con Jakarta potrebbe rivelarsi controproducente. Il punto non è che gli stati dovrebbero risparmiare chi si è pentito o i cittadini stranieri, e neanche che dovrebbero evitare metodi come la fucilazione, la lapidazione e l’iniezione di farmaci non sperimentati. Come ha dichiarato il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, il punto è che togliere la vita a chiunque è ingiusto e incompatibile con i diritti fondamentali dell’essere umano. Chi critica l’Indonesia oggi dovrebbe fare pressione anche su stati potenti come gli Stati Uniti, la Cina e il Giappone ainché risparmino la vita ai loro connazionali. Il primo ministro australiano Tony Abbott ha deinito l’uccisione di Chan e Sukumaran “crudele e inutile”. Lo stesso si può e si deve dire di tutte le esecuzioni capitali. u fp La commedia dei Le Pen Laurent Jofrin, Libération, Francia Gli Atridi? Re Lear? Non saprei. La zufa tragicomica che dilania i Le Pen rallegrerà di sicuro i loro avversari. Certo, questo vaudeville shakespeariano in cui si mescolano rancori covati a lungo e bufonate scioviniste solleva dei dubbi sulla capacità di entrambi i suoi protagonisti di riuscire un giorno a governare. Magari l’accantonamento del vecchio capo, Jean-Marie, che riesce a nuocere ancora molto, potrebbe scoraggiare qualche elettore del Front national (Fn). Ma si commetterebbe un grosso errore se si puntasse su questo episodio per smettere di considerare un pericolo l’Fn. Al contrario. Marine Le Pen sa quel che fa: rompendo in modo così teatrale con il padre ha accentuato la svolta strategica avviata già diversi anni fa. Come fate a dipingermi come il diavolo, dirà, quando io stessa ho tagliato i ponti con il diavolo? E dato che questa separazione è pubblica, spettacolare e melodrammatica, gran parte dell’opinione pubblica le crederà. Di cosa si tratta in realtà? L’Fn ha attenuato il suo antisemitismo solo perché ha cambiato capro espiatorio. Non sono più gli ebrei ad alimentarne l’ostilità, ma gli arabi o, più precisamente, i musulmani. La messa al bando del fondatore è un gesto forte, ma il programma dell’Fn è lo stesso, cioè imputare le diicoltà del paese a una minoranza da escludere e spingere per una rottura con l’Europa, che isolerebbe la Francia e la sua economia. Le tragicommedie possono far ridere. Ma non bisogna prenderle per oro colato. u gim Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 17 Europa Andrzej Duda con la moglie a Varsavia, il 7 febbraio 2015 no ai candidati alla presidenza di restituirgli la capacità di essere soggetti politici. Che non possa essere Komorowski a farlo è evidente: lui e il suo partito oggi sono i principali beneiciari di questo sistema. Per loro l’emigrazione non è un problema, ma una specie di valvola di sfogo che serve a prevenire la rivolta sociale. Stupisce, invece, che queste esigenze non siano state sottolineate neanche da Duda, che dovrebbe essere più sensibile alla necessità di guarire il paese restituendo ai cittadini la loro libertà. ALIK KePLICz (AP/AnSA) Referendum e maggioritario Le presidenziali in Polonia nel segno della continuità Mariusz Staniszewski, Wprost, Polonia Il 10 maggio i polacchi sceglieranno il nuovo presidente. Ma né Bronisław Komorowski né Andrzej Duda, i due candidati favoriti, daranno al paese il cambiamento di cui ha bisogno essuno dei due candidati favoriti alle elezioni presidenziali, il cui primo turno si terrà il 10 maggio, ha presentato ai polacche una diagnosi dei problemi del paese o una possibile soluzione. Paradossalmente una igura migliore l’hanno fatta i candidati che non hanno nessuna possibilità di arrivare al ballottaggio. Bronisław Komorowski, presidente uscente e in testa ai sondaggi, ha cercato di convincere gli elettori che la Polonia è un paese vincente e che lui è il garante di questa nuova età dell’oro. Gli ha fatto credere che chi chiede cambiamenti è un pericoloso radicale. Secondo Komorowski, che si presenta come candidato indipendente ma è sostenuto dal partito di governo Piattaforma civica, solo la continuità permetterà al paese di conservare il benessere acquisito negli ultimi venticinque anni. N 18 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 Il suo principale avversario, Andrzej Duda, del partito conservatore Diritto e giustizia, ha descritto in modo abbastanza corretto i problemi dello stato polacco – come la tendenza all’oligarchia, l’indifferenza verso l’opinione pubblica e il continuo peggioramento dei servizi pubblici – ma non ha presentato nessun programma costruttivo. La campagna elettorale ha anche mostrato che né Komorowski né Duda sono in grado di alzare il livello del dibattito politico. Il confronto non può ridursi alle liti sulle responsabilità nella strage di Smolensk del 2010 o alla ridicolizzazione dell’avversario per i suoi lapsus linguistici. I candidati principali alla presidenza sembrano non capire che, a venticinque anni dalla caduta del comunismo, i polacchi percepiscono le continue intrusioni dello stato nella loro vita, per esempio con l’imposizione di un certo modello educativo, come minacce alla libertà dei cittadini. I polacchi si sentono sempre più stranieri nel loro paese perché il governo che hanno scelto si sta trasformando in un centro di potere che colonizza il resto della società. Lo stato che dovrebbe servire la nazione diventa così un tiranno egemone. In questa situazione, i cittadini chiedo- Di richieste simili, comunque, in campagna elettorale si è parlato. A farlo sono stati soprattutto i cosiddetti candidati dell’antipolitica, che hanno saputo cavalcare l’ondata di protesta che montava nella società. Anche se al primo turno non avranno più del 15 per cento dei voti, al ballottaggio potrebbero essere proprio loro a decidere chi sarà il prossimo presidente polacco. Tra questi c’è il cantante e attore Paweł Kukiz, la cui campagna elettorale, dalla raccolta delle irme ino all’aissione dei manifesti e all’organizzazione degli incontri, è organizzata da volontari. Kukiz ha mobilitato migliaia di persone con parole d’ordine molto semplici: lotta alla partitocrazia e introduzione dei collegi uninominali, grazie ai quali, secondo Kukiz, i politici potranno essere giudicati singolarmente per il loro operato. Il ballottaggio sarà deciso anche dagli elettori di Janusz Korwin-Mikke. Tra le proposte del candidato di destra le più importanti riguardano i limiti all’ingerenza dello stato nella vita dei cittadini, la riduzione delle tasse e lo snellimento della burocrazia. Su questi temi Komorowski non ha molto da ofrire, mentre Duda ha già cominciato a corteggiare gli elettori di Korwin-Mikke, promettendo tagli alle tasse sui redditi bassi. Ma potrebbe non bastare. Di fronte all’incapacità della classe dirigente di capire i problemi della gente, per inluenzare il processo decisionale da qualche tempo i cittadini hanno scelto la strada dei referendum, ma inora non sono stati ascoltati. Per questo Paweł Tanajno, del piccolo partito Democrazia diretta, ha raccolto le irme necessarie e si è candidato. Il suo obiettivo è spingere il governo a convocare votazioni referendarie su tutti i temi più importanti. Anche questo è un modo per ricondurre i politici al ruolo che la democrazia gli ha assegnato. Il primo dei candidati che lo capirà, avrà tutti i numeri per vincere. u dp Moldova GERMANIA Uno scandalo per Merkel TOM GAnDOLfInI (AfP/GeTTy IMAGeS) In cerca del miliardo “Il Bundesnachrichtendienst (Bnd), i servizi segreti tedeschi, ha aiutato la national security agency (nsa) statunitense a spiare degli obiettivi in Germania e nel resto d’europa”, scrive Der Spiegel. “e nonostante le segnalazioni ricevute negli anni scorsi, il governo di Berlino non ha fatto niente per impedirlo”. Queste operazioni hanno preso di mira alcune grandi compagnie, tra cui l’azienda costruttrice di aeromobili Airbus, ma anche leader politici e istituzioni europee. “La cancelliera Angela Merkel, che è tenuta a coordinare e controllare i servizi, ha chiaramente fallito in questo compito”, osserva il settimanale. “Il nuovo scandalo sulla collaborazione tra Bnd e nsa è anche un suo scandalo”. Chişinău, 3 maggio 2015 SPAGNA UCRAINA La tregua non tiene Dopo un periodo di relativa calma in Ucraina si torna a morire. I colpi di artiglieria sul centro di Donetsk hanno ucciso due persone nella notte tra il 2 e il 3 maggio. Il 5 maggio quattro soldati ucraini sono morti per lo scoppio di una mina ad Avdiïvka e altri due in un’imboscata a horlivka. Il sito Polit.ru scrive che “la tensione rimane molto alta” e riferisce che la diplomazia internazionale sta valutando la possibilità di creare una zona smilitarizzata sotto il controllo dell’Osce a est di Mariupol, dove si combatte ancora. Decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Chişinău il 3 maggio per protestare contro la corruzione e per ottenere chiarimenti sulla sparizione di un miliardo di dollari dalle casse di alcune banche del paese. All’inizio di aprile, infatti, la Banca centrale moldava ha scoperto che tre importanti istituti bancari avevano concesso prestiti per circa un miliardo di dollari, cioè il 15 per cento del pil del paese, a destinatari non identiicati. Di quei soldi si sono perse le tracce: secondo alcune fonti potrebbero essere initi in banche russe. Come scrive il Jurnal de Chişinău, la Piattaforma civica per la dignità e la verità, che ha organizzato il corteo, ha dato al governo due settimane di tempo per recuperare il denaro, annunciando una nuova mobilitazione per il 16 maggio. Il premier Chiril Gaburici ha risposto che “è nell’interesse dell’esecutivo risolvere la crisi del sistema bancario”. Il 5 maggio, intanto, è stato reso pubblico il rapporto che aveva sollevato lo scandalo, realizzato dalla società di veriiche inanziarie statunitense Kroll, e il giorno dopo è stato arrestato uno dei più ricchi imprenditori del paese, Ilan Shor. u FRANCIA La rete sotto controllo L’assemblea nazionale ha approvato il 5 maggio la discussa riforma dell’intelligence, elaborata sull’onda degli attentati di Parigi di inizio gennaio. Uno dei punti più contestati della legge prevede l’uso di strumenti automatici per il controllo dei metadati (destinatari e origine dei messaggi, siti web, durata delle comunicazioni o della connessione) di attività online ritenute sospette. Queste “scatole nere” funzioneranno in base a un algoritmo capace di individuare i proili di persone potenzialmente legate al terrorismo. Secondo Slate la legge, che a giugno dovrà passare al vaglio del senato e ha già ricevuto molte critiche, è “il risultato di un incrocio tra Minority report e il Grande fratello di 1984”. ROBeRT PRATTA (ReUTeRS/COnTRASTO) A tre settimane dalle amministrative del 24 maggio, Podemos ha ricevuto un duro colpo: le dimissioni di Juan Carlos Monedero (nella foto), tra i fondatori e gli ideologi del partito. “Con la sua rottura, che è stata pubblica e violenta, Monedero vuole apparire agli elettori di Podemos come estraneo a ogni tentativo di avvicinarsi al potere. Le sue dimissioni, inoltre, danneggiano il leader del partito, Pablo Iglesias, ritratto come un opportunista pronto a tutto per arrivare al governo”, scrive El País. L’addio di Monedero, tuttavia, non ha mutato i piani del partito che in campagna elettorale non ha cambiato strategia. JAnA ní BhéDeAInn Tensioni dentro Podemos IN BREVE Francia Il 4 maggio il fondatore del front national, Jean-Marie Le Pen, è stato sospeso dal partito, guidato dalla iglia Marine, dopo alcune afermazioni sulla shoah e l’immigrazione. (Nella foto Marine e Jean Marie Le Pen) Albania Il 30 aprile il parlamento ha approvato una legge che permette di aprire gli archivi della polizia segreta comunista (Sigurimi). Chi vorrà potrà consultare il proprio dossier. Turchia Un tribunale di Istanbul ha assolto il 29 aprile gli organizzatori delle proteste del 2013 contro il governo guidato da Recep Tayyip erdoğan. Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 19 Africa e Medio Oriente FAISAL AL NASSEr (rEUTErS/CONTrASTO) Riyadh, 23 gennaio 2015. Mohammed bin Nayef al funerale del re Abdullah Cambiamenti ai vertici del regno saudita Suo padre, il defunto principe ereditario Nayef, era così reazionario da essere soprannominato “il principe nero”. Il iglio è diverso? Mohammed bin Nayef ha studiato in Oregon ed è stato addestrato dall’Fbi e da Scotland Yard prima di entrare al ministero dell’interno. Presiede il comitato politico e di sicurezza del regno. Gli attivisti per i diritti umani criticano il suo ruolo di poliziotto del regno, ma gli esperti di sicurezza lodano i risultati ottenuti nel campo dell’antiterrorismo. E il giovane ed energico Mohammed bin Salman, il volto della guerra nello Yemen? Oggi è il protagonista di canzoni popolari che ne esaltano le capacità di comando. A gennaio è diventato ministro della difesa e da allora è apparso spesso in tv, mentre sosteneva lo sforzo bellico o incontrava i leader stranieri per convincerli ad appoggiare la campagna contro i ribelli houthi iloiraniani. Ma Mohammed bin Salman è considerato soprattutto un uomo ambizioso, molto vicino al padre. La posta in gioco Bruce Riedel, Al Monitor, Stati Uniti Il 29 aprile re Salman ha nominato principe ereditario il nipote Mohammed bin Nayef e ha promosso uno dei suoi igli al terzo posto nella linea di successione al trono a decisione improvvisa di re Salman bin Abdulaziz al Saud di modiicare la linea di successione al trono a favore del iglio ha fatto nascere molti interrogativi su cosa succederà all’interno della famiglia reale saudita. Questi cambiamenti avvengono in un momento in cui il re sta portando avanti una politica estera molto aggressiva. Il 29 aprile Salman ha deposto il principe ereditario, il fratellastro Muqrin, e ha nominato al suo posto suo nipote Mohammed bin Nayef, che era terzo in linea di successione. Ha poi fatto avanzare in questa posizione suo figlio Mohammed bin Salman. Il re ha inoltre sostituito il ministro degli esteri, il principe Saud al Faisal, con Adel al Jubeir, l’attuale ambasciatore a Washington, che non fa parte della famiglia reale. Negli Stati Uniti Jubeir ha forte- L 20 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 mente sostenuto l’intervento saudita nello Yemen. Quello che è successo a Muqrin è un punto chiave. Figlio di una schiava yemenita, è stato sempre considerato la pecora nera della famiglia, ma nessuno ha mai messo in discussione le sue competenze. Secondo quanto dichiarato dalla casa reale, Muqrin avrebbe chiesto di essere sostituito senza dare spiegazioni. Dal 1902 nessun principe ereditario aveva mai rinunciato alla posizione. Si stanno facendo varie ipotesi su quest’allontanamento. Muqrin era un pupillo del defunto re Abdullah, ma non è vicino al ramo Sudairi della famiglia reale (a cui appartiene Salman), formato dai figli di Hassa bint Ahmad al Sudairi, la moglie preferita del fondatore del regno. Il nuovo principe ereditario Mohammed bin Nayef, 55 anni, è conosciuto soprattutto per aver impedito ad Al Qaeda di rovesciare la casa dei Saud una decina di anni fa. Per quattro anni ha guidato una campagna antiterrorismo che ha decimato i ranghi dell’organizzazione terroristica nel regno e ha costretto i superstiti a rifugiarsi nello Yemen. Nel suo duello a distanza con Osama bin Laden, Mohammed bin Nayef è sopravvissuto ad almeno quattro attentati. Queste nomine rappresentano dei grandi cambiamenti negli equilibri di potere tra le diverse generazioni, in una società che dà molta importanza all’età e all’esperienza. Promuovendo il nipote e il iglio, re Salman sta passando il testimone alle successive due generazioni di reali. Nel frattempo nel regno sono state arrestate molte persone per presunti legami con il gruppo Stato islamico, comprese alcune che sembra stessero progettando un attacco all’ambasciata statunitense. I sauditi dubitano che Washington abbia per l’Iraq una soluzione praticabile in grado di evitare che Teheran resti la potenza dominante nella regione. E sono convinti che gli Stati Uniti non abbiano una vera strategia in Siria. Inine si preoccupano della guerra che stanno combattendo nello Yemen. In passato i sauditi non avevano mai forzato il cambiamento politico in un altro paese servendosi dell’esercito. La guerra nello Yemen è in parte espressione della rivalità regionale tra sauditi e iraniani, in parte uno strascico della primavera araba e in parte frutto del conlitto tra sunniti e sciiti. Ma ora è soprattutto la guerra di Salman e del iglio. E la posta in gioco del conlitto è fondamentale non solo per il futuro dello Yemen, ma anche per quello della casa dei Saud. I falchi devono ottenere risultati concreti o perderanno credibilità. u gim Africa e Medio Oriente diploma superiore e il 17 per cento una laurea, non è diicile capire come frustrazione e pessimismo siano sentimenti dominanti tra gli intervistati. Questo spiega inoltre perché molti giovani si sentono attratti dalla propaganda del gruppo Stato islamico, che vuole rovesciare i governi arabi e creare un califato come all’epoca di Maometto. Tuttavia alla domanda “qual è il principale problema del mondo arabo?”, il 37 per cento ha risposto l’espansione del gruppo Stato islamico e il 32 per cento la minaccia del terrorismo. Il problema della disoccupazione è stato indicato dal 29 per cento degli intervistati, e il conlitto tra israeliani e palestinesi dal 23 per cento . La minaccia rappresentata dal programma nucleare iraniano è stata indicata solo dall’8 per cento degli intervistati (smentendo quanto dichiarano i governi arabi), mentre il 17 per cento ritiene che il vero problema sia la mancanza di leader politici e solo il 15 per cento denuncia l’assenza di democrazia. Le interviste non sono state estese all’Iran, paese non arabo ma musulmano. BELAL DArDEr (AP/ANSA) Sostenitori dei Fratelli musulmani al Cairo, in Egitto, il 25 aprile 2015 I giovani arabi delusi dalla democrazia Conlitto interno Roberto Savio, Bitácora, Uruguay Dopo le rivolte del 2011 i ragazzi arabi credevano nel futuro. Ma un recente sondaggio ha rivelato che oggi non è più così, perché temono l’espansione del gruppo Stato islamico al 20 gennaio al 12 febbraio del 2015 l’istituto Penn Schoen Berland ha condotto un sondaggio in tutti i paesi arabi (tranne la Siria) intervistando 3.500 giovani tra i 18 e i 24 anni sulla situazione in Medio Oriente e in Nordafrica. I risultati non riguardano una minoranza marginale, se consideriamo che il 60 per cento della popolazione araba (circa 200 milioni di persone) ha meno di 25 anni. Dallo studio è emerso che la grande maggioranza dei giovani arabi non ha iducia nella democrazia. Dopo le rivolte della primavera araba nel 2011, il 72 per cento dei giovani credeva che nella regione ci fossero stati dei progressi. Nel 2013 la percentuale è scesa al 70 per cento, nel 2014 al 54 per cento e oggi è crollata al 38 per cento. Il 39 per cento dei giovani arabi è d’accordo con l’afermazio- D 22 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 ne secondo cui “la democrazia non funzionerà mai nella regione”, il 36 per cento degli intervistati pensa che potrebbe funzionare, mentre il restante 25 per cento ha molti dubbi. Le speranze suscitate dalla primavera araba sono state tradite dal ritorno al potere dell’esercito, come in Egitto, o dal cieco attaccamento al potere della vecchia classe dirigente, come nel caso della Siria di Bashar al Assad. Se a questo si aggiunge che il 41 per cento dei giovani arabi non ha un lavoro, e che di questi il 31 per cento ha un Da sapere L’opinione dei giovani arabi Qual è il principale problema del mondo arabo? Percentuale di risposte Gruppo Stato islamico 37 Terrorismo 32 Disoccupazione 29 Conlitto tra Israele e Palestina 23 Mancanza di leadership forte 17 Assenza di democrazia 15 Nucleare iraniano 8 Fonte: El País Nell’islam sunnita è in corso un conlitto: il wahabismo, una corrente rigorista sunnita nata in Arabia Saudita (e che oggi è la religione ufficiale della casa regnante dei Saud), si è diviso tra chi predica il ritorno alla purezza dei primi tempi e quelli che vengono considerati dei “petrowahabiti”, cioè dei corrotti dalla ricchezza generata dal petrolio. L’Arabia Saudita ha speso in media 3 miliardi di dollari all’anno per promuovere il wahabismo. Ha costruito in tutto il mondo più di 1.500 moschee, dove predicatori radicali chiedono ai fedeli di tornare all’islam delle origini. Lo studio rivela che anche per i giovani sunniti il gruppo Stato islamico e il terrorismo sono le minacce più gravi. Considerato che il sondaggio dovrebbe rappresentare 200 milioni di persone tra i 18 e i 25 anni, se solo l’1 per cento di loro cedesse alla chiamata del jihad, si tratterebbe comunque di un potenziale di due milioni di persone, e questo suscita forti preoccupazioni. La divisione nell’islam sunnita è considerata il problema più importante per il futuro del Medio Oriente. Per l’Europa e per gli Stati Uniti questa dovrebbe essere la prova più evidente del fatto che il gruppo Stato islamico e il terrorismo sono prima di tutto un problema interno all’islam e che intervenire servirà solo a unire gli arabi contro l’invasore. u gim Israele AfoLABI SoTuNDE (REuTERS/CoNTRASTo) Yola, 2 maggio 2015 CONGO Vietato il velo integrale La rivolta degli etiopi Tel Aviv, 3 maggio 2015 Ostaggi liberati Il 3 maggio il governo nigeriano ha annunciato di aver trasferito in un campo profughi a yola, nello stato di Adamawa, 275 dei circa 700 ostaggi di Boko haram liberati dall’esercito tra il 28 e il 30 maggio nella foresta di Sambisa. Tra gli ostaggi liberati – donne e bambini – non ci sono le 219 studentesse rapite a Chibok il 14 aprile 2014, scrive il giornale nigeriano The Punch. Intanto, l’esercito è stato accusato di aver ucciso decine di civili nello stato di plateau dopo un attacco in cui erano morti sei soldati. JACk GuEZ (Afp/GETTy IMAGES) NIGERIA Il 2 maggio il governo di Brazzaville ha vietato ai musulmani di indossare il velo integrale nei luoghi pubblici “per prevenire gli attentati”. La decisione è stata accolta positivamente dalle associazioni islamiche locali. finora il paese è stato risparmiato dalle violenze jihadiste che hanno interessato il vicino Camerun, scrive Jeune Afrique. IN BREVE Il 3 maggio migliaia di israeliani di origine etiope sono scesi in piazza a Tel Aviv per protestare contro il “razzismo della polizia”. Almeno 23 poliziotti e sette manifestanti sono rimasti feriti. Le proteste sono scoppiate dopo la pubblicazione di un video che mostra due poliziotti mentre picchiano un soldato di origine etiope. Il 4 maggio il primo ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato una serie di misure per favorire l’integrazione. “Il problema è che i circa 130mila etiopi israeliani sono trascurati da decenni”, scrive Ha’aretz. “Il 52 per cento delle famiglie vive al di sotto della soglia di povertà”. u Burundi Il 5 maggio la corte costituzionale ha autorizzato la candidatura a un terzo mandato del presidente pierre Nkurunziza. Il giorno prima quattro persone erano state uccise dalla polizia durante una manifestazione di protesta contro Nkurunziza a Bujumbura. Mali Nove soldati e dieci ribelli sono morti il 29 aprile nei combattimenti a Léré (centro). Rep. Centrafricana Il 5 maggio otto gruppi armati si sono impegnati a Bangui a liberare migliaia di bambini soldato. YEMEN Arrivano i senegalesi Il 5 maggio il governo senegalese ha annunciato l’invio di 2.100 soldati “per aiutare l’Arabia Saudita a proteggere i suoi conini”, minacciati dai ribelli houthi nello yemen. Di recente il Senegal aveva ottenuto degli aiuti inanziari da Riyadh. Intanto, a più di un mese dall’inizio della guerra in yemen, la situazione è in una fase di stallo, scrive il quotidiano Al Akhbar. I ribelli appoggiati dall’Iran continuano a controllare Aden e il sud del paese. Quindi, malgrado la fragile tregua in corso, gli attacchi della coalizione guidata dall’Arabia Saudita potrebbero riprendere presto, magari con un’operazione di terra, conclude il quotidiano. Da Dunedin Amira Hass Un amore che sboccia Stavo assistendo all’inizio di un amore? Sabato ho fatto una passeggiata in campagna insieme a due israeliani che ho incontrato a Dunedin, nel sud della Nuova Zelanda (o Aotearoa, come i maori chiamano il paese). Domenica ho ripetuto l’esperienza con quattro giovani palestinesi. Ho conosciuto tutti e sei dopo il mio intervento a una conferenza in città. I due israeliani hanno lasciato Israele perché non sopportavano che fosse diventato una potenza occupante. Tre palestinesi su quattro sono nati all’estero ma hanno mantenuto l’accento e l’umorismo della loro terra. La quarta è un’araba israeliana nata ad Haifa da una famiglia il cui villaggio è stato distrutto dall’esercito israeliano nel 1948. Nei pochi mesi trascorsi a Dunedin per scrivere la tesi di dottorato, la ragazza è diventata il punto di riferimento della piccola comunità palestinese. Ha conquistato tutti quelli che la circondano con la sua voce ruvida e il suo sorriso. Durante la passeggiata mi sono accorta che uno dei ragazzi è innamorato di lei. Ho immaginato che il suo animo generoso potesse fare breccia nel cuore della ragazza, e la mia mente ha cominciato a vagare nel futuro. La Nuova Zelanda, per lei, è un posto troppo tranquillo. Ha bisogno delle vibrazioni del nostro paese. Lui potrebbe seguirla in Israele. Ma dovrebbe afrontare delle diicoltà enormi. Ci vorrebbero anni per ottenere la residenza. E se chiedesse di essere naturalizzato dovrebbe rinunciare alla prima nazionalità. Meglio non pensarci. u as Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 23 Asia e Paciico anni. Il risultato di questa situazione è apparso evidente durante la crisi di queste settimane. I rappresentanti nazionali stanno cercando di accumulare capitale politico anziché compattarsi nell’emergenza. I leader che di solito non perdono occasione per partecipare ai raduni e pronunciare lunghi discorsi si sono dileguati dopo il terremoto. L’assenza di consigli municipali, distrettuali e di villaggio si è fatta sentire molto. I leader locali non hanno alcun incentivo e non temono il giudizio dei cittadini. una traccia residua di responsabilità è ancora presente nei comitati per lo sviluppo dei villaggi nati con le elezioni del 1997 e in altre comunità dove c’è una tradizione di impegno collettivo e dove esistono servizi di emergenza. Ma a livello nazionale e distrettuale ci sono stati gravi ritardi nelle operazioni di soccorso. Il terremoto in Nepal e le macerie della politica Poteva andare peggio OLIvIA HArrIS (rEutErS/CONtrAStO) Un campo per sfollati a Kathmandu, 5 maggio 2015 Nepali Times, Nepal Di fronte al disastro che ha colpito il paese, i politici sono rimasti in silenzio invece di fare fronte comune. E gli amministratori locali hanno evitato ogni responsabilità opo una tragedia di simili proporzioni è diicile immaginare che il Nepal possa tornare alla normalità. Eppure con il tempo la normalità torna sempre. I disastri naturali di questo tipo hanno un efetto catartico, scuotono la società così a fondo da contribuire perino a risolvere problemi che prima sembravano senza soluzione. La guerra civile in Sri Lanka e il conlitto separatista di Aceh in Indonesia, per esempio, hanno perso vigore dopo lo tsunami del 2004. Oggi possiamo sperare che questa crisi insegni qualcosa a chi governa il Nepal. I terremoti sono chiamati “disastri naturali”, ma la devastazione e le morti provocate da un sisma in parte sono colpa di azioni umane. Case costruite male, insediamenti su terreni franosi, operazioni di soccorso male organizzate: tutto questo uccide, e la causa princi- D 24 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 pale di queste negligenze è la politica, un eccesso di politica o una sua carenza. Nel primo caso gli eletti passano il tempo a lottare per il potere e il denaro, senza occuparsi delle opere a lungo termine di cui le comunità hanno bisogno. Se invece la politica manca, i funzionari non si assumono le loro responsabilità. In questo momento il Nepal sofre di entrambi i mali: troppa politica a livello nazionale e troppo poca alla base, dato che non si tengono elezioni locali da 18 Da sapere ultime notizie u Dieci giorni dopo il sisma di magnitudo 7,8 che ha colpito il Nepal il 25 aprile, il governo ha chiesto alle squadre di soccorso straniere di andarsene, dato che non c’è più speranza di trovare superstiti. I morti sono stati più di 7.500. Nelle aree colpite dal sisma resterà il personale sanitario perché ora cresce il pericolo delle epidemie. u Il villaggio di Langtang, meta per il trekking a nord di Kathmandu, è stato cancellato da una frana: 178 abitanti del posto sono morti e i turisti rimasti sepolti potrebbero essere 150. La stagione alpinistica sull’Everest, importante fonte di guadagno per il paese, sarà interrotta per il secondo anno consecutivo. Bbc Questo terremoto non è stato “imprevisto”, tutti sapevano che sarebbe arrivato. Imprevisto è il fatto che non si sia trattato del mostro di magnitudo 8,5 sulla scala richter che avrebbe potuto uccidere 100mila persone solo nella capitale. Per quanto siano tragiche le conseguenze del sisma nella valle di Kathmandu, poteva andare molto peggio. I telefoni hanno funzionato per gran parte del tempo, la corrente elettrica è tornata nel giro di tre giorni, gli ospedali sono rimasti in piedi e l’85 per cento degli ediici residenziali ha resistito alle scosse. Le autostrade intorno alla capitale erano aperte e l’aeroporto non è stato danneggiato. Ma la prossima volta potremmo non essere così fortunati. Stando alle prime analisi dei sismologi, gran parte della tensione tettonica nel Nepal centrale è stata rilasciata, rinviando la prospettiva di un megaterremoto. Ma nella zona a ovest dell’epicentro le probabilità di un evento devastante sono ancora più alte. Il Nepal è uno dei paesi montuosi più densamente popolati del mondo, e non abbiamo alternativa se non prepararci. Nei 12 distretti più colpiti perino l’apparato statale più preparato avrebbe avuto grandi diicoltà a gestire la situazione. D’ora in poi l’importante sarà far arrivare gli aiuti, tende, cibo e medicine. Il problema non sono i materiali, che stanno arrivando da tutto il mondo, ma la logistica. Far arrivare gli aiuti a chi ne ha bisogno è compito nostro. Ma per farlo bene, e per coordinare le operazioni come si deve, dobbiamo prima aggiustare la politica. u as Asia e Paciico Il lato oscuro di Joko Widodo D. Pilling e B. Bland, Financial Times, Regno Unito Da gennaio in Indonesia sono state eseguite 14 condanne a morte per traico di droga. Il presidente ha respinto gli appelli alla clemenza. È una prova di forza di un leader in diicoltà entre in patria è considerato un riformatore dal sorriso accattivante che sa parlare alla gente comune, all’estero Joko Widodo si sta guadagnando la fama di carneice. Il presidente indonesiano, che a luglio aveva riacceso le speranze del paese con la sua elezione, non ha ceduto alle pressioni per fermare l’esecuzione di alcune condanne a morte per traico di droga. Il 29 aprile due australiani, un brasiliano, un ghaneano, tre nigeriani e un indonesiano sono stati portati in un campo su un’isola al largo di Java e fucilati. Il primo ministro australiano Tony Abbott ha richiamato il suo ambasciatore a Jakarta e ha deinito le esecuzioni “crudeli e inutili”. Widodo, 53 anni, è stato irremovibile e ha dichiarato che gli stranieri non dovrebbero interferire con le decisioni dei tribu- M nali indonesiani. “Abbiamo un’emergenza droga”, ha detto di recente presentando dei dati, contestati da alcuni, secondo cui nel paese ci sarebbero 4 milioni di tossicodipendenti su 250 milioni di abitanti. “non avremo nessuna pietà per i traicanti”, ha aggiunto. Le esecuzioni del 29 aprile non sono state le prime da quando Widodo è presidente. A gennaio sono stati fucilati per lo stesso motivo cinque stranieri e un indonesiano. E nel braccio della morte ci sono altre decine di condannati. La spietata determinazione del presidente è stata ben accolta dalla maggioranza musulmana del paese, che nutre poca simpatia per i traicanti di droga e ancora meno per i governi stranieri che sembrano chiedere trattamenti di favore. ma per Widodo questa improvvisa conversione alla pena di morte – un tema mai afrontato durante la campagna elettorale – indica più disperazione che forza. “Forse”, dice Jonathan pincus, presidente dell’istituto di ricerca rajawali foundation, “sta tentando di rimediare alla recente polemica suscitata da una nomina che, agli occhi di molti indonesiani, ha ofuscato la sua fama di riformista”. La sua dimostrazione d’intransigenza è lontana dall’atteggiamento bonario che gli ha procurato le simpatie di tanti cittadini portandolo, contro ogni previsione, a vincere le elezioni. Widodo è il primo presidente dall’indipendenza che non appartiene all’élite politica o militare, e molti speravano che potesse estirpare la corruzione, rendere più eiciente la burocrazia e avviare le riforme economiche. per molti indonesiani, Widodo è “uno di loro” e la sua ascesa è la prova dei progressi fatti dal paese dopo l’uscita dalla dittatura alla ine degli anni novanta. ma perino alcuni dei suoi più strenui sostenitori ammettono che oggi è in diicoltà. I guai sono cominciati a gennaio, quando ha nominato budi Gunawan capo della polizia. molti l’hanno vista come una concessione a megawati sukarnoputri, ex presidente e leader del partito democratico indonesiano di lotta, al quale Widodo appartiene. Gunawan è considerato un politico vecchio stile, non il tecnocrate onesto che Widodo aveva promesso. Quest’impressione si è raforzata quando la commissione anticorruzione ha avviato un’indagine su di lui. Un altro tribunale, però, ha fatto archiviare le indagini a carico di Gunawan, che poi è stato nominato vicecapo della polizia. molte delle nomine fatte da Widodo portano l’impronta di sukarnoputri, la iglia del primo presidente indonesiano sukarno. E come se non bastasse, in aprile sukarnoputri ha lanciato un attacco contro Widodo, contribuendo a minare la sua popolarità. A febbraio il consenso del presidente era sceso al 42 per cento, dal 72 per cento dello scorso agosto. AchmAD IbrAhIm (Ap/AnsA) Una politica estera diversa Manifestazione per fermare le esecuzioni. Jakarta, 28 aprile 2015 26 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 La decisione di Widodo di procedere con le esecuzioni nonostante gli appelli della comunità internazionale dimostra che da quando è diventato presidente la politica estera di Jakarta è cambiata. Il motto del suo predecessore, susilo bambang Yudhoyono, era “mille amici e zero nemici”. Desideroso di ottenere l’approvazione della comunità internazionale, Yudhoyono aveva messo una moratoria sulla pena di morte, raforzando la sua immagine di conciliatore e procurandosi molti riconoscimenti. Widodo ha incentrato la sua politica su tre obiettivi: afermare la sovranità del paese, proteggere gli indonesiani all’estero e promuovere gli scambi e gli investimenti. Questo signiica che è più disposto di Yudhoyono a far innervosire gli stranieri per difendere gli interessi del paese. u bt thailandia giappone-stati uniti nuove linee di difesa australia immigrati sfruttati Lo stato di Victoria ha aperto un’indagine sullo sfruttamento dei lavoratori immigrati nelle aziende agricole che riforniscono le principali catene di supermercati e aziende alimentari australiane, scrive il sito della tv pubblica Abc. Alla base della decisione del governo locale c’è un’inchiesta del programma della Abc Four corners, secondo cui molti stranieri che risiedono nel paese, soprattutto asiatici ed europei, con un visto di “vacanza lavoro” di 12 mesi (riservato a chi ha tra i 18 e i 30 anni) lavorano in condizioni di semischiavitù, sono sottopagati e sottoposti a maltrattamenti e molestie sessuali. Secondo la Federazione nazionale degli agricoltori il lavoro degli immigrati è fondamentale per il settore: senza di loro ci sarebbe una carenza di manodopera, scrive la Bbc. Scheletri trovati a Songkhla, Thailandia, 2 maggio 2015 MADArEE TohLALA (AFP/GETTy IMAGES) Durante la visita del primo ministro giapponese Shinzō Abe negli Stati Uniti sono state difuse le nuove linee guida sulla cooperazione alla difesa tra Tokyo e Washington. È il primo aggiornamento dell’alleanza militare tra i due paesi dal 1997, e risente della nuova interpretazione della costituzione paciista giapponese decisa dal governo Abe nel 2014 per poter “esercitare il diritto all’autodifesa” sancito dalla carta. D’ora in poi il Giappone, desideroso di assumere un ruolo internazionale di maggior rilievo, potrà abbattere missili diretti verso gli Stati Uniti e intervenire in aiuto di paesi terzi sotto attacco. Le nuove linee guida porteranno anche più collaborazione tra i due paesi nelle acque contese del mar Cinese meridionale, scrive il Japan Times. cina-taiwan Fossa comune nella giungla Quattro persone sono state arrestate perché sospettate di gestire un campo di detenzione scoperto il 1 maggio nella foresta vicino al conine con la Malesia. Nel campo è stata trovata una fossa comune con 26 cadaveri, forse di rohingya fuggiti dalla Birmania e initi nel traico di esseri umani. Probabilmente le vittime sono morte di fame o malattia in attesa che le famiglie pagassero il riscatto per liberarle. Secondo le associazioni per i diritti umani che operano nella regione, nella zona ci sono altri campi simili. sempre più vicine Il 4 maggio il presidente cinese Xi Jinping ha incontrato in veste di segretario del Partito comunista Eric Chu, presidente del Kuomintang (Kmt), il partito che governa Taiwan. Pechino e Taipei sono divise del 1949. I due leader hanno ribadito l’adesione al “consenso del 1992”, che stabilì il principio di “una sola Cina” lasciando le parti libere di interpretarlo. L’accettazione di quel principio, scrive il Taipei Times, ostacola la presenza di Taiwan nella comunità internazionale. Per il settimanale cinese Caijing l’incontro tra Xi e Chu è una pietra miliare nel processo di riavvicinamento. Ma potrebbe non servire al Kmt in vista del voto del 2016, dato che l’opposizione pro autonomia guadagna consensi. vietnam chi ha vinto davvero The Diplomat, Giappone Il 30 aprile 1975 l’esercito comunista del Vietnam del Nord prese Saigon, rovesciò il governo del Sud appoggiato da Washington e mise ine alla guerra, durata vent’anni. L’intervento americano costò la vita a tre milioni di vietnamiti e a 58mila statunitensi, devastò le infrastrutture e riportò il paese indietro di decenni. Saigon, oggi ho Chi Minh City, ha celebrato il 40° anniversario della vittoria comunista con parate e manifestazioni. Il centro della città era pieno di poster con il volto del leader comunista, per anni il “marchio” più potente nella città che porta il suo nome. Ma dopo vent’anni di crescita economica e il formarsi di una classe media, Saigon è molto diversa e lo zio ho deve competere con i simboli occidentali. A trent’anni dalle riforme avviate per creare un’“economia di mercato di stampo socialista”, il Vietnam è parte integrante del mondo capitalista. oggi, scrive The Diplomat, è lecito chiedersi chi abbia vinto davvero la guerra. ◆ in breve India Il 4 maggio otto soldati sono morti in un’imboscata dei ribelli separatisti nel Nagaland, nel nordest del paese. I ribelli chiedono uno stato indipendente per i circa due milioni di abitanti di etnia naga. Afghanistan Il 3 maggio a Doha, in Qatar, una delegazione governativa ha incontrato alcuni rappresentanti dei taliban per cercare di mettere ine alla crisi nel paese. Kazakistan Il presidente uscente Nursultan Nazarbaev è stato rieletto il 26 aprile per un quinto mandato con il 97,7 per cento dei voti. Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 27 Americhe la causa diretta è un comportamento autodistruttivo, come l’abuso di farmaci, il fumo e l’obesità. È sbagliato dire che la povertà è una questione di valori, come se i poveri avessero semplicemente fatto delle scelte sbagliate e starebbero meglio se avessero adottato i valori della classe media. Ormai è chiaro a tutti che i valori della classe media attecchiscono solo in un’economia che ofre posti di lavoro per la classe media. TODD HEISLER (THE NEW YORK TIMES/CONTRASTO) Baltimora, 1 maggio 2015 Il lavoro scomparso Le disuguaglianze che spiegano le rivolte Paul Krugman, The New York Times, Stati Uniti I fatti di Baltimora non sono solo il simbolo delle discriminazioni contro i neri. Dimostrano che negli Stati Uniti gli squilibri tra ricchi e poveri sono sempre più forti. L’opinione di Paul Krugman ovrebbe essere chiaro a tutti che il caso di Freddie Gray, il ragazzo di 25 anni morto per le lesioni riportate durante un arresto, non è stato un incidente isolato. I disordini scoppiati a Baltimora nelle ultime settimane hanno messo in evidenza le disuguaglianze che avvelenano le vite di troppi statunitensi. Tuttavia, c’è il rischio che le palesi discriminazioni portate alla luce da questa vicenda trasmettano l’idea sbagliata che la povertà continua e l’alienazione sociale siano esperienze che riguardano solo i neri. In realtà, buona parte dei problemi di Baltimora e di molte altre città del paese hanno a che fare con la classe, con gli efetti devastanti dell’estrema e crescente disuguaglianza. Consideriamo, per esempio, la salute e la mortalità. Alcuni hanno sottolineato che in molti quartieri di Baltimora D 28 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 l’aspettativa di vita è inferiore a quella di paesi molto più poveri. Ma è interessante notare che anche tra i bianchi sono aumentate le disparità di classe nei tassi di mortalità. In particolare, la mortalità tra le donne bianche è aumentata sensibilmente rispetto agli anni novanta, soprattutto nelle fasce di popolazione più povere e con un’istruzione più bassa; l’aspettativa di vita tra i bianchi meno istruiti ha subìto un crollo che ricorda quello degli anni novanta nella Russia postcomunista. Queste morti sono il risultato della disuguaglianza e della mancanza di opportunità, anche nei casi in cui Da sapere Ultime notizie u Il 1 maggio Marilyn Mosby, procuratrice dello stato del Maryland, ha incriminato i sei agenti considerati responsabili della morte di Freddie Gray, un afroamericano di 25 anni morto a causa delle lesioni riportate durante un arresto. u Il 3 maggio Stephanie Rawlings-Blake, la sindaca di Baltimora, ha revocato il coprifuoco in vigore da cinque giorni nella città. u Il 5 maggio Barack Obama ha denunciato l’uso eccessivo della forza da parte della polizia contro i neri, gli asiatici e gli ispanici. Il sociologo William Julius Wilson sosteneva che i cambiamenti sociali nella comunità nera, come il declino delle famiglie tradizionali, erano in realtà provocati dalla scomparsa di lavori ben pagati nelle aree urbane. La sua argomentazione conteneva una previsione: se altri gruppi etnici avessero subìto perdite di opportunità di lavoro paragonabili a quelle subite dai neri, anche il loro comportamento sarebbe cambiato in modi simili. Ed è proprio quello che è successo. Ai salari bassi e all’instabilità lavorativa hanno fatto seguito il calo dei matrimoni, l’aumento di igli di genitori non sposati e via di seguito. Per questo è scoraggiante sentir dire da certi commentatori che i poveri sono la causa della loro stessa povertà. Ed è scoraggiante che si continui ad alimentare un altro falso mito, cioè che negli ultimi anni abbiamo speso enormi somme di denaro per combattere la povertà senza alcun risultato. In realtà la spesa federale per programmi di sussidi legati al reddito ha oscillato per decenni tra l’1 e il 2 per cento del pil, aumentando nei periodi di recessione e diminuendo nei periodi di ripresa. Non sono molti soldi – è meno di quanto spendono gli altri paesi avanzati – e non tutti vanno alle famiglie al di sotto della soglia di povertà. Nonostante questo, alcune di queste misure hanno permesso di fare progressi reali nella lotta contro la povertà. Quando si considerano i mali della povertà negli Stati Uniti, non c’è spazio per il fatalismo. Scrollare le spalle e parlare di valori è un atto di negligenza in malafede. I poveri non hanno bisogno di lezioni di moralità, hanno bisogno di maggiori risorse, che possiamo trovare, e di migliori opportunità economiche, che possiamo garantire con la formazione e l’aumento dei salari minimi. Baltimora e gli Stati Uniti non devono per forza essere così iniqui. u gim Paul Krugman è un economista statunitense, premio Nobel per l’economia nel 2008. Stati Uniti STaTi UniTi/cUba Traghetti in partenza LUIS ACoSTA (AfP/GETTy IMAGES) Jihadisti in Texas L’Fbi sulla scena del crimine a Garland, il 4 maggio 2015 condanne per spionaggio Il 30 aprile la corte suprema della Colombia ha condannato a 14 anni di carcere María del Pilar Hurtado (nella foto), che tra il 2007 e il 2008 ha diretto il Departamento administrativo de seguridad (Das), l’ex uicio d’intelligence del paese. Bernardo Moreno, segretario alla presidenza di Álvaro Uribe, è stato condannato a otto anni da scontare agli arresti domiciliari. “Per Hurtado l’accusa”, scrive Semana, “è di aver intercettato e spiato illegalmente politici dell’opposizione, magistrati e giornalisti”. Uribe ha dichiarato che le intercettazioni sono state condotte nell’ambito di operazioni per la sicurezza nazionale. BEN ToRRES (GETTy IMAGES) colombia Il 3 maggio due uomini hanno aperto il fuoco nel parcheggio del Curtis Culwell center di Garland, in Texas, dove si svolgeva un concorso di vignette su Maometto. Una guardia di sicurezza è stata colpita alla caviglia. Subito dopo i due attentatori, Elton Simpson e Nadir Sooi, sono stati uccisi dalla polizia. L’attentato è stato rivendicato dal gruppo Stato islamico. È la prima volta che il gruppo rivendica un attacco in territorio statunitense. Simpson era stato condannato nel 2010 per falsa testimonianza perché aveva mentito riguardo a un viaggio in Somalia. Secondo l’accusa voleva unirsi al gruppo jihadista Al Shabaab. u Violenze nel Jalisco “Il primo maggio lo stato occidentale di Jalisco ha vissuto una terribile giornata di violenza, che porta la irma del cartello Jalisco nueva generación”, scrive Proceso. I narcotraicanti hanno aperto il fuoco contro un elicottero dell’esercito, provocando la morte di cinque soldati e ferendone altri dodici. Lo stesso giorno, mentre il governo annunciava l’inizio di un’operazione per garantire la sicurezza della zona, ci sono stati scontri, sparatorie e blocchi stradali in vari municipi dello stato. Le vittime sono state almeno 15. Brasília BRASILE BOLIVIA Paraná PARAGUAY Rio de Janeiro São Paulo cile meSSico Il 6 maggio il governo degli Stati Uniti ha approvato la creazione di un servizio navale tra la florida e Cuba. I trasporti tra i due paesi erano stati interrotti nel 1960, quando Washington aveva imposto l’embargo sull’isola. La decisione è stata presa nell’ambito del processo di normalizzazione dei rapporti tra i due paesi, cominciato nel dicembre del 2014 e culminato ad aprile con l’incontro tra Barack obama e il presidente cubano Raúl Castro al vertice delle Americhe, a Panamá. L’Atlantic spiega che almeno cinque compagnie di trasporto passeggeri e merci via mare hanno già ottenuto le licenze. Da qualche settimana è operativo anche un servizio di voli charter tra New york e l’Avana. Una nuova costituzione Il 29 aprile la presidente cilena Michelle Bachelet ha annunciato in un discorso trasmesso in tv che, a partire da settembre, il governo avvierà il processo per redigere una nuova costituzione. Bachelet ha spiegato che il percorso si baserà su dibattiti, consultazioni e incontri con la cittadinanza, e dovrà portare a un testo pienamente democratico che rappresenti tutti i cittadini. La costituzione oggi in vigore risale al 1980, quando era al potere il dittatore di Augusto Pinochet. Su Infolatam Rogelio Núñez scrive che l’idea di avviare una riforma costituzionale proprio quando l’immagine del paese e del governo è stata danAsunción Curitiba neggiata da alcuni scandali di corruzione può essere un’arma a Porto Alegre doppio taglio per Bachelet. “Se 350 km una riforma nasce da un ampio in breVe consenso sociale e politico, può Brasile Il 29 aprile più di duecontribuire a unire il paese. Ma cento persone sono rimaste ferise si realizza nel mezzo di una te negli scontri tra polizia e inseprofonda crisi istituzionale, rignanti durante una manifestaschia di essere uno sforzo eizione a Curitiba. Gli insegnanti mero”. El País sottolinea che protestavano contro un progetto “dopo mesi di immobilismo idi legge che modiicherebbe le nalmente la presidente ha preso loro pensioni. u Il 5 maggio è in mano le redini della situazione”. Infatti, oltre alla riforma co- stata aperta un’inchiesta preliminare contro l’ex presidente stituzionale, “Bachelet ha anLuiz Inácio Lula da Silva, accununciato una serie di misure ansato di aver aiutato un’azienda a ticorruzione, tra cui una gestioottenere degli appalti all’estero. ne più trasparente dei inanziaCanada Il New democratic parmenti ai partiti e delle campaty (sinistra) ha vinto le elezioni gne elettorali”. Secondo El Model 5 maggio nell’Alberta, metstrador, “si va nella direzione tendo ine a 44 anni di dominio giusta, anche se i problemi del dei conservatori. Cile sono molto più profondi”. Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 29 Visti dagli altri I migranti africani sognano il Nordeuropa Molte delle persone che attraversano il mar Mediterraneo non vogliono restare in Italia, ma spesso sono obbligate a farlo tanti migranti che arrivano nei porti siciliani sono di nazionalità diverse. I siriani di solito hanno abbastanza soldi, portano i frammenti della loro vita spezzata in una borsa di tela e riescono a uscire dall’Italia diretti verso i paesi dell’Europa settentrionale. Gli eritrei sono meno ricchi ma anche loro sono organizzati e hanno dei contatti che li portano a nord. Poi ci sono migranti come Agyemin Boateng e Prince Adawiah, recuperati nel Mediterraneo a ine aprile da una nave italiana. Sono entrambi del Ghana e nessuno dei due ha un piano per la nuova vita in Europa. Dicono che non avevano mai pensato di venire in Italia. Lavoravano come operai in Libia e ci sono rimasti ino a quando la vita è diventata insostenibile. In Ghana, però, non possono tornare. “In Libia ci sono bombe e fucili”, dice Adawiah, 25 anni, che ha lavorato a Tripoli per tre anni. “Sparavano ogni FONTE: ThE NEw yOrk TIMES I 30 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 giorno e io avevo paura, per questo sono venuto in Italia”. Ad aprile, con il migliorare delle condizioni meteorologiche, sono aumentate le traversate e i morti. Secondo alcune stime, dall’inizio del 2015 sono annegate 1.700 persone. Negli ultimi anni i conlitti in Africa, Medio Oriente e Asia centrale hanno modiicato i lussi migratori verso l’Europa. La guerra in Siria ha inluito più di tutti gli altri conlitti sul traico di esseri umani, ma ora la crisi libica sta cambiando la situazione. Il caos che regna in Libia ha permesso ai traicanti di agire indisturbati e ha costretto alla fuga molti lavoratori africani emigrati lì. Una buona parte di questi ora si trova nei centri di accoglienza italiani senza contatti esterni né progetti per il futuro. Il loro aumento preoccupa i sindaci e le altre autorità. “Nessuno ci dice niente”, dice Shamsudeen Sawud, 18 anni, arrivato in Italia a ine aprile. In attesa di una risposta Il cambiamento dei paesi di provenienza si deduce dalle statistiche. L’anno scorso in Italia sono sbarcate 170mila persone tra migranti e rifugiati. Secondo il ministero dell’interno, nel 2014 i due gruppi più numerosi erano i siriani e gli eritrei. I gambiani erano al quinto posto. Durante i primi mesi del 2015 il Gambia è salito al primo posto con 1.413 arrivi su 10.165. Le organizzazioni umanitarie confermano che la maggioranza dei migranti arriva dai paesi dell’Africa subsahariana. Alcuni hanno scelto come destinazione l’Italia, ma molti altri ci sono initi per caso. “Ci sono rifugiati e migranti che si erano trasferiti in Libia per restarci, ma poi hanno deciso di fuggire in Europa, anche a costo di rischiare la vita”, dice Matteo De Bellis, rappresentante di Amnesty international per l’Italia. Secondo Bruce Leimsidor, che insegna legislazione europea sull’asilo all’università Ca’ Foscari di Venezia, è possibile che molti migranti dicano di essere stati costretti a fuggire dalla Libia per ricevere poi asilo in Europa. Prima della caduta del regime di Gheddai, spiega Leimsidor, centinaia di JASON FLOrIO/MOAS Jim Yardley, The New York Times, Stati Uniti Malta, 3 maggio 2015. Il salvataggio di 361 migranti partiti dalla Libia migliaia di persone partivano dall’Africa occidentale e dal Bangladesh per andare a lavorare in Libia, mettevano da parte i soldi per un eventuale ritorno a casa e non pensavano di proseguire per l’Europa. Ma oggi la situazione è diversa. “Ormai da qualche anno in Libia c’è poco lavoro per gli immigrati”, scrive in un’email Leimsidor. Data la scarsità di lavoro e i pericoli che si corrono, “chi negli ultimi anni è arrivato in Libia deve aver avuto almeno una vaga intenzione di raggiungere l’Europa”. Al centro di accoglienza Umberto I di Siracusa, Mohammed Njie, 31 anni, racconta come è arrivato in Italia. È partito dal Gambia sette mesi fa dopo una lite con il suo datore di lavoro che non gli pagava lo stipendio. È andato in Libia sperando di mandare un po’ di soldi ai suoi genitori e ai suoi igli, sulle orme delle precedenti generazioni di gambiani che avevano lavorato lì ed erano tornati con dei soldi da parte: “Potevano comprarsi la casa e l’auto. Vivevano meglio”. Ora, però, Njie e altri africani che sono nel centro di accoglienza spiegano che in Libia la situazione è insostenibile. Molti capicantiere non pagano gli operai e quelli che sono pagati vengono aggrediti da bande di criminali, a volte adolescenti, che li derubano puntandogli contro una pistola. “Non potevamo mandare i soldi in Ghana Legge elettorale Grandi poteri da controllare Neue Zürcher Zeitung, Svizzera l presidente del consiglio italiano Matteo Renzi ha promesso più stabilità, e con questo intende dire che l’Italia dovrà continuare a essere governata dal suo esecutivo per diversi anni. Con la nuova legge elettorale, detta Italicum e approvata in via deinitiva dalla camera il 4 maggio, il premier ha creato le premesse per vincere le prossime elezioni con una maggioranza assoluta del suo Partito democratico alla camera. Ma più che voler consolidare solo il suo potere personale, Renzi è mosso da una missione politica: vuole cambiare l’Italia, e la riforma elettorale è il punto di partenza. Con una solida maggioranza parlamentare alle spalle, il premier potrà realizzare i suoi progetti di riforma del lavoro, della giustizia e della scuola. Ha capito che per favorire la ripresa economica del paese, lo stato deve funzionare meglio. Con la nuova legge è prevedibile che si crei un sistema bipartitico o tripartitico, I perché lì non ci sono banche, perciò li portavamo con noi. Ci aggredivano ogni giorno”, racconta Adawiah. Secondo Boateng tornare a casa dalla Libia era troppo pericoloso perché le vie di terra sono piene di milizie e bande criminali. A un ghaneano che aveva lavorato in Libia per tre anni hanno rubato tutti i risparmi mentre tentava di tornare a casa. “Anche se hai i soldi è diicile tornare”, dice Boateng. “Quando vedono che sei nero, sanno che hai i soldi addosso”. Diversi uomini hanno raccontato che per compassione alcuni libici li hanno messi in contatto con i traicanti, anche perché gli scaisti cercano personale nero per la traversata. “Dicevano: ‘Se vuoi salvarti la vita, parti con noi e ti porteremo in Italia’”, racconta Adawiah. Il crescente numero di migranti arrivati in Italia crea forti tensioni politiche nel paese. L’Italia è stata criticata per aver permesso a molti eritrei e siriani di passare sul territorio nazionale senza essere registrati e di andare a chiedere asilo in Nordeuropa, in violazione delle norme dell’Unione europea. Nel centro Umberto I molti dei migranti sono preoccupati. Nessuno ha un cellulare né è riuscito a contattare i parenti in Africa (i siriani, invece, spesso hanno uno smartphone). Nessuno sa a che punto è la sua richiesta d’asilo. “Ho lasciato a casa la mia famiglia, ora voglio lavorare. E vorrei inalmente trovare un po’ di pace”, dice il gambiano Njie. u bt mentre le formazioni più piccole saranno svantaggiate (la soglia di sbarramento è al 3 per cento). Un risultato del genere non è di per sé antidemocratico, come sostengono quelli che criticano la riforma, ma in Italia si pone la questione delle garanzie insite nel nuovo sistema. Cosa succederà se l’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi, un uomo che crede di essere al di sopra della legge e preferirebbe abolire i tribunali, potrà contare su una maggioranza automatica in parlamento? Non è una domanda retorica, perché Berlusconi ha partecipato alla formulazione della legge elettorale nella convinzione di poter vincere le elezioni. Con la sua irruenza Renzi potrebbe cambiare in meglio molte cose. Si può solo sperare che, se vincerà le prossime elezioni, si asterrà da abusi di potere, cosa che non ha fatto Berlusconi. Ma le speranze ingannano: i grandi poteri devono essere controllati. u fp Da sapere Come funziona l’Italicum u Il 4 maggio la camera italiana ha approvato in via deinitiva, con 334 voti a favore e 61 contrari, la nuova legge elettorale, il cosiddetto Italicum. A favore si sono dichiarati: il Partito democratico, Area popolare, Scelta civica, Popolari per l’Italia e Centro democratico. L’opposizione ha abbandonato l’aula, mentre alcuni deputati della minoranza del Partito democratico hanno votato no. L’Italicum entrerà in vigore il 1 luglio del 2016 e varrà solo per la camera dei deputati. Ecco cosa prevede la legge. Premio di maggioranza e sbarramento La lista che ottiene più del 40 per cento dei voti al primo turno (o vince al ballottaggio) ha il premio di maggioranza, cioè il 54 per cento dei seggi: 340 su 630. I restanti seggi sono assegnati agli altri partiti. La soglia di sbarramento per entrare in parlamento è il 3 per cento. Tra il primo e il secondo turno non possono esserci apparentamenti tra le liste. Collegi Le 27 circoscrizioni attuali sono sostituite da venti circoscrizioni elettorali, suddivise in cento collegi plurinominali. In ogni collegio, in media di circa seicentomila abitanti ciascuno, i partiti presentano delle liste di sei o sette candidati. In Trentino Alto Adige e in Valle d’Aosta si vota in collegi uninominali. Preferenze Nella prima stesura della legge le liste erano bloccate, cioè i candidati erano eletti nell’ordine in cui erano presentati nella lista. Nel nuovo testo è previsto che siano bloccati solo i capilista, mentre dal secondo eletto in poi valgono le preferenze. Ogni elettore può esprimere al massimo due preferenze. Candidature multiple I capilista possono candidarsi in più di un collegio elettorale, ino a un massimo di dieci. Voto di genere Ogni elettore è libero di esprimere nessuna, una o al massimo due preferenze. In quest’ultimo caso deve votare due candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda preferenza. Nell’ambito di ogni circoscrizione (che in parte coincide con le regioni) i capilista di un genere non devono essere superiori al 60 per cento del totale. Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 31 Visti dagli altri MIChELE D’OTTAvIO (BUENAvISTAPhOTO) Milano, 1 maggio 2015. Il padiglione di New Holland Le architetture dell’Expo Jean-Jacques Larrochelle, Le Monde, Francia Il tema dell’esposizione universale è nutrire il pianeta, ma è stato oscurato dalla gara tra singoli paesi e multinazionali a chi ha il padiglione più bello isogna essere in ottima forma e pieni di entusiasmo per fare su e giù lungo la silza dei 147 padiglioni dell’esposizione universale di Milano, che durerà ino al 31 ottobre. Il sito di questo evento planetario si estende su entrambi i versanti di un imponente asse centrale lungo un chilometro e mezzo – ispirato al decumano degli antichi accampamenti romani – e occupa quasi 110 ettari, una superficie cinque volte più piccola dell’esposizione universale del 2010 a Shanghai. La zona dell’Expo si trova ai margini della città, nel cuore di un intreccio poco piacevole di binari ferroviari e tracciati autostradali. È in questo contesto che la maggioranza dei paesi del mondo (non c’è l’India, grande assente) dovranno confrontarsi su un unico tema scelto dagli organizzatori B 32 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 italiani: “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”. Un’idea molto nobile che salvo rare eccezioni ha partorito un eccesso indigesto di opere architettoniche. In fondo un’esposizione universale non è molto diversa da una iera commerciale, se non fosse per i mezzi di cui dispongono gli espositori. Per le nazioni che partecipano è un’occasione troppo bella e troppo rara per confrontare i rispettivi padiglioni, quest’anno modellati essenzialmente in legno (materiale dall’immagine sempre tranquilla e rispettabile), oppure rivestiti di un candore verginale. Occupa un posto di primo piano anche la moltitudine delle specie vegetali che sono state piantate, le cui trasformazioni, promettono gli organizzatori, saranno percepibili nel corso dei sei mesi di durata della manifestazione. A questo concorso di bellezza virtuosa imposto dal tema scelto dagli italiani si sono aggiunti nuovi candidati. Infatti i “negozi” dei padiglioni nazionali sono ormai iancheggiati da noti marchi che tentano anche loro di distinguersi, più grazie alla visibilità dei loghi che agli ornamenti architettonici. Il padiglione della McDonald’s – uno degli sponsor di Expo Milano 2015 – è incuneato tra quello del Qatar e quello del Turkmenistan. È leggermente arretrato rispetto all’asse principale dell’esposizione e sulla cartina uiciale consegnata a ogni visitatore è citato tra i luoghi di “sosta per famiglie”. Ancor più discreto è l’ediicio molto corporate della Coca-Cola, grande come quattro campi da tennis e collocato in una delle zone più tranquille dell’Expo, che sovrasta il cluster (il giardino) bio-Mediterraneo. La presenza di queste aziende alimentari non piace al movimento no expo, che il 1 maggio ha manifestato per le vie di Milano contro l’esposizione universale (migliaia di persone sono scese in strada, non solo il blocco nero). La Lindt, meno esposta alla vendetta popolare, è stata più fortunata: il suo padiglione dalla facciata blu è stato sistemato in un posto privilegiato vicino all’ingresso principale, proprio nel cuore del cluster cacao e cioccolato, che aianca quello del riso e del cafè. Il Palazzo Italia, invece, corre lungo tutto il cardo, l’asse secondario del sito, che è perpendicolare al decumano e inisce con l’Albero della vita (“l’oggetto dell’Expo che sarà più fotografato”, promettono gli organizzatori). Il padiglione italiano non ha esitato a sistemare una accanto all’altra le vetrine delle regioni e quelle di noti marchi nazionali (Granarolo, San Pellegrino, Martini & Rossi, Lavazza). Una decisione che rischia di confondere il visitatore disattento. Le tre fasi Tuttavia i marchi commerciali, grazie alla loro esperienza in materia e proprio perché i loro prodotti si pagano, sono meno esposti alla pressione continua del pubblico. Invece i padiglioni nazionali, le cui esposizioni sono visitabili liberamente e gratuitamente, non potevano restare indiferenti alla manna rappresentata da questo aflusso di visitatori. Attirare i visitatori non basta però, bisogna anche riuscire a farli pazientare nel caso in cui gli spazi interni siano pieni di gente. Una regola da applicare più o meno in tutti i padiglioni, visto che il 1 maggio, nella giornata inaugurale, l’Expo è stata visitata da più di 200mila persone. L’organizzazione dei vari padiglioni si articola su tre fasi: quella della gestione della ila d’attesa, generalmente accompagnata da distrazioni (immagini animate e Vasche di legno È sorprendente che all’Expo non ci sia nessun accenno al problema degli sprechi alimentari e a quello dei riiuti. L’unica eccezione è lo Spazio della biodiversità, gestito dall’associazione italiana Slow food. Si trova in una zona isolata dell’esposizione, lontano dal frastuono incessante, e si compone di tre strutture modulari in legno leggero (un teatro, uno spazio espositivo e una zona degustazione) che formano un triangolo, nel cuore del quale ci sono delle grandi vasche in legno naturale che contengono piante. Questa installazione dà una grande serenità ed è stata ideata dallo studio svizzero Herzog&de Meuron. Sono gli stessi architetti che l’ex sindaco di Milano Letizia Moratti aveva interpellato in un primo tempo per ideare il progetto dell’esposizione universale 2015. “Avevamo accettato”, spiegano Herzog&de Meuron, “a condizione che si abbandonasse l’idea passatista di un’esposizione basata unicamente su monumenti architettonici e su show vanitosi asserviti agli orgogli nazionali”. All’ultimo momento, però, non hanno ricevuto l’incarico. u ma Gli scontri per le strade di Milano Eric Jozsef, Libération, Francia Vetrine rotte, auto incendiate e muri imbrattati. Il blocco nero ha impedito agli altri manifestanti di dire perché sono contrari all’Expo bbiamo rischiato un altro G8 di Genova”, ha dichiarato il ministro dell’interno italiano Angelino Alfano il giorno successivo all’inaugurazione dell’Esposizione universale di Milano, segnata da scene di guerriglia urbana nel centro della città. Inoltre Alfano si è rallegrato di “aver evitato il peggio”. La sera del primo maggio i milanesi sono scesi spontaneamente in strada per pulire i muri, riparare le vetrine in frantumi di decine di negozi e rimuovere le auto incendiate dal blocco nero poche ore prima. L’obiettivo era quello di cancellare il più rapidamente possibile le tracce della devastazione per lasciare spazio a questa Expo dedicata all’alimentazione, che ino al 31 ottobre dovrebbe accogliere più di 20 milioni di visitatori nella periferia della città. Nei primi tre giorni di apertura l’hanno visitata già varie centinaia di migliaia di persone. Il governo italiano, che scommette sulla manifestazione per rilanciare un paese in crisi, prevede di adottare speciali misure di sicurezza per evitare nuovi incidenti. Il primo maggio il corteo paciico formato da circa 20mila persone che protestavano contro lo spreco di denaro pubblico si è trasformato in un campo di battaglia ideale per il blocco nero. Con indosso i caschi e armate di bastoni e bottiglie molotov, circa 700 persone ben organizzate hanno sferrato numerosi attacchi contro “i simboli del capitalismo”, le banche e le multinazionali per più di due ore. Alcuni poliziotti sono stati feriti. Tra gli aggressori c’erano anche cittadini greci, tedeschi e francesi. Alla ine degli scontri cinque persone sono state arrestate in lagranza di reato e una trentina sono state identiicate dalla polizia. “Gli ita- “A FILIPPo MoNTEFoRTE (AFP/GETTy IMAGES) musica); quella della circolazione nello spazio espositivo (si va dall’ingresso verso l’uscita, e mai nella direzione opposta); inine quella del negozio, generalmente collegato all’esposizione. Invece Food 2.0, il padiglione degli Stati Uniti, ha regolato il lusso di visitatori dandogli la possibilità di percorrere lo spazio espositivo anche a lunghe falcate (dando però l’impressione che non ci sia poi molto da vedere). Il Qatar ha optato per una circolazione elicoidale e l’incessante cammino dei visitatori nella penombra è accompagnato da efetti luminosi di diicile lettura. I tedeschi hanno invece puntato più su un percorso sinuoso caretterizzato da vari contenuti informativi, per assimilare i quali, però, servirebbe molto più tempo. I francesi invece hanno scelto un circuito breve anche perché il loro padiglione è abbastanza piccolo. È costituito da un soisticato intreccio di travi di legno, ideato dagli architetti Anouk Legendre e Nicolas Desmazières dello studio X-Tu, e reinterpreta il modello del mercato coperto. Dopo aver stiracchiato in maniera esagerata i rilievi della Francia, rappresentata stilizzata, hanno rovesciato il tutto creando un paesaggio capovolto in cui sono esposti i prodotti provenienti dai vari territori. Milano, 3 maggio 2015. Alcuni cittadini ripuliscono la città liani sanno benissimo da che parte stare: hanno sciupato la festa? Hanno cercato di rovinarcela. Ma quattro teppistelli igli di papà non riusciranno a rovinare Expo. E Milano è molto più forte come spirito e determinazione di quello che questi signori pensano”, ha dichiarato il presidente del consiglio Matteo Renzi. Intervistato da Tgcom 24, un ragazzo ha ammesso di essere andato in mezzo ai manifestanti violenti. “È giusto spaccare tutto, è una protesta, e noi dobbiamo far sentire la nostra voce. Se non lo capiscono con le buone, lo facciamo capire in un altro modo”. Il giorno dopo, però, si è pentito per quelle frasi. L’ex anarchico Lello Valitutti, ormai in pensione e costretto su una sedia a rotelle, ha partecipato al corteo e ha detto: “L’esposizione è una farsa, organizzata da chi ci affama. È stata una buona manifestazione, sono stati attaccati i simboli della ricchezza. Coi metodi paciici non ascoltano”. Per i militanti non violenti del comitato No Expo, la manifestazione del primo maggio ha rappresentato invece un’occasione persa. Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 33 Visti dagli altri Nuove norme Anche il premio Nobel Dario Fo ha espresso la sua rabbia: “I violenti non hanno niente a che vedere con le migliaia di manifestanti No Expo che volevano attirare l’attenzione sul denaro pubblico che si sarebbe potuto usare per rifare le strade o per ofrire rifugio ai senza tetto”. Critiche che Matteo Renzi ha spazzato via con un gesto della mano. A poche ore dall’apertura dell’Expo tanti padiglioni erano ancora incompiuti, ma lui ha dichiarato con entusiasmo: “L’Italia è molto più forte delle paure. Quanti dicevano ‘Non ce la farete mai con Expo?’. L’Expo è la metafora di quello che accade all’Italia, da una parte quelli che dicono ‘non ce la farete mai’, e dall’altra ci siamo noi”. Il ministro dell’interno Angelino Alfano sta valutando la possibilità di far adottare nuove norme, simili a quelle che si applicano per gli scontri durante le partite di calcio, per le manifestazioni in cui avvengono degli scontri: “Più potere ai prefetti per impedire i cortei quando ci sono rischi di iniltrazioni; arresto diferito, entro le 48 ore, come avviene per il calcio, se dalle telecamere si riescono a identiicare i violenti”. L’Expo durerà sei mesi e le autorità italiane temono che, dopo gli incidenti del 1 maggio, i manifestanti violenti siano tentati di tornare all’attacco. u gim 34 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 Società Divorzio all’italiana The Economist, Regno Unito La legge che riduce i tempi per sciogliere il matrimonio è stata approvata dal parlamento. Senza troppe polemiche da parte della chiesa cattolica n Italia la legge sul divorzio entrò in vigore nel 1970, dopo uno scontro titanico in parlamento. I cattolici conservatori, riluttanti ad accettare la sconitta, proposero un referendum per abrogare la legge. La consultazione popolare si tenne nel 1974 e gli italiani votarono contro l’abrogazione. Il 22 aprile i parlamentari italiani hanno modiicato la legge sul divorzio in senso più liberale. Lo hanno fatto a stragrande maggioranza (398 voti a 28) e senza troppe polemiche. Un segno che i tempi sono cambiati. Come era prevedibile, il quotidiano cattolico Avvenire si è scagliato contro la riforma. Altri hanno afermato che le nuove norme rappresentano un ulteriore colpo alla chiesa cattolica, un’istituzione che ormai sta perdendo la sua inluenza anche in Italia. I giovani che scelgono di convivere e di avere igli fuori dal matrimonio sono sempre più numerosi. Nel I Da sapere I divorzi in Europa Il rapporto tra i divorzi e le persone che vivono da sole. Fonte: The Economist Danimarca 3,5 Divorzi ogni 1.000 abitanti, 2012 Le devastazioni rischiano di far passare in secondo piano tutte le critiche che in questi ultimi mesi hanno fatto sorgere dei dubbi sull’Expo. In particolare quelle per i ritardi accumulati e la conseguente esplosione dei costi (le spese per il padiglione italiano sono passate da 63 a 92 milioni di euro), per i contratti precari a giovani assunti ad hoc, ma soprattutto per gli scandali di corruzione e per le iniltrazioni maiose nei cantieri. Angelo Paris, ex direttore pianiicazione e acquisti dell’Expo, è stato arrestato l’8 maggio del 2014 perché accusato di aver truccato delle gare d’appalto. Anche altri politici di destra e di sinistra sono stati arrestati con l’accusa di aver intascato tangenti. “Anni di lavoro e di lotte sono state spazzati via”, si lamentano dopo le violenze alcuni attivisti del movimento No Expo. Il movimento ha ricevuto il sostegno di numerosi militanti No Tav, che si oppongono alla costruzione della linea ad alta velocità TorinoLione e che da più di vent’anni organizzano mobilitazioni contro quello che ritengono uno spreco di soldi pubblici in un paese già in troppo indebitato. Svezia 3,0 2,5 Portogallo Regno Unito Spagna Germania 2,0 1,5 1,0 Italia 0,5 0 Irlanda 20 30 40 50 Famiglie composte da una sola persona, % sul totale 2012 il numero di matrimoni per migliaio di abitanti era tra i più bassi dell’Unione europea. Eppure, neanche i cattolici osservanti si sono uniti per opporsi. L’arcivescovo di Palestrina Domenico Sigalini ha dichiarato che “se il fallimento è chiaro e irrevocabile, è ingiusto perdersi in lunghe battaglie giudiziarie che iniscono solo per aggiungere esasperazione a una situazione già di per sé esasperata”. In base alla nuova legge, in caso di divorzio consensuale le coppie possono sciogliere il matrimonio dopo sei mesi di separazione, altrimenti possono farlo dopo un anno, mentre inora dovevano aspettare tre anni. Non è una legge particolarmente permissiva: almeno in altri cinque paesi dell’Unione europea si può divorziare senza un periodo di separazione. C’è chi dice che la riforma avrebbe potuto essere ancora più radicale, ma ulteriori emendamenti avrebbero messo in pericolo la sua approvazione in parlamento. Gli italiani sono riluttanti a sposarsi, ma anche a separarsi. Negli ultimi anni il numero dei divorzi ogni mille abitanti è aumentato, ma ino al 2012 l’Italia era ancora al penultimo posto in Europa. I divorzi sono pochi perché la procedura è complessa e le spese legali sono alte, soprattutto nei casi di divorzio non consensuale. Ma le cose stanno cambiando: a novembre del 2014 il parlamento ha approvato i divorzi “fai da te”, che possono essere concordati tra i legali dei due coniugi, e l’Italia è diventata uno dei pochi paesi al mondo in cui si può divorziare senza andare in tribunale. La nuova norma fa parte di un pacchetto di provvedimenti ideati dal governo Renzi per accelerare i tempi della giustizia civile. Un’accelerazione indispensabile, e non solo per le coppie che non vanno d’accordo: in Italia ci sono quasi cinque milioni di cause civili pendenti. In un paese alitto dalla lentezza della burocrazia, l’aumento dei divorzi potrebbe dimostrarsi perversamente incoraggiante. u bt Le opinioni Charlie Hebdo merita quel premio Katha Pollitt uando il comitato del Pen ha deciso di chiesa cattolica. Le persone che conoscono la cultura premiare il settimanale satirico Charlie francese dei fumetti hanno sottolineato che le caricaHebdo, evidentemente pensava di do- ture ofensive che circolano in rete, una volta contever onorare l’eroismo dei vignettisti stualizzate, sono l’opposto di quello che sembrano a francesi. Charlie Hebdo ha continuato un lettore statunitense, sono cioè un attacco alle idee a uscire quando la sua redazione è stata razziste dei politici francesi di destra. Non credo che Charlie sia un giornale razzista, e colpita da una bomba incendiaria nel 2011 e non si è fermato neanche dopo il brutale massacro di gennaio. non solo perché non esiste un’etnia musulmana. CharOra mettiamo a confronto Charlie Hebdo con la Yale lie è schierato contro ogni forma di religione autoritaUniversity Press, che dopo la prima edizione ha elimi- ria (Le Monde ha analizzato le storie principali pubblinato dal libro di Jytte Klausen le illustrazioni sulle vi- cate da Charlie negli ultimi dieci anni e ha scoperto che i cristiani sono stati attaccati molto gnette danesi che ritraevano Maometto, più spesso dei musulmani). Charlie o con la Random House, che ha annulla- Molti scrittori Hebdo è blasfemo, ma questa non è forto la pubblicazione di The jewel of Medi- bersagliati dai se una qualità nel pensiero di sinistra? na, romanzo storico di Sherry Jones su fondamentalisti Un tempo era così, prima che diventasAisha, la moglie di Maometto. Entram- sono musulmani, simo disperatamente confusi a proposibe le case editrici si sono giustiicate con come la scrittrice to dell’islam: per metà del tempo ci diil timore di violenze da parte dei fanati- bengalese Taslima ciamo che i fondamentalisti violenti soci. Il direttore della Random House ave- Nasreen, il blogger va subìto un attentato prima di bloccare saudita Raif Badawi, no solo una piccola parte degli 1,6 miliardi di musulmani, ma per l’altra metà la pubblicazione del libro di Jones. lo scrittore egiziano parliamo come se le azioni dei fondaIl coraggio non è suiciente, o almementalisti servano a rimediare ad alcuni no non lo è per i sei scrittori – Francine Nagib Mahfouz misfatti oggettivi. Non sono sicura che Prose, Teju Cole, Michael Ondaatje, Peter Carey, Rachel Kushner e Taiye Selasi – che hanno la seconda posizione faccia bene ai musulmani, perannullato la loro partecipazione alla cerimonia di pre- ché è un po’ come dire che la gente che uccide i medici miazione dei Pen del 5 maggio. Rachel Kushner ha abortisti rappresenta la cristianità. Charlie Hebdo non attacca i musulmani, ma il foncriticato “l’intolleranza culturale” di Charlie. Teju Cole, scrivendo sul New York Times dopo gli attentati di damentalismo, cioè la versione superstiziosa e ottusa gennaio, ha accusato Charlie Hebdo di razzismo e isla- che è alla base di tanta violenza nei confronti degli mofobia. Peter Carey non accetta che il concetto di li- scrittori. Molti autori presi di mira dai fondamentalisti bertà di espressione possa avere come unici limiti sono musulmani, come la scrittrice e femminista bengalese Taslima Nasreen, il blogger saudita Raif Badaquelli imposti dalla legge. “Il lavoro di Charlie non è importante”, mi ha detto wi, lo scrittore egiziano Nagib Mahfouz. I sei scrittori che hanno boicottato il Pen hanno fatal telefono Francine Prose. “Non è interessante”. Francine ha ammesso di essersi sentita ofesa dalle to girare una lettera, sottoscritta da molti altri autori vignette su Maometto e dalla presa in giro dell’islam. famosi come Joyce Carol Oates, Junot Díaz e Lorrie “È una rivista razzista, diciamoci la verità”. Per Fran- Moore. “C’è una diferenza fondamentale tra sostenecine le caricature dei musulmani pubblicate da Charlie re in modo convinto un’espressione che supera i limiti Hebdo sono paragonabili alla propaganda antisemita di cos’è accettabile”, hanno scritto, “e premiare con di Goebbels. “Non vedo la diferenza, davvero. Stesso entusiasmo questa opinione”. Certo, ma cosa signiica naso gigante e labbra carnose”. Poi ha aggiunto che “superare i limiti di cos’è accettabile”? Cos’è accettamolti giornalisti messicani e russi sono stati uccisi bile? Non abbiamo forse bisogno di libri e opere d’arte mentre indagavano sulla corruzione dei loro governi e che forzino i conini di ciò che è accettabile? Norman Mailer, ex presidente del Pen morto nel 2007, ha che forse bisognava premiare loro. Personalmente non credo che le vignette di Mao- espresso molte opinioni ottuse e ignoranti. In politica metto siano diverse dalle volgari caricature del papa, era come uno zio ubriaco che sbatte i pugni sul tavolo dei rabbini o della vergine Maria violentata dai re Ma- durante la cena del ringraziamento, ma ha forzato i gi. In ogni caso Charlie è una piccola rivista satirica conini della scrittura facendo un favore a tutti gli scritgestita da sessantenni di sinistra che dedicano buona tori. Per quanto disprezzi gran parte delle sue opere e parte del loro giornale ad attaccare il Front national e i delle sue idee ripugnanti sulle donne, se il Pen gli conconservatori francesi, con frequenti stilettate alla cedesse un premio non ne farei una tragedia. u as Q 36 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 KATHA POLLITT è una giornalista e femminista statunitense. Il suo ultimo libro è Pro: reclaiming abortion rights (Picador 2014). Le opinioni Le responsabilità dei violenti Rami Khouri osa succede quando la violenza e l’ag- molti altri motivi di tensione che aliggono il Medio gressione brutale vanno avanti per an- Oriente: le dittature arabe con la loro corruzione, gli ni senza alcun controllo? Lo si può ca- imprevedibili rapporti della Turchia e dell’Iran con pire guardando i risultati di un’indagi- Israele, i conlitti religiosi, il terrorismo e le tensioni tra ne interna delle Nazioni Unite sulla gli arabi e le potenze occidentali. Un meccanismo di attribuzione delle responsabilità guerra dell’estate del 2014 nella Striscia di Gaza. Con i suoi attacchi, si legge nel rapporto, nello scenario israelo-palestinese è possibile oggi più Israele ha ucciso 44 civili palestinesi che avevano cer- che in passato per due motivi principali: innanzitutto