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3 Mb - Partito Socialista

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3 Mb - Partito Socialista
c’è
Dossier elettorale del Partito Socialista Ticino
50
sfumature
di rosso
UNA LEGISLATURA INTENSA E
di Marisa Infante
PS.CH
2
Per questo vanno apprezzati doppiamente gli sforzi di Marina Carobbio,
membro della Commissione sicurezza
sociale e sanitaria, della Commissione
finanze e della Delegazione finanze,
che con grinta e coraggio si è battuta
per difendere la nostra idea di società,
affrontando temi spinosi e importantissimi, come la sanità (ricordiamo l’iniziativa sulla cassa malati pubblica, che,
anche se non è passata, ha permesso
di avere una sorveglianza più stretta
sulle stesse casse malati e un sistema
migliore per evitare che in certi Cantoni si paghino premi in eccesso), i salari dei manager e il riciclaggio,
l’ambiente e il tunnel del Gottardo,
passando per il lavoro, l’italianità e la
revisione della Legge sui trapianti. In
queste pagine, vista l’impossibilità di illustrare tutto, abbiamo selezionato alcuni degli atti parlamentari e delle
iniziative inoltrate da Marina nel corso
dell’ultima Legislatura. Passi importanti, anche quando non vanno a buon
fine: insisti oggi, insisti domani… hai
visto mai?
Più soldi da Berna
Una mossa intelligente e giusta, corroborata dai fatti: rivedere il potenziale
fiscale del nostro Cantone tenendo
conto della situazione di regione di
frontiera significa infatti ricevere più
soldi da Berna, nel contesto della ridistribuzione finanziaria a livello federale che mira ad armonizzare le
differenze fra Cantoni. Tutto si gioca
sui redditi dei frontalieri: considerarli
nel potenziale di risorse pari al 50 per
cento al posto del 75 per cento, come
avvenuto finora, significa, in parole
semplici, tener conto che ci sono anche
dei costi e quindi beneficiare di soldi in
più dalla Confederazione. Questo il
contenuto del postulato della Commissione delle finanze a partire da una richiesta avanzata da Marina Carobbio.
Postulato accettato dal Consiglio nazionale il 10 marzo di quest’anno per la
validità dell’argomentazione. Ora la
palla passa al Consiglio federale, ma è
un buon inizio.
Precariato
Immaginate di non poter programmare
più una domenica in montagna con i
PROFICUA
Lo sappiamo bene: non tira aria buona a
Berna, così come in Ticino. Essere l’unica
consigliera nazionale socialista proveniente dal Canton Ticino significa barcamenarsi in acque non proprio amiche,
destro-centriche e lontane dai princìpi di
equità sociale e ridistribuzione delle risorse su cui si basa il nostro Partito.
bambini, di non potervi iscrivere al
corso di yoga del mercoledì sera per
paura di non essere costanti, di far fatica anche a prenotare due sacrosante
settimane di vacanza all’anno. Ma questo è il meno. Infatti i lavoratori su
chiamata, che devono essere iperflessibili, vivono anche col costante terrore
che quei (pochi) soldi mensili vengano
loro improvvisamente detratti e che
dall’oggi al domani il datore di lavoro,
che furbescamente ha scaricato sulle
loro spalle i propri rischi, se ne esca
con un «Arrivederci e grazie, buona
fortuna per il futuro». In Svizzera circa
190 mila persone vivono così, e il loro
numero è probabilmente destinato a
crescere. Per questo Marina Carobbio
ha depositato nel marzo del 2014
un’iniziativa parlamentare che mira a
una base legale per il lavoro su chiamata (la Camera non l’ha ancora trattata) e una relativa alla Legge federale
sugli acquisti pubblici. Con questa
Legge, il Consiglio federale si propone
di promuovere la libera concorrenza
fra tutti gli offerenti, ma è ovvio che le
imprese che utilizzano personale a
chiamata possono offrire servizi a
prezzi inferiori, avendo ridotto costi e
rischi a svantaggio dei lavoratori. Purtroppo l’iniziativa è stata respinta, ma
è bene che si inizi a discuterne.
Imprese sociali
Poi ci sono i disoccupati, che spesso
non trovano lavoro fino
a entrare in assistenza. Un capitolo
triste, difficile da
affrontare, se pensiamo che a oggi
sono 230
mila le
Bellinzonese: l’aggregazione è indispensabile
«Nell’interesse del Cantone c’è urgente bisogno di un Sopraceneri e di un
Bellinzonese più forti e consapevoli del proprio ruolo. L’aggregazione consentirebbe la creazione di un nuovo Comune con una struttura finanziaria
più solida (e quindi meno dipendente dal contributo di livellamento), ma soprattutto in grado di affrontare con strumenti adeguati le enormi sfide che
lo attendono nell’immediato futuro con, in primo luogo, l’apertura di AlpTransit. Il fervore edilizio che stiamo osservando in questi ultimi anni va
governato, lo sviluppo economico e sociale va adeguatamente indirizzato. Si
tratta di saper cogliere e sfruttare queste opportunità, contenendo i rischi.
Il Bellinzonese dev’essere uno spazio che, con un’alta qualità di vita, sia in
grado di offrire anche alle generazioni future lavoro e opportunità professionali. Una regione che sappia governare quel bene prezioso e limitato che
è il suo territorio, valorizzando le peculiarità di uno spazio e di un paesaggio
unici nel loro genere.»
Mario Branda, Sindaco di Bellinzona
Salari in euro
Già nel 2012 Marina Carobbio aveva
provato a far passare l’idea della necessità di intervenire sulla questione
della moneta e dei salari. Ma allora il
Consiglio nazionale aveva respinto
l’iniziativa, adducendo come motivazione la rarità dei casi e aggiungendo
che quei pochi si sarebbero risolti
spontaneamente nel tempo. Ebbene,
sono passati tre anni e il fenomeno sta
crescendo. Ricordiamo che nelle regioni di frontiera il versamento di salari in euro, oltre a creare una
discriminazione tra i lavoratori, accentua la pressione sui salari e quindi il
dumping salariale. I datori di lavoro
possono dunque avere un interesse ad
assumere lavoratori frontalieri, pagati
in euro e quindi con salari inferiori rispetto ai salari corrisposti in franchi ai
lavoratori svizzeri o residenti. Per questo a marzo la nostra rappresentante
ha depositato in Consiglio nazionale
una mozione che chiede al Consiglio federale di modificare l’articolo 323b del
Codice delle obbligazioni in modo che
il salario sia imperativamente pagato
in moneta legale, ossia in franchi svizzeri.
Donne
La parità fra uomo e donna? Quando si
dice «una chimera». Molto spesso la discriminazione striscia, si nasconde fra
i sassi come un serpente. Un esempio?
La qualificazione professionale. Mica
noccioline, perché con certi attestati e
certe capacità cambiano la busta paga
e spesso anche la qualità di vita. Ma attenzione! Se lavori a tempo pieno puoi
Le altre facce del PS:
GISO e Internazionale
Il Partito Socialista congiunge la propria lista anche con quella della GISO e
con quella del PS internazionale.
GISO (Lista 17)
La GISO parteciperà alle prossime elezioni per il Consiglio nazionale con una
sua lista congiunta al PS e ad altre compagini progressiste. Abbiamo presentato una lista in modo da portare, attraverso i/le candidat*, il nostro punto
di vista e i temi per cui lottiamo, sperando di contribuire all’elezione di un/a
second* parlamentare di Sinistra. Accompagnati dallo slogan «Cambia ciò
che ti disturba», condurremo una campagna di gruppo e con azioni sul territorio, cercando di avvicinare i giovani al voto.
I nostri candidati: Lisa Boscolo (Bellinzona), Giulio Bozzini, (Arbedo-Castione), Aramis Gianini (Cadenazzo), Lydia Joray (Faido), Fabrizio Sirica (Locarno)
Le biografie: http://bit.ly/psgisoit
PS Internazionale (Lista 9)
Per noi è una lista naturale: il PS è un partito internazionalista. Significa che
tiene contatti con i Socialisti in tutto il mondo e sa che i compatrioti si impegneranno per gli ideali progressisti anche all’estero. Solo un grande movimento internazionalista potrà lottare con efficacia contro le disuguaglianze
e i privilegi.
L’obiettivo della nostra azione è chiaro: far sapere agli elettori svizzeri all’estero che solo il PS tutela gli interessi dei nostri concittadini e non quelli
dei grandi capitali. Sono in gioco i nostri valori: la solidarietà, l’aiuto umanitario, i diritti dell’uomo, la tutela della democrazia, le conquiste sociali.
I candidati ticinesi del PS internazionale: Mielikki Albeverio, Nicolette Gianella, David Monico, Elena Riva
Le biografie: http://bit.ly/psinternazionale
accedervi dopo cinque anni di esperienza lavorativa, ma se lavori a tempo
parziale (udite udite!) dopo dieci anni.
Se calcoliamo che spesso sono le donne
a essere impiegate a tempo parziale,
ecco che si capisce come il sistema così
concepito puzzi un po’ di discriminazione. Per questo Marina Carobbio ha
avanzato una mozione che mira a favorire l’accesso alla qualificazione professionale anche per chi svolge un
lavoro a tempo parziale. La Camera
deve ancora prendere una decisione,
ma certo è che molte giovani donne in
questo modo potrebbero avere più possibilità per dare una svolta al proprio
iter professionale.
Affitti
Quello del caro-affitti è un tema fondamentale per qualsiasi Socialista. Negli
ultimi tempi la speculazione è esagerata, ma pare che chi ci guadagna
abbia un appetito insaziabile. Dal 2009
il tasso ipotecario si è abbassato di ben
7 volte e ha raggiunto l’1,75 per cento,
il valore più basso mai toccato. Credete
che a fine mese sia cambiato qualcosa
per gli inquilini? No. Nemmeno un centesimo di differenza. Per questo Marina
Carobbio ha recentemente depositato
un postulato attraverso il quale chiede
al Consiglio federale di presentare un
rapporto che illustri i provvedimenti e
le misure, legislative e non, che potrebbero essere realizzati affinché la diminuzione del tasso ipotecario di
riferimento vada effettivamente a beneficio degli inquilini. Dita incrociate!
Il bilancio della Legislatura
di Marina Carobbio:
http://bit.ly/bilanciomarina
Gli atti parlamentari
di Marina Carobbio:
http://bit.ly/attiparlamentarimarina
3
PS.CH
persone che per tirare avanti devono
ricorrere allo Stato. Sfaccendati, lazzaroni? Macché: solo sfortunati. Il 1. gennaio 2012 è inoltre entrata in vigore la
prima parte della sesta revisione dell’AI, che prevede di reintegrare nel
mercato del lavoro circa 2’800 persone
all’anno. Negli ultimi anni questo contesto ha dato vita a forme ibride a metà
strada tra Stato ed economia: le imprese sociali ne sono appunto un esempio. Ma sono tutte uguali? Quanti
contributi ricevono, quante persone
impiegano? Visto che a loro non è permesso entrare in concorrenza con
l’economia privata, possono dare luogo
a commistioni tra gli obiettivi sociali e
quelli economici. Per questo, tramite
un postulato che è stato accettato, Marina Carobbio ha chiesto al Consiglio
federale un rapporto in cui si illustrino
diversi aspetti, ovvero le differenti
forme di impresa sociale esistenti, le
basi legali cantonali, il numero di persone che lavorano nelle imprese sociali
e la partecipazione finanziaria della
Confederazione e degli altri enti pubblici. Il rapporto sarà consegnato prossimamente.
3 DOMANDE
A CHI SI CANDIDA AL NAZIONALE
PS.CH
4
Mixaris Bianchera-Pérez Concepción
Il mercato del lavoro è sempre più
concorrenziale e difficile. Quali
sono le misure necessarie per migliorare la situazione?
Il lavoro è fra i problemi più importanti da risolvere. In questa tematica
rientrano i salari più bassi percepiti
dalle donne. Nonostante esista un
principio costituzionale che sancisce la parità salariale fra
uomo e donna, esso non viene rispettato. I miei sforzi, se
venissi eletta, andranno soprattutto in questa direzione.
Rivediamo il concetto di aziende ad alto valore aggiunto,
introducendo anche l’aspetto salariale nei criteri che le definiscono come tali.
A livello di socialità e servizio pubblico, quali settori andrebbero rafforzati?
Anche in questo caso torno a parlare del mercato del lavoro, una questione davvero cruciale: è ovvio che, se riusciamo a dare a tutti dei salari e una pensione dignitosi,
l’economia verrà aiutata e le risorse ridistribuite. Non di-
mentichiamo la sanità: il Partito Socialista si batte da anni
per la creazione di una cassa malati pubblica perché i
premi delle casse malati private continuano a salire e le
famiglie meno abbienti sono penalizzate. Abbiamo discusso anche negli ultimi tempi delle borse di studio: garantire a tutti una formazione adeguata è il punto di
partenza per distribuire meglio le risorse. Senza dimenticare che il costo della pigione è una delle voci che maggiormente incidono sul budget familiare. Occorre
incentivare la costruzione di appartamenti a pigione moderata con una collaborazione pubblico/privato e con la
partecipazione di organizzazioni di utilità pubblica, per
esempio le cooperative.
Quali sono le sfide attuali per quanto riguarda la salvaguardia del territorio e dell’ambiente?
Le aziende che si installano qui pagando salari assolutamente non dignitosi depredano il territorio, generando
problemi sociali ma anche ambientali, per esempio con il
traffico che generano. Occorre incentivare i mezzi di trasporto pubblici. Il traffico merci deve passare su ferrovia
e dobbiamo dire un chiaro No al raddoppio del Gottardo!
Pietro Bianchi
A livello di socialità e servizio pubblico, quali settori andrebbero rafforzati?
Per me la nostra società è come un
sasso che non è stato scrostato. Noi
dobbiamo lavorare questo blocco di
granito… la perfezione la avremo
quando otterremo un cubo liscio. Uso
questa metafora per dire che non basta dare indicazioni
su cosa si dovrebbe migliorare, ma tutti noi, anche nel nostro piccolo, nel nostro quotidiano, dovremmo fare qualcosa in questa direzione. Faccio l’esempio della cultura,
che ha un ruolo sempre più marginale e viene considerata
quasi un optional. La cultura non è una musica di sottofondo, ma qualcosa cui tutti dobbiamo lavorare, e costantemente. Il mio motto è: se trovate che la cultura sia cara,
provate con l’ignoranza.
Quali sono le sfide attuali per quanto riguarda la salvaguardia del territorio e dell’ambiente?
È bene pensare su scala globale. È tutto il Pianeta che è
malato, che sta andando male. Bisognerebbe anche in que-
sto caso cominciare dal quotidiano: noi stessi dovremmo
stare più attenti all’acqua che consumiamo, a non accendere troppo la luce eccetera. Il Pianeta è uno solo, non ne
abbiamo due: condivido l’idea del padiglione svizzero a
Expo. La Natura è qualcosa di assolutamente perfetto. Si
impara molto stando a contatto con i fiumi, i boschi, i
laghi. Cerchiamo di non buttare tutto alle ortiche, di preservare la bellezza del nostro Paese e di non sacrificare
queste cose preziose al dio denaro. Si può benissimo vivere
senza centrali nucleari e senza cementificare tutto.
Quanto è importante investire sui giovani e sull’istruzione?
I giovani sono la nostra speranza. Raramente guardo
troppo indietro, cerco sempre di guardare avanti. Noi oggi
dobbiamo lavorare con i giovani, dedicare loro una parte
della nostra giornata: tutti noi dobbiamo farlo, dall’industriale all’artigiano, dal musicista al ballerino e al teatrante. Loro saranno un giorno la nostra forza. Lasciamo
perdere i nostri motti, «una volta si viveva meglio» eccetera: guardiamo cosa noi lasceremo ai nostri giovani e
diamo loro una speranza per costruire un mondo migliore
di quello attuale.
Le biografie di tutti i candidati
e le candidate al Consiglio nazionale:
http://bit.ly/candidatinazionale2015
Marina Carobbio Guscetti
Il mercato del lavoro è sempre più
concorrenziale e difficile. Quali
sono le misure per migliorare la situazione?
Ci vuole una nuova cultura imprenditoriale che rispetti di più i lavoratori
e le lavoratrici e una nuova politica
economica e industriale. La politica
di sgravi fiscali di decenni ha mostrato tutti i suoi effetti
negativi. L’estensione dei contratti collettivi di lavoro con
salari minimi vincolanti, ma anche la parità salariale e la
regolazione del lavoro su chiamata e interinale, sono misure indispensabili. La formazione professionale e specialistica va rafforzata in particolare in settori con potenzialità
come quello biomedico o ferroviario: AlpTransit, centro di
competenza e officine di Bellinzona eccetera. Ciò significa
più sinergie tra aziende e istituti di ricerca come la SUPSI,
l’USI, l’IRB o l’Istituto di formazione professionale.
A livello di socialità e servizio pubblico, quali settori andrebbero rafforzati?
libero scambio che potrebbero coinvolgere anche la Svizzera e portare ad aprire parte al mercato del servizio pubblico, come l’erogazione dell’acqua potabile o la
formazione, sottraendolo al controllo democratico. In Svizzera stanno aumentando le privatizzazioni di ospedali e le
esternalizzazioni di servizi sanitari. Le conseguenze? Disastrose, come mostrano altri Paesi, tipo l’Inghilterra.
Anche in Ticino con la pianificazione ospedaliera si vogliono smantellare gli ospedali di periferia e si ventila un
partenariato con il privato, rischiando di peggiorare i servizi sanitari, a tutto vantaggio dei profitti di gruppi privati
come Genolier.
Quali sono le sfide attuali per quanto riguarda la salvaguardia del territorio e dell’ambiente?
La protezione degli spazi verdi da insediamenti speculativi
grazie a una migliore pianificazione del territorio, che permetterebbe anche di aumentare gli alloggi a pigione moderata, e la svolta energetica. Il raddoppio del Gottardo
avrebbe gravi conseguenze per l’arco alpino, mettendo a
repentaglio la politica di trasferimento su rotaia.
Bisogna combattere i tentativi più o meno mascherati di
privatizzazione, compresi i nuovi accordi commerciali di
Raoul Ghisletta
Il mercato del lavoro è sempre più
concorrenziale e difficile. Quali sono
le misure per migliorare la situazione?
In Ticino il mercato del lavoro è condizionato dalla situazione economica
italiana: salari bassi, precariato, ritardo salariale in aumento rispetto
alla media svizzera. Nel settore terziario il problema è
scoppiato con l’entrata a pieno regime della libera circolazione «senza regole» delle persone. Per riprendere il
controllo della situazione si deve rafforzare lo statuto del
lavoratore a livello federale e documentare il problema a
livello nazionale, come stanno facendo i sindacati ticinesi.
Se le nostre richieste non passeranno a Berna in tempi ragionevoli, dovremo cercare di congelare la libera circolazione delle persone in Ticino, puntando sul fatto che essa
produce un forte degrado delle condizioni di lavoro locali
e viola lo spirito dei Bilaterali.
La questione degli alloggi è cruciale. Cosa fare per aiutare i cittadini vittime della speculazione edilizia?
In Ticino il mercato in varie regioni è stato squilibrato dalla
crescente domanda esterna. Bisogna pertanto accrescere
il ruolo degli enti non profit. Come Socialisti, con l’Associazione inquilini, abbiamo fatto approvare dal Parlamento, cinque anni fa, l’elaborazione del Piano cantonale
dell’alloggio, che vedrà la luce prossimamente. A Lugano
2 anni fa il PS, l’Associazione inquilini e la VPOD hanno
consegnato un’iniziativa popolare e dopo l’estate il Consiglio comunale accoglierà il compromesso, che prevede un
investimento di 10 milioni per alloggi a prezzi accessibili.
A livello di socialità e servizio pubblico, quali settori andrebbero rafforzati?
Oggi il rischio di povertà colpisce soprattutto i giovani e le
giovani famiglie, quindi lì bisogna aumentare gli sforzi: nei
servizi che vanno dagli asili nido alle mense/doposcuola,
fino alla scuola dell’obbligo. Bisogna anche ridurre il numero degli allievi: 15-20 per classe, in modo da non lasciare indietro nessuno, soprattutto quelli che hanno
difficoltà, ad esempio perché sono alloglotti o non sono seguiti dalle famiglie. Investire a questo livello consente di
prevenire tanti costi successivi.
PS.CH
5
Igor Righini
PS.CH
6
Il mercato del lavoro è sempre più
concorrenziale e difficile. Quali
sono le misure necessarie per migliorare la situazione?
Molte aziende pongono condizioni restrittive per mantenere le attività sul
nostro territorio. Il lavoro si adatta e
diventa flessibile, a tempo indeterminato, su chiamata, addirittura gratuito. Per dare ai lavoratori maggiori sicurezze sono necessari dei contratti
collettivi. Bisogna potenziare l’azione sindacale e garantire
il rispetto delle regole contrattuali grazie anche a sanzioni
esemplari, proporzionate al grado dell’infrazione. Poi occorre riferire ogni stipendio nazionale del settore privato
a una forchetta di salari minimi e massimi per ogni categoria professionale.
La questione degli alloggi è cruciale. Cosa fare per aiutare i cittadini vittime della speculazione edilizia?
Sebbene oggi il costo del denaro sia basso, le persone normali non soddisfano le condizioni poste dagli uffici di credito e una casa di proprietà resta un miraggio per molti. Il
mercato immobiliare da una parte costruisce appartamenti in affitto, dall’altra case, ville e appartamenti per i
ricchi. Così la divergenza fra le classi cresce e si ghettizza.
Per risolvere il problema dell’alloggio è necessario facilitare l’accesso alla casa alle persone con un reddito basso
grazie a efficienti sovvenzioni pubbliche. Lo Stato deve attuare una pianificazione immobiliare ad alta qualità sociale e ambientale.
Quali sono le sfide attuali per quanto riguarda la salvaguardia del territorio e dell’ambiente?
Il Pianeta è in cattiva salute: ghiacciai perenni che si sciolgono, montagne che si sgretolano, piogge violente, alluvioni. Non c’è un minuto da perdere! Riduciamo i
fabbisogni energetici e usiamo fonti rinnovabili. Preserviamo l’acqua, l’aria e la terra. Riappropriamoci dei sistemi di coltivazione rispettosi dell’ambiente. Rispettiamo
le diversità biologiche. Per attuare questo progetto serve
una nuova società tecnologica, equilibrata e pacifica. La
Svizzera, con le sue conoscenze e le sue risorse, può diventare per l’intero Pianeta il modello di una società sostenibile ed economicamente competitiva.
Lara Robbiani Tognina
Quali sono le sfide attuali per
quanto riguarda la salvaguardia
del territorio e dell’ambiente?
Dobbiamo tutelare le zone protette e
non edificabili, ma anche sostenere e
aumentare gli ecoincentivi e rafforzare i sussidi per le ristrutturazioni. I
nostri paesi sono pieni di case molto
belle nei nuclei, ma spesso la gente costruisce ex novo perché ristrutturare costa molto. Elargendo dei contributi, potremmo salvare qualche terreno. Occorre poi
assolutamente spingere e sostenere le energie alternative,
visto che in Ticino non mancano l’acqua, il sole e il vento.
Il mio sogno? Più edifici energeticamente autosufficienti.
Se ogni nuova casa costruita avesse un pannello solare,
avremmo già risolto un po’ di problemi. Purtroppo queste
iniziative rimangono appannaggio dei privati e non nascono su spinta politica. Una volta ogni casa nuova doveva
avere un bunker: perché non promuovere una cosa del genere a livello di risparmio energetico?
Quanto è importante investire sui giovani e sull’istruzione?
I nostri giovani non sono solo il futuro del nostro Paese,
ma sono già il presente. L’importanza di un’istruzione che
sappia valorizzare i talenti di ognuno, stimoli i giovani, li
renda attivi e critici, non passivi consumatori, non può essere messa in dubbio. I tagli sull’istruzione non dovrebbero proprio esistere come concetto: risparmiando sulla
scuola, ci si troverà magari a investire più denaro nella polizia e nei servizi sociali, perché avremo giovani allo
sbando, senza lavoro e senza prospettive.
Quali strade seguire per ridistribuire le ricchezze?
Le strade sono diverse e il Partito Socialista e il Cantone le
hanno già intraprese: il salario minimo, l’eliminazione dei
bonus e degli stipendi esorbitanti dei manager, l’introduzione a tappeto di contratti collettivi per tutte le categorie,
maggiori controlli e vigilanza e sanzioni molto più severe
per chi non rispetta i contratti collettivi, a partire dagli stipendi arrivando anche al rispetto dell’orario di lavoro e
delle regole di assunzione. Devono essere vere sanzioni,
più alte di quello che si è risparmiato negli anni, proprio
per disincentivare queste pratiche.
Evaristo Roncelli
Ritengo che le soluzioni migliori per
bloccare il dumping salariale siano
da cercarsi in maggiori controlli per
quanto riguarda sia i contratti collettivi di lavoro sia i contratti normali di lavoro. Ma questo
non basta: ci vogliono sanzioni per quegli imprenditori che
lucrano facendo dumping salariale, e queste multe devono
essere proporzionate. Faccio un esempio: se un datore di
lavoro facendo il furbo intasca 100 mila franchi in più, la
sanzione non può essere inferiore a questa cifra, perché
verrebbe a mancare l’incentivo a non trasgredire le regole.
Servono inoltre una maggiore protezione di chi denuncia
gli abusi sul mercato del lavoro e misure che promuovano
il reinserimento nel mercato del lavoro.
Quali sono le sfide attuali per quanto riguarda la salvaguardia del territorio e dell’ambiente?
nullare gli sforzi fatti per trasferire le merci dalla strada
alla rotaia. C’è la realistica probabilità che l’Unione europea faccia pressione sul nostro Paese affinché si adegui
alle normative europee, con un possibile aumento della capacità dei camion dalle attuali 40 alle 60 tonnellate. Il tunnel del Gottardo è una delle maggiori rotte di transito a
livello europeo, basti pensare che già oggi due terzi dei veicoli che transitano nel tunnel sono solo di passaggio.
Quindi camion più pesanti sulle nostre strade e maggiore
inquinamento: non credo che ce lo possiamo permettere.
Quanto è importante investire sui giovani e sull’istruzione?
Per me è fondamentale, anche per far fronte alla concorrenza internazionale. Avere centri di competenza e di eccellenza ci permette di rimanere competitivi sul fronte
della conoscenza. In quest’ottica, sarebbe bene che in Ticino si sviluppassero non solo la SUPSI e l’USI, ma anche
una sorta di Politecnico ticinese che permetta di approfondire le conoscenze tecniche, senza le quali è difficile fare
impresa ad alto valore aggiunto.
La prossima sfida concerne il raddoppio del San Gottardo,
perché rischia di far aumentare il traffico pesante e di an-
Bruno Storni
Il mercato del lavoro è sempre più
concorrenziale e difficile. Quali
sono le misure necessarie per migliorare la situazione?
Per il nostro Cantone le misure imprescindibili sono i contratti collettivi
di lavoro e i minimi salariali, oltre al
modello di Ginevra. Ma la concorrenza sul mercato del lavoro va ben oltre l’area insubrica...
i trasporti costano sempre meno e si produce dove è conveniente: non solo nei Paesi asiatici, ma anche in altri
Paesi europei. Pensiamo alla delocalizzazione del montaggio di apparecchiature elettroniche sviluppate in Ticino,
vedi i casi recenti di Turbomach e GE. A questo aggiungiamo l’innovazione tecnologica, che sostituirà sempre più
professioni, anche nel terziario. Su questo piano siamo
sprovvisti di difese e non solo in Ticino… occorrerà trovare
nuove attività più legate al territorio e se il lavoro diminuirà bisognerà affrontare il tema della sua distribuzione.
Quali sono le sfide attuali per quanto riguarda la salvaguardia del territorio e dell’ambiente?
Se non riusciamo a fermare il riscaldamento climatico si
potranno innescare fenomeni ancor più catastrofici, ad
esempio dovuti al «disgelo» del permafrost nell’Artico che
rilascerà gas a effetto serra di origine naturale, spingendo
ulteriormente verso l’alto le temperature, con conseguenze
terribili. Le decisioni importanti a protezione del clima
avranno luogo quest’anno a Parigi: speriamo in bene. Per
il nostro Cantone la sfida immediata invece è il non raddoppio del Gottardo per evitare di diventare la camionale
europea.
Quanto è importante investire sui giovani e sull’istruzione?
È importante investire sui giovani e ciò vuol dire formazione, un campo nel quale però mi sembra si faccia molto,
se pensiamo che in 20 anni il numero di studenti è aumentato notevolmente grazie alle crescenti offerte di curricoli
di studio elargite dall’USI e dalla SUPSI. Si potrebbe fare
di più a livello di apprendistato, che non è molto attrattivo,
soprattutto perché gli stipendi in diverse professioni in Ticino sono molto bassi. L’investimento non deve però limitarsi ad accrescere solo il numero di formati, ma anche la
qualità della stessa, preferendo formazioni richieste.
7
PS.CH
Il mercato del lavoro è sempre più
concorrenziale e difficile. Quali
sono le misure per migliorare la situazione?
ROBERTO MALACRIDA
di Marisa Infante
PS.CH
8
Il mercato del lavoro è sempre più concorrenziale e difficile. Quali sono le misure per migliorare la situazione?
È importante cercare di evitare il dumping salariale. Il mercato del lavoro migliora
automaticamente
quando
diminuisce la concorrenza sleale e
quando i padroni, nel senso vecchio del
termine, placano la loro voglia di guadagni esagerati rispetto a quanto le loro
aziende o le loro attività producono. A livello ticinese, il discorso del mercato del
lavoro viene sempre declinato sulla questione dei frontalieri. Per questo motivo,
quando si mette a disposizione un
posto di lavoro, si valuta con assoluta ponderatezza e analisi
minuziosa la possibilità di assumere un Ticinese invece
che un frontaliere. Non che il
ragionamento sia sbagliato,
ma attenzione: assolutizzare
questo discorso è a mio
avviso un po’ pericoloso. Faccio un esempio che riguarda il
mio ambito, quello
della sanità: quando
si curano gli anziani, gli ammalati,
le persone con difficoltà fisiche o psichiche, occorrono
una qualità, una preparazione e anche un
cuore, una disposizione
particolare che nessun
curriculum scolastico
può dare. In questi casi
credo che abbiamo veramente il dovere di
scegliere la candidatura migliore, al di là di
ogni altro discorso. È
giusto e comprensibile
dare la priorità ai «nostri», ma, quando fra
essi non emerge un
profilo convincente, è
bene pensare in primo
luogo agli ammalati.
Queste considerazioni,
ovviamente,
riguardano in special modo la
mia esperienza come
medico.
AGLI STATI
A livello di socialità e servizio pubblico,
quali settori andrebbero rafforzati?
Preferisco parlare della sanità, che è il
mio ambito, quello che conosco meglio.
A livello di ospedali, di case per anziani
e di aiuti domiciliari c’è ancora uno spazio per creare posti di lavoro e migliorare
la qualità di vita ai cittadini meno privilegiati, quali sono gli ammalati e tutte le
persone che necessitano di assistenza.
Quali sono le sfide attuali per quanto
riguarda la salvaguardia del territorio
e dell’ambiente?
Credo che noi di Sinistra dobbiamo
agire tenendo sempre sottotraccia
una questione: bisogna essere
sensibilissimi, attentissimi verso
la giustizia sociale. È sacrosanto
quindi fare delle scelte che non
pesino sulle generazioni a venire.
Quando si prendono delle
decisioni in ambito ambientale, a maggior ragione, pensare a cosa
succederà fra 10, 20,
100 anni è molto importante. Che cosa lasceremo ai nostri figli,
ai nostri nipoti? Queste le domande da
farsi.
Quanto è importante
investire sui giovani e
sull’istruzione?
