Comments
Description
Transcript
3 Mb - Partito Socialista
c’è Dossier elettorale del Partito Socialista Ticino 50 sfumature di rosso UNA LEGISLATURA INTENSA E di Marisa Infante PS.CH 2 Per questo vanno apprezzati doppiamente gli sforzi di Marina Carobbio, membro della Commissione sicurezza sociale e sanitaria, della Commissione finanze e della Delegazione finanze, che con grinta e coraggio si è battuta per difendere la nostra idea di società, affrontando temi spinosi e importantissimi, come la sanità (ricordiamo l’iniziativa sulla cassa malati pubblica, che, anche se non è passata, ha permesso di avere una sorveglianza più stretta sulle stesse casse malati e un sistema migliore per evitare che in certi Cantoni si paghino premi in eccesso), i salari dei manager e il riciclaggio, l’ambiente e il tunnel del Gottardo, passando per il lavoro, l’italianità e la revisione della Legge sui trapianti. In queste pagine, vista l’impossibilità di illustrare tutto, abbiamo selezionato alcuni degli atti parlamentari e delle iniziative inoltrate da Marina nel corso dell’ultima Legislatura. Passi importanti, anche quando non vanno a buon fine: insisti oggi, insisti domani… hai visto mai? Più soldi da Berna Una mossa intelligente e giusta, corroborata dai fatti: rivedere il potenziale fiscale del nostro Cantone tenendo conto della situazione di regione di frontiera significa infatti ricevere più soldi da Berna, nel contesto della ridistribuzione finanziaria a livello federale che mira ad armonizzare le differenze fra Cantoni. Tutto si gioca sui redditi dei frontalieri: considerarli nel potenziale di risorse pari al 50 per cento al posto del 75 per cento, come avvenuto finora, significa, in parole semplici, tener conto che ci sono anche dei costi e quindi beneficiare di soldi in più dalla Confederazione. Questo il contenuto del postulato della Commissione delle finanze a partire da una richiesta avanzata da Marina Carobbio. Postulato accettato dal Consiglio nazionale il 10 marzo di quest’anno per la validità dell’argomentazione. Ora la palla passa al Consiglio federale, ma è un buon inizio. Precariato Immaginate di non poter programmare più una domenica in montagna con i PROFICUA Lo sappiamo bene: non tira aria buona a Berna, così come in Ticino. Essere l’unica consigliera nazionale socialista proveniente dal Canton Ticino significa barcamenarsi in acque non proprio amiche, destro-centriche e lontane dai princìpi di equità sociale e ridistribuzione delle risorse su cui si basa il nostro Partito. bambini, di non potervi iscrivere al corso di yoga del mercoledì sera per paura di non essere costanti, di far fatica anche a prenotare due sacrosante settimane di vacanza all’anno. Ma questo è il meno. Infatti i lavoratori su chiamata, che devono essere iperflessibili, vivono anche col costante terrore che quei (pochi) soldi mensili vengano loro improvvisamente detratti e che dall’oggi al domani il datore di lavoro, che furbescamente ha scaricato sulle loro spalle i propri rischi, se ne esca con un «Arrivederci e grazie, buona fortuna per il futuro». In Svizzera circa 190 mila persone vivono così, e il loro numero è probabilmente destinato a crescere. Per questo Marina Carobbio ha depositato nel marzo del 2014 un’iniziativa parlamentare che mira a una base legale per il lavoro su chiamata (la Camera non l’ha ancora trattata) e una relativa alla Legge federale sugli acquisti pubblici. Con questa Legge, il Consiglio federale si propone di promuovere la libera concorrenza fra tutti gli offerenti, ma è ovvio che le imprese che utilizzano personale a chiamata possono offrire servizi a prezzi inferiori, avendo ridotto costi e rischi a svantaggio dei lavoratori. Purtroppo l’iniziativa è stata respinta, ma è bene che si inizi a discuterne. Imprese sociali Poi ci sono i disoccupati, che spesso non trovano lavoro fino a entrare in assistenza. Un capitolo triste, difficile da affrontare, se pensiamo che a oggi sono 230 mila le Bellinzonese: l’aggregazione è indispensabile «Nell’interesse del Cantone c’è urgente bisogno di un Sopraceneri e di un Bellinzonese più forti e consapevoli del proprio ruolo. L’aggregazione consentirebbe la creazione di un nuovo Comune con una struttura finanziaria più solida (e quindi meno dipendente dal contributo di livellamento), ma soprattutto in grado di affrontare con strumenti adeguati le enormi sfide che lo attendono nell’immediato futuro con, in primo luogo, l’apertura di AlpTransit. Il fervore edilizio che stiamo osservando in questi ultimi anni va governato, lo sviluppo economico e sociale va adeguatamente indirizzato. Si tratta di saper cogliere e sfruttare queste opportunità, contenendo i rischi. Il Bellinzonese dev’essere uno spazio che, con un’alta qualità di vita, sia in grado di offrire anche alle generazioni future lavoro e opportunità professionali. Una regione che sappia governare quel bene prezioso e limitato che è il suo territorio, valorizzando le peculiarità di uno spazio e di un paesaggio unici nel loro genere.» Mario Branda, Sindaco di Bellinzona Salari in euro Già nel 2012 Marina Carobbio aveva provato a far passare l’idea della necessità di intervenire sulla questione della moneta e dei salari. Ma allora il Consiglio nazionale aveva respinto l’iniziativa, adducendo come motivazione la rarità dei casi e aggiungendo che quei pochi si sarebbero risolti spontaneamente nel tempo. Ebbene, sono passati tre anni e il fenomeno sta crescendo. Ricordiamo che nelle regioni di frontiera il versamento di salari in euro, oltre a creare una discriminazione tra i lavoratori, accentua la pressione sui salari e quindi il dumping salariale. I datori di lavoro possono dunque avere un interesse ad assumere lavoratori frontalieri, pagati in euro e quindi con salari inferiori rispetto ai salari corrisposti in franchi ai lavoratori svizzeri o residenti. Per questo a marzo la nostra rappresentante ha depositato in Consiglio nazionale una mozione che chiede al Consiglio federale di modificare