la cato rifugio in sette scuole dell’Onu. In quelle strutture Palestina è uno stato osservatore delle Nazioni Unite, e questo signiica che può ricorrere a strunon sono state rinvenute armi, che invementi come la Corte penale internazioce si trovavano in altre tre scuole vuote. Oggi l’opinione Si trattava di strutture gestite in prece- pubblica mondiale, nale. Inoltre, l’opinione pubblica mondiale, compresa quella statunitense, oggi denza dalle Nazioni Unite, ma usate in compresa quella è più propensa a sostenere in modo equo seguito da Hamas per raccogliere le armi statunitense, è più i diritti legittimi sia degli israeliani sia dei e “probabilmente” lanciare missili verso propensa a far palestinesi. Israele. rispettare in modo La guerra di Gaza del 2014 ha provoMa a cosa servono indagini come equo e simultaneo cato la morte di più di 2.200 palestinesi e questa dell’Onu, se la loro frequenza è i diritti legittimi di 72 israeliani, e la distruzione di migliapari a quella delle uccisioni e il loro imdi israeliani e ia di case e di altre strutture civili nella patto sulla guerra è nullo? Questo docupalestinesi Striscia di Gaza. Le Nazioni Unite hanno mento innescherà una spirale ormai prepiù volte comunicato agli israeliani le covedibile di accuse e risposte tra israeliani e palestinesi, ma coinvolgerà anche chi in tutto il mon- ordinate delle scuole in cui si rifugiavano i civili. In una do esprime perplessità e frustrazione di fronte all’inca- lettera al Consiglio di sicurezza, il segretario generale pacità di porre ine alla violenza che ormai caratterizza dell’Onu ha criticato Israele per gli attacchi a strutture “inviolabili” dell’organizzazione, ma ha criticato anche i rapporti tra i due popoli da quasi un secolo. Forse è ora che i protagonisti nella regione e gli altri Hamas per “l’inaccettabile” uso improprio di altre attori interessati prendano in considerazione la possi- strutture delle Nazioni Unite. Secondo l’indagine, sette scuole sono state colpite bilità di usare questo documento come un’occasione per creare un meccanismo di attribuzione delle respon- da un fuoco di sbarramento israeliano “con proiettili ad sabilità più esteso ed eicace. Questo meccanismo po- alta esplosività”, raiche di mortaio e missili di precitrebbe favorire a sua volta un lento abbandono del mili- sione, mentre i militanti di Hamas hanno ammassato tarismo incontrollato e un tentativo più serio di giunge- armi in scuole vuote e probabilmente le hanno usate re a una soluzione del conlitto basata sullo stato di di- come basi per lanciare missili. Certo, può sembrare inritto. Capisco che possa sembrare un desiderio roman- giusto valutare con lo stesso metro di giudizio israeliani tico, ma secondo me il raggiungimento di una forma e palestinesi: la potenza militare israeliana è superiore credibile di attribuzione delle responsabilità per l’uso e gli attacchi militari contro i palestinesi sono sproporillegale e immorale della forza da parte di tutti nella re- zionati, per non parlare del fatto che Israele ha occupagione è un obiettivo importante e urgente. Se gli israe- to, colonizzato, assetato e assediato la Striscia di Gaza liani, gli arabi, gli statunitensi e gli altri protagonisti per decenni. Eppure la forza e il valore di qualsiasi fornella regione possono uccidere, invadere, scatenare ma di afermazione dello stato di diritto e di attribuzioguerre, assediare, colonizzare, rubare, imprigionare, ne delle responsabilità derivano dal fatto che quei mectorturare, violentare e usare armi chimiche nella totale canismi si possono applicare in modo equo a entrambe impunità, continueranno a farlo ancora per molto tem- le parti in causa. I palestinesi hanno detto di essere po e il risultato sarà un aumento della violenza e della pronti a un processo che indaghi le loro azioni e quelle di Israele in base alle stesse norme, perché conidano barbarie in molte aree del mondo arabo. Aspirare alla creazione di meccanismi di responsa- nel fatto che l’applicazione delle regole potrebbe inalbilità potrebbe ofrirci l’occasione di deinire i problemi mente imporre dei limiti alle aggressioni incontrollate e tentare piccoli passi verso soluzioni eque per tutti. Il che Israele compie dagli anni quaranta. Questo rapporconlitto israelo-palestinese è un buon punto di parten- to dell’Onu ofre l’opportunità di chiamare degli assasza, per molte ragioni. È il conlitto più antico, destabi- sini incalliti a rispondere delle loro azioni. Non dovremlizzante e radicalizzante della regione; ha alimentato mo lasciarcela sfuggire. u gim C 38 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 RAMI KHOURI è columnist del quotidiano libanese Daily Star. È direttore dell’Issam Fares institute of public policy and international afairs all’American university di Beirut. In copertina Terapia psich Michael Pollan, The New Yorker, Stati Uniti Foto di JeeYoung Lee Dopo trent’anni, nelle università statunitensi sono ripresi gli studi sulle sostanze allucinogene, con risultati sorprendenti. Le esperienze psichedeliche sono quasi mistiche e potrebbero aiutare i malati terminali e chi sofre di disturbi mentali U 40 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 schizofrenia o sofre di disturbo bipolare. Dopo lo screening Mettes fu assegnato a Anthony Bossis, uno scontroso psicologo sulla cinquantina specializzato in cure palliative e uno dei coordinatori della ricerca. Dopo quattro incontri Bossis decise di somministrare a Mettes due pillole, una di un placebo attivo (in questo caso una forte dose di niacina, che è leggermente eccitante) e l’altra di psilocibina. Entrambe le sedute si sarebbero svolte in una stanza più simile a un salotto che a uno studio medico, con un divano, quadri alle pareti, libri d’arte e mitologia, e vari soprammobili etnici e simboli spirituali, tra cui un Budda e un fungo di ceramica. Durante ogni seduta, che sarebbe durata quasi tutto il giorno, Mettes sarebbe stato disteso sul divano con una mascherina sugli occhi e avrebbe ascoltato in cuia musica di autori come Brian Eno, Philip Glass, Pat Metheny e Ravi Shankar. Bossis e un secondo terapeuta sarebbero rimasti con lui, parlando poco ma pronti a intervenire in caso di problemi. Creatività e spiritualità L’anno scorso in quella stessa stanza ho incontrato Bossis con il suo collega Stephen Ross, un professore di psichiatria della facoltà di medicina dell’università di New York che dirige lo studio sulla psilocibina. Ross, che ha poco più di quarant’anni e guida anche il reparto tossicodipendenze dell’ospedale Bellevue, mi ha raccontato che non sapeva quasi nulla delle sostanze psichedeliche, le droghe che modiicano profondamente lo stato di coscienza producendo anche allucinazioni. Poi un giorno un OPIOM GALLERY n lunedì di aprile del 2010 Patrick Mettes, un giornalista televisivo di 54 anni in cura per un tumore alle vie biliari, lesse sulla prima pagina del New York Times un articolo che avrebbe cambiato la sua morte. Il male gli era stato diagnosticato tre anni prima, e nel 2010 era ormai arrivato ai polmoni. Inoltre Mettes era debilitato da una pesante chemioterapia e dalla paura di non riuscire a sopravvivere. L’articolo, intitolato “I medici tornano a occuparsi di allucinogeni”, citava i test clinici condotti in diverse università, compresa quella di New York, in cui la psilocibina – la sostanza attiva dei cosiddetti funghi magici – era stata somministrata ai malati di cancro per alleviare la loro “angoscia esistenziale”. Uno dei ricercatori aveva dichiarato che, sotto l’efetto dell’allucinogeno, “le persone smettono di identiicarsi con il loro corpo e tornano alla coscienza con una maggiore accettazione della propria condizione”. Mettes non aveva mai assunto sostanze psichedeliche, ma decise subito di ofrirsi come volontario. Sua moglie Lisa era contraria. “Non volevo che cercasse una via di fuga”, mi ha detto Lisa. “Volevo che lottasse”. Alla ine Mettes telefonò e, dopo aver risposto a una lunga lista di domande, fu incluso tra i partecipanti allo studio. Dato che gli allucinogeni possono riportare in supericie problemi psicologici latenti, i ricercatori cercano di escludere dagli esperimenti le persone a rischio, cioè chi ha fatto uso di droghe, chi ha una storia familiare di hedelica Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 41 In copertina collega gli ha raccontato che negli anni novanta l’lsd era stato usato con buoni risultati per curare gli alcolisti. Ross ha condotto qualche ricerca ed è rimasto sorpreso da quello che aveva scoperto. “Mi sono sentito un po’ come un archeologo che scopre qualcosa rimasto sepolto per secoli”, mi ha detto. Le sostanze psichedeliche erano già state usate negli anni cinquanta per curare un’ampia gamma di disturbi, dall’alcolismo alla paura della morte. L’American psychiatric association ne discuteva regolarmente. “Alcuni dei migliori psichiatri avevano studiato quei composti costruendo modelli terapeutici grazie ai inanziamenti pubblici”, mi ha spiegato Ross. Tra il 1953 e il 1973 il governo federale spese quattro milioni di dollari per inanziare 116 studi sull’lsd, in cui furono coinvolti più di 1.700 soggetti. Queste cifre non includono le ricerche segrete. Fino alla metà degli anni sessanta, la psilocibina e l’lsd erano legali e abbastanza facili da trovare. La Sandoz, l’industria chimica per la quale nel 1938 Albert Hofmann aveva sintetizzato per la prima volta l’lsd, elargiva Dyelisid (lsd) a tutti i ricercatori che ne facevano richiesta, nella speranza che qualcuno scoprisse un’applicazione commerciabile. Gli allucinogeni furono testati su alcolisti, persone afette da disturbo ossessivo-compulsivo, depressi, bambini autistici, schizofrenici, malati di cancro allo stadio terminale e detenuti, ma anche su artisti e scienziati in perfetta salute (per studiare la creatività) e studenti di teologia (per indagare la spiritualità). I risultati furono spesso positivi. Ma, per gli standard moderni, molti degli studi erano progettati male. Quando esisteva un gruppo di controllo, era diicile tenere nascosto ai ricercatori quali volontari avevano assunto la sostanza psichedelica invece del placebo. E questo è un problema ancora oggi. Alla metà degli anni sessanta l’lsd uscì dai laboratori e si difuse nell’ambiente della controcultura. Nel 1970 il presidente Richard Nixon irmò il Controlled substances act, una legge che vietava l’uso degli allucinogeni per qualsiasi scopo. Ben presto le ricerche si fermarono e tutto quello che era stato scoperto ino a quel momento fu quasi cancellato. “Quando mi sono iscritto alla facoltà di medicina, ormai nessuno ne parlava più”, dice Ross. I test clinici dell’università di New York – a breve ne partirà un secondo sull’uso della psilocibina nella cura dell’alcolismo – sono un aspetto della rinascita della ricerca psichedelica in atto in diverse università degli Stati Uniti, tra cui la Johns Hopkins, il 42 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 Medical center dell’Harbor-Ucla e l’università del New Mexico. Ma anche all’Imperial college di Londra e all’università di Zurigo si fanno ricerche simili. Oggi che la guerra alla droga ha perso intensità, gli scienziati sono ansiosi di tornare a occuparsi delle potenzialità terapeutiche delle sostanze psichedeliche. A gennaio, per esempio, The Lancet, la più prestigiosa rivista medica bri- L’lsd uscì dai laboratori e si difuse nell’ambiente della controcultura tannica, ha pubblicato un editoriale a sostegno di questo tipo di ricerche. Gli effetti della psilocibina somigliano a quelli dell’lsd ma, come mi ha spiegato un ricercatore, “le due sostanze non hanno le stesse connotazioni politiche e culturali”. Inoltre, l’lsd ha efetti più profondi e duraturi ed è più probabile che provochi reazioni avverse. I ricercatori stanno usando, o progettando di usare, la psilocibina non solo per curare l’ansia, le dipendenze da fumo e alcol e la depressione, ma anche per studiare la neurobiologia delle esperienze mistiche che questa sostanza, in dosi massicce, spesso produce. A quarant’anni da quando Nixon decise di bloccare le ricerche sugli allucinogeni, il governo statunitense sta cautamente consentendo a un piccolo numero di scienziati di riprendere a studiare queste potenti molecole ancora misteriose. Mentre chiacchieravo con Tony Bossis e Stephen Ross nella stanza dove si svolgono le sedute all’università di New York, il loro entusiasmo per i risultati ottenuti era evidente. Secondo Ross, nei malati di cancro una sola dose di psilocibina produce un’immediata riduzione dell’ansia e della depressione, e il miglioramento dura almeno sei mesi. Al momento stanno analizzando i dati e non li hanno ancora mandati a nessuna rivista per la valutazione di altri esperti, ma prevedono di pubblicarli nel corso dell’anno. “Pensavo che i primi dieci o venti volontari fossero iniltrati, che stessero ingendo”, mi ha confessato Ross. “Dicevano cose del tipo ‘l’amore è la forza più potente del mondo’, o ‘ho avuto un incontro con il mio cancro, è una nuvola di fumo nero’. Persone che prima erano terrorizzate dalla morte non avevano più paura. Che una sola dose di una sostanza possa avere efetti simili per tanto tempo è una scoperta senza pre- cedenti. Non c’è mai stato niente del genere in psichiatria”. Sono rimasto sorpreso nel vedere uno scienziato, specialista di tossicodipendenze, così entusiasta per una sostanza che negli anni settanta era una droga di strada, classiicata come inutile dalle autorità. Ma il sostegno alle nuove ricerche sugli allucinogeni è molto diffuso tra gli esperti del settore. “Io sono particolarmente favorevole a questo tipo di studi”, dice Thomas R. Insel, che dirige il National institute of mental health. “Se queste sostanze si dimostrano utili per le persone che sofrono veramente, dobbiamo studiarle seriamente”. Nora Volkow, che guida il National institute for drug abuse sottolinea però che “è importante ricordare alla gente che fare esperimenti al di fuori dell’ambito della ricerca con le droghe che creano dipendenza può provocare seri danni”. Anche Herbert D. Kleber, lo psichiatra che dirige il reparto tossicodipendenze del New York state psychiatric institute della Columbia university ed è uno dei maggiori esperti statunitensi nel campo, invita alla cautela: “Questo settore di ricerca è molto afascinante, ma non dobbiamo dimenticare che gli studi sono stati condotti su campioni molto piccoli”. Kleber sottolinea anche il rischio di efetti collaterali e l’importanza di “avere una guida accanto, perché l’esperienza può essere positiva o spaventosa”. Poi, riferendosi alle ricerche dell’università di New York e della Johns Hopkins, aggiunge: “Le persone che conducono questi studi sono molto preparate e serie, sanno quello che fanno. Il dubbio è: se ne può cominciare a parlare in tv?”. Il mondo trasformato L’idea di somministrare una sostanza psichedelica a una persona in in di vita venne per la prima volta al romanziere Aldous Huxley. Nel 1953 lo psichiatra britannico Humphry Osmond lo aveva introdotto alla mescalina, un’esperienza che Huxley raccontò nel saggio del 1954 Le porte della percezione. In seguito Huxley propose una ricerca basata sulla “somministrazione dell’lsd ai malati di cancro allo stadio terminale, nella speranza di poter rendere la morte un evento più spirituale e meno isiologico”. Lo scrittore, che morì di cancro alla laringe a 69 anni il 22 novembre 1963, si fece iniettare l’lsd dalla moglie sul letto di morte. I funghi di psilocibina furono scoperti dalla medicina occidentale (e dalla cultura popolare) nel 1957 grazie a un articolo di 15 OPIOM GALLeRy pagine pubblicato sulla rivista Life da un micologo dilettante – oltre che vicepresidente della J.P. Morgan – di nome R. Gordon Wasson. Nel 1955, dopo aver passato anni a cercare informazioni sull’uso dei funghi magici da parte dei nativi messicani, Wasson li sperimentò personalmente nel sud del Messico grazie a María Sabina, una curandera (guaritrice). Il resoconto del suo viaggio psichedelico durante una cerimonia notturna spinse diversi scienziati, tra cui Timothy Leary, uno psicologo di Harvard che conduceva esperimenti sulla personalità, a studiare la psilocibina. Dopo aver provato i funghi magici a Cuernavaca nel 1960, Leary concepì il Progetto psilocibina, per studiare le potenzialità terapeutiche degli allucinogeni, e qualche anno dopo cominciò a occuparsi anche di lsd. Sulla scia delle ricerche di Wasson, Albert Hofmann sperimentò i funghi magici nel 1957. “Trenta minuti dopo averli presi il mondo esterno comincia a subire una strana trasformazione”, scrisse Hofman, che identiicò, isolò e poi sintetizzò il principio attivo di quei funghi, cioè la psilocibina, il composto usato nelle ricerche attuali. Forse il più inluente e rigoroso di questi primi studi fu quello cosiddetto del venerdì santo, condotto nel 1962 da Walter Pahnke, uno psichiatra e pastore protestante che stava preparando la tesi di dottorato ad Harvard sotto la supervisione di Leary. In un esperimento in doppio cieco, a venti studenti di teologia fu somministrata una compressa prima del servizio del venerdì santo alla Marsh chapel dell’università di Boston. Metà delle pillole contenevano psilocibina, le altre un placebo attivo (acido nicotinico). Dei dieci studenti che avevano assunto la psilocibina, otto dissero di aver vissuto un’esperienza mistica, mentre solo uno di quelli del gruppo di controllo disse di aver provato un senso di sacro e di pace. In quell’occasione distinguere i soggetti non fu diicile: chi aveva assunto il placebo era rimasto tranquillamente seduto mentre gli altri si erano stesi per terra o avevano vaga- to per la cappella borbottando frasi come “Dio è ovunque” e “oh, la gloria!”. Pahnke arrivò alla conclusione che l’esperienza degli otto che avevano preso la psilocibina era “indistinguibile, se non identica” rispetto a certe esperienze mistiche classiche come quelle descritte dagli studiosi William James e Walter Stace. Un’illuminazione spirituale Nel 1991 Rick Doblin, il direttore della Multidisciplinary association for psychedelic studies (Maps), pubblicò i risultati di un altro studio, per il quale aveva rintracciato e intervistato sette degli otto studenti di teologia che avevano sperimentato la psilocibina alla Marsh chapel. Tutti gli avevano raccontato che quell’esperienza li aveva segnati in modo profondo e duraturo. Ma Doblin trovò un punto debole nel resoconto pubblicato da Pahnke: non aveva minimamente accennato al fatto che, durante quell’esperienza, diversi soggetti avevano provato una forte angoscia. Uno dei parteInternazionale 1101 | 8 maggio 2015 43 In copertina cipanti, che a un certo punto era scappato dalla cappella convinto di essere stato prescelto per annunciare il ritorno del messia, era stato immobilizzato e gli era stata somministrata una dose di torazina, un potente antipsicotico. La prima ondata di studi sugli allucinogeni era destinata a fallire a causa dell’eccessivo entusiasmo dei ricercatori. Per chi lavorava con queste straordinarie molecole era diicile non arrivare alla conclusione di aver scoperto qualcosa che poteva cambiare il mondo, una sorta di vangelo psichedelico. Avevano diicoltà ad accettare il fatto che quelle molecole potevano essere usate solo in laboratorio o per curare chi sofriva. Presto scienziati un tempo rispettabili si mostrarono insoferenti verso la scienza. Leary, per esempio, cominciò a considerarla una delle tante convenzioni sociali che era giunto il momento di scardinare. La sospensione delle ricerche sulle sostanze psichedeliche era inevitabile? Secondo Stanislav Grof, uno psichiatra di origine ceca che negli anni sessanta fece ampio uso di lsd, gli allucinogeni “avevano liberato l’elemento dionisiaco” e costituivano quindi una minaccia per i valori puritani dell’America. Roland Griiths, uno psicofarmacologo della Johns Hopkins university, fa notare che la cultura statunitense non è stata la prima a sentirsi minacciata dalle droghe psichedeliche. Anche in Messico i colonizzatori spagnoli avevano vietato l’uso dei funghi magici, considerati un pericoloso residuo del paganesimo. All’inizio del 2006 Tony Bossis, Stephen Ross e Jefrey Guss, uno psichiatra dell’università di New York, cominciarono a incontrarsi il venerdì pomeriggio dopo il lavoro per leggere e discutere la letteratura scientiica sugli allucinogeni. Chiamarono il loro gruppo Psychedelic reading group (Prg, gruppo di lettura psichedelico), ma nel giro di pochi mesi, la parola reading (lettura) fu sostituita da research (ricerca). Avevano deciso di avviare un esperimento usando la psilocibina per curare l’ansia nei malati di cancro. Gli ostacoli che avrebbero incontrato non erano da poco: la Food and drug administration (Fda, l’agenzia statunitense che regolamenta i prodotti alimentari e farmaceutici) e la Drug enforcement administration (Dea, l’agenzia antidroga) gli avrebbero permesso di usare la sostanza? L’Institutional review board dell’università di New York, la commissione incaricata di proteggere i soggetti degli esperimenti, avrebbe autorizzato la somministrazione di un allucinogeno ai malati di cancro? A luglio, inine, la rivista Psychopharmacology 44 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 pubblicò un epocale articolo irmato da Roland Griiths e da altri scienziati intitolato “La psilocibina può provocare esperienze spirituali mistiche”. “Ci buttammo tutti sull’articolo di Roland”, mi ha raccontato Bossis. “Perché rafforzava la nostra fiducia in quello che stavamo facendo. La Johns Hopkins aveva dimostrato che potevamo continuare senza correre nessun rischio”. L’articolo diede a Ross lo strumento di cui aveva bisogno per convincere la commissione di controllo. “Il fatto che la Johns Hopkins, considerata un centro di eccellenza, conducesse ricerche sugli allucinogeni rendeva più facile far accettare il nostro lavoro”. Nonostante questo, gli studi sugli allucinogeni sono rimasti rigidamente regolamentati e controllati. La psilocibina inluisce in modo duraturo e positivo sulla personalità Lo studio in doppio cieco di Griiths riprendeva quello di Pahnke degli anni sessanta, ma con un rigore scientiico decisamente maggiore. Griiths aveva somministrato a 36 volontari, nessuno dei quali aveva mai fatto uso di allucinogeni, una pillola che conteneva psilocibina o un placebo attivo (metilfenidato o Ritalin) e nella seduta successiva aveva invertito le pillole. “Quando viene somministrata in condizioni protette”, concludeva nell’articolo, “la psilocibina provoca esperienze simili a quelle mistiche che si veriicano spontaneamente”. I partecipanti le avevano giudicate tra le più signiicative della loro vita, paragonabili alla nascita di un iglio o alla morte di un genitore. Due terzi dei soggetti aveva classiicato la seduta con la psilocibina tra le cinque esperienze spirituali più importanti della vita; un terzo l’aveva messa al primo posto. Quattordici mesi dopo, questi giudizi si erano solo leggermente ridimensionati. Da uno studio successivo di Katherine MacLean, una psicologa del laboratorio di Griiths, emerse che nella maggior parte dei partecipanti l’esperienza con la psilocibina aveva inluito in modo positivo e duraturo anche sulla personalità. È un dato sorprendente perché in psicologia è risaputo che la personalità si consolida intorno ai trent’anni e diicilmente in seguito subisce cambiamenti di rilievo. Ma a più di un anno dalle sedute con la psilocibina, i volontari che avevano vissuto l’esperienza mistica più completa dimostravano una maggiore “apertura”, uno dei cinque tratti che gli psicologi prendono in esame per valutare la personalità (gli altri sono la coscienziosità, l’estroversione, l’amicalità e la stabilità emotiva). “Non voglio usare la parola ‘sconvolgente”, dice oggi Griiths, “ma per uno scienziato, creare un esperimento in cui il 70 per cento dei partecipanti dice di avere avuto una delle esperienze più signiicative della vita è un fatto eccezionale”. Con cautela L’attuale rinascita delle ricerche sugli allucinogeni deve molto alla rispettabilità dei suoi sostenitori. A 68 anni, Ronald Griiths, un comportamentista che alla Hopkins si occupa di psichiatria e neuroscienze, è uno dei maggiori esperti di tossicodipendenza degli Stati Uniti. È alto, magrissimo e dritto come un fuso: l’unica nota indisciplinata nel suo aspetto è una folta e indomabile capigliatura bianca. Il direttore del Nihm, Tom Insel, lo descrive come “uno scienziato molto serio e attento, con la fama di essere particolarmente meticoloso nell’analisi dei dati. Perciò è interessante il fatto che oggi si stia occupando di un campo che altri potrebbero considerare pericoloso”. La carriera di Griiths ha preso una svolta inaspettata negli anni novanta dopo due eventi casuali. Il primo è stato la scoperta del siddha yoga, nel 1994. La meditazione lo ha abituato ad avere “una visione meno materiale del mondo, della quale non posso parlare con i miei colleghi perché parte da presupposti che come scienziato mi mettono a disagio”. Nel 1996, poi, Bob Schuster, un suo amico e collega, ex direttore del National institute for drug abuse, gli consigliò di parlare con Robert Jesse, un ragazzo che aveva conosciuto a Esalen, un centro di meditazione di Big Sur, in California. Jesse non era né un medico né uno scienziato, ma un informatico e uno dei vicepresidenti dell’azienda di software Oracle. Aveva deciso di riportare in vita le ricerche sugli allucinogeni per i loro efetti non tanto medici quanto spirituali. Così Schuster (che è morto nel 2011) telefonò a Jesse per parlargli del suo vecchio amico Roland Griiths, descrivendoglielo come “il ricercatore aidabile” di cui aveva bisogno. Jesse prese un aereo per Baltimora e andò a conoscere Griiths. Cominciò così una serie di conversazioni sulla meditazione e la spiritualità che alla ine avrebbero spinto lo scienziato a riprendere la ricerca sugli allucinogeni culminata, nel 2006, OPIOM GALLeRY nell’articolo pubblicato su Psychopharmacology. Roland Griiths e Bob Jesse avevano riaperto una porta che era rimasta chiusa per trent’anni. A partire dal 2006 il laboratorio di Grifiths ha condotto uno studio pilota sull’uso della psilocibina nella cura della dipendenza dal fumo. I risultati sono stati pubblicati a novembre del 2014 sul Journal of Psychopharmacology. Il campione era molto ridotto, solo 15 fumatori, ma il successo dell’esperimento è stato sorprendente. Dodici dei volontari, che avevano tutti cercato di smettere più di una volta, sei mesi dopo il trattamento erano ancora non fumatori. L’esperimento era riuscito all’80 per cento. L’esperienza psichedelica sembra aver consentito a molti soggetti di modiicare, e poi rompere, un’abitudine consolidata. “Fumare mi è sembrato improvvisamente inutile”, mi ha detto uno dei partecipanti all’esperimento. Finora le critiche alla ricerca sugli allucinogeni sono state limitate. “Non si può somministrare ai pazienti una sostanza solo perché ha un efetto antidepressivo igno- rando tutti gli altri efetti. È troppo pericoloso”, ha dichiarato l’estate scorsa alla rivista Science Florian Holsboer, il direttore del Max Planck institute of psychiatry di Monaco. Nora Volkow del National institute for drug abuse mi ha scritto in un’email che “la nostra preoccupazione principale è che il pubblico possa avere l’impressione che usare la psilocibina non è pericoloso, mentre i suoi efetti negativi sono ben noti, anche se non del tutto prevedibili”. Poi ha aggiunto: “Sono stati fatti molti progressi nell’allontanare, in particolare i giovani, dagli allucinogeni. Non vorremmo che questa tendenza si invertisse”. Diario di viaggio L’uso delle sostanze psichedeliche a scopo ricreativo è associato a casi di psicosi, allucinazioni e suicidi. Ma questi efetti negativi non sono emersi negli esperimenti condotti all’università di New York e alla Johns Hopkins. Dopo quasi 500 somministrazioni di psilocibina, i ricercatori non hanno riscontrato nessun efetto collaterale grave. Considerato che i soggetti erano volontari, attentamente selezionati e preparati, e che sono stati guidati da terapeuti capaci di gestire gli episodi di paura e di ansia, il dato è meno sorprendente di quanto possa sembrare. A parte le molecole usate, una seduta terapeutica con gli allucinogeni e un’esperienza psichedelica ricreativa hanno ben poco in comune. Attualmente il laboratorio della Hopkins sta conducendo una ricerca di particolare interesse per Griiths: sta esaminando l’effetto della psilocibina sulle persone che meditano da molto tempo. Il progetto prevede di studiare il cervello di 40 persone che meditano regolarmente usando la risonanza magnetica funzionale prima, durante e dopo l’assunzione di psilocibina. Lo scopo è rilevare eventuali modificazioni dell’attività cerebrale e della connettività e scoprire come “le persone abituate alla contemplazione” vivono un’esperienza simile. Il laboratorio di Griffiths sta anche avviando uno studio in collaborazione con l’università di New York che prevede la somministrazione della sostanza a persone di varie fedi religiose per vedere come Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 45 OPIOM GALLERY In copertina l’esperienza inluisce sul loro lavoro. “Mi sento come un bambino in un negozio di caramelle”, mi ha detto Griiths. “Dopo trent’anni la ricerca si sta risvegliando”. “L’inefabilità” è la caratteristica principale dell’esperienza mistica. Molti hanno difficoltà a descrivere le strane cose che succedono nella loro mente durante un viaggio psichedelico guidato senza sembrare dei guru new age o dei pazzi scatenati. La lingua corrente non sempre è adeguata al compito di raccontare un’esperienza che, a quanto sembra, permette di uscire dal proprio corpo, viaggiare nello spazio e nel tempo, incontrare demoni e dèi, e guardare in faccia la morte. Ai volontari dello studio sulla psilocibina dell’università di New York è stato chiesto di scrivere un resoconto della propria esperienza subito dopo il trattamento. Da buon giornalista, Patrick Mettes prese la cosa sul serio. Dopo la seduta, che si era svolta di venerdì, lavorò tutto il ine settimana per elaborare meglio la sua esperienza e raccontarla. Arrivato nella stanza dove avrebbe avu- 46 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 to luogo il trattamento, era stato accolto dalle sue guide, Tony Bossis e Krystallia Kalliontzi. Alle nove gli avevano portato una coppetta che conteneva la pillola. Nessuno sapeva se si trattasse di psilocibina o di un placebo. Quando gli avevano chiesto perché aveva deciso di sottoporsi all’esperimento, Mettes aveva risposto che voleva imparare a gestire meglio l’ansia e la paura provocate dal cancro. Come gli avevano suggerito i ricercatori, aveva portato con sé qualche fotograia – lui, la moglie Lisa e il cane Arlo – e le aveva sparse per la stanza. Alle nove e mezza Mettes si era disteso sul divano, si era messo gli auricolari e una mascherina, ed era rimasto fermo in silenzio. Nel suo racconto paragona l’inizio del viaggio al lancio di un missile spaziale, “un decollo violento e piuttosto sgradevole che alla ine cede il posto alla serena beatitudine dell’assenza di peso”. Molti dei volontari che ho intervistato mi hanno detto di aver provato paura e ansia prima di abbandonarsi all’esperienza. Le guide seguono una serie di “istruzioni di volo” preparate da Bill Richards, uno psico- logo di Baltimora che negli anni settanta ha lavorato con Stanislav Grof e oggi fa parte della nuova generazione di terapeuti psichedelici. Il documento è una sintesi delle esperienze accumulate durante migliaia di sedute – e innumerevoli brutti viaggi – negli anni sessanta, sia in ambiente terapeutico sia sotto le tende di Woodstock. La “stessa forza che ti trascina dentro, ti riporta sano e salvo alla vita quotidiana”, si legge a un certo punto sul manuale. Le guide devono ricordare ai volontari che non saranno mai lasciati soli e che durante il viaggio non dovranno preoccuparsi del loro corpo, perché ci sarà qualcuno che li terrà d’occhio. Se avete la sensazione di “morire, sciogliervi, esplodere o impazzire, lasciatevi andare. Salite scale, aprite porte, esplorate sentieri, sorvolate paesaggi”. E se vi trovate davanti a qualcosa che vi spaventa, “guardate il mostro negli occhi e andategli incontro. Puntate i piedi e chiedetegli: ‘Cosa ci fai nella mia mente?’. Oppure: ‘Cosa posso imparare da te?’. Cercate gli angoli più bui, e puntate lì la vostra luce”. Questa preparazione forse spiega perché durante gli esperimenti non si provano le sensazioni sgradevoli che a volte accompagnano l’uso ricreativo degli allucinogeni . All’inizio del viaggio Mettes aveva incontrato la moglie di suo fratello, Ruth, morta di cancro più di vent’anni prima, a 43 anni. Ruth “si è oferta di farmi da guida”, si legge nel resoconto, “e non sembrava sorpresa di vedermi. ‘Indossava’ il suo corpo translucido per permettermi di riconoscerla”. A un certo punto era comparsa Michelle Obama. “Tutta quella energia femminile intorno a me mi faceva capire chiaramente che una madre, qualsiasi madre, non può non amare i igli. Era un messaggio potente. So che stavo piangendo”. Mettes aveva avuto la sensazione di uscire dal ventre materno, di “essere partorito di nuovo”. Bossis si era accorto che Mettes stava piangendo e aveva il respiro pesante. Diceva che la nascita e la morte sono una grande fatica. Sembrava che avesse le convulsioni. Poi aveva aferrato la mano di Kalliontzi, aveva alzato le ginocchia e aveva cominciato a spingere, come se stesse partorendo. “Oddio”, aveva detto, “ora capisco tutto, è così semplice e così bello”. Intorno a mezzogiorno Mettes aveva chiesto di fare una pausa. “Le sensazioni stavano diventando troppo intense”, si legge nel diario del viaggio. Lo avevano accompagnato in bagno. “Perino i germi erano belli, come tutto il resto del nostro mondo e dell’universo”. Dopo la pausa, aveva esitato prima di tornare indietro. “La fatica era notevole, ma mi piaceva quel senso di avventura”. Si era rimesso la mascherina e gli auricolari e si era steso di nuovo. “Da quel momento in poi, c’è stato solo l’amore. Era ed è l’unico scopo della vita. L’amore sembrava emanare da un unico punto di luce. E vibrava. Nessuna sensazione, nessuna immagine di bellezza, niente nella mia vita sulla terra mi aveva mai dato un senso di purezza e di gioia estrema come il culmine di quel viaggio”. Alle dodici aveva detto qualcosa che Bossis si era appuntato. “Ok, adesso possiamo andarcene. Ho capito”. Poi aveva fatto un giro dei suoi polmoni, dove aveva “visto due macchie”. Non erano “niente di che”. Mettes ha scritto che gli “stavano dicendo, senza usare le parole, di non preoccuparsi del cancro. È una piccola cosa, una semplice imperfezione della tua umanità”. Poi aveva provato quella che ha deinito “una breve morte”. “Mi sono avvicinato a quello che sembrava un pezzo di acciaio inossidabile molto ailato. Somigliava a una lama di rasoio. Ho continuato a salire ino in cima a quello scintillante oggetto e quando sono arrivato in alto potevo scegliere se guardare o non guardare dall’altra parte, nell’abisso ininito”. Aveva issato “la vastità dell’universo”, esitante ma non spaventato. “Volevo entrarci dentro ma sentivo che se lo avessi fatto, avrei lasciato il mio corpo per sempre”, ha scritto. Ma sapeva che “lì c’era ancora molto” per lui. Quando aveva raccontato alle sue guide la scelta che aveva fatto, aveva spiegato che “non era ancora pronto per fare il salto e lasciare Lisa”. Alle tre di pomeriggio era tutto inito. “Il passaggio da uno stato in cui non Il paziente aveva issato la “vastità dell’universo”. E non era spaventato avevo nessun senso del tempo e dello spazio alla relativa monotonia della vita reale è stato rapido. E avevo mal di testa”. Quando Lisa arrivò per riportarlo a casa, Patrick “non aveva un bel colorito, era stanco e sudato, ma era entusiasta”. Diceva di aver toccato il volto di dio. La rete di default Ogni viaggio psichedelico guidato è diverso dagli altri, ma sembrano esserci dei temi ricorrenti. Alcuni dei malati di cancro che ho intervistato all’università di New York e alla Hopkins hanno detto di aver provato la sensazione di partorire o di essere partoriti. Molti hanno anche parlato di un incontro con il cancro che ha avuto l’efetto di diminuire il suo potere su di loro. Dinah Bazer, una donna timida sulla sessantina alla quale nel 2010 era stato diagnosticato un tumore alle ovaie, davanti alla massa nera che ha incontrato guardando dentro di sé ha urlato: “Vafanculo, non mi lascerò mangiare viva!”