Credo davvero molto
nell’importanza
dell’educazione e nella sua
possibilità di forgiare i destini umani. Soprattutto nei
primi anni: la Scuola dell’infanzia e le Elementari sono
cruciali per l’evoluzione della
persona. Ci sono degli input
che sono degli imprinting che
un docente che lavora con
bambini e bambine dai 3 ai 10
anni lascia nelle loro menti e
nei loro cuori. Per questo è importante che l’educazione sia
sempre ottimale. Per quanto riguarda i giovani, è fondamentale
che abbiano una cultura suffi-
ciente che permetta loro di scegliere una
strada professionale che sia la migliore
possibile per loro. La cultura deve sempre esserci, come presenza, come luce
che rischiara il sentiero.
La questione degli alloggi è cruciale.
Cosa fare per aiutare i cittadini vittime
della speculazione edilizia?
Non soltanto a me, ma credo a tutta la Sinistra, sta particolarmente a cuore la
questione degli alloggi a pigione moderata. Penso che si dovrebbe creare una
legge, da applicare a livello comunale o
cantonale, secondo la quale ogni nuovo
palazzo destini un 10 per cento dello spazio totale alla realizzazione di appartamenti con affitti bassi e abbordabili,
destinati alle persone con stipendi modesti e con minori possibilità economiche.
Sappiamo, dati alla mano, che, se l’affitto
si alza troppo in proporzione alle entrate
delle famiglie, esse si impoveriscono e
iniziano a chiedere aiuti sociali. Cosa
succede, in fin dei conti? Che questi cittadini e queste cittadine costano di più
allo Stato di quanto sarebbero costati intervenendo in anticipo, per esempio offrendo loro case a prezzi accettabili.
Quali strade seguire per ridistribuire
le ricchezze?
Il punto di partenza, a mio avviso, è una
giusta tassazione. Spesso la ricchezza deriva da un ingegno particolare, da capacità fuori dal comune, e queste persone
non vanno certo colpevolizzate o condannate, perché la nostra società si basa
anche sulla capacità di produrre e di innovare: quindi ben vengano! Ma non
sono rari i casi in cui la ricchezza non
c’entra nulla col merito personale ma deriva da altri motivi, per esempio dalle
fortune accumulate dai padri e dai nonni:
per quanto riguarda queste situazioni,
ebbene, tassiamo senza problemi, per
fare in modo che ne possa approfittare
chi non ha avuto determinati privilegi e
che la situazione si riequilibri.
La biografia di Roberto Malacrida:
http://bit.ly/candidatostati2015
PS.CH
9
MARINA CAROBBIO
GUSCETTI
IGOR
RIGHINI
Nata nel 1966
Vive a Lumino
Consigliera nazionale e medico
Nato nel 1966
Vive a Pollegio
Architetto - libero professionista
MIXARIS BIANCHERAPÉREZ CONCEPCIÓN
LARA ROBBIANI
TOGNINA
Nata nel 1975
Vive a Balerna
Giurista in formazione
Nata nel 1969
Vive a Manno
Docente di religione evangelica
PIETRO
BIANCHI
Nato nel 1953
Vive a Sementina
Musicologo
EVARISTO
RONCELLI
Nato nel 1989
Vive a Bellinzona
Studente di economia e impiegato
RAOUL
GHISLETTA
BRUNO
STORNI
Nato nel 1961
Vive a Lugano
Sindacalista VPOD
Nato nel 1954
Vive a Gordola
Ingegnere Elettronico e informatico
LA NARRAZIONE E
di Marisa Infante
CANDIDATI
10
L’ETICA
«Non dobbiamo vendere l’anima»: in queste parole c’è un programma legato non solo
al fare ma anche all’essere, una dichiarazione di intenti che va a rafforzare il paradigma identitario del Partito. Roberto Malacrida, il candidato scelto per il Consiglio
degli Stati, ha alle spalle una solida esperienza nel campo delle cure e dell’etica nella
medicina, una professione che ne ha intensificato l’umanità portandolo a riflettere
sulle grandi questioni della vita e della morte. Amante della cultura, attivo in politica
prima in Gran Consiglio, poi nella Città di Bellinzona come municipale, il medico crede
nel connubio «bello-buono». In questa intervista gli abbiamo posto domande sul passato e sul futuro, per conoscere meglio il candidato del Partito Socialista.
Dal Municipio agli Stati. Come affronti questa nuova avventura?
A dir la verità non sono così preparato.
Mai nella vita avrei pensato di avere
questa opportunità e in un certo senso
anche questo onore: tutto sommato si
tratta di un privilegio riservato a pochi.
Il Partito mi ha chiesto di mettermi a
disposizione lasciando intendere che
sarebbe stata una cosa utile e buona
per il PS, quindi ho accettato con molto
piacere, prendendo la decisione quasi
subito.
Quali sono le tue strategie per conciliare gli impegni pubblici e quelli privati?
CHI È
Roberto Malacrida, nato nel 1948, è sposato e
padre di due figli. È stato capo servizio delle Cure
intense e del Pronto soccorso all’Ospedale di Bellinzona, primario di Medicina intensiva e direttore
sanitario all’Ospedale di Lugano dal 1981 al 2013,
medico responsabile della REGA e della Croce
Verde di Bellinzona dal 1981 e al 1994, presidente
della Società Svizzera di Etica Biomedica e membro della Commissione etica dell’Accademia Svizzera delle Scienze Mediche all’inizio del 2000,
nonché professore di etica alle Università di Ginevra e di Friborgo fino al 2014. È anche stato membro del Gran Consiglio dal 2006 al 2014 e
municipale e capo dicastero Cultura, Scuole e Giovani della Città di Bellinzona dal 2012. È
pure direttore della
Rivista per le Medical
Humanities dell’EOC e
membro della Conferenza cantonale della
Cultura.
In che senso? Chi era Roberto Malacrida prima e
chi è dopo l’esperienza coi
malati?
Quando mi hanno chiesto di candidarmi agli Stati, ne ho parlato un po’
in famiglia: mia moglie dice sempre
che si immaginava che da pensionato
avrei potuto dedicarle più tempo, fino
ad ora non è stato il caso. Questo impegno, almeno fino a novembre, non
mi lascerà troppo tempo libero. Ma
questo non mi spaventa: avendo diretto
per 35 anni le Cure intense prima a
Bellinzona e poi a Lugano, ho lavorato
giorno e notte. Sempre. Il lavoro con il
Municipio, con la Fondazione Sasso
Corbaro e adesso questo nuovo impegno non sono una passeggiata. Ma,
anche sommando tutto insieme, il carico rimane comunque meno oneroso
rispetto a prima.
Stando a quanto dicono le
persone che mi conoscono e
mi stanno vicino, ma tenendo
conto anche di quello che sento
io, è cambiato il rapporto con
l’altro. Bisogna imparare a gestire la sofferenza
con
la
distanza: chi cura è
una persona altra e
diversa dall’ammalato, deve sapersi distaccare da quello
che ha vissuto durante
il giorno. Noi medici
non possiamo portarci
appresso le tragedie di cui
siamo testimoni, altrimenti
non riusciamo più a fare il
nostro lavoro. L’elaborazione
della sofferenza e del lutto
porta a saper gestire meglio
la fatalità della vita e a riflettere profondamente sui valori e
sulla morte.
Perché hai scelto di diventare medico?
Qual è la strada che ti ha portato a
sviluppare un’etica della professione?
Quasi per caso. Un vicino di casa dei
miei genitori era medico e, mi viene in
mente adesso, anche politico. Ci frequentavamo molto, anche perché suo
figlio, oltre a essermi coetaneo, mi era
amico. Probabilmente questa persona
mi ha influenzato: attraverso il suo
esempio ho visto la possibilità di rendermi utile per il tramite di una professione che permetteva mille cose, dalla
ricerca alla clinica, dall’etica alla possibilità di vivere in una piccola comunità, come quella delle Cure intense. A
dire il vero sono andato anche per
esclusione. Non mi sarebbe dispiaciuto,
all’epoca, diventare direttore d’orchestra. Studiavo musica, ma mi rendevo
conto che le mie capacità erano limitate, quindi ho preferito evitare di intraprendere una strada che mi
avrebbe garantito risultati piuttosto
mediocri. Sono felice della mia scelta:
il contatto con la persona malata mi ha
cambiato.
Il contatto con il dolore mi ha spinto a
trovare delle strategie per andare incontro alle sofferenze della persona
ammalata. 40 anni fa era molto facile.
Per esempio, mi sono adoperato in
prima persona per avere una base
della Rega in Ticino, quindi per soccorrere i poli-traumatizzati e le malattie
acute come già succedeva in altri Cantoni. Con la Croce Verde di Bellinzona,
io e altri abbiamo creato il cardio-mobile. Fino a quel momento l’ambulanza
era più che altro costituita da barellieri, da persone che soccorrevano
l’ammalato e lo portavano all’ospedale,
dove sarebbe stato sottoposto alle cure
adeguate. Poi, grazie al nostro intervento, i medici e gli infermieri e le infermiere sono usciti dall’ospedale e
sono andati in mezzo alle strade, nelle
case della gente, guadagnando del
tempo e permettendo la sopravvivenza
di molte persone. A livello di cure intense, poi, io e la mia équipe ci siamo
Quali sono i rischi
della iper-tecnologizzazione?
La
presenza
della
genetica,
della biotecnologia
e delle macchine porta
a un prolungamento della
vita, ma a questo va aggiunta una riflessione
etica sulla qualità della
vita. Un conto è vivere di
più, un conto è vivere di più e
bene. Citando Galimberti, la tecnologia
può diventare un fine e non più un
mezzo: in medicina intensiva occorre
sempre riflettere su questo, rendersi
conto che è meglio non fare tutto ciò
che si può fare ma porsi dei limiti,
avendo bene in mente l’interesse del
paziente, la scelta migliore per lui.
Ti sei anche impegnato nelle Medical
humanities. Di cosa si tratta?
Una ventina di anni fa, esaminando le
problematiche cliniche rispetto alle
scelte di cui parlavo prima, ovvero
quella che solitamente viene definita
«una presa di posizione etica», abbiamo sviluppato una riflessione partendo dai princìpi della bioetica, ovvero
l’autonomia del paziente e il suo diritto
all’autodeterminazione e alla «beneficenza» e non alla «maleficenza» da
parte di chi cura. Ebbene, ci siamo ac-
corti che questi princìpi erano limitati
e che era importante la narrazione
stessa del paziente, un processo attraverso il quale il malato scopre chi è
davvero e permette al medico una comunicazione personalizzata che diventa terapeutica. Già 2’000 anni fa si
diceva che un buon medico deve essere
un buon filosofo, ma aggiungo che deve
conoscere diverse discipline, dalla psicologia alla letteratura all’economia.
Per fare bene il mestiere di medico
bisogna poggiare la propria professionalità su due pilastri, la narrazione
e l’etica. Capisaldi, questi, che valgono anche per la politica?
In effetti la narrazione del paziente,
tradotta in ambito politico, potrebbe
coincidere con la narrazione dei cittadini: ascoltarli per capire quali sono le
loro esigenze, i loro desideri, le loro
critiche, così da poter dare delle risposte. Per quanto riguarda l’etica, ogni
decisione che un medico prende deve
essere confrontata con una scala di valori propri della medicina, in modo che
il paziente venga rispettato nella propria dignità. L’etica va in direzione
della dignità dei pazienti e dei cittadini.
Che cos’è per te la politica? Come la
senti?
Dopo otto anni di Gran Consiglio e tre
anni come municipale a Bellinzona,
sono arrivato alla conclusione che la
politica sia la capacità di tradurre valori, utopie e progetti in realtà. È molto
interessante immaginare e sognare
cose buone per la comunità, ma spesso
è difficile trovare un compromesso che
permetta di metterle in pratica. Il compromesso, poi, crea un dilemma morale: è giusto attuarlo senza vendere
l’anima. Resto dell’idea che sia necessario, soprattutto come Sinistra, rimanere fedeli ai propri princìpi, anche a
patto di perdere qualche voto.
Quali sono le nuove sfide che deve affrontare la Sinistra?
La cosa che mi impressiona da molti
anni è che la Sinistra, quando parla di
AVS, cassa malati unica eccetera, argomenta a vantaggio della maggioranza
della popolazione. In fondo, la maggior
parte dei cittadini non è ricca né ricchissima, ma è costituita dal ceto
medio e da persone che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese. Mi sorprende quindi che gli elettori non
premino gli sforzi che la Sinistra mette
in atto per venire incontro ai loro bisogni e alle loro difficoltà. Dev’esserci
qualcosa che non funziona a livello di
comunicazione… Forse non siamo in
grado di far capire che le nostre proposte sono utili per la maggioranza
della popolazione.
Ci sono altre forze politiche che manovrano le persone facendo leva soprattutto
sulle
paure.
Come
rispondere a questi giochini, alle bassezze e alla volgarità di certe aree?
Giova essere pragmatici. Mi viene in
mente un testo di Brenno Balestra, direttore sanitario dell’ospedale di Mendrisio, il quale alcuni giorni fa ha preso
posizione sulla scabbia. È una malattia
di pochissima importanza, un po’ noiosa, certo, ma non pericolosa. Balestra, appunto, ha scritto un testo molto
bello nel quale dimostrava da un punto
di vista medico che la paura verso la
scabbia è una cosa ridicola, aggiungendo che strumentalizzare una malattia per alimentare l’odio e la paura
verso lo straniero e l’immigrato sia
davvero un atto immorale e disonesto.
Questa è la strada, questo è il modo.
E quanto è importante la cultura?
Non si può curare e non si può fare politica bene senza avere una certa cultura. Cosa intendiamo con «una certa
cultura»? Leggere romanzi, ascoltare
musica, vedere cose belle, come la pittura e l’arte contemporanea. Si tratta
di un nutrimento interiore indispensabile: il fatto di interessarsi al bello
spesso porta anche a comportarsi
bene.
Se dovessi sacrificare tutto per qualcosa, per che cosa lo faresti?
Per il bello in quanto tale. Una persona
può essere bella, un corpo può esserlo,
un quadro, una città. Nel Municipio di
Bellinzona ci preoccupiamo che le nostre decisioni non siano soltanto giuste,
ma favoriscano una città più bella, a
disposizione dei cittadini che, vivendo
nel bello, diventano anche buoni.
Progetti per il futuro?
Voglio continuare con l’attività all’interno della Fondazione Sasso Corbaro,
dove abbiamo progetti interessanti,
che vertono attorno ai temi della speranza e della comunicazione delle cose
brutte e difficili. Lo scopo è capire se il
paziente ha il diritto ad avere una speranza anche quando ha ricevuto una
prognosi molto negativa. Queste riflessioni sfociano in ricerche, la parte che
mi ispira di più. Poi c’è l’attività in Municipio: lo stesso giorno delle Federali
c’è la votazione sulle aggregazioni, che,
qualora passasse, cambierebbe il volto
di Bellinzona come Città.
11
CANDIDATI
impegnati per combattere il dolore. Da
lì ho cercato di alleviare anche la sofferenza, un impegno più difficile, lavorando molto sulla qualità della
comunicazione, non solo nei confronti del malato ma anche
verso i suoi familiari, che vivono momenti di ansia e di
angoscia terribili e necessitano delle giuste parole.
Da lì, l’interesse verso
l’etica è nato spontaneamente: prendersi a carico
della
dignità
dell’altro, quando è ammalato, significa in
fondo andare in questa
direzione. Il tutto, in un
certo senso, è diventato
rotondo: dal soccorrere i
casi urgenti sono passato a
interessarmi agli aspetti etici
della cura, che prendono in
considerazione l’uomo nella
sua interezza, evitando di considerarlo una semplice
macchina, come invece fa la tecnologia che invade
sempre di più il
campo della medicina.
di Nestor Buratti
DUMPING!
LAVORO
12
Sciopero
alla Exten:
il PS c’era
La data potrebbe anche essere puramente casuale. Fatto sta che, tre
giorni dopo che i Ticinesi hanno
deciso che il diritto a un salario
minimo deve essere sancito nella
Costituzione, alla Exten scoppia un
nuovo sciopero. Il motivo? Il licenziamento del capo delegazione dei
lavoratori, sbattuto fuori con un
pretesto. Così, giusto per far capire
chi tiene in mano il bastone.
L’esempio di quanto avvenuto
presso la ditta di Mendrisio è importante. A febbraio si sarebbe potuto non fare nulla. Si sarebbe
potuto chinare la testa e accettare
il fatto compiuto. Invece no, stavolta si è deciso di opporsi. Duramente. Tenacemente. Non per i
pochi toccati, ma per tutti. Perché
oggi il sopruso ai danni di pochi
apre la strada domani per i soprusi ai danni di tanti. E ne è valsa
la pena. Specie quando, di fronte
alla quotidiana incertezza che
tocca chi sciopera, si vede materializzarsi qualche dirigente a
bordo di una Maserati: un’auto
che, da sola, per un operaio vale
anni di sudore.
La ditta Exten SA, nel cui consiglio
di amministrazione siede gente
come Franco Ambrosetti, noto masoniano ed ex direttore della Camera di commercio, propone ai
dipendenti salari mensili a tempo
pieno di 2’350 franchi al mese.
All’epoca si era in campagna elettorale. Tutti i principali partiti mettevano il lavoro al centro della
propria agenda. Solo il Partito Socialista era presente e ha preso posizione in quei giorni di tensione.
A favore dei lavoratori, naturalmente.
Il Ticino è sempre più terra di dumping
salariale. Il Partito Socialista non ci sta e
afferma con chiarezza le proprie rivendicazioni: generalizzare i contratti collettivi
di lavoro, imporre la parità salariale fra
uomo e donna e rafforzare le protezioni
contro i licenziamenti.
Al telefono parliamo con un signore, residente in Italia ma da diversi anni impiegato in Ticino. Il suo contatto ci è stato
fornito dal sindacato UNIA. Lucio* lavora
in un’azienda del settore della moda del
Luganese e il suo salario è di 850 franchi
al mese. Lucio però non vuole aggiungere altro: due giorni fa ha trovato il coraggio per affrontare il suo responsabile
e così gli è stato proposto un altro contratto. «Preferisco aspettare e vedere se
le cose migliorano, ora non mi va di parlare», ci spiega. Noi naturalmente auguriamo a Lucio tutto il bene possibile. Però
di situazioni come la sua ce ne sono sempre di più. Qualche settimana fa è stato
pubblicato dalla stampa un altro caso:
un’azienda informatica di Mendrisio ha
offerto a una segretaria una retribuzione
mensile di 600 franchi per 16 ore settimanali. Meno di 9 franchi all’ora. Se la
donna lavorasse al 100%, percepirebbe
meno di 1’500 franchi netti. Benvenuti
nel Far West degli stipendi!
Se a giugno la disoccupazione è diminuita, il fenomeno del dumping salariale
e dello sfruttamento dello stato di bisogno di persone disposte a tutto pur di
portare a casa qualcosa non fa che aumentare. Ciò, oltre che uno scandalo
contro cui il Partito Socialista continua a
battersi, è una distorsione della sana
concorrenza e del fare impresa in Svizzera. La diminuzione dei salari e il peggioramento delle condizioni di lavoro
sono ormai una realtà. Un recente studio
dell’Unione sindacale svizzera (USS) dipinge una situazione catastrofica: in Ticino c’è il dumping e la spirale è verso il
basso, nelle condizioni di lavoro e nei salari. Naturalmente a farne le spese sono
le persone con le retribuzioni più basse
e le donne, il cui stipendio mediano nelle
categorie medio-basse è quello che ha
subito la riduzione più sostanziale. Il Ticino paga soprattutto le specificità della
sua economia, strutturata in gran parte
sui settori a basso valore aggiunto (vedi
l’intervista ad Amalia Mirante a pagina
14). Si tratta quindi di un problema strutturale, al quale va aggiunta la grave crisi
economica che attanaglia l’Italia. La situazione è talmente grave che perfino la
Segreteria di Stato dell’economia (SECO)
sembra essersene accorta.
* nome di fantasia
Le proposte del Partito Socialista
Il Partito Socialista si batte per la sottoscrizione, in tutti i
settori professionali, di contratti collettivi di lavoro che
prevedano salari minimi, possibilità di formazione professionale e scale salariali, così da definire condizioni vincolanti per l’attuazione concreta della parità salariale tra
uomo e donna. I contratti collettivi di lavoro permettono
di tutelare i lavoratori e garantiscono condizioni di lavoro
eque. Tuttavia ora solo circa metà della popolazione attiva
è assoggettata a un contratto collettivo di lavoro. Il Partito
Socialista si impegna affinché questa situazione cambi.
Imporre la parità salariale
tra uomo e donna mediante l’adozione
di disposizioni vincolanti
Da 33 anni la Costituzione svizzera sancisce il diritto di
uomini e donne a un salario uguale per un lavoro uguale.
E da 33 anni questo principio viene calpestato. In media
le donne guadagnano il 20 per cento in meno rispetto ai
loro colleghi maschi: circa 700 franchi in meno. Il tentativo di realizzare la parità salariale con misure volontarie
è fallito. La politica deve quindi agire, poiché manifestamente l’economia non ci riesce da sola. Il Partito Socialista rivendica basi legali chiare e misure concrete per
garantire la parità salariale e porre fine alla discriminazione quotidiana di metà della popolazione, chiedendo un
monitoraggio degli stipendi accompagnato da obiettivi
vincolanti e possibilità di sanzione.
Rafforzare la protezione dal licenziamento
per evitare che i lavoratori più anziani cadano nella disoccupazione di lunga durata
Sono i lavoratori che, con il loro sapere, le loro capacità e
le loro competenze, contribuiscono giorno dopo giorno alla
prosperità e al progresso in Svizzera. Per questo hanno bisogno di salari decenti, buone condizioni di lavoro e sicurezza sul posto di lavoro. Invece i lavoratori più anziani,
tra 50 e 65 anni d’età, vengono viepiù estromessi dal mercato del lavoro dalla manodopera più giovane e meno cara,
andando così a ingrossare le file della disoccupazione di
lunga durata, senza avere alcuna colpa. Questa situazione
è insostenibile.
Il Partito Socialista chiede l’introduzione di modelli di occupazione flessibili che i lavoratori possono adottare a titolo volontario (per esempio la riduzione del tempo di
lavoro, la rendita transitoria, l’età flessibile di pensionamento) e il rafforzamento della base finanziaria dell’assicurazione contro la disoccupazione e del lavoro ridotto, in
particolare per i lavoratori anziani. L’obiettivo è assicurare
un’entrata finanziaria che, a sua volta, stabilizzerà l’economia perché evita il crollo dei consumi.
Il lavoro ridotto deve tuttavia essere accompagnato da una
vera e propria offensiva in materia di formazione continua.
Di fatto, oggi l’assicurazione contro la disoccupazione non
copre numerose possibilità di formazione e formazione
continua. Questa situazione deve cambiare.
Il Partito Socialista chiede inoltre di rafforzare la protezione
dal licenziamento, che dovrà obbligatoriamente essere motivato. I termini di disdetta e i criteri secondo i quali un licenziamento può essere dichiarato nullo o abusivo devono
essere estesi sia nella legge sia nei contratti collettivi di lavoro. Un essere umano non è un mero fattore di costo e
non può essere licenziato senza validi motivi.
Un Cantone anormale con contratti «normali»
I Contratti normali di lavoro (CNL) sono uno strumento al
quale il Cantone intende ricorrere dopo le irregolarità riscontrate in varie realtà economiche. Il Ticino è il Cantone
che di gran lunga ha imposto più CNL della Svizzera: un
sintomo del fatto che il dumping salariale è un fenomeno
diffuso dalle nostre parti. Di fronte a queste misure di accompagnamento, i datori di lavoro continuano a dare
prova di ostracismo. Si pensi che l’AITI (Associazione industrie ticinesi) ha fatto ricorso contro un salario minimo
di 3’000 franchi imposto dal Consiglio di Stato. Perdendo
in modo umiliante.
Nel corso del 2015 in altri settori è stato accertato il dumping. L’Ufficio dell’ispettorato del lavoro, su incarico della
Commissione tripartita in materia di libera circolazione
delle persone, ha svolto un’inchiesta sul mercato del lavoro per la verifica delle condizioni salariali del personale
occupato nelle agenzie di viaggio. Da questi controlli sono
emersi diversi abusi. Il 36,5 per cento dei salari è risultato
troppo basso, per cui la Commissione tripartita ha deciso
di proporre al Consiglio di Stato l’adozione di un Contratto
normale di lavoro con salario minimo vincolante. Non
tutti sono d’accordo. Tra le imprese toccate da questa misura ci sarebbe anche la Bravofly, agenzia di viaggi on line
leader in Europa nella ricerca, nella comparazione dei
prezzi e nella prenotazione di voli e vacanze via Internet:
una società importante, dal 2014 quotata addirittura alla
Borsa di Zurigo. Il nuovo regime contrattuale, se confermato dal Governo, le imporrebbe di riconoscere come salario orario minimo di base l’importo di 19,65 franchi,
che, parametrizzato su un impiego al 100 per cento, si
traduce in poco più di 3’400 franchi lordi al mese. Questa
sarebbe ritenuta una cifra troppo elevata rispetto agli stipendi versati oggi a una parte del personale in forze all’impresa con sede a Chiasso, dove svariati dipendenti,
come riporta il «Corriere del Ticino», lavorerebbero per
meno. La società ritiene però di svolgere un’attività di natura diversa e molto più articolata rispetto a un’agenzia
di viaggio normale. Bravofly avrebbe quindi formulato
una protesta alla Commissione tripartita per non essere
assoggettata al CNL.
13
LAVORO
Generalizzare
i contratti collettivi di lavoro (CCL)
VA SEMPRE
di Franco Montale
LAVORO
14
Quali sono le principali caratteristiche della nostra economia?
Diciamo subito che il Ticino contribuisce
al Prodotto interno lordo svizzero «solo»
nella misura del 4%. Siamo quindi
un’economia piccola, il cui impatto nazionale resta ridotto. In termini di paragone, Zurigo contribuisce a oltre il 22%.
Questo dato ci porta a dire che, molto
probabilmente, c’è una differenza di
struttura economica tra il Ticino e un
Cantone che contribuisce quasi a un
quarto del benessere nazionale. E questa
differenza la riscontriamo nei numeri.
PEGGIO
In Ticino sta andando in scena una tragedia sui luoghi di lavoro. Il nostro Cantone
è sempre più una giungla di aziende che
si installano solo per sfruttare le maglie
larghe nei contratti e nelle leggi che permettono di retribuire salari da fame. Per
capire meglio il problema dei salari in Ticino, occorre analizzare da vicino il mercato del lavoro e la struttura
dell’economia ticinese. Per questo abbiamo chiesto aiuto ad Amalia Mirante,
economista, docente alla SUPSI e all’USI
nonché membra del Partito Socialista.
stificazione esaustiva. Ora, quello che è
avvenuto negli ultimi anni non ha fatto
che peggiorare la situazione. E i dati lo
testimoniano. Oggi abbiamo una fotografia ben più dettagliata che ci permette di scoprire che, tra il 2008 e il
2012, una buona parte dei salari nel
Canton Ticino è diminuita. Ciò è una
vergogna e va contro il buon funzionamento e le logiche di un’economia sana.
Il fatto che una buona parte delle persone che lavorano in Ticino ha visto i
suoi salari ridursi è un campanello d’allarme molto preoccupante.
Tutta colpa degli Accordi bilaterali?
Quali numeri?
Il 25% del benessere del Canton Ticino
è prodotto dal settore turismo, commercio e informazione, mentre un altro
25% dipende da attività industriali, produzione e costruzione. Metà dell’economia cantonale è quindi basata su questi
settori, che sono considerati a basso valore aggiunto e storicamente si sono
sempre affidati a una manodopera
frontaliera. In passato ciò non costituiva
un problema. Anzi, era quasi un vantaggio competitivo: alcuni settori della
nostra economia potevano attingere a
manodopera meno onerosa e produrre
quindi a un costo più basso.
Invece oggi…?
Il problema è che questa situazione è
andata sempre più generalizzandosi,
diventando così uno svantaggio. Le
aziende non sono più confrontate con la
necessità di investire, trovare alternative e sviluppare nuovi prodotti e tecnologie o nuove forme di organizzazione.
Ora, quando la percentuale di aziende
che viene qui in Ticino solo per la manodopera a buon mercato è bassa, lo
possiamo sopportare. Il problema, il rischio, è quando la quantità di queste attività diventa preponderante. E questo
è lo scenario attuale. Le aziende si insediano in Ticino solo per poter beneficiare di manodopera a basso costo e
vantaggi fiscali e burocratici e al contempo potersi fregiare del marchio
«Swiss Made». Tuttavia l’eccellenza
svizzera significa innovazione, sviluppo, investimento: esattamente quello
che stenta nel nostro Cantone. Così facendo siamo ormai la Cina della Svizzera, dove il 10% dei salari si situa sotto
i 3’106 franchi lordi. Per le donne si
scende a 2’760.
Sono dati scandalosi!
Sì, ma ce ne sono anche altri. In Ticino,
ad esempio, c’è una grande volatilità
nella creazione e distruzione di posti di
lavoro. Ciò significa che quando crei
posti di lavoro ne crei tanti, mentre
quando ne distruggi ne distruggi tanti.
Questi sbalzi riflettono un’instabilità del
mercato del lavoro. Un altro dato importante è confermato dall’ultimo monitoraggio
congiunturale
redatto
dall’Ufficio di statistica. In questo studio
si mette bene in evidenza come le recenti creazioni di posti di lavoro sono in
realtà creazioni di lavori a tempo parziale, a scapito di posti di lavoro a
tempo pieno. Ciò è un ulteriore peggioramento del mercato del lavoro, quindi
un altro dato che conferma che il mercato del lavoro ticinese soffre. E, non a
caso, quei settori su cui si basa la nostra
economia, cioè il commercio al dettaglio, l’industria, il turismo eccetera,
sono proprio quelli che soffrono.
E tutto ciò si ripercuote sui salari?
Certamente! Storicamente, in Ticino i
salari sono sempre stati più bassi: il salario mediano ticinese è infatti inferiore
del 16% rispetto al resto della Svizzera.
E il presunto costo della vita più basso
non può certo oggi essere più una giu-
I problemi che sono nati dall’applicazione degli Accordi bilaterali non sono
certo casuali. Già sulla carta si poteva
capire che l’entrata in vigore di questi
accordi avrebbe potuto avere delle conseguenze negative. Un’economia che
non protegge il suo tessuto, sottoposto
a una finta concorrenza, non funziona
più. Ed è quello che è successo al mercato del lavoro ticinese. La colpa è forse
quella di avere accettato questi accordi
senza le necessarie garanzie per quanto
concerne le distorsioni che avrebbero
creato nel mondo del lavoratori, come
il peggioramento generalizzato delle
condizioni di lavoro e l’aumento del
dumping salariale.
Anche il Partito Socialista in Ticino ha
fatto la propria riflessione: il sostegno
ai Bilaterali da parte del Partito sarà
legato all’introduzione di misure interne incisive per combattere gli effetti perversi sul mercato del lavoro.
Quali misure ci vogliono?
Occorre prima di tutto riallacciare il
dialogo tra tutte le parti sociali. Poi, naturalmente, ci vogliono più controlli, più
addetti alla sorveglianza del mercato
del lavoro, più sanzioni. Purtroppo le
recenti, scandalose decisioni della Confederazione di rinunciare alle misure
proposte dal Ticino non sembrano andare in questo senso. Ancora una volta,
sembra che a Berna non ci si renda
conto della realtà ticinese. Anche se la
SECO, per la prima volta, ha affermato
che, con la crisi europea, alcuni Cantoni
di frontiera stanno cominciando a pa-
gare il prezzo sul mercato del lavoro. E
questo peggioramento non concerne
solo i salari, ma anche le condizioni generali di lavoro: lavori su chiamata, lavori precari, aumento dei turni
eccetera.
L’esito della votazione per il salario
minimo, per la quale ti sei molto impegnata, sembra dimostrare che finalmente la gente ha capito la gravità
della situazione. Come spieghi questa
approvazione?