l’articolo 323b del Codice delle obbligazioni in modo che il salario sia imperativamente pagato in moneta legale, ossia in franchi svizzeri. Donne La parità fra uomo e donna? Quando si dice «una chimera». Molto spesso la discriminazione striscia, si nasconde fra i sassi come un serpente. Un esempio? La qualificazione professionale. Mica noccioline, perché con certi attestati e certe capacità cambiano la busta paga e spesso anche la qualità di vita. Ma attenzione! Se lavori a tempo pieno puoi Le altre facce del PS: GISO e Internazionale Il Partito Socialista congiunge la propria lista anche con quella della GISO e con quella del PS internazionale. GISO (Lista 17) La GISO parteciperà alle prossime elezioni per il Consiglio nazionale con una sua lista congiunta al PS e ad altre compagini progressiste. Abbiamo presentato una lista in modo da portare, attraverso i/le candidat*, il nostro punto di vista e i temi per cui lottiamo, sperando di contribuire all’elezione di un/a second* parlamentare di Sinistra. Accompagnati dallo slogan «Cambia ciò che ti disturba», condurremo una campagna di gruppo e con azioni sul territorio, cercando di avvicinare i giovani al voto. I nostri candidati: Lisa Boscolo (Bellinzona), Giulio Bozzini, (Arbedo-Castione), Aramis Gianini (Cadenazzo), Lydia Joray (Faido), Fabrizio Sirica (Locarno) Le biografie: http://bit.ly/psgisoit PS Internazionale (Lista 9) Per noi è una lista naturale: il PS è un partito internazionalista. Significa che tiene contatti con i Socialisti in tutto il mondo e sa che i compatrioti si impegneranno per gli ideali progressisti anche all’estero. Solo un grande movimento internazionalista potrà lottare con efficacia contro le disuguaglianze e i privilegi. L’obiettivo della nostra azione è chiaro: far sapere agli elettori svizzeri all’estero che solo il PS tutela gli interessi dei nostri concittadini e non quelli dei grandi capitali. Sono in gioco i nostri valori: la solidarietà, l’aiuto umanitario, i diritti dell’uomo, la tutela della democrazia, le conquiste sociali. I candidati ticinesi del PS internazionale: Mielikki Albeverio, Nicolette Gianella, David Monico, Elena Riva Le biografie: http://bit.ly/psinternazionale accedervi dopo cinque anni di esperienza lavorativa, ma se lavori a tempo parziale (udite udite!) dopo dieci anni. Se calcoliamo che spesso sono le donne a essere impiegate a tempo parziale, ecco che si capisce come il sistema così concepito puzzi un po’ di discriminazione. Per questo Marina Carobbio ha avanzato una mozione che mira a favorire l’accesso alla qualificazione professionale anche per chi svolge un lavoro a tempo parziale. La Camera deve ancora prendere una decisione, ma certo è che molte giovani donne in questo modo potrebbero avere più possibilità per dare una svolta al proprio iter professionale. Affitti Quello del caro-affitti è un tema fondamentale per qualsiasi Socialista. Negli ultimi tempi la speculazione è esagerata, ma pare che chi ci guadagna abbia un appetito insaziabile. Dal 2009 il tasso ipotecario si è abbassato di ben 7 volte e ha raggiunto l’1,75 per cento, il valore più basso mai toccato. Credete che a fine mese sia cambiato qualcosa per gli inquilini? No. Nemmeno un centesimo di differenza. Per questo Marina Carobbio ha recentemente depositato un postulato attraverso il quale chiede al Consiglio federale di presentare un rapporto che illustri i provvedimenti e le misure, legislative e non, che potrebbero essere realizzati affinché la diminuzione del tasso ipotecario di riferimento vada effettivamente a beneficio degli inquilini. Dita incrociate! Il bilancio della Legislatura di Marina Carobbio: http://bit.ly/bilanciomarina Gli atti parlamentari di Marina Carobbio: http://bit.ly/attiparlamentarimarina 3 PS.CH persone che per tirare avanti devono ricorrere allo Stato. Sfaccendati, lazzaroni? Macché: solo sfortunati. Il 1. gennaio 2012 è inoltre entrata in vigore la prima parte della sesta revisione dell’AI, che prevede di reintegrare nel mercato del lavoro circa 2’800 persone all’anno. Negli ultimi anni questo contesto ha dato vita a forme ibride a metà strada tra Stato ed economia: le imprese sociali ne sono appunto un esempio. Ma sono tutte uguali? Quanti contributi ricevono, quante persone impiegano? Visto che a loro non è permesso entrare in concorrenza con l’economia privata, possono dare luogo a commistioni tra gli obiettivi sociali e quelli economici. Per questo, tramite un postulato che è stato accettato, Marina Carobbio ha chiesto al Consiglio federale un rapporto in cui si illustrino diversi aspetti, ovvero le differenti forme di impresa sociale esistenti, le basi legali cantonali, il numero di persone che lavorano nelle imprese sociali e la partecipazione finanziaria della Confederazione e degli altri enti pubblici. Il rapporto sarà consegnato prossimamente. 3 DOMANDE A CHI SI CANDIDA AL NAZIONALE PS.CH 4 Mixaris Bianchera-Pérez Concepción Il mercato del lavoro è sempre più concorrenziale e difficile. Quali sono le misure necessarie per migliorare la situazione? Il lavoro è fra i problemi più importanti da risolvere. In questa tematica rientrano i salari più bassi percepiti dalle donne. Nonostante esista un principio costituzionale che sancisce la parità salariale fra uomo e donna, esso non viene rispettato. I miei sforzi, se venissi eletta, andranno soprattutto in questa direzione. Rivediamo il concetto di aziende ad alto valore aggiunto, introducendo anche l’aspetto salariale nei criteri che le definiscono come tali. A livello di socialità e servizio pubblico, quali settori andrebbero rafforzati? Anche in questo caso torno a parlare del mercato del lavoro, una questione davvero cruciale: è ovvio che, se riusciamo a dare a tutti dei salari e una pensione dignitosi, l’economia verrà aiutata e le risorse ridistribuite. Non di- mentichiamo la sanità: il Partito Socialista si batte da anni per la creazione di una cassa malati pubblica perché i premi delle casse malati private