. Oggi racconta che ha smesso di preoccuparsi di avere una ricaduta: esattamente uno degli obiettivi dell’esperimento. Spesso durante il viaggio si ha un’improvvisa illuminazione sui grandi misteri della vita, rivelazioni del tipo “siamo una cosa sola” o “l’amore è tutto quello che conta”. La mente ritrova la sua capacità di stupirsi e simili idee acquistano la forza di verità rivelate. Il risultato è un’esperienza simile a quella di una conversione: secondo i ricercatori, l’efetto terapeutico è proprio in questo dettaglio. Roland Griiths paragona l’esperienza con la psilocibina a una sorta di “disturbo post-traumatico da stress al contrario, un evento che modiica, positivamente e a lungo termine, atteggiamenti, stati d’animo e comportamenti, e che, presumibilmente, produce cambiamenti anche nel cervello”. Diversi pazienti dicono di aver guardato oltre la vita. Tammy Burgess, a cui è stato diagnosticato un cancro alle ovaie a 55 anni, dice di essersi ritrovata a contemplare “la grande distesa della coscienza. Ero sola, ma potevo allungare la mano e toccare tutte le persone che avevo conosciuto. Quando fosse arrivato il mio momento, è li che sarei andata. E non sarebbe stato un problema”. Le descrizioni dei viaggi psichedelici sono molto diverse dai racconti dei sogni. Tanto per cominciare, il ricordo del viaggio non è solo vivido, ma molto dettagliato. Il racconto che ne deriva è luido e rimane invariato anche a distanza di anni. Come possiamo giudicare la veridicità delle illuminazioni che le persone hanno durante un viaggio psichedelico? Una cosa è arrivare alla conclusione che solo l’amore è importante, tutt’altra cosa è uscire da una terapia convinti che “c’è un’altra realtà” dopo la morte, come ha detto uno dei volontari, o che l’universo e la coscienza non sono solo quello che la visione puramente materialistica del mondo vuol farci credere. La terapia psichedelica serve solo a creare illusioni consolatorie nelle persone malate o vicine alla morte? “Questo va oltre le mie competenze”, ha risposto Bossis con un’alzata di spalle. Bill Richards ha citato William James, secondo cui il criterio per giudicare un’esperienza mistica non è la sua veridicità, ma le sue conseguenze, cioè se indirizza la vita di una persona in una direzione positiva. Molti ricercatori ammettono che la suggestione può svolgere un ruolo importante quando una sostanza come la psilocibina viene somministrata da professionisti in un contesto legale: in queste condizioni è molto più probabile che il paziente soddisi le aspettative del terapeuta. E che il viaggio non sia spiacevole. E poi – si chiede qualcuno – che importanza ha tutto questo se la terapia aiuta i malati? Forse il tentativo più ambizioso di sciogliere il mistero dell’esperienza psichedelica è stato fatto in un laboratorio dell’Imperial college di Londra, dove un neuroscienziato di nome Robin Carhart-Harris ha iniettato psilocibina e lsd a un gruppo di volontari sani per poi osservare quello che succedeva nel loro cervello usando tecniche diverse, dalla risonanza magnetica funzionale alla magnetoencefalograia. Nel 2010, quando Carhart-Harris ha cominciato a studiare l’efetto degli allucinoInternazionale 1101 | 8 maggio 2015 47 In copertina geni, i neuroscienziati pensavano che facessero aumentare l’attività cerebrale, e che fosse quello il motivo delle vivide allucinazioni e delle forti emozioni di cui parlavano i pazienti. Ma quando ha visto i risultati della prima serie di risonanze – che mettono in evidenza le zone del cervello più attive registrando i lussi di sangue e il consumo di ossigeno – Carhart-Harris ha scoperto che in realtà le sostanze riducevano l’attività in una particolare regione cerebrale: la rete di default. Sembra che questa rete sia tanto più attiva quanto meno siamo concentrati su un compito o meno attenti al mondo esterno. Si accende quando fantastichiamo, quando siamo impegnati in processi metacognitivi come l’autoriflessione, i viaggi mentali nel tempo, la meditazione. CarhartHarris descrive la rete di default come “il direttore d’orchestra”, “l’amministratore delegato” o la “capitale” del cervello, che “gestisce e tiene insieme l’intero sistema”. Molti ritengono che sia l’equivalente isico del sé autobiograico o ego. “Quello del cervello è un sistema gerarchico”, dice Carhart-Harris. “Le parti più elevate, come la rete di default, hanno una funzione inibitoria nei confronti di quelle più in basso, come le emozioni e la memoria”. Con il suo studio, lo scienziato ha scoperto che sotto l’inluenza degli allucinogeni il lusso sanguigno e l’attività elettrica della rete di default subiscono un calo improvviso, e questo potrebbe spiegare la perdita del senso di sé di cui parlano i volontari. Poco prima che Carhart-Harris pubblicasse i risultati del suo lavoro in un articolo uscito nel 2012 su Proceedings of the national academy of sciences, un ricercatore di Yale di nome Judson Brewer, che stava usando la risonanza magnetica funzionale per studiare il cervello delle persone esperte di meditazione, aveva notato che anche la loro rete di default era più tranquilla rispetto a quella dei meditanti meno esperti. A quanto sembra, quando l’ego è temporaneamente fuori servizio, il conine tra l’io e il mondo, il soggetto e l’oggetto, si dissolve. Questa è anche una caratteristica delle esperienze mistiche. Se la rete di default è il direttore d’orchestra dell’attività cerebrale, è presumibile che quando esce di scena si veriichi un aumento della dissonanza e del disordine mentale, come succede durante i viaggi psichedelici. Nelle scansioni cerebrali, Carhart-Harris ha trovato la prova che la disattivazione della rete di default “fa entrare in attività” altre zone del cervello. E questo consente ai contenuti mentali che nelle normali condizioni di veglia sono na- 48 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 scosti (o rimossi) – emozioni, ricordi, desideri e paure – di affiorare alla coscienza. Regioni che di solito non comunicano direttamente tra loro cominciano a parlarsi (i neuroscienziati a volte chiamano questo fenomeno “interferenza”), spesso con risultati bizzarri. Carhart-Harris non ha una visione romantica degli allucinogeni, ed è piuttosto insofferente nei confronti del “pensiero magico” e “metaisico” che evocano. Secondo lui, gli stati di coscienza che innescano sono regressioni a un “tipo di cognizione più primitivo”. Sulla scia di Freud, lo scienziato sostiene che l’esperienza mistica – da qualunque cosa sia stata originata Gli ostacoli alla difusione della terapia psichedelica sono ancora molti – ci riporta alla condizione psicologica del neonato, che non ha ancora sviluppato il senso del sé. Il valore psicoanalitico degli allucinogeni, a suo avviso, è quello di consentirci di portare il funzionamento dell’inconscio “a un livello osservabile”. L’angoscia esistenziale che accompagna la ine della vita presenta molte delle caratteristiche psicologiche di una rete di default iperattiva, compresa l’autorilessione eccessiva e l’incapacità di sfuggire ai pensieri negativi. Davanti alla prospettiva della propria dissoluzione, l’ego diventa ipervigile e smette di occuparsi del mondo esterno e degli altri. È sorprendente che un’unica esperienza psichedelica abbia il potere di modiicare la coscienza in modo duraturo. È quello che sembra essere successo a molti dei pazienti che hanno partecipato ai test clinici con la psilocibina alla Johns Hopkins e all’università di New York. Dopo il suo viaggio Patrick Mettes visse ancora 17 mesi e, secondo la moglie Lisa, in quel periodo riuscì ad accettare l’idea della morte. Il tabù più grande Nonostante gli incoraggianti risultati di questi test, gli ostacoli all’uso difuso della terapia psichedelica sono ancora molti. “Negli Stati Uniti non moriamo bene”, mi ha detto poco tempo fa Bossis mentre pranzavamo insieme in un ristorante vicino al suo centro di ricerca. “Provi a chiedere alle persone dove vogliono morire, e quasi tutte le risponderanno a casa con i loro cari. Ma quasi tutti moriamo in un reparto di terapia intensiva. Parlare della morte è il più grande tabù della medicina americana. Per un medico, lasciar morire un paziente è una sconitta”. Bossis e diversi dei suoi colleghi mi hanno detto di aver avuto serie diicoltà a reclutare pazienti nel reparto oncologico dell’università per i loro esperimenti con la psilocibina. “Sto cercando di mantenere in vita i miei pazienti”, ha risposto un oncologo a Gabrielle Agin-Liebes, che dirige il progetto. Solo quando sono cominciate ad arrivare le notizie di esperienze positive, le infermiere del reparto, ma non i medici, hanno deciso di parlarne con i pazienti. Quella di reclutare volontari è solo una delle diicoltà che incontra la fase 3 dello studio sulla psilocibina, che dovrebbe coinvolgere centinaia di pazienti in vari istituti e costare milioni di dollari. L’università del Wisconsin e l’università della California a Los Angeles stanno pensando di partecipare, ma l’approvazione della Fda non è ancora sicura. Se però l’esperimento riuscisse, il governo sarebbe costretto a eliminare la psilocibina dalla lista delle sostanze non utilizzabili a scopi medici. Inoltre, sembra improbabile che uno studio del genere ottenga un inanziamento pubblico. “Il National institute of mental health non è contrario alla ricerca sugli allucinogeni, ma dubito che voglia fare grossi investimenti”, mi ha confessato il direttore dell’istituto Tom Insel. Secondo lui dovrebbe prima analizzare “i possibili sviluppi” del progetto. Insel teme anche che sia “molto difficile trovare una casa farmaceutica interessata a sviluppare un prodotto simile, perché non potrà comunque essere brevettato”. È altrettanto improbabile che l’industria sia interessata a produrre una sostanza da somministrare solo una o due volte nel corso di un trattamento. “Se i risultati si possono ottenere con un’unica seduta, non c’è molto da guadagnare”, osserva Bossis. Ma Bob Jesse e Rick Doblin sono iduciosi di poter ottenere un inanziamento privato per la fase 3, e dopo aver parlato con diversi investitori penso che ci riusciranno. Nei discorsi della psicologa Katherine MacLean si sente l’eco dell’entusiasmo degli anni sessanta per le potenzialità degli allucinogeni e si avverte anche l’insoferenza per i vincoli imposti dal sistema sanitario. In passato sono stati proprio l’entusiasmo per gli allucinogeni e la frustrazione per la lentezza con cui arrivavano i risultati a scatenare la reazione che ha costretto a interrompere gli esperimenti. Ma l’idea di “far stare meglio le persone che stanno bene”, per usare una frase di Bob Jesse, è nei OPIOM GALLeRy pensieri di molti dei ricercatori che ho intervistato, alcuni dei quali mi sono sembrati più riluttanti a parlarne apertamente rispetto a scienziati meno istituzionali come Jesse e MacLean. Per loro il primo passo verso l’accettazione sociale è l’accettazione da parte dei medici. A Jesse piacerebbe che queste sostanze potessero essere somministrate da guide esperte “in contesti multigenerazionali” che, stando alle descrizioni, dovrebbero somigliare molto a comunità religiose. Altri prevedono che un giorno le persone che vorranno fare un’esperienza psichedelica – per motivi di salute mentale, ricerca spirituale o semplice curiosità – potranno andare in una sorta di “circolo della salute mentale”, come lo ha chiamato Julie Holland, un’ex psichiatra del Bellevue. Tutti hanno parlato dell’importanza di avere guide ben preparate e della necessità, inito il trattamento, di aiutare le persone a “interpretare” la loro esperienza per renderla utile. Questo non succede quando sostanze simili sono usate a scopo ricreativo. Quando ho chiesto a Rick Doblin se teme un’altra ondata repressiva, mi ha risposto che dagli anni sessanta sono stati fatti molti progressi: “Quelli erano altri tempi. Allora la gente non parlava neanche del cancro e della morte. Alle donne davano tranquillanti prima di partorire e agli uomini non era permesso entrare in sala parto. Lo yoga e la meditazione erano considerati pratiche astruse. Oggi c’è più consapevolezza, tutti fanno yoga, esistono centri per la preparazione al parto e ospedali per i malati terminali ovunque. Queste cose fanno ormai parte della nostra cultura. Siamo pronti anche per gli allucinogeni”. Inoltre, ha osservato Doblin, molte delle persone che oggi occupano posti di responsabilità nelle istituzioni hanno sperimentato personalmente gli allucinogeni e ne hanno meno paura. A Bossis piacerebbe credere alle previsioni ottimiste di Doblin, e spera che con il suo lavoro riuscirà a introdurre gli allucinogeni nelle cure palliative. Ma sa anche che una novità simile potrebbe incontrare forti resistenze. “La nostra cultura ha paura della morte, della trascendenza e dell’ignoto: praticamente di tutto quello che è alla base della nostra ricerca”, mi ha detto. Quando ho accennato alla possibilità di “far stare meglio le persone che stanno bene”, Roland Griiths si è improvvisamente agitato e ha cominciato a scegliere le parole con cura: “Dal punto di vista culturale, è ancora pericoloso promuovere un’idea del genere”, ha detto. Ma mi è sembrato convinto del fatto che molti di noi potrebbero trarre vantaggio da queste molecole e, ancora di più, dalle esperienze spirituali a cui permettono di accedere. “Tutti dobbiamo affrontare la morte”, dice Griffiths. “Quell’esperienza è troppo preziosa per essere riservata solo ai malati”. u bt L’AUTORE Michael Pollan è un giornalista e saggista statunitense, autore del Dilemma dell’onnivoro (Adelphi 2008). Il suo ultimo libro è Cotto (Adelphi 2014). Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 49 Cambogia Social shopping Denise Hruby, Brand Eins, Germania Foto di Martin Roemers I colossi del commercio online hanno trascurato la Cambogia, scoraggiati dall’ineicienza dei servizi postali. Ma un imprenditore locale ha fatto fortuna vendendo abiti su Facebook ichet In, 26 anni, indossa un paio di bermuda rossi e una polo beige con il colletto arancione. Sembra un tipo a posto e abbastanza anonimo, lontano da come ci si potrebbe immaginare uno zar della moda. Eppure dirige una delle aziende cambogiane di moda di maggior successo. Tutto merito di internet e delle gravi ineicienze del suo paese, che scoraggiano colossi del commercio online come Amazon e eBay. In Cambogia solo il 4 per cento della popolazione ha un conto in banca, gli stipendi sono pagati in contanti e i soldi si tengono addosso. A questo bisogna aggiungere la pessima fama delle poste cambogiane, considerate corrotte e inaidabili. I pacchi spesso vengono smarriti, forse anche perché nell’unico uicio postale di Phnom Penh, una città di due milioni di abitanti, non si sono ancora messi d’accordo su quali sono i codici postali di ciascun quartiere. Il pagamento e la consegna delle merci devono essere sbrigati di persona, e nessuna azienda di commercio online straniera è riuscita ancora ad afermarsi. L’idea di fondare una startup chiamata Little Fashion è venuta a Vichet In quattro anni fa, mentre studiava economia negli Stati Uniti. “Dovevo comprare un regalo di Natale per la mia ragazza, che vive in Cambogia”, racconta l’imprenditore. Ha pensato subito ad Amazon e a eBay: avrebbe ordi- V 50 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 nato un regalo comodamente dalla sua stanza nel gelido Minnesota e l’avrebbe fatto recapitare all’indirizzo della sua ragazza nella loro città tropicale. Solo che in Cambogia Amazon non c’era, e neanche eBay. A dire il vero, non c’era nessun modo di fare acquisti online. Pioniere dell’f-commerce Su internet Vichet In ha trovato un fornitore cinese disposto a consegnare un vestito in Cambogia. La qualità sembrava buona, il prezzo molto conveniente. Ma poi ha capito che il fornitore glielo avrebbe venduto alla cifra concordata solo se ne avesse acquistati almeno venti. Vichet In non si è lasciato spaventare e ha cercato altre persone interessate a comprare lo stesso vestito pubblicando una foto su Facebook, dove all’epoca aveva già migliaia di amici. Il vestitino a iori ha suscitato un notevole interesse e in poco tempo l’ordine collettivo è stato spedito in Cina. A quel punto Vichet In si era incuriosito, e la settimana dopo ha pubblicato altre foto di abbigliamento. I suoi amici si sono mostrati di nuovo interessati. “Mi sono subito accorto che c’era un’opportunità di guadagno”, racconta Vichet. La sua Little Fashion vende l’80 per cento della merce attraverso una pagina Facebook dove ogni giorno compaiono foto di nuovi vestiti. I clienti ordinano i prodotti scrivendo commenti ai post, inviando un messaggio privato o facendo una telefonata. La consegna avviene entro ventiquattr’ore. In quattro anni la Little Fashion ha accumulato 700mila fan e con pochi dipendenti nel 2014 è riuscita a vendere più di 60mila vestiti. Nel 2011 ne aveva venduti tremila. I ritmi di crescita non sono mai inferiori al cento per cento. Nel suo paese, Vichet In è considerato un pioniere dell’fcommerce, dove la f sta per Facebook. Ogni settimana in Cambogia una nuova impresa cerca di raggiungere attraverso il social network il vasto mercato di giovani utenti di internet. In Europa la Cambogia è ancora associata a immagini di poveri orfani e ai khmer rossi che negli anni settanta decisero di trasformare il piccolo regno in uno stato agricolo uccidendo circa due milioni di persone. Ma da quando, all’inizio degli anni novanta, si sono tenute le prime elezioni libere, l’economia è cresciuta a ritmi rapidissimi. Tra il 1994 e il 2013 il pil del paese ha registrato in media un aumento del 7,7 per cento all’anno. Vichet In è tornato in Cambogia per aprire la sua ditta tre settimane dopo il primo ordine. Ha creato una pagina Facebook e ha invitato amici e parenti a comprare vestiti cinesi attraverso la Little Fashion. Dopo meno di un anno ha aperto una piccola boutique nel quartiere più esclusivo di Phnom Penh: gli interessati, spiega, dovevano poter verificare di persona la qualità della merce e l’onestà dell’azienda prima di diventare suoi clienti su Facebook. Ancora oggi chi acquista paga in contanti e i prodotti gli vengono consegnati da corrieri in motorino. Chea Phary è uno di loro. Quando ha l’ultimo turno, guida ino alle dieci di sera tra le strade polverose e gli stretti cortili interni dei palazzi di Phnom Penh. La capitale della Cambogia ha una popolazione numerosa concentrata in poco spazio, così che Phary raggiunge anche gli angoli più remoti in meno di mezz’ora. “Lavorare per la Little Fashion è una fortuna. Guadagno il doppio di quello che si prende con altri lavori di consegna”, dice Phary, 26 anni, indicando orgoglioso la giacca nera lucida con il logo dell’azienda. In genere raccoglie diversi pacchi alla volta e pianiica il percorso migliore prima di partire a tutta birra con il motorino. In questo momento è diretto verso la casa di Kim Sokkea, una cliente che ha ordinato due vestiti. Nelle strade costeggiate da palme, Phary scansa tutte le buche, gira intorno al monumento per l’indipendenza, passa davanti a trattorie che ofrono uova e spaghettini di riso e attraversa un ponte che PAnoS/LuzPHoTo Sothearos road, Phnom Pehn, 2009 porta nella parte meridionale e meno popolata della città, dove si ferma davanti a un’elegante casetta a schiera. Kim ha due igli, e il marito ha un lavoro ben pagato. Per i due abitini a iori che ha ordinato la sera prima, la donna paga l’equivalente di trenta euro. Al mercato, dove bisogna rovistare in enormi mucchi di vestiti, non è facile trovare qualcosa che le stia a pennello. “Invece i vestiti della Little Fashion sono disponibili in diverse taglie”. E poi con il servizio di consegna si risparmia il viaggio in città. Gli ingorghi, la ricerca del parcheggio, il caldo tropicale, per di più con due bambini piccoli: andare a fare acquisti può diventare un vero problema. Kim Sokkea preferisce starsene seduta sul divano di pelle bianca davanti al nuovo televisore a schermo piatto a bere una Coca-Cola e a studiare le ultime tendenze della moda su Facebook. Fa parte della giovane e ambiziosa classe media cambogiana, non si sa con precisione quanto sia numerosa, ma di certo sta crescendo. La Banca mondiale ha annunciato che nel 2015 la Cambogia passerà dalla condizione di paese a reddito minimo a quella di paese a reddito medio-basso. Inoltre il paese ha la popolazione più giovane del sudest asiatico: metà dei suoi circa quindici milioni di abitanti ha meno di 25 anni. La valuta più preziosa Fare acquisti su Facebook è di moda in Cambogia. Perino le stelle del pop nelle loro canzoni si lamentano del fatto che le loro amiche gli dedicano troppo tempo. Si clicca su “Mi piace”, si condividono e si commentano post e si fanno parecchi acquisti e molti ragazzi hanno migliaia di amici. Qui Facebook è quasi sinonimo di internet. Per questo i giovani imprenditori cambogiani sono convinti che l’f-commerce non sia solo un fenomeno passeggero e che anche in futuro sarà l’alternativa al commercio tradizionale. Anche nei paesi occidentali molti hanno creduto che Facebook potesse fare concorrenza ad Amazon nel commercio online. Marchi come Gap e J.C. Penney avevano integrato nella loro pagina Facebook delle app per gli acquisti, che però hanno tolto dopo meno di un anno. Secondo il consulente svizzero di marketing digitale Thomas Hutter, molti esitano a pagare con la carta di credito su una pagina Facebook perché temono che qualcuno possa appropriarsi dei loro dati. Le aziende più piccole cercano di aggirare questo ostacolo con le aste online: l’oferta si fa su Facebook, ma il pagamento avviene attraverso un altro sito. Dal 2014, inoltre, le aziende di commercio online hanno la possibilità di incoraggiare gli acquisti immediati con un apposito pulsante messo sotto l’inserzione. In Cambogia tutto questo non serve. I clienti si accontentano di ordinare con un messaggio o una telefonata. Vichet In si sta già dando da fare per ampliare il suo assortimento aggiungendo l’abbigliamento per bambini e per uomo. “E poi quest’anno voglio raggiungere la soglia del milione”. Si riferisce al numero di fan della sua pagina Facebook, la sua valuta più preziosa. u fp Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 51 Stati Uniti AndRew BuRton (Getty IMAGes) Studenti di Baltimora durante le proteste contro la polizia, 29 aprile 2015 Le scuole di Baltimora tolgono la speranza D. Watkins, Aeon, Regno Unito negli stati uniti il sistema scolastico raforza le discriminazioni contro i neri. e spesso è l’anticamera del carcere. La denuncia di uno scrittore utta, mio nipote di tredici anni, iniva nei guai tutte le settimane. Rispondeva male agli insegnanti, ignorava gli ordini della preside e usciva dall’aula durante le lezioni. A un certo punto mia sorella è stata costretta a prendersi un po’ di tempo ogni mese per andare a parlare con gli insegnanti, ma neanche questo ha funzionato. Butta è un ragazzino innocuo e cicciot- B 52 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 tello, di quelli che ci tengono a condividere le patatine con gli amici e sarebbero felici di lasciarti l’ultimo morso del loro panino. Fuori dalla scuola non ha mai avuto problemi, e questo è tutto dire considerato che suo padre, io e gli altri suoi zii eravamo già stati arrestati o cacciati da scuola almeno una volta quando avevamo la sua età. “Cosa sta succedendo a scuola?”, gli ho chiesto. “I miei insegnanti mi odiano e mi mandano dal signor Ronald, un supplente che sta tutto il giorno attaccato al telefonino e dice di non aver bisogno di questo lavoro perché ha un’azienda. Ma lui non ce l’ha mica un’azienda!”. Butta frequenta la scuola media, quindi dovrebbe avere più di un insegnante. Ma nel suo istituto i ragazzi problematici vengono spostati in un’aula dove se ne stanno tutto il giorno in compagnia dello stesso supplente che gli permette di giocare a dadi e a carte, di collegarsi ai social network, di ballare, di salire sui banchi e di fare fondamentalmente tutto quello iuti abbiamo raggiunto l’uicio. Davanti alla porta c’erano molti genitori e tutori dall’aria preoccupata che, come me e mia sorella, stavano cercando di capire cosa fare per garantire ai loro ragazzi un’istruzione decente. Abbiamo salutato la segretaria, che sembrava simpatica. Si ricordava di mia sorella e ci ha chiesto di irmare un registro prima di mandarci nell’aula di Butta. L’odore sgradevole delle scale ci ha accolto di nuovo mentre procedevamo verso il piano superiore. Se l’ingresso della scuola sembrava un carcere, il secondo piano, quello di Butta, somigliava a un ospedale psichiatrico. C’erano studenti che correvano nei corridoi, banchi che volavano, una scia di fogli con e senza voti sparpagliati dappertutto, scene di lotta che venivano riprese con i cellulari, musica rap a tutto volume, ragazzini che giocavano a carte e che interagivano tra di loro a suon di parolacce, il tutto avvolto dalla stessa puzza rivoltante. Il tanfo era così forte che riuscivo a sentirlo in tutto il corpo, e ho cominciato a sperare che non mi restasse attaccato ai vestiti. “Eccoci qua”, ha detto mia sorella con un sorriso imbarazzato. Come a dire: questa scuola è la mia unica opzione. Sta crescendo Butta da sola, e anche se ognuno di noi le dà un piccolo aiuto economico, la scuola privata è comunque troppo costosa. Nell’aula di Butta era in corso una festa simile a quelle che si vedono spesso nella zona est di Baltimora: ragazzi che ballavano prendendosi a spintoni, studenti che saltavano da un banco all’altro e uno dei supplenti di cui aveva parlato Butta che mandava sms e controllava gli aggiornamenti su che vogliono. Anch’io, quando andavo alle medie, facevo il bullo con i supplenti: tutti prendono in giro i supplenti quando l’insegnante di ruolo è assente, ma Butta e i suoi compagni di classe lo facevano da mesi. Tutti sanno quanto sono violente le scuole medie di Baltimora. Tempo fa ho parlato con Stacey Cook, un’ex insegnante della scuola elementare e media James McHenry, nella zona sud della città. Cook mi ha raccontato che l’anno scorso ci sono state diverse sparatorie davanti all’istituto durante le lezioni: “Un giorno l’insegnante di ginnastica si è quasi trovato sotto il fuoco incrociato. Temendo per la sua vita, ha suonato il campanello e ha implorato di lasciarlo entrare. Ma il preside ha aspettato che la sparatoria inisse, spiegando che non c’era nient’altro da fare. L’insegnante di ginnastica, io e molti altri ce ne siamo andati alla ine dell’anno”. Sono contento che nessuno abbia mai sparato contro la scuola di mio nipote, ma la sua esperienza scolastica è comunque criminale. Stare rinchiusi in un’aula per sei ore o più al giorno, circondati dal caos e da un supplente che armeggia con il suo telefonino dovrebbe essere illegale. Catene secolari Da sapere Dalle aule al carcere Tasso di incarcerazione degli statunitensi per età, istruzione ed etnia, in % Neri senza diploma di scuola superiore Bianchi senza diploma di scuola superiore 20-24 anni Tutti i neri Tutti i bianchi 25-29 anni 35 28 21 FoNTE: PEw RESEARCH CENTER Ho pensato che probabilmente Butta e i suoi insegnanti avevano un problema di comunicazione e che potevo fare da mediatore. Molti insegnanti dell’istituto sono abituati ad avere a che fare con bambini che hanno un solo genitore (sempre che ne abbiano uno): volevo essere la voce obiettiva che valuta tutti i punti di vista nella speranza di aiutare mio nipote a costruire un rapporto proicuo con la sua docente e a rimettersi in carreggiata. Così ho deciso di fare un salto a scuola insieme a mia sorella. Un lunedì mattina abbiamo parcheggiato davanti all’istituto. L’ediicio era immerso in una graziosa zona alberata e da fuori sembrava pulito. Appena entrati ci siamo ritrovati in uno stretto corridoio. Tre guardie con divise troppo strette per il loro isico robusto ostruivano il passaggio. Sembravano secondini. Il metal detector installato all’ingresso era fuori uso, così, come succede nelle prigioni, una delle guardie ci ha perquisito con uno scanner portatile mentre un’altra controllava le nostre credenziali. Superato l’esame, ci siamo diretti verso l’uicio della preside, al primo piano in fondo al corridoio. Le scale puzzavano di preservativi usati e di piscio di topo. Residui di canne, luidi non meglio identiicati e carte di caramelle ricoprivano il pavimento. Scavalcando i ri- 14 7 0 1960 2010 1960 2010 Facebook. Uno degli obiettivi principali della nostra visita era liberare Butta dal supplente e farlo tornare dalla sua vera insegnante, che però quel giorno non c’era: in seguito siamo venuti a sapere che era stata presa a calci e a pugni da un gruppo di ragazzine di terza media inferocite perché i loro cellulari erano stati coniscati. È diicile ricevere una buona istruzione in questo contesto. Non credo che un bravo insegnante potrebbe fare un lavoro eicace. Durante la mia visita ho notato che i computer erano vecchi, che i libri di testo erano rovinati e che nell’aula non c’erano più di dieci gradi: anche se c’erano almeno trenta ragazzi che trasudavano pubertà da tutti i pori faceva comunque freddo. Come si fa a seguire le lezioni con questo freddo? Com’è possibile che in un’importante città degli Stati Uniti del 2014 le aule non siano riscaldate? Perché l’uicio centrale era grazioso e accogliente mentre le aule erano dei congelatori? Non che fossi stupito. La mia esperienza della scuola media è stata identica, dalla puzza alla mancanza di strumenti tecnologici ino agli insegnanti esausti o disinteressati che a metà dell’anno scolastico lasciavano il posto a una silza di supplenti. A questa situazione bisogna aggiungere la sensazione di andare a scuola in una zona di guerra. La mia storia e quella di Butta si inseriscono nella lunga tradizione dell’esperienza scolastica degli afroamericani negli Stati Uniti. Alla ine degli anni novanta il mio americanissimo e bianchissimo insegnante di storia della scuola media ci faceva addormentare con lunghissime ilippiche patriottiche. Alzava lo sguardo al cielo e ci spiegava che gli Stati Uniti sono l’unico posto dove si può arrivare senza possedere nient’altro che la propria religione e un sogno e ottenere un successo straordinario. Capivo il concetto del sogno, ma sapevo che i miei antenati erano arrivati qui portando con loro solo paura, catene e incertezza. Non erano persone in cerca di speranza, ma prigionieri costretti a coltivare e a costruire il cosiddetto mondo libero. Mentre gli schiavi africani passavano giorni interminabili cucinando, pulendo e sudando nei campi e occasionalmente subendo stupri, pestaggi e linciaggi, i igli dei loro padroni studiavano. Nell’ottocento spuntarono scuole in tutti gli Stati Uniti, e alla ine del secolo l’istruzione pubblica gratuita era a disposizione di tutti i bambini bianchi. I neri vivevano in America dal 1619 e praticamente non ricevettero nessuna istruzione ino al 1863, quando il presidente Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 53 Stati Uniti Abraham Lincoln promulgò il Proclama di emancipazione. I neri, insomma, hanno avuto uno svantaggio di 244 anni: 244 anni in cui i bianchi sono stati esposti ai ragionamenti scientiici e al pensiero ilosoico, in cui hanno scoperto il potere dei libri e della lettura e in cui hanno potuto trasformare i sogni in realtà. “Esiste un mito molto difuso secondo cui l’istruzione e i libri sono elementi della cultura bianca”, mi ha detto tempo fa Eric Rice, un esperto di sistemi scolastici delle aree urbane della facoltà di pedagogia della Johns Hopkins university. “Ma gli afroamericani hanno desiderato per molto tempo un’istruzione. Nel sud schiavista esistevano leggi che impedivano di insegnare a leggere agli schiavi, e i neri che cercavano di imparare a leggere venivano picchiati o perino uccisi. Ma la richiesta di istruzione è sempre stata enorme”. L’amministrazione Lincoln fece sforzi importanti per rimediare ai torti subiti dai neri in vari settori (compresa l’istruzione) almeno ottomila ex schiavi avevano cominciato ad andare a scuola. Otto anni dopo gli studenti neri erano diventati ventimila, e le scuole per neri faticavano a contenerli tutti. Decine di bambini si accalcavano in quelle baracche cercando di competere con i compagni tra banchi rotti o inesistenti, acqua che colava dal soitto e mezzi limitati. “Le prime scuole per neri ricevevano molte attrezzature e libri usati dalle scuole per bianchi”, racconta Rice. “Le risorse destinate agli istituti per neri erano più scarse e di qualità inferiore rispetto a quelle assegnate alle scuole per bianchi. Le aule erano più afollate e gli insegnanti meno qualiicati”. Ci permisero di andare a scuola, ma non allo stesso livello dei bianchi. Con il passare degli anni le leggi che imponevano la segregazione razziale fecero aumentare il divario. Alla ine dell’ottocento diciassette stati più il District of Columbia approvarono leggi che imponevano la segregazione nelle scuole, e altri quattro stati la resero possibile. Nel 1951 tredici fa- Se le scuole sembrano prigioni e le prigioni sembrano scuole, ci comporteremo come studenti o come detenuti? attraverso l’istituzione, nel 1865, del Freedmen’s bureau. L’agenzia distribuiva vestiti, cibo e lavoro ai neri liberati dopo la ine della guerra civile e li aiutava a diventare cittadini statunitensi. Aveva perino l’autorità di assegnare dei terreni. La fase della ricostruzione – gli anni subito dopo la guerra civile, nei quali il sud sarebbe dovuto rinascere – era l’occasione giusta per aiutare i neri a integrarsi nella cultura dominante attraverso l’istruzione. Per la prima volta gli statunitensi assistettero all’ascesa di imprenditori, politici e sacerdoti neri, ma il paese non sfruttò quell’opportunità. Quel successo non produsse nessuna rivoluzione nell’istruzione degli afroamericani. Quando Lincoln fu ucciso, la sera del 15 aprile 1865, morirono anche le sue promesse. Andrew Johnson, il suo successore, bloccò la nuova legge sul Freedmen’s bureau e coniscò agli afroamericani le terre che avevano appena ricevuto e le restituì ai bianchi che le avevano occupate prima della guerra. Tra il 1866 e il 1869 Johnson privò di poteri l’uficio, che fu smantellato deinitivamente da Ulysses Grant nel 1872. Certo, in quel periodo furono create alcune scuole per schiavi liberati. A un anno dal Proclama di emancipazione, in Georgia 54 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 miglie nere di Topeka, in Kansas, fecero causa all’uicio scolastico. Come i loro antenati, volevano un’istruzione di buona qualità per i loro igli, qualcosa di simile a quello che i bambini bianchi degli Stati Uniti ricevevano da decenni. Il processo passò alla storia come Brown v. Board of education (Brown contro il consiglio scolastico). I nove giudici della corte suprema dichiararono all’unanimità che le scuole separate per bianchi e neri erano anticostituzionali. Fu una vittoria importante per gli studenti afroamericani, che cominciarono a sperare in un cambiamento. Ma l’idea di un’istruzione comune per neri e bianchi fece impazzire il paese. L’11 giugno 1963 George Wallace, il governatore dell’Alabama, si piazzò davanti all’ingresso dell’auditorium dell’università dell’Alabama insieme ad alcuni agenti della polizia locale per impedire agli studenti neri di entrare. Si arrese solo quando il presidente John F. Kennedy decise di mandare sul posto la guardia nazionale. Molti genitori bianchi, inorriditi al pensiero che il iglio potesse stare in classe con un “negro”, decisero di trasferirsi. Se ne andarono nei sobborghi ai margini delle città, portandosi dietro i loro i contributi iscali, le loro risorse e le loro scuole di qualità. Il potere economico aveva molte armi per tenere i neri lontani dai bianchi. Come il blockbusting, una pratica che consisteva nel far scendere il valore degli immobili in un quartiere facendo circolare voci sull’arrivo imminente di un gruppo “indesiderato”. E il redlining, con cui le banche negavano o rendevano più costosi i loro servizi allo scopo di determinare la composizione razziale di una zona. Così eccoci qui: una combinazione di scuole povere, segregazione istituzionalizzata e carenza di fondi ha alimentato le profonde radici dell’istruzione negata ai neri. Non solo: ha anche raforzato le fondamenta su cui si basa l’attuale divario nel rendimento scolastico. Tutti questi avvenimenti e queste politiche hanno prodotto quella che possiamo deinire la tradizione del fallimento. Questa tradizione non è autoinlitta. Certo, noi afroamericani possiamo assumerci una parte di responsabilità per le condizioni in cui viviamo, ma spesso non abbiamo idea di quello che succede perché discendiamo da persone che non hanno mai avuto idea di quel che succedeva, in dal giorno in cui i nostri antenati partirono da Elmina, il porto usato nella tratta degli schiavi in Ghana da cui ebbe inizio il nostro viaggio verso il nuovo mondo. Ma la cosa peggiore – e che neanche i miei antenati schiavi avrebbero mai potuto immaginare – è che mentre ai neri veniva negata l’istruzione, le porte delle prigioni erano spalancate e ci accoglievano a braccia aperte. Michelle Alexander, un’avvocata che si occupa di diritti civili all’università statale dell’Ohio, autrice di The new Jim Crow, aferma: “Il sistema della giustizia penale è stato applicato in modo strategico per ricacciare gli afroamericani in un sistema di repressione e controllo, una tattica che avrebbe continuato a dimostrarsi eicace per generazioni”. Butta si trasferisce Negli Stati Uniti esiste un canale diretto che conduce i neri dalla scuola al carcere. M.K. Asante, scrittore, rapper e docente alla Morgan state university di Baltimora, ha parlato di questo circolo vizioso in Buck (2013), il libro in cui racconta la sua infanzia a Filadelia. Asante aferma che molti suoi amici sono initi sulla cattiva strada a causa dei problemi che hanno avuto a scuola. “C’è un rapporto tossico tra le scuole, le prigioni e i politici che si fanno inanziare le campagne elettorali da aziende che traggono vantaggi dalla detenzione di massa, dal lavoro dei detenuti e dagli appalti. Le scuole per neri fanno parte dell’in- SHANNON STApLETON (REUTERS/CONTRASTO) Alcuni ragazzi lanciano sassi contro i poliziotti. Baltimora, 27 aprile 2015 neri delle scuole di Baltimora ottiene risultati adeguati alla sua classe. Ma c’è di peggio: oggi in Maryland solo il 57 per cento dei maschi neri riesce a prendere il diploma di maturità, contro l’81 per cento dei maschi bianchi. Ogni anno centinaia di ragazzini neri abbandonano le scuole superiori di Baltimora. Entrano nel mondo degli adulti senza saper leggere e capire un quotidiano e senza essere in grado di trovare un lavoro Da sapere Nuova segregazione Iscritti alle scuole pubbliche dove almeno metà degli studenti appartiene a una minoranza etnica, % Ispanici 80 Neri 60 Asiatici 40 FONTE: pEw RESEARCH CENTER dustria delle prigioni”. Asante è convinto che nelle comunità urbane povere le scuole servano solo a preparare gli studenti neri al carcere. “La scuola dell’obbligo dovrebbe preparare gli studenti all’università o a un mestiere. Ma pensateci: ci sono sbarre alle inestre, guardie come quelle delle prigioni e metal detector. Tutto è strutturato come in un penitenziario. La combinazione di questi elementi produce un terreno di coltura per la prigione”. A un certo punto nel suo libro Asante si chiede: “Se le scuole sembrano prigioni e le prigioni sembrano scuole, ci comporteremo da studenti o da detenuti?”