15
LAVORO
Io credo che proprio il peggioramento
della situazione, o perlomeno la sua
percezione, ha fatto capire ai Ticinesi
che così non si può più andare avanti. I
dati citati poc’anzi lo dimostrano e la
deriva dei salari non è più percepita
solo come uno slogan. In questo senso,
il fatto che attorno all’iniziativa ci fosse
un consenso trasversale ha sicuramente
giocato a favore.
E adesso? Non c’è il rischio, come viene
detto dall’area sindacale, che si benediranno dei salari minimi troppo minimi?
L’iniziativa àncora di fatto il principio del
salario minimo nella Costituzione. Decidere come ciò debba avvenire ed essere
applicato sarà compito del Consiglio di
Stato, che porterà la sua proposta davanti al Gran Consiglio. È importante che
si cerchi una situazione concordata tra le
parti. Per evitare l’impasse che si è
creata in altri Cantoni, dove alcune associazioni hanno fatto ricorso, il Governo
dovrà fare un grande lavoro con le associazioni di categoria e i sindacati. A mio
modo di vedere il salario minimo dovrebbe essere di circa 20 franchi all’ora:
questa soglia mi sembra ragionevole, soprattutto se osserviamo le paghe in vigore in alcuni settori.
Non temi che le aziende, sostenute
dalle varie associazioni para-partitiche
liberali come la Camera di commercio,
l’AITI eccetera, diranno che questo salario non possono permetterselo?
Sarò categorica: abbiamo bisogno di
queste industrie? Se non hanno questa
capacità salariale non daranno grossi
contributi, in termini finanziari, formativi o di filiera alla nostra economia cantonale. Mi chiedo quindi: posti di lavoro
a ogni costo? Naturalmente questo non
significa volere distruggere un’industria
sana. In alcuni casi il progresso verso
dei salari dignitosi può anche essere accompagnato con un sostegno a quelle
imprese che oggi non potrebbero versare tali salari ma che, con alcuni accorgimenti, potrebbero in futuro
adeguarsi. Questo sarebbe anche uno
stimolo a rivedere i processi produttivi
e a innovare per riuscire a competere a
queste nuove condizioni.
CHI È
Amalia Mirante ha 37 anni. Ha conseguito il
dottorato di ricerca in scienze economiche all’Università della Svizzera italiana con una tesi intitolata «L’interdisciplinarietà della teoria
economica. I principi filosofici, politici ed etici».
Attualmente è docente
di macroeconomia e di
etica economica alla
SUPSI e post-doc all’USI.
SERVONO PIÙ
di Nestor Buratti
LAVORO
16
Nel 2014 il popolo svizzero ha bocciato
l’iniziativa dei sindacati sui salari minimi. Nel frattempo, come è evoluta la
situazione salariale in Svizzera?
Malgrado la bocciatura dell’iniziativa proposta dall’USS, le discussioni generate
dalla votazione hanno portato a un aumento dei salari in diversi settori. Questo
aumento concerne soprattutto i bassi salari, la cui progressione è paragonabile a
quella constatata per i salari medi. Tuttavia,
malgrado i segnali positivi per certi settori
a salari generalmente bassi, in alcuni
altri settori e in alcune regioni la situazione
resta difficile e si constatano casi di diminuzione dei salari. Aggiungo inoltre che i
salari più elevati sono aumentati maggiormente rispetto agli altri, a causa dell’introduzione del sistema dei bonus.
Quali sono i settori più toccati dal dumping salariale?
Si tratta soprattutto di branche che non
sono sottoposte ai salari minimi stabiliti
da convenzioni collettive di lavoro. Posso
citare ad esempio il settore dei paesaggisti,
del commercio al dettaglio o della salute
e dell’azione sociale. Anche l’informatica
è un settore problematico: i salari d’ingaggio dei titolari di un permesso di soggiorno o dei frontalieri sono diminuiti
mentre l’impiego di queste persone è aumentato.
In che modo l’assenza di un salario minimo e di una convenzione collettiva
favoriscono gli abusi?
In assenza di salari minimi, i padroni
che esercitano queste pressioni al ribasso
sui salari non ricevono nessuna sanzione.
Le organizzazioni padronali di questi settori devono essere pronte a concludere
delle convenzioni collettive di lavoro che
prevedano dei buoni salari minimi. Nei
settori che ho menzionato poc’anzi siamo
di fronte a un padronato ben organizzato,
che potrebbe firmare queste convenzioni.
Ma per ora le federazioni di questi settori
oppongono una certa resistenza. Il padronato deve assumersi le proprie responsabilità e negoziare dei contratti collettivi.
CONTROLLI
L’ultimo rapporto sulla libera circolazione
mostra chiaramente che esiste una pressione sui salari e sulle condizioni di lavoro
in alcune regioni della Svizzera. Il Ticino
è la regione più colpita da questa situazione. Cosa ne pensano i sindacati nazionali? Lo abbiamo chiesto a Daniel
Lampard, primo segretario ed economista
capo dell’Unione sindacale svizzera (USS).
Tuttavia gli abusi si constatano anche
nei settori «protetti» da un CCL. Penso
ad esempio alle costruzioni.
Nei settori che sono sottoposti a dei CCL i
datori di lavoro che versano dei salari
troppo bassi possono incorrere in sanzioni:
si può obbligare a pagare una multa corrispondente almeno al valore del salario
che non è stato versato e in più certe amministrazioni cantonali possono infliggere
delle sanzioni addizionali. In seguito ai
nostri controlli riscontriamo però frequentemente degli abusi. Ci sono imprese
quasi criminali che tentano di sottrarsi a
questi salari minimi per mezzo di contratti
di lavoro e/o conteggi orari falsificati, di
fallimenti abusivi o chiedendo addirittura
agli impiegati di restituire una parte del
proprio salario. In particolare questo è il
caso nelle costruzioni.
Come evitare tutto ciò?
Per mettere fine a queste situazioni, i
controllori devono poter ordinare un’interruzione dei cantieri, perlomeno nei
casi più gravi. È il solo modo per costringere a cooperare le imprese che praticano
il dumping. Inoltre ci vogliono dei registri
professionali dove figurano le imprese
virtuose e le pecore nere. Così chi appalta
un lavoro, soprattutto se si tratta dell’ente
pubblico, sa a chi affida la realizzazione
della propria opera. A Ginevra è già in
vigore un sistema di questo tipo.
Perciò i controlli sono sufficienti?
Una tale situazione impone di essere più
vigili. I Cantoni e le commissioni paritetiche
devono sicuramente effettuare più controlli.
Il Ticino, così come Ginevra e i Cantoni
della Svizzera centrale, è già stato autorizzato dalla SECO e ha ricevuto ulteriori
sussidi per effettuare dei controlli sup-
plementari. Le altri regioni di frontiera
dovrebbero prendere rapidamente l’esempio. Oggi un datore di lavoro svizzero di
Turgovia o di San Gallo viene controllato
in media una volta ogni 50 anni. In caso
di dumping bisogna emettere sistematicamente dei salari minimi, come prevede
il Codice delle obbligazioni.
La situazione del Ticino è particolarmente grave. Secondo lei, alla SECO
sono coscienti della situazione?
Nelle regioni di frontiera constatiamo una
pressione maggiore sui salari. Il rapporto
Cosa dovrebbero fare gli organi competenti ticinesi?
È necessario rinforzare le misure di accompagnamento e le competenze dei controllori, ad esempio poter bloccare i cantieri. Il Ticino ha chiesto alla SECO di
potere aumentare i controlli, ciò che è
stato accettato: ora c’è qualche mezzo in
più in questo senso. Tuttavia è anche importante aumentare il numero delle convenzioni collettive per essere capaci di
sanzionare i padroni che non pagano dei
salari equi.
Il Ticino ha accettato un’iniziativa sui
salari minimi. I sindacati non erano
entusiasti, tanto che hanno concesso
libertà di voto. Come considera l’accettazione di questa iniziativa?
Tutto dipende da come si applicherà tale
misura. Si deve attendere la decisione
del Tribunale federale per quanto concerne
il caso di Neuchâtel, che voleva introdurre
un salario minimo di 20,90 franchi l’ora.
Se la decisione del Tribunale Federale
sarà favorevole, la porta sarà aperta per
l’introduzione di un salario minimo abbastanza interessante, quindi di almeno
20 franchi. Ciò potrebbe migliorare la
protezione dei salari in Svizzera e in Ticino.
non dipende dalla libera circolazione. E
oggi, rispetto al passato, si dispone di
migliori strumenti per poter intervenire,
anche se questi strumenti, come detto,
andrebbero ulteriormente rafforzati e applicati in maniera più severa.
L’USS comprende lo scetticismo della
sua sezione ticinese e moesana verso
gli Accordi bilaterali?
La reazione delle imprese è avvenuta
molto rapidamente: una gran parte di
esse ha aumentato le ore di lavoro senza
aumentare i salari. Ciò ha causato anche
degli scioperi sindacali, come è stato il
caso in Ticino, che hanno permesso di
far sì che le imprese ritornassero a pagare
dei salari svizzeri. È stato un grande successo sindacale. Tuttavia la pressione sui
lavoratori resta presente. La disoccupazione è aumentata in Svizzera, soprattutto
nell’industria, con 800 posti in meno, nel
commercio al dettaglio, dove si sono persi
2’000 posti, e nella ristorazione, con altri
2’000 posti perduti.
Comprendo i timori che sono formulati
rispetto alla pressione sui salari. Ma la
fonte di questa pressione è la crisi del
mercato del lavoro in Italia. Se facciamo
un confronto con gli Anni Novanta, quindi
senza libera circolazione e senza misure
di accompagnamento, in Ticino si avevano
meno mezzi per contrastare la pressione.
Oggi ci sono molti più controlli sui cantieri
e nelle imprese rispetto a quell’epoca.
Per me la causa dei problemi è soprattutto
la pressione economica dell’Italia, che
Tra le misure che hanno colpito il mercato del lavoro c’è anche la decisione
della Banca nazionale di levare il cambio
fisso franco/euro. A più di sei mesi di
distanza, qual è la situazione?
Come valuta quindi la scelta della BNS?
Fino al 2009 la Banca nazionale aveva
avuto una politica intelligente per quanto
concerne il tasso di cambio. Storicamente
si controllava il franco svizzero rispetto
al marco tedesco. Poi, a partire dall’introduzione dell’euro, hanno abbassato i
tassi d’interesse e il franco si è deprezzato
rispetto all’euro. Purtroppo a fine 2009 il
franco si è apprezzato rispetto all’euro e
la BNS ha tollerato questa situazione fino
all’introduzione del cambio fisso. Per noi
è importante che la Banca nazionale applichi di nuovo questa strategia intelligente
e ritorni a controllare il franco rispetto
alle altre valute, in particolare l’euro.
Questo per garantire l’occupazione e il livello dei nostri salari: se il franco resta
così forte, ci saranno delle gravi conseguenze per l’industria, il commercio al
dettaglio e la ristorazione.
CHI È
Daniel Lampard ha ottenuto una licenza in filosofia, germanistica e storia economica all’Università di Zurigo. Dopo gli studi in economia
politica all’Università di San Gallo, ha ottenuto un
dottorato in storia economica presso l’Università
di Zurigo. Nel 2007 è diventato economista capo
dell’USS e dal 2011 ha assunto l’incarico di primo
segretario. Daniel Lampard rappresenta l’USS nel
Consiglio di banca della
Banca nazionale svizzera, nella Commissione federale della
concorrenza e in altre
commissioni federali.
17
LAVORO
dell’Osservatorio sulla libera circolazione
lo mostra chiaramente. L’evoluzione dei
salari delle frontaliere e dei frontalieri è
particolarmente grave, soprattutto in Ticino. Dei rappresentanti della SECO hanno
fatto più volte visita a Sud delle Alpi,
dove i sindacati hanno potuto spiegare la
situazione.
LACUNE
di Franco Montale
LAVORO
18
Ancora quest’anno, il Consiglio federale ha rinunciato a un effettivo potenziamento
delle
misure
di
accompagnamento, limitandosi a un
inasprimento delle sanzioni senza però
agevolare l’introduzione dei contratti
collettivi di lavoro. Una scelta sconsiderata, timida e tardiva, da imputare
all’accordo creatosi tra i partiti borghesi e l’UDC. Questi ultimi, sostenuti
dai vari padronati, hanno fucilato qualsiasi miglioramento a tutela dei salari
nell’ambito della procedura di consultazione sulla Legge federale sull’ottimizzazione delle misure collaterali alla
libera circolazione delle persone.
L’UDC ha definito «totalmente inopportuna» l’idea di aumentare le multe e le
misure di accompagnamento: l’atteggiamento tipico di chi, a parole, critica
tutto e tutti, ma poi è assente quando
si tratta di varare delle misure concrete a favore dell’economia nazionale.
Il contesto giuridico svizzero resta
quindi lacunoso: il diritto del lavoro
non conosce una definizione abbastanza estesa delle norme a tutela dei
salari. Infatti la legislazione non contempla un salario minimo legale, che
sarebbe lo standard minimo per uno
dei fattori fondamentali di una società
che è fondata sul lavoro dei suoi membri. Le nostre leggi conoscono standard minimi ambientali, a tutela dei
consumatori, a tutela della sicurezza
nelle sue varie declinazioni, ma non
conoscono una definizione del limite
inferiore alla remunerazione del lavoro
umano in relazione al potere d’acquisto dei lavoratori. Ma non è tutto. Alla
mancanza di un salario minimo legale,
elemento importantissimo ma comunque da considerarsi uno standard minimo, si affiancano lacune enormi
nella definizione dei piani salariali dei
lavoratori, quindi delle regole inerenti
all’evoluzione dei salari durante la vita
professionale dei cittadini. Il sistema
della contrattazione tra le parti sociali,
che porta alla conclusione di contratti
collettivi di lavoro o di documenti analoghi, non tutela oggi la maggioranza
dei lavoratori e soprattutto contiene
LEGISLATIVE
Le forze politiche di Centro e di Destra
insistono nell’affermare che gli effetti
della libera circolazione sono dovuti alle
relazioni internazionali con l’Unione europea. Allo stesso tempo, però, queste
forze politiche sono le stesse che bloccano i miglioramenti del diritto interno
alle misure di accompagnamento.
solo in parte le norme che definiscono
l’evoluzione dei salari. Inoltre i rapporti di forza tra i partner sociali sono
sempre meno equilibrati: di fronte ai
sindacalisti c’è un padronato forte,
sensibile solo ai propri interessi e intriso di ideologia neoliberista.
Le modifiche al Codice delle obbligazioni sui contratti normali con salari
minimi e le agevolazioni in tema di obbligatorietà delle convenzioni collettive
di lavoro in caso di dumping finora
non hanno fornito tutele sufficienti.
Inoltre non è stato possibile rafforzare
queste misure strada facendo a causa
delle opposizioni incrociate della Destra nazionalista e delle forze borghesi
di Centro destra. Questi partiti sono
pronti a bastonare tutte quelle misure
che vanno a intaccare la «flessibilità»
del mercato del lavoro.
Superfluo dire che il PS non ci sta e ritiene che una gestione corretta del
mercato del lavoro e la protezione dei
salari necessita di alcuni fondamentali
provvedimenti di diritto interno.
Anzitutto che i salari siano pagati in
franchi svizzeri. Il principio secondo
cui il salario dev’essere pagato nella
moneta nazionale sembra semplice e
logico, ma va ancorato nel Codice delle
obbligazioni. Questo principio evita
che il rischio o il vantaggio di cambio
possa essere messo alternativamente
sulle spalle dei lavoratori e dei datori
di lavoro, a dipendenza della convenienza del momento.
Poi ci vogliono salari minimi facilitati e
collegati al costo della vita. Le norme
che permettono ai Cantoni di definire
dei salari legali devono essere rafforzate e semplificate, quelle che portano
alla conclusione di convenzioni collettive che prevedono norme salariali devono essere rafforzate. I salari minimi
devono essere adeguati al costo della
vita in Svizzera e quindi devono considerare non solo i salari d’uso, ma
anche il livello dei costi fissi di una
normale economia domestica, come
fanno le norme sociali per quanto riguarda le prestazioni finanziarie ai cittadini. In quest’ambito sarebbe utile
una definizione restrittiva per i contratti di tirocinio con apprendisti domiciliati all’estero: il contratto di tirocinio
non può essere una scappatoia per far
lavorare le persone in cerca d’impiego,
con salari immaginati per il contesto
formativo.
I contratti collettivi di lavoro sono uno
strumento prezioso per la protezione
delle lavoratrici e del lavoratori. Ma
non sempre sono facili da introdurre.
Per questo devono essere agevolati il
più possibile. È necessario pure rafforzare la protezione dai licenziamenti in
caso di dumping. Inoltre le norme sul
lavoro interinale vanno ristrette, per
ridurre il precariato dei lavoratori nel
nostro Paese. E per il lavoro su chiamata va creata una regolamentazione
che eviti una pressione sulle condizioni
di lavoro.
Infine c’è la casa: uno dei fattori che
più incide sul livello del salario e condiziona anche la definizione dei salari
minimi. Il livello delle pigioni attuale è
molto elevato se confrontato con il livello del costo del denaro e il loro ammontare deve poter essere ridotto a
seguito di un controllo semplificato
della redditività ottenuta dal locatore,
oggi di solito molto elevata.
Queste sono tutte proposte che il Partito Socialista ha presentato più volte a
livello cantonale e federale, ma che
sono sempre state bocciate dalle forze
di Centro e di Destra. Ecco perché devono essere la conditio sine qua non
per ottenere l’appoggio dei Socialisti
alla continuazione della via bilaterale:
per difendere i salari, per difendere il
potere d’acquisto delle lavoratrici e dei
lavoratori.
Predicare bene, razzolare male:
il caso di Roberta Pantani
Conferenza cantonale:
il PS si confronta
È la prima domenica d’estate. È mattino e fa già caldo, molto caldo. C’è chi
sogna i lidi lacustri, chi le montagne. E il PS cosa fa? Organizza una Conferenza cantonale dedicata al mercato del lavoro, alla libera circolazione, alle
misure di accompagnamento. «Ma chi ce lo fa fare?», ci si chiederà. Però,
dopo le elezioni cantonali, il tema della libera circolazione e del dumping salariale ha suscitato molte discussioni all’interno del Partito. Per questo si è
deciso di affrontarlo, fosse anche in una domenica quasi estiva. Un fatto importante, da non sottovalutare: significa che il Partito ci tiene, si confronta, si
impegna per trovare soluzioni possibili alla deriva che sta andando in scena
sui posti di lavoro.
Il risultato della Conferenza? Dopo le presentazioni degli ospiti e le prese di
posizione, i delegati presenti hanno approvato le modifiche proposte dalla Direzione: il sostegno ai Bilaterali da ora in poi sarà legato all’introduzione di
misure interne incisive a difesa dei lavoratori.
19
LAVORO
Predicare a difesa dell’economia locale, contro
gli «invasori» italiani e a favore dei Ticinesi.
Poi però, nella pratica, agire all’opposto,
favorendo di fatto il fenomeno del dumping salariale e il peggioramento delle
condizioni di lavoro. Tutto per il tornaconto personale. Ma in violazione delle norme.
Un bell’esempio è quello
che coinvolge la ditta Costruzione pavimenti e asfalti
(Cpa) di Lugano. Che l’anno
scorso è stata sanzionata con
10 mila franchi di multa e con
l’esclusione dai lavori pubblici
per tre mesi. Il motivo? Gravi violazioni della legge sulle commesse pubbliche, ossia subappalto non autorizzato dal
committente in un lavoro pubblico. L’episodio
era avvenuto a Carasso, nell’ambito dei lavori per l’acquedotto comunale, il cui committente era l’Azienda municipalizzata di
Bellinzona. Gli ispettori cantonali avevano
verificato che l’opera era stata eseguita da
una ditta italiana che aveva ricevuto il mandato da un’impresa di Balerna a cui la Cpa aveva a sua
volta affidato il lavoro vinto nel concorso pubblico d’appalto. Concorso pubblico per il quale il subappalto è vietato. Ma non è tutto:
come riferito dai media, è risultato che il granito impiegato, anziché essere di
provenienza locale, arrivava dal Portogallo attraverso l’Italia.
All’epoca dei fatti, l’amministratrice unica della Cpa era la consigliera nazionale leghista, nonché municipale di Chiasso, Roberta Pantani. Sì, proprio lei,
sedicente paladina dei Ticinesi. Proprio lei che, ironia della sorte, qualche
mese dopo depositerà una mozione in cui chiede al Consiglio federale se verrà
data la priorità alle aziende svizzere per gli appalti e gli acquisti pubblici della
Confederazione. Un bell’applauso alla coerenza.
MERCATO DEL LAVORO: LA CURA
IMPOSSIBILE
di Raoul Ghisletta, candidato del PS al Consiglio nazionale
LAVORO
20
Riduzione salariale in Ticino
«La riduzione dei salari in Ticino esiste.
Il legame con la libera circolazione appare evidente. L’arretramento dei salari
nelle categorie medio-basse è statisticamente rilevante da quando è in vigore
la possibilità per il padronato di assumere a salari inferiori del personale di
oltre frontiera attraverso lo strumento
della libera circolazione delle persone.
La mercificazione delle persone, con la
libera circolazione della merce salarioforza lavoro, sta generando una spinta
la ribasso dei salari mediani (quindi generali) nelle posizioni gerarchiche
medio basse del Cantone.» L’analisi dell’Unione sindacale ticinese è chiara.
Sono le donne a subire il colpo maggiore. Sono svalutati pure i salari dei
detentori di titoli universitari, brevetti
d’insegnamento e maturità. La posizione salariale del Ticino in Svizzera
peggiora. Le qualifiche dei frontalieri
sono solo parzialmente riconosciute
dalle aziende. La sostituzione di lavoratori residenti con lavoratori frontalieri
sottopagati e precari ha toccato quasi
10’000 persone. Per cambiare le cose si
dovrebbe varare uno statuto del lavoratore all’avanguardia in Europa, partendo da leggi svizzere minimaliste. La
maggioranza del PS Ticino, alla recente
Conferenza cantonale sui Bilaterali, ha
però rifiutato di entrare in materia su
20 proposte concrete, che potrebbero
rendere forse umana la libera circolazione delle persone in Ticino. Meglio attenersi alla vuota retorica e cambiare
qualche frase nel programma, in attesa
di un miracolo? Così tuttavia il PS Ticino non andrà lontano.
Il cannocchiale di Berna
Il rapporto del Segretariato di Stato
dell’economia sulle (insufficienti) misure
d’accompagnamento (5.5.15) indica una
crescita del dumping salariale in Svizzera, con importanti percentuali di in-
Paghe di 9 fr all’ora nei cantieri delle
strade nazionali a Mendrisio? Oltre che
dall’attualità il degrado del mercato del
lavoro è documentato dall’Unione sindacale ticinese nello studio «No al Dumping. Analisi del Mercato del lavoro in
Ticino e ipotesi operative» (17.6.15) e
da due altri recenti rapporti federali.
Come riprendere il controllo di un mercato del lavoro impazzito, senza congelare la libera circolazione delle persone?
Difficile, perlomeno in Ticino.
frazioni nei settori coperti da contratti
collettivi di lavoro estesi (nel 2015 quasi
il 30 per cento delle imprese controllate
non le rispettava, mentre nel 2013 era
il 30 per cento). I settori critici sono l’orticultura, i servizi sociosanitari/servizi
domestici, il commercio e l’informatica.
Il mancato rispetto dei minimi salariali
riguarda per il 30 per cento le imprese
e i lavoratori distaccati.
Distaccati sfruttati
e concorrenza sleale
L’undicesimo rapporto dell’Osservatorio
sulla libera circolazione delle persone
tra Svizzera e Unione europea (23.6.15)
indica come i residenti fino a 90 giorni
(12’000 unità a tempo pieno nel 2005,
diventate 27’000 nel 2014!) hanno un
salario mediano di ben il 24 per cento
inferiore rispetto a quello globale. Un
dato del 2012 che non considera i casi
di retrocessioni salariali alla ditta
estera, una volta che il lavoratore distaccato è rientrato in patria
(non ha scelta, se
vuole
continuare a lavorarci). Il lavoro
distaccato mina
pesantemente i lavoratori residenti e le
imprese
indigene
socialmente corrette. Va adottato un
blocco immediato della circolazione in
questo ambito, perlomeno in Ticino,
perché qui si violano sistematicamente
le regole di base dei Bilaterali!
Frontalieri, disoccupati
e penalizzati
Secondo l’Osservatorio lo scarto salariale tra frontalieri e lavoratori residenti
è aumentato: in Ticino è raddoppiato
dal 2000 al 2012 (dal 5,6 per cento al
11,9 per cento). Questo scarto non considera ovviamente il caporalato o il
mancato riconoscimento delle reali
qualifiche da parte di datori di lavoro.
Colpisce anche la percentuale di persone in età attiva senza impiego: in Ticino e in Romandia tra il 2009 e il 2014
è passata dal 3,5 per cento al 6 per
cento (CH: dal 3 per cento al 4,3 per
cento). Infine il rapporto segnala studi
economici sulle categorie penalizzate
dalla libera circolazione, sia in termini
di effetto sostituzione, sia in termini di
riduzione dei salari dei neoassunti: i
giovani con un diploma terziario e le
persone meno qualificate escono con le
ossa rotte. Il PS deve tirare fuori gli artigli di fronte al rifiuto dei borghesi e
del padronato di rafforzare le misure di accompagnamento! O
questi ultimi cambiano
idea o saltano i Bilaterali!
LAVORO
21
Ma il salario no
In questo Paese c’è uno standard minimo garantito per qualsiasi cosa: dai
ristoranti agli ospedali, dai trasporti
alle scuole, dall’ambiente alla sicurezza fino ai prodotti di consumo, lo
Stato vigila affinché il cittadino/
utente/consumatore goda di una qualità minima, al di sotto della quale non
si può scendere. Roba da Paese civile.
Ma il salario no. Il salario è in balìa del
libero mercato, senza limiti verso il
basso. In un settore dove non ci sono
contratti collettivi o normali, se io voglio assumere una persona per 10
franchi l’ora e trovo un povero disgraziato disposto ad accettare, posso farlo:
firmo io, firma lui, vale tutto. E, con la
fame di lavoro che c’è, succede spesso.
Roba da Paese incivile.
M.C.
LA SVOLTA
di Nestor Buratti
CHE DISTURBA
AMBIENTE
22
I pilastri dell’argomentazione dei contrari alla svolta sono due: opposizione
alle energie alternative e adesione al
nucleare. Malgrado la loro efficacia non
debba più essere dimostrata, le energie
rinnovabili sono ancora oggi considerate tecnicamente non all’altezza e
troppo care. Inoltre, sempre secondo i
fautori dello status quo, queste energie
distorcono la legge del mercato poiché
il loro sviluppo dipende dall’intervento
della mano pubblica tramite sussidi. La
Germania, Paese che ha fortemente
sovvenzionato le energie rinnovabili, è
citata a mo’ di esempio: la sovrapproduzione di energia alternativa (sussidiata) tedesca è considerata «la» causa
della diminuzione dei prezzi di mercato
dell’energia. E quindi dei profitti delle
aziende elvetiche. Quello che non viene
detto è che la crisi che sta attraversando il settore elettrico svizzero è dovuta alla mancanza di lungimiranza e
a un modello sbagliato, da un punto di
vista sia ecologico sia economico.
Così non va!
Per tradizione la forza dell’industria
elettrica svizzera era l’energia idroelettrica di punta (cioè quella prodotta nei
momenti di maggior consumo), grazie
alla quale fin verso il 2010 i produttori
elvetici hanno guadagnato miliardi di
franchi. La domanda era alta e l’energia prodotta grazie alle dighe la si poteva vendere a prezzi elevati ai vicini
europei. Una vera e propria manna: tra
il 1999 e il 2009 i benefici delle società
elvetiche sono passati da 670 milioni a
5,62 miliardi di franchi. Per gli azionisti, in gran parte collettività pubbliche
(Cantoni o Comuni), ciò ha significato
dividendi eccezionali.
Da qualche anno però la festa è finita e
le aziende elettriche sono entrate in un
vortice di crisi. Inoltre la svolta energetica che presuppone l’uscita dal nucleare mette in discussione il core
business dei tre principali operatori elvetici: Axpo, BKW e Alpiq. Quest’ultima, numero 1 del settore, è l’esempio
più tragico. In seguito a una grave crisi,
la società ha dovuto intervenire con misure drastiche: tagli del personale, vendita di partecipazioni, abbandono degli
Uscita dal nucleare, energie rinnovabili e
riduzione dei consumi: bello, ma non per
tutti. La svolta energetica mette in discussione gli interessi di chi per anni ha
dominato il settore. Per questo, le grosse
società elettriche, pubbliche o semi-pubbliche, si oppongono al cambiamento di
paradigma. Con il sostegno della Destra
e delle associazioni economiche.
investimenti eccetera. Ma la crisi di
Alpiq, che appartiene per il 2,12%
anche alle Aziende industriali di Lu-
gano (AIL), riflette quello delle grosse
imprese energetiche svizzere, il cui modello d’affari, troppo basato sul nucleare e sulla produzione centralizzata,
è oggi messo in discussione.
Ma di chi è la colpa? Non certo delle
energie rinnovabili, quanto piuttosto
della mancanza di lungimiranza di chi
non ha saputo prevenire l’ascesa della
questione ambientale e, in periodi di
vacche grasse, ha investito nella direzione sbagliata. Infatti a partire dal
2007, invece di lanciarsi nel rinnovabile, diversi gruppi svizzeri si sono but-
Un’uscita rapida e definitiva dal
nucleare per un futuro energetico
rinnovabile e di successo
Secondo il Partito Socialista, la Svizzera deve liberarsi rapidamente dalla
dipendenza dall’energia nucleare. La catastrofe di Fukushima ha sottolineato ancora una volta l’urgenza del passaggio a fonti energetiche rinnovabili. Considerata la pericolosità delle centrali nucleari, è essenziale
limitare la loro durata di vita a 50 anni e chiudere immediatamente le tre
centrali nucleari più vecchie del nostro Paese. All’inizio del XXI secolo abbiamo finalmente la possibilità di realizzare questa svolta energetica e di
liberarci da una dipendenza fatale, in particolare per il clima. L’avvio di una
nuova era energetica rinnovabile creerà inoltre migliaia di posti di lavoro
sicuri e interessanti. Per realizzare quest’obiettivo occorre accelerare lo sviluppo delle energie rinnovabili per coprire il nostro consumo di elettricità
fino al 2035 e ridurre il nostro spreco di energia fossile dell’80 per cento
entro il 2050.
Il mercato è sfasato?
Si è detto che le energie rinnovabili
sono criticate dai gruppi perché beneficiano di sovvenzioni pubbliche. In sostanza, si sente dire, distorcono il
mercato. Tuttavia i detrattori dei sussidi energetici (e fautori del nucleare)
non esitano a beneficiare dell’aiuto
pubblico. Il Consiglio nazionale ha previsto di mettere a disposizione 600 milioni per aiutare la costruzione di nuove
centrali idroelettriche. Ma non basta: il
settore pretende aiuti anche in favore
delle centrali già esistenti. Questo per
quanto concerne l’idroelettrico. Per il
nucleare il discorso è ancora più contraddittorio. Nel 2013 la Fondazione
svizzera per l’energia ha calcolato il
costo reale del kilowattora nucleare. Un
costo che i proprietari delle quattro
centrali elvetiche pretendono essere di
5 centesimi al chilowattora. Ma, se alla
produzione di energia aggiungessimo
anche i costi di smantellamento, lo
stoccaggio delle scorie e la responsabilità civile assunta dalla Confederazione,
il costo dell’energia nucleare ammonterebbe ad almeno 31 centesimi. In soldoni, fanno 7,5 miliardi all’anno in più!