continuano a salire e le famiglie meno abbienti sono penalizzate. Abbiamo discusso anche negli ultimi tempi delle borse di studio: garantire a tutti una formazione adeguata è il punto di partenza per distribuire meglio le risorse. Senza dimenticare che il costo della pigione è una delle voci che maggiormente incidono sul budget familiare. Occorre incentivare la costruzione di appartamenti a pigione moderata con una collaborazione pubblico/privato e con la partecipazione di organizzazioni di utilità pubblica, per esempio le cooperative. Quali sono le sfide attuali per quanto riguarda la salvaguardia del territorio e dell’ambiente? Le aziende che si installano qui pagando salari assolutamente non dignitosi depredano il territorio, generando problemi sociali ma anche ambientali, per esempio con il traffico che generano. Occorre incentivare i mezzi di trasporto pubblici. Il traffico merci deve passare su ferrovia e dobbiamo dire un chiaro No al raddoppio del Gottardo! Pietro Bianchi A livello di socialità e servizio pubblico, quali settori andrebbero rafforzati? Per me la nostra società è come un sasso che non è stato scrostato. Noi dobbiamo lavorare questo blocco di granito… la perfezione la avremo quando otterremo un cubo liscio. Uso questa metafora per dire che non basta dare indicazioni su cosa si dovrebbe migliorare, ma tutti noi, anche nel nostro piccolo, nel nostro quotidiano, dovremmo fare qualcosa in questa direzione. Faccio l’esempio della cultura, che ha un ruolo sempre più marginale e viene considerata quasi un optional. La cultura non è una musica di sottofondo, ma qualcosa cui tutti dobbiamo lavorare, e costantemente. Il mio motto è: se trovate che la cultura sia cara, provate con l’ignoranza. Quali sono le sfide attuali per quanto riguarda la salvaguardia del territorio e dell’ambiente? È bene pensare su scala globale. È tutto il Pianeta che è malato, che sta andando male. Bisognerebbe anche in que- sto caso cominciare dal quotidiano: noi stessi dovremmo stare più attenti all’acqua che consumiamo, a non accendere troppo la luce eccetera. Il Pianeta è uno solo, non ne abbiamo due: condivido l’idea del padiglione svizzero a Expo. La Natura è qualcosa di assolutamente perfetto. Si impara molto stando a contatto con i fiumi, i boschi, i laghi. Cerchiamo di non buttare tutto alle ortiche, di preservare la bellezza del nostro Paese e di non sacrificare queste cose preziose al dio denaro. Si può benissimo vivere senza centrali nucleari e senza cementificare tutto. Quanto è importante investire sui giovani e sull’istruzione? I giovani sono la nostra speranza. Raramente guardo troppo indietro, cerco sempre di guardare avanti. Noi oggi dobbiamo lavorare con i giovani, dedicare loro una parte della nostra giornata: tutti noi dobbiamo farlo, dall’industriale all’artigiano, dal musicista al ballerino e al teatrante. Loro saranno un giorno la nostra forza. Lasciamo perdere i nostri motti, «una volta si viveva meglio» eccetera: guardiamo cosa noi lasceremo ai nostri giovani e diamo loro una speranza per costruire un mondo migliore di quello attuale. Le biografie di tutti i candidati e le candidate al Consiglio nazionale: http://bit.ly/candidatinazionale2015 Marina Carobbio Guscetti Il mercato del lavoro è sempre più concorrenziale e difficile. Quali sono le misure per migliorare la situazione? Ci vuole una nuova cultura imprenditoriale che rispetti di più i lavoratori e le lavoratrici e una nuova politica economica e industriale. La politica di sgravi fiscali di decenni ha mostrato tutti i suoi effetti negativi. L’estensione dei contratti collettivi di lavoro con salari minimi vincolanti, ma anche la parità salariale e la regolazione del lavoro su chiamata e interinale, sono misure indispensabili. La formazione professionale e specialistica va rafforzata in particolare in settori con potenzialità come quello biomedico o ferroviario: AlpTransit, centro di competenza e officine di Bellinzona eccetera. Ciò significa più sinergie tra aziende e istituti di ricerca come la SUPSI, l’USI, l’IRB o l’Istituto di formazione professionale. A livello di socialità e servizio pubblico, quali settori andrebbero rafforzati? libero scambio che potrebbero coinvolgere anche la Svizzera e portare ad aprire parte al mercato del servizio pubblico, come l’erogazione dell’acqua potabile o la formazione, sottraendolo al controllo democratico. In Svizzera stanno aumentando le privatizzazioni di ospedali e le esternalizzazioni di servizi sanitari. Le conseguenze? Disastrose, come mostrano altri Paesi, tipo l’Inghilterra. Anche in Ticino con la pianificazione ospedaliera si vogliono smantellare gli ospedali di periferia e si ventila un partenariato con il privato, rischiando di peggiorare i servizi sanitari, a tutto vantaggio dei profitti di gruppi privati come Genolier. Quali sono le sfide attuali per quanto riguarda la salvaguardia del territorio e dell’ambiente? La protezione degli spazi verdi da insediamenti speculativi grazie a una migliore pianificazione del territorio, che permetterebbe anche di aumentare gli alloggi a pigione moderata, e la svolta energetica. Il raddoppio del Gottardo avrebbe gravi conseguenze per l’arco alpino, mettendo a repentaglio la politica di trasferimento su rotaia. Bisogna combattere i tentativi più o meno mascherati di privatizzazione, compresi i nuovi accordi commerciali di Raoul Ghisletta Il mercato del lavoro è sempre più concorrenziale e difficile. Quali sono le misure per migliorare la situazione? In Ticino il mercato del lavoro è condizionato dalla situazione economica italiana: salari bassi, precariato, ritardo salariale in aumento rispetto alla media svizzera. Nel settore terziario il problema è scoppiato con l’entrata a pieno regime della libera circolazione «senza regole» delle persone. Per riprendere il controllo della situazione si deve rafforzare lo statuto del lavoratore a livello federale e documentare il problema a livello nazionale, come stanno facendo i sindacati