. L’atmosfera in cui si è svolta la mia esperienza scolastica spiega perché tanti miei compagni di classe non sono arrivati ino alle superiori. E anche se io ho portato a termine gli studi, buona parte di quello che vedo mi fa pensare che sia più facile entrare nel mondo del crimine che imparare a leggere: sembrerà pazzesco, ma potrebbe essere vero. Non so quanti spacciatori ci siano tra i coetanei di Butta, ma ad aprile del 2014 il Baltimore Sun ha reso pubblico un rapporto sul rendimento scolastico della nostra città: “Stando ai risultati del test che misura il livello nazionale del progresso scolastico, in terza media solo il 7 per cento dei ragazzi Totale 20 Bianchi 0 1990 1995 2000 2005 2010 che copra le spese per mangiare e avere una casa”. In molte scuole a maggioranza nera degli Stati Uniti c’è qualcosa che manca. Di qualunque cosa si tratti, è la strada a colmare il vuoto. La strada fornisce un’istruzione su tutto quello che le scuole non sono in grado di insegnare, come lo spirito di gruppo, le opportunità di guadagno e l’amore. Un amore assente nei freddi corridoi di scuole come quelle che Butta, io e milioni di altri afroamericani abbiamo frequentato. Dopo la mia visita, la scuola di Butta è stata chiusa insieme ad altri istituti della città. Mio nipote e i suoi compagni sono stati trasferiti in un’altra scuola in un altro quartiere, andando a pesare su un istituto già sovrafollato. La nuova scuola è quasi identica alla vecchia. Oggi mio nipote riceve un’istruzione leggermente migliore, ma non si sa quanto durerà: nel 2015 a Baltimora probabilmente chiuderanno altre scuole a causa della proposta di Larry Hogan, il governatore repubblicano del Maryland, di ridurre di 35 milioni di dollari le spese per le scuole pubbliche della città. Ma il problema non riguarda solo Baltimora. A Filadelia ci sono scuole che ospitano ino a cinquanta studenti per classe e sono piene di topi. Spesso sento qualcuno lamentarsi del Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 55 Stati Uniti fatto che le nostre scuole sono in rovina. Ma è proprio così? Le nostre scuole sono in rovina oppure il sistema funziona esattamente come vorrebbero le persone che lo hanno creato? Negli anni in cui ho seguito i corsi di scienze dell’educazione alla Johns Hopkins ho studiato la cosiddetta teoria della “riproduzione sociale” elaborata dal sociologo Christopher Doob. Secondo questa teoria, per perpetuarsi il capitalismo ha bisogno di produrre un certo numero di lavoratori a salario minimo e di detenuti, e questo implica la creazione di strutture sociali che riproducano questo meccanismo. “La riproduzione sociale è un fenomeno reale”, mi ha detto Rice, “ma non credo che sia intenzionale. Il sistema tende a produrre le persone che servono per i posti di lavoro che saranno disponibili. Sentiamo tutti questi discorsi sulla necessità di insegnare il pensiero critico perché i lavori del futuro si tro- cento. Molte scuole statunitensi hanno adottato con successo il modello di Canada, insieme ad altri nuovi modelli che cercano di preparare i ragazzi all’università. Se queste soluzioni funzionano, perché non possono essere applicate a tutte le scuole pubbliche? Perché non possiamo sviluppare nuovi metodi d’insegnamento e ottenere livelli d’istruzione più alti? Ho fatto questa domanda a Rice, che a Baltimora siede anche nel consiglio direttivo di due charter schools (istituti che ricevono denaro pubblico ma hanno maggiore autonomia rispetto alle altre scuole). “Il successo di Geofrey Canada è dovuto in gran parte alla sua capacità di raccogliere fondi. Canada ha trovato donatori e sostenitori che generalmente non sarebbero disposti a inanziare il sistema scolastico. Non sono sicuro che questo sia un modo sostenibile di risolvere i problemi più gravi di intere Non abbiamo a che fare solo con un sistema scolastico fallimentare o con milioni di famiglie sfasciate. Siamo di fronte a un fallimento secolare veranno nel campo delle scienze, della tecnologia, dell’ingegneria, della matematica e dell’informatica. In realtà in futuro una quantità enorme di posti di lavoro sarà nei fast food, nelle industrie dei servizi e in molti settori dove lo spirito critico non è richiesto. Non voglio dire che questo meccanismo sia stato pianiicato a tavolino, ma trovo interessante che continuiamo a produrre masse di persone adatte a questi lavori e che in genere le masse provengano da questo sistema scolastico”. Scuole come quelle che abbiamo frequentato Butta e io sono inanziate dalle tasse sulla proprietà immobiliare versate in quartieri pieni di case popolari e complessi sbarrati con assi di legno. In pratica i poveri pagano per perpetuare la propria miseria. Questo sistema, insieme al modo in cui viene imposta la legge, raforza il legame tra la scuola pubblica e il carcere. Esistono proposte concrete per invertire questa tendenza. Come quelle di Geofrey Canada, un esperto di pedagogia di New York. Canada ha individuato le disparità nell’accesso all’istruzione degli studenti afroamericani e ha creato un modello per afrontarle dal basso, creando scuole che seguono regole diverse. La sua iniziativa, la Harlem children’s zone, ha prodotto una serie di classi di liceali con un tasso di ammissione all’università superiore al 92 per 56 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 aree urbane. Credo che se vogliamo veramente risolvere il problema dobbiamo prima afrontare questioni legate alla povertà, al sistema sanitario e all’accesso al mercato del lavoro”. Rice parla una lingua che ci riporta alle radici di tutti i problemi della pubblica istruzione. L’idea che le comunità siano strutturate per creare generazioni di studenti emarginati che a loro volta creano generazioni di studenti emarginati raforza l’idea della riproduzione sociale. Uno stile di vita Modernizzare il sistema della pubblica istruzione è solo metà dell’opera, dice Celia Neustadt, la fondatrice del Baltimore’s inner harbor project, un’organizzazione non proit che lavora con le scuole e con gli adolescenti in progetti di rinnovamento sociale. Secondo Neustadt, il progetto ha avuto successo perché è rimasto al di fuori del sistema. “I ragazzi con cui lavoro si confrontano con la realtà di dover mantenere la loro famiglia e di tenerla al sicuro”, spiega. Per aiutare adolescenti cresciuti in famiglie povere ad andare bene a scuola e ad arrivare al college bisogna ricorrere a una serie di strumenti completamente nuovi. Il fallimento del sistema educativo statunitense è così radicato nella storia che non riusciamo neanche a vederlo chiaramente, iguriamoci a sradicarlo. Gli afroa- mericani non sono stupidi. Le nostre conquiste nel campo della scienza, dell’innovazione, dello sport, del commercio e della politica sono straordinarie, soprattutto se si considerano gli ostacoli che abbiamo dovuto superare per ottenerle. In effetti, dovremmo essere giudicati in base al nostro spirito di sopravvivenza. Mi ricordo di quando, dopo il crollo dei mercati inanziari del 2008, ho chiesto al mio amico Ron, che vive a Baltimora ovest, cosa pensasse della recessione. Lui è scoppiato a ridere: “Recessione? Quale recessione? Da queste parti è rimasto tutto uguale”. In efetti per molti neri la crisi è stata una specie di evento riequilibratore: persone che non appartenevano alle nostre comunità hanno cominciato a provare il dolore a cui siamo abituati. Siamo nati in uno stato di recessione permanente dove far durare venti dollari una settimana non è un miracolo ma uno stile di vita. Dove i forni sono usati spesso per riscaldare la casa, tutti lavorano al nero e ogni giorno bisogna pensare a un nuovo stratagemma per tirare avanti. È un dato di fatto: gli afroamericani vogliono imparare ed essere brillanti come tutti gli altri. Gli esperti possono contribuire a colmare il divario nel rendimento, ma solo se si prenderanno il tempo di capire la realtà con cui hanno a che fare molti studenti neri. Il mio rimedio è la letteratura: voglio che più persone dei quartieri a basso reddito sviluppino un amore per la lettura scrivendo storie che parlino direttamente a persone colpite dalla povertà e le incoraggino a scrivere. Ma tutti abbiamo l’obbligo morale di fare qualcosa per risolvere il problema. Dobbiamo riformare il sistema in modo che possa creare un’esperienza di apprendimento dignitosa per tutti gli studenti. Perché non abbiamo a che fare solo con un sistema scolastico fallimentare e con milioni di famiglie sfasciate. Abbiamo di fronte un fallimento di portata storica, che dura da secoli. Riconoscerlo è il primo passo per produrre un cambiamento reale, anche se accettare i fallimenti non è mai stato un nostro punto di forza. Nessuno può fare tutto da solo, ma se seguiremo il proverbio etiope “quando i ragni si uniscono possono legare un leone”, avremo più possibilità di risolvere questi problemi insieme e di creare un paese degno del sogno dei suoi fondatori: ofrire a tutti una possibilità di successo. u fp L’AUTORE D. Watkins è uno scrittore nato a Baltimora. Scrive anche su Vice, Huington Post e Salon. Nel 2016 uscirà il suo libro di memorie Cook up. Libia Tra gli scaisti di Zuwara Patrick Kingsley, The Guardian, Regno Unito. Foto di Lorenzo Meloni I traicanti di esseri umani attivi sulla costa libica agiscono impunemente. Comprano le barche dai pescatori, estorcono denaro ai migranti, corrompono le guardie costiere. E spesso lasciano ad altri il compito di afrontare la traversata entre cala la notte sul porto di pescatori di Zuwara, un barcone di legno azzurro con una s ottile stris cia bianca sullo scafo si stacca silenziosamente dal molo. Lungo almeno 17 metri, non è molto diverso dalle altre decine di pescherecci lì intorno. Ma un contrabbandiere di gasolio, che mi passa accanto, capisce subito di cosa si tratta. È un momento strano per andare a pesca, commenta. Poche ore fa quella barca potrà pure essere rientrata in porto carica di pesci, ma questa notte trasporta centinaia di profughi verso l’Italia. Solo il giorno prima, il 19 aprile, ottocento persone sono annegate in mare. Su quella stessa rotta ora comincia un nuovo viaggio. “Saranno in duecento”, dice il contrabbandiere. “Come minimo”. Questa scena spiega perché sia praticamente impossibile cercare di risolvere la crisi dell’immigrazione nel Mediterraneo prendendo di mira gli scaisti e le loro imbarcazioni. Poco prima che il barcone salpasse dal porto di Zuwara, l’Unione europea aveva minacciato un’operazione militare contro gli scaisti. Ma dalle interviste a due traicanti di esseri umani e una persona che lo è stata solo temporaneamente emerge un problema: le imbarcazioni usate per la tratta degli esseri umani sono dei normali pescherecci. Gli scaisti non hanno un porto dove tengono barche facili da M 58 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 identiicare e pronte a essere bombardate. Comprano i barconi dai pescatori pochi giorni prima delle traversate. Per distruggere il potenziale bacino di rifornimento, l’Unione europea dovrebbe radere al suolo interi porti di pescatori. “In Libia il pesce costa molto perché ci sono poche barche con cui andare a pescare”, mi spiega un traicante di esseri umani che dice di chiamarsi Hajj. “Le prendono tutte gli scaisti”. Hajj dovrebbe essere preoccupato. Se l’Europa decidesse di lanciare un’operazione militare, uno dei primi obiettivi potrebbe essere lui, che a quanto pare gestisce più della metà delle traversate in partenza da Zuwara. Ma Hajj è tranquillo. Si sdraia su un ianco, appoggia i piedi su un cuscino e assaggia due pesci. Li manda giù con una bottiglia di birra analcolica e mangia degli spicchi di mela. Poi si mette ad ascoltare con alcuni amici la musica ber- bera che esce a tutto volume dagli altoparlanti di un’auto parcheggiata lì vicino. “Non sono in pericolo”, dice Hajj, 33 anni, laureato in legge. “Sono anni che ripetono le stesse minacce. Lasceranno perdere anche stavolta. Cosa pensano di fare, mettere due navi da guerra di guardia al porto? In acque libiche? Sarebbe un’invasione”. Hajj e i suoi amici se la ridono. Che tipo d’intervento militare potrebbe mai fermare un traico tanto complesso e radicato non solo nell’economia costiera, ma in tutto il Nordafrica? Un traico che ormai non dipende solo da pochi esperti ma sempre di più, dopo la rivoluzione libica del 2011, da una serie di reti informali che nascono e scompaiono nel giro di una settimana. “Chi? Dove?”, si chiede un amico di Hajj. “Nessuno ha scritto ‘scaista’ in fronte. Uno che rimane senza soldi può vendere il suo appartamento, comprare una barca e organizzare un viaggio per i migranti. Alla seconda traversata avrà già recuperato metà del prezzo dell’appartamento”. Hajj fa questo lavoro da dieci anni ed è uno dei traicanti di esseri umani più famosi di Zuwara. Ma da un po’ di tempo alcuni nuovi arrivati stanno facendo scendere i prezzi e gli fanno concorrenza per l’acquisto delle barche. “Prima era più rischioso buttarsi in un’attività del genere, ora è un mercato aperto”, conclude Hajj. Profughi e migranti arrivano agli scaisti per vie diverse, e ognuna è una specie di moderna odissea che porta le persone a CONTrASTO Libia, ottobre 2014. Un migrante morto sulla spiaggia di Zuwara girovagare per migliaia di chilometri in vari paesi prima di raggiungere la costa libica. “La Libia è bagnata da due mari”, fa notare Samer Haddadin, il capo della missione dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) a Tripoli. “Da una parte c’è il Mediterraneo, ma a sud si estende il mare di sabbia del Sahara. Parte dei migranti viene da sud, dal Niger o dal Sudan, e anche quel viaggio è molto rischioso”. Spesso i siriani, che nel 2014 sono stati il gruppo più numeroso ad attraversare il mar Mediterraneo, si dirigono a sud verso la Giordania, passano per l’Egitto e il Sudan e poi tornano a nord. Anche gli eritrei, il secondo gruppo più numeroso, afrontano il pericoloso viaggio attraversando il Sudan, dove corrono il rischio di essere rapiti. Invece i migranti dell’Africa occidentale (nigeriani, ghaneani, senegalesi) vanno prima in Niger e in Mali, aidandosi a diversi intermediari. Tutti devono attraversare il deserto e non sempre ce la fanno. I migranti sono sempre in balia dei traicanti locali, che a volte li rapiscono per ottenere dalle famiglie un riscatto o per ridurli in schiavitù. Alcuni vengono abbandonati tra le dune e muoiono di sete. “Abbiamo soferto molto nel deserto”, racconta Mohamed Abdallah, un giovane di 21 anni del Darfur, la regione del Sudan. “Ho perso i miei fratelli e il iglio di mio zio. Anche i miei amici sono morti. Siamo sopravvissuti solo io e mio nipote”. I conti non tornano Alcuni pagano per arrivare in Libia in un unico viaggio. Bayin Kelemekal, un’infermiera di trent’anni originaria dell’Eritrea, ha pagato settemila dollari per raggiungere la Libia in una settimana, viaggiando a bordo di alcuni pick-up. Altri fanno delle tappe: Fatima Bahgar, una studentessa maliana che di recente è stata soccorsa in mare dalla guardia costiera libica, dice di essere rimasta un anno in Algeria prima di entrare in Libia. Chi ha abbastanza denaro con sé può andarsene dalla Libia in pochi giorni, ma molti devono restare lì a lungo per ripagare i debiti con i traicanti o per guadagnare i soldi necessari alla traversata. Tutte le mattine in molte città della Libia si vedono persone radunate agli angoli delle strade in attesa di un lavoro occasionale. Hajj nega di aver a che fare con i rapimenti dei migranti, ma a quanto pare alcuni traicanti e imprenditori locali rinchiudono i migranti in magazzini o li fanno lavorare in condizioni di schiavitù inché non hanno pagato i loro debiti. Di recente Jennifer Collins, un’arredatrice nigeriana, è stata tenuta in ostaggio in Libia mentre suo marito lavorava in un autolavaggio. “Non sono mai uscita dalla casa dove mi hanno tenuta rinchiusa per sei mesi”, dice. Quello che succede dopo è diicile da riassumere in un’unica storia. Ogni scaista sostiene che i suoi metodi sono più umani e professionali di quelli della concorrenza. Ma non c’è un giudizio unanime Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 59 Libia fra i trafficanti su quali debbano essere questi metodi e su quale sia il prezzo da pagare. Hajj e Ahmed, il comandante in seconda di un’altra importante organizzazione attiva più a est, mi descrivono due modi diversi di mettere in mare i migranti. Hajj usa pescherecci di legno o gommoni Zodiac per far arrivare i migranti in Italia, e sostiene che gli Zodiac siano più sicuri. Una volta, racconta, una famiglia di siriani ha pagato centomila dollari per avere la garanzia di arrivare in acque italiane e lui le ha messo a disposizione uno Zodiac intero. Invece Ahmed (uno pseudonimo) usa gli Zodiac solo per trasportare le persone ino ai barconi ancorati al largo: “È impossibile arrivare a destinazione su un gommone”. Di solito gli aspiranti passeggeri si mettono in contatto con Ahmed, con Hajj o con i loro assistenti. A volte lo fanno da soli, altre volte si rivolgono a un intermediario nel loro paese. Ahmed versa a quest’ultimo una commissione di circa 380 dollari per viaggio. Hajj no, ma il risultato è quasi sempre lo stesso: si concorda un prezzo e si paga metà in anticipo. Le tarife variano da persona a persona. Hajj spiega che dai migranti dell’Africa subsahariana non ci si può aspettare “più di ottocento o mille dollari, mentre un siriano è disposto a pagare ino a 2.500 dollari, un marocchino 1.500”. Dato che il mercato è saturo, i prezzi si sono abbassati e gli scaisti cercano di imbarcare più passeggeri per compensare le perdite. Organizzare la partenza L’aumento dei naufragi registrato nel 2015 è quindi anche un efetto della riduzione del prezzo per salire a bordo. “È ridicolo”, dice Hajj. “Trecento passeggeri sono il massimo per una barca di diciassette metri. Ma c’è chi fa partire trecentocinquanta, settecento, ottocento persone alla volta. Sovraccaricano i barconi perché il prezzo del viaggio è sceso”. Generalmente i siriani, spiega Hajj, portano con sé tutti i loro risparmi e quindi possono pagare somme più alte per viaggiare su barche meno afollate. “I siriani ti chiedono: ‘Quanto costa aittare tutto il barcone?’. Io glielo dico e loro rispondono: ‘Paghiamo tutto noi, e se non fai salire nessun altro ti diamo il 20 per cento in più’. Chi viene dall’Africa subsahariana, invece, non chiede garanzie perché non ha abbastanza soldi”. Alla domanda su quanto guadagnano, Ahmed e Hajj non danno risposte plausibili. Dicono che dipende da vari fattori: dalle dimensioni delle imbarcazioni, dal nume- 60 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 I siriani, spiega Hajj, portano con sé tutti i loro risparmi e quindi possono pagare somme più alte per viaggiare su barche meno afollate ro di persone che riescono ad ammassare a bordo e dalla nazionalità dei passeggeri. Ma i conti non tornano. Ahmed stima che la sua organizzazione guadagni 50mila dinari (33mila euro) a viaggio e che in una settimana movimentata, di almeno una ventina di traversate, il guadagno totale possa raggiungere i 680mila euro. Per gli scaisti l’unica spesa importante, il costo della barca, quest’anno si aggira intorno ai 150mila dinari, circa 97mila euro. Hajj dice di guadagnare 22mila dinari (14mila euro) per ogni viaggio, ma solo 90mila dollari all’anno. È una stima ridicola, molto lontana da quella che si avrebbe considerando il numero di viaggi che l’uomo dice di organizzare nello stesso arco di tempo. I due trafficanti si sbottonano di più quando mi spiegano come si organizza la partenza. “Innanzitutto i migranti ricevono una telefonata”, dice Ahmed, che in passato lavorava come tecnico su una piattaforma petrolifera. “Vengono fatti riunire in un luogo concordato e da lì vengono trasportati in una casa nascondiglio. I cellulari sono sequestrati, nessuno deve portare con sé bagagli, i migranti ricevono cibo e acqua, e possono usare dei gabinetti”. A Zuwara alcune di queste case sono magazzini, altre bungalow e altre ville ancora in costruzione, sulla spiaggia o nelle immediate vicinanze. Negli ultimi tempi sono venute alla luce storie terribili su come gli scaisti trattano i migranti in queste case. Sono circolate notizie su persone picchiate mentre aspettavano al buio per potergli estorcere più denaro. Shady, 34 anni, un commerciante di stofe siriano, è arrivato in Libia dall’Algeria a gennaio e ha trascorso quattro mesi in una casa vicino a Zuwara. Non ha subìto torture, ma altre persone rinchiuse insieme a lui sì. Ora dice: “Riesci a immaginarti com’è la morte? Diverse volte ci hanno detto: siamo in partenza. Ma non era vero. Due volte siamo arrivati ino alla spiaggia, ma ci hanno fatto tornare indietro. Una se- ra abbiamo raggiunto la barca, ma non c’era più spazio”. Shady è stato liberato poche settimane fa ed è riuscito a raggiungere l’Italia. Hajj ammette che una donna siriana è stata violentata dal guardiano di una di queste case. Ma oltre a quel crimine, dice, i suoi clienti non sono trattati male. Nelle sue case “non si veriicano torture”, aferma. “In linea di principio non si possono trattare male delle persone che ti hanno fatto guadagnare un bel po’ di soldi”. Hajj, però, non permette agli estranei di visitare le sue case, quindi è impossibile veriicare le sue afermazioni. Il modo in cui gli scaisti si procurano una barca è più chiaro. Gli Zodiac sono stati importati o rubati dai magazzini dell’ex dittatore Muammar Gheddai. I barconi di legno si comprano dai pescatori. Per alcune imbarcazioni i prezzi stanno aumentando. Quello degli Zodiac è stabile: circa 11mila dinari (circa settemila euro). Invece i pescherecci stanno diventando più costosi. Qualche anno fa, quando i pescatori potevano chiedere un prestito speciale allo stato per l’acquisto di una barca, un peschereccio di legno di circa diciassette metri di lunghezza poteva costare 80mila dinari (51mila euro) al mercato nero. Ma ora che i sussidi sono initi e le barche sono sempre meno, Hajj paga il doppio. Non è che le barche stiano per inire, spiega il traicante, ma deve comprarle da pescatori che preferirebbero non essere coinvolti in questi afari, quindi deve fare offerte più allettanti. “Quindi diciamo 160mila dinari invece di 80mila”, spiega Hajj. Istruzioni per l’uso Far uscire le barche dal porto è una questione delicata che Ahmed e Hajj afrontano in modo diverso. Ahmed chiede al precedente proprietario di denunciare la scomparsa della barca, anche se spesso è ancora ormeggiata in bella vista al porto. A quel punto il traicante fa cancellare il nome dallo scafo e dà duemila dinari ai guardacoste perché facciano finta di niente quando il suo equipaggio porta il barcone in alto mare. “La guardia costiera è molto debole”, dice Ahmed. “Gli agenti guadagnano poco e ti lasciano fare di tutto”. Hajj sostiene di pagare 25mila dinari per lo stesso favore, forse perché lavora in un altro porto o forse perché il suo metodo è ancora più sfacciato. Il traicante non si preoccupa di far denunciare la scomparsa ContRASto Tripoli, febbraio 2014. Cittadini somali in attesa d’imbarcarsi per l’Italia della barca. I suoi uomini chiedono ai guardacoste il permesso di uscire in mare per una battuta di pesca di tre giorni. Quando scende la notte gettano l’ancora a distanza di sicurezza dalla costa. Protetti dal buio, i migranti escono dalle case e salgono a bordo degli Zodiac. Dopo un breve tragitto, in centinaia vengono imbarcati sul peschereccio. Ricevono un telefono satellitare, un localizzatore gps, giubbotti salvagente (al prezzo di quindici dinari) e un po’ di cibo e acqua. Poi gli scaisti assegnano i posti ai passeggeri e gli ordinano di restare fermi. “Gli diamo istruzioni chiare per evitare che si spostino troppo”, spiega Hajj. “Se proprio devono sgranchirsi le gambe, devono alzarsi in piedi e risedersi, ma non camminare da un lato all’altro della barca. Se due o tre persone cominciano a imitarli, si crea confusione e la barca si rovescia”. Secondo il profugo siriano Shady, però, sono altri i problemi che potrebbero provocare un disastro, ed è tutta colpa degli sca- isti. Quando è passato dal gommone al peschereccio, racconta, sulla barca erano già salite ottanta persone in più del previsto. Durante il viaggio il motore si è rotto e nello scafo si è aperta una falla. Se il barcone fosse afondato, lui sarebbe sopravvissuto: come siriano, aveva avuto un posto sul ponte. I migranti africani, invece, erano tutti nella stiva. “Una cosa davvero razzista”, dice. Di solito a guidare le barche non sono i trafficanti. L’arresto di due persone dell’equipaggio che il 19 aprile ha fatto annegare ottocento persone è stato accolto come un fatto importante nella lotta all’immigrazione irregolare. Ma in realtà è probabile che i due fossero solo migranti a cui era stato assegnato quel compito. Sugli Zodiac il pilota è spesso uno dei passeggeri, che ha ricevuto istruzioni basilari per guidarlo. Sui pescherecci, invece, bisogna avere un po’ più di esperienza. A volte i traicanti usano dei pescatori, egiziani o tunisini, che vogliono andare in Eu- ropa. Ma in un gruppo di più di trecento passeggeri, di solito si trova sempre qualcuno che dice di saper navigare. E, dal momento che il capitano può viaggiare gratis, c’è un forte incentivo a esagerare la propria esperienza, spesso con conseguenze disastrose. “A volte i passeggeri mentono”, spiega Amdiaz Aminzo, pseudonimo di uno scaista che si è ritirato dagli afari ma sta pensando di tornare in attività. “Hanno qualche nozione generale di navigazione e gli viene aidato il timone, ma in realtà non sanno come afrontare una situazione diicile”. Hajj e Ahmed ammettono che l’obiettivo non è far arrivare le barche in Italia, ma farle soccorrere. Per questo le indirizzano verso una piattaforma petrolifera al largo di Lampedusa. La speranza è che, se la barca non viene avvistata prima, i lavoratori della piattaforma avvertano la guardia costiera italiana o maltese. I due traicanti dimostrano di avere solo un’idea vaga di cosa fosse l’operazione Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 61 Libia Mare nostrum, la missione lanciata dalla marina italiana nel 2013. La loro ignoranza smentisce l’idea difusa che la cancellazione della missione avrebbe potuto costringere i traicanti a interrompere le loro attività. Pur sapendo a grandi linee in cosa consistesse Mare nostrum, Hajj ammette che non aveva capito che era stata sospesa. Ahmed sostiene che non sapeva neanche come si chiamasse la missione. “Non ne ho sentito parlare. Cos’è, una cosa del 2009?”. Quando lo aggiorno sull’argomento, l’uomo alza le spalle. “Molti si imbarcherebbero anche senza operazioni di salvataggio”, commenta. Hajj è d’accordo. Da quando, nell’estate del 2014, la guerra in Libia si è intensiicata, ha notato che la domanda è quadruplicata rispetto all’anno precedente. Non inirà C’è poi un altro ostacolo al progetto di attaccare i barconi degli scaisti. Oltre al fatto che le imbarcazioni usate per il traico di esseri umani sono identiicabili come tali solo per qualche ora, bisogna considerare che i traicanti non ci salgono quasi mai. Spesso a guidarle sono i migranti stessi, mentre i capi delle organizzazioni criminali restano a terra. Ma c’è un punto debole, messo in evidenza dallo stesso Hajj, su cui l’Unione europea potrebbe concentrarsi per mettere ine a queste attività. Quando i guardacoste soccorrono le navi cariche di migranti, fanno sbarcare i passeggeri, ma poi lasciano andare l’imbarcazione alla deriva. In molti casi i danni subiti non bastano a farla afondare. Così i traicanti possono raggiungere la barca vuota, rimorchiarla ino alla costa libica e ripararla. La ila di pescherecci in attesa di manutenzione sul molo di Zuwara è la dimostrazione tangibile di questa strategia. “Perché lasciano i barconi intatti?”, si chiede Hajj. “Così ci aiutano perché noi non dobbiamo fare altro che recuperarli e portarli a riva”. In alcuni casi la stessa imbarcazione è usata per quattro viaggi. Ma a prescindere dalla distruzione delle singole barche, le conversazioni con i traicanti, i rifugiati e i guardacoste sul litorale occidentale della Libia indicano che esistono altre strategie per arginare il lusso di persone che attraversano il Mediterraneo. Il messaggio dei profughi è chiaro: dateci un’alternativa. Molti sono scappati da una dittatura, da una guerra o dalla fame che li tormentava nel loro paese, e poi sono initi in luoghi che pensavano essere più sicuri ma dove invece hanno trovato 62 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 altri conlitti e altro sfruttamento, come la Libia. Per questo hanno la sensazione che afrontare il mar Mediterraneo sia il male minore. “Noi non vorremmo attraversare il mare”, dice Kelemekal, che viene dall’Eritrea, una dittatura crudele. “Se ricevessimo aiuto dalla Libia o dall’Unhcr, cercheremmo un’altra soluzione. Ma se nessuno ci aiuta l’unica opzione che ci resta è rivolgerci agli scaisti”. Anche il ritorno della Libia a una situazione di stabilità è di fondamentale importanza. La guerra civile che ha diviso il paese tra due governi rivali e decine di milizie in lotta tra loro ha tolto alle forze dell’ordine locali qualunque interesse o capacità di afrontare la situazione. O, addirittura, le ha rese perino parte del problema. Lungo la vasta costa della Libia occidentale, da dove partono quasi tutti i barconi dei migranti, la guardia costiera libica ha solo tre imbarcazioni funzionanti. A Zuwara ce n’è solo una: uno Zodiac grande come le barche più piccole degli scaisti. I guardacoste non ricevono lo stipendio da mesi, e un’altra nave che potrebbe aiutarli a rendere più eicienti le loro operazioni è rimasta in Tunisia perché il governo non ha i soldi per pagare le riparazioni. In una zona da cui partono decine di viaggi illegali ogni settimana cercare di resistere sembra assurdo, commenta un guardacoste di Zuwara che dice di chiamarsi Mostafa. “Se l’Unione europea vuole davvero fermare il traico di esseri umani in partenza da Zuwara dovrà darci gli strumenti”, dice Mostafa, aggiungendo che i milioni di dollari stanziati per porti come quello in cui lavora lui non sono mai arrivati a destinazione, perché erano stati inviati al governo di Tripoli. “Ci servono mezzi eicaci, barche, pattuglie adeguate, una commissione che ci addestri. Non date gli aiuti a Tripoli, dateli a noi di Zuwara”. Alcuni abitanti di Zuwara hanno manifestato contro la tratta di esseri umani dopo che la corrente aveva trascinato a riva i cadaveri dei migranti Gli abitanti della cittadina vorrebbero anche alternative economiche adeguate. Il lavoro scarseggia da sempre in questa zona popolata da una minoranza etnica storicamente emarginata: gli amazigh, o berberi. Hajj dice di aver cominciato a fare lo scaista perché non trovava lavoro come avvocato. Alcuni abitanti di Zuwara hanno manifestato contro il traffico di esseri umani dopo che nel 2014 la corrente aveva trascinato a riva i cadaveri dei migranti. Ma, pur non apprezzando le attività a cui la città deve la sua cattiva fama, molti altri chiudono un occhio perché indirettamente ci guadagnano anche loro. “Sappiamo che è crudele. Il mare è insidioso. C’è sempre la possibilità che le barche naufraghino”, dice un uomo di Zuwara che contrabbanda carburante. “Però dobbiamo accettarlo perché ci sono persone che da questo hanno tratto un beneicio economico e non ci sono altre opportunità di lavoro”. Alcuni sostengono che se la popolazione d’origine berbera ricevesse un maggior riconoscimento il traico di esseri umani perderebbe la sua attrattiva, quantomeno a Zuwara. Nel 2011 la caduta di Gheddai aveva suscitato tra gli amazigh la speranza che la nuova Libia avrebbe concesso più diritti ai berberi. Ma i progressi sono stati pochi e alcune persone del posto che intervisto afermano che l’aumento del traico di esseri umani è una reazione al fatto che questo popolo è trascurato. Altri invece fanno notare che le condizioni di vita degli amazigh non dovrebbero essere usate come giustiicazione per il dilagare della criminalità organizzata. Hajj pensa che i due fattori siano collegati. “Ci sono scaisti che lavorano per il piacere di fare soldi, perino a Zuwara”, dice. “Ma altri, come me, lavorano per il piacere di mettere voi europei sotto pressione”. Che quel che dice sia vero o no, il riconoscimento degli amazigh non fermerà gli scaisti delle zone arabe della Libia. Questo è il messaggio di Ahmed, che opera a Gasr Garabulli, una cittadina qualche centinaio di chilometri a est di Zuwara. Finché il mondo continuerà a ignorare le cause scatenanti della più grande ondata di migrazione di massa mai osservata dopo la seconda guerra mondiale, queste attività continueranno. “Non inirà”, dice Ahmed. “Semplicemente non inirà. Le frontiere meridionali della Libia sono aperte e ci sarà sempre qualcuno pronto ad approittarsene”. u fp Portfolio Bambine madri In Guatemala milioni di donne si sposano quando sono ancora minorenni, spesso prima di compiere 14 anni. Molte rimangono incinte senza essere isicamente ed emotivamente pronte. Il reportage di Stephanie Sinclair Beverly, 16 anni, incinta di sei mesi, durante una visita all’ospedale di San Benito, nel dipartimento di Petén, in Guatemala Portfolio n Guatemala la legge prevede che ci si possa sposare a 14 anni, con il consenso dei genitori. Ma nei villaggi delle zone rurali del paese, soprattutto nel dipartimento settentrionale di Petén, migliaia di ragazze si sposano anche prima di averli compiuti. Molte rimangono precocemente incinte, con gravi rischi per la loro salute e per quella dei igli. La maggior parte di queste ragazze è costretta a lasciare la scuola, a volte prima di inire le elementari, e molte subiscono violenze e abusi sessuali. Secondo le Nazioni Unite, nelle zone rurali del Guatemala il 53 per cento delle donne tra i 20 e i 25 anni si è sposato prima di compierne 18 (il 13 per cento prima dei 15 anni). Nel dipartimento di Petén il tasso di mortalità materna è di 172 ogni centomila parti. I igli delle ragazze molto giovani nascono spesso prematuri perché l’utero non è ancora sviluppato a suicienza. Per ridurre i rischi, la legge obbliga le ragazze che non hanno I Sopra: la casa di Carmen, 14 anni, incinta di tre mesi. Vive con il marito di 23 anni in casa dei suoceri. “Sono andata a scuola ino alla quinta elementare, poi mi sono sposata. Quando ho saputo di essere incinta ero molto triste. Non so perché”. 66 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 ancora compiuto 14 anni a sottoporsi al parto cesareo, ma in molti casi gli ospedali non sono facili da raggiungere. Il Guatemala è uno dei paesi più poveri dell’America Latina. Più del 50 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Il tasso di mortalità infantile è tra i più alti della regione e l’aspettativa di vita è tra le più basse. Gli indigeni rappresentano circa il 40 per cento della popolazione. u Stephanie Sinclair è nata a Miami, negli Stati Uniti, nel 1973. Specializzata in questioni legate ai diritti umani, è stata premiata tre volte al World press photo. Queste fotograie fanno parte del progetto Too young to wed, che in collaborazione con il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione promuove iniziative a favore delle ragazze. In precedenza la fotografa aveva documentato il matrimonio infantile in altri paesi del mondo, tra cui Afghanistan, Nepal, Etiopia, India e Yemen. A sinistra: Tania, 17 anni, incinta di sette mesi, nella sala d’attesa dell’ospedale di San Benito con la suocera. Si è sposata a 15 anni. A destra: un bambino nato prematuro in terapia intensiva all’ospedale di San Benito. La madre ha 14 anni. Quando è nato, il bambino pesava solo 1,3 chilogrammi. “È molto piccolo”, spiega la pediatra Jessica Gonzáles, “e dovrà restare qui per un po’. Non è ancora in grado di respirare da solo”. Sopra: Aracely, 15 anni, con il iglio. Il marito l’ha lasciata al quarto mese di gravidanza, sostenendo che il bambino non era suo. “Da allora non mi ha più dato soldi e non ha mai voluto vedere il bambino. Speravo di avere una vita migliore, ma non è andata così. Io cerco di andare avanti, anche per mio iglio. Sarà dura separarmi da lui quando sarà grande. Perché è lui che mi dà la forza”. Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 67 Portfolio Sopra: Carmen, 14 anni, incinta di tre mesi. Secondo le Nazioni Unite, il matrimonio infantile è difuso in più di cinquanta paesi. In alto, nella pagina accanto: Manuela, 14 anni, con la iglia Dani nella sala d’attesa dell’ospedale di San Benito. Ha impiegato più di due ore per raggiungere l’ospedale. Si è sposata quando aveva dodici anni. Qui sopra: Sandra, 14 anni, con il iglio Alexander, di cinque mesi. Si è sposata quando aveva undici anni. Suo marito ne ha 26. “Non ho genitori. Mia madre mi ha abbandonata e mio padre è stato ucciso. Sono cresciuta con i miei zii. Ora mi piacerebbe avere una femmina. E vorrei che studiasse”. A sinistra: Saidi, 16 anni, al nono mese di gravidanza, davanti alla casa dei suoceri. “Mi sono sposata a 15 anni. Mio marito se n’è andato per lavorare durante la gravidanza e non ho più avuto sue notizie”. 68 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 Qui sopra, a sinistra: Daylin, 15 anni, e Rubin, 17, osservano il loro iglio nato prematuro nell’ospedale di San Benito. A destra: Rosario, 14 anni, nell’ospedale di San Benito. “Il problema è che le ragazze pensano di essere al mondo solo per fare igli”, spiega il pediatra Daniel Álvarez. “Dobbiamo mettere in dubbio queste convinzioni, aiutando le ragazze a fare le scelte giuste”. A sinistra: Sulmi, 14 anni, al nono mese di gravidanza. “Ho lasciato la scuola in terza elementare. Ho incontrato mio marito mentre lavoravamo in un’altra città. Oggi lavoriamo insieme. Lui fa prodotti in pelle e io li vendo. Ci siamo sposati un anno fa. La mia famiglia era un po’ triste. Dicevano che prendersi cura di qualcuno è una grossa responsabilità. Anch’io ero un po’ triste. Ma sposarsi è bello perché si indossa un bel vestito bianco”. Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 69 Ritratti Mamoun Eltlib Una vita per i libri Alia Gilbert, Brownbook, Emirati Arabi Uniti. Foto di Ala Kheir Il regime sudanese ha messo al bando il sindacato degli scrittori e le librerie. Il poeta e giornalista Mamoun Eltlib si batte per far sopravvivere l’amore per la cultura nel paese ono convinto che le parole possano cambiare la tua mente, il tuo corpo, la tua anima. Le parole sono l’origine di tutto il mondo”. Così parla Mamoun Eltlib, mentre si distende sulla sedia e sfodera un gran sorriso. Seduto sul suo balcone soleggiato che dà sulle strade piene di vita di Karthoum, la città dov’è nato 33 anni fa, il poeta, giornalista e attivista culturale (come ama deinirsi) fa una pausa insolita. La vita professionale e quella privata di Eltlib – profondamente legate alla sua appassionata difesa della parola scritta – lo hanno reso una delle più importanti igure letterarie nel Sudan di oggi. Dirige da poco The Citizen, un quotidiano in inglese appena lanciato, e ha riportato in vita e diretto il sindacato degli scrittori sudanesi, bandito a gennaio dal governo di Omar al Bashir. Eltlib, inoltre, ha fondato il collettivo di arte e cultura Gruppo di lavoro culturale, ha codiretto Barana (una casa editrice per giovani scrittori) ed è molto attivo come commentatore politico e giornalista. Considerati tutti questi impegni è piuttosto sorprendente che Eltlib – che ha dedicato tutta la vita a rivitalizzare e alimentare la cultura letteraria in Sudan – da ragazzino non abbia avuto la possibilità di mettere le mani su un vero libro. L’infanzia che Eltlib ricorda è quella di “S 70 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 un paese in una fase di transizione politica e sociale in cui, all’inizio degli anni novanta, tutte le biblioteche della città furono chiuse e i libri al loro interno distrutti. Dopo il golpe militare di Bashir, nel 1989, il Sudan diventò uno stato islamico autoritario e retto da un partito unico in cui regnava la censura. Quando Bashir arrivò al potere, il sindacato degli scrittori fu una delle prime organizzazioni a essere bandite. “Non vogliono riunioni, tutto qui. Non vogliono che le persone si incontrino”, racconta Eltlib. La grammatica araba e i manuali di matematica erano le uniche pagine a cui lui e i suoi coetanei avevano accesso. Non c’era una sola scuola in tutto il paese che disponesse di una biblioteca per i suoi studenti. “Nessuno ne parlava o ne scriveva”, spiega Eltlib. “Ma quando vai all’università cominci a capire molte cose. Cominci a chiederti dove siano andate a inire le biblioteche”. Eltlib scoprì che non tutti i libri erano stati distrutti. Nelle stradine secondarie delle due più grandi città del Sudan, Khartoum e Omdurman, negli angoli più bui delle librerie o perino sotto polverosi assi del pavimento resisteva con ostinazione un mercato sotterraneo di libri usati. Le pagine preziose di autori molto amati come Tayeb Salih, Abbas al Aqqad e Nizar Qabbani si compravano e vendevano solo tra chi sapeva dove andare e cosa chiedere. Una differenza abissale, racconta Eltlib, con la Khartoum del passato, che aveva la più Biograia ◆ 1982 Nasce a Karthoum, in Sudan. ◆ 2001 Pubblica la sua prima raccolta di poesie. ◆ 2006 Comincia a lavorare come giornalista e a impegnarsi in diverse attività culturali. grande biblioteca del mondo arabo e aveva ispirato un rinascimento letterario nella prima metà del novecento. “Il mercato dei libri usati ci ha salvati”, dice Eltlib. “Non sono riusciti a impedirlo. Hanno preso molte misure, hanno costretto quelli che ne facevano parte a spostarsi da un posto all’altro o a pagare tasse più alte, ma niente ha potuto fermarli”. Chi vendeva libri usati correva molti rischi per i preziosi libri dalla copertina rigida e quelli in edizione tascabile. Mi piaceva Dostoevskij Il rapporto con i libri di Eltlib è cominciato quando aveva 18 anni: uno studente più grande gli diede un libro di poesia egiziana messo al bando. In seguito il giovane Eltlib ne volle altri. Dopo aver scoperto un indirizzo, si mise a cercare librai a Omdurman. Uno di loro (“Non so come abbia fatto a idarsi di me”) gli chiese che lavoro faceva. “Gli risposi che ero un poeta. E lui mi disse, ‘Ok, quale scrittore ti piace?’. Io risposi che mi piaceva Dostoevskij, anche se non avevo mai letto niente di suo in tutta la mia vita”, racconta ridendo Eltlib. “Mi diede una raccolta delle opere di Dostoevskij. Conteneva cinque romanzi, tra cui Memorie dal sottosuolo. Mi cambiò la vita”. Diventò un cliente fedele del libraio. Mentre frequentava la facoltà di scienze e tecnologia dell’università del Sudan, Eltlib partecipava attivamente alla vita culturale di Karthoum, sviluppando il suo amore per la letteratura e la scrittura. Il suo gruppo di amici più stretti, in molti casi studenti di ingegneria come lui, si incontrava per scrivere, discutere e condividere i propri lavori. Oggi quasi tutti continuano a scrivere e a pubblicare. Anche se Eltlib è più conosciuto come giornalista e opinionista, il suo primo grande amore è stata la poesia. “Cominciare a scrivere è una cosa davvero magica”, conida. “Ma quando ero piccolo, in Sudan facevano di tutto per farti odiare lo studio dell’arabo. Come si fa a studiare una lingua senza studiarne la letteratura? Prendevo i voti peggiori proprio nei corsi di arabo”. Veniva bocciato quasi ogni anno. La lingua che imparava a scuola, secondo lui, era “già morta”. Qualcosa di straordinario successe, però, quando Eltlib scrisse la sua prima poesia, che fece leggere solo alla madre. Mentre la leggeva, i suoi occhi si fecero sempre più grandi per lo stupore. “Mi disse: ‘Non c’è nemmeno un errore. Come ci sei riuscito? Non sai niente di arabo!’”, racconta lui ridendo. “Cominciai a sentire la lingua e a scriverla senza neppure conoscere o comprendere la grammatica. Credo che il rapporto con la propria lingua sia molto antico. Qualcosa che resta seppellito nell’anima”. Oggi quella di Eltlib è una voce molto potente. Lo scrittore è stato in prigione per un anno a causa del suo attivismo culturale e della sua capacità di “iniammare” i suoi coetanei con la poesia. A gennaio il sindacato degli scrittori è stato bandito di nuovo, come Mafrush, il mercato dei libri usati animato da Eltlib che si svolge ogni primo martedì del mese (l’iniziativa, partita nel 2012, è stata vietata a gennaio, è ripresa ad aprile, prima di essere bloccata di nuovo a maggio). Colpo di stato La prima ondata di repressione è arrivata nel 1989, quando Bashir conquistò il potere con un colpo di stato ma senza spargimenti di sangue. La seconda ondata è arrivata nel 2009, dopo la condanna per crimini di guerra pronunciata dalla Corte penale internazionale contro il presidente. La terza nel 2013, quando i servizi di sicurezza hanno fatto chiudere il Forum culturale della critica letteraria, una rete di scrittori sudanesi. “Certo, fa paura. Ma quando sei giovane e sei uno studente senti che questa è una cosa che devi fare”, dice Eltlib. Rispetto ai tanti progetti a cui ha preso parte nel corso degli anni, oggi è Mafrush – che significa “diffondere” o “mettere in mostra” – a rappresentare per lui “un sogno che si avvera ogni mese”. Mafrush, una celebrazione per i librai che molti anni fa cambiarono la vita di Eltlib, attira quasi duemila persone in piazza Eteni. La maggior parte dei trenta librai presenti vende più in un giorno qui che in un intero mese al negozio. E agli scrittori sudanesi viene data la possibilità di presentare i loro nuovi libri. Mafrush rivitalizza e alimenta la scena letteraria del Sudan. In occasione della prima edizione di questo mercato, Eltlib ha invitato gli scrittori a portare in piazza le loro biblioteche segrete, non per venderle. “Tutti abbiamo portato i nostri libri preferiti, ma solo per farli vedere”, racconta. Il libro nero di Orhan Pamuk, Anni di cani di Günter Grass e tutti i libri di Herman Hesse erano e sono ancora i libri più preziosi sugli scafali di Eltlib, messi in mostra con orgoglio al Mafrush. Tra i suoi preferiti ci sono anche scrittori sudanesi come Tayeb Salih, Mohamed Alsadig Alhag e la poetessa Naglaa Osman Altoum. “È stata una cosa sorprendente, perché tutti pensavano che i giovani sudanesi avessero smesso di leggere. Invece la maggior parte delle persone che partecipano a Mafrush sono studenti e giovani”, racconta Eltlib, appoggiandosi allo schienale della sua sedia sul balcone. “È davvero bello”. u gim Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 71 Viaggi Il Bhutan visto dall’alto Martin Fletcher, Financial Times, Regno Unito Foto di Ken Spence In mongoliera per sorvolare la catena himalayana. E una volta a terra si possono fare gite in bici, passeggiate nei boschi e visite nelle fattorie na iammata di gas e lut tiamo verso l’alto, pro prio mentre a est il sole si alza sui monti inneva ti. Il viaggio inaugurale della mongoliera com merciale che vola più in alto al mondo è co minciato. Per un’ora sorvoliamo la valle Phobjikha, ammirando il panorama hima layano. A nord si vede il monastero Gang tey, costruito quattrocento anni fa, che si erge su un costone dominando la vallata. Intorno, boschi abitati da leopardi, orsi e cinghiali. In basso, il iume Nakey Chhu. Mentre il calore del sole disperde la fo schia, sorvoliamo templi dai tetti dorati e fattorie dalle pareti bianche. Planiamo a sud passando sopra cavalli, mucche, uno yak solitario e branchi di cani che abbaiano furiosamente alla vista della mongoliera rossa. I bambini issano l’apparizione in cie lo. Un contadino guarda sbalordito un og getto che forse non ha mai visto. La valle si stringe facendo alzare il ven to. Viaggiamo a una velocità di quattro o cinque nodi, ma in modo così naturale che sembra che sia il suolo a muoversi. La jeep che ci segue da terra è rimasta indietro, la vediamo sobbalzare su una strada sterrata. I nostri giovani aiutanti, che indossano i tra dizionali gho (vesti lunghe ino alle ginoc chia, strette da una cintura), sguazzano in mezzo alle paludi provando a starci dietro, tra risate e grida. Alla ine Cary Crawley, un pilota professionista britannico, atterra su un prato a metà tra il iume e un campo ara to. È stato un breve volo di prova, ma i sei passeggeri sono euforici, compresi i due ufficiali dell’aviazione civile incaricati di U 72 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 “ispezionare” un mezzo di trasporto di cui non sanno assolutamente nulla. “Incredi bile!”, grida mia iglia Hannah. Khin Omar Win, una delle organizzatrici del viaggio, ci guarda raggiante e dice: “È stato emozio nante, vero?”