Mancanza di lungimiranza
Insomma, le società elvetiche non
hanno saputo prevedere le esigenze legate allo sviluppo sostenibile. Quando
la sfida climatica ed energetica è
emersa in tutta la sua drammaticità
(cambiamento climatico, Fukushima
eccetera) il settore energetico si è dimostrato impreparato. E non si tratta soltanto del cambiamento strutturale
necessario per promuovere le energie
rinnovabili e rimpiazzare il nucleare. Il
modello che va sviluppato dovrebbe infatti valorizzare la decentralizzazione
della produzione, la gestione intelligente della distribuzione e un consumo
controllato. L’esatto contrario di quanto
fatto finora dall’oligarchia energetica
nazionale che, per vendere di più, ha
favorito i consumi tramite tariffe attrattive. Una politica che ha favorito lo
spreco e che è in contrasto con la svolta
energetica. Ma che la Destra, in particolare l’UDC e il PLR, vogliono continuare a sostenere. Basta vedere la
posizione della Commissione energia
del Consiglio degli Stati, che si oppone
a ogni sistema inteso a incentivare l’efficacia e la diminuzione dei consumi.
Una reticenza che fa ipotizzare come
gli interessi del settore contino di più
della sostenibilità del nostro futuro
energetico.
L’opposizione alla svolta energetica e il
disinteresse verso le problematiche
ambientali è insostenibile anche da un
punto di vista economico. Diverse analisi obiettive mostrano che la preoccupazione per l’ambiente può coniugarsi
con gli interessi economici grazie
anche alla creazione di impieghi nella
tecnica di costruzione o nella gestione
intelligente della rete.
Che le associazioni economiche (USAM
o Economiesuisse), con l’appoggio dei
parlamentari di Destra, continuino con
forza a combattere la strategia energetica 2050 la dice lunga sulla visione in
prospettiva dei capitani della nostra
economia.
Salvaguardiamo il territorio e la
qualità di vita del nostro Cantone:
No al raddoppio del Gottardo
L’aumento degli insediamenti sul fondovalle, la carenza di un’adeguata pianificazione delle zone industriali e commerciali, lo smantellamento del servizio pubblico e l’aumento del traffico motorizzato minano la qualità di vita
e l’ambiente del nostro Cantone. Ecco perché per il Partito Socialista l’iniziativa popolare «Spazi verdi», che ha raccolto oltre 14 mila firme, e il referendum contro il raddoppio del Gottardo, che pure è stato sostenuto da
moltissimi Ticinesi, sono due tappe fondamentali per uno sviluppo sostenibile
del nostro Cantone, a salvaguardia del territorio nell’interesse della popolazione e delle future generazioni.
Concretamente il PS intende
• opporsi attivamente al raddoppio del Gottardo e impegnarsi per il raggiungimento degli obiettivi decisi dal popolo con l’articolo costituzionale sulla
protezione delle Alpi, in particolar modo per il trasferimento delle merci
su rotaia,
• rafforzare le linee di trasporto pubblico nelle zone periferiche, minacciate
da forti tagli finanziari,
• impegnarsi attivamente per il mantenimento della linea ferroviaria di montagna del Gottardo come mezzo di trasporto per pendolari e a scopo turistico e per un adeguato allacciamento dell’alto Ticino alla linea veloce di
AlpTransit,
• migliorare la pianificazione del territorio per salvaguardare il paesaggio, il
terreno agricolo, gli spazi verdi di fondovalle e permettere la creazione di
spazi di vita di qualità nei centri urbani.
23
AMBIENTE
tati a capofitto nella costruzione di centrali a gas e a carbone all’estero, soprattutto in Italia e in Germania.
Investimenti enormi, giustificati brandendo lo spettro della penuria energetica. Previsione errata: oggi l’offerta è
abbondante e i prezzi dell’energia sono
quindi diminuiti. Perciò gli investimenti
nel carbone si sono rivelati disastrosi:
diversi progetti sono stati abbandonati
(con grossi costi di progettazione buttati al vento), mentre gli impianti portati a termine si vedono costretti a
vendere elettricità a prezzi minori rispetto al costo di produzione. Per maggiori informazioni, chiedere all’Azienda
elettrica ticinese (AET) a proposito
della redditività della centrale a carbone di Lünen.
PER UN FUTURO
di Franco Montale
AMBIENTE
24
RINNOVABILE
Uno dei punti importanti della campagna 2015 del Partito Socialista è
l’uscita rapida dal nucleare per un futuro energetico di successo e rinnovabile. A che punto siamo? Nessuna
data fissa la chiusura delle centrali
nucleari.
Il cammino percorso è immenso. Basti ricordare che ancora nel 2010 BKW, Alpiq
e Axpo facevano a gara a chi avrebbe costruito per primo una nuova centrale nucleare. E questo con l’appoggio delle
autorità federali. Oggi invece abbiamo approvato in Consiglio nazionale una legge
che vieta la costruzione di nuove centrali
nucleari. Tale legge prevede un approvvigionamento energetico globale, non soltanto elettrico, e basato su una parte
crescente di energie rinnovabili. La legge
prevede inoltre dei miglioramenti massicci per quanto concerne l’efficienza
dell’uso residuale delle energie fossili e
delle misure per mettere in pratica concretamente questo cambiamento. Ora,
tutto ciò dipende da quanto deciderà il
Consiglio degli Stati. E quindi dalle elezioni: il voto finale avrà luogo a dicembre
o a marzo. Nel caso in cui il PLR e l’UDC
riuscissero a conquistare una maggioranza in uno dei rami del Parlamento, il
disegno di legge sarà respinto nel voto finale, impedendo anche al popolo di esprimersi tramite un probabile referendum.
Le centrali esistenti restano però in
funzione.
Il consigliere nazionale socialista vodese
Roger Nordmann è un esperto di energie
rinnovabili. Con lui facciamo il punto
sulla situazione della svolta energetica.
Non siamo riusciti a ottenere una data
di chiusura per gli impianti nucleari esistenti, che sono in media i più vecchi del
mondo. Abbiamo soltanto potuto imporre un concetto rafforzato per la sicurezza delle centrali «senior», cioè quelle
funzionanti da più di 40 anni. Così facendo, aumenteranno i costi e dunque
anche le possibilità di chiusura.
Concretamente, cosa occorre quindi
fare per raggiungere gli obiettivi previsti nel campo energetico?
La cosa più semplice sarebbe rafforzare
la presenza della Sinistra in Parlamento
e introdurre nel disegno di legge un limite di 50 anni per le centrali nucleari.
Anche le FFS ritirano dal traffico ferroviario le locomotive di quell’età, nonostante siano meno pericolose delle
centrali nucleari. Bisogna inoltre lavorare sul piano economico: tramite una
nostra mozione, siamo riusciti ad agevolare economicamente la decisione di
chiusura di Mühleberg. La situazione
economica ci dà argomenti per far valere le nostre tesi. Mi chiedo come i Cantoni e le città azioniste di Alpiq e Axpo
accettino di perdere soldi per ogni kilowattora prodotto.
In che senso?
Mi spiego: Beznau produce per 7 centesimi
al kilowattora, mentre il prezzo di mercato
è a 4 centesimi. In questo caso la perdita
di 3 centesimi viene subita da Axpo.
La riforma energetica è stata uno dei
momenti fondamentali di questa Legislatura. Il cambiamento proposto
dal Consiglio federale implica la
messa in discussione degli interessi
energetici dominanti. Com’è stata la
battaglia in Parlamento?
Dobbiamo essere onesti: non è stato
solo il nostro talento a permettere la
svolta. L’evoluzione tecnologica nel fotovoltaico, nell’elettronica e nel risanamento delle case è talmente evidente
che anche chi è politicamente schierato
al Centro ha riconsiderato la propria
opinione. Inoltre il nucleare è sempre
più problematico: la crescita dei costi, i
ritardi a ripetizione dei cantieri in Francia e in Finlandia, il problema irrisolto
delle scorie per milioni di anni e infine
il disastro in Giappone. Così la lobby
elettrica si è spaccata. Diverse imprese
di distribuzione hanno capito che la
svolta era una chance. L’altra lobby,
quella del petrolio, ha un problema di
credibilità: non può essere nell’interesse
del Paese mantenere le importazioni di
petrolio a un tale livello. Infine ci sono
diverse ditte che vedono nella svolta una
nuova opportunità di business.
Non hanno altra scelta che riorientarsi.
Due di loro hanno già deciso di farlo.
BKW è stata la prima ad avere il coraggio di decidere la chiusura per il 2019.
Alpiq sostiene la svolta, nonostante sia
in una situazione economica catastrofica. Ma non si può ritornare a un passato che non ci sarà più. Il modello per
il futuro sarà la produzione rinnovabile
e l’efficienza energetica, anche da parte
dei consumatori. Ricordo con piacere
quando, nel dicembre 2014, la CEO di
Alpiq, Jasmine Staiblin, è venuta in Parlamento nella Sala dei passi perduti per
sostenere presso i colleghi borghesi il
prelievo di 2,3 centesimi per l’elettricità
rinnovabile. Per alcuni parlamentari è
stato uno choc: erano nel loro universo
mentale degli Anni Sessanta. Sono invece molto preoccupato per Axpo, che
non ha ancora capito cosa succede e sta
per far perdere un sacco di soldi ai propri azionisti, ossia tutti i Cantoni della
Svizzera orientale.
Per tradizione i produttori di energia
idroelettrica combinavano questa
energia con l’energia di banda di origine nucleare. È possibile immaginare una complementarietà con le
energie rinnovabili?
Sì, ed è pure meglio! I nostri laghi ad
accumulazione sono predestinati per
compensare le variazioni del vento e del
sole. La svolta energetica è l’unica
chance per rivalorizzare il nostro patrimonio idroelettrico. Esso soffre attualmente dei prezzi molto bassi dovuti alla
sovrapproduzione consecutiva e alla
mancata chiusura del nucleare e del
carbone in Germania. Quando ci sarà
molto vento o sole, si acquisterà il surplus di corrente a costi bassi per pompare l’acqua in alto. Poi quest’acqua
verrà turbinata nei momenti di punta,
quando la corrente è più costosa. Da
questo punto di vista, Axpo è schizofrenica: ha investito 2 miliardi nell’impianto di Linth-Limmern per il
pompaggio, però frena la svolta che la
aiuterebbe a far rendere questo impianto faraonico.
Nel settore energetico è possibile
combinare la protezione dell’ambiente con il successo economico?
In primo luogo, è assolutamente impossibile conciliare con l’ambiente il sistema energetico attuale, con il 70 per
cento di petrolio e il 10 di nucleare. Il riscaldamento climatico diventa drammatico e i rischi di radioattività restano. Poi
i costi della mancata svolta saranno tremendi, perché la prosperità non può durare se viene basata sulla distruzione
dei suoi elementi fisici. È chiaro che la
svolta energetica è uno dei progetti fondamentali per la sopravvivenza del genere umano. Inoltre il processo di
cambiamento necessita la modernizzazione di molte infrastrutture e l’aumento
dell’efficienza. E questo crea nuove opportunità di business e di lavoro.
Lei è presidente di Swissolar. Come
valuta la situazione a proposito dell’energia solare? Quali sono i margini
di miglioramento?
Per la produzione di elettricità solare
con il fotovoltaico i costi si sono abbassati di molto. Sono attorno ai 15-20
centesimi al kilowattora. In Ticino di
meno, perché c’è più sole. Non sono più
a 90 centesimi come 8 anni fa. Adesso
sono paragonabili a quelli di un nuovo
impianto idroelettrico efficiente. Ma,
come per la costruzione di nuovi impianti idroelettrici, c’è sempre bisogno
di un sostegno pubblico, vista la concorrenza con i vecchi impianti ammortizzati e quella sleale del carbone, che non
paga i costi climatici. O quella meno
sleale del nucleare, la cui assicurazione
viene pagata dallo Stato, come probabilmente i costi delle scorie radioattive.
La produzione di acqua calda e del riscaldamento solare funziona anche
bene, ma soffre attualmente del ribasso
dei prezzi del petrolio. In questo caso
non basta un sostegno pubblico. Swissolar ha lanciato un masterplan per abbassare i costi, perché è una condizione
per il progresso di questa tecnologia
molto utile.
Per liberare la Svizzera dalle energie
fossili e nucleari bisognerebbe puntare sui trasporti pubblici e aumentare la parte della rotaia nel
trasporto merci. Come siamo messi
da questo punto di vista?
Beh, diciamo che siamo in un «working
process». A febbraio 2014 il popolo
svizzero ha sostenuto il progetto FAIF
di sviluppo dei trasporti pubblici. Con
l’apertura di AlpTransit, prima con il
Gottardo e poi col Ceneri, la performance economica del trasporto merci
su rotaia migliorerà molto. Il rischio più
grande è quello di svalorizzare questi
sforzi con un raddoppio del tunnel stradale del Gottardo. Già soltanto per questo è quini necessario votare No. È
evidente che, una volta costruito il
nuovo tubo, si utilizzeranno le 4 corsie,
nonostante quello che dice la Costituzione. Il Ticino sarebbe sommerso dal
traffico da Airolo a Chiasso. Ma uso il
condizionale perché il popolo rifiuterà
quest’assurdità. A Zugo lo Stadtunnel è
appena stato seppellito con il 62% dei
voti.
CHI È
Nato nel 1973, Roger Nordmann è consigliere
nazionale per il Partito Socialista dal 2004. È vicepresidente del Gruppo socialista in Parlamento
e dell’ATA (Associazione Traffico e Ambiente)
svizzera, nonché presidente di Swissolar, l’associazione nazionale
delle imprese del settore dell’energia solare. È l’autore del libro
«Libérer la Suisse des
énergies fossiles».
25
AMBIENTE
I grandi produttori pubblici di elettricità svizzeri non hanno visto arrivare
le esigenze dello sviluppo sostenibile
e la sfida climatica. Accecati dal successo finanziario del loro modello con
la crescita del consumo, la centralizzazione della produzione, l’importazione a basso costo dell’energia di
punta, hanno dimenticato le energie
alternative e investito molto nelle
centrali a energia fossile all’estero.
Oggi queste scelte sono punite anche
dal mercato. I grandi produttori nazionali sono pronti a cambiare il loro
modello d’affari in vista della transizione energetica?
AMBIENTE
ED ECONOMIA: UNA SOLUZIONE C’È
di Evaristo Roncelli, candidato del PS al Consiglio nazionale
AMBIENTE
26
Alcuni ambientalisti sostengono che
l’unica via per conciliare il nostro sistema
economico con l’ecosistema sia una decrescita (felice o meno). Gli ambienti
economici, quelli più estremisti, arrivano
a dire che non ci sono prove scientifiche
di una correlazione fra riscaldamento
globale e attività economica. In Ticino,
gli effetti ambientali e sociali di una
pianificazione sbagliata del territorio e
di un’economia incentrata sul breve
termine sono sotto gli occhi di tutti:
sfruttamento eccessivo del territorio,
colonne stradali e in alcune zone una
delle peggiori concentrazioni di polveri
fini di tutta la Svizzera. Il primo passo
per una rivoluzione culturale ed economica sul tema ambientale è comprendere
che il mantenimento della biodiversità
e la salvaguardia della bellezza del paesaggio hanno anch’essi un valore non
solo sociale, ma anche economico. I
costi di uno sfruttamento eccessivo sono
solo rimandati, ma questo non vuol dire
che non esistano.
Il ruolo dello Stato in tutto questo è
quello di creare una regolamentazione
a protezione dell’ambiente che crei degli
incentivi per un’economia ecocompatibile. Non un freno all’economia, ma la
spinta verso un sistema produttivo diverso, che capisca il costo delle risorse
e che produca il massimo con il minimo
consumo di risorse ambientali. Pensiamo
ad esempio al turismo, un settore economico importante, vi sono diverse tipologie di turismo, alcune più ecocompatibili altre più inquinanti. Questo non
significa che la forma ecologica sia necessariamente meno attrattiva, chiara-
Il 13 agosto era l’Overshoot Day, cioè il
giorno in cui gli esseri umani hanno consumato tutte le risorse che la natura
mette a disposizione per un anno. Molte
persone, soprattutto in periodo economico
difficile, pensano che la scelta sia fra occupazione e rispetto dell’ambiente, ma
la verità è che non necessariamente le
due cose sono in conflitto.
mente ci vuole uno sforzo per tramutare
l’attuale offerta in qualcosa di nuovo,
ma reinventarsi è una delle chiavi del
successo economico. Questo ragionamento può essere applicato anche agli
altri settori economici. Ogni azienda,
ogni imprenditore deve capire il ruolo
sociale e ambientale della propria impresa, e capire che per ottenere una
prosperità del sistema nel lungo periodo
ognuno deve fare la propria parte. In
questo senso il regolatore deve garantire
che un comportamento corretto sia ripagato, mentre un atteggiamento scorretto sia punito.
Il PS su questo tema ha le idee in chiaro,
il metodo per conciliare economia e
ambiente esiste. Un sviluppo sostenibile
esiste. Il costo per tramutare la nostra
economia non sarà mai insopportabile,
poiché si tratta di un investimento per
le generazioni future. Un investimento
in grado di garantire successo e opportunità anche per chi verrà dopo di noi.
Prendiamo ad esempio la proposta di
costruzione di un secondo tunnel autostradale sotto il San Gottardo. Come
Partito Socialista ci opponiamo a questa
proposta poiché un’alternativa più ecocompatibile e che non danneggi l’economia esiste. Con l’apertura di AlpTransit e col mantenimento dell’attuale linea
ferroviaria sarebbe possibile creare un
sistema efficace di treni navetta che garantirebbe un collegamento sostenibile
Nord-Sud. Chi si oppone a questa soluzione non lo fa perché crede in danno
economico per il Ticino, ma perché non
vuole cambiare il nostro modello economico, e soprattutto vuole i profitti
degli appalti per la costruzione di un
altro tunnel.
Come partito progressista, vogliamo
una società che cambi e abbiamo in
chiaro l’avvenire che vogliamo. Un futuro
sostenibile è per noi l’unica soluzione
possibile.
LASCIA O
RADDOPPIA
di Igor Righini, candidato del PS al Consiglio nazionale
- Alla Nazione porterà lavoro di medio
termine per grosse imprese consorziate, un buon potere di contrattazione nei rapporti con l’unione
europea UE. Alle Regioni di montagna di Uri e del Ticino riproporrà lo
stesso triste scenario legato a trent’anni di traffico internazionale su
gomma.
Risposta esatta. Andiamo avanti. Terza
domanda. Cosa farebbe lei per migliorare le condizioni delle Valli? Le chiedo
di articolare la risposta.
- La nostra è una terra sacrificale.
Sull’altare dei rapporti privilegiati
della Nazione con l’Europa si è sacrificato il valore paesaggistico di un’intera regione, abitanti compresi. Il
rilancio del Ticino non passa dall’autostrada; il primo buco autostradale
ha già dimostrato tutti i suoi limiti.
Alle regioni periferiche di montagna
serve riqualificare il proprio territorio
naturale e poterne fare un uso turistico, agricolo, industriale. Occorre
proporre un’industria sociale fatta da
gente coscienziosa capace di anteporre agli interessi privati quelli della
collettività. Urgono investimenti nella
costruzione dei parchi alpini e nella
loro promozione. Servono solidi collegamenti con le nuove Stazioni di AlpTransit AT. Dobbiamo riprenderci la
gente delle città e incentivarla ad abitare e riqualificare i nuclei storici di
montagna, ricchi di qualità di vita.
Dobbiamo pretendere dai centri abitati maggiore solidarietà; i centri devono cedere alla montagna parte
delle loro infrastrutture pubbliche.
Solo così potremo valorizzare tutto il
Ticino. Rivitalizzare la montagna e al
contempo sgravare la città dal peso
del traffico e dell’attività economica
schizofrenica. I soldi del raddoppio
vanno destinati al promovimento economico del paesaggio svizzero di
montagna.
Gliela do buona! Veniamo all’ultima
domanda: la sua opinione è contraddetta in modo chiaro da politici collaudati come Fabio Regazzi (PPD). Lei
come intende fare per sistemare il problema della sicurezza in galleria?
- Dietro al tema della sicurezza si nascondono gli interessi delle lobby del
cemento e degli autotrasportatori;
molto bravi a strumentalizzare la tragedia di un incidente stradale per promuovere i loro interessi economici. La
sicurezza è un fatto tecnico. In entrambi i casi è possibile migliorare la
sicurezza con la differenza che con un
NO al raddoppio si possono risparmiare tre miliardi di franchi. A mettere a posto la sicurezza del Gottardo
basterebbe trasferire parte dei mezzi
pesanti dalla strada alla ferrovia AT.
Eh anche questa è buona. Allegriaaa.
Bene a questo punto arriviamo al momento centrale. Davanti a lei Signor Righini le strade si dividono. Se va a
destra ha la possibilità di raddoppiare,
se va a sinistra si tiene il suo gruzzoletto. Cosa fa? Ha trenta secondi per rispondere. Signor Igor Righini lei lascia
o raddoppia?
- Lascio! Lascio e salvo quel «poco di
buono» che c’è! I nostri figli forse ci
sapranno fare qualcosa.
AMBIENTE
27
Buona giornata cari lettori, buongiorno
Ticino. Allegriaaa. È con noi un architetto della Regione. Vogliamo spiegare
ai nostri cari lettori di che cosa si occupa Signor Igor Righini?
- Eseguo costruzioni ecologiche a basso
consumo di energia. Mi è pure capitato di progettare nuovi paesaggi
agricoli e ricreativi. Ad esempio un
chilometro e trecento metri di riqualifica territoriale al posto della vecchia ferrovia del Gottardo. Spazi per
la gente del fondovalle. Una realizzazione nel rispetto del territorio originario riconosciuta dal Fondo Svizzero
per il Paesaggio.
Andiamo avanti. Lei signor Righini ha
scelto di rispondere sul tema delle Tre
Valli, Leventina, Riviera e Blenio, ma
più in generale sulle zone periferiche
di montagna. Iniziamo con questa
prima domanda: cosa ha portato alle
Valli Leventina e Riviera la costruzione
dell’autostrada e della galleria autostradale del Gottardo? Un minuto per
rispondere. Tic-Tac, … .
- Automezzi pesanti, inquinamento da
smog, inquinamento fonico, spostamento del traffico turistico dalla
strada lenta all’autostrada, chiusura
degli esercizi pubblici, chiusura di attività commerciali, esodo della popolazione residente dai paesi verso gli
agglomerati, impoverimento,…
Esatto. Passiamo alla seconda domanda. Che cosa porterà la costruzione di un secondo tubo al Gottardo?
E attenzione a voler precisare, in generale per la Nazione e in particolare al
Ticino e al Cantone di Uri.
NON È CAMBIATO
di Nestor Buratti
SOCIALITÀ
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NIENTE
Un anno fa l’iniziativa per una cassa malati unica veniva respinta dal popolo e dai Cantoni. Tuttavia i contrari alla proposta, lanciata dal Partito Socialista, si erano sbilanciati
nel dire almeno che il sistema andava perfezionato. Un anno dopo, nulla è cambiato:
i premi continuano ad aumentare senza ragione, alcuni Cantoni continuano a pagare
di più, la legge sulla vigilanza è insufficiente e gli inciuci tra parlamentari e casse malati vanno avanti in maniera indecente. Noi ne abbiamo parlato con Bruno Cereghetti.
Bruno Cereghetti, un anno fa la votazione sulla cassa malati unica. Diciamo che, a livello di consensi,
cresciamo.
Constato con piacere che il margine tra
fautori e oppositori della cassa malati
unica si restringe. Questo è un buon segnale. La cassa malati unica avrebbe,
tra le varie cose, risolto il problema
della negoziazione tariffale, poiché l’assicuratore pubblico sarebbe dovuto intervenire
con
maggior
equità
nell’ambito delle tariffe. A livello politico, però, non è cambiato nulla.
E la legge sulla vigilanza?
Partiamo dal motivo vero per cui questa legge è stata riesumata quando era
ormai morta, cadaverica: affossare
l’iniziativa per la cassa malati unica. Ed
è innegabile che ciò è stato uno degli
elementi che ha giocato a sfavore proprio dell’iniziativa. Con il problema che
oggi ci troviamo con una legge assolutamente inefficiente e che non risolve il
problema dei premi pagati in eccesso.
Anche perché il Consiglio federale prevedeva che i premi pagati in eccesso
dovessero essere redistribuiti a chi
aveva pagato in più se le condizioni finanziarie dell’assicuratore lo permettevano. Un «se» che era già da
contestare. Poi è arrivato Ignazio Cassis, presidente della lobby Curafutura,
che nella discussione al Consiglio nazionale ha proposto e fatto approvare
che la restituzione dei premi in eccesso
è facoltà degli assicuratori.
Insomma la libertà della volpe di girare nel pollaio.
Almeno il Governo aveva messo un obbligo, seppure con la condizionale. Oggi
invece ci ritroviamo con una legge inefficiente e il sistema continua esatta-
mente come prima. Noi ci troveremo a
pagare dei premi in più. E nessuno capirà esattamente dove, perché di trasparenza in questo caso non ce n’è a
sufficienza.
Ma non ci sono dei dati ufficiali?
Ci sono, ci sono. Il problema è che non
vengono pubblicati. Questo è scandaloso: oggi non abbiamo la misura
esatta di quanto effettivamente siano i
premi in più che vengono pagati all’interno dei Cantoni solo perché l’Ufficio
federale della salute pubblica non
rende note le risultanze d’esercizio
delle assicurazioni malattia nei singoli
Cantoni. L’Ufficio federale pubblica il
dato nazionale complessivo che dice sì
alcune cose, ma non tutto. E soprattutto nulla sugli andamenti nei singoli
Cantoni. Mi spiego: se il risultato positivo a livello federale è 20, come è composto nei dettagli? Potrebbe essere,
come è successo nel passato, che ci
siano Cantoni che pagano 100 in più e
altri che pagano 80 in meno: il risultato
d’esercizio federale è 20, un dato di per
sé positivo, ma l’equità confederale è
stata presa a sberle! Esattamente
quello che è successo al Ticino in questi
ultimi anni. Ora su questo aspetto non
bisogna transigere. Bisogna invocare
trasparenza e possibilità di lettura democratica del sistema. Il dato lo hanno
ma non lo vogliono pubblicare. E, se ci
si mette anche l’autorità federale a negare la trasparenza in un sistema che
gli assicuratori rendono sempre più
opaco, le cose non vanno bene né per i
cittadini né per l’identificazione dei
medesimi nel sistema Paese in fatto di
cure.
Ma perché capita questo?
Il mio è forse un giudizio severo, ma
l’unica spiegazione possibile è perché
verrebbero mostrate le magagne del sistema, che oggi non sono visibili ai più.
Ci si ostina a nascondere la verità dei
fatti. Vengono pubblicati i dati di qualsiasi altra cosa per tutti i Cantoni, ma
non il dato più eloquente, che è il risultato d’esercizio complessivo all’interno
di un Cantone, nella finalità di permettere una lettura democratica del fenomeno. Solo il dato federale, che altro
non è che la sommatoria di tutti i dati
cantonali, è ampiamente insufficiente
per capire le sfaccettature multiple di
un sistema complesso. Da qui nascono
i grandi dibattiti su quanto hanno pagato in più i Ticinesi, rispettivamente in
meno gli altri. Ma la vera lettura del fenomeno è completamente ostacolata
dal fatto che non vengono forniti questi
dati, che costituiscono la chiave di lettura del tutto.
Però un’idea su chi paga meno e chi
paga di più c’è. Un rimborso c’è stato.
La «restituzione bagatella», la chiamo
io. E del tutto inveritiera rispetto alla
situazione realmente accaduta. Personalmente a partire da un modello matematico riesco a ricostruire le
situazioni in modo molto vicino alla realtà. Ci sono Cantoni che hanno pagato
troppo poco e altri che hanno pagato
troppo, ossia Ticino, Vaud, Ginevra,
Neuchâtel, Argovia e Zurigo. Secondo
queste stime, il Canton Ticino a fine
2013 aveva generato riserve eccedenti
per 441 milioni di franchi, finite nel paniere federale di calcolo e concretamente nei forzieri degli assicuratori.
Siccome si tratta di un modello di
stima, ha la tara del più o meno 2 per
cento. Dovessero saltare fuori i dati
reali, quelli che oggi gli assicuratori e
l’Ufficio federale si ostinano a tenere
nascosti, non sarebbe più così difficile
fare tutti i raffronti per capire chi ha
pagato in più, rispettivamente in meno.
E tutti lo potrebbero fare con relativa
facilità. Quella facilità democratica di
comprensione del sistema che sta alla
base del rapporto di fiducia del cittadino verso lo Stato.
Un oligopolio
Un aumento dei costi ingiustificabile
Come si spiega l’aumento costante dei premi in questi ultimi 19 anni? Si dice
che i costi aumentano perché i costi sanitari aumentano. Ma l’aumento di questi
ultimi è inevitabile, vuoi per l’invecchiamento della popolazione vuoi per i progressi tecnologici in campo medico. Se vogliamo una medicina all’insegna dell’accesso democratico, dobbiamo partire dal presupposto che i costi della
malattia aumenteranno. Però, se si osservano gli aumenti dei premi, ci si accorge
che c’è una strana somiglianza: tutti i premi aumentano più o meno nella stessa
proporzione presso tutti gli assicuratori, tutti gli anni e in ogni Cantone. Questo
significa che potrebbe esserci una sorta di cartello tra i grandi assicuratori e che
il sistema non è quindi controllato in maniera sufficiente da parte delle autorità
federali. Possibile che tutti gli assicuratori si siano adeguati all’unisono? Il Ticino
è uno dei Cantoni dove i premi sono aumentati di più: dal 1996 a oggi quasi
dell’80 per cento. Nello stesso lasso di tempo l’aumento delle prestazioni nette,
ossia quanto effettivamente viene pagato dagli assicuratori malattia, è aumentato
solo del 61 per cento. Ciò significa semplicemente che l’aumento dei premi in
Ticino non è giustificato da un aumento dei costi da parte degli assicuratori.
Per il PS, non più del 10 per cento!
I premi di cassa malati aumentano di anno in anno, non da ultimo a causa
della concorrenza tra le diverse casse malati. Per un crescente numero di economie domestiche con un reddito medio questi premi sono diventati un vero
fardello finanziario destinato ad appesantirsi sempre più. I sussidi per l’assicurazione malattia, invece, non hanno tenuto il passo con questo rapido aumento dei premi. Alcuni Cantoni hanno addirittura ridotto drasticamente
questi sussidi nel quadro dei loro programmi di risparmio. Questa evoluzione,
che grava soprattutto sulle spalle delle economie domestiche con un reddito
medio, va fermata. Il Partito Socialista vuole adeguare ed estendere il sistema
delle riduzioni dei premi individuali, affinché i premi non superino il 10 per
cento delle entrate di un’economia domestica. Un onere finanziario superiore
è insopportabile e inaccettabile.
29
SOCIALITÀ
In Svizzera gli assicuratori malattia sono circa una sessantina, mentre in Ticino sono un po’ meno: circa una quarantina. Attenzione però a considerare
queste cifre. Dai numeri sembra infatti che ci siano tanti operatori. In realtà
non è così. La maggior parte delle casse malati si concentra in pochi grandi
gruppi che agiscono come holding: Helsana, CSS e Groupe Mutuel hanno infatti diverse casse. Insieme questi tre gruppi coprono circa il 45 per cento
degli assicurati. Se consideriamo anche Assura, il solo grande gruppo a non
essere una holding, e Cpt e Atupri, che sono gli assicuratori delle ex regie federali PTT e FFS, assieme questi sei coprono quasi il 65 per cento degli assicurati. L’assicurazione malattia è quindi un oligopolio in cui pochi grandi
gruppi si dividono il mercato. CSS, ad esempio, detiene Arcosana, Intras Assurance-maladie e Sanagate. Il gruppo Helsana comprende anche Progrès,
Sansan, Avanex e Maxi.ch. Il Groupe Mutuel amministra Mutuel Assurance
Maladie, Philos Assurance Maladie SA, Avenir Assurance Maladie, EasySana
Assurance Maladie, SUPRA-1846, AMB Assurance-maladie et accidents. I piccoli assicuratori al giorno d’oggi non esistono più, penalizzati anche dal fatto
che il sistema è troppo complesso e necessita di un grande apparato amministrativo e di complicate previsioni finanziarie. Ma qual è il vantaggio nell’avere
diverse sottocasse? In sostanza, le holding con diverse partecipazioni sono
nate sostanzialmente perché le sottocasse potessero accogliere quelli che vengono definiti «buoni rischi». Si trattava di fare una selezione dei rischi e offrire
le assicurazioni complementari a quelle persone più attrattive, ossia i giovani
sani, preferibilmente maschi. Infatti con questa categoria di persone il margine di profitto di un’assicurazione complementare è molto ampio.