ticinesi. Se le nostre richieste non passeranno a Berna in tempi ragionevoli, dovremo cercare di congelare la libera circolazione delle persone in Ticino, puntando sul fatto che essa produce un forte degrado delle condizioni di lavoro locali e viola lo spirito dei Bilaterali. La questione degli alloggi è cruciale. Cosa fare per aiutare i cittadini vittime della speculazione edilizia? In Ticino il mercato in varie regioni è stato squilibrato dalla crescente domanda esterna. Bisogna pertanto accrescere il ruolo degli enti non profit. Come Socialisti, con l’Associazione inquilini, abbiamo fatto approvare dal Parlamento, cinque anni fa, l’elaborazione del Piano cantonale dell’alloggio, che vedrà la luce prossimamente. A Lugano 2 anni fa il PS, l’Associazione inquilini e la VPOD hanno consegnato un’iniziativa popolare e dopo l’estate il Consiglio comunale accoglierà il compromesso, che prevede un investimento di 10 milioni per alloggi a prezzi accessibili. A livello di socialità e servizio pubblico, quali settori andrebbero rafforzati? Oggi il rischio di povertà colpisce soprattutto i giovani e le giovani famiglie, quindi lì bisogna aumentare gli sforzi: nei servizi che vanno dagli asili nido alle mense/doposcuola, fino alla scuola dell’obbligo. Bisogna anche ridurre il numero degli allievi: 15-20 per classe, in modo da non lasciare indietro nessuno, soprattutto quelli che hanno difficoltà, ad esempio perché sono alloglotti o non sono seguiti dalle famiglie. Investire a questo livello consente di prevenire tanti costi successivi. PS.CH 5 Igor Righini PS.CH 6 Il mercato del lavoro è sempre più concorrenziale e difficile. Quali sono le misure necessarie per migliorare la situazione? Molte aziende pongono condizioni restrittive per mantenere le attività sul nostro territorio. Il lavoro si adatta e diventa flessibile, a tempo indeterminato, su chiamata, addirittura gratuito. Per dare ai lavoratori maggiori sicurezze sono necessari dei contratti collettivi. Bisogna potenziare l’azione sindacale e garantire il rispetto delle regole contrattuali grazie anche a sanzioni esemplari, proporzionate al grado dell’infrazione. Poi occorre riferire ogni stipendio nazionale del settore privato a una forchetta di salari minimi e massimi per ogni categoria professionale. La questione degli alloggi è cruciale. Cosa fare per aiutare i cittadini vittime della speculazione edilizia? Sebbene oggi il costo del denaro sia basso, le persone normali non soddisfano le condizioni poste dagli uffici di credito e una casa di proprietà resta un miraggio per molti. Il mercato immobiliare da una parte costruisce appartamenti in affitto, dall’altra case, ville e appartamenti per i ricchi. Così la divergenza fra le classi cresce e si ghettizza. Per risolvere il problema dell’alloggio è necessario facilitare l’accesso alla casa alle persone con un reddito basso grazie a efficienti sovvenzioni pubbliche. Lo Stato deve attuare una pianificazione immobiliare ad alta qualità sociale e ambientale. Quali sono le sfide attuali per quanto riguarda la salvaguardia del territorio e dell’ambiente? Il Pianeta è in cattiva salute: ghiacciai perenni che si sciolgono, montagne che si sgretolano, piogge violente, alluvioni. Non c’è un minuto da perdere! Riduciamo i fabbisogni energetici e usiamo fonti rinnovabili. Preserviamo l’acqua, l’aria e la terra. Riappropriamoci dei sistemi di coltivazione rispettosi dell’ambiente. Rispettiamo le diversità biologiche. Per attuare questo progetto serve una nuova società tecnologica, equilibrata e pacifica. La Svizzera, con le sue conoscenze e le sue risorse, può diventare per l’intero Pianeta il modello di una società sostenibile ed economicamente competitiva. Lara Robbiani Tognina Quali sono le sfide attuali per quanto riguarda la salvaguardia del territorio e dell’ambiente? Dobbiamo tutelare le zone protette e non edificabili, ma anche sostenere e aumentare gli ecoincentivi e rafforzare i sussidi per le ristrutturazioni. I nostri paesi sono pieni di case molto belle nei nuclei, ma spesso la gente costruisce ex novo perché ristrutturare costa molto. Elargendo dei contributi, potremmo salvare qualche terreno. Occorre poi assolutamente spingere e sostenere le energie alternative, visto che in Ticino non mancano l’acqua, il sole e il vento. Il mio sogno? Più edifici energeticamente autosufficienti. Se ogni nuova casa costruita avesse un pannello solare, avremmo già risolto un po’ di problemi. Purtroppo queste iniziative rimangono appannaggio dei privati e non nascono su spinta politica. Una volta ogni casa nuova doveva avere un bunker: perché non promuovere una cosa del genere a livello di risparmio energetico? Quanto è importante investire sui giovani e sull’istruzione? I nostri giovani non sono solo il futuro del nostro Paese, ma sono già il presente. L’importanza di un’istruzione che sappia valorizzare i talenti di ognuno, stimoli i giovani, li renda attivi e critici, non passivi consumatori, non può essere messa in dubbio. I tagli sull’istruzione non dovrebbero proprio esistere come concetto: risparmiando sulla scuola, ci si troverà magari a investire più denaro nella polizia e nei servizi sociali, perché avremo giovani allo sbando, senza lavoro e senza prospettive. Quali strade seguire per ridistribuire le ricchezze? Le strade sono diverse e il Partito Socialista e il Cantone le hanno già intraprese: il salario minimo, l’eliminazione dei bonus e degli stipendi esorbitanti dei manager, l’introduzione a tappeto di contratti collettivi per tutte le categorie, maggiori controlli e vigilanza e sanzioni molto più severe per chi non rispetta i contratti collettivi, a partire dagli stipendi arrivando anche al rispetto dell’orario di lavoro e delle regole di assunzione. Devono essere vere sanzioni, più alte di quello che si è risparmiato negli anni, proprio per disincentivare queste pratiche. Evaristo Roncelli Ritengo che le soluzioni migliori per bloccare il dumping salariale siano da cercarsi in