. “Ve l’avevo detto che l’avrem mo fatto, e così è stato”, dice con aria trion fante Brett Melzer, il marito di Win. Per i Melzer il volo che si è appena con cluso è il coronamento di una scommessa donchisciottesca fatta dieci anni fa. Win è nata in Birmania ma è cresciuta a Londra. Nel 1997 a Rangoon ha conosciuto Brett, un australiano, e ha lasciato il Programma del le Nazioni Unite per lo sviluppo per aiutarlo a organizzare gite in mongoliera sui templi della città birmana di Bagan. Mentre Ba loons over Bagan prendeva piede, i Melzer hanno aperto il Malikha lodge, un rifugio di lusso nella foresta nel nord della Birmania a cui si accede per via aerea. Ma nel 2009 i voli sono stati sospesi e la coppia è stata co stretta a vendere la struttura a un imprendi tore birmano legato al regime militare. La coppia non si è persa d’animo e ha deciso di organizzare dei voli in mongolie ra in Bhutan, un altro paese esotico e poco conosciuto. Crawley è stato per sei settima ne nel piccolo regno a perlustrare le monta gne e le valli. Una mongoliera non avrebbe mai potuto decollare o atterrare sugli alto piani rocciosi e sui campi innevati, né nelle itte foreste a sud del paese. Phobjikha, a quasi tremila metri sul livello del mare, era l’unica valle ampia e aperta. Ma si trova ai margini del circuito turistico, delimitato da quella che qui chiamano autostrada; una tortuosa striscia di asfalto sgretolato a una sola corsia che parte dall’unico aeroporto internazionale del Bhutan. La mongoliera non può sorvolare la zona ino a primavera, quando le gru dal collo nero fanno ritorno sull’altopiano del Tibet. Ma Phobjikha era “l’unica possibilità”, dice Crawley. I Melzer hanno costruito uno spettaco lare albergo da 4 milioni di dollari nella più improbabile delle posizioni. Il Gangtey Go enpa lodge ha aperto nel 2013 e si trova sullo stesso costone montano del monastero. Siccome gli ispettori dell’aviazione sono in ritardo, io e Hannah passeremo più giorni del previsto in questo lussuoso rifugio, così potremo esplorare una valle ricca di piace voli sorprese. Il cambiamento Incontriamo dei giovani monaci con le to nache rosse che si sidano a kuru, un gioco che consiste nel tirare freccette rudimenta li lunghe trenta centimetri contro un bersa glio lontano. Assistiamo a una sida di tiro con l’arco, lo sport nazionale, tra due villag gi. Gli arcieri colpiscono un palo di legno a trenta metri di distanza, mentre i compagni di squadra festeggiano ballando e cantan do. Visitiamo i cortili e i templi dell’antico monastero mentre i monaci eseguono ri tuali con corni, tamburi e kangling, una spe cie di cornetta dal suono malinconico rica vata da un femore umano. Una élite ristret ta di giovani monaci chiamati tulku ci spiega che da piccoli sono stati riconosciuti come la reincarnazione dei maestri buddisti. Ve Bhutan. La mongoliera al monastero Gangtey Informazioni pratiche u Documenti Il visto è obbligatorio, costa 40 dollari e va richiesto prima della partenza all’uicio del turismo butanese (tourism.gov.bt) da un’agenzia autorizzata. In aggiunta bisogna comprare in anticipo dei pacchetti turistici da 250 dollari al giorno, che comprendono, vitto, alloggio, trasporti e guide. u Arrivare L’unico aeroporto del paese si trova nella cittadina di Paro, a un’ora e mezza dalla capitale Thimpu. Per arrivare in Bhutan in aereo si può usare solo la compagnia di bandiera Druk Air (drukair.com.bt), che ofre collegamenti giornalieri con Delhi, Bangkok e Kathmandu. Un volo da Delhi a Paro costa almeno 530 a/r. u I lettori consigliano Kunzang Choden, Il viaggio di Tsomo, O barra O edizioni 2009, 19,50 euro. u La prossima settimana Viaggio in Benin, nella regione di Atacora. Avete suggerimenti su tarife, posti dove mangiare nella zona, libri da leggere? Scrivete a [email protected]. diamo, ma senza entrare, un centro di me ditazione circondato dal ilo spinato, dove i monaci anziani vivono in isolamento per tre anni, tre mesi e tre giorni. Il cibo gli vie ne lasciato fuori dall’ediicio. C’è un altro posto dove non ci fanno entrare: una came ra nel cuore del monastero dove si dice che si nasconda uno yeti mummiicato. Sicura mente c’è qualcosa, ma con ogni probabilità si tratta del cadavere di un bambino defor me. Da queste parti leggende e superstizio ni abbondano. Le case sono decorate con murali raiguranti tigri, leoni delle nevi, draghi e mitici garuda mangiaserpenti, ol tre che da enormi falli eretti traboccanti di sperma (che celebrano il “Folle divino”, un santo del quattrocento famoso per i suoi in segnamenti poco ortodossi e la sua vita ses suale attiva). Le porte hanno le soglie rial zate in modo che i morti, che hanno gli arti rigidi, non possano entrare. Attraversiamo a piedi boschi di pini pro fumati dai rododendri in iore. Raggiungia mo in bicicletta la vetta di un colle in fondo alla valle e mangiamo in un rifugio. Incro ciamo una donna del villaggio che sta to sando una pecora nera riottosa, e una pa stora che sorveglia il gregge dagli attacchi di leopardi e volpi. Un mandriano porta gli yak verso i pascoli più alti. Una notte rinunciamo al lodge e dor miamo in casa di una famiglia di contadini, aiutandoli a mungere le mucche e a fare il burro. Dividiamo con loro riso, patate e arra (vino di riso) e ce ne stiamo seduti a gambe incrociate intorno alla stufa giocando con i bambini. La valle sta cambiando. Sono arri vati l’elettricità, la tv e i telefoni cellulari. Internet non ancora. Inoltre, il tratto dell’“autostrada” che parte dalla capitale Thimphu sarà ampliato con una seconda corsia. Il Bhutan, una terra isolata dal mon do ino agli anni settanta, si sta aprendo. I ragazzi stanno migrando dai villaggi per spostarsi a Thimphu. Dal 2009 al 2013 i tu risti stranieri sono passati da 23.480 a 116.209. Di fronte a questo cambiamento il Bhutan si sforza di conservare la sua identi tà e il suo paesaggio: nelle scuole e negli ediici pubblici è obbligatorio l’abito tradi zionale, la costituzione impone che il 60 per cento del territorio sia boschivo, sono vietati il tabacco e le buste di plastica e il ve nerdì non si consuma alcol. L’alpinismo è limitato per legge perché disturba le divini tà che vivono sulle cime innevate. Il Gang khar Puensum, 7.570 metri, la più alta tra le montagne del mondo che non sono mai sta te scalate. Il Bhutan incoraggia i turisti, ma non il turismo di massa. Per questo i visita tori sono obbligati a spendere almeno 250 dollari al giorno. Finora gli sforzi hanno dato buoni risul tati. Lo stile di vita butanese è ancora domi nato dal buddismo e la gente sembra ancora andare alla ricerca della felicità anziché del denaro. Il progetto dei Melzer rispetta gli obiettivi del governo: la mongoliera attra versa in silenzio la valle Phobjikha senza rovinarne la bellezza. E i monaci sembrano accogliere benevolmente questo corpo estraneo nel loro antico dominio. Un anzia no maestro, Chogyal Zangpo, ha benedetto la mongoliera prima che partisse per il suo secondo volo. “È stata un’esperienza mera vigliosa”, dice. “Non ero mai stato in aria prima. Spesso guardo gli uccelli che volano in alto. Ora so che cosa vedono”. u fas Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 73 Graphic journalism A VIENNA MI È SUCCESSA UNA COSA BUFFA: APPENA SONO SALITO SUL TAXI IL TASSISTA HA COMINCIATO A RACCONTARMI LA SUA STORIA. ERA COME SE ASPETTASSE DA TEMPO DI POTERSI CONFIDARE CON QUALCUNO... GUARDANDO LA RICCA ARCHITETTURA MITTELEUROPEA DAL FINESTRINO LO ASCOLTAVO PARLARE DEGLI IMMIGRATI CHE NON SI SENTONO A CASA DA NESSUNA PARTE. IL PAESE CHE HANNO LASCIATO, LA JUGOSLAVIA, NON ESISTE PIÙ, E QUELLO DI ADOZIONE RIMANE PER LORO UN PAESE STRANIERO... “MI CHIAMO MOMCILO, SONO SERBO E SONO NATO IN UN PICCOLO VILLAGGIO DELLA BOSNIA. DA GIOVANE MI SONO TRASFERITO IN CROAZIA, HO TROVATO LAVORO COME ISPETTORE DI POLIZIA A ZAGABRIA E HO SPOSATO UNA CROATA. QUANDO È SCOPPIATA LA GUERRA SIAMO FUGGITI A VIENNA. TORNEREI DAVVERO VOLENTIERI IN JUGOSLAVIA, SE FOSSE POSSIBILE. LÌ AVEVI UN LAVORO STABILE DALLE 6 ALLE 14 E LO PERDEVI SOLO SE ERI UN IDIOTA. C’ERA UN GRANDE SENSO DI SICUREZZA, FORSE NON ERA ABBASTANZA PER QUELLI CHE ASPIRAVANO A QUALCOSA DI PIÙ, MA IO IN JUGOSLAVIA CI STAVO BENE, SAPEVO DI POTER CONTARE SU TRE COSE: UN TETTO, IL PANE E IL SESSO!”. 74 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 “SONO VENTI ANNI CHE VIVO A VIENNA, MENTRE A ZAGABRIA SONO STATO 16 ANNI. MA MI SEMBRA DI AVER ABITATO 160 ANNI A ZAGABRIA E DUE ANNI A VIENNA. ANCHE SE È QUI CHE VIVO CONTINUO A NON SENTIRMI A CASA. NON SONO PER NIENTE INTEGRATO IN QUESTA SOCIETÀ... E NON VOGLIO NEANCHE TORNARE A ZAGABRIA, MI SPAVENTA L’ECONOMIA. I MIEI SUOCERI, CHE SONO IN PENSIONE, MI DICONO CHE LE COSE NON SONO MAI ANDATE COSÌ MALE. NON POSSONO NEMMENO PERMETTERSI UNA CAZZO DI LOMBATA! CI SI È PRESENTATA L’OPPORTUNITÀ DI ANDARE A BELGRADO, MA CI VUOLE FEGATO PER SOPRAVVIVERE TRA QUEI MAFIOSI”... “LA MIA VITA QUI È DIFFICILE, MI ALZO ALLE CINQUE DEL MATTINO E LAVORO FINO ALLE NOVE DI SERA... A PRANZO MI INFILO IN UNA MENSA DI RADIO WIEN, GRAZIE A UN CUOCO SERBO CHE CI LAVORA. GLI IMPIEGATI TOLLERANO LA PRESENZA DI ALCUNE PERSONE DELL’EX JUGOSLAVIA PERCHÉ PAGHIAMO IL PREZZO PIENO, MENTRE I LORO PASTI SONO IN GRAN PARTE SOVVENZIONATI. I CUOCHI SERVONO IL ‘CIBO SANO’ AGLI AUSTRIACI, PERCHÉ È QUELLO CHE CHIEDONO, E A NOI DANNO IL ‘CIBO BUONO’”... A VIENNA HO UN APPARTAMENTO, MA NON HO CAPITO CHI È IL PROPRIETARIO, IO O LA BANCA CHE MI DÀ IL PRESTITO? ALMENO QUI SI TIRA A CAMPARE, IN UN MODO O IN UN ALTRO. IN EX JUGOSLAVIA PER SOPRAVVIVERE SERVE UN QUOZIENTE D’INTELLIGENZA DI 120, IN OCCIDENTE ANCHE CON 70 TROVI UN LAVORO DA SPAZZINO”... Aleksandar Zograf è un autore di fumetti nato a Pančevo, in Serbia, nel 1963. Il suo ultimo libro è Segnali (Coconino press/Fandango 2011). Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 75 Cultura Satira JEromE SESSINI (magNum/CoNTraSTo) Parigi, place de la République, 7 gennaio 2015 Il premio della discordia John Dugale, The Guardian, Regno Unito L’assegnazione del Pen award a Charlie Hebdo ha provocato un acceso dibattito nell’ambiente letterario angloamericano. E alla ine 204 scrittori si sono “dissociati con rispetto” l Pen american center è in subbuglio. Tutto è cominciato a marzo quando il ramo statunitense del Pen international, l’organizzazione che difende gli scrittori in pericolo e combatte la censura, ha annunciato che Charlie Hebdo avrebbe ricevuto il suo premio alla libertà di espressione nel corso dell’evento annuale del 5 maggio a New York. Il Pen ha ricevuto molte lettere che criticavano questa decisione. Lo scrittore australiano Peter Carey che ha accusato l’organizzazione di non vedere “l’arroganza” della Francia nei confronti di “una parte importante della sua popolazione” (ossia i musulmani), e la statunitense Deborah Eisenberg, hanno sottolineato che le vignette di Charlie Hebdo sono “anti-islamiche” e I c’è una “diferenza fondamentale” tra difendere “un’espressione che supera i limiti di cos’è accettabile e premiare con entusiasmo questa opinione”. Pochi giorni prima dell’assegnazione del premio sei ospiti al tavolo da 1.250 dollari a persona – Carey, Teju Cole, rachel Kushner, michael ondaatje, Francine Prose, Taiye Selasi – hanno dichiarato che non avrebbero partecipato all’evento, attirandosi le invettive di Salman rushdie che li ha deiniti “sei autori in cerca di personalità”. rushdie ha anche insinuato che Carey e ondaatje si sono resi “compagni di viaggio” dell’islam militante. Un tweet prematuro Tuttavia il tweet con cui rushdie si rallegrava del fatto che fossero “solo sei femminucce” (un termine per il quale si è in seguito scusato) è stato afrettato, perché in seguito il Pen ha ricevuto una lettera in cui altri scrittori hanno dichiarato di “volersi dissociare con rispetto” dal premio. Tra gli scrittori più noti che si sono uniti a quelli già menzionati ci sono Junot Díaz, Eve Ensler, Joyce Carol oates, Kamila Shamsie, Walla- ce Shawn e rebecca Solnit. alla ine i irmatari sono diventati 204. andrew Solomon, presidente del Pen american center e uno dei pochi autori che si sono schierati pubblicamente con Salman rushdie, ha dichiarato: “Il premio non è un riconoscimento ai contenuti di Charlie Hebdo. ma è un gesto di ammirazione per l’impegno a favore della libertà di espressione. È un premio al coraggio, non un premio ai contenuti”. Jo glanville, direttore del ramo britannico del Pen, ha ricordato che storicamente le opere al centro di “battaglie per la libertà di opinione” spesso sono state ofensive o “prive di valore”. In supericie il dibattito – poco ediicante quando ha preso la forma di tweet o polemiche personali, ma piuttosto signiicativo quando le persone coinvolte hanno avuto la possibilità di articolare le proprie opinioni – contrappone i sostenitori di Voltaire a quelli più diidenti. I primi sottoscrivono sia la famosa frase attribuita all’illuminista (“Disapprovo quello che dici, ma difenderei ino alla morte il tuo diritto a dirlo”) sia le sue campagne contro i sistemi religiosi oppressivi. ma le cose non sono così semplici. Cole, per esempio, si deinisce un “fondamentalista della libertà d’espressione”, mentre Eisenberg ritiene che la “libertà di espressione debba valere per tutti”. anche se rushdie e glanville non sembrano disposti ad accettare la distinzione, fanno comunque una diferenza tra difendere Charlie Hebdo e (per dirla con Cole) “idolatrarlo” o “acclamarlo”. al contrario della chiesa cattolica contro cui ha combattuto Voltaire – un quasi monopolio di stampo autoritario – Eisenberg e Carey considerano l’islam nella Francia di oggi una religione che ofre sostegno a “chi è assediato, marginalizzato, impoverito e oppresso”, una popolazione agli occhi della quale le vignette “saranno apparse come un modo voluto per inliggere ulteriori umiliazioni e soferenze”. Dove rushdie vede una “battaglia contro l’islam fanatico” in stile Voltaire, alcuni dei suoi oppositori avvertono gli echi di quella guerra delle idee che ha accompagnato le recenti crociate militari dell’occidente in medio oriente, o tracciano paralleli altrettanto inquietanti tra le vignette pubblicate da Charlie Hebdo e le rappresentazioni antisemite. u gim Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 77 Cultura Cinema Italieni Dalla Francia I ilm italiani visti da un corrispondente straniero. Questa settimana la giornalista israeliana Sivan Kotler. Tutto bene, grazie 78 Stando alle cifre presentate dal Cnc, il cinema francese gode di ottima salute Con la sua vitalità il cinema francese è un’eccezione in un panorama europeo altrimenti piuttosto dimesso. Nel suo annuale resoconto, che tradizionalmente arriva pochi giorni prima del festival di Cannes, il Cnc (Centre national du cinéma e de l’image animée) conferma un certo dinamismo, almeno stando agli indicatori più importanti (tasso di frequentazione delle sale, numero dei ilm prodotti e distribuiti o esportati). Sulla frequentazione delle sale, tutte le cifre Non sposate le mie iglie! sono precedute dal segno positivo. Nel 2014 il 66,6 per cento dei francesi (39 milioni di persone) è andato al cinema almeno una volta e le tendenze sono tutte in crescita. In più la Francia è di gran lunga il primo mercato cinematograico del continente: dei 911 milioni di biglietti strappati in Europa, più di 209 milioni sono francesi contro i 122 milioni venduti in Germania e i cento in Italia. E nonostante una lieve diminuzione del costo del biglietto anche gli incassi generali sono aumentati. La quota di mercato del cinema nazionale è pari al 44 per cento, e anche questo è un primato francese (al secondo posto l’Italia con il 28 per cento) oltre a essere il valore più alto dal 1984. Inine i tre ilm più visti del 2014 sono francesi: Non sposate le mie iglie!, Supercondriaco e Lucy. Insomma il festival di Cannes può cominciare sotto i migliori auspici. Le Monde Massa critica Dieci ilm nelle sale italiane giudicati dai critici di tutto il mondo T Re H E gn D o AI U L n Y L E i to T EL Fr F EG an I G ci A R a R A O PH T C HE an G ad L a OB E T A Re H E N D gn G M o UA U A ni R D IL T t o IA Re H E N gn I o ND U n E L I i to P E N Fr BÉ D an R EN ci AT a T IO LO N St S at A iU N n GE L E i ti L E Fr M S T an O IM ci N a D E S E T St H E at N iU E n W T i t i YO St H E R at W K T iU A IM ni S H E ti I S N G T O N PO ST Se dio vuole Di Edoardo Falcone. Con Alessandro Gassman e Marco Giallini. Italia 2015, 87’ ● ● ●●● Carcioi (da pulire) e un iglio che sogna di diventare un prete, sono solo i primi elementi di una piacevole, originale e frizzante sequenza, probabilmente tra le più divertenti che sono state prodotte di recente in Italia. Tommaso, un famoso cardiochirurgo, è disposto a fare di tutto per salvare suo iglio da don Pietro e dall’istituzione “più oscurantista della storia”. Vuole portarlo al sicuro, vicino a lui, all’ospedale dove “le persone vengono salvate realmente”. Su questa base si scatena un brillante duello tra il volere e il non riuscire a credere, in una commedia ben scritta e ben recitata sullo sfondo di una Roma semplice e genuina capace di andare oltre gli stereotipi. L’eccellente coppia Giallini e Gassman, coadiuvata da un gruppo di attori particolarmente capaci e guidati da una sapiente regia arricchita da dialoghi brillanti e originali, riesce a strappare autentiche risate in più di un’occasione. Tra “l’amico immaginario Gesù”, la chiesa e il catechismo stile scuola serale, sono varie le situazioni che riescono a dare senso e profondità, senza mai cadere nel banale o nella volgarità. Se dio vuole è un ilm che non ha paura di mettere l’essere umano in prima ila, distribuendo dio un po’ ovunque. Un dio che non si ofende, anzi collabora dando un tocco di grazia a un commedia divina. Media CAKe - - 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 AvengerS. 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Russia 2014, 140’ ●●●●● Si potrebbe vedere Leviathan come la risposta russa e solenne all’umorismo nero dei fratelli Coen. O come una rilettura moderna del biblico Libro di Giobbe, un uomo ricco e pio che spogliato dei suoi beni e colpito dalla malattia si riiuta di maledire il nome di dio. In Leviathan Giobbe gestisce un’oicina, si chiama Kolia, è un tipo sanguigno e non troppo simpatico. Vive in una bella casa in legno in un piccolo porto sul mare di Barents, nel nordovest della Russia, con suo iglio Roma e la giovane moglie Lilia. Fin dall’inizio si unisce a loro Dimitri, un avvocato amico di Kolia venuto apposta da Mosca per aiutarlo a evitare l’esproprio dei beni ordinato dal sindaco del paesino, Vadim Sheleviat. Il nuovo ilm di Andrej Zvjagintsev disegna un quadro terribile delle forze deleterie che minano la società russa. Lo stato viene ridicolizzato: non solo il sindaco è una specie di maioso, ma anche i poliziotti e i giudici sono corrotti e attaccati ai loro privilegi. Inoltre il regista mostra la rinnovata inluenza del clero ortodosso sull’apparato statale. Anche all’interno di un sistema democratico ritroviamo i vecchi sintomi del totalitarismo. Qui nessuno può andare oltre il suo punto di vista ristretto sulle cose. E l’alcolismo difuso diventa un motivo tragicomico che tiene insieme il ilm, come se, in ultima istanza, l’unico scopo da raggiungere, l’unico davvero a portata di mano, fosse l’annientamento. Didier Péron, Libération Leviathan Cake Di Daniel Barnz. Con Jennifer Aniston, Anna Kendrick, Chris Messina. Stati Uniti 2014, 92’ ●●●●● Anche le più assolate parti di Los Angeles sono coperte da una coltre invernale in Cake, una storia di redenzione scialba e drammaticamente noiosa. Jennifer Aniston interpreta Claire, una donna gravemente sigurata che deve afrontare il dolore cronico, un trauma irrisolto e una morbosa attrazione verso il suicidio di una sua conoscente (Anna Kendrick). Anche in circostanze così cupe, Aniston riesce a fare buon uso del suo talento comico. La trama è strutturata in modo da mantenere il mistero sull’origine delle ferite isiche e psicologiche di Claire, ma gli spettatori capiscono tutto in pochi minuti. Forse sarà per la grande espressività di Aniston, ma forse è soprattutto colpa del fatto che lo sceneggiatore Patrick Tobin e il regista Daniel Barnz hanno dato vita a un rac- Forza maggiore conto schematico sull’elaborazione del lutto. La loro storia risulta fredda e calcolata, anche se presenta alcuni tocchi di realismo magico. Lo stesso vale per la serie di incontri che Claire fa lungo il suo accidentato cammino tra la speranza e la distruzione, tra la sua gentile e paziente cameriera (Adriana Barraza) e un afascinante vedovo (Sam Worthington). La gestione del resto del cast di Cake – che comprende Felicity Hufman, William H. Macy e Chris Messina – lascia pensare che questo ilm sia stato soprattutto un veicolo per concedere un ruolo drammatico a Jennifer Aniston. Che, del resto, merita ruoli come questo, ma non merita ilm così prevedibili e stucchevoli. Ann Hornaday, The Washington Post Forza maggiore Di Ruben Östlund. Con Johannes Kuhnke, Lisa Loven Kongsli. Svezia/Francia/Norvegia/Danimarca 2014, 118’ ●●●●● Il dramma sottile e profondo di Ruben Östlund mette a nudo le tensioni e le incomprensioni che scorrono sotto la supericie di un matrimonio apparentemente felice e che esplodono durante una settimana bianca. Quello che spinge la moglie Ebba (Lisa Loven Le streghe son tornate Alex de la Iglesia (Spagna, 112’) Kongsli) a mettere in discussione il marito Tomas (Johannes Bah Kuhnke) è il suo comportamento quando i due coniugi insieme ai bambini sembrano destinati a inire sepolti da una valanga. Invece di restare insieme a loro per tentare di salvare i bambini, Tomas fugge, pensando solo a se stesso e al cellulare. Una scena che dura solo pochi secondi, ma che bastano a Ebba per riconsiderare tutto ciò che ha mai pensato del marito. Lui, a sua volta, comincia ad autocommiserarsi: rimuove completamente l’evento e contemporaneamente è sempre più determinato ad afermare la sua virilità. Lo scrittore e regista Östlund indaga su come un singolo episodio possa essere la causa del disfacimento della vita di un’intera famiglia e di come possa anche minare i rapporti con gli amici. Forza maggiore è un ilm molto intelligente con un inale graiante. Geofrey Macnab, The Independent The gunman Di Pierre Morel. Con Sean Penn, Javier Bardem, Jasmine Trinca. Francia/Spagna/Stati Uniti 2015, 115’ ●●●●● Il ilm si chiama The gunman ma poteva chiamarsi A torso nudo visto che Sean Penn (che del ilm è la star, il cosceneggiatore e il coproduttore) non si lascia scappare nessuna occasione per togliersi la maglietta e mostrare i muscoli. Il isico di Penn è la parte più tonica del ilm, il resto è tutto fuori forma. La sceneggiatura è laccida e la regia appesantita. Mark Rylance, Javier Bardem e Ray Winstone aggiungono un po’ di testosterone, ma alla ine la pistola fa cilecca. Peter Bradshaw, The Guardian Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 79 Cultura Libri Dall’India Psiche e scienza Jairam Ramesh è stato ministro dell’ambiente e delle foreste durante il governo guidato da Manmohan Singh. Il suo saggio Green signals, oltre a rendere conto con grande trasparenza dell’operato di Ramesh come ministro, ha il pregio di sollevare un tema che divide la classe dirigente indiana. Si può sostenere un discorso ecologico in un paese emergente come l’India, a scapito quindi dello sviluppo dell’industria e delle infrastrutture? Ramesh come ministro è stato ineccepibile, anche se i militanti ambientalisti lo hanno apprezzato molto di più dei DR Un saggio dell’ex ministro Jairam Ramesh solleva un dibattito sulle priorità dell’India: l’ambiente o la crescita? ZhENG hUaNSoNG (XINhUa/CoRBIS/CoNTRaSTo) Il lusso ecologico Bengala occidentale, marzo 2015 Irvin D. Yalom Creatures of a day Basic Books Nuova raccolta di storie di pazienti che afrontano le due grandi side della vita: dare un senso all’esistenza e fare i conti con la sua inevitabile ine. Yalom è stato professore di psichiatria a Stanford e ora fa lo psichiatra a San Francisco. partigiani della crescita, che in alcuni casi lo guardavano come un pericolo pubblico. Secondo Ramesh il dibattito non ha ragione di esistere: è prioritario difendere chi vive nelle foreste, come in tutte le zone vulnerabili del paese, dalla minaccia di progetti industriali e Andrew Scull Madness in civilization Princeton University Press La lunga e complessa storia della pazzia e dei nostri tentativi di curarla anche attraverso la religione e il soprannaturale. Scull insegna sociologia e scienze a San Diego. minerari sempre più aggressivi. È anche vero però che sarà diicile resistere ai grandi movimenti delle popolazioni che si spostano nelle aree urbane in cerca di lavoro. Il libro di Ramesh va letto comunque da chiunque voglia sviluppare una coscienza politica. Mint Il libro Gofredo Foi Un’esperienza rara João Guimaraes Rosa Tutameia Del Vecchio, 282 pagine, 16 euro Guimaraes Rosa (1908-1967) è stato il più grande scrittore brasiliano del novecento, autore di capolavori come Grande sertão – che tutti dovrebbero aver letto, una storia di cangaceiros dell’arido Nordeste che fa pensare all’Orlando furioso – e il ciclo di Corpo di ballo, di racconti formidabili come Miguilim e La terza sponda del iume. Inventore spericolato di una lingua composita ed espressiva 80 che intendeva rendersi autonoma dal portoghese, è pubblicato in Italia da Feltrinelli. Ma ora un editore coraggioso propone il suo ultimo lavoro, composto di una quarantina di racconti brevi interrotti da quattro “prefazioni”, una delle quali, Sullo spazzolino e il dubbio, chiude con una massima di Tolstoj sempre valida: “Se descrivi il mondo tal quale esso è, nelle tue parole non vi saranno altro che molte menzogne e nessuna verità”. Il mondo di Guimaraes è fatto di Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 vagabondi e contadini, vaccari e briganti, pazzi e profeti, dentro una natura ingrata quanto lo è la storia, violenta quanto il male di cui l’uomo è portatore. Visionario, insieme eccessivo e sintetico, ogni racconto di Tutameia (una parola che indica un’arte del ricamo particolarmente rainata) non è di facile lettura, ma se si entra nel mondo di Guimaraes se ne esce frastornati e felici, per un’esperienza di lettura più unica che rara. Eroici i due traduttori. u Michael S. Gazzaniga Tales from both sides of the brain Ecco I due emisferi del nostro cervello sono specializzati in diversi compiti: il lato destro elabora le informazioni spaziali e temporali, il sinistro controlla il linguaggio. Ma come comunicano? Gazzaniga insegna psicologia a Santa Barbara. Jefrey A. Lieberman Shrinks Little, Brown and Company L’unico modo per capire i progressi fatti dalla psichiatria di oggi è ripercorrerne la lunga storia, piena di errori e passi falsi, aferma Lieberman, professore di psichiatria alla Columbia University. Maria Sepa usalibri.blogspot.com I consigli della redazione Ben Lerner Nel mondo a venire (Sellerio) Il romanzo João Ricardo Pedro Il tuo volto sarà l’ultimo Nutrimenti, 207 pagine, 16 euro ●●●●● Per qualsiasi scrittore portoghese di un certo spessore è diicile ignorare la dittatura di António de Oliveira Salazar che ha dominato il paese per la maggior parte del novecento. Non è un passaggio obbligato o un impegno tematico solenne, ma certo ogni testo che aspiri al genere di saga o di epopea non può evitare di confrontarsi con un vissuto che è penetrato nell’intimità di tutte le case portoghesi. Non è quindi un caso se la prima scena di Il tuo volto sarà l’ultimo – con il quale João Pedro Ricardo intende raccogliere il testimone letterario di due grandi come Antonio Lobo Antunes e Gonçalo M. Tavares – è una rievocazione della “rivoluzione dei garofani”. È un modo per entrare dalla porta principale nella casa della famiglia Mendes, protagonista assoluta del romanzo. Il libro è costruito come una successione non lineare di quadri in cui si salta tra personaggi, periodi, momenti, umori, impressioni e aneddoti. Ma ha comunque una sorta di centro nel personaggio del giovane Duarte. Pianista prodigio che ama poco il suo talento, Duarte si appassiona alle igure del padre e dei nonni, attraverso i quali cerca di raccogliere le memorie della sua famiglia, inendo spesso al di là della semplice storia familiare per afrontare la storia portoghe- DR Una famiglia portoghese João Ricardo Pedro se. Per esempio la corrispondenza tra il nonno di Duarte e il suo amico esiliato diventa un’occasione per sottolineare l’isolamento soferto dal popolo portoghese nei confronti di tutto il resto del mondo. Poche righe su un’esplosione e sul ritorno a casa di Antonio, il padre di Duarte, sono suicienti per evocare l’assurdità e l’anacronismo della guerra in Angola. Evocazione potrebbe essere la parola chiave per affrontare questo romanzo e bisogna essere virtuosi per scoprirne ino in fondo tutto il valore. Non è un test per uno studente di letteratura alle prime armi. Potente, scritto con una vertiginosa maestria, Il tuo volto sarà l’ultimo è uno di quei romanzi che a prima vista sembra accessibile, ma la cui complessità si riesce ad apprezzare solo in un secondo momento. In poche parole, un capolavoro assoluto. Adrien Battini, La Cause Littéraire Emmanuel Carrère Il regno (Adelphi) Daniel Sada Il linguaggio del gioco Del Vecchio, 241 pagine, 15 euro ●●●●● La morte precoce dello scrittore messicano Daniel Sada ha privato la letteratura in lingua spagnola di una delle sue voci più potenti. Il linguaggio del gioco, romanzo scritto poco prima della morte dell’autore, è un buon esempio delle qualità letterarie di questo scrittore. Invece di perdersi nella descrizione di vicende personali, Daniel Sada sceglie di contemplare un panorama collettivo e rivela il volto più violento e ruvido del Messico, che in alcuni punti del romanzo è ribattezzato Mágico: l’emigrazione, le attività delle bande di narcotraicanti che si appropriano di una regione, le uccisioni di massa, le estorsioni subite da una società indifesa e spaventata. Ma bisogna sottolineare anche lo stile letterario del romanzo, in cui si mescolano punti di vista e registri diversi in una scrittura personalissima. La storia di Valente Montaño, costretto a pericolose emigrazioni per ottenere un capitale modesto che gli consenta di aprire una trattoria nel suo villaggio, è la spina dorsale del romanzo. Ma ciò che conta è la consapevolezza che il lavoro e l’onestà sono valori inutili quando una banda prende il sopravvento e contamina tutto. Al punto che i giovani, qui rappresentati da Candelario e Martina, non hanno altra scelta che sottomettersi, in un modo o nell’altro, al cartello che ha trasformato la città nel suo feudo privato. Anche i personaggi secondari sono perfettamente delineati. Il linguaggio del gioco è un esercizio eccezionale di vera letteratura. Ricardo Senabre, El Mundo Ondjaki NonnaDiciannove e il segreto del sovietico (Il Sirente) Helen Humpreys Il canto del crepuscolo Playground, 205 pagine, 16 euro ●●●●● Chi si lamenta perché nei romanzi contemporanei gli uccelli servono solo come metafore e non hanno mai un ruolo nella storia, sarà piacevolmente sorpreso dal libro di Helen Humphreys. Qui una famiglia di codirossi fa da protagonista per quasi cento pagine, inché un uiciale della Royal air force di nome James Hunter (uno dei tre personaggi i cui punti di vista intrecciati compongono il racconto) decide di studiare gli uccelli per riempire i lunghi giorni vuoti in un campo tedesco di prigionia. Le attività di James attirano presto l’attenzione del Kommandant del campo, che lo convoca per un interrogatorio. Dopo aver constatato che James non sta tramando una fuga, il Kommandant si dimostra inaspettatamente accomodante verso questa nuova passione del prigioniero: ofre a James una guida agli uccelli tedeschi e, in seguito, lo accompagna nei boschi locali a osservare un raro raduno di beccofrusoni dei cedri. Nelle lettere che spedisce a casa, James tenta di condividere la sua passione per i codirossi con la moglie Rose. Ma, ahimè, l’occhio di Rose si è posato su un uccello di tutt’altra specie, un uiciale in congedo di nome Toby. D’altra parte lei e James si erano appena sposati quando lui è partito. Ma ora Enid, la sorella di James, la cui casa a Londra è stata distrutta da un bombardamento, chiede di andare a stare con Rose, che è costretta a interrompere temporaneamente la sua relazione. Rose, ovviamente, non sopporta l’intrusione. Lentamente, però, le due donne raggiungono una sorta di intimità, soprattutto Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 81 Cultura Libri quando Rose scopre che Enid è in una situazione sentimentale simile alla sua. Il problema è che Rose non può rivelarlo alla cognata prima di chiedere il divorzio, e a quel punto Enid non vorrà avere niente a che fare con lei. La prosa di Humphreys è elegante e sobria, anche se di tanto in tanto il tema ornitologico del romanzo le scappa di mano. Emily Donaldson, The Globe and Mail Marceline Loridan-Ivens E tu non sei tornato Bollati Boringhieri, 105 pagine, 12,90 euro ●●●●● Un testo breve, apparso quasi di nascosto, che non doveva neppure essere pubblicato in coincidenza con le commemorazioni della liberazione dei campi nazisti. Ma evoca proprio quel periodo ed è stato scritto da una delle rare sopravvissute dei campi, Marceline Loridan-Ivens, nata Rozenberg. La cineasta francese, che oggi ha quasi novant’anni, ne aveva sedici quando fu deportata, nell’aprile del 1944. Settant’anni dopo pubblica questo piccolo libro di una rara intensità, scritto con la complicità della romanziera Judith Perrignon. Il titolo, E tu non sei tornato, è rivolto al padre che non è riuscito a scampare ai carneici nazisti di AuschwitzBirkenau. La testimonianza è di una forza straordinaria. Marceline Loridan-Ivens, malgrado la cupezza degli avvenimenti, evita ogni forma di pathos. Mohammed Aissaoui, Le Figaro Yasmina Khadra Cosa aspettano le scimmie a diventare uomini Sellerio, 306 pagine, 16 euro ●●●●● C’è tutto Yasmina Khadra tra le righe del suo ultimo romanzo. Lo scrittore talentuoso ed egotico dalla penna sempre afilata, l’acuto osservatore della società algerina, l’autore di thriller tenebrosi e violenti, e inine il politico apprendista, eimero candidato alle ultime elezioni presidenziali. Il romanzo rappresenta il suo grande ritorno all’Algeria contemporanea, tra poliziesco e thriller politico: una giovane studentessa, accuratamente vestita e truccata, trovata morta e mutilata in una foresta nei pressi di Algeri; una commissaria bella, ricca e onesta; un barone della stampa senza scrupoli; un vecchio onnipotente che governa il paese nell’ombra; un poliziotto macho e corrotto e un altro impotente, eterno capro espiatorio del primo. Una parabola dell’Algeria contemporanea: un potere corrotto, corruttore e cinico, un popolo schiacciato e colpevole della propria rassegnazione, una nazione sull’orlo del precipizio. Il romanzo è appassionante. Il pamphlet soggiacente – eccessivamente cupo e caricaturale – lo è molto di meno. Marwane Ben Yahmed, Jeune Afrique Non iction Giuliano Milani Il lenzuolo e il fantasma Andrea Nicolotti Sindone. Storia e leggende di una reliquia controversa Einaudi, 270 pagine, 32 euro Fino alla ine del medioevo nessuna fonte storica nomina un oggetto dotato delle caratteristiche della Sindone di Torino. Si hanno notizie di tessuti sepolcrali di Gesù conservati e adorati dai fedeli, ma è molto diicile, se non impossibile, ricondurre queste attestazioni alla Sindone. Poi, verso il 1355, la Sindone appare, nel nord della Francia, ed è subito oggetto di 82 controversie. I canonici che la custodiscono e la espongono ai pellegrini sono accusati dal loro vescovo di ingannare il popolo. Poco più di seicento anni dopo, nel 1988, con il metodo del radiocarbonio si stabilisce che il lenzuolo risale a un periodo che va dal 1260 al 1390. Eppure, nonostante queste premesse, la Sindone è diventata oggi una delle reliquie più venerate della cristianità. La rigorosa e onesta ricostruzione di Andrea Nicolotti aiuta a capire come Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 questo sviluppo è stato possibile: prima, nell’età moderna, grazie alla volontà della casa di Savoia di rendere più sacro il proprio nome incentivando culti e pellegrinaggi, poi, dal novecento, con la nascita di una scienza paradossale, la “sindonologia”, che smentisce sistematicamente ogni spiegazione razionale del proprio oggetto di studio, afermando che le evidenti stranezze della Sindone non sono altro che la prova della sua origine soprannaturale. u Ragazzi Dieci anni dopo Francesco D’Adamo Dalla parte sbagliata Giunti, 208 pagine, 12 euro Il 16 aprile 1995 un piccolo sindacalista di 13 anni, Iqbal Masih, venne ucciso in circostanze mai chiarite. Iqbal oggi è un simbolo per chiunque lotti per i propri diritti. A lui sono state intitolate scuole, librerie, circoli. E naturalmente è stata raccontata la sua storia. In Italia Francesco D’Adamo gli ha dedicato un romanzo struggente, pieno di calore. Dopo dieci anni lo stesso autore riprende le ila di quella storia per raccontare un seguito, per capire cosa è cambiato per i bambini in Pakistan. Ed ecco che a ianco di Iqbal vediamo apparire due personaggi di fantasia: Fatima e Maria. Sono ragazze forti e con tanta voglia di sconiggere le ingiustizie del mondo. Fatima emigra in Italia, impara la lingua, ma anche qui la sua storia si intreccia con quella dei diseredati che raccolgono i pomodori per pochi spiccioli. Maria invece rimane in Pakistan e continua le lotte dell’amico Iqbal. Ma il paese è dominato da multinazionali senza princìpi morali e dai fondamentalisti religiosi. Le loro esistenze scorrono parallele come due corsi d’acqua gemelli, ma il loro afetto, nonostante i chilometri che le separano, è sempre forte. Un romanzo dove si piange molto, ma dove si raforza la consapevolezza che la lotta non è mai vana, che il piccolo Iqbal non morirà mai. Igiaba Scego Ricevuti Arundhati Roy I fantasmi del capitale Guanda, 172 pagine, 14 euro Una denuncia degli abusi, degli espropri e della corruzione della ristretta élite politica ed economica che governa l’India capitalista e detiene il monopolio della ricchezza. A cura di Gofredo Foi Il racconto onesto Contrasto, 375 pagine, 24,90 euro Sessanta scrittori italiani rilettono sul complesso legame tra letteratura e realtà. Fumetti L’orso perduto Stefano Ricci La storia dell’orso Quodlibet, 432 pagine, 28 euro Pubblicato prima in Francia da Futuropolis-Gallimard, poi in Italia dal prestigioso Quodlibet, La storia dell’orso igura tra i titoli a fumetti più importanti degli ultimi dieci anni e per questo ne riparleremo. È un punto d’arrivo sia del percorso artistico di Ricci sia del fumetto e delle arti visive in generale, cinema compreso. Prendendo spunto da un fatto di cronaca – un orso bruno che deambulava tra Germania e Norditalia divorando pecore – l’autore costruisce una delle più potenti metafore del nostro stato attuale d’incertezza e d’indeinitezza, con la forza e l’originalità che solo il fumetto in questo momento riesce a trasmettere. Opere come quelle di Andrea Bruno, Giacomo Nanni, il Gipi di Una storia, e soprattutto il Lorenzo Mattotti di Chimera, Hänsel e Gretel, Oltremai. Quando Ricci dipinge in un clima del tutto onirico i suoi orsi-panda che sembrano tanto umani e i suoi conigliuomo che sembrano ben poco umani, compie un’operazione di fusione di una parte importante della memoria visivopittorica moderna, in particolare un concentrato densissimo e magmatico di pittura teutonica, di colata lavica dal sapore ancestrale: da Alfred Kubin all’Urlo di Munch. Come con il Mattotti di Oltremai, qui si esce dal citazionismo postmoderno per andare “oltre”. L’orso che sembra un panda deambula infatti con persistenti occhi vuoti e si pensa alla bocca ovale dell’urlo munchiano come evocazione (quasi sciamanica) e non citazione. Sembra perduto come tutti noi, come se andando “oltre”, Disney e Miyazaki fossero entrati per sempre nell’ombra, non per essere statici ma per un viaggio ininito di conoscenza. Francesco Boille Giampiero Rossi La regola Laterza, 218 pagine, 18 euro Imprenditori che considerano il pizzo un normale costo d’azienda, politici comprati e ricattati. Un’inchiesta sulla ‘ndrangheta, che è entrata negli uici della classe dirigente e politica della Lombardia. Norberto Bobbio Eravamo ridiventati uomini Einaudi, 161 pagine, 12 euro Una raccolta di scritti dal 1945 al 1995 in cui Bobbio rilette su uno dei momenti fondanti della nostra democrazia, la resistenza. Mario Capello L’appartamento Tunué, 95 pagine, 9,90 euro Angelo, un precario dell’editoria in prestito al settore immobiliare, conosce un misterioso personaggio che insiste perché legga un suo manoscritto. Accetta, scoprendo l’oscuro passato del nostro paese. Willa Cather La mia Antonia Elliot, 229 pagine, 19,50 euro Dopo che la sua famiglia è stata colpita da una disgrazia e che il mondo dorato dell’infanzia è perduto, una ragazza continua a inseguire la felicità con ostinazione. Alessandra Arachi Non più briciole Longanesi, 203 pagine, 14,90 euro Loredana ha sedici anni e un giorno decide di lasciare a metà il suo piatto di spaghetti. Il dramma dell’anoressia dal punto di vista di una madre che lotta ogni giorno per salvare sua iglia. Diana Lama 27 ossa Newton Compton, 381 pagine, 9,90 euro In giro per Napoli vengono ritrovati degli arti femminili. Le indagini di Andrea, poliziotta sospesa dal servizio, la conducono nel sinistro condominio in cui abita. Viviano Domenici Uomini nelle gabbie Il Saggiatore, 335 pagine, 17 euro Il fenomeno degli zoo umani raggiunse l’apice con le grandi esposizioni universali di inizio novecento che celebravano il progresso e la supremazia dell’uomo bianco. Il turismo della povertà di moda negli ultimi anni sembra riproporre la stessa logica. Sabino Cassese Dentro la corte Il Mulino, 319 pagine, 22 euro In questo suo “diario di un giudice costituzionale”, Cassese descrive il funzionamento di un organo centrale della vita giuridica e politica del paese e ricostruisce nove anni incandescenti (dal 2005 al 2014), punteggiati da sentenze storiche. Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 83 Cultura Musica Dal Regno Unito Baths Milano, 14 maggio, leoncavallo.org; Modena, 15 maggio, facebook.com/laikaparty; Roma, 16 maggio, springattitude.it I Beatles? Roba vecchia And So I Watch You From Afar Milano, 15 maggio, leoncavallo.org; Roma, 16 maggio, traiclive.org; Modena, 17 maggio, comune.modena.it/latenda Nel 1964 l’arrivo dei Beatles negli Stati Uniti diede il via alla cosiddetta British invasion, un momento che secondo gli appassionati ha rivoluzionato la musica pop . Ora uno studio della scuola di ingegneria elettronica e scienza informatica del Queen Mary imperial college di Londra mette questa certezza in discussione: le diferenze con la musica degli anni precedenti non sarebbero particolarmente evidenti. La ricerca ha analizzato tutte le canzoni entrate in classiica The Vamps Milano, 13 maggio, fabriquemilano.it Marika Hackman Segrate (Mi), 13 maggio, circolomagnolia.it Agnostic Front Bologna, 14 maggio, locomotivclub.it Spring Attitude Apparat, Doldrums, Glass Animals, Godblesscomputers, Indian Wells, John Talbot, Kelela, Ninos du Brasil, Portico, Quiet Ensemble, Redinho, Robert Henke, SBTRKT, Scratch Perverts, Siriusmodeselektor, Yakamoto Kotzuga, Youarehere e altri Roma, 14-17 maggio, springattitude.it Baths 84 Uno studio analizza cinquant’anni di canzoni di successo GETTy IMaGES Dal vivo The Beatles, 1964 negli Stati Uniti dal 1960 al 2010, considerando gli accordi, gli strumenti, la struttura e gli arrangiamenti di cinquant’anni di hit. Secondo Matthias Mauch, che ha guidato il lavoro, lo studio permette “per la prima volta di misurare con precisione le caratteristiche di ogni canzone”. I successi dei primi anni sessanta sono risultati meno rivoluzionari del previsto, ma il 1991, con l’arrivo dell’hip-hop, è il momento in cui il suono è cambiato davvero. Un risultato che, prevedibilmente, lascia perplessi molti altri studiosi. “La musica pop non si misura così”, commenta Mike Brocken della Hope university di Liverpool. “I Beatles comunicavano qualcosa al loro pubblico, e non è importante se lo facevano con un la maggiore o un la minore. Gli studi semiotici portano risultati molto più interessanti di quelli di un computer”. Tim Jonze, The Guardian Playlist Pier Andrea Canei Mandolini autoavveranti Etruschi from Lakota Poririo Villarosa Olé olé! C’è fuori un album-tributo al genio di Fred Buscaglione, e partecipano alcune delle migliori menti e voci del nuovo pop italiano, da Bugo a Brunori Sas, da Dente ai Perturbazione. Molti tendono a raschiarne via una certa patina di istrionismo, per ritrovare la saudade sottostante. Non così questi Etruschi delle parti di Pisa, che anzi montano a neve il lato più gagliofo e scavezzacollo, trascinando Buscaglione in una rumba da Robert Rodríguez, e subito il terrazziere torinese playboy sfodera un machete da Pulp iction. 1 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 Canzoniere Grecanico-Salentino Made in Italy “Spaghetti, pizza, mandolino”, una tarantella zufolata, tamburelli e iati popolari a manetta, il testo di Piers Faccini che gioca con i luoghi comuni, e la grande formazione salentina che gioca di ino. Così come altrove nell’imperdibile album Quaranta (che sono gli anni di attività) rende giustizia poetica ai boat people del Mediterraneo, s’attacca ai gasdotti, scava nelle ombre di un mondo chiuso e nei dì di festa se la suona e canta con Ludovico Einaudi e i iati di Fanfara Tirana. Taranta immersiva, e magistrale musica popolare. 2 Jovine (feat. La Pankina Crew) ’A musica dô sud Sono pure qui il mandolino, la tarantella, funiculì: almeno sotto forma di name checking del giovane rapper di scuola partenopea che si mette in scia di Clementino (suo ospite nella title track dell’album Parla più forte) e poi c’è Carosone, ci sono emozioni contrabbandatate in macchine di cartone, jeans e magliette, notti passate alla stazione, e tutto un mondo di retoriche (speranza, riscatto, crescita) a volte autoavveranti, perché quando ’a musica è bbona, come qui, almeno per qualche momento, tutto funziona e ci si sente a casa. 3 Resto del mondo Mumford & Sons Wilder mind (Gentlemen of the Road) ●●●●● Quasi tutti i musicisti farebbe ro carte false per tenersi stret to un successo come quello dei Mumford & Sons. Il primo e il secondo album della band londinese, Sigh no more e Babel, hanno venduto qualco sa come sette milioni di copie. Il loro vivace stile acustico è diventato popolarissimo. Ne gli Stati Uniti sono entrati rapi damente in un giro di vere leggende del rock, esibendosi con gente come Bob Dylan e Paul Simon. Ora Marcus Mumford presenta questo ter zo disco facendosi befe di tut to quel che ha reso famosa la band: i gilet di tweed (“sem bravamo degli idioti”), il nome (“una cazzata”) e perino il banjo (“ma vafanculo al banjo, io lo odio quel banjo del cazzo”). E considera inevitabi le perdere qualche fan con la svolta di Wilder mind, che è decisamente elettrico. La sto ria del rock è piena di voltafac cia del genere, ma questo è de cisamente insolito: di solito gli artisti famosi cambiano stile per lanciarsi su strade nuove e più sperimentali. I Mumford & Sons, invece, rischiano di far saltare i nervi al loro pubblico per fare musica che è molto più insigniicante e generica di quella che li ha resi delle star. La isarmonica e l’odiato banjo sono spariti, ma al loro posto c’è un indie rock da stadio con grandi cori da cantare tutti in sieme e chitarre sommerse da un’eco in stile U2. È un gruppo che è diventato troppo grande per continuare con il sound di prima, ma non ne ha trovato uno nuovo per sostituirlo. Alexis Petridis, The Guardian Lila Downs Balas y chocolate (Rca) Mumford & Sons Lead Belly The Smithsonian Folkways collection (Smithsonian Folkways) ●●●●● Il 16 luglio del 1933 il musico logo Alan Lomax fu inviato dalla Library of congress a vi sitare la prigione di Angola, in Louisiana, per registrare le prison songs cantate dai dete nuti. Nel carcere conobbe Huddie Ledbetter, che aveva 45 anni e stava scontando una condanna per tentato omici dio. Colpito dalla sua voce estremamente espressiva, quel giorno Lomax registrò dodici brandi di Ledbetter, tra cui Irene (Goodnight Irene). L’importanza di quell’incisio ne sarebbe stata evidente solo in seguito: fu in quel momen to, infatti, che si compì il de stino della musica statuniten se, con il folk e il blues che fe cero il loro ingresso nel lin guaggio culturale bianco. Con 108 canzoni, 16 delle quali i nora inedite, distribuite su cinque cd e arricchite da un li bro di 140 pagine con foto e note biograiche, questo cofa netto è un vero e proprio og getto d’arte. Compilata con materiale preso dalla Library of congress, dalle incisioni per la Folkways di Moses “Moe” Asch, da esibizioni per la radio newyorchese Wnyc e dalle ul time registrazioni del 1948, la raccolta è anche l’unica che copre l’intera carriera di Lead Belly: un lavoro assemblato meravigliosamente che ci fa comprendere, come prima non era mai successo, l’uomo che ha composto la colonna sonora per la vita degli afroa mericani e ha piantato le radi ci su cui è nato il rock’n’roll. Lois Wilson, Mojo Django Django Born under Saturn (Because) ●●●●● Il debutto dei Django Django nel 2012, con il suo miscuglio sperimentale di rock psiche delico ed elettronica, aveva ottenuto un successo di critica e di pubblico sorprendente. Dopo due anni passati tra pre mi e concerti in tutto il mondo ecco il secondo album, che ag giorna con attenzione le carat teristiche migliori del primo: basta sentire le tastiere e la luccicante rainatezza di First light, un pezzo che fa pensare ai Beach Boys. Born under Saturn suona molto sicuro di DR Album Bassekou Kouyaté & Ngoni Ba Ba power (Glitterbeat) REBECCA MILLER Scelti da Marco Boccitto Django Django Africa Unite Il punto di partenza (africaunite.com) sé dall’inizio alla ine, ma non per questo gli mancano tutte le qualità che rendevano il de butto così trascinante. La faci lità con cui la band riesce a in trecciare elementi tanto di versi è sempre stupefacente, però i Django Django danno il meglio di sé quando sono di retti, e questo rende tutta la parte centrale dell’album irre sistibile. Born under Saturn non può che renderli ancora più forti. Andy Baber, Music Omh Lorenzo Coppola e Andreas Staier Brahms: sonate per clarinetto e piano, Klavierstücke op. 118 Lorenzo Coppola, clarinetto; Andreas Staier, pianoforte (Harmonia mundi) ●●●●● Per questo album Coppola e Staier hanno scelto un clari netto che è la riproduzione di quello di Richard Mühlfeld, a cui furono dedicate le sonate, e un pianoforte Steinway americano del 1875. I due strumenti ci costringono ad abbandonare l’opulento impa sto sonoro al quale siamo abi tuati in queste sonate per cla rinetto. Sono strumenti più leggeri e, soprattutto, dal tim bro più personale. Anche i due musicisti ci costringono a cambiare le nostre abitudini, con un fraseggio più fram mentato di quello che cono sciamo e tempi più rapidi del solito. Tutte queste scelte danno alle sonate un’energia e un nervosismo che di solito associamo al Brahms più gio vane. Chi ama il Brahms vecchio saggio troverà il pri mo ascolto di questo album un piccolo trauma. Ma dal secondo imparerà ad amare questa lettura sempre intel ligente. Antoine Mignon, Classica Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 85 Cultura Video In rete Global ofshore Stop the pounding heart Venerdì 8 maggio, ore 21.15 Rai5 In un documentario girato in Texas e centrato su una ragazza e i suoi genitori adottivi, il regista Roberto Minervini esplora i temi della famiglia, dell’adolescenza e della religione nell’America rurale. Nel paese dei coppoloni Sabato 9 maggio, ore 22.00 Laefe Vinicio Capossela ripercorre il viaggio reale e fantastico nei luoghi, nelle storie e tra i personaggi del suo nuovo romanzo: Calitri nell’Alta Irpinia è al centro del racconto, tra sacro e profano, di un’Italia che rischia di essere dimenticata. Björk. La natura è musica Sabato 9 maggio, ore 22.55 Laefe La popstar islandese esplora il rapporto tra musica e natura al centro del suo progetto Biophilia, parlandone con il documentarista britannico David Attenborough. La voce narrante è di Tilda Swinton. Femen. L’Ucraina non è in vendita Mercoledì 13 maggio, ore 22.00 Laefe La regista ha seguito per 14 mesi le attiviste del gruppo Femen. Tra azioni, denunce e arresti si è fatta raccontare da loro le origini del movimento e come nascono le proteste. Quel che resta della guerra Venerdì 15 maggio, ore 21.30 Rai Storia Il “mercato” dei residuati bellici della grande guerra era stato raccontato da I recuperanti di Ermanno Olmi. Oggi a questa attività si dedicano ancora in molti, non più per necessità ma per hobby e collezionismo, non senza rischi. 86 Dvd Felicità interna lorda La piccola nazione himalayana del Bhutan ha introdotto l’indice della felicità interna lorda, alternativo al più tradizionale pil, misuratore di crescita (o declino), ma non di efettiva qualità della vita. La trovata della monarchia che guida il paese rischia però di rivelarsi poco più di un’astuta mossa di comunicazione, e il regista francese Thomas Balmès ha voluto visitare il paese per raccontare in Happiness, uscito in dvd nel Regno Unito, la transizione del villaggio di Laya dal tradizionale stile di vita rurale a uno segnato dalla tecnologia e dal progresso: basterà questo a rendere i butanesi davvero felici? thomasbalmes.com international.ofshore -interactive.com La carenza delle risorse energetiche rende sempre più appetibili gli enormi giacimenti petroliferi protetti dagli oceani. Ma l’estrazione in profondità comporta costi e rischi ambientali molto alti. Il progetto Global ofshore dei canadesi di Helios Design Labs prosegue l’inchiesta Ofshore interactive, raccontando quattro aree calde: il Brasile dove operano giganti del petrolio come Petrobras, il Ghana dove la strategia di sfruttamento dei nuovi giacimenti è stata fallimentare, l’Alaska dove lo scioglimento della calotta polare scopre immensi territori da trivellare e inine il Golfo del Messico dove sono evidenti le conseguenze del disastro della piattaforma Deepwater Horizon. Fotograia Christian Caujolle L’essenza della Biennale C’è stata un’epoca, diciamo venticinque anni fa, in cui si aspettava con curiosità e impazienza di sapere cosa sarebbe stato presentato alla Biennale di Venezia. I comunicati stampa erano merce rara e le migliori fonti d’informazione erano gli artisti stessi, i ministeri della cultura dei diversi paesi che esponevano e qualche critico d’arte ben inserito e ben informato. Oggi tutto è cambiato. Radicalmente. L’uicio Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 stampa della Biennale continua a fare il suo lavoro d’informazione. Ma adesso è aiancato da un nuovo attore sulla scena del mondo dell’arte che ha una potenza di fuoco superiore e inisce per essere preponderante. Da un paio di mesi infatti, e quindi da molto prima che tutti quelli che “contano” nel mondo dell’arte si ritrovino tra la Laguna di Venezia, il Canal Grande, i Giardini e l’Arsenale, le più potenti gallerie d’arte del mondo stanno facendo la loro campagna via email. Ognuna promuove i suoi artisti che siano impegnati nei padiglioni uiciali, nelle esposizioni collettive, in spazi pubblici, in fondazioni private o anche in eventi organizzati dalle stesse gallerie. La Biennale è sempre stata un luogo dove si sono fatti grandi afari. Ma adesso, prima ancora che si parli di contenuti e tematiche, il marketing, la comunicazione e il business si pongono come elementi essenziali. u Cultura Arte Vincent Lamouroux, Projection ELIzABETH DANIELS Un letto in tour Londra, Tate Britain, ino a giugno 2016 Tracey Emin oggi è Cbe (commander of the British Empire, onoriicenza attribuita anche a Bill Gates), amica di David Cameron e testimonial di Marks & Spencer, ma solo vent’anni fa era tutt’altro che afermata. La sua arte forte e iera ha contribuito a scuotere quella soffocante élite maschile che dominava il mondo dell’arte. Ha afascinato e diviso pubblico e critica con alcune installazioni dolorosamente personali, come My bed, e altre sfacciatamente narcisistiche. Dopo aver vinto il Turner prize nel 1999, la sala dove era esposto il famoso letto è stata chiusa diverse volte per sovrafollamento. Si trattava del letto dell’artista messo in mostra dopo la rottura traumatica di una relazione, completo di lenzuola stropicciate, preservativi, mutandoni e bottiglie di alcolici. Emin aveva attinto alla storia dell’arte, non solo alla vita privata, per scrivere l’ultimo capitolo della tradizione dell’autoritratto e della natura morta. Oggi l’opera è stata acquisita dalla Tate Britain ed è esposta nella collezione permanente. Ormai il letto di Emin, con le lenzuola un po’ ingiallite, ha perso il suo potere scioccante diventando un’icona protetta da potenti sistemi di allarme. Che ci piacesse o no il lavoro di Emin era lo specchio del Regno Unito degli anni novanta, della cultura confessionale contaminata dal grande fratello. Il paese è andato avanti e oggi la giusta collocazione dell’opera è tra i capolavori dell’arte britannica dall’epoca dei Tudor in poi. My bed sarà esposto alla Tate ino al 2016, poi partirà in tour prima di tornarsene a casa. The Guardian Los Angeles Ridipingere Los Angeles Vincent Lamouroux Bates Motel, Los Angeles Una città portuale del nord, potrebbe essere Genova, uno scenario triste dove la nebbia non si dissolve mai. È quella parte di Deserto rosso, il ilm di Michelangelo Antonioni, dove Giuliana, Corrado e un marinaio senza nome, vagano in un inverno perpetuo. Il paesaggio rispecchia la loro vita interiore. Cambiamo scenario. Los Angeles in una bella giornata di primavera, nel quartiere alla moda di Silver Lake. La luce è talmente accecante che il Bates Motel, un ediicio un po’ sinistro, sembra addirittura bianco. Lo è davvero, come le palme e i cartelloni pubblicitari che lo circondano. Il 20 aprile Vincent Lamouroux lo ha dipinto a calce per protestare contro la gentriicazione del quartiere. Mentre ristoranti e alberghi di lusso vengono ristrutturati, l’ediicio cadente rischia di essere demolito. Entro tre settimane dall’imbiancatura, la vernice si dissolverà ino a sparire del tutto anticipando la condanna a morte dell’ediicio. Nel 2010 Lamouroux aveva già imbiancato un bo- schetto sulla Mosa e due anni dopo era stato fermato mentre stava per sbiancare un bosco del parco di Buttes-Chaumont per la Biennale di Belleville. Anche Mondrian, la cui avversione per il verde e tutto ciò che richiamava le forme della natura era leggendaria, aveva fatto dipingere di bianco un iore di plastica che era nel suo studio parigino. Tra land art e street art, la pratica del monocromo ruba un pezzo di realtà lasciando un vuoto, come direbbe Smithson, pioniere della land art. Les Inrockuptibles Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 89 La fame Martín Caparrós rano tre donne: una nonna, una madre, per fare le frittelle da vendere al mercato e così più o una zia. Da tempo le guardavo muoversi meno me la caverei”. attorno a quella branda d’ospedale per “Intendevo che il mago può darti qualunque cosa, mettere insieme, lentamente, i due piatti tutto quello che gli chiedi”. di plastica, i tre cucchiai, la pentolina an“Qualunque cosa davvero?”. nerita, il secchio verde e darli alla nonna. “Sì, tutto quello che gli chiedi”. E continuai a guardarle quando la madre e la zia raccol“Due vacche?”. sero la coperta, due o tre magliettine, gli stracci in un Me lo disse in un sussurro, e mi spiegò: fagotto che legarono perché la zia se lo mettesse sopra “Con due sì che non avrei fame mai più”. la testa. Ma ebbi un cedimento quando vidi che la zia si Era così poco, pensai come prima cosa. chinava sulla branda, sollevava il piccolo, lo teneva a Ed era tanto. mezz’aria, lo guardava con una faccia strana, come stuConosciamo la fame, siamo abituati alla fame: abpita, come incredula, lo appoggiava sulla schiena della biamo fame due, tre volte al giorno. Nelle nostre vite madre come in Africa si appoggiano i piccoli sulle schie- non esiste niente che sia più frequente, più costante, più ne delle loro madri – con le gambe e le braccia divarica- presente della fame e, al tempo stesso, per la maggior te, il petto del bambino contro la schiena parte di noi, niente che sia più lontano della madre, la faccia girata di lato – e la Nelle nostre vite non dalla fame vera. madre lo legava con un pezzo di stofa, esiste niente che sia Conosciamo la fame, siamo abituati come in Africa si legano i piccoli al corpo più frequente, più alla fame: abbiamo fame due, tre volte al delle loro madri. Il piccolo era al suo po- costante, più giorno. Ma tra la fame ripetuta, quotidiasto, pronto per andare a casa, come sem- presente della fame na, saziata ripetutamente e quotidianapre, morto. mente che viviamo noi, e la fame dispee, al tempo stesso, Non faceva più caldo del solito. per la maggior parte rante di chi non può soddisfarla, c’è tutto Credo che il mio libro La fame sia codi noi, niente che sia un mondo. La fame è, da sempre, motore minciato qui, in un paese molto vicino a di cambiamenti sociali, progressi tecnici, più lontano dalla qui, nel profondo del Niger, qualche anrivoluzioni, controrivoluzioni. Nulla ha no fa, seduto con Aisha su una stuoia di fame vera inluito di più sulla storia dell’umanità. fronte alla porta della sua capanna, sudoNessuna malattia, nessuna guerra ha ucre di mezzogiorno, terra secca, ombra di un albero rado, ciso più gente. Ancora oggi nessuna piaga è tanto letale urla di bambini che correvano tutto attorno, quando lei e, al tempo stesso, tanto evitabile quanto la fame. mi raccontava della palla fatta con la farina di miglio Io non sapevo. che mangiava tutti i giorni della sua vita e io le domanLa fame è, nelle mie immagini più lontane nel temdai se mangiava davvero quella palla di miglio tutti i po, un bambino con la pancia gonia e le gambe sottili in giorni della sua vita e ci fu uno shock culturale: un posto sconosciuto che allora si chiamava Biafra. Al“Be’, tutti i giorni che posso”. lora, alla ine degli anni sessanta, udii per la prima volta Mi disse così e abbassò gli occhi con vergogna e io la parola che esprime la fame nella sua versione più brumi sentii un verme, e continuammo a parlare del suo tale: carestia. Il Biafra fu un paese eimero: dichiarò la cibo e della mancanza di quel suo cibo e io, povero propria indipendenza dalla Nigeria il giorno in cui io sprovveduto, mi confrontavo per la prima volta con compivo dieci anni. Prima che ne avessi tredici era già l’espressione più estrema della fame e dopo un paio di scomparso. In quella guerra un milione di persone moore piene di sorprese le domandai – per la prima volta, rirono di fame. La fame, sugli schermi di quei televisori la domanda che in seguito avrei fatto così tanto – se in bianco e nero, erano i bambini, circondati di mosche, avesse potuto chiedere quello che voleva, qualunque con un rictus d’agonia. cosa, a un mago capace di dargliela, che cosa gli avrebNei decenni successivi l’immagine sarebbe divenbe chiesto. Aisha esitò per un po’, come chi si confronta tata più o meno consueta: ripetuta, insistente. Per quecon qualcosa di inconcepibile. Aisha aveva trenta o sto ho sempre pensato che avrei cominciato questo litrentacinque anni, il naso da rapace, gli occhi di tristez- bro con il racconto crudo, scarno, terribile di una careza, la stofa lilla a coprire tutto il resto. stia. Sarei arrivato con una squadra d’emergenza in un “Voglio una vacca che mi dia molto latte, così se luogo desolato, probabilmente africano, dove migliaia vendo un po’ di latte posso comprare quello che serve di persone stavano morendo di fame. Lo avrei raccon- E MARTÍN CAPARRÓS è un giornalista e scrittore argentino. Sarà ospite a Encuentro, festa delle letterature in lingua spagnola di Perugia, dall’8 al 10 maggio. Questo racconto è il primo capitolo del suo libro La fame, che uscirà il 15 maggio per Einaudi. Titolo originale El hambre, © 2014 Martín Caparrós, Casanovas & Lynch Agencia Literaria S.L. © 2015 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino CAPARRÓS LA FAME ame: abbiamo vite non esiste , piú presente or parte di noi, n Caparrós ha Niger, il Kenya, niti, la Spagna. gioni – siccità, rono la fame. torie di coloro per mitigarla e o tanta gente. eccanismi che non mangino bile dell’ordine arretratezza? di soluzione? Pop MARTÍN CAPARRÓS LA FAME ca che ri ette denuncia una per eliminarla a Parigi, ha vissuto viaggiato in mezzo o il Premio Planeta, tore di una trentina mio Herralde. Il suo plauso della critica. Non è un cambio di F come Fame. La crisi mortale del nostro tempo. Un saggio, un reportage, una denuncia spietata del nostro silenzio. 90 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 CHRISTIAN DELLAVEDOVA Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 91 Pop Storie vere Rachel Austin, 40 anni, continuava a molestare un cliente in un bar di Naples, in Florida, così un barista l’ha buttata fuori dal locale e ha chiamato la polizia. Quando gli agenti sono arrivati la donna gli ha spiegato che lei “stava solo ballando con Jim Carrey vestito in costume da Batman”. Poi, protestando per essere stata cacciata via, si è avviata verso la sua macchina. Quando un poliziotto le ha fatto notare che era troppo ubriaca per guidare, lei gli ha buttato una sigaretta accesa in faccia e ha cominciato a picchiarlo avvertendolo che era una maiosa ed era sposata con un agente dell’Fbi di New York. I poliziotti non si sono spaventati: ora Rachel Austin è accusata di aggressione a un pubblico uiciale e resistenza all’arresto. 92 tato con particolari brutali e a quel punto, dopo aver rappresentato il peggiore degli orrori, avrei detto che non bisogna ingannarsi, o lasciarsi ingannare: situazioni del genere rappresentano soltanto la punta dell’iceberg e la realtà reale è molto diversa. Avevo pensato, progettato tutto alla perfezione ma negli anni che ho passato a lavorare su questo libro non ci sono state carestie fuori controllo, solo le solite: la penuria estrema nel Sahel, i rifugiati somali o sudanesi, le inondazioni nel Bengala. Tutto questo, da un lato, è una grande notizia. Ma dall’altro, non meno importante, è un problema: le ecatombi sono le uniche occasioni che la fame aveva di presentarsi – immagini sugli schermi delle case – a chi non la sofre. La fame come catastrofe puntuale e spietata compare soltanto in occasione di una guerra o di un disastro naturale. Tutto il resto, invece, è molto più diicile da mostrare: i miliardi di persone che non mangiano quanto dovrebbero e soffrono per questo, e muoiono a poco a poco per questo. L’iceberg, ciò che questo libro cerca di raccontare e di pensare. Eppure non dico nulla che non sappiamo già. Tutti sappiamo che c’è la fame nel mondo. Tutti sappiamo che ci sono ottocento, novecento milioni di persone – le cifre oscillano – che ogni giorno patiscono la fame. Tutti abbiamo letto o udito queste stime, e non sappiamo o non vogliamo agire di conseguenza. Se c’è stato un momento in cui la testimonianza – il racconto crudo – serviva, si direbbe che adesso non serva più. Allora cosa rimane, il silenzio? Aisha, che mi diceva quanto sarebbe stata diversa la sua vita con due vacche. Se proprio devo spiegarlo – non so se devo spiegarlo – niente mi ha colpito di più che capire come la povertà più crudele, la più estrema, sia quella che ti ruba anche la possibilità di pensarti diverso. Quella che ti lascia senza prospettive, senza neanche desideri: condannato per sempre alla stessa situazione inevitabile. Dico, voglio dire, ma non so come dirlo: voi, gentili lettori, così pieni di buone intenzioni, un po’ smemorati, riuscite a immaginare che cosa signiichi non sapere se domani potrete mangiare? E, ancora, riuscite a immaginare come possa essere una vita fatta di giorni che si susseguono ad altri giorni senza sapere se domani potrete mangiare? Una vita che consiste soprattutto in questa incertezza, nell’angoscia di questa incertezza e nello sforzo d’immaginare come alleviarla, non potendo pensare a nient’altro perché ogni pensiero si tinge di questa mancanza? Una vita così limitata, così breve, a volte così dolorosa, così combattuta? Tante forme di silenzio. Il mio libro ha molti problemi. Come raccontare l’altro, ciò che è più lontano? È molto probabile che voi, lettori, lettrici, conosciate qualcuno che è morto di cancro, che ha subìto un’aggressione, che ha perduto un amore un lavoro l’orgoglio. È molto improbabile che conosciate qualcuno che vive con la fame, che vive il rischio di morire di fame. Molti milioni di persone che sono qualcosa di lontano: qualcosa che non sappiamo – né vogliamo – immaginare. Come raccontare una simile miseria senza cadere Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 nel pietismo, nell’uso lacrimevole del dolore altrui? O prima ancora: perché raccontare una simile miseria? Molto spesso raccontare la miseria è un modo di usarla. La disgrazia altrui interessa a molti disgraziati che vogliono convincersi di non stare così male o che vogliono, semplicemente, provare un certo brivido. La disgrazia altrui – la miseria – serve a vendere, a nascondere, a confondere le acque: a presupporre, per esempio, che il destino individuale sia un problema individuale. E, soprattutto, come combattere contro la degradazione delle parole? Le parole “milioni-di-persone-patiscono-la-fame” dovrebbero signiicare qualcosa, provocare qualcosa, produrre determinate reazioni. Ma, di solito, le parole non fanno più cose del genere. Qualcosa accadrebbe, forse, se potessimo restituire alle parole il loro signiicato. Il mio libro è un fallimento. Prima di tutto, perché ogni libro lo è. Ma soprattutto perché un’esplorazione del maggior fallimento vissuto dal genere umano non poteva che fallire. Al fallimento, naturalmente, hanno contribuito le mie mancanze, i miei dubbi, la mia incapacità. Ma, anche così, questo è un fallimento del quale non mi vergogno: avrei dovuto conoscere più storie, meditare su più questioni, capire qualcosa di più. Ma a volte fallire vale la pena. E fallire di nuovo, e fallire meglio. “L’eliminazione, ogni anno, di decine di milioni di uomini, donne e bambini a opera della fame è lo scandalo del nostro secolo. Ogni cinque secondi un bambino sotto i dieci anni muore di fame, in un pianeta che, pure, straripa di ricchezze. Allo stato attuale, in efetti, l’agricoltura mondiale potrebbe nutrire senza problemi 12 miliardi di esseri umani, quasi il doppio della popolazione attuale. Dunque non si tratta di una fatalità. Un bambino che muore di fame è un bambino assassinato”, scrisse, in Destruction massive, l’ex relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto all’alimentazione Jean Ziegler. Migliaia e migliaia di fallimenti. Ogni giorno nel mondo muoiono – in questo mondo – 25mila persone per ragioni che hanno a che vedere con la fame. Se voi, lettori, lettrici, vi prendete il disturbo di leggere questo libro, se vi entusiasmate e lo leggete in – diciamo – otto ore, in quel lasso di tempo saranno morte di fame circa ottomila persone: ottomila persone sono molte. Se non vi prendete il disturbo di farlo saranno morte lo stesso, ma voi avrete la fortuna di non averlo saputo. Quindi, probabilmente, preferirete non leggere questo libro. Forse io farei la stessa cosa. È meglio, in genere, non sapere chi sono, né come né perché (ma avete letto questo breve paragrafo in mezzo minuto. Sappiate che in questo lasso di tempo nel mondo sono morte di fame soltanto da otto a dieci persone. Tirate un sospiro di sollievo). E se magari, allora, decidete di non leggerlo, forse continuerà a girarvi in testa la domanda. Tra tante domande che mi faccio, che questo libro si fa, ce n’è una che spicca, che risuona, che mi assilla senza sosta: come cazzo riusciamo a vivere sapendo che succedono queste cose? u fn Il tiranno cineilo Antonio Muñoz Molina I AntonIo Muñoz MolInA è uno scrittore e giornalista spagnolo. Il suo ultimo lavoro pubblicato in Italia è Il vento della luna (Mondadori 2008). Questo articolo è uscito sul País con il titolo El tirano cinéilo. CHIARA DAttoLA dittatori sono propensi alla cineilia. Lenin, che detestava la musica perché era irritato dal fatto che lo faceva diventare sentimentale, considerava che tra tutte le arti il cinema poteva essere la più utile alla causa del proletariato. Hitler vedeva quasi tutte le sere in una sala cinematografica perfettamente attrezzata operette viennesi d’epoca e musical americani, e regalò a Eva Braun una cinepresa per girare a colori scene che ancora oggi ci gelano il sangue, un misto di ridenti immagini domestiche e igure genocide che prendono il sole sulle terrazze con vista sulle Alpi. Anche a Stalin piacevano i musical americani e i ilm western e, dato che sofriva d’insonnia come Hitler e si divertiva a tenere svegli i suoi cortigiani ino a notte fonda, a volte prolungava la sessione cinematograica con una festa alcolica, durante la quale osservava in silenzio adulatori e future vittime come se stesse inventando per ognuno un copione sinistro dall’epilogo ignoto a tutti tranne che a lui. Il generale Franco non andava a letto tardi e non beveva, ma la sua passione per il cinema era altrettanto forte, al punto che scrisse la sceneggiatura di un ilm, Raza, che era una patetica fantasia ricamata sulla sua biograia, e una dimostrazione del fatto che il cinema può rovinare l’immaginazione di chiunque. Forse ai dittatori piacciono tanto i ilm perché hanno pochissime opportunità di uscire la sera e perché sono costantemente circondati da persone servili di cui non sanno più che fare. A eccezione di Franco – che a quanto pare andava a letto presto dopo aver recitato il rosario con doña Carmen ai piedi del letto – i dittatori dormono male, hanno il sonno agitato, si alzano tardissimo, fanno le cose a orari strampalati. Di tutti i satrapi dell’età moderna forse il più appassionato di cinema fu Kim Jong-il, il caro leader della Repubblica popolare democratica di Corea, iglio ed erede di Kim Il-sung, grande leader e poi leader eterno da quando dopo la sua morte e la sua imbalsamazione fu decretato che avrebbe continuato a guidare la repubblica della Corea e il Partito dei lavoratori dall’oltretomba. A 25 anni il caro leader e glorioso camerata Kim Jong-il si fece carico dell’uicio di agitazione e propaganda del partito, che aveva la missione di raforzare la coscienza rivoluzionaria e antimperialista del popolo. Promuovere la cinematograia della Corea del Nord era il suo compito principale. A Kim Jong-il non mancavano i meriti, in dalla nascita. Quando uscì dal ventre di sua madre si placò la tempesta, il cielo si schiarì e apparvero un doppio arcobaleno e una stella ino a quel momento sconosciuta agli astronomi. Una rondine aveva profetizzato la sua nascita. La notizia giunse telepaticamente ai guerri- glieri che lottavano contro gli invasori giapponesi: dopo essersi abbracciati con gioia, si lanciarono con rinnovato ardore contro il nemico. A otto settimane di vita Kim Jong-il parlava correttamente, impartendo ordini rivoluzionari. A tre anni intinse un dito nel calamaio e segnalò le posizioni delle basi nemiche da attaccare. A vent’anni era già cineilo e anche dopo non smise mai di coltivare questa passione. La biblioteca nazionale di Pyongyang, oltre alle opere complete di Kim Il-sung, custodiva uno studio sul linguaggio cinematograico scritto dal iglio del leader supremo e camerata. In un ediicio sottoposto a vigilanza militare permanente, il caro leader conservava la sua collezione segreta di ventimila ilm, tutti proibiti nel paese: le opere migliori o più famose girate in qualsiasi lingua in dalle origini del cinema. C’erano agenti speciali che trovavano i ilm per lui a New York, Parigi, Mosca e Stoccolma, ancora prima dell’uscita nei cinema. Il caro leader organizzava feste in cui erano serviti piatti prelibati da tutto il mondo e liquori di prima qualità (il suo preferito era il cognac Hennessy, di cui importava ogni anno casse per un valore di 700mila dollari) ma dove il divertimento principale, oltre ai servizi sessuali di ragazzine sottomesse alla disciplina militare e inquadrate in una “brigata dell’allegria”, consisteva nella proiezione di ilm, a volte due o tre di seguito. Kim Jong-il era appassionato di western, di cui sapeva quasi tutto, e poi dei ilm di James Bond, soprattutto quelli interpretati da Sean Connery, che era il suo attore preferito. Vedeva quei ilm e pensava con malinconia che in confronto il cinema della Corea del Nord era deplorevole. Mancavano i mezzi, chiaramente, mancavano gli attori, ma soprattutto mancavano capacità tecniche, ispirazione, quel miracolo del linguaggio cinematograico che lui stesso aveva studiato nei dettagli. Come Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 93 Pop GARY J. WHITEHEAD è un poeta e autore di cruciverba statunitense. Questa poesia è uscita sul New Yorker nel marzo del 2014. Traduzione di Francesca Spinelli. fare un cinema in grado di elevare la coscienza rivoluzionaria del popolo e allo stesso tempo di competere con quello imperialista? La soluzione escogitata nel 1978 dal caro leader è alla base di un libro rigoroso e irrimediabilmente stravagante di Paul Fischer, A Kim Jong-il production, una di quelle storie in cui ci s’imbatte per caso curiosando in libreria e che non si riesce a smettere di leggere, pur avendo obblighi più seri. Per migliorare l’industria cinematograica nordcoreana, Kim Jong-il ordinò il sequestro del regista sudcoreano più conosciuto all’epoca, Shin Sang-ok, e della moglie Choi Eun-Hee, l’attrice più popolare e più bella, la star assoluta del cinema sudcoreano. Li sequestrarono uno alla volta. Per cinque anni li tennero nascosti e in prigionia. Quando Kim Jong-il si trovò per la prima volta davanti a quella donna dalla bellezza radiosa che aveva ammirato in solitudine in moltissimi ilm si complimentò, con una timidezza aggressiva, per i pantaloni stretti che indossava e che le stavano molto bene, e di se stesso disse, scoppiando in una risata confusa, che era piccolo quanto la cacca di un nano. Lei poi raccontò di aver dovuto partecipare a feste in luoghi di lusso che sembravano un incrocio tra Las Vegas e Vladivostok. Suo marito, Shin Sang-ok, ebbe meno fortuna: passò anni nei campi di concentramento e nelle celle di rigore, poi cedette. Kim Jong-il ottenne quello che voleva: il prigioniero Shin Sang-ok diresse una superproduzione nordcoreana che al caro leader parve un’opera maestra e che probabilmente è uno dei peggiori ilm mai realizzati al mondo, Pulgasari, la storia di un Godzilla rivoluzionario che si nutre di ferro e difende i contadini dalle iniquità dei governatori e dei proprietari terrieri nella Corea medievale. Ma la gioia di Kim Jong-il fu breve: con un’inspiegabile slealtà, il suo regista preferito fuggì nel mondo capitalista non appena gli si presentò l’occasione. Poesia Facendo l’amore in cucina Lo facciamo con i coltelli in mano, lingue azzurre lungo fondi di tegami, alle inestre il