NEI MEANDRI DEL
di Nestor Buratti
SISTEMA
SOCIALITÀ
30
Molti fra coloro che hanno avuto un amico o un parente ricoverato in un ospedale ticinese si sono accorti che qualcosa non funziona: mancanza di coordinamento, superficialità, assenza di personale, freddezza.
L’impressione è che il sistema sanitario ticinese stia peggiorando. E i recenti, clamorosi casi, come quello della ingiustificata mastectomia totale avvenuto al Sant’Anna, sembrano dare ragione a questa tesi. Ma si tratta solo della punta di un
iceberg: casi meno gravi ma fastidiosi avvengono tutti i giorni senza occupare i titoli
dei giornali. Come mai? Cosa sta succedendo alla sanità ticinese? Per rispondere a
queste domande occorre analizzare nel dettaglio un
sistema sanitario in cui gli assicuratori malattia
hanno il potere di imporre dei prezzi sempre
più bassi ai fornitori di prestazione, ossia
gli ospedali, gli ambulatori, le case di
cura. Tutto ciò per riempire le casse…
delle casse. E naturalmente a scapito
della qualità di cura. Bruno Cereghetti ci
aiuta a capire cosa sta avvenendo.
Ci dica, allora: chi interviene nel processo di formazione di queste tariffe?
Il quadro normativo prevede che le tariffe siano concordate a livello di partner: da un lato i fornitori di
prestazioni, per i quali le tariffe sono la
fonte unica di entrata, e dall’altro gli assicuratori, ossia coloro che pagano. Lo
Stato non interviene direttamente nel
quadro della negoziazione tariffale poiché l’impostazione della LAMal, volta
alla libera concorrenza, lascia questo
compito ai partner. Lo Stato ha però il
compito di approvare, verificando che
tali tariffe siano impostate secondo determinati principi legali. Le tariffe sanitarie sono un atto ufficiale: una volta
approvate, vengono pubblicate sul Bollettino ufficiale delle leggi e degli atti
esecutivi dello Stato.
Su quali criteri si fa affidamento
per stabilire queste tariffe?
Un pericolo incombe sulla sanità
svizzera:
quale?
Si tratta del sistema
con cui vengono formate le tariffe: un processo che deve essere
posto al centro delle
analisi sul sistema sanitario. Sempre inteso che
per sistema sanitario ci si
riferisca a una sanità di
qualità ma di cui possono
beneficiare tutti equamente.
Le tariffe si basano su un’analisi dei
costi ben precisa. Ad esempio, per
quanto riguarda gli ospedali deve esserci una contabilità analitica per centro
di costo e per unità finale di imputazione. Inoltre, seguendo normative ben
definite, si deve tenere conto anche di
altri fattori, come ad esempio gli ammortamenti. Questi dati dovrebbero, attraverso un processo matematico,
portare alla formazione della tariffa
equa. Purtroppo, nei fatti, così non è. Ed
è qui che cominciano i problemi.
Perché?
Dopo glielo dico. Prima però devo fare
un’altra premessa estremamente importante. Occorre ricordare che la gran
parte dei costi del sistema sanitario va
a finire negli stipendi del personale:
circa l’85 per cento dei costi per quanto
concerne gli ospedali acuti, mentre per
gli istituti psichiatrici, gli istituti per anziani o gli studi ambulatoriali si arriva
circa al 95 per cento. Le tariffe che generano le entrate servono sostanzialmente per pagare gli stipendi. La prima
considerazione è quindi quella che, se
le tariffe fossero basse e il fornitore di
prestazione dovesse quindi percepire
Lei parla al condizionale, però di
fatto è quello che accade.
Un ospedale o una clinica non può certo
diminuire gli stipendi, essendo il personale sanitario abbastanza ben protetto
dai contratti di lavoro. Perciò, quando
le entrate non fossero sufficienti, il fornitore di prestazione è costretto a non
più assumere o a ridurre il personale.
Ora, una riduzione del personale, se
dovesse scendere al di sotto della soglia
delle esigenze, si tradurrebbe automaticamente in un abbassamento della soglia della buona qualità della medicina.
Questa sarebbe la prima, drammatica
conseguenza. Occorre però tenere
conto di un altro fattore che fa parte del
gioco della formazione delle tariffe.
Quale?
Contrariamente ai premi dell’assicurazione malattia, che sono stabiliti a preventivo, le tariffe sono impostate a
livello di consuntivi, di conti chiusi. Ora,
questi sono di almeno due anni prima.
Ciò implica delle differenze con la realtà, a svantaggio dei fornitori di prestazione. Se prendiamo ad esempio gli
stipendi, che dovrebbero aumentare,
abbiamo già un gap.
Le tariffe dovrebbero quindi aumentare. O sbaglio?
Dice bene: dovrebbero. Gli stipendi aumentano, le esigenze di prestazioni mediche più intense aumentano a causa
dell’invecchiamento della popolazione.
Perciò ci si dovrebbe attendere un normale, pur moderato e controllato aumento tariffale. Invece non è così. In
Ticino, l’Ente ospedaliero cantonale
(EOC) ha negoziato le tariffe su un arco
di tempo triennale. Ora, queste tariffe
sono regressive nel tempo. C’è un
chiaro problema. Questi dati costituiscono un fortissimo campanello d’allarme: come mai le tariffe diminuiscono
nel tempo?
Già, come mai?
Dipende da come avviene la negoziazione. La legge, descrivendo il caso
ideale, dice che dev’esserci una contrattazione tra partner. In realtà questa
contrattazione avviene, ma non ad
armi pari. Ed è qui che suona il campanello d’allarme. Mi spiego… Gli assicuratori si presentano al tavolo negoziale
già intenzionati a negoziare verso il
basso. Non escludo nemmeno che vi
siano dei bonus per i negoziatori, altrimenti non capisco un tale accanimento
a negoziare verso il basso. In sostanza,
gli assicuratori presentano dei veri e
propri diktat: o è così o altrimenti si va
in contestazione. In tal caso si dovrà seguire tutta una procedura che può essere estremamente complessa e con
tempi di attesa che possono durare
anni. I fornitori di prestazioni sono
quindi nel dilemma di dover decidere
se affrontare un percorso legale dal
quale, anche se vincitori, usciranno con
le ossa rotte. Infatti tutto verrebbe bloccato per anni, con tariffe provvisorie. A
livello di gestione attuale verrebbe a
mancare la liquidità corrente, quella
che serve per pagare gli stipendi.
Non resta che chinare la testa.
Purtroppo sì, accettando delle tariffe
che non sono rispondenti al livello reale
dei costi. Il fornitore di prestazione
deve quindi impostare la proprie prestazioni future in base a tali entrate.
Che, lo ripeto, sono basate sui costi di
due anni prima. Se poi le tariffe tendono verso il basso, ecco che dovranno
inevitabilmente adattare anche il livello
delle proprie prestazioni. Questo è
frutto dell’operato degli assicuratori,
sempre più fermi a negoziare le tariffe
verso il basso e a non concedere aumento alcuno, incoscienti del pericolo
sulla qualità delle cure. Qualità della
quale agli assicuratori non importa
nulla. Quello che conta per loro è presentarsi di fronte ai Consigli d’amministrazione con dei risultati contabili
interessanti, così come avviene negli
ambienti bancari e borsistici. Tutto ciò
mette il sistema sanitario democratico
in pericolo. Le tariffe regressive negoziate dall’EOC sono l’esempio lampante. Il Governo non avrebbe dovuto
accettare tali tariffe, poiché vi è il pericolo di ricadute negative per la qualità
delle cure, in quanto inevitabilmente
l’EOC sarà costretto a ridurre gradualmente il livello delle prestazioni.
In tutto ciò, chi ci perde maggiormente?
È ovvio: sono i
pazienti di divisione
comune. È qui
che si effettuano
i
grossi
risparmi e le
grosse contrazioni a livello di
personale. A li-
vello di divisione semiprivata o privata
vigono altri standard e il discorso tariffale è diverso. Le stesse negoziazioni tariffali sono molto ma molto più soft. E,
qui lo dico e non lo nego, un peggioramento della qualità nella divisione comune negli ospedali, pubblici o privati,
è in atto. Bisogna mettere un paraocchi
per non accorgersi che la situazione di
contrazione è già iniziata. Non dico che
si stia male o che la situazione di degrado sia alla deriva, ma che siamo all’inizio di una frana. Bisogna quindi
essere sufficientemente accorti per evitare che la frana si stacchi.
Il recente caso del Sant’Anna è un
esempio di questo peggioramento?
Si tratta di un episodio senza dubbio
eclatante, nel quale intervengono sicuramente anche altri fattori come il caso
o la negligenza umana. La conseguenza
del caso è stata drammatica. Però, a
mio modo di vedere, i «casi problematici correnti» sono altri, che non vengono a galla e che concernono quelle
cure di prossimità che potrebbero essere praticate con molta più incisività.
Faccio un esempio: se un paziente soffre di notte e chiama ma nessuno arriva
perché gli infermieri sono a ranghi ridotti, questo caso non occuperà i titoli
dei giornali. Però la povera persona che
si trova in quella situazione, ed è il paziente in divisione comune, ne soffrirà
enormemente. Ed è proprio una
somma di questi micro-casi a creare
quei problemi che sono figli diretti della
politica tariffale restrittiva.
Cosa fare per risolvere la situazione?
Io auspico una modifica radicale della
legge. Ci dev’essere una sorta di commissione di probiviri che determini le
tariffe a partire da un concetto di
equità, quasi fossero dei giudici che decidono su fatti concreti togliendo il monopolio dell’aspetto economico e
facendo un’analisi olistica della situazione.
Gli
assicuratori
malattia devono essere
tolti
dal
processo di
negoziazione
perché
oggi
hanno un potere
incontrollabile
e
sono i principali responsabili della diminuzione della qualità delle cure.
31
SOCIALITÀ
meno entrate, a venir meno sarebbe la
liquidità per pagare i salari del personale.
NO
di Nestor Buratti
SOCIALITÀ
32
ALLO SMANTELLAMENTO
A livello nazionale l’ultimo esempio di
questa tendenza ci viene dal Canton
Berna, dove il Cantone ha deciso di privatizzare le cliniche psichiatriche. Questi istituti ormai dovranno generare
utili. La ristrutturazione tocca soprattutto la parte francofona della popolazione, per la quale sarà difficile
garantire prestazioni all’altezza. In Ticino la tendenza è in atto da diverso
tempo. Se a livello svizzero il privato
rappresenta il 20 per cento dell’offerta
sanitaria, in Ticino questa percentuale
è del 40 per cento: una quota doppia
che, con la prevista pianificazione
ospedaliera, sembra destinata ad aumentare ulteriormente. Secondo
l’orientamento
proposto dal
Dipartimento
diretto
da
Paolo Beltraminelli, alcuni
settori passerebbero dagli ospedali
pubblici alle cliniche
private. Altri verrebbero gestiti in una
sorta di partenariato
pubblico-privato. Così
gruppi come Genolier si
fanno strada in Ticino, dove
possono beneficiare delle competenze
(e delle conoscenze) di alcune personalità di spicco della politica nostrana
come i due membri del consiglio di amministrazione di GSMN Ticino SA (la filiale ticinese della società vodese) Luigi
Pedrazzini e Fulvio Pelli, quest’ultimo
addirittura presidente.
La nuova pianificazione sembra essere
quindi un nuovo passo volto a favorire
il privato e la combriccola degli amici
a discapito del pubblico. Il rischio è
quello di indebolire la posizione degli
ospedali pubblici, a cui verranno affibbiate le cure più costose, a vantaggio
delle cliniche private, che si garantiranno quelle più redditizie. Cliniche
private che, va ricordato, beneficiano
dei contributi del Cantone quanto le
strutture pubbliche. Nel frattempo gli
ospedali pubblici di Faido e di Acquarossa verranno declassati a non meglio
definiti istituti di cura post-acuti.
Anche di questa tendenza abbiamo
parlato con Bruno Cereghetti.
Il servizio pubblico è in crisi. In diversi
settori, a livello sia cantonale sia federale,
è in atto un vero e proprio smantellamento. Il settore della sanità è sicuramente il più sensibile. I Cantoni devono
risparmiare e la pressione finanziaria è
particolarmente forte in quest’ambito,
dove le spese pubbliche sono particolarmente importanti. Ma il pretesto finanziario non basta per smantellare il servizio
pubblico in un settore così importante.
Com’è possibile che la salute dei cittadini
venga data in pasto alla legge del profitto? A perderci in questo processo sono,
come sempre, i cittadini delle fasce
medio-basse e le
regioni periferiche. Perciò il
Partito Socialista si oppone
fortemente a
questa deriva.
Oggi in Ticino, con la nuova
pianificazione ospedaliera, si
vuole diminuire il ruolo degli
ospedali pubblici. Cosa ne
pensa?
Dirò prima una
cosa: noi parliamo
molto degli ospedali
pubblici,
però, se penso al
Ticino,
queste
strutture non sono
dello Stato, bensì
dell’Ente
ospedaliero, che è qualcosa di
distaccato dallo Stato e
che ha un proprio Consiglio di amministrazione e fa
funzionare l’impresa sanità al
di fuori dell’intervento diretto dello
Stato. Non si tratta, per intenderci, di
un settore interno allo Stato. Ciò detto,
il servizio pubblico deve avere sempre
il primato in questo settore e deve essere finalizzato all’equità sociale nei
confronti della popolazione. Questo
non vuol dire che non debbano essere
sviluppate collaborazioni con il privato
o che il privato non fornisca dei buoni
servizi, soprattutto in Ticino, dove esiste un sistema ospedaliero privato che
ha una certa importanza. Ma la sanità
è troppo importante per essere privatizzata tout court.
Cosa vuole il Partito Socialista?
Rafforziamo il servizio pubblico in diversi settori (energia elettrica, radiotelevisione, sanità e socialità) opponendoci alle privatizzazioni. Anche le regioni periferiche devono avere accesso ai servizi di base.
La difesa dei servizi pubblici è indispensabile e fondamentale. Essi permettono di assicurare un futuro a servizi moderni e di qualità, che garantiscono
al contempo il mandato pubblico e sono accessibili a tutta la popolazione
anche nelle regioni più discoste.
Il Partito Socialista si batterà per…
…evitare la privatizzazione dei servizi pubblici, compresi i tentativi di privatizzazione nel settore dell’energia elettrica, nell’ambito radiotelevisivo, sociale e sanitario e ospedaliero in particolare,
…combattere l’ulteriore smantellamento di servizi e posti di lavoro pubblici,
come negli uffici postali o nelle Officine FFS,
…rafforzare la presenza delle FFS nel nostro cantone, in particolare grazie
al potenziale di AlpTransit,
…favorire l’insediamento di famiglie nelle regioni di montagna, tramite il
sostegno a infrastrutture pubbliche e la creazione di alloggi a pigione moderata, privilegiando la ristrutturazione di abitazioni abbandonate nei nuclei
dei villaggi.
Cominciamo col dire una cosa:
nessuno riesce a fare utili con
la sanità legata all’assicurazione di base. Oggi,
come in passato, un
ospedale privato che
dovesse avere solo
pazienti di divisione
comune
fallirebbe
subito.
O
dovrebbe ridurre
costantemente
la qualità delle
cure in modo
da star dentro
con tariffe formate senza criteri di scientificità.
E, per quanto concerne un ospedale
pubblico, è lo Stato che
ne dovrebbe coprire i
costi per mantenere uno standard quanto
meno accettabile
di cure.
Lo Stato
per legge
deve cofinanziare, con gli assicuratori,
le
cure
ospedaliere. Ciò detto, lo
Stato pianifica con la tendenza a guardare al proprio portafoglio, cercando di minimizzare le uscite,
anche perché nell’ambito della politica
ospedaliera il 55 per cento dei costi
deve essere finanziato proprio dallo
Stato. Ora, è comprensibile che anche
in ambito di politica ospedaliera si facciano delle riflessioni sulla razionalizzazione dei costi. Ci mancherebbe. Ma
non così come è stato impostato dal
Consiglio di Stato per quanto riguarda
il declassamento di una certa offerta
ospedaliera in istituti di cura sub-acuti
e post-acuti.
Sembrano denominazioni create ad
arte per ridurre la sanità in Ticino.
Esatto. La legge dice che ci
sono due tipi di interventi
ospedalieri:
l’ospedale
acuto e la clinica di riabilitazione. Il sub-acuto e il
post-acuto non esistono.
Semmai si parla di case
di cura, come le case per
anziani, che si occupano di
malati cronici. La discriminante tra ospedali e istituti di
cura è che nei primi deve esserci una
presenza medica costante, mentre nei
secondi no. La Commissione ospedaliera
precedente, proprio in un’ottica di razionalizzazione, aveva preconizzato i cosiddetti «letti AMI», cioè acuti di minore
intensità, che riguardavano quei casi
che pur necessitando di una presenza
medica sono oggettivamente di minore
entità di un trapianto di cuore. Era giusto che per questi letti AMI fossero
applicate delle tariffe minori. È lo-
peraltro destinato a durare
poco
nel
tempo. Inoltre bisogna
considerare
che alcuni istituti privati che,
bisogna
riconoscerlo, hanno avuto un importante ruolo di sostegno a
un bisogno sanitario, come
San Rocco, Vanini e Ospedale
malcantonese, rischiano anch’essi
di venire declassati.
Che fare?
Occorre ripensare a questo settore. È
vero che la medicina di qualità genera
dei costi anche pubblici. È inevitabile.
Tuttavia occorre prestare attenzione al
ruolo sociale dell’ente pubblico. Occorre fare il discorso delle priorità. E
la medicina e la cura, a mio modo di
vedere, sono una priorità assoluta di
uno Stato che si vuole civile, equo e
moderno. Evidentemente la razionalizzazione e il controllo dei costi devono
esistere, ma non con elementi restrittivi come quelli proposti dalla pianificazione in discussione.
Il popolo si esprimerà su questo
tema?
È chiaro che, se il discorso
sulle pianificazioni evolve in
tal senso, se si dovessero
creare gli istituti di cura così
come impostati dal Governo, scenderò in campo a
favore di qualsiasi iniziativa
contraria a questa pianificazione. E il Governo deve
stare attento, perché ci sono
diversi fronti di opposizione,
come le raccolte di firme pendenti nelle Tre Valli. A mio avviso
il rischio che questa pianificazione
cada in votazione popolare esiste.
gico, però si
restava
in
ambito acuto.
Altrimenti si rischia di sminuire
tutto.
Si veda il declassamento degli ospedali di Faido e di Acquarossa.
Adesso la classificazione pretende che
il sub-acuto e il post-acuto, che come
ho detto non esistono, vadano integrati
negli istituti di cura. I due ospedali citati verranno così declassati. Poi il Governo, cercando di salvare capra e
cavoli, dice che a Faido e ad Acquarossa rimarranno dieci letti di medicina. Si tratta di un contentino,
CHI È
Bruno Cereghetti è stato granconsigliere del
Partito Socialista fino allo scorso mese di aprile.
Docente dal 1971 al 1986 e collaboratore personale del consigliere di Stato Rossano Bervini
dal 1986 al 1991, dal 1991 al 2010 è stato «Mister casse malati» in
Ticino, cioè capoufficio dell’assicurazione
malattia. Ora è titolare di uno studio di
consulenza nell’ambito sanitario e delle
assicurazioni sociali.
33
SOCIALITÀ
Il settore pubblico soffre troppo di
questo dogma del contenimento dei
costi. Questo è giustificato?
AUTUNNO E AUMENTO
DEI PREMI CASSA MALATI:
UN BINOMIO INEVITABILE?
di Marina Carobbio Guscetti, candidata del PS al Consiglio nazionale
SOCIALITÀ
34
Puntuale con l’arrivo dell’autunno ecco
che arriva anche l’annuncio dei premi
cassa malati. E dire che proprio il 28
settembre dell’anno scorso il popolo
svizzero aveva respinto la proposta di
una cassa malati pubblica lanciata dal
Partito Socialista e da altre organizzazioni di pazienti, consumatori e professionisti del settore. La realizzazione di
una cassa malati federale permetterebbe più trasparenza e anche un maggiore controllo dei premi, lo abbiamo
dimostrato con cifre e fatti più volte.
Determinante per quel risultato popolare è stato certamente il massiccio utilizzo di mezzi finanziari da parte dei
contrari. Ma anche la promessa, fatta
da parte di chi si è opposto a questa riforma del sistema assicurativo, che ci
sarebbe stata una legge che avrebbe
permesso di vigilare meglio sulle casse
malati. Legge che infatti è stata votata dal Parlamento, la cui applicazione è però messa a rischio
ancora una volta dalle lobby
assicurative ben rappresentate in Parlamento. Pur essendo stata respinta dal
popolo, l’idea di cassa
malati pubblica ha raggiunto oltre il 38% di Sì
a livello svizzero e quasi
il 45% di favorevoli in
Ticino (nel nostro Cantone la campagna a favore l’hanno fatta solo il
PS, i Verdi e gli altri partiti di Sinistra): un segnale
forte dalla popolazione all’indirizzo degli assicuratori
malattia e della politica. Mai
prima di allora un’iniziativa per
cambiare il sistema di assicurazione malattia di base aveva ottenuto
un simile consenso. Le preoccupazioni
uscite durante il dibattito (la caccia ai
buoni rischi, la discriminazione di persone anziane con malattie croniche, il
marketing aggressivo, costoso e molesto, la commistione di interessi fra assicurazione di base obbligatoria e
assicurazioni complementari facoltative e la mancanza quasi totale di trasparenza per quanto riguarda il calcolo
dei premi e delle riserve) necessitano
rapidamente di risposte concrete. A 19
anni dall’entrata in vigore della Lamal
Anche quest’anno i premi cassa malati
aumenteranno e a farne le spese saranno
molte economie domestiche, in particolare le famiglie con figli a carico e i giovani adulti. Una situazione oramai
diventata insostenibile, anche perché con
i costi per l’alloggio e i premi cassa malati sono le prime voci di spesa. Ci vogliono misure urgenti, come l’esenzione
e la riduzione dei premi per i bambini e i
giovani adulti.
è più che mai urgente avere finalmente
un controllo sull’assicurazione malattia, in un settore dove delle imprese pri-
vate gestiscono 25 miliardi di franchi
provenienti dai premi degli assicurati!
Come Socialisti ci stiamo adoperando
affinché i premi cassa malati siano al
massimo pari al 10 % del reddito di
un’economia domestica. Una prima misura è certamente quella di esentare i
premi per i bambini e ridurre i premi
per i giovani adulti. Progetti che sono
attualmente al varo della Commissione
della sicurezza sociale e sanitaria del
Consiglio nazionale e che se applicate
avrebbero un effetto importante per
molte famiglie.
Ci sono poi altri fronti aperti, rispetto ai
quali come Socialisti non possiamo certamente stare a guardare. Da un lato
un rafforzamento delle cure integrate e
della medicina di prossimità. Dall’altro
la necessità di opporsi ai processi di
privatizzazione del settore ospedaliero,
più o meno mascherati, che mettono a
repentaglio la qualità delle cure. Sono
necessari sistemi di regolazione dell’offerta sanitaria a livello nazionale e
cantonale, non solo per la medicina di punta, bensì anche
delle apparecchiature medico-diagnostiche altamente costose grazie a
una base legale federale. Dopo l’entrata
in vigore della
nuova legge sul
finanziamento ospedaliero
nel
2012 si assiste a
privatizzazioni
di
ospedali, outsourcing di
servizi sanitari e collaborazioni pubblico e
privato. Eppure è noto e
dimostrato da numerose
pubblicazioni scientifiche: la concorrenza in
ambito sanitario e la proliferazione dell’offerta portano a un aumento dei costi
sanitari, l’esubero dell’offerta
di apparecchiature medico tecniche genera costi supplementari.
Ecco perché sono da rivedere le condizioni che permettono a gruppi ospedalieri privati di acquisire cliniche ed
ospedali e fare concorrenza al settore
pubblico senza necessariamente migliorare l’offerta delle cure ma contribuendo ad aumentare i costi sanitari.
Un rafforzamento del Partito Socialista
alle elezioni federali permetterà di contrastare gli appetiti delle potenti lobby
degli assicuratori e delle ditte farmaceutiche e fare veramente gli interessi
di tutta la popolazione.
SOCIALITÀ:
UN MODELLO DIVERSO
PER UNA SOCIETÀ CHE CAMBIA!
di Evaristo Roncelli, candidato del PS al Consiglio nazionale
rispecchia un rischio nel
quale un cittadino può incappare nel corso della propria
vita. Oltre alla funzione specifica
però ci sono scopi più generali,
come il mantenimento della pace sociale, la garanzia di pari opportunità
nella vita, la redistribuzione del reddito, la garanzia di un’esistenza dignitosa, tutte conquiste alle quali una
società che si definisce civile non può
rinunciare. Questi obiettivi in Svizzera
sono solo parzialmente soddisfatti.
Basti pensare alla disoccupazione, che
spesso fallisce nel compito del reinserimento professionale e si trasforma in
assistenza, la quale a sua volta spesso
fallisce nella garanzia di uno stile di
vita dignitoso.
In questo senso, il modello elvetico è sicuramente migliorabile, e la Sinistra
come paladina della socialità ha il compito di proporre modelli alternativi, in
grado di garantire l’effetto desiderato,
ma anche la massima semplicità. Il
Il tema della socialità è un tema
fondamentale per il PS, in una
società che presenta sempre
più insidie per il cittadino
come mantenere uno stato
sociale al passo coi tempi.
Negli ultimi decenni la Sinistra
ha faticato a portare un cambiamento nel modo di concepire gli
aiuti pubblici, anche a causa delle pressioni
dei liberisti, che non perdono occasione per
voler demolire le conquiste sociali.
modello scandinavo può essere in
parte d’esempio come sistema per
seguire le persone durante tutto il
corso della vita, cercando
dove possibile di prevenire i rischi e
di cercare un
sentiero individuale
per
ogni
cittadino, a dipendenza
delle
esigenze
del
singolo. Prendiamo ad esempio il caso di una
persona nata con
una disabilità congenita.
In questi casi l’intervento dell’ente
pubblico è fondamentale, può essere
un punto di riferimento per le famiglie
le quali si vedono spaesate in una realtà nuova, spesso costellata di associazioni volenterose ma con le quali
non è sempre semplice interagire. In
questo ambito il compito non è necessariamente quello di fornire il
servizio necessario, ma
quello di dare un punto di
riferimento, e un accompagnamento durante le
scelte che toccheranno necessariamente la vita della
persona con disabilità. Non
dimentichiamoci che scopo
ultimo di questo servizio è
quello di garantire in qualsiasi
momento la vita più autonoma e dignitosa possibile alla persona disabile.
Il PS negli ultimi anni ha promosso
sforzi in questa direzione, con l’iniziativa per una cassa malati unica o con
AVSplus, ma in questo momento di avanzamento culturale
della
Destra
liberista si rivelano imprese difficili. Il primo
compito per noi sarà di ricordare alla popolazione
l’importanza della solidarietà e delle pari opportunità.
In un momento in cui le disparità continuano a crescere non si può
cedere, bisogna ricordare alla popolazione che non può essere
la fortuna, intesa
come fortuna di
nascere nella
famiglia giusta, la
chiave del futuro di una
persona. La sfida è di certo impegnativa ma credo fortemente che se come
fronte progressista riusciremo a far
passare i messaggi, che le conquiste ottenute sono solo un punto di partenza
e non un punto d’arrivo, che abbiamo
un’idea precisa di come il sistema sociale debba evolvere, e che la socialità
non è un costo per la società ma un investimento, in grado di garantire pace
e pari opportunità, riusciremo sicuramente a vincere questa importante
sfida.
35
SOCIALITÀ
La socialità ha diverse funzioni all’interno della società. In Svizzera per diversi motivi storici ci ritroviamo un
sistema molto frastagliato e spesso un
po’ troppo burocratico. Per il cittadino
non è sempre semplice destreggiarsi
fra AVS, AI, sussidi cassa
malati, assistenza, sussidi di formazione, disoccupazione e altri
strumenti.
Chiaramente ogni strumento
ha uno scopo preciso,
che generalmente
ALLOGGI VACANTI...
di Nestor Buratti
PIGIONI
36
PER RICCHI
Nel 2014, per la prima volta da sette anni, il tasso di alloggi vuoti ha superato la soglia psicologica dell’1%. Ma questo dato, pubblicato dall’Ufficio federale di statistica,
non ci deve ingannare: a essere vacanti sono soprattutto le residenze ad alto standing, quelle che in Ticino si continua a costruire. E gli alloggi a pigione moderata?
Beh, quelli si fanno sempre più rari. Tanto che perfino il Cantone prevede un rischio
di riduzione a medio termine.
Mendrisiotto
Al centro di un ipotetico triangolo
ai cui vertici si situano Lugano,
Como e Varese, il Mendrisiotto è
una regione particolarmente attrattiva per chi desidera risiedere
in una zona centrale e facilmente
raggiungibile. Come le altre regioni del Ticino, anche qui emergono però alcune contraddizioni
del mercato immobiliare. A
Chiasso si constata un fenomeno
diverso rispetto agli altri centri del
Ticino: i prezzi degli affitti sono diminuiti e si segnala un incremento
degli abitanti a reddito mediobasso. Al contrario, a Mendrisio
c’è una certa carenza di alloggi a
pigione per queste categorie di
persone. Dal 2005 a oggi, su 610
nuove costruzioni in tutto il Comune di Mendrisio, la metà è composta da proprietà per piani. Si
tratta perciò di alloggi di standard
medio e medio-alto, che di norma
sono destinati a essere venduti.
Questa è la grande contraddizione
dell’immobiliare a Mendrisio:
un’edilizia abitativa che si è sviluppata molto, ma che non è coincisa con un aumento dell’offerta di
abitazioni a pigione. In effetti la
metà del costruito è messa in vendita. Se si considera che una parte
(circa 55) dei nuovi stabili sono a
uso amministrativo, non si può
che constatare che c’è poca costruzione per condomini a pigione.
Conseguenza: una carenza di alloggi a pigione moderata, ossia
per le fasce della popolazione a
reddito medio e medio-basso.
Chi scrive ha l’abitudine, da maggio a
settembre, di prendere la bicicletta e
andare a fare il bagno nella piccola
spiaggia pubblica di Orino, situata tra
Agno e Figino, nel Comune di Collina
d’Oro. In località Muzzano, poco dopo
la scuderia e le serre ortofrutticole,
dove una volta c’erano dei canneti e
una riserva naturale, sono da poco
sorte quattro palazzine con accesso al
lago. Dopo diverse peripezie (problemi
ambientali, revoca della licenza, cambio
dei promotori eccetera), la residenza
Cristal è oggi sul mercato: «Posto all’in-
terno di una riserva naturale di 10’000
metri quadrati, esclude altri progetti di
costruzione garantendo di fatto la conservazione di quest’idillio anche in futuro (…) come si conviene alle esigenze
di un’abitazione di alto livello, sono
stati curati tutti i dettagli, creando una
buona miscela tra design, materiali di
alta qualità ed un armonioso concetto
di luce (...)». Prezzo per due locali e
mezzo? Più di un milione di franchi.
Preferisci l’attico? Allora i milioni da
sborsare sono 5,5. In buona sostanza,
stiamo parlando di un ennesimo investimento immobiliare non certo destinato ai comuni mortali che cercano
casa nel Luganese. Per di più, questa
residenza è stata costruita in zona pregiata ed è un pugno in un occhio per chi
– residente o turista – si rilassa nelle vicinanze del Golfo di Agno. Viene da
chiedersi: ce n’era davvero bisogno?