maggiori controlli per quanto riguarda sia i contratti collettivi di lavoro sia i contratti normali di lavoro. Ma questo non basta: ci vogliono sanzioni per quegli imprenditori che lucrano facendo dumping salariale, e queste multe devono essere proporzionate. Faccio un esempio: se un datore di lavoro facendo il furbo intasca 100 mila franchi in più, la sanzione non può essere inferiore a questa cifra, perché verrebbe a mancare l’incentivo a non trasgredire le regole. Servono inoltre una maggiore protezione di chi denuncia gli abusi sul mercato del lavoro e misure che promuovano il reinserimento nel mercato del lavoro. Quali sono le sfide attuali per quanto riguarda la salvaguardia del territorio e dell’ambiente? nullare gli sforzi fatti per trasferire le merci dalla strada alla rotaia. C’è la realistica probabilità che l’Unione europea faccia pressione sul nostro Paese affinché si adegui alle normative europee, con un possibile aumento della capacità dei camion dalle attuali 40 alle 60 tonnellate. Il tunnel del Gottardo è una delle maggiori rotte di transito a livello europeo, basti pensare che già oggi due terzi dei veicoli che transitano nel tunnel sono solo di passaggio. Quindi camion più pesanti sulle nostre strade e maggiore inquinamento: non credo che ce lo possiamo permettere. Quanto è importante investire sui giovani e sull’istruzione? Per me è fondamentale, anche per far fronte alla concorrenza internazionale. Avere centri di competenza e di eccellenza ci permette di rimanere competitivi sul fronte della conoscenza. In quest’ottica, sarebbe bene che in Ticino si sviluppassero non solo la SUPSI e l’USI, ma anche una sorta di Politecnico ticinese che permetta di approfondire le conoscenze tecniche, senza le quali è difficile fare impresa ad alto valore aggiunto. La prossima sfida concerne il raddoppio del San Gottardo, perché rischia di far aumentare il traffico pesante e di an- Bruno Storni Il mercato del lavoro è sempre più concorrenziale e difficile. Quali sono le misure necessarie per migliorare la situazione? Per il nostro Cantone le misure imprescindibili sono i contratti collettivi di lavoro e i minimi salariali, oltre al modello di Ginevra. Ma la concorrenza sul mercato del lavoro va ben oltre l’area insubrica... i trasporti costano sempre meno e si produce dove è conveniente: non solo nei Paesi asiatici, ma anche in altri Paesi europei. Pensiamo alla delocalizzazione del montaggio di apparecchiature elettroniche sviluppate in Ticino, vedi i casi recenti di Turbomach e GE. A questo aggiungiamo l’innovazione tecnologica, che sostituirà sempre più professioni, anche nel terziario. Su questo piano siamo sprovvisti di difese e non solo in Ticino… occorrerà trovare nuove attività più legate al territorio e se il lavoro diminuirà bisognerà affrontare il tema della sua distribuzione. Quali sono le sfide attuali per quanto riguarda la salvaguardia del territorio e dell’ambiente? Se non riusciamo a fermare il riscaldamento climatico si potranno innescare fenomeni ancor più catastrofici, ad esempio dovuti al «disgelo» del permafrost nell’Artico che rilascerà gas a effetto serra di origine naturale, spingendo ulteriormente verso l’alto le temperature, con conseguenze terribili. Le decisioni importanti a protezione del clima avranno luogo quest’anno a Parigi: speriamo in bene. Per il nostro Cantone la sfida immediata invece è il non raddoppio del Gottardo per evitare di diventare la camionale europea. Quanto è importante investire sui giovani e sull’istruzione? È importante investire sui giovani e ciò vuol dire formazione, un campo nel quale però mi sembra si faccia molto, se pensiamo che in 20 anni il numero di studenti è aumentato notevolmente grazie alle crescenti offerte di curricoli di studio elargite dall’USI e dalla SUPSI. Si potrebbe fare di più a livello di apprendistato, che non è molto attrattivo, soprattutto perché gli stipendi in diverse professioni in Ticino sono molto bassi. L’investimento non deve però limitarsi ad accrescere solo il numero di formati, ma anche la qualità della stessa, preferendo formazioni richieste. 7 PS.CH Il mercato del lavoro è sempre più concorrenziale e difficile. Quali sono le misure per migliorare la situazione? ROBERTO MALACRIDA di Marisa Infante PS.CH 8 Il mercato del lavoro è sempre più concorrenziale e difficile. Quali sono le misure per migliorare la situazione? È importante cercare di evitare il dumping salariale. Il mercato del lavoro migliora automaticamente quando diminuisce la concorrenza sleale e quando i padroni, nel senso vecchio del termine, placano la loro voglia di guadagni esagerati rispetto a quanto le loro aziende o le loro attività producono. A livello ticinese, il discorso del mercato del lavoro viene sempre declinato sulla questione dei frontalieri. Per questo motivo, quando si mette a disposizione un posto di lavoro, si valuta con assoluta ponderatezza e analisi minuziosa la possibilità di assumere un Ticinese invece che un frontaliere. Non che il ragionamento sia sbagliato, ma attenzione: assolutizzare questo discorso è a mio avviso un po’ pericoloso. Faccio un esempio che riguarda il mio ambito, quello della sanità: quando si curano gli anziani, gli ammalati, le persone con difficoltà fisiche o psichiche, occorrono una qualità, una preparazione e anche un cuore, una disposizione particolare che nessun curriculum scolastico può dare. In questi casi credo che abbiamo veramente il dovere di scegliere la candidatura migliore, al di là di ogni altro discorso. È giusto e comprensibile dare la priorità ai «nostri», ma, quando fra essi non emerge un profilo convincente, è bene pensare in primo luogo agli ammalati. Queste considerazioni, ovviamente, riguardano in special modo la mia esperienza come medico. AGLI STATI A livello di socialità e servizio pubblico, quali settori andrebbero rafforzati? Preferisco parlare della sanità, che è il mio ambito, quello che conosco meglio. A livello di ospedali, di case per anziani