vapore dei cuori di carciofo che schiacciamo. I cuori sono fatti per essere incisi e strappati, cotti e inteneriti, spalmati di burro, traitti e portati alla bocca aperta dell’altro. Ci diciamo afamati, quasi che a farlo fossimo soli come una cipolla nella sua buccia, diciamo ho fame ma è per dire che vorremmo rimandare l’inevitabile, che è immangiabile, comunque lo si afetti, e così facciamo – mentre ci consuma – questo amore chiamato pasto. Gary J. Whitehead La cineilia è contagiosa: confesso di aver cercato Pulgasari e di averlo visto per intero su YouTube, immaginando Kim Jong-il assorto in quelle stesse immagini, a notte fonda, con un bicchiere di cognac Hennessy in mano, nell’insonnia di Pyongyang. u fr Scuole Tullio De Mauro Guerra mondiale all’istruzione Il 30 aprile un tribunale pachistano ha condannato dieci terroristi coinvolti nell’attentato del 2012 contro Malala Yousafzai, allora quindicenne. Il caso di Yousafzai o la strage nella scuola pubblica di Peshawar nel dicembre 2014 o le imprese del gruppo Boko haram in Nigeria hanno avuto grande eco nell’informazione e si lasciano facilmente inquadrare nel diffuso stereotipo antislamico. Ma la cosa è più complicata. Dall’islam stesso, anche da gruppi fondamentalisti, arrivano condanne e 94 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 sconfessioni. E soprattutto si osserva che le aggressioni terroristiche ad alunni e alunne, insegnanti, ediici scolastici, non rare dagli anni settanta del novecento, si sono ormai difuse e intensiicate in molte parti del mondo. Nel 2014 un rapporto del National consortium for the study of terrorism ha elencato 110 paesi in cui tra il 1970 e il 2013 ci sono stati 3.400 attacchi a scuole. I numeri di alcuni paesi, dalla Colombia alla Russia, sono impressionanti. Il fenomeno è globale. Censirlo e capirlo è dal 2010 la missione della Global coalition to protect education from attack (Gcpea). È giusto individuare le diferenti cause prossime che armano la mano di terroristi, dai narcotraicanti alle minoranze oppresse o ai fondamentalisti. Ma una causa prima e comune forse c’è. L’istruzione dà comunque strumenti di libertà, incrina equilibri tradizionali. Proprio questo la rende invisa a chi campa su diseguaglianze, servitù, ignoranza. E forse non si tratta solo dei terroristi. u Scienza tarietà. Uno studio recente ha dimostrato che è possibile eliminare le mutazioni dei mitocondri trasmessi da un topo femmina ai igli. I mitocondri producono l’energia delle cellule, hanno un loro dna, diverso da quello del nucleo, e le loro mutazioni possono causare malattie per cui non esiste cura. ANGELo MoNNE La questione etica Le nuove frontiere dell’ingegneria genetica P. Sarchet e M. Le Page, New Scientist, Regno Unito Curare e prevenire l’anemia falciforme, fermare l’hiv e la trasmissione di malattie ereditarie: la delicata ricerca sul cosiddetto editing genetico umano è cominciata editing genetico è una realtà. Il primo tentativo di manipolare il genoma di embrioni umani ha fatto notizia ad aprile e un altro studio ha dimostrato che le tecniche di editing potrebbero evitare alcune malattie ereditarie. Probabilmente ci vorranno decenni prima che si possano rimuovere e sostituire tratti di dna per modiicare i geni dei nascituri in modo sicuro. E non è detto che la pratica sarà ritenuta eticamente accettabile. Ma intanto la sperimentazione per curare gli adulti è in corso. Nei prossimi mesi quattro centri statunitensi recluteranno volontari sieropositivi all’hiv per sperimentare una terapia basata sull’editing genetico. L’hiv distrugge le cellule del sistema immunitario chiamate linfociti T sfruttando il recettore Ccr5 presente sulla membrana delle stesse cellule. Disat- L’ 96 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 tivando il gene che codiica per il recettore Ccr5 si può fermare l’infezione. L’anno scorso alcuni ricercatori hanno distrutto questo gene nei linfociti T di 12 persone afette da hiv usando delle proteine artiiciali chiamate nucleasi a dito di zinco. L’intervento ha aumentato la resistenza al virus. Il nuovo esperimento va oltre: mettendo fuori uso il gene presente nelle cellule staminali da cui hanno origine i linfociti T si ottiene un efetto duraturo e non serve ripetere la terapia. “L’obiettivo è una cura funzionale”, dice John Zaia dell’ospedale City of hope di Duarte, in California. La sperimentazione spiana la strada alla cura di altre malattie. Un esperimento che comincerà tra poco, per esempio, si concentrerà sull’anemia falciforme, una malattia del sangue in cui le molecole di emoglobina nei globuli rossi, deputate al trasporto dell’ossigeno, sono anomale. La tecnica prevede il ricorso a una proteina che si può usare al posto dell’emoglobina. Tuttavia ci sono dei rischi. Secondo David Liu, di Harvard, quasi tutte le tecniche di editing rischiano di alterare per sbaglio anche sequenze di dna che non si volevano toccare. Alcuni gruppi di ricerca stanno usando l’editing genetico per intervenire sull’eredi- A marzo alcuni scienziati avevano chiesto la sospensione delle ricerche sull’editing genetico delle cellule che possono dare origine a unembrione. Il gruppo che ha lanciato l’appello lavora su cellule adulte e teme che la manipolazione dell’embrione umano possa avere efetti imprevedibili sulle generazioni future e alimentare la diidenza dell’opinione pubblica. Tuttavia ad aprile un’équipe cinese ha annunciato di aver editato il dna del nucleo di embrioni umani, usando una tecnica chiamata Crispr/Cas9, sviluppata negli ultimi anni e molto più veloce dei metodi tradizionali di ingegneria genetica. Malgrado il clamore suscitato dalla notizia, ci vorrà ancora molto tempo prima che la Crispr possa essere usata per eliminare le malattie genetiche dal dna delle generazioni future. Dallo studio cinese sono infatti emersi molti problemi. Degli 86 ovuli trattati se ne sono modiicati davvero solo quattro e gli embrioni prodotti erano un mosaico di cellule modiicate e non. Potrebbe essere a causa degli embrioni usati: si trattava di embrioni anomali, non vitali, che si creano quando due spermatozoi fecondano lo stesso ovulo. I ricercatori spiegano di averli usati perché per motivi etici non si possono manipolare embrioni umani normali, ma il loro lavoro è stato comunque criticato. La preoccupazione è che questo sia solo il primo passo verso l’alterazione del genoma degli embrioni umani da impiantare, dice George Annas della Boston university: “È nell’ambito di questo progetto più ampio che la manipolazione di embrioni umani non vitali diventa potenzialmente pericolosa sia per i bambini e i loro igli sia per la società in generale”. Nonostante le polemiche, sembra che almeno un gruppo di ricercatori statunitensi e molte équipe cinesi stiano lavorando sugli embrioni umani. Anche se nel prossimo futuro i metodi più promettenti per curare le malattie sono quelli applicati alle cellule adulte, una cosa è certa: il genio dell’editing genetico è uscito dalla lampada. u sdf Farmaci made in africa In Africa il 70 per cento dei medicinali è importato. Una produzione locale, scrive il British Medical Journal, garantirebbe una disponibilità immediata dei farmaci e aiuterebbe l’economia dei paesi africani produttori. L’onu e diverse ong lavorano in questa direzione, ma gli ostacoli non mancano. da un lato la fornitura di elettricità e acqua è spesso inaidabile e le strade dissestate rendono diicile il trasporto. Sono più economici e veloci i collegamenti tra l’India e il kenya che quelli all’interno dei conini keniani. dall’altro la concorrenza globale frena lo sviluppo di aziende africane. L’India, che è uno dei concorrenti principali, produce l’80 per cento degli antiretrovirali per l’hiv acquistati con i fondi dei donatori e destinati ai paesi a basso e medio reddito. ambiente Coperti di elettroriiuti I riiuti elettronici nel mondo, milioni di tonnellate, stime foNte: tHe LANcet Africa 1,9 (1,7 chilogrammi pro capite) 11,7 (12,2) Americhe Asia 16,0 (3,7) europa oceania 11,6 (15,6) 0,6 (15,2) la scienza parla cinese Nature, Regno Unito Negli ultimi anni la cina è diventata il secondo paese al mondo per investimenti in ricerca e sviluppo, e vanta la seconda maggiore produzione di articoli scientiici. Nel 2013 il gigante asiatico ha speso per la ricerca scientiica 1.184,7 miliardi di yuan, pari a più di 189 miliardi di dollari. In dettaglio, 1.002,3 miliardi di yuan sono andati allo sviluppo tecnologico, 126,9 miliardi alla ricerca applicata e 55,5 alla ricerca di base. Quasi il 75 per cento dei inanziamenti è arrivato dall’industria, mentre i fondi pubblici hanno superato appena il 20 per cento. dopo aver perso una generazione di scienziati durante la rivoluzione culturale, il paese ha formato il personale per la ricerca secondo standard internazionali. tuttavia, rispetto ai paesi occidentali manca un quadro istituzionale favorevole alla ricerca, scrive Nature, che dedica uno speciale alla cina. Lo scienziato Zheng Wan lamenta soprattutto la scarsa circolazione dei dati scientiici, per esempio quelli di tipo ambientale come le rilevazioni sulla qualità dell’aria. Le amministrazioni pubbliche sono in possesso di questi dati, ma tendono a non divulgarli. Anche l’impossibilità di avere accesso al motore di ricerca per la letteratura scientiica google scholar è un ostacolo per i ricercatori. u in breve Astronomia La missione di Messenger si è conclusa con lo schianto programmato della sonda su Mercurio. Si suppone che l’impatto abbia creato un nuovo cratere sul pianeta. Nelle ultime fasi del volo la sonda della Nasa ha inviato i dati su Mercurio raccolti a distanza ravvicinata, misure di anomalie magnetiche e informazioni sui depositi di ghiaccio d’acqua presenti nei crateri polari. Salute Ha avuto un efetto positivo, ma temporaneo, la terapia genica per l’amaurosi congenita di Leber, una malattia ereditaria della retina che causa la cecità o una grave riduzione della vista. Nei due studi pubblicati su Nejm è stata iniettata sotto la retina la copia corretta del gene rpe65. In uno studio con tre pazienti c’è stato un miglioramento nei primi tre anni e una successiva perdita della vista dopo cinque o sei anni. Nel secondo, che ha usato una tecnica diversa, cinque persone su 12 hanno avuto un miglioramento entro un anno, perso dopo tre anni. ambiente Salute Stop alla rosolia nelle americhe la luce artiiciale altera i mari La prima ricerca sul campo condotta nelle acque buie dello stretto gallese di Menai ha rivelato che l’inquinamento luminoso, come quello prodotto dalle zone portuali, altera la composizione delle comunità marine: accelera lo sviluppo di alcuni invertebrati e interrompe quello di altri, scrive Biology Letters. Molti dei piccoli animali che si moltiplicano si ancorano su moli, scai e impianti di acquacoltura causando ingenti danni economici. tra quelli che diminuiscono, alcuni contribuiscono alla pulizia delle acque. u Le Americhe sono la prima regione del pianeta ad aver eliminato la rosolia, ha annunciato l’organizzazione mondiale della sanità. L’eliminazione di questa infezione virale, che può causare gravi danni al feto, è stata raggiunta grazie alla difusione capillare del vaccino nelle zone più remote. La rosolia si aggiunge alle altre due malattie eliminate nelle Americhe grazie alla vaccinazione di massa, il vaiolo nel 1971 e la polio nel 1994. Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 97 NASA/JoHNS HopkINS UNIverSIty AppLIed pHySIcS LAborAtory/cArNegIe INStItUtIoN of WASHINgtoN Su 41,8 milioni di tonnellate di riiuti elettrici ed elettronici generati nel 2014 nel mondo, quasi il 60 per cento era un misto di elettrodomestici per la cucina, per il bagno e per il bucato. Secondo il rapporto dell’università delle Nazioni Unite a bonn, circa il 7 per cento è invece formato da computer e altri piccoli dispositivi tecnologici. globalmente sono stati prodotti 5,9 chili di riiuti elettronici pro capite e nel 2018 dovrebbero diventare 6,7. ricerca toM dAvIeS (UNIverSItà dI exeter) Salute Russia Nepal Cuba Giappone Il diario della Terra Ethical living Germania Messico 5,5 M Giappone Francia 47,2°C Sibi, Pakistan Cuba Giappone 5,7 M Papua Nuova Guinea 7,4 M Gestione energetica Australia Il televisore lasciato in standby si spegne da solo, l’acqua Panamá calda della doccia non scorre Quang per più di dieci minuti, la lavaEcuador 5,3 M trice si accende nel cuore della Brasile notte, quando l’energia elettriAustralia ca costa meno: sono le possibi-71,7°C lità offerte dalle tecnologie per Vostok, Nuova Zelanda il controllo della domanda, Antartide 6,1 M che grazie ai dispositivi integrati, ai contatori intelligenti e allo scambio di dati con le aziende di fornitura promettoraggiunto la costa occidentale Vulcani Il vulcano Turrialno grandi benefici. Nel Regno ba, in Costa Rica, ha proiettato di Panamá. Unito si sta riflettendo se incenere ino alla capitale San trodurre queste tecnologie. I José. u Si è risvegliato il vulcaCicloni La tempesta cittadini cederebbero il conno Hakone, in Giappone. tropicale Quang ha raggiunto trollo sui propri apparecchi alil nordovest dell’Australia. le aziende di distribuzione Tempeste Tre persone dell’elettricità, che potrebbero Ucraina, regione di Kiev sono morte a causa di una Lupi L’abbattimento dei accendere e spegnere i dispotempesta all’Avana, a Cuba. lupi è stato autorizzato per Papua Nuova Guinea domestici, e in questo Decine di case sono state due mesi in 15 località rurali 7,5sitivi Incendi I pompieri ucraini M modo gestire l’assorbimento danneggiate. u Un uomo è del dipartimento delle hanno spento un incendio che Indonesia di energia dalla rete. Si potrebmorto durante una tempesta Alpes-Maritimes, nel sudest aveva distrutto 320 ettari di Mozambico bero limitare i picchi di doad Amburgo, in Germania. della Francia, dopo una serie vegetazione vicino all’ex cenmanda, evitare i blackout prodi attacchi contro le pecore trale nucleare di Cernobyl, in Angola grammati e aumentare la sicuUcraina, suscitando l’allarme Onde Una persona è morta (ne sono morte 510 dall’inizio rezza. Inoltre, si potrebbe didell’anno). per un possibile aumento della travolta dalle onde che hanno minuire la necessità di costruiradioattività nella regione. re nuove centrali, ridurre le emissioni di gas serra nell’atTerremoti Un sisma di mamosfera e risparmiare. gnitudo 7,4 sulla scala Richter Ma i cittadini sono pronti a è stato registrato al largo della cedere un po’ di controllo sui Papua Nuova Guinea e ha proloro apparecchi? Per capirlo è vocato un’allerta tsunami. stata condotta un’indagine tra Scosse più lievi sono state repiù di 2.400 britannici, che è gistrate in Nuova Zelanda, in stata pubblicata su Nature Giappone, in Ecuador e nel Climate Change. È emerso sud del Messico. u Il bilancio che il 58 per cento delle persodel terremoto in Nepal è salito ne è pronto a ridurre i consumi a 7.557 vittime. domestici e a condividere i dati sui propri consumi con gli Alluvioni Cinque persone Biodiversità A causa del cambiamento climatico potrebbe sono morte nelle alluvioni estinguersi il 7,9 per cento delle specie viventi del pianeta. L’ana- enti che dovrebbero regolarli. Ma un quinto degli intervistati causate dalle forti piogge nel lisi di 131 studi sulla riduzione di biodiversità dovuta all’innalzaè contrario alla condivisione. Queensland, in Australia. mento delle temperature mostra che, continuando a emettere Si tratta soprattutto di persone gas serra al ritmo attuale, con un aumento di temperatura di 4,3 dei ceti disagiati che si sentoFrane Tredici persone sono gradi, una specie su sei sarà a rischio di estinzione. In Europa no più esposte a possibili aue Nordamerica l’impatto sarebbe minimo, mentre Australia, morte travolte da alcune frane menti dei costi o a pratiche Nuova Zelanda e Sudamerica perderebbero il maggior numero a Salvador de Bahía, nel norcommerciali scorrette. di specie, scrive Science. dest del Brasile. MARK URBAN Costa Rica A. KRAvCHENKo (PooL/REUTERS/CoNTRASTo) Ucraina 98 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 Il pianeta visto dallo spazio 10.04.2015 I rilessi del Sole sul mare di Florianópolis, in Brasile 10 aprile 2015 Nord 2 km Aeroporto 10 aprile 2015 earthoBServatory/NaSa Aeroporto Nord 2 km u Gli astronauti della Stazione spaziale internazionale hanno scattato queste foto mentre sorvolavano i promontori della città portuale di Florianópolis, nel Brasile del sud. La parte orientale (in alto) e quella occidentale sono collegate da due ponti che attraversano un braccio di mare largo 400 metri. La foto in alto è illuminata dal parziale rilesso del Sole. La luce dovuta a questo fenomeno di rilessione speculare rivela molti dettagli della supericie marina, in particolare le striature causate dal vento e le scie delle imbarcazioni. L’acqua a sud della città è molto più lucente di quella a nord, forse perché le colline la proteggono dal vento. Il giorno in cui è stata scattata la foto il vento soiava da nord (in alto a sinistra), quindi l’acqua era più calma a sud e il rilesso era maggiore. Gli astronauti imparano a sfruttare i rilessi del Sole sulla supericie del pianeta. Queste immagini dimostrano la loro Queste due foto sono state scattate a 31 secondi di distanza l’una dall’altra. Le diverse angolazioni dei rilessi del Sole valorizzano elementi diversi. u abilità: la foto sotto è stata scattata appena 31 secondi dopo che è cambiato il punto di rilessione e mostra elementi piuttosto diversi, in particolare il delusso scuro e torbido di un piccolo corso d’acqua che sfocia nella baia vicino all’aeroporto internazionale. Lungo il litorale il mare presenta sfumature di un marrone chiaro dovute all’azione delle onde che sollevano il fango e all’inquinamento della città. –M. Justin Wilkinson (Nasa) Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 99 Annunci 100 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 Tecnologia I cartograi della rete aiutano il Nepal dopo il terremoto Robinson Meyer, The Atlantic, Stati Uniti a notte dopo il terremoto in Nepal gli abitanti avevano paura di dormire nelle loro case perché temevano altre scosse che avrebbero potuto far crollare i pochi ediici rimasti in piedi. Così hanno dormito nelle tende, nelle strade e nei parchi delle città. Intanto continuava a piovere ininterrottamente ed era impossibile vedere Kathmandu dall’alto, e questo era un problema più grave di quanto si possa immaginare. Ormai è diventata una consuetudine: ogni volta che avviene una catastrofe naturale, in tutto il mondo si attiva una squadra di “cartograi della crisi”. Si tratta di volontari che usano strumenti basati sul crowdsourcing per trasformare i dati satellitari in mappe digitali utili per prendere decisioni sul posto. Quando il tifone Haiyan ha colpito la città di Tacloban nelle Filippine, per esempio, i volontari dello Humanitarian OpenStreetMap team (Hot) si sono dati da fare per inserire nella mappa le strade e gli ediici distrutti dal ciclone. Per mesi quello stesso gruppo ha segnato sulle mappe le infrastrutture rurali della Guinea e di altri paesi colpiti dall’epidemia di ebola. Ma la mobilitazione in Nepal è stata la più eicace di tutte. I volontari hanno avuto accesso in tempi rapidi a molte immagini di buona qualità, e al progetto hanno collaborato molte più persone del solito. Prima del terremoto Kathmandu era già ben cartografata, ma nell’ultima settimana i volontari hanno triplicato la quantità di informazioni cartograiche sul Nepal su OpenStreetMap. Le mappe prodotte dallo Hot permettono ai soccorritori di distribuire cibo, tende e rifornimenti nelle zone dove ce n’è più bisogno. È quasi certo che queste attivi- L ATHIT PErAWONGMETHA (rEUTErS/CONTrASTO) Un gruppo di volontari ha realizzato delle mappe accurate del Nepal basandosi sulle immagini satellitari, per aiutare i soccorsi a prendere decisioni sul posto Sirdibas, Nepal, il 2 maggio 2015 tà contribuiscono in misura notevole ad alleviare le soferenze, ed è molto probabile che salvino vite umane. Ma per capire davvero come mai questa operazione sia andata meglio delle altre, è il caso di tornare a quelle nubi cariche di pioggia. Visti dal satellite Ai volontari servono foto del Nepal scattate dall’alto su cui ricalcare le mappe. L’operazione funziona così: una persona seduta davanti al suo computer vede l’immagine satellitare di una strada e ci trascina sopra una versione digitale di quella strada. Poi si aggiunge la strada a un database online chiamato OpenStreetMap (Osm), dove può essere calcolata come un dato o stampata come una mappa. Ma per tracciare le mappe servono immagini del territorio, e per procurarsele servono i satelliti. Uno dei satelliti privati a più alta risoluzione si chiama WorldView-3. La società statunitense a cui appartiene, la DigitalGlobe, fornisce immagini a molti governi. A causa del maltempo, WorldView-3 non ha potuto visualizzare chiaramente il Nepal quando è passato sopra il paese il 26 aprile. Ma successivamente, mentre era in orbita sopra il Bangladesh e stava per passare sull’oceano Indiano, il satellite si è inclinato all’indietro, ha visto Kathmandu attraverso le nuvole e ha scattato una foto. Quella è stata la prima immagine del Nepal distrutto dal terremoto, e la DigitalGlobe l’ha rilasciata con una licenza open source. Quella sera stessa in Nordamerica i volontari hanno cominciato a inserire le informazioni su Osm. Da allora molti importanti fornitori di foto satellitari hanno diffuso immagini della zona colpita. La squadra umanitaria di OpenStreetMap incarna il potere dell’osservazione associata all’attenzione. Anche se alcuni elementi del suo lavoro sono tecnicamente complessi, nessuno è particolarmente diicile da capire. C’è una lotta di satelliti, di obiettivi puntati giù verso la Terra. C’è OpenStreetMap, che sarà pure una grande impresa dal punto di vista della programmazione dei database, ma è anche una semplice mappa. C’è il software per ricalcare le mappe che permette a chiunque di tradurre le immagini in punti. E poi c’è internet, che malgrado tutte le sue pecche collega queste reti di persone e strumenti e gli permette di aiutare altre persone che a volte si trovano nel loro stesso quartiere, e a volte all’altro capo del mondo. u fp Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 101 Economia e lavoro PEtRoS GIANNAkoURIS (AP/LAPRESSE) Atene, Grecia, 29 aprile 2015 La Grecia viene spinta verso il fallimento Paul De Grauwe, Ivory Tower, Regno Unito Atene ha bisogno di liquidità per evitare l’insolvenza. I suoi creditori gliela concederanno solo se accetterà più austerità e riforme. Ma le loro condizioni sono irragionevoli l dramma greco ha raggiunto la sua fase inale. Nelle prossime settimane Atene dovrà rimborsare le ultime rate del prestito concesso nel 2012 dal Fondo monetario internazionale (Fmi), dalla Commissione europea e dalla Banca centrale europea (Bce), ma non ha i soldi per farlo. I creditori riiutano di ofrire altra liquidità inché il governo greco non accetterà le loro condizioni. In questo periodo i ministri delle inanze dell’eurozona ripetono che Atene è irragionevole perché non accetta di realizzare ino in fondo le politiche d’austerità e le riforme strutturali. Ma queste condizioni sono ragionevoli? L’austerità ha avuto efetti devastanti sull’economia greca, impoverendo milioni di persone e producendo instabilità politica. Insistere su questa strada non sembra ragionevole. La cosa incredibile è che i mi- I 102 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 nistri delle inanze continuano a ergersi a guardiani della morale e a fare la predica ai greci dicendogli che dovrebbero essere più ragionevoli. Essere ragionevoli signiicherebbe accettare le condizioni dei creditori anche se inora non hanno prodotto risultati positivi. È ancora più incredibile che quasi tutti i mezzi d’informazione abbiano ormai accettato questa versione della storia. genza dei creditori e delle pretese irragionevoli che impongono al paese. C’è una grande contraddizione in questa intransigenza. Com’è noto, la Grecia è stata avvantaggiata dalla rinegoziazione del debito decisa nel 2012. I termini di scadenza dei suoi titoli sono stati estesi e i tassi d’interesse abbassati. Secondo l’istituto di ricerca Bruegel di Bruxelles, il debito pubblico efettivo della Grecia corrisponde solo al 60 per cento del pil nazionale. Sembra una situazione sostenibile, a condizione che l’economia greca possa funzionare normalmente. In altri termini, si può dire che la Grecia è solvibile ma non ha liquidità. I creditori, però, tengono chiusi i rubinetti. Di conseguenza, ora i mercati inanziari stanno speculando sul fatto che lo stato greco non riesca a restituire la prossima rata del debito entro i termini previsti e sia costretto a dichiarare insolvenza. I tassi d’interesse sui titoli di stato greci si sono impennati a livelli che rendono la restituzione del debito insostenibile e impediscono ad Atene di riinanziarsi sul mercato: ormai la speculazione si è trasformata in un circolo vizioso che sta costringendo lo stato greco all’insolvenza. Ma questo è il risultato della decisione dei creditori di non fornire liquidità alla Grecia. La Bce ha una grande responsabilità. Fornendo liquidità al paese, potrebbe sbloccare l’impasse in cui si trova il governo greco. Riiutandosi di farlo, sarebbe invece la prima responsabile dell’insolvenza e dell’eventuale uscita della Grecia dall’eurozona. u fp Paul De Grauwe è un economista belga. Insegna alla London school of economics. Liquidazione forzata Alcune riforme strutturali su cui insistono i creditori sono assolutamente necessarie. Per esempio quella iscale, che farebbe pagare le tasse ai ricchi. Altre, invece, sono palesemente irragionevoli. Il programma di privatizzazione concordato con il precedente esecutivo non ha senso. Un paese non dovrebbe essere costretto a disfarsi delle sue attività più preziose in una liquidazione forzata. Il risultato sarebbe un guadagno limitato per lo stato greco e grandi vantaggi per i compratori, tra cui ci sono alcune aziende dei paesi creditori. Ci stanno raccontando che la responsabilità del fallimento è tutta del governo greco, perché continua a essere irragionevole e inaidabile, ma in realtà è vero il contrario: la colpa del dramma in corso è dell’intransi- Da sapere La posizione dell’Fmi u Secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi) è necessario che i creditori cancellino parte del debito della Grecia. I conti pubblici di Atene stanno peggiorando: nel 2015 l’avanzo primario dovrebbe essere pari all’1,5 per cento del pil, non al 3 per cento come previsto dagli obiettivi del piano di salvataggio. In questo caso, sostiene l’Fmi, bisognerà imporre più austerità o costringere i creditori a cancellare parte del debito per renderlo sostenibile. L’avvertimento ha fatto crescere i timori che l’Fmi trattenga la sua quota dei 7,2 miliardi di euro che restano del piano di salvataggio del 2012 e che servono alla Grecia per evitare l’insolvenza. Financial Times Sport MESSICO AkIO kON (BLOOMBerG/GeTTy) Il leader supremo della Fifa Bloomberg Businessweek, Stati Uniti GIAPPONE Macchine troppo vecchie Il Giappone non ha solo la popolazione più anziana del mondo, ma anche le macchine industriali più datate. Come spiega Bloomberg Businessweek, “molte aziende giapponesi esitano a investire in nuovi macchinari. Secondo l’istituto di ricerca Dai-ichi Life research, l’età media delle macchine usate nelle imprese è di 15 anni, la più alta degli ultimi trent’anni. Gli impianti produttivi giapponesi invecchiano più di quelli tedeschi e statunitensi”. Il problema è che “l’invecchiamento delle fabbriche e quello delle persone che ci lavorano potrebbe accelerare il declino delle aziende manifatturiere giapponesi”. “Può essere diicile descrivere un personaggio come Joseph ‘Sepp’ Blatter, il presidente della Fifa, la federazione calcistica mondiale. Il quotidiano britannico The Guardian l’ha deinito ‘il dittatore non omicida che ha avuto più successo nel novecento’. Ma c’è anche chi lo adora, come Osiris Guzman, il capo della federazione calcistica dominicana, che lo ha paragonato a Gesù Cristo, Nelson Mandela e Winston Churchill”. Dopo 17 anni caratterizzati da scandali di corruzione, scrive Bloomberg Businessweek, Blatter ha deciso di candidarsi per un nuovo mandato. Alle elezioni del 29 maggio sarà sidato dal principe Ali bin al Hussein, fratello del re di Giordania, dal capo del calcio olandese Michael van Praag e dall’ex campione portoghese Luís Figo. In palio c’è un gigante che negli ultimi quattro anni, tra diritti televisivi e sponsorizzazioni, ha incassato 5,72 miliardi di dollari. Di questi, 358 milioni sono andati alle squadre, mentre 2,2 miliardi sono stati spesi per i Mondiali del 2014 in Brasile. “Non è molto chiaro dove sono initi gli altri soldi. Il personale della Fifa costa 397 milioni all’anno, ma nessuno sa qual è lo stipendio di Blatter”. ◆ TECNOLOGIA COMMERCIO Nuove regole per il Ttip La commissaria europea per il commercio Cecilia Malmström ha proposto nuove regole per la protezione degli investitori nel Transatlantic trade and investment partnership (Ttip), l’accordo di libero scambio tra l’Unione europea e gli Stati Uniti. La clausola attualmente in discussione, scrive Die Welt, è oggetto di dure critiche perché prevede il ricorso a un tribunale arbitrale privato statunitense. Malmström, invece, propone la creazione di una corte permanente che garantisca tutte le parti in causa. Consulenti digitali Finora nella inanza si erano visti solo potenti computer che investono automaticamente i soldi di grandi fondi. Oggi, spiega la Frankfurter Allgemeine Zeitung, si stanno difondendo programmi che elaborano consigli per i risparmiatori. La banca statunitense Charles Schwab, per esempio, ha lanciato un software di robo-advice, che offre consulenza per la gestione patrimoniale e per gli investimenti. Negli anni scorsi questi software erano stati sviluppati da piccole startup. “La Charles Schwab è il primo peso massimo di Wall street a puntare su questo genere di innovazione. Il suo esempio è stato seguito dal fondo d’investimento Vanguard”. I software di robo-advice “scelgono investimenti in base agli obiettivi e ai limiti di rischiosità indicati dai clienti. Per quelli più avventurosi propongono investimenti internazionali, con i più prudenti, invece, di solito si concentrano sui fondi d’investimento locali. I criteri di scelta, comunque, sono modiicati quando cambiano le condizioni di mercato”. Tra i vantaggi c’è il fatto che i software chiedono commissioni più basse rispetto ai consulenti in carne e ossa. Invece del classico 1 per cento, i robo-advice incassano tra lo 0,25 e lo 0,75 per cento. Per ora questi software gestiscono una piccola parte del mercato statunitense, ma già nel 2015 arriveranno a 60 miliardi di dollari. Investimento secolare “All’inizio di aprile”, scrive l’Economist, “un gruppo di investitori internazionali ha fatto due scommesse davvero audaci, sottoscrivendo la prima obbligazione mai emessa in euro con la scadenza di cento anni. La prima scommessa è che tra un secolo esista ancora la moneta unica europea; la seconda è che in questo lungo periodo il creditore, il Messico, un paese che nei decenni scorsi ha sperimentato profonde crisi economiche, continui a restare solvibile”. Attraverso diverse obbligazioni a cento anni emesse in euro, dollari e sterline, spiega il settimanale, il governo messicano riceverà l’equivalente di circa cinque miliardi di dollari. Per i titoli in euro il tasso d’interesse sarà del 4,2 per cento. IN BREVE Eurozona Secondo la Commissione europea, quest’anno l’economia dell’eurozona andrà meglio del previsto. Il pil crescerà dell’1,5 per cento, invece dell’1,3 per cento previsto a febbraio. Merito del basso prezzo del petrolio, dell’euro debole e delle misure di stimolo, ha sottolineato il commissario all’economia e agli afari inanziari Pierre Moscovici. Nel 2016 l’eurozona crescerà dell’1,9 per cento. La ripresa sarà favorita dalla Germania, ma anche dalla Spagna, il cui pil quest’anno aumenterà del 2,8 per cento e nel 2016 del 2,6 per cento. Variazione del pil, % 5 4 2014 2015 2016 3 2 1 0 Germania Spagna Grecia Irlanda Fonte: The Wall Street Journal Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 103 L’oroscopo Rob Brezsny Una delle cose migliori che puoi fare per la tua salute isica e mentale è distogliere l’attenzione dalla tua vita precedente e guardare con entusiasmo a quella che hai davanti. Dimentica il passato e usa tutta la tua fantasia per immaginare l’afascinante futuro che ti creerai. Perdona tutti quelli che ti hanno ofeso e comincia a fantasticare sulle divertenti avventure che ti aspettano, gli stimolanti progetti che realizzerai e tutte le cose che potrai imparare. ARIETE Laborare est orare è un motto latino che viene dai monaci benedettini. Maurus Wolter, un abate dell’ottocento, lo interpretò come “lavorare è pregare”, per far capire ai suoi monaci che le attività che svolgevano non erano una distrazione dal servizio di Dio ma la prova stessa della loro devozione. Portare a termine i loro compiti con amore era un modo per esprimere gratitudine per il dono della vita. Nelle prossime settimane ti consiglio di sperimentare questo approccio, anche in una versione più laica. Come pensi che sarebbe provare gioia e gratitudine per i compiti che ti sono stati assegnati? ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI GEMELLI Nel libro per bambini The little engine that could, una piccola locomotiva azzurra si ofre volontaria per trainare una lunga ila di carrozze su per una ripida collina, anche se non è sicura di potercela fare. Mentre si sforza di trascinare quell’enorme peso, per darsi coraggio continua a ripetere: “Penso di farcela, penso di farcela, penso di farcela”. La storia inisce bene: la locomotiva raggiunge la cima della collina con tutte le carrozze e poi scivola tranquillamente di nuovo a valle. Quando dovrai affrontare la tua prossima sida, Gemelli, ti consiglio di usare una formula ancora più magica: “So che posso farcela, so che posso farcela, so che posso farcela”. CANCRO Ti confesso una cosa: ho giurato di promuovere la bellezza, la verità, l’amore, la giustizia, l’uguaglianza, la tolleranza, la creatività, l’allegria e la speranza. È uno degli scopi della mia vita. Lo inseguo con la dedizione di un monaco e il rigore di un guerriero. Signiica che ignoro le diicoltà, la soferenza e la crudeltà? Ovviamente no. Ma sto puntando tutto sulla redenzione. Preferisco non descrivere nel dettaglio i mali del mondo e trovare piuttosto un antidoto a quei veleni. Anche se di solito non condividi il mio approccio alla vita, nelle prossime due settimane ti invito a provarci. LEONE La collina dove vado a passeggiare il pomeriggio è piena di quei iori di campo viola che i botanici chiamano brodiaea elegans. Sono centinaia, tutti piegati verso il sole che tramonta. Dovrei accusarli di conformismo perché seguono la legge del branco? O sarebbe più sensato pensare che è il loro istinto a spingerli a gravitare verso quella fonte di vita? Preferisco la seconda teoria. In questo spirito, Leone, ti invito a ignorare le opinioni degli altri e a rivolgerti verso le fonti che ti forniscono il tuo nutrimento essenziale. vittime di una grande illusione: quella che pensiamo essere la vita reale è solo una soisticata simulazione al computer. Delle macchine intelligenti hanno creato questo mondo di sogno per tenerci in uno stato comatoso mentre si alimentano della nostra energia. Secondo me le cose non stanno proprio così. Ma è comunque una buona metafora della condizione in cui vivono molti di noi, persi nella dipendenza dal mondo simulato creato dalla tecnologia. Te lo sto dicendo, Bilancia, perché questo è un buon momento per allentare la presa che questa Matrix metaforica ha su di te. Cosa puoi fare per sfuggire almeno in parte a questa schiavitù? Forse basterebbe un maggior contatto con la natura. SCORPIONE Nelle prossime settimane forse sarai ancora afascinante, seducente e intrigante come da molto tempo a questa parte. Ti consiglio di sfruttare questo vantaggio. Comportati come se avessi veramente il potere di attirare la ricchezza emotiva che desideri. Parti dal presupposto che sei destinato a scoprire nuovi segreti sull’arte dell’intimità e che questi segreti ti renderanno più intelligente e profondo di quanto non sei già. Coltiva la tua capacità di essere questo tipo di alleato e di amante fantasioso che stabilisce rapporti meravigliosi. SAGITTARIO VERGINE Sto leggendo bene i presagi astrali? Spero di sì. Da quello che vedo, ultimamente hai volato sotto il radar e sopra l’arcobaleno. Hai sfruttato le scappatoie del sistema e ti sei goduta la tua libertà facendo qualche esperimento coraggioso. Ora forse temi che il tuo momento fortunato non possa durare ancora a lungo. Ma non è così. Prevedo che la tua intelligenza così attenta ai dettagli paradossalmente ti porterà a espandere ulteriormente le tue possibilità. BILANCIA Nei ilm della trilogia Matrix noi esseri umani siamo Nel 2004 il isico Frank Wilczek ha vinto il premio Nobel per la sua ricerca sui quark, le minuscole particelle che compongono i protoni e i neutroni. Wilczek è un uomo estremamente intelligente. Uno dei suoi princìpi fondamentali è: “Se non commetti errori, signiica che non stai affrontando un problema abbastanza diicile. E questo è un grande errore”. Medita su questa afermazione, Sagittario. Penso che tu sia abbastanza forte e coraggioso da andare a caccia di nuovi complicatissimi dilemmi. Può darsi che ti portino a commettere qualche passo falso, ma allargheranno i conini della tua intelligenza. CAPRICORNO Nel 1934 Dizzy Dean, un giocatore di baseball statunitense del capricorno, diventò il primo lanciatore a vincere trenta partite in una stagione, e poco dopo fu nominato miglior giocatore del mondo. Nessun lanciatore ha mai ripetuto questa impresa. Dean non si è mai vergognato di riconoscere la sua bravura e ha sempre detto: “Se puoi farlo sul serio, non sei un presuntuoso”. È con questo spirito che la prossima settimana dovresti sbandierare i tuoi talenti. Non sembrerai presuntuoso. Starai semplicemente dando un’informazione. E di conseguenza ti verrà oferta qualche nuova e interessante opportunità. ACQUARIO Non c’è mai stato un momento migliore di questo per ainare l’arte di essere la madre o il padre di te stesso. Sei inalmente pronto a sostituire le voci autoritarie che hai nella testa e ad assumerti la responsabilità della tua educazione. Cosa vorresti essere da grande? Probabilmente questo senso di libertà ti darà il capogiro, ma ormai è chiaro che l’unica persona che ha il diritto di rispondere alla domanda sei tu. PESCI L’universo ti ha sempre fatto qualche scherzetto. Alcuni sono stati così sconcertanti che non li hai neanche capiti del tutto. Altri sono stati divertenti ma non particolarmente istruttivi. Ora ho la sensazione che stia cominciando una nuova fase. Ho idea che gli scherzi dell’universo stiano diventando più comprensibili. Forse contengono già un tocco di gentilezza. Cosa signiica questo piacevole cambiamento? Può darsi che tu abbia inalmente inito di pagare un vecchio debito karmico. Ed è comprensibile che il tuo senso dell’umorismo sia maturato così tanto che riesci a ridere di alcune delle svolte più folli nella trama della tua vita. Un’altra possibilità è che tu stia cominciando a raccogliere i frutti della saggezza che sei stato costretto ad accumulare negli anni per afrontare gli scherzi dell’universo. Internazionale 1101 | 8 maggio 2015 105 internazionale.it/oroscopo TORO COMPITI PER TUTTI Nessuno può farti provare un’emozione se non accetti di provarla. Sei tu il padrone di quello che succede dentro di te. Prova a spiegare perché. chaPPaTTe, The InTernaTIonaLe new york TImeS, STaTI unITI L’ultima Il regno unito al voto. aLbaIh, SuDan makkox caj Lacombe, urTIkan, francIa Il gioco della sedia a baghdad. francia, i deputati votano una legge sui servizi segreti. “all’improvviso ho un dubbio. credi che mi potranno beccare quando gioco a candy crush durante le sedute?”. “c’è scritto: ‘ci sono persone che aspettano il vostro tavolo’”. Le regole Essere igienisti 1 Se vuoi goderti il ilm, spalma sulla poltrona del cinema generose pennellate di gel antibatterico. 2 Tieniti a debita distanza dai bambini: sono i più adorabili e micidiali veicoli di virus sulla faccia della Terra. 3 Dopo aver letto i dati sulla pornograia online non toccherai più la tastiera di un computer altrui senza guanti di lattice. 4 L’unico gabinetto su cui ti puoi appoggiare è quello di casa tua. 5 Per giudicare l’igiene di qualcuno non idarti della cucina: controlla la sua borsa della palestra. [email protected] 106 Internazionale 1101 | 8 maggio 2015