Il tasso di alloggi vuoti ha superato la
soglia psicologica dell’1%, come abbiamo detto. Tuttavia siamo ben lontani
dalla fine della penuria di appartamenti
che, nel nostro Paese, è ormai endemica. Infatti dal 1980 il tasso di affitti
vacanti è inferiore all’1,5%, proporzione che di norma è indicata per definire l’equilibrio. Inoltre la media
nazionale non dice nulla sulla realtà
delle regioni e delle loro specificità. Se
oggi c’è il 2,5% degli alloggi vuoti nel
Canton Giura, nel Canton Ginevra
siamo allo 0,39%. Nel 2014 le abitazioni
vuote in Ticino hanno toccato le 1’847
unità, raggiungendo un tasso dello
0,83%. Ma anche qui occorre prendere
questo dato con le pinze: la disparità tra
regioni – tra città e periferia o tra piano
e montagna – è grande. Insomma, se la
statistica ufficiale ci informa sul numero
di appartamenti vacanti, essa non ci dà
alcuna indicazione sui prezzi praticati e
quindi sulle difficoltà che le persone
delle fasce economicamente mediobasse hanno nel trovare un alloggio
adeguato a pigione moderata. Secondo
l’Ufficio federale delle abitazioni, la
maggior disponibilità di abitazioni concerne soprattutto le nuove costruzioni
non ancora abitate o le abitazioni destinate alla vendita, mentre il tasso di alloggi in affitto a disposizione resta al di
sotto della media. D’altronde basta os-
Locarnese
Nel Locarnese il mercato immobiliare è particolarmente orientato ai Tedeschi
e agli Svizzero-tedeschi. Anche qui, come a Lugano, a partire dal 2005 si è
costruito moltissimo, tanto che il numero di compravendite a persone d’Oltralpe e stranieri ha superato quelle agli autoctoni. Insomma, sulle rive del
Verbano si costruisce molto, ma la metà dell’edificato viene venduto ai Tedeschi perché sono disposti a pagare di più. Il problema è però che questa spinta
verso l’alto tocca anche gli alloggi in affitto. Infatti i vecchi stabili vengono ristrutturati secondo le attuali condizioni di mercato.
Le conseguenze maggiori della pressione verso l’alto dei prezzi dell’immobiliare in affitto toccano principalmente le zone centrali di Locarno, dove i promotori immobiliari hanno più interesse a vendere delle PPP. L’innalzamento
dei prezzi constatato preclude così alla classe media e medio-bassa di trovare
una possibilità di alloggio in centro, vicino ai mezzi di trasporto pubblico.
Considerata l’importanza delle residenze secondarie per Locarno, il paesaggio
urbano rischia di diventare un po’ desolante, vuoto. Insomma, per dirla tutta,
con tutti questi letti freddi c’è il rischio che Locarno diventi a sua volta un
po’… freddina.
servare i tabelloni dove sorgono i cantieri o percorrere gli annunci immobiliari per constatare che, ad esempio in
Ticino, si promuovono (quasi) esclusivamente oggetti di lusso – di standing
superiore, come si dice – proposti a
prezzi inaccessibili alla gran parte di
chi cerca casa.
È finita la cuccagna?
Da molto tempo ormai i tassi ipotecari
sono molto bassi: questo ha provocato
un boom immobiliare per certi versi
spettacolare. Tuttavia i promotori non
hanno costruito quello che serviva dove
serviva (vedi l’esempio di Muzzano). Leggiamo in una recente pubblicazione del
Dipartimento del territorio: «(…) il costo
unitario degli oggetti venduti dal 2005 a
oggi è aumentato a prezzi costanti di un
20%. L’aumento è in parte determinato
dalla presenza, acutizzatasi di recente
nel centro luganese e in certi comparti
del Locarnese, di compravendite di oggetti «esclusivi» destinati ai non domici-
37
PIGIONI
Occhio alla statistica
Bellinzonese
PIGIONI
38
A Lugano sono soprattutto Italiani
e Russi. A Locarno prevalgono i
germanofoni, svizzeri o tedeschi. E
a Bellinzona? A essere attirati
dalla prospettiva di abitare nella
Capitale sono soprattutto i Ticinesi. A dirlo è il già citato studio
promosso dal Dipartimento del
territorio: dal 2005 a oggi, nelle
zone centrali di Bellinzona è raddoppiato il numero di compravendite proprio con acquirenti
domiciliati nel Cantone.
Questo fermento immobiliare è un
fenomeno nuovo per una città che
non era abituata ad avere un ruolo
di primo piano nel mercato cantonale dell’alloggio. Ma negli ultimi
anni un certo fervore edilizio e un
conseguente rincaro dei prezzi
vengono segnalati anche nel Bellinzonese. Sebbene qui il prezzo
medio delle transazioni resti inferiore rispetto a quello medio cantonale, anche nella Capitale si è
notevolmente intensificato il mercato immobiliare, con importanti
incrementi tanto nel numero di
transazioni quanto nel prezzo unitario delle abitazioni. Come ribadisce il già citato studio, «il
Bellinzonese soddisfa una domanda di abitazione in proprietà
nel Centro o nel suburbano che, in
particolare nel Luganese, si scontra con prezzi troppo elevati».
L’effetto AlpTransit è di sicuro un
elemento importante per spiegare
la recente maggior attrattiva di
Bellinzona. La Capitale, oltre che
diventare più vicina alla Svizzera
interna, sarà sempre più prossima
a Lugano. Il mercato immobiliare
nelle aree centrali del Bellinzonese
sembra quindi già anticipare gli effetti dell’apertura della galleria del
Monte Ceneri, a beneficio di una
maggior vicinanza con il Luganese. Lo testimonia l’aumento
delle transazioni di PPP destinate
a persone domiciliate in Ticino e
situate nelle aree centrali, in prossimità di diversi servizi, tra cui
l’accesso al trasporto pubblico.
La crescita di attrattiva di Bellinzona è di sicuro un fattore positivo.
Occorre però vigilare che non si
verifichino anche qui gli effetti perversi segnalati altrove: a Lugano,
Locarno e Mendrisio, la costruzione e la vendita di PPP hanno
comportato una progressiva erosione del parco alloggi in affitto, in
particolare nei centri, dove il rincaro preclude ormai la possibilità
per una parte dei cittadini attivi di
rimanervi o di accedervi.
liati molto facoltosi, ciò che si ripercuote
anche sui prezzi degli oggetti acquisiti da
persone domiciliate in Ticino (…)». In sostanza, in tutto il Cantone il mercato
della residenza secondaria è stato abnorme, con i prezzi che sono aumentati
in media del 20%. La creazione di un
segmento di mercato parallelo a quello
della residenza primaria ha così, inevitabilmente, spinto al rialzo generale dei
prezzi dell’immobiliare. Oggi però l’euforia sembra essere un po’ passata, tanto
che gli esperti segnalano una certa saturazione del mercato e un progressivo
passaggio dall’acquisto all’affitto. A detta
di alcuni imprenditori immobiliari, il
mercato potrebbe riorientarsi presto su
quella clientela indigena che «era rimasta tagliata fuori dai prezzi esorbitanti».
Lasciamo fare al mercato?
Se da un lato sono aumentate le vendite
di ville, attici per ricchi e appartamenti
in proprietà per piani (PPP), dall’altro gli
appartamenti a pigione moderata continuano a diminuire. Soprattutto a Lugano, dove, anche nei quartieri popolari,
operazioni di speculazione immobiliare
hanno spinto i cittadini dei ceti medio e
basso a trasferirsi nelle zone periferiche.
In città l’accesso all’alloggio è un problema che tocca da vicino sempre più
persone e la situazione è particolarmente
grave e tesa. Il Partito Socialista cittadino
e l’ASI hanno promosso un’iniziativa popolare che ha spinto la Città a una riflessione.
Di fronte a questo malfunzionamento, si
percepisce male come il mercato possa
autoregolarsi da solo. La mano invisibile
di Adam Smith non funziona (nemmeno)
per il mercato immobiliare. Un intervento pubblico resta quindi indispensabile. Il recente Piano cantonale
dell’alloggio afferma che «in Ticino non
vi è garanzia che gli alloggi a pigione sostenibile possano durare nel tempo» e si
prevede un rischio riduzione nei prossimi 10-15 anni. Tuttavia, come constatato dall’Associazione degli inquilini
della Svizzera italiana (ASI), in alcune
zone del Cantone la disponibilità di alloggi a pigione moderata è già un’imminente necessità. Malgrado ciò, negli
ultimi anni gli interventi pubblici in questo settore fondamentale sono stati
pochi. Noi pensiamo che non debba essere soltanto la legge della domanda e
dell’offerta a decretare le tendenze del
mercato immobiliare, ma che occorra intervenire con urgenza con una politica
dell’alloggio che favorisca i prezzi accessibili e promuova iniziative concrete a
corto e medio termine sul tema degli alloggi a pigione moderata.
Luganese
Due mondi, due universi paralleli che non sembrano avere niente in comune:
a questo assomiglia il mercato dell’alloggio di Lugano. Da un lato le fasce più
deboli della popolazione che, a volte vittime delle speculazioni, fanno sempre
più fatica a trovare un alloggio conveniente in città. Dall’altro i super-ricchi,
spesso cittadini stranieri beneficiari di forfait fiscali, che negli ultimi anni
hanno fatto balzare alle stelle la domanda per appartamenti e abitazioni di
lusso in città. Due mondi in apparenza lontani anni-luce uno dall’altro. Eppure
non è così: infatti i cittadini economicamente meno avvantaggiati sono costretti a subire le conseguenze derivanti dall’aumento della domanda di abitazioni di lusso.
Come rivela un recente studio pubblicato dal Dipartimento del territorio, nel
centro di Lugano dal 2005 il mercato estero «è a dir poco esploso con un incremento superiore al 50% sia in numero di transazioni, sia nei prezzi». Ora,
questa dinamica ha trascinato al rialzo tutti i prezzi delle transazioni, anche
per gli acquirenti già domiciliati. Nel 2013, secondo Comparis, le pigioni in
Svizzera sono salite dell’1,84%, in Ticino del 4,15%. La zona più colpita dal
rialzo è quella di Lugano. Un fenomeno che coinvolge anche i quartieri tradizionalmente più popolari.
Negli ultimi anni, complice una forte domanda, si sono costruiti anche diversi
appartamenti per ricavarne un profitto immediato ed elevato, soprattutto con
la vendita di appartamenti in proprietà per piani (PPP). Queste abitazioni, magari di standing un po’ meno elevato di quelle destinate ai super-ricchi, restano comunque inaccessibili a gran parte dei residenti. Inoltre l’incremento
delle vendite di PPP nelle zone popolari è inevitabilmente accompagnato da
una diminuzione progressiva del parco alloggi in affitto. Se a questo fenomeno
si aggiunge che le ristrutturazioni convertiranno gli attuali appartamenti a
buon mercato in abitazioni allineate all’evoluzione dei prezzi, appare evidente
che l’accesso all’abitazione in centro città diventerà sempre più socialmente
problematico. Il già citato studio cantonale afferma infatti che a Lugano «permane la tendenza all’espulsione delle famiglie verso i Comuni periferici» e
che questa evoluzione del mercato immobiliare «limita, se non preclude, l’insediamento nel centro di Lugano di persone occupate che lavorano in città o
sono pendolari».
LA LOBBY
Berna, 2 dicembre 2014: a margine
della sessione invernale delle Camere
federali una quarantina di parlamentari
si ritrova per discutere di immobiliare
con i membri delle varie associazioni di
categoria del Paese. Si tratta della
prima riunione del neo-costituito intergruppo parlamentare «Proprietà del
suolo e alloggio». Creato nell’estate
dello scorso anno, questo gruppo,
«aperto a tutti i consiglieri nazionali e
consiglieri degli Stati», ha come obiettivo quello di «sensibilizzare gli eletti federali
alle
preoccupazioni
dei
proprietari privati e istituzionali in vista
di migliorare le condizioni quadro che
regolano il settore immobiliare»: il testo
fra virgolette è ricavato dal comunicato
stampa con cui si annuncia la creazione
della combriccola.
Di norma, gli oggetti parlamentari che
hanno un’incidenza sulla proprietà fondiaria e l’economia immobiliare danno
sistematicamente luogo alla redazione
di una scheda destinata ai consiglieri
nazionali e ai consiglieri agli Stati. Se la
Confederazione non è competente in
materia di politica dell’alloggio, le condizioni quadro della proprietà immobiliare dipendono però in larga misura
dalle decisioni prese dal Parlamento federale. Diritto di locazione, sviluppo
territoriale, mercato ipotecario, fiscalità: sono numerosi gli ambiti della politica federale che toccano gli interessi
dei proprietari. Ecco quindi che gli ambienti immobiliari hanno deciso di rafforzare la propria presenza a Berna.
Già, perché poi il popolo non la pensa
proprio come loro. Nel 2012, vero e
proprio «annus horribilis», il settore ha
perso ben tre votazioni popolari: l’approvazione dell’iniziativa Weber e della
legge sulla pianificazione del territorio
(LPT) nonché la bocciatura dell’iniziativa promossa proprio dall’Associazione
Meno conosciuta di quella delle casse
malati, la lobby dei proprietari fondiari e
dell’immobiliare è anch’essa molto attiva
sotto la Cupola di Palazzo federale.
svizzera dei proprietari (APF-HEV Svizzera).
Al timone del neocostituito gruppo interparlamentare sono stati chiamati tre dei
principali deputati che operano a difesa
degli interessi del settore immobiliare:
Hans Egloff (UDC-ZH), che presiede l’associazione svizzero-tedesca dei proprietari
(HEV
Schweiz),
Brigitte
Häberli-Koller (PPD-TG), anche lei
membra di HEV, e Olivier Feller (PLRVD), che è alla testa del segretariato generale della FRI e della Camera
immobiliare vodese. I tre consiglieri nazionali sono molto attivi nel promuovere
atti parlamentari a favore del mondo
dell’immobiliare. Nel 2014 Feller suscitò
stupore poiché, nella duplice veste di deputato e di segretario generale della
FRI, depositò un’iniziativa parlamentare
dal titolo: «Diritto di locazione. Il rendimento ammissibile non deve più dipendere
dal
tasso
ipotecario
di
riferimento». In sostanza, il Consigliere
nazionale vodese voleva lasciare un po’
più sciolto il tasso di rendimento immobiliare. Nel 2008 fu trovato un compromesso e instaurato un tasso ipotecario
di riferimento svizzero che permette di
addolcire le ripercussioni delle forti fluttuazioni del tasso ipotecario reale sulle
pigioni. Oggi il tasso scende e quindi i
proprietari dovrebbero abbassare le pigioni, ma gli stessi proprietari chiedono
di cambiare le regole del gioco. «`È una
dichiarazione di guerra», ha tuonato
dalle colonne della «Tribune de Genève»
il consigliere nazionale ginevrino Carlo
Sommaruga, segretario generale di
Asloca in Svizzera romanda.
Oltre ai tre presidenti dell’intergruppo
parlamentare, numerosi altri deputati
si distinguono per la loro militanza
nella lobby immobiliare e per la battaglia nella difesa dei suoi interessi. A fine
dicembre dello scorso anno, il consigliere nazionale Hugues Hiltpold (PLRGE), membro dell’Unione svizzera dei
professionisti dell’immobiliare (USPI),
ha depositato un’interpellanza parlamentare dal titolo: «Abolizione del tasso
ipotecario di riferimento nel calcolo del
reddito ammissibile». Ma la lista degli
atti parlamentari è troppo lunga. Ci limitiamo a fornivi i nominativi dei difensori del settore, senza tenere conto di
chi, come Fabio Regazzi, ha un mandato presso una società immobiliare.
In generale l’UDC è il partito che ha i legami più stretti con i proprietari di immobili. Hans Egloff, che a maggio ha
intrapreso a suon di mozioni una sua
personale battaglia contro l’accesso facilitato al registro fondiario, ha concesso le sue due autorizzazioni (quelle
che Lorenzo Quadri ha dato a due rappresentanti di Sunrise) ad Albert Leiser,
che guida l’Associazione proprietari di
casa di Zurigo, e ad Ansgar Gmür, direttore di HEV Schweiz. Altri consiglieri
nazionali dell’UDC sono membri di
HEV: Thomas Müller fa parte dell’associazione mantello nazionale (e ha concesso un pass a un altro membro),
Gregor Rutz è membro di quella zurighese (assieme alla liberale Petra
Gössi), Walter Wobbman di quella solettese, Roland Rino Buchel di quella
dell’Oberrheintal, Verana Herzog di
quella di Frauenfeld, Hansjörg Knecht
di quella di Argovia, mentre Thomas de
Courten ha concesso una delle sue autorizzazioni a un membro della HEV di
Basilea Campagna. Insomma, altro che
il partito dei contadini: questo è il partito dei palazzinari!
39
PIGIONI
di Franco Montale
IMMOBILIARE
PIGIONI
di Nestor Buratti
PIGIONI
40
Questa diminuzione sarà automatica?
No, questa diminuzione purtroppo non
è automatica. È necessario che l’inquilino si attivi per inoltrare una richiesta
al proprio locatore, rispettando il preavviso e le scadenze contrattuali. La richiesta non ha effetto retroattivo, per
questo è importante attivarsi il prima
possibile per domandare la riduzione
della pigione. Noi consigliamo ovviamente ai nostri associati di farlo. D’altro
canto le amministrazioni non concedono la riduzione di loro spontanea volontà, ma attendono, com’è ovvio, una
richiesta in tal senso.
La legge cosa prevede?
Dal 2008 a oggi gli interessi ipotecari si
sono quasi dimezzati e i proprietari ne
beneficiano, invece per gli inquilini le
pigioni continuano ad aumentare. Il
tasso di riferimento è passato oggi dal
2 all’1,75%. Ora, sulla base della legge
e secondo il diritto di locazione, la maggior parte degli inquilini ha diritto a una
diminuzione degli affitti. Noi domandiamo ai proprietari di adattare le pigioni al nuovo tasso di riferimento entro
il termine più vicino. In questo modo
anche gli inquilini possono beneficiare
del risparmio avuto dai loro locatori
sugli interessi ipotecari che non devono
più pagare.
Gli ambienti immobiliari dicono però
che altri fattori impediscono di concedere una diminuzione.
È vero: vi sono altri fattori di cui bisogna tener conto nel fissare la pigione.
L’inflazione, i costi di utilizzo e i lavori
di rinnovamento o di miglioria dell’appartamento o dell’immobile. Ora, l’inflazione non compensa mai le
diminuzioni legate al tasso ipotecario.
In certi casi essa è nulla o negativa.
Quanto ai costi di utilizzo dell’immobile,
bisogna contestare i calcoli forfettari,
non ammessi né dalla legge né dal Tribunale federale, ed esigere il calcolo
esatto della loro evoluzione, ciò che genera spesso delle sorprese piacevoli agli
inquilini. E, per quanto concerne i lavori di rinnovamento e miglioria, anche
in questo caso bisogna domandare i
GIÙ!
È una giornata particolare quando, il 1.
giugno scorso, facciamo visita all’ufficio
di Massagno dell’Associazione Svizzera
Inquilini (ASI). In coincidenza con quella
data, l’Ufficio federale delle abitazioni
(UFAB) ha comunicato che il tasso ipotecario di riferimento nei contratti di locazione è sceso ulteriormente all’1,75%
(–0,25% rispetto al trimestre precedente). Mai tale indicatore è stato così
basso. Cosa significa? In poche parole,
ciò vuol dire che i proprietari di immobili
risparmiano e di conseguenza guadagnano di più. Per questo l’UFAB ha comunicato che gli inquilini hanno in principio
il diritto a ottenere una diminuzione
degli affitti del 2,91%. Noi ne abbiamo
parlato con Valentina Vigezzi Colombo,
segretaria generale della sezione della
Svizzera italiana dell’ASI.
conti precisi, poiché sono a volte parzialmente finanziati con delle sovvenzioni e/o comunque parte di essi celano
in realtà anche lavori di manutenzione
straordinaria, non imputabili all’inquilino. Attualmente per gli inquilini è il
miglior momento della storia recente
per chiedere una diminuzione degli affitti.
Un’altra buona notizia recente è il
messaggio del Consiglio federale secondo cui in tutta la Svizzera i proprietari dovranno comunicare la
pigione precedente nel caso di stipulazione di un nuovo contratto di locazione. Un passo importante verso la
trasparenza?
Certamente: se il Parlamento approverà
il messaggio, il mercato dell’alloggio aumenterà la sua trasparenza. L’indicazione esplicita della pigione precedente
dovrebbe attenuare gli abusi e in particolare l’aumento ingiustificato degli affitti che si verifica spesso, per non dire
quasi sempre, a ogni cambio di inquilino, nonostante in concreto l’ente locato non venga in alcun modo
migliorato.
In alcuni Cantoni questa prassi è già
in vigore. Vi sono risultati concreti?
Le esperienze dei sei Cantoni che oggi
impongono la trasparenza, cioè Gine-
L’ASI: 100 anni di impegno
a favore degli inquilini
Era il 1915: l’associazione degli inquilini di Ginevra indisse il primo congresso nazionale degli inquilini, che si
tenne a Bienne il 31 gennaio di quell’anno. I rappresentanti degli inquilini chiesero alla Confederazione più
protezione e un maggior diritto di locazione. In precedenza
le associazioni degli affittuari erano attive a livello regionale
e nelle grandi città. L’industrializzazione stava portando sempre più persone
verso i centri. Le condizioni di abitabilità cominciavano a degradarsi progressivamente e diversi proprietari avevano compreso dove si situavano i loro interessi. Già all’inizio del secolo alcuni proprietari apparivano come «usurai
feroci». Nella brochure «La questione dell’alloggio a Losanna», il politico
Charles Naine domandava alla città di sottrarre dei terreni alla speculazione
per costruire degli alloggi a buon mercato. Naine illustrò i suoi propositi con
l’esempio di un immobile il cui valore è stimato a 30 mila franchi nel 1888 e
che in 24 anni ha più che triplicato il proprio valore: 105mila franchi. Oggi
quella dell’ASI è una presenza sempre più necessaria, a fianco degli inquilini
e a favore del diritto ad alloggi adeguati. Ogni anno migliaia di inquilini richiedono una consulenza, ottengono protezione giuridica e possono contare
sull’aiuto di professionisti grazie alla loro affiliazione all’Associazione.
Nonostante la situazione particolarmente delicata, il Consiglio federale
continua a delegare ai Comuni e ai
Cantoni i compiti legati alla politica
dell’alloggio. Cosa rimproverate al
Governo?
In dicembre il Governo ha fatto il punto
sulla politica dell’alloggio, dopo aver
preso conoscenza del secondo rapporto
redatto dal gruppo di dialogo in materia
di alloggio tra Confederazione, Cantoni
e città. Si invitano Cantoni e Comuni a
verificare la possibilità di introdurre
nuovi aiuti individuali per la promozione dell’alloggio e a pensare misure
di pianificazione territoriale. Il Governo
ha però deciso di rinunciare a introdurre il diritto di prelazione dei Comuni
per favorire un’edilizia a basso costo
o di utilità pubblica, poiché ritiene
che tale diritto influenzerebbe il
mercato e per di più comporterebbe
un ingente dispendio per i Comuni.
Ora, di fronte alla penuria di alloggi e al costante aumento
dei canoni di locazione,
nonostante i tassi ipotecari in continua discesa, il Consiglio
federale ha rinunciato purtroppo a
proporre interventi incisivi per sostenere la politica dell’alloggio, nonostante
quest’ultimo, anche nel recente messaggio federale sull’introduzione del formulario ufficiale a inizio locazione,
abbia riconosciuto che c’è tensione nel
settore dell’alloggio. Pertanto l’ASI non
può che attivarsi per fermare l’aumento indiscriminato degli affitti e
garantire alloggi a pigione moderata: verrà quindi dato avvio il
prossimo autunno a una
campagna per la raccolta
delle firme per portare
avanti un’iniziativa popolare proprio per alloggi accessibili a tutti!
41
PIGIONI
vra, Vaud, Neuchâtel, Friborgo, Nidvaldo, Zugo e Zurigo, mostra che i proprietari tendono a moderare gli aumenti
degli affitti al cambio di inquilino e dal
canto loro i conduttori si attivano già
all’inizio della locazione a contestare un
aumento se non è giustificato da una
controprestazione. Un’inchiesta dell’ufficio immobiliare CIFI rivela un effetto
reale del formulario ufficiale che attenua
l’evoluzione degli affitti. Per questo motivo chiediamo alle Camere federali di
adottare rapidamente il messaggio del
Consiglio federale.
Veniamo al Ticino, dove
il Governo ha da poco
presentato il Piano cantonale
dell’alloggio
(PCA). Qual è la vostra riflessione?
L’iniziativa popolare
1 su 10: è questa la quota di nuove costruzioni da destinare ad alloggi di utilità
pubblica e a pigione moderata. Non solo: i Comuni e i Cantoni dovrebbero
avere il diritto di prelazione per arrivare a questa percentuale. E basta con gli
aumenti esagerati degli affitti giustificati con i risanamenti energetici finanziati
con programmi pubblici. Sono le conseguenze dell’iniziativa popolare che
verrà lanciata all’inizio di settembre dall’Associazione svizzera degli inquilini.
Perché va bene l’obbligo per i proprietari di comunicare e motivare ai nuovi
inquilini l’aumento dell’affitto rispetto alla locazione precedente: il Consiglio
federale ha mosso un passo nella giusta direzione. Però quella strada va percorsa con decisione, esigendo misure più incisive in difesa di chi affitta. Perciò,
dove non arriva il mercato, deve intervenire lo Stato, calmierando le pigioni
con un’offerta alla portata delle tasche anche di chi ha pochi mezzi.
Tasso
di riferimento:
che cos’è?
Il tasso d’interesse di riferimento è
basato sul tasso d’interesse medio
ponderato dei crediti ipotecari in
Svizzera, che è calcolato ogni trimestre e poi pubblicato dall’Ufficio federale dell’abitazione. Dal 10
settembre del 2008 gli affitti sono
fissati in tutta la Svizzera sulla base
di un tasso d’interesse di riferimento unico. Questo ha rimpiazzato
i tassi per le ipoteche a tassi variabili valevoli fino ad allora in ogni
Cantone.
PIGIONI
42
Il Cantone ha presentato uno studio di
per sé interessante, ma che dipinge un
quadro della situazione troppo ottimistico. Promosso dal Dipartimento della
sanità e della socialità, lo studio mostra
come la situazione attuale del Cantone
non presenta situazioni critiche, ma a
livello regionale, in particolare nelle
aree urbane di Lugano e Locarno, a
medio termine potrebbero emergere
carenze significative nell’offerta. Ora, la
carenza in realtà è già in atto e con questa situazione allarmante siamo confrontati ogni giorno nei nostri Uffici
regionali. Inoltre il PCA propone il sostegno di cooperative e/o enti di pubblica utilità che dovrebbero, tramite
l’acquisto e/o la costruzione e/o il rinnovo di immobili già esistenti, colmare
la mancanza di alloggi a pigione moderata che si presenterà tra circa 10 anni.
Questo approccio non può che suscitare
perplessità, considerando come in Canton Ticino non c’è mai stato un tessuto
sociale che ha permesso l’introduzione
di simili enti e, come pacificamente riconosciuto dal PCA, il parco alloggi è
sostanzialmente in mano a proprietari
privati. Noi auspichiamo pertanto che
l’ente pubblico, cantonale o comunale,
agisca in maniera più incisiva e sin da
subito, in prima persona, tramite provvedimenti normativi, così come peraltro
già avvenuto in passato.
Come chiedere
una diminuzione dell’affitto?
La diminuzione non è automatica, ma è necessario che gli inquilini si attivino
e facciano valere da soli i propri diritti. Come fare? In primo luogo bisogna
identificare il tasso ipotecario sul quale si fonda il proprio contratto di locazione, che è stabilito sulla base del giorno in cui è stato sottoscritto. Se questo
è più elevato dell’1,75%, bisogna poi rivolgersi in forma scritta, tramite raccomandata, al proprietario dell’immobile. Questa richiesta deve essere fatta
per la prossima scadenza del contratto, rispettando il termine di preavviso
contrattuale.
La situazione è particolarmente critica nel Luganese, dove, oltre a fenomeni di speculazione, si sa che nei
prossimi anni gli alloggi sussidiati
perderanno questo statuto. Com’è attualmente la situazione?
Il Luganese resta un campo di battaglia
dove constatiamo fenomeni di speculazione e abuso. Un po’ ovunque siamo
confrontati con disdette-ristrutturazioni, con palazzi che vengono venduti
e svuotati per essere riattati, per poi venire venduti o riattati. I dati statistici
confermano che si sta assistendo a una
progressiva spinta delle persone con un
reddito basso verso la periferia della
città, mentre il centro è sempre più un
luogo per ricchi cittadini stranieri.
L’iniziativa popolare promossa
nel 2012 dall’ASI e dal
Partito Socialista ha forse fornito l’occasione per esaminare la situazione e valutare delle possibili iniziative concrete
a corto e medio termine sul tema degli
alloggi a pigione moderata. Entro il
2025 tutti gli attuali appartamenti sussidiati torneranno sul libero mercato.
Gli inquilini che beneficiano di tali sussidi, selezionati in base a criteri ben
precisi, si troveranno così nella situazione in cui verrà chiesto loro di pagare
l’affitto al prezzo di mercato. Cosa che
spesso e volentieri non è nemmeno
pensabile.
CHI È
Dal 2009 Valentina Vigezzi Colombo si è trasferita in Canton Ticino, dove ha lavorato come
avvocato in un piccolo studio legale del Luganese. Poi dal 2014 è entrata a far parte dell’Associazione Svizzera Inquilini / Federazione della
Svizzera
Italiana
(ASI/FSI), in qualità di
consulente e segretaria
generale, sostenendo e
perseguendo così la difesa dei diritti degli inquilini.
UNA PRIORITÀ
Qual è il ruolo e quali sono le priorità
dell’UFAB?
L’UFAB è l’autorità competente per
l’esecuzione della politica dell’alloggio
della Confederazione. Le nostre priorità
sono la promozione dell’alloggio e le
questioni relative al diritto di locazione.
C’è stata un’epoca in cui certi ambienti borghesi avevano tentato di
sopprimere il vostro Ufficio.
A seconda della situazione sul mercato
degli alloggi, l’UFAB ha ricevuto un soccorso politico più o meno marcato.
Negli ultimi tempi l’aumento dei prezzi
a livello regionale ha di nuovo messo in
secondo piano la questione della ragion
d’essere del nostro ufficio.
Oggi qual è l’importanza dell’alloggio
nella politica nazionale?
Oggi più di ieri, il tema rimane uno dei
più importanti nell’agenda nazionale.
Infatti la domanda di alloggi non è legata solo alle sfide sociopolitiche, ma
anche alla libera circolazione delle persone, all’incremento demografico, alla
protezione delle superfici coltivate e alla
strategia energetica 2050.
Per il Consiglio federale l’offerta di
alloggi deve essere determinata dal
mercato. Ciò provoca diversi problemi
inerenti l’accesso all’alloggio per le
persone più sfavorite così come alle
pratiche speculative. In questo senso,
quali sono le principali problematiche
che constata?
L’approvvigionamento garantito dall’economia di mercato non ha dato risultati così negativi come a volte si
crede. In media la popolazione svizzera
abita in alloggi di buona qualità e di dimensioni adeguate e per la maggioranza dei cittadini i costi abitativi sono
sostenibili, come confermano anche alcuni studi comparativi internazionali.
D’altro canto bisogna riconoscere che,
quando la domanda supera l’offerta,
per le persone più svantaggiate è particolarmente difficile trovare un alloggio.
Oltre a estendere l’offerta e a ridurre i
prezzi, sarebbe necessario adottare mi-
Quello della casa è un tema sempre più
importante in Svizzera. Ma qual è il margine di manovra della Confederazione?