e di aiuti domiciliari c’è ancora uno spazio per creare posti di lavoro e migliorare la qualità di vita ai cittadini meno privilegiati, quali sono gli ammalati e tutte le persone che necessitano di assistenza. Quali sono le sfide attuali per quanto riguarda la salvaguardia del territorio e dell’ambiente? Credo che noi di Sinistra dobbiamo agire tenendo sempre sottotraccia una questione: bisogna essere sensibilissimi, attentissimi verso la giustizia sociale. È sacrosanto quindi fare delle scelte che non pesino sulle generazioni a venire. Quando si prendono delle decisioni in ambito ambientale, a maggior ragione, pensare a cosa succederà fra 10, 20, 100 anni è molto importante. Che cosa lasceremo ai nostri figli, ai nostri nipoti? Queste le domande da farsi. Quanto è importante investire sui giovani e sull’istruzione? Credo davvero molto nell’importanza dell’educazione e nella sua possibilità di forgiare i destini umani. Soprattutto nei primi anni: la Scuola dell’infanzia e le Elementari sono cruciali per l’evoluzione della persona. Ci sono degli input che sono degli imprinting che un docente che lavora con bambini e bambine dai 3 ai 10 anni lascia nelle loro menti e nei loro cuori. Per questo è importante che l’educazione sia sempre ottimale. Per quanto riguarda i giovani, è fondamentale che abbiano una cultura suffi- ciente che permetta loro di scegliere una strada professionale che sia la migliore possibile per loro. La cultura deve sempre esserci, come presenza, come luce che rischiara il sentiero. La questione degli alloggi è cruciale. Cosa fare per aiutare i cittadini vittime della speculazione edilizia? Non soltanto a me, ma credo a tutta la Sinistra, sta particolarmente a cuore la questione degli alloggi a pigione moderata. Penso che si dovrebbe creare una legge, da applicare a livello comunale o cantonale, secondo la quale ogni nuovo palazzo destini un 10 per cento dello spazio totale alla realizzazione di appartamenti con affitti bassi e abbordabili, destinati alle persone con stipendi modesti e con minori possibilità economiche. Sappiamo, dati alla mano, che, se l’affitto si alza troppo in proporzione alle entrate delle famiglie, esse si impoveriscono e iniziano a chiedere aiuti sociali. Cosa succede, in fin dei conti? Che questi cittadini e queste cittadine costano di più allo Stato di quanto sarebbero costati intervenendo in anticipo, per esempio offrendo loro case a prezzi accettabili. Quali strade seguire per ridistribuire le ricchezze? Il punto di partenza, a mio avviso, è una giusta tassazione. Spesso la ricchezza deriva da un ingegno particolare, da capacità fuori dal comune, e queste persone non vanno certo colpevolizzate o condannate, perché la nostra società si basa anche sulla capacità di produrre e di innovare: quindi ben vengano! Ma non sono rari i casi in cui la ricchezza non c’entra nulla col merito personale ma deriva da altri motivi, per esempio dalle fortune accumulate dai padri e dai nonni: per quanto riguarda queste situazioni, ebbene, tassiamo senza problemi, per fare in modo che ne possa approfittare chi non ha avuto determinati privilegi e che la situazione si riequilibri. La biografia di Roberto Malacrida: http://bit.ly/candidatostati2015 PS.CH 9 MARINA CAROBBIO GUSCETTI IGOR RIGHINI Nata nel 1966 Vive a Lumino Consigliera nazionale e medico Nato nel 1966 Vive a Pollegio Architetto - libero professionista MIXARIS BIANCHERAPÉREZ CONCEPCIÓN LARA ROBBIANI TOGNINA Nata nel 1975 Vive a Balerna Giurista in formazione Nata nel 1969 Vive a Manno Docente di religione evangelica PIETRO BIANCHI Nato nel 1953 Vive a Sementina Musicologo EVARISTO RONCELLI Nato nel 1989 Vive a Bellinzona Studente di economia e impiegato RAOUL GHISLETTA BRUNO STORNI Nato nel 1961 Vive a Lugano Sindacalista VPOD Nato nel 1954 Vive a Gordola Ingegnere Elettronico e informatico LA NARRAZIONE E di Marisa Infante CANDIDATI 10 L’ETICA «Non dobbiamo vendere l’anima»: in queste parole c’è un programma legato non solo al fare ma anche all’essere, una dichiarazione di intenti che va a rafforzare il paradigma identitario del Partito. Roberto Malacrida, il candidato scelto per il Consiglio degli Stati, ha alle spalle una solida esperienza nel campo delle cure e dell’etica nella medicina, una professione che ne ha intensificato l’umanità portandolo a riflettere sulle grandi questioni della vita e della morte. Amante della cultura, attivo in politica prima in Gran Consiglio, poi nella Città di Bellinzona come municipale, il medico crede nel connubio «bello-buono». In questa intervista gli abbiamo posto domande sul passato e sul futuro, per conoscere meglio il candidato del Partito Socialista. Dal Municipio agli Stati. Come affronti questa nuova avventura? A dir la verità non sono così preparato. Mai nella vita avrei pensato di avere questa opportunità e in un certo senso anche questo onore: tutto sommato si tratta di un privilegio riservato a pochi. Il Partito mi ha chiesto di mettermi a disposizione lasciando intendere che sarebbe stata una cosa utile e buona per il PS, quindi ho accettato con molto piacere, prendendo la decisione quasi subito. Quali sono le tue strategie per conciliare gli impegni pubblici e quelli privati? CHI È Roberto Malacrida, nato nel 1948, è sposato e padre di due figli. È stato capo servizio delle Cure intense e del Pronto soccorso all’Ospedale di Bellinzona, primario di Medicina intensiva e direttore sanitario all’Ospedale di Lugano dal 1981 al 2013, medico responsabile della REGA e della Croce Verde di Bellinzona dal 1981 e al 1994, presidente della Società Svizzera di Etica Biomedica e membro della Commissione etica dell’Accademia Svizzera delle Scienze Mediche all’inizio del 2000, nonché professore di etica alle Università di Ginevra e di Friborgo fino al 2014. È anche stato membro del Gran Consiglio dal 2006 al 2014 e municipale e capo dicastero Cultura, Scuole e Giovani della Città di Bellinzona dal 2012. È pure direttore della Rivista per le Medical