Ne abbiamo discusso con Ernst Hauri, direttore dell’Ufficio federale delle abitazioni (UFAB).
sure d’accompagnamento specifiche. A
mio avviso queste ultime non andrebbero prese a livello federale, bensì a livello locale o regionale. Nell’ambito
delle nostre attività di ricerca e informazione possiamo proporre delle soluzioni e comunicarle al grande pubblico.
Anche l’obbligo di notifica della pigione
precedente da poco stabilito dal Consiglio federale dovrebbe contribuire a limitare gli aumenti ingiustificati
degli affitti dopo un cambio
d’inquilini.
Nel centro di diverse città
svizzere si constata un aumento delle pigioni. Diverse persone della classe
media sono costrette a lasciare la città e si trasferiscono in periferia.
Come limitare questo fenomeno?
Secondo noi, la promozione
della costruzione di abitazioni di utilità pubblica è
uno strumento utile per far
sì che la popolazione delle
città mantenga un certo
grado di mescolanza sociale. Poiché gli alloggi di
nuova costruzione sono relativamente
cari anche nel settore dell’utilità pubblica, non sono tanto le persone con
scarse risorse economiche a sceglierli
quanto piuttosto la classe media. A
causa dei costi di locazione, occorre
tempo affinché questi alloggi diventino
convenienti e accessibili anche alle
fasce di reddito più basse. Per questo è
importante sostenere in maniera costante la costruzione di abitazioni di utilità pubblica.
Negli Anni Settanta la Confederazione aveva istituito un sistema di
sovvenzioni cantonali e federali per
l’alloggio. Questo sistema ha un limite
temporale e presto questi alloggi ritornano sul mercato. A Lugano, per
esempio, da qui al 2025 tutte le sovvenzioni giungeranno a termine. La
Svizzera non necessiterebbe di una
nuova politica sociale dell’alloggio?
Alcuni anni fa il Consiglio federale ha
deciso di limitare la promozione dell’alloggio al sostegno alla costruzione di
abitazioni di utilità pubblica. Poiché la
situazione finanziaria della Confederazione non è delle migliori, è improbabile che in futuro un programma di
sussidi come quello degli Anni Settanta
trovi una maggioranza politica che lo
sostenga.
Il settore pubblico dovrebbe
investire
maggiormente
nella costruzione
di alloggi di pubblica utilità?
Oggi la questione
non riguarda più di
tanto l’aspetto finanziario. In alcune regioni, tra cui il Ticino,
mancano gli operatori che svolgono
un’attività di utilità pubblica, mentre in
altri posti ci sono ma non sono disposti
a incrementare la propria attività. Insomma, il vero problema è che spesso
gli operatori che svolgono un’attività di
utilità pubblica fanno fatica a ottenere i
terreni adeguati.
In questo senso, qual è il margine di
manovra dei promotori di progetti di
pubblica utilità?
Nella competizione per aggiudicarsi i
terreni, gli operatori che svolgono un’attività di utilità pubblica concorrono con
altri investitori che, ad esempio, vogliono costruire alloggi di proprietà.
Quindi nelle aree urbane i prezzi dei
terreni raggiungono rapidamente un livello che non permette più di costruire
abitazioni di utilità pubblica. Pertanto i
committenti sono obbligati a rivolgersi
ai Comuni affinché mettano loro a disposizione dei terreni adeguati a condizioni
vantaggiose,
ad
esempio
applicando il diritto di superficie.
43
PIGIONI
di Franco Montale
POLITICA
Nel 2012 l’UFAB ha sottoposto delle
proposte al Consiglio federale, indicando delle vie intese a facilitare l’accesso ai terreni costruibili per degli
alloggi di pubblica utilità. A che punto
siamo?
PIGIONI
44
Nel 2014 il Consiglio federale ha modificato le disposizioni legali, permettendo che i mutui agevolati della
Confederazione siano utilizzati non solo
per la costruzione o la ristrutturazione
di alloggi, ma anche per l’acquisto di
terreni. Inoltre abbiamo verificato a
quali condizioni sarebbe possibile concedere ai Comuni un diritto di prelazione per la costruzione di alloggi di
utilità pubblica. Alla fine del 2014 è
stato pubblicato un rapporto sul tema.
Su questa base il Consiglio federale ha
deciso di abbandonare momentaneamente il progetto. Inoltre l’UFAB ha elaborato un «kit modulare» che indica
alle città e ai Comuni come sostenere,
anche a lungo termine, gli alloggi a
prezzi moderati.
Diversi atti parlamentari chiedono
che delle proprietà della Confederazione o delle regie federali come le
FFS siano messe a disposizione per
degli alloggi di pubblica utilità. Cosa
ne pensa?
Sono state fatte le valutazioni necessarie. Di norma, i terreni di armasuisse
non si prestano alla costruzione di alloggi e, qualora si prestino, armasuisse
collabora con i Comuni interessati. In
tal caso si possono prendere in considerazione anche progetti per costruire alloggi di utilità pubblica. Per quanto
riguarda le FFS, bisogna riconoscere
che in passato hanno concesso in diritto
di superficie terreni a numerose cooperative di edilizia abitativa e in alcuni
casi continuano a farlo anche oggi. Alla
base però c’è un conflitto d’interessi:
per risanare la cassa pensioni e sostenere la Divisione Infrastruttura, essa
impone alla Divisione Immobili di realizzare il massimo profitto. Il Consiglio
federale ha confermato l’esistenza di
questa strategia solo di recente. Se la divisione Immobili FFS si concentrasse
maggiormente sulla costruzione di abitazioni di utilità pubblica, non potrebbe
più svolgere il proprio mandato.
Le cooperative d’abitazione potrebbero contribuire a risolvere alcuni
problemi sul mercato immobiliare.
Però esse coprono solo il 4,2% del
mercato immobiliare nazionale. Perché?
Sulle diverse cause che ostacolano lo
sviluppo della costruzione di alloggi di
utilità pubblica mi sono già soffermato.
A livello svizzero la percentuale è modesta. Tuttavia in molte città la costruzione di alloggi di utilità pubblica
rappresenta una realtà importante, che
contribuisce in maniera significativa a
garantire un approvvigionamento adeguato di alloggi.
La Destra pretende che la penuria di
alloggi sia dovuta anzitutto all’immigrazione. L’UFAB segue da vicino le
conseguenze della libera circolazione
delle persone sul mercato immobiliare. Le pigioni esplodono veramente
a causa degli immigrati?
CHI È
Ernst Hauri ha un dottorato in scienze sociali.
Svolge un’attività presso l’Ufficio federale delle
abitazioni (UFAB) dal 1987
e dal 2009 ne è il direttore.
È sposato, ha due figli
adulti e vive in una proprietà per piani nella città di
Zurigo.
La scarsità di alloggi che si riscontra in
molti posti è dovuta al fatto che negli ultimi anni la domanda di abitazioni è
fortemente aumentata. Inoltre la costruzione di nuovi alloggi ci ha messo un
po’ per funzionare a pieno regime. L’aumento della domanda è dovuto a più
fattori: il contesto economico tutto sommato favorevole che ha permesso a
molti lavoratori un incremento del reddito, la riduzione del numero di persone
nelle famiglie anche a causa dell’invecchiamento della popolazione, e i bassi
tassi d’interesse che hanno alimentato
a lungo la domanda di abitazioni di proprietà. Un ultimo fattore è l’incremento
demografico: dal 2007 ogni anno in
media la popolazione svizzera aumenta
di 90 mila unità e l’immigrazione svolge
senz’altro un ruolo importante. I 47
mila alloggi costruiti ogni anno non
sono bastati a soddisfare la domanda,
soprattutto nelle regioni urbane più richieste, dove per molto tempo i prezzi
degli affitti e degli immobili sono fortemente aumentati. Tuttavia oggi si sta
registrando un rallentamento.
Lavoro: sempre peggio
Il mondo del lavoro è cambiato. I diritti conquistati tramite le lotte sindacali appartengono a una società in
cui il lavoro era a tempo indeterminato. Oggi assistiamo a una progressiva e ormai consolidata dinamica di
precarizzazione, in cui l’obiettivo del
padrone è quello di massimizzare i
profitti diminuendo quanto più possibile la spesa salariale. Si assiste
quindi a un aumento dei posti in
percentuale, al lavoro su chiamata,
al lavoro interinale (dove ci sono
agenzie che vendono la forza lavoro
come fosse un oggetto), a lavoratori
indipendenti esternalizzati dalle
aziende e ad altro ancora.
La nostra grande sfida sarà regolamentare questo scempio e unire i lavoratori precari nella lotta per i diritti!
Fabrizio Sirica
«La mia politica in
due parole? Giustizia sociale. Cerco
la soluzione più
giusta per tutti,
non per gli interessi dei pochi.»
Meglio il trasporto pubblico
«Rispetto e uguaglianza, tradotti in pari
opportunità. L’ideale
da perseguire per una
società più umana.»
Quando si parla di trasporti si pensa giustamente all’ambiente e all’impatto ecologico che essi comportano. Sono
infatti palesi i disagi causati dal traffico nel nostro Cantone. Su tutti troviamo le malattie respiratorie, l’importante presenza di sostanze tossiche nell’aria e il
deturpamento del territorio. Questi sono i motivi che ci
spingono a lottare per un potenziamento dei mezzi pubblici a discapito di quelli privati e di conseguenza per un
ampliamento della rete ferroviaria a discapito di autostrade e circonvallazioni.
Dobbiamo dire No al raddoppio del tunnel del San Gottardo! Dobbiamo lottare per un futuro più sostenibile!
Lisa Boscolo
La salute non è un business
«Una società più
umana, in cui tutto il
popolo sia politicamente rappresentato,
senza discriminazioni:
ecco cosa voglio!»
Il suono della democrazia, oggi
«No alle falsità, alle discriminazioni
e agli interessi dei pochi. Sì a una società aperta, giusta e solidale. Sì al
socialismo!»
Immagina di avere un terreno: una
piccola collina, qualche fiore a terra e
degli alberi da frutto che ne definiscono l’orizzonte. Ti piace, ci puoi ricavare qualcosa. Allora inizi a dare
un’identità a questo luogo che ora respira la tua passione, le
tue emozioni, la tua vita. È casa tua, ormai. Ci nascono i tuoi
figli, e i figli dei tuoi figli. Ci vivono mariti, madri, padri, mogli.
Persone, emozioni, sorrisi, pianti. Ci vivono le tue tradizioni,
i tuoi modi, la tua storia.
Un giorno, però, qualcuno da un luogo tanto lontano che nemmeno lo conosci decide che tu vivi nel modo sbagliato. Ma non
temere: ti insegnerà come si fa. Per il tuo bene, si intende.
Boom!
Vedi? È la tua casa, ridotta in cenere. Boom!
Vedi? Sono i tuoi figli, morti. Boom!
Vedi? Sono i tuoi alberi, i tuoi frutti, i tuoi fiori che vengono
portati via. Non sai come sfruttare le risorse che hai, dice.
Boom!
Lo senti? È questo, il dolce suono della democrazia.
Aramis Gianini
Il sistema sanitario è uno dei servizi fondamentali che
uno Stato offre ai propri cittadini. Infatti spesso proprio
questo è uno dei criteri che determina l’indice di sviluppo
di un Paese.
La Gioventù Socialista denuncia la via che il sistema sanitario svizzero sta imboccando negli ultimi anni. Ormai
la salute della popolazione sembra essere diventata un
mero business. Quel che ancor più preoccupa è che l’attore principale di questa nefasta situazione è lo Stato, che
tende sempre più a privatizzare dove è possibile e ad accentrare le strutture periferiche.
La salute dev’essere a disposizione di tutti!
Lydia Joray
Più trasparenza nella politica
«Le necessità delle persone
prima del profitto dei pochi
(se siete milionari votate
pure qualcun altro).»
La trasparenza è spesso ritenuta un tema secondario al
quale non vale la pena dedicare troppe parole. Tuttavia
per me e per la Gioventù Socialista questa tematica è alla base di ogni democrazia.
La Svizzera è stata più volte ammonita dalla Commissione europea per la scarsa regolamentazione in
quest’ambito. Queste osservazioni sono innegabili.
D’altronde come si può pretendere di essere all’avanguardia in materia di trasparenza se un cittadino non ha nemmeno il diritto di conoscere i legami
economici dei vari partiti e rappresentanti politici
con le diverse organizzazioni? Prendiamo il caso di
un parlamentare che sta sul libro paga di un’influente assicurazione: è evidente che farà gli interessi
dell’impresa. Il cittadino non ha forse il diritto di conoscere questi legami d’interesse? Questa può essere
definita democrazia?
Giulio Bozzini
45
CANDIDATI
GISO
Di sicuro è stata la voglia di cambiare, la voglia di portare nuove idee e nuove risorse
alla politica, che ci ha fatto decidere di presentare una lista a queste elezioni federali.
Noi siamo la Gioventù Socialista (GISO): un gruppo di giovani accomunati dalla stessa
passione e dalla stessa voglia di cambiamento, che spera un giorno di vedere una
politica diversa, una politica vicina ai bisogni dei più e non dei pochi! Vota GISO, lista
17. Cambia ciò che ti disturba!
2020:
di Nestor Buratti
PREVIDENZA
46
MEGLIO CHE NIENTE
Sicurezza delle pensioni e rafforzamento dell’AVS sono due tra gli obiettivi di politica
sociale più importanti per il Partito Socialista negli anni a venire. Il tema delle pensioni è complesso. A livello politico l’assunto è facile: la Sinistra vuole di più, la Destra di meno. Ottenere un compromesso sulle pensioni è quindi molto complicato. Il
Consiglio federale, sotto la guida del Dipartimento dell’interno, ha preparato una riforma di tutto il sistema pensionistico (Previdenza 2020). Ancor prima di arrivare
in Parlamento, questa riforma sta già facendo molto discutere. A Sinistra, soprattutto
negli ambienti sindacali, si critica ad esempio l’aumento dell’età di pensionamento
delle donne da 64 a 65 anni. A Destra invece si vuole tagliare dappertutto. Per capire
meglio questa riforma e in generale il mondo della previdenza, ci siamo rivolti a
Carlo Lepori, presidente ad interim del Partito Socialista nonché di PS 60+, l’organo
del partito a livello svizzero che si occupa dell’impegno politico dei compagni e delle
compagne non più giovani e quindi anche dei temi legati alla previdenza.
La Costituzione svizzera sancisce che
la previdenza professionale, insieme
con l’Assicurazione vecchiaia, superstiti e invalidità (AVS), deve rendere
possibile l’adeguata continuazione del
tenore di vita abituale. Questo articolo
costituzionale, l’articolo 113, nei fatti è
rispettato?
No. Ci sono dei dati che dimostrano come
la povertà tra gli anziani è molto diffusa.
Le stime parlano di almeno un quarto
della popolazione anziana. Un’enormità,
quindi. Diverse persone non hanno la
previdenza professionale e ricevono solo
l’AVS minima. Se consideriamo anche
l’aumento del costo della vita, ciò non è
più sufficiente per garantire una vita da
pensionato dignitosa. Chi non raggiunge
il minimo vitale deve quindi ricorrere
alle prestazioni complementari che
garantiscono ad esempio l’affitto o
la cassa malati. Queste prestazioni, però, non sono attribuibili
fino ai 65 anni. C’è quindi un
problema che deve essere risolto.
Oltre a chi è in pensione,
c’è una fascia che è forse
ancora più a rischio: le
persone che si stanno
avvicinando ai 65 anni,
rispettivamente 64 per
AVSplus
L’iniziativa popolare AVSplus è stata lanciata dall’Unione sindacale svizzera (USS) ed è sostenuta da una larga coalizione di organizzazioni, tra le quali il Partito Socialista e la Gioventù socialista.
L’iniziativa chiede un aumento del 10 per cento delle rendite dell’AVS. Questo aumento sarà versato sotto forma di un supplemento
alle rendite correnti e future. Il modello di calcolo delle rendite non
sarà modificato. Le altre prestazioni dell’AVS e dell’AI versate sotto
forma di rendite continueranno a orientarsi in base alla rendita vecchiaia «ordinaria» senza supplemento. Il supplemento AVSplus non comporterà alcun cambiamento nella previdenza professionale. Esso sarà
versato sulle rendite AVS correnti al più tardi due anni dopo l’accettazione
dell’iniziativa popolare. Nessun’altra legge dovrà essere modificata.
Grazie ad AVSplus, la grande maggioranza delle pensionate e dei pensionati
beneficerebbe di un aumento mensile della sua rendita di 200 franchi, le
coppie di 350. La rendita AVS minima aumenterebbe di 118 franchi, la rendita massima di 235. La rendita di coppia massima aumenterebbe di 353
franchi per arrivare a 3’878.
le donne, che vivono una situazione
professionale difficile ma che non
hanno ancora diritto all’AVS. Cosa fare
per questa categoria di persone?
È vero: tra chi non beneficia ancora
dell’AVS e degli aiuti complementari ma
ormai non lavora più perché ad esempio
è stato licenziato oppure perché non ha
mai svolto un’attività remunerativa,
La proposta del PS: aumentare le rendite
del 10 per cento per garantire agli anziani
una vita dignitosa
È da decenni ormai che il Partito Socialista si batte affinché tutti possano
vivere una vecchiaia dignitosa. A tal fine sono necessarie, oltre alla partecipazione dei cittadini e l’autodeterminazione, la sicurezza finanziaria nella
terza età grazie alla previdenza per la vecchiaia e un’offerta di cure e di assistenza a prezzi moderati. Non va infine dimenticata l’importanza di uno
scambio fertile e vivo fra le generazioni, poiché consente di instaurare e
preservare uno spirito di solidarietà.
L’AVS rappresenta la più grande conquista sociale della Svizzera ed è un
pilastro importante della sicurezza nella terza età. Secondo la Costituzione
federale, le rendite AVS e le rendite della cassa pensioni «devono rendere
possibile la continuazione del tenore di vita abituale». Tuttavia oggi molte
persone ricevono una rendita troppo esigua per permettersi di vivere in
modo dignitoso nell’età della pensione.
Viene asserito che l’AVS si sta dissanguando e che la pressione sul secondo
pilastro aumenta. Il Partito Socialista si dissocia fermamente da simili affermazioni: la capacità della Svizzera nel finanziare la previdenza per la
vecchiaia è anzitutto una questione di volontà politica e di equa ripartizione
delle risorse e non dipende dall’andamento demografico o dal tasso di conversione. L’AVS costituisce il sistema ideale per rafforzare la solidarietà sociale, indipendentemente dai vincoli dei mercati di capitale. Le rendite
dell’AVS devono essere aumentate del 10 per cento, senza aumentare l’età
di pensionamento. Per questo motivo sosteniamo l’iniziativa AVSplus. Fintanto che le rendite dell’AVS e dell’AI non garantiranno la sicurezza finanziaria necessaria per condurre una vita dignitosa, il Partito Socialista si
adopererà per il mantenimento e il miglioramento delle prestazioni complementari e veglierà a che le rendite e le prestazioni complementari
dell’AI siano adeguate alla luce dei futuri adeguamenti dell’AVS.
Ci puoi spiegare meglio?
Sappiamo che la cassa pensione viene pagata a metà
dal lavoratore e a metà dal
datore di lavoro. Il tasso
dello stipendio versato alla
cassa cresce man mano
che aumenta l’età. Attualmente dopo i 55 anni si
paga un tasso del 18%.
Ciò significa che il datore
di lavoro deve versare un
9%: un tasso elevato, una
ragione in più a spingere il
datore di lavoro a licenziare un lavoratore anziano
e ad assumerne uno più giovane. Ora, la riforma prevede di fissare un tasso
massimo del 13% e stabilisce
che, dai 45 anni in su, tutti pagano uguale.
diti vecchiaia saranno adeguati in modo
tale che le rendite della previdenza professionale obbligatoria non diminuiscano
nonostante l’adeguamento dell’aliquota
di conversione.
Traduciamo?
In questo senso il progetto Previdenza 2020 apporta un miglioramento. Un altro elemento positivo
della riforma è una tutela pensionistica maggiore per chi ha lavorato
poco o a tempo parziale. Ci aiuti a capire perché?
Sì, è un po’ complesso. Finora si partiva
dal principio che una parte della tua
previdenza era già garantita dall’AVS e
che quindi il versamento sul secondo pilastro, la cassa pensione, non poteva essere applicata a tutto questo guadagno.
Questa cosa qui si chiama «deduzione di
coordinamento». Ora, la riforma prevede l’abbandono di questo concetto:
quindi tutto il salario sarà assicurato.
Oggi su un salario di 80 mila franchi
annui se ne assicurano solo 55 mila.
Con la riforma si pagheranno dei tassi
più bassi, ma, assicurando tutto il salario, in realtà si pagherà di più. Ciò sarà
un importante vantaggio soprattutto per
quelle persone che lavorano poco o a
tempo parziale e che quindi, attualmente, non possono assicurare un secondo pilastro. Chi oggi guadagna meno
di 21 mila franchi non assicura un secondo pilastro. Con la riforma il limite
scenderà a 14 mila franchi.
La riforma prevede la soppressione della
deduzione di coordinamento: gli accre-
Parliamo in generale della riforma
2020. Qual è il tuo giudizio generale?
47
PREVIDENZA
come le casalinghe, vi è un alto rischio di
povertà. Ci sono casi di persone che
hanno lavorato anche più di 30 anni
presso una ditta e poi vengono licenziate
per fare posto a qualcuno di più giovane.
In questo caso negli ultimi anni di vita attiva ma senza lavoro non si mette da
parte una cassa pensione e si versano
contributi AVS minimi. A 65 anni si avrà
così diritto solo al minimo, che non è
quello che prevede la Costituzione, che
dice: «l’adeguata continuazione del tenore di vita abituale». Ora, che fare? Occorre principalmente tutelare i lavoratori
anziani sul mercato del lavoro. In questo
senso la riforma Previdenza 2020 apporterebbe alcuni cambiamenti interessanti:
è previsto un fondo di garanzia che dovrebbe aiutare i lavoratori più anziani
nella costituzione del capitale, inoltre gli
accrediti vecchiaia non aumenteranno
più per gli assicurati ultracinquantenni.
Questo proprio con lo scopo di rafforzare
la loro posizione sul mercato del lavoro.
PREVIDENZA
48
Il giudizio di fondo è che vi sono aspetti
positivi e negativi. D’altronde è difficile
accontentare tutti su tutto in un pacchetto così complesso. In primo luogo il
fatto di trattare assieme tutto il pacchetto
previdenza, cioè AVS e casse pensioni, è
da accogliere favorevolmente. Diciamo
che il punto più positivo è che, tramite
l’IVA, si vuole mantenere il sistema attuale senza intaccare le rendite AVS e
senza aumenti clamorosi dell’età pensionistica, come andava ventilando fino a
qualche anno fa l’ex consigliere federale
Couchepin. Inoltre, come abbiamo detto,
la riforma migliora il secondo pilastro togliendo la deduzione di coordinamento e,
adattando la percentuale degli accrediti,
ossia di quanto uno paga, viene migliorata la situazione dei lavoratori più anziani. Ciò detto, sottolineo però che si
tratta di una riforma conservatrice, nel
senso che l’AVS viene garantita e mantenuta. Noi vorremmo che venga aumentata e rafforzata.
Il rafforzamento previsto verrà fatto
tramite un aumento dell’IVA, un’imposta non propriamente sociale...
È chiaro che l’IVA, valendo per tutti, non
è un’imposta molto sociale. Ma colpisce
il consumo, risparmiando i beni di prima
necessità: ai tassi svizzeri, si tratta di
un’imposizione accettabile. Noi avremmo voluto altre forme di finanziamento,
ma il popolo ha bocciato l’iniziativa sulle
eredità milionarie che avrebbe rimpinguato un po’ le casse dell’assicurazione.
Per cui da qualche parte i soldi vanno
trovati. La situazione demografica non è
certo favorevole: la popolazione invecchia e il rapporto tra le persone anziane
che ricevono soldi e i giovani che lavorano è sempre più sproporzionato. Anni
fa per ogni anziano c’erano 10 giovani,
oggi ce ne sono 4.
meno dieci anni. Noi vogliamo che a essere più importante, tra il primo e il secondo pilastro, sia il primo, l’AVS. È
l’assicurazione più sociale, qualcosa di
quasi comunista. (Ride.) Tra il minimo e
il massimo che si riceve non c’è tantissima differenza, rispetto al minimo e al
massimo che si versa all’assicurazione.
Per cui noi siamo contrari al volersi concentrare troppo sul secondo pilastro e
desideriamo aumentare l’importanza
dell’AVS.
In questo senso occorre sostenere l’iniziativa AVSplus, su cui saremo chiamati a votare l’anno prossimo?
Sì, l’iniziativa AVSplus chiede un aumento del 10 per cento delle rendite AVS.
Infatti, rispetto all’aumento del costo
della vita, l’AVS è rimasta indietro di al-
Diciamo che le donne avevano il vantaggio della pensione anticipata, rispetto a
tutti gli svantaggi di cui sono vittime sul
mercato del lavoro. L’area sindacale si
oppone a quest’aumento perché appunto
i salari delle donne sono ancora inferiori.
Ora, è vero che nei fatti la parità salariale
Un punto della riforma criticato a Sinistra è l’aumento dell’età pensionabile
delle donne, che dovrebbe passare da
64 a 65 anni. Cosa ne pensi?
Poi c’è la diminuzione del tasso di conversione, che passerà dal 6,8 al 6 per
cento. Nel 2010 l’ultima grande vittoria
della Sinistra in votazione popolare è
stata proprio questa: il 72 per cento di
chi si è espresso ha bocciato la proposta di far passare dal 6,8 al 6,4 per
cento questo tasso. Ora la riforma va
addirittura oltre.
Sì, è vero. Inoltre il passaggio avverrà in
fretta, in soli quattro anni. Bisogna fare
alcune considerazioni. In primo luogo,
quest’adattamento non è una misura a sé
stante ma fa parte di tutto un pacchetto
di riforme in cui occorre far quadrare
tutto, togliendo un po’ di qua e un po’ di
là, cercando un compromesso per salvare una situazione che non è più sostenibile. Inoltre la cassa pensioni si basa
sul capitale ed è inevitabile che, data
l’aspettativa di vita più lunga, questo capitale durerà di meno rispetto a qualche
anno fa, quando si calcolava la rendita
per un numero minore di anni. Oggi ogni
anno ti danno il 6,8 per cento del tuo capitale risparmiato: esso, senza contare gli
interessi ormai inesistenti, dovrebbe durare 14 anni e mezzo. Poi è finito: se
muori prima la cassa ci guadagna, altrimenti va in perdita. Battute a parte, un
abbassamento al 6,0 per cento porta la
durata del capitale a 17 anni. Nemmeno
molto di più, ma mi sembra una realtà
più adatta all’aspettativa di vita. Inoltre
va considerato il fatto che si paga un po’
di più e si comincia prima a pagare:
quindi si avrà a disposizione un capitale
maggiore.
Veniamo agli aspetti più politici. Cosa
succede se il pacchetto Previdenza
2020 verrà spezzato in Parlamento?
Non è difficile immaginare che la Destra attaccherà per smantellare il più
possibile…
CHI È
Carlo Lepori è stato docente di fisica e di informatica, negli ultimi anni alla SUPSI. Dalla fondazione è copresidente di PS60+, l’organo del PSS
che raduna più di 1’000 compagne e compagni
che intendono restare attivi politicamente anche dopo
aver lasciato cariche
istituzionali e di partito. Attualmente è
presidente ad interim
del PS Ticino.
Se il pacchetto passa indenne alle Camere,
possiamo anche accettarlo. Come detto, la
riforma non è il massimo, ma così com’è
possiamo considerarla una buona base
per poi lanciare nuove proposte. Noi vogliamo di più, la Destra vuole di meno: le
posizioni sono chiare. Ora, il rischio è che,
dati i rapporti di forza in Parlamento, la
Destra tenti di mantenere tutte quelle cose
che per noi sono negative, come l’aumento
dell’età pensionabile delle donne, l’aumento dell’IVA o l’abbassamento del tasso
di conversione, cercando però di sopprimere le cose positive. Così facendo rimarremmo con un pugno di mosche. Ma, se
resteranno solo gli aspetti negativi della riforma, noi lanceremo un referendum. Ci
opporremo a ogni peggioramento: questo
dev’essere chiaro a tutti.
Referendum che, in quest’ambito,
avrebbe buone possibilità?
Penso di sì. Per il PS è più facile combattere un progetto iniquo che proporre
qualcosa di nuovo. Se noi diciamo di aumentare le tasse ereditarie per i milionari, ci ascoltano in pochi, il nocciolo
duro. In passato, quando abbiamo combattuto misure antisociali, e penso per
esempio all’abbassamento del tasso di
conversione, invece abbiamo vinto. Per
cui saremo molto molto vigili.
Perché sostenere
un aumento dell’AVS?
• Perché per molti il rendimento derivante dal primo e dal secondo pilastro
è troppo basso: oggi un operaio il cui ultimo salario era di 5’500 franchi
dopo la pensione si deve accontentare di meno di 3’000 franchi dal primo
e dal secondo pilastro. Così durante la vecchiaia non può più «mantenere
adeguatamente il suo tenore di vita abituale», come richiesto dalla Costituzione. Chi ha lavorato per una vita intera non deve vivere di stenti durante la vecchiaia, nonostante i salari medio-bassi.
• Perché l’AVS presenta il miglior rapporto prezzo/prestazione. In Svizzera
gli occupati pagano dei contributi per l’AVS su tutto il proprio salario,
anche quando incassano bonus milionari. Tuttavia le rendite sono limitate.
Una coppia di manager bancari non percepisce una rendita AVS maggiore
di quella di un’operaia e del marito che aveva lavorato come commesso.
Grazie alla formula socialmente equa per le rendite, un incremento delle
rendite AVS per i soggetti con dei redditi medio-bassi è nettamente più
conveniente rispetto ad altre forme di previdenza vecchiaia.
• Perché l’AVS è in ritardo rispetto ai salari: è da 40 anni che non si procede
a un sostanziale miglioramento delle rendite AVS. Ogni due anni sono unicamente adeguate all’inflazione e, solo in parte, all’andamento dei salari.
Pertanto le rendite AVS sono in ritardo rispetto ai salari. Un miglioramento
è atteso da tempo, soprattutto in considerazione del fatto che i rendimenti
delle casse pensioni sono sotto pressione.
• Perché è la previdenza di vecchiaia più sicura: l’AVS è l’assicurazione più
sicura al mondo. Non è legata a risparmi accumulati per decenni e alle
rendite insicure di questi capitali, ma alle quote pagate di chi lavora. Fintanto che in Svizzera delle persone lavoreranno e guadagneranno del denaro, l’AVS sarà in grado di pagare delle rendite. In passato, il fatto che il
numero degli anziani aumentasse e che invecchiassero sempre più non
ha rappresentato un problema. Questo grazie a un modello di finanziamento intelligente e a un costante progresso della produttività. E questo
problema può essere risolto anche in futuro. L’AVS è in equilibrio sul piano
finanziario. Il Consiglio federale, con le sue previsioni negative, si è sempre
sbagliato.
• Perché un ampliamento aiuta anche i giovani: l’AVS è la previdenza di vecchiaia più vantaggiosa per le giovani generazioni. In particolare, le giovani
famiglie risparmiano migliaia di franchi se possono provvedere alla vecchiaia tramite l’AVS invece che ricorrendo al costoso terzo pilastro. I risparmi privati per la vecchiaia tramite il terzo pilastro costano molto di
più, poiché le banche e le assicurazioni ci guadagnano. Inoltre garantiscono meno e presentano parecchi rischi.
• Perché l’AVS giova alle donne, che spesso percepiscono solo piccole rendite
correlate alle casse pensioni per via della maternità e dell’assistenza ai
bambini. Di contro, nel caso dell’AVS, le interruzioni dell’occupazione vengono controbilanciate grazie a degli accrediti per compiti educativi. Pertanto anche le donne con figli possono trarre vantaggio da buone rendite
AVS. Un incremento delle rendite AVS è quindi decisamente più positivo
per le donne.
49
PREVIDENZA
non c’è e ciò è scandaloso. Tuttavia di
principio la parità esiste. Non mi preoccupa quindi che tale parità si applichi
anche per quanto concerne le pensioni.
È chiaro che l’aumento a 65 anni è una
concessione, così come lo è l’aumento
dell’IVA.
CULTURA
di Pietro Bianchi, candidato del PS al Consiglio nazionale
E POLITICA
CANDIDATI
50
Ne abbiamo molto bisogno. Forse tutto
quanto è definito cultura è un fatto sociale: iniziative promosse in ambito artistico,
architettonico,
educativo,
scientifico, ma anche la protezione dei
nostri beni culturali, cantare e suonare, rock e jodel, balli e ballate, dipingere e scolpire, pensare, scrivere e
poetare, guardare ed ascoltare… Tutto
questo è cultura, anche se in fondo lo
dovremmo considerare un fatto sociale.
Spesso i miei amici residenti in altri
Paesi mi chiedono: «Esiste una cultura
svizzera?». La domanda stessa è già
cultura: tipico svizzero è l’atteggiamento tra l’incertezza e la fierezza di
sé!
La chiave va secondo me trovata in
un’identità alpina, il Ticinese è ad
esempio quasi sempre diviso tra la sua
radice lombarda e un certo tributo culturale verso il nord, da considerare
oltre un certo «muro di polenta» che in
troppe nostre teste esiste ancora!
La cultura deve servire a superare i
confini mentali e le frontiere politiche
e non… D’altra parte la leggenda di
Tell viene da un mito scandinavo, il
corno delle Alpi esiste anche in Himalaya e nelle Ande e la «bandella» si
chiama «quintöt» in piemontese: in
poche parole la migrazione dei popoli,
compreso il nostro, è stata il più brutale scambio di cultura che abbiamo
vissuto!
Ad onor del vero, nel nostro Paese non
si pecca di mancanza di cultura, ma
piuttosto di eccesso: la Confederazione,
ogni Cantone, ogni Comune compiono
grandi sforzi di politica culturale, ma
anche i partiti, le ditte private, le
Chiese, i club e i sindacati, i gruppi e i
circoli privati, i cori e le bande compiono grandi sforzi per attuare attività
culturali, spesso superando una certa
tendenza all’amatorialità: in Svizzera
c’è un piccolo mercato e così attori culturali che all’estero potrebbero essere
professionisti anche qui da noi raggiungono ottimi livelli.
Quando sono stato con Roberto Maggini all’ Expo mondiale di Siviglia mi
aveva colpito il motto su una maglietta
«Suiza no existe», detto in maniera
provocatoria naturalmente, così l’autore aveva raggiunto lo scopo di scate-
Vorrei qui riflettere sul senso di una politica culturale in Svizzera, soprattutto in
questi tempi di diatribe di una certa destra, che tende a chiedersi «perché abbiamo bisogno di una cultura svizzera?»
nare accuse, discussioni, tentativi di divieto… ma tutto ciò è indubbiamente
molto svizzero! Stiamo perdendo il
senso della nostra cultura popolare,
del nostro dialetto, scaduti spesso a intrattenimento neoborghese… Anche i
grandi miti crollano, primo fra tutti
quello delle Alpi (lo sapevate che viene
da una parola celtica «ar pè», ovvero
«al piede di»), che crolla sotto il peso
di una morte ecologica… al posto di
cercare un’alleanza rosso-verde, cerchiamo di costruire un’ecologia culturale.
Mi spiego meglio: vi sono un centinaio
di culture, su questo pianeta, che sono
in via di estinzione. Tra queste vi sono
minoranze linguistiche, isole culturali
di vario tipo, ex-colonie, tutte vittime di
una «cocacolizzazione» della cultura,
di un appiattimento che schiaccia tutte
le microdifferenze culturali, così interessanti per noi. Faccio l’esempio di
una valle alpina: come in tutte le valli
alpine, troveremo gli stessi riti, il Canto
della stella, il Carnevale, il Maggio, eccetera… ma nei canti e nelle musiche
che sentiremo avremo differenze di
melodie, di ritmi, nei piatti che assaggeremo noteremo diversi ingredienti,
nei vini che degusteremo troveremo
gusti e profumi diversi. Ebbene è fondamentale che noi tramandiamo questi
valori, che noi ci facciamo attori di
queste feste e di questi riti, e non solamente spettatori, come se stessimo
guardando un documentario. È un appello urgente, con ogni contadino che
muore se ne va un’enciclopedia. Costruiamo dei «granai della memoria»
nei quali riporre, studiare, tramandare
questi importanti valori. Naturalmente
tra le culture in pericolo di estinzione
ci metto anche la nostra, noi Ticinesi
troppo spesso ci innalziamo a guardiani di una certa tradizione: facciamo
il miglior formaggio, siamo quelli che
parlano ancora oggi un dialetto lombardo arcaico; ma io trovo che i nostri
vicini hanno più di noi una coscienza di
essere parte di uno «spazio alpino».
Cultura per tutti,
senza privilegi
Il PS condivide gli obiettivi del messaggio sulla politica culturale 201619, con il quale il Consiglio federale
vuole aumentare la promozione culturale e permettere l’accesso alla
cultura a tutti. «Una società che non
investe nella cultura non ha futuro»,
dice il consigliere nazionale PS
Jean-François Steiert. «La cultura
deve restare viva, accessibile e non
troppo cara per tutti gli interessati,
per poter adempiere al suo ruolo di
garante della coesione sociale». Il
rafforzamento della politica culturale e della promozione culturale
sono da anni un tema importante
del PS, come si può leggere nel documento di posizione del PS. Il PS si
rallegra molto che il Consiglio federale con il suo messaggio sulla cultura riprenda questa linea. Il
Consiglio federale propone una strategia coerente per la promozione
della cultura ed è solo logico che aumenti i mezzi finanziari per realizzare questa strategia. Un elemento
centrale per il PS è di permettere a
tutti l’accesso alle varie offerte culturali, indipendentemente dallo statuto, dall’origine, dalla formazione
e dal reddito. La cultura può e deve
fornire un contributo centrale alla
coesione sociale. Chi vuole una Svizzera forte deve anche sostenere una
forte politica culturale svizzera, non
come concorrenza agli spunti di politica culturale regionale, ma che
sorge da essi.
Non è la sottolineatura nazionalistica di confini e chiusura che tiene
insieme la Svizzera, ma le sue lingue, i suoi canti, film e libri. La cultura – anche quella svizzera – ha
bisogno di apertura e scambio per
sopravvivere. La creatività e l’innovazione sono inconciliabili con la
chiusura: anche in questo senso il
messaggio del Consiglio federale
sulla politica culturale rappresenta
un segno importante (bit.ly/positionkulturpolitik).
SEMPRE PIÙ LAVORI
ATIPICI
di Marina Carobbio Guscetti, candidata del PS al Consiglio nazionale
Certo, soprattutto per le
donne, il lavoro flessibile
è spesso ancora un modo
per conciliare l’attività di
cura dei figli o dei parenti
anziani o ammalati (dei
quali si fanno carico in misura del 90% le donne,
come indicano i dati
del programma
nazionale di ricerca NPR 60
«uguaglianza
fra uomo e
donna»). Esso
permette nel
contempo di
arrotondare le
entrate di famiglie
che
altrimenti,
con un salario
solo, non ce la farebbero a condurre una vita
dignitosa
a
causa di budget
sempre più esigui, ridotti da
costi fissi e inevitabili, come
l’alloggio e i
premi cassa malati. Ecco perché
riflessioni
su
questo tema non
possono esimere
dalla necessità di
aumentare
il
reddito disponibile delle famiglie. Così come
ci vorrebbero finalmente misure concrete
per riconoscere il la-
voro di cura. Ma necessitano anche di
interventi tesi a regolare i lavoro atipico e su chiamata. Forme di lavoro che per molti sono un’arma a
doppio taglio. Soprattutto per
molte donne, che si ritrovano così
ad avere lavori mal pagati, ma nel
contempo a dover essere sempre disponibili alle richieste del datore di
lavoro, in alcuni casi anche la
domenica o nei giorni di festa e
senza preavviso. Donne che
hanno poche garanzie di continuità, per non parlare di
carriera. Donne che si ritrovano con una scarsa copertura per quanto riguarda le
assicurazioni sociali.
Eppure, nonostante tutto ciò,
malgrado che in Svizzera la
percentuale di lavoratori a
chiamata sia di circa il 5-7 per
cento degli attivi pari a quasi
200000 persone, e poco meno
del 60 per cento di tali lavoratori sia costituito da
donne, del lavoro atipico ci si occupa ben
poco. La legislazione svizzera infatti
non
contiene una
base legale
per il lavoro a
chiamata. Ciò
significa che nei
contratti di lavoro
non sono necessariamente convenuti un
tempo di lavoro minimo e
una congrua indennità, finalizzata a compensare la disponibilità del lavoratore o della
lavoratrice, il cosiddetto servizio di picchetto. L’espressione «lavoro a
chia-
mata» sta infatti ad indicare un rapporto di lavoro atipico caratterizzato
dalla flessibilità del lavoratore e in cui
ci si discosta dalle regole in materia di
contratto e tempo di lavoro, di stipendio
orario e annuale, di garanzie sociali e
anzianità lavorativa. Considerato che il
datore di lavoro ha la facoltà di adattare
a propria discrezione, in funzione delle
esigenze di produzione, il numero di
persone di cui si avvale, le ore in cui
queste devono lavorare e, di conseguenza, i propri costi salariali, i rischi
imprenditoriali vengono scaricati sulle
spalle dei lavoratori. Modelli di lavoro
che richiedono un’estrema flessibilità
da parte dei lavoratori, che non sono liberi di pianificare il proprio tempo, non
hanno sicurezza economica, godono di
una protezione assicurativa minima e
sono scarsamente tutelati contro il licenziamento. Se poi, percependo un
reddito troppo basso, il lavoratore a
chiamata è costretto a ricorrere all’aiuto sociale, è come se lo Stato sovvenzionasse un’impresa.
In collaborazione con l’Unione sindacale svizzera mi sono occupata di questo tema e ho quindi presentato nel
2014 una proposta volta ad inserire nel
Codice delle obbligazioni una base legale per il lavoro a chiamata. Una proposta che sarà trattata prossimamente
dal Consiglio nazionale, ma già respinta
dalla commissione competente con la
giustificazione che il mercato del lavoro
deve appunto essere flessibile e che
queste misure pregiudicherebbero la
competitività delle aziende. Un discorso
che non può arenarsi allo scoglio di un
parlamento che misconosce i problemi,
ma che deve essere portato avanti congiuntamente ai problemi di tutte le altre
forme di lavoro atipico, che oltre a
quello a chiamata, sono anche quelli dei
lavoratori interinali e dei cosiddetti
nuovi indipendenti. Perché il diritto a
un lavoro dignitoso vale per tutti, da chi
ha un lavoro a tempo indeterminato, a
chi lavora in maniera atipica, fino a
chi il lavoro ancora non ce l’ha.
51
CANDIDATI
Tanti giovani sono in cerca del primo impiego e quando lo trovano spesso esso è mal
retribuito o limitato nel tempo. Ma sono in aumento anche i lavoratori anziani che in
nome di ristrutturazioni aziendali son messi alle porte dal mondo del lavoro. E ci
sono poi tante donne che lavorano a tempo parziale, su chiamata o ad ore. E’ questo
il preoccupante quadro di un mondo del lavoro sempre più flessibile, ma con poche
regole in grado di evitarne le distorsioni e le derive. Un mondo che genera sempre
più precariato e sempre più persone che si ritrovano in situazioni di incertezza e insicurezza economica e lavorativa.
IL FORCONE A TRE DENTI DEL
PS LUGANO
di Raoul Ghisletta, candidato del PS al Consiglio nazionale
CANDIDATI
52
Il dio Nettuno brandisce il tridente, arma per creare onde e maremoti. La Sezione PS
della Città sul Ceresio, più modestamente, usa il forcone, che è lo stesso oggetto a
tre denti, ma di uso agricolo. L’attrezzo dovrebbe mettere fieno in cascina, in ottica
progressista, su tre temi centrali per la popolazione: traffico (con il dente del referendum), rifiuti (con il dente del ricorso) e alloggio (con il dente dell’iniziativa popolare). Sui primi due temi si è formata un’alleanza rosso-verde, per buona pace
degli ideologi doc; sul terzo, quello dell’alloggio, il PS consegue un importante successo grazie ad una convergenza sostanziale sulla sua iniziativa.
Referendum contro
spese enormi ed inefficaci
Nel Rapporto d’esame della Confederazione sul Programma d’agglomerato
del Luganese 2 (PAL 2) le critiche sono
severe. Infatti il PAL 2 non cambia il
fatto che solamente 1 tragitto su 10
sarà effettuato con i mezzi pubblici e
non impedisce un aumento delle auto
su molte strade. La Confederazione
non sussidia la circonvallazione di
Agno e sussidia il tram luganese solo
nel tratto Bioggio-Manno (1,9 km). La
galleria del tram da Bioggio a Lugano
è rimandata a dopo il 2019 (PAL 3). Il
rapporto di minoranza, allestito dai
consiglieri comunali Marco Jermini,
Martino Rossi e Fausto Beretta-Piccoli,
propone di conseguenza di suddividere
il PAL 2 in misure prioritarie da fare
(310 milioni fr) e in misure da riconsiderare (376 mi-
lioni fr). Ma la maggioranza del Consiglio
comunale di Lugano
ha detto no. Inevitabile
il lancio del referendum
da parte di PS, Verdi,
PC, POP e Cittadini del
territorio, per bloccare
un progetto tanto costoso
quanto inefficace e per
promuovere in alternativa
uno sviluppo regionale sostenibile in termini finanziari ed ambientali. Le firme necessarie sono
3’000 entro il 17 agosto.
Ricorso contro
il regolamento rifiuti
Da anni il PS Lugano chiede una
tassa educativa per i rifiuti (come
prevede la legge), che tuttavia tenga
conto degli aspetti sociali, ad es. sgravando le famiglie numerose. Cosa
fatta finalmente dal Municipio di Lugano il 7 luglio 2014 con il messaggio
8978. Ma nel giugno 2015 PLR, PPD e
Lega stravolgono il regolamento sulla
raccolta dei rifiuti, proposto dall’esecutivo, prevedendo una tassa fino a
120 fr per appartamenti fino a 3,5
locali e fino a 180 fr per appartamenti da 4 locali. Gli esercizi pubblici pagherebbero da 10 fr a 30
fr per posto a sedere, gli artigiani
da 240 fr a 480 fr, i commerci da
150 fr a 250 fr. Gli alberghi,
le case anziani e gli ospedali
pagherebbero da 50 a
150 fr per posto letto
annuo e i grandi magazzini da 3’000 a 6’000 fr.
Che un abitante o
un’azienda di Lugano
producano tanti o pochi
rifiuti, la tassa non cambia
e quindi non ha alcun effetto educativo.
Che un abitante o un’azienda siano ricchi o poveri, la tassa non cambia: e
quindi è pure antisociale. Per confondere le acque, PLR, PPD e Lega decidono di fare pagare al cittadino anche
un «sacco bello», che ha il medesimo
costo del sacco dei rifiuti acquistato al
negozio, ma che è dotato dello
stemma cittadino. PS e Verdi di
Lugano hanno risposto con un
ricorso per rimettere la chiesa
nel villaggio.
Luce verde all’alloggio
a prezzi accessibili
a Lugano
Una bella notizia infine! La
commissione speciale del
Consiglio comunale ha accolto all’unanimità il controprogetto
sull’iniziativa
popolare del 2012 di PS LuganoAssociazione inquilini-VPOD, sottoscritta da 3’300 cittadini
luganesi. Si tratta di un buon compromesso. Viene proposta una
modifica del Regolamento comunale, che incarica il Comune di
promuovere il mantenimento e lo
sviluppo di pigioni accessibili alla
maggioranza della popolazione
(redditi medi e bassi), con particolare attenzione a famiglie ed
anziani. Il Comune deve promuovere pure la disponibilità di
locali a pigioni contenute per attività compatibili con il contesto
residenziale. Gli strumenti da
adottare saranno principalmente le misure pianificatorie
(che favoriscano le abitazioni a
prezzi accessibili), la partecipazione comunale ad enti no profit per l’alloggio a prezzi
moderati, come pure l’acquisto e la messa a disposizione di terreni per questi
enti. Il credito che la commissione speciale propone
sarà di 10 mio. di fr: con il
complemento cantonale esso dovrebbe
arrivare a 20 milioni, come proponeva
la nostra iniziativa, e generare investimenti dieci volte superiori grazie ai
prestiti federali e bancari.
MA QUANTI NE
- «Ma quanti ne vuole? Chiede indispettito un funzionario europeo della migrazione internazionale».
- «Me ne dia un po’ ma non troppi.
Siamo solo otto milioni e settecentomila. Non possiamo esagerare!» Risponde un funzionario svizzero al
controllo dei flussi d’asilo.
- «Quanti ne lascio? Dica?»
- «Ne lasci diciamo cinquecento poi
basta».
- «E cosa ne faccio degli altri?»
- «Ne faccia ciò che meglio le pare. Noi
arriviamo a questo, non uno di più! Non
possiamo salvare tutto il mondo, siamo
una Nazione piccola con degli equilibri
fragili. Guai a toccare il nostro equilibrio. Sarebbe grave e imperdonabile:
Ne va della sicurezza nazionale».
- «Passerò la comunicazione ai miei superiori».
- «Bene, lo faccia e con una certa urgenza. Troppa gente preme al confine.
Quella gente deve finalmente capire
che da noi non c è posto per tutti. Che
vadano a cercare aiuto altrove!».
Il tragitto è stato duro per Abdul. Ha lasciato il suo paese quattro mesi fa. Ha
camminato per il deserto. Ha passato
posti di blocco guardati da militari corrotti e impazziti. Sono stati trattati
come bestie. Dietro la guerra che avanzava velocemente e polverizzava tutto
quello che trovava. Lui a scappare. O
paghi o te ne torni indietro. E giù legnate. Si pagava o si andava indietro a
farsi uccidere dai militari. Meglio le legnate che la morte. Se non pagavi forzavi il blocco. Lo raggiravi di notte. Se
ti prendevano ti trucidavano di botte
perché servissi d’esempio. Abdul è arrivato al mare. Ha trovato ad aspettarlo
cosche mafiose che gli hanno chiesto
quello che gli restava e rifilato le ultime
legnate propiziatorie. Poi, fatto il numero, lo hanno caricato su un vecchio
barcone da pesca. Il mare era calmo
ma poi è arrivata una tempesta. Dove
sei Dio? Le onde hanno sbattuto il barcone come un panno e rovesciato fuori
tutto quello che se ne usciva. Il giorno
dopo è tornata la calma e il bel tempo.
L’odore fetido della morte. Di sangue
che sotto al sole cocente imputridiva. I
cadaveri stipati di fianco ai vivi. I vivi a
fingere che quei corpi inermi stavano
dormendo. Per non impazzire. Dai che
ce la fai, Abdul. Lo hanno scaricato ad
un porto italiano. Voci raccontavano
che a Chiasso in Svizzera si poteva passare. Così è scappato dal centro di accoglienza.
È salito su un treno. Adesso sul nostro
confine due uniformi blu e nere con dei
guanti bianchi lo accompagnano in una
stanza fresca. Abdul, forza che ce la fai.
Ma non lo registrano. Non ne ha diritto.
È arrivato da noi ma non si è registrato
in Italia. Gli italiani avrebbero dovuto
registrarlo ma non l’hanno fatto. Presi
dai loro problemi di politica interna,
non li vogliono. Chiedono aiuti all’Unione europea. Pretendono di ripartire equamente quella gente fra gli Stati
membri. Schengen e Dublino per Abdul
sono parole vuote. Senza speranza.
Abdul è un numero in più. Non può
passare. Noi lo rimandiamo indietro.
Respinto. Che ci pensino gli italiani,
come è giusto che sia. Abdul pensa a
sua moglie e sua figlia restati a casa e
si fa coraggio. Deve trovare un posto,
deve resistere e far venire la sua famiglia. Intanto che Abdul scompare nel
nulla, altri arrivano e poi come lui se ne
vanno. Qualcuno un giorno ci giudicherà per non aver fatto abbastanza.
Speriamo che la Corte europea dei di-
ritti dell’uomo trovi modo di pensarci
prima.
«La questione della migrazione è al
primo posto tra le preoccupazioni dei
cittadini svizzeri che andranno a votare. Lo rileva il secondo barometro
elettorale per conto della SSR SRG in
vista delle federali del 18 ottobre. Seguono i rapporti con l’Europa, bilaterali
compresi, e l’euro. Anche la disoccupazione viene segnalata tra le maggiori
preoccupazioni. Nella Svizzera italiana
essa figura al primo posto, seguita da
migrazione e questione salariale legata
alla concorrenza dei frontalieri. Ai cittadini che hanno preso parte al sondaggio è stata posta anche la domanda sui
richiedenti l’asilo. Il 44% si è detto d’accordo con il comportamento della Confederazione, il 30% ritiene che la
Svizzera offra troppa accoglienza e il
21% troppo poca. Il partito ritenuto più
idoneo a dare risposte alle cinque maggiori preoccupazioni è il PS, seguito a
ruota dall’UDC. Il PS è considerato
competente soprattutto nel campo della
sicurezza sociale. L’UDC in quello della
migrazione (fonte swissinfo)».
Vista la fiducia che il popolo ripone
nelle capacità dell’UDC di affrontare il
problema migratorio, diciamo addio
alla nostra politica di accoglienza. Poveri tutti gli Abdul del mondo.
53
CANDIDATI
di Igor Righini, candidato del PS al Consiglio nazionale
VUOLE?
RIFLETTENDO
SULLA PIATTAFORMA ELETTORALE
di Lara Robbiani Tognina, candidata del PS al Consiglio nazionale
CANDIDATI
54
Ho in mano il volantino pieghevole, grande come una carta di credito, in cui sono illustrati dieci progetti del Partito Socialista. All’interno trovo le indicazioni relative
alla pagina Twitter e Facebook dei Socialisti. La grafica è invitante, i dieci progetti
sono chiaramente evidenziati. Li leggo e inizio a riflettere.
Salari
AVS
«Contratti collettivi di lavoro con minimo salariale dignitosi per tutti i settori». Parità salariale. Penso alla
discussione fatta con mia figlia. «Perché dobbiamo alzare continuamente
gli stipendi per fare fronte a tutti gli
aumenti di spesa (cassa malati, affitti,
spesa…)?» mi dice. «Non sarebbe più
semplice abbassare tutte le altre voci
in bilancio?». Già, non fa una piega!
Ma i medici vogliono guadagnare di
più, le casse malati vogliono guadagnare di più, le assicurazioni, i proprietari, i grandi magazzini... tutti vogliono
aumentare i profitti. Solo i lavoratori
rimangono sempre con le stesse paghe.
«E chi paga le differenze?» Lo Stato,
con i sussidi per la cassa malati e gli
appartamenti a pigioni moderate. «Ma
non è giusto!» Certo che no, non è giusto che chi lavora non guadagni abbastanza per coprire le spese. C’è
qualcosa che non funziona.
«Aumento delle rendite per una terza
età dignitosa». Conosco delle persone
che si sono trasferite all’estero perché
non sono in grado, con la sola pensione, di pagare la cassa malati, l’affitto e i premi assicurativi. Ma davvero
la rendita è troppo bassa? O non sono
piuttosto le nostre spese ad essere
troppo alte?
Alloggio
«Alloggi accessibili». Sfogliando i giornali e leggendo gli annunci immobiliari, mi ritrovo spesso a chiedermi:
«Ma come fanno tante famiglie a pagare certi affitti?». Per finire, conviene
comperarla, una casa... anche
se non sarà mai tua, ma
della banca. Gli interessi da
pagare sull’ipoteca sono,
per il momento, più bassi di
un affitto. Ma un tetto
sopra la testa non dovrebbe essere un diritto? Inoltre, vengono
costruite
sempre
nuove case, occupando
nuovi spazi... e intanto
i nuclei dei paesi sono
vuoti, le case disabitate. Perché non trasformare quelle case
in abitazioni a pigione
moderata?
Tasse sulla speculazione
Un conoscente, ogni mattina, prima di
iniziare il lavoro, consultava il giornale
e poi chiamava la sua banca dando indicazioni circa le azioni da comperare
e vendere. Oggi fa lo stesso usando internet. Negli anni ha guadagnato parecchio. Perché la commessa che
lavora otto ore e ha uno stipendio
basso deve pagare le tasse sul suo piccolo conto di risparmio, mentre le transazioni di chi in pochi minuti guadagna
molto non vengono tassate? Soldi facili,
senza fatica, e benefici non condivisi.
Cure dei bambini
Sono mamma di tre figli, zia di tre nipotini, docente sempre circondata da
bambini. Anni fa, a Muralto, ho aperto
un preasilo per rispondere ai concreti
bisogni delle famiglie. Genitori che devono andare entrambi a lavorare e famiglie monoparentali che spesso
non hanno il supporto di nonni e zii
devono essere
aiutati.
Sanità
Ogni anno la medesima storia: alzi la
franchigia e speri che nessuno della famiglia si ammali. Puntualmente, chi ha
messo la franchigia a 2’500 franchi
sperando di non ammalarsi si trova a
dover fare dei controlli... e a pentirsi di
non avere mantenuto una franchigia
bassa. Le pecche di un sistema che
pone gli assicurati di fronte alla domanda se andare o meno dal medico o
spinge a ricorrere al medico pur di recuperare la spesa causata dall’apertura della franchigia sono evidenti.
Molti problemi sarebbero risolti con
una cassa che offra prestazioni di base
uguali per tutti. Per chi vuole di più,
stanza privata, cure balneari... c’è
sempre l’opzione di una polizza aggiuntiva.
Traffico
«Creare nei Comuni delle aree d’incontro a traffico ridotto per migliorare la
vita di tutti». Ci sono parecchi Comuni
in cui è stato introdotto il cosiddetto
«pedibus»: i bambini passano a prendere i compagni e vanno insieme a
scuola invece di esser singolarmente
portati a scuola in auto. Un esempio
concreto tra i tanti possibili di intervento a salvaguardia della sicurezza e
della salute, e di riduzione del traffico
privato non necessario.
Svolta energetica
Occorre chiudere le nostre centrali nucleari, alcune delle quali vecchie e pericolose
lasciandoci
alle spalle un sistema di produzione di energia che
genera quantità di rifiuti altamente tossici
che non sappiamo
dove mettere. Nel
contempo dobbiamo
promuovere le energie rinnovabili: sole,
acqua e vento, risorse
di cui il Ticino è ricco.
Per un futuro energetico sicuro, per noi, i
nostri figli e figlie.
PS INTERNAZIONALE: UNA PRIMA
IN TICINO
Mielikki Albeverio
è nata a Lugano nel
1973 da genitori ticinesi. È cresciuta in tre
Paesi (Norvegia, Francia e Germania) con
l’Italiano come lingua materna e soggiorni
frequenti in Ticino. È laureata in scienze
sociali a Bochum e ha lavorato per dieci
anni alla sezione tedesca di Amnesty International a Bonn. Ora è a Monaco di Baviera, dove si è trasferita nel 2011 per
aprire un nuovo ufficio regionale di Amnesty nel Sud della Germania. Ha seguito
una formazione di mediatrice secondo la Comunicazione Nonviolenta di Marshall
Rosenberg e corsi al Centro Psicopedagogico per la Pace e la gestione dei conflitti
(Piacenza) e all’Accademia di Eufonia (Lugano).
Il suo slogan: «Per un mondo nel quale pace, solidarietà, rispetto per le persone e
per l’ambiente siano i veri motori della società!».
David Monico è nato a Ginevra nel 1987
da padre bleniese. Si trasferisce a Bruxelles tre anni fa per studiare e vi resta
per motivi professionali e familiari. Mantiene comunque una relazione stretta e
sentimentale con la Svizzera e in modo
particolare con il Ticino, dove ha famiglia
e amici. Laureato in Studi europei all’Istituto europeo di Ginevra, lavora da due
anni nell’ambito degli affari europei. Ha
potuto constatare quotidianamente l’impatto che le politiche dell’Unione europea hanno sulla Svizzera. Ha fatto parte
di varie associazioni di studenti, è volontario in associazioni LGBT e nel centro di
accoglienza di migranti della croce rossa
a Bruxelles.
Il suo slogan: «Vivendo all’estero come
all’interno, la Svizzera la desideriamo
aperta sul mondo e per tutti/e».
Nicolette Gianella è nata in Ticino nel
1954 da padre bleniese discendente da
una famiglia contadina ed emigrante, e
madre di famiglia operaia dell’Oberland
bernese. Dopo la Magistrale in Ticino,
lascia tutto per Ginevra, poi va in Francia e ottiene un master in scienze del
linguaggio. Torna in Ticino e diventa
docente di francese e italiano, ma nel
1986 conosce il Nicaragua e vi si trasferisce nel 1987 come docente di linguistica alla Universidad Nacional (UNAN)
a Managua. Dal 1988 lavora per i comitati di solidarietà e per AMCA.
Ha sempre detto che cerca «un mondo
migliore!». Ma non è sufficiente dirlo
così. Parafrasando una canzone rivoluzionaria nica: «O ci sarà un mondo migliore per tutti o non ci sarà per
nessuno».
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CANDIDATI
È la prima volta che proponiamo una lista della Sezione internazionale anche in Ticino,
ma da ben 12 anni siamo presenti in altri Cantoni svizzeri. Altro non potrebbe essere:
il PS è un partito internazionalista. Tiene contatti con i Socialisti di tutto il mondo e
sa che i compatrioti si impegneranno per gli ideali progressisti anche all’estero.
L’obiettivo della nostra azione politica è chiaro: far sapere agli elettori svizzeri all’estero che il PS è la forza politica che meglio tutela gli interessi dei nostri concittadini
e non quelli dei grandi capitali. Sono in gioco i nostri valori progressisti: la solidarietà,
la cooperazione, l’aiuto umanitario, i diritti dell’uomo, la tutela della democrazia, le
conquiste sociali e il promovimento dello Stato di diritto, in un’ottica umanistica e
universale. Le nostre candidate e il nostro candidato si batteranno per i nostri ideali!
Elena Riva è nata in Ticino nel 1984 e
cresciuta a Savosa, studiando a Ginevra
e a Parigi lingua e cultura cinese. Si è
quindi stabilita nella capitale francese,
dove ha lavorato come assistente alla
cessione dei diritti in una casa editrice
francese e ultimamente come traduttrice indipendente. È volontaria per diverse associazioni che agiscono a livello
sociale nel quartiere in cui vive, perché
è importante non perdere di vista il
contesto locale, in cui al giorno d’oggi si
è spesso confrontati alla precarietà finanziaria e sociale. Vuole dedicarsi a
ottenere una maggior considerazione
politica per gli Svizzeri domiciliati all’estero, contribuire a migliorare le relazioni con l’Europa e rendere la società
più integrata ed equa (fiscalità, educazione, sanità). Questo per una vita migliore per tutti, senza privilegi!
Con le liste internazionali vogliamo far
capire che oggi è sempre più importante
superare le difficoltà causate dall’economia neoliberista e dai rimedi adottati dai
partiti borghesi. Ricordiamoci, ad esempio, che il PPD è affiliato all’Internazionale Democratica Centrista, quell’associazione che ha come esponenti di
spicco Angela Merkel e Wolfgang Schäuble. Il Partito Socialista invece è nell’Alleanza Progressista, l’unica forza
internazionale che ha ascoltato con vigore il grido di aiuto greco e proposto
soluzioni economiche pragmatiche ed
equilibrate, che stanno permettendo di
trovare una via d’uscita alla crisi innescata dalle banche nel 2008, cercando di
stabilizzare la Grecia e l’Euro.
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