Humanities dell’EOC e membro della Conferenza cantonale della Cultura. In che senso? Chi era Roberto Malacrida prima e chi è dopo l’esperienza coi malati? Quando mi hanno chiesto di candidarmi agli Stati, ne ho parlato un po’ in famiglia: mia moglie dice sempre che si immaginava che da pensionato avrei potuto dedicarle più tempo, fino ad ora non è stato il caso. Questo impegno, almeno fino a novembre, non mi lascerà troppo tempo libero. Ma questo non mi spaventa: avendo diretto per 35 anni le Cure intense prima a Bellinzona e poi a Lugano, ho lavorato giorno e notte. Sempre. Il lavoro con il Municipio, con la Fondazione Sasso Corbaro e adesso questo nuovo impegno non sono una passeggiata. Ma, anche sommando tutto insieme, il carico rimane comunque meno oneroso rispetto a prima. Stando a quanto dicono le persone che mi conoscono e mi stanno vicino, ma tenendo conto anche di quello che sento io, è cambiato il rapporto con l’altro. Bisogna imparare a gestire la sofferenza con la distanza: chi cura è una persona altra e diversa dall’ammalato, deve sapersi distaccare da quello che ha vissuto durante il giorno. Noi medici non possiamo portarci appresso le tragedie di cui siamo testimoni, altrimenti non riusciamo più a fare il nostro lavoro. L’elaborazione della sofferenza e del lutto porta a saper gestire meglio la fatalità della vita e a riflettere profondamente sui valori e sulla morte. Perché hai scelto di diventare medico? Qual è la strada che ti ha portato a sviluppare un’etica della professione? Quasi per caso. Un vicino di casa dei miei genitori era medico e, mi viene in mente adesso, anche politico. Ci frequentavamo molto, anche perché suo figlio, oltre a essermi coetaneo, mi era amico. Probabilmente questa persona mi ha influenzato: attraverso il suo esempio ho visto la possibilità di rendermi utile per il tramite di una professione che permetteva mille cose, dalla ricerca alla clinica, dall’etica alla possibilità di vivere in una piccola comunità, come quella delle Cure intense. A dire il vero sono andato anche per esclusione. Non mi sarebbe dispiaciuto, all’epoca, diventare direttore d’orchestra. Studiavo musica, ma mi rendevo conto che le mie capacità erano limitate, quindi ho preferito evitare di intraprendere una strada che mi avrebbe garantito risultati piuttosto mediocri. Sono felice della mia scelta: il contatto con la persona malata mi ha cambiato. Il contatto con il dolore mi ha spinto a trovare delle strategie per andare incontro alle sofferenze della persona ammalata. 40 anni fa era molto facile. Per esempio, mi sono adoperato in prima persona per avere una base della Rega in Ticino, quindi per soccorrere i poli-traumatizzati e le malattie acute come già succedeva in altri Cantoni. Con la Croce Verde di Bellinzona, io e altri abbiamo creato il cardio-mobile. Fino a quel momento l’ambulanza era più che altro costituita da barellieri, da persone che soccorrevano l’ammalato e lo portavano all’ospedale, dove sarebbe stato sottoposto alle cure adeguate. Poi, grazie al nostro intervento, i medici e gli infermieri e le infermiere sono usciti dall’ospedale e sono andati in mezzo alle strade, nelle case della gente, guadagnando del tempo e permettendo la sopravvivenza di molte persone. A livello di cure intense, poi, io e la mia équipe ci siamo Quali sono i rischi della iper-tecnologizzazione? La presenza della genetica, della biotecnologia e delle macchine porta a un prolungamento della vita, ma a questo va aggiunta una riflessione etica sulla qualità della vita. Un conto è vivere di più, un conto è vivere di più e bene. Citando Galimberti, la tecnologia può diventare un fine e non più un mezzo: in medicina intensiva occorre sempre riflettere su questo, rendersi conto che è meglio non fare tutto ciò che si può fare ma porsi dei limiti, avendo bene in mente l’interesse del paziente, la scelta migliore per lui. Ti sei anche impegnato nelle Medical humanities. Di cosa si tratta? Una ventina di anni fa, esaminando le problematiche cliniche rispetto alle scelte di cui parlavo prima, ovvero quella che solitamente viene definita «una presa di posizione etica», abbiamo sviluppato una riflessione partendo dai princìpi della bioetica, ovvero l’autonomia del paziente e il suo diritto all’autodeterminazione e alla «beneficenza» e non alla «maleficenza» da parte di chi cura. Ebbene, ci siamo ac- corti che questi princìpi erano limitati e che era importante la narrazione stessa del paziente, un processo attraverso il quale il malato scopre chi è davvero e permette al medico una comunicazione personalizzata che diventa terapeutica. Già 2’000 anni fa si diceva che un buon medico deve essere un buon filosofo, ma aggiungo che deve conoscere diverse discipline, dalla psicologia alla letteratura all’economia. Per fare bene il mestiere di medico bisogna poggiare la propria professionalità su due pilastri, la narrazione e l’etica. Capisaldi, questi, che valgono anche per la politica? In effetti la narrazione del paziente, tradotta in ambito politico, potrebbe coincidere con la narrazione dei cittadini: ascoltarli per capire quali sono le loro esigenze, i loro desideri, le loro critiche, così da poter dare delle risposte. Per quanto riguarda l’etica, ogni decisione che un medico prende deve essere confrontata con una scala di valori propri della medicina, in modo che il paziente venga rispettato nella propria dignità. L’etica va in direzione della dignità dei pazienti e dei cittadini. Che cos’è per te la politica? Come la senti? Dopo otto anni di Gran Consiglio e tre anni come municipale a Bellinzona, sono arrivato alla conclusione che la politica sia la capacità di tradurre valori, utopie e progetti in realtà. È molto interessante immaginare e sognare cose buone per la comunità, ma spesso è difficile trovare un compromesso che permetta di metterle in pratica. Il compromesso, poi, crea un dilemma morale: è giusto attuarlo senza vendere l’anima. Resto dell’idea che sia necessario, soprattutto come Sinistra, rimanere fedeli ai propri princìpi, anche a patto di perdere qualche voto. Quali sono le nuove sfide che deve affrontare la Sinistra? La cosa che mi impressiona da molti anni è che la Sinistra, quando parla di AVS, cassa malati unica eccetera, argomenta a vantaggio della maggioranza della popolazione. In fondo, la maggior parte dei cittadini non è ricca né ricchissima, ma è costituita dal ceto medio e da persone che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese. Mi sorprende quindi che gli elettori non premino gli sforzi che la Sinistra mette in atto per venire incontro ai loro bisogni e alle loro difficoltà. Dev’esserci qualcosa che non funziona a livello di comunicazione… Forse non siamo in grado di far capire che le nostre proposte sono utili per la maggioranza della popolazione. Ci sono altre forze politiche che manovrano le persone facendo leva soprattutto sulle paure. Come rispondere a questi giochini, alle bassezze e alla volgarità di certe aree? Giova essere pragmatici. Mi viene in mente un testo di Brenno Balestra, direttore sanitario dell’ospedale di Mendrisio, il quale alcuni giorni fa ha preso posizione sulla scabbia. È una malattia di pochissima importanza, un po’ noiosa, certo, ma non pericolosa. Balestra, appunto, ha scritto un testo molto bello nel quale dimostrava da un punto di vista medico che la paura verso la scabbia è una cosa ridicola, aggiungendo che strumentalizzare una malattia per alimentare l’odio e la paura verso lo straniero e l’immigrato sia davvero un atto immorale e disonesto. Questa è la strada, questo è il modo. E quanto è importante la cultura? Non si può curare e non si può fare politica bene senza avere una certa cultura. Cosa intendiamo con «una certa cultura»? Leggere romanzi, ascoltare musica, vedere cose belle, come la pittura e l’arte contemporanea. Si tratta di un nutrimento interiore indispensabile: il fatto di interessarsi al bello spesso porta anche a comportarsi bene. Se dovessi sacrificare tutto per qualcosa, per che cosa lo faresti? Per il bello in quanto tale. Una persona può essere bella, un corpo può esserlo, un quadro, una città. Nel Municipio di Bellinzona ci preoccupiamo che le nostre decisioni non siano soltanto giuste, ma favoriscano una città più bella, a disposizione dei cittadini che, vivendo nel bello, diventano anche buoni. Progetti per il futuro? Voglio continuare con l’attività all’interno della Fondazione Sasso Corbaro, dove abbiamo progetti interessanti, che vertono attorno ai temi della speranza e della comunicazione delle cose brutte e difficili. Lo scopo è capire se il paziente ha il diritto ad avere una speranza anche quando ha ricevuto una prognosi molto negativa. Queste riflessioni sfociano in ricerche, la parte che mi ispira di più. Poi c’è l’attività in Municipio: lo stesso giorno delle Federali c’è la votazione sulle aggregazioni, che, qualora passasse, cambierebbe il volto di Bellinzona come Città. 11 CANDIDATI impegnati per combattere il dolore. Da lì ho cercato di alleviare anche la sofferenza, un impegno più difficile, lavorando molto sulla qualità della comunicazione, non solo nei confronti del malato ma anche verso i suoi familiari, che vivono momenti di ansia e di angoscia terribili e necessitano delle giuste parole. Da lì, l’interesse verso l’etica è nato spontaneamente: prendersi a carico della dignità dell’altro, quando è ammalato, significa in fondo andare in questa direzione. Il tutto, in un certo senso, è diventato rotondo: dal soccorrere i casi urgenti sono passato a interessarmi agli aspetti etici della cura, che prendono in considerazione l’uomo nella sua interezza, evitando di considerarlo una semplice macchina, come invece fa la tecnologia che invade sempre di più il campo della medicina. di Nestor Buratti DUMPING! LAVORO 12 Sciopero alla Exten: il PS c’era La data potrebbe anche essere puramente casuale. Fatto sta che, tre giorni dopo che i Ticinesi hanno deciso che il diritto a un salario minimo deve essere sancito nella Costituzione, alla Exten scoppia un nuovo sciopero. Il motivo? Il licenziamento del capo delegazione dei lavoratori, sbattuto fuori con un pretesto. Così, giusto per far capire chi tiene in mano il bastone. L’esempio di quanto avvenuto presso la ditta di Mendrisio è importante. A febbraio si sarebbe potuto non fare nulla. Si sarebbe potuto chinare la testa e accettare il fatto compiuto. Invece no, stavolta si è deciso di opporsi. Duramente. Tenacemente. Non per i pochi toccati, ma per tutti. Perché oggi il sopruso ai danni di pochi apre la strada domani per i soprusi ai danni di tanti. E ne è valsa la pena. Specie quando, di fronte alla quotidiana incertezza che tocca chi sciopera, si vede materializzarsi qualche dirigente a bordo di una Maserati: un’auto che, da sola, per un operaio vale anni di sudore. La ditta Exten SA, nel cui consiglio di amministrazione siede gente come Franco Ambrosetti, noto masoniano ed ex direttore della Camera di commercio, propone ai dipendenti salari mensili a tempo pieno di 2’350 franchi al mese. All’epoca si era in campagna elettorale. Tutti i principali partiti mettevano il lavoro al centro della propria agenda. Solo il Partito Socialista era presente e ha preso posizione in quei giorni di tensione. A favore dei lavoratori, naturalmente. Il Ticino è sempre più terra di dumping salariale. Il Partito Socialista non ci sta e afferma con chiarezza le proprie rivendicazioni: generalizzare i contratti collettivi di lavoro, imporre la parità salariale fra uomo e donna e rafforzare le protezioni contro i licenziamenti. Al telefono parliamo con un signore, residente in Italia ma da diversi anni impiegato in Ticino. Il suo contatto ci è stato fornito dal sindacato UNIA. Lucio* lavora in un’azienda del settore della moda del Luganese e il suo salario è di 850 franchi al mese. Lucio però non vuole aggiungere altro: due giorni fa ha trovato il coraggio per affrontare il suo responsabile e così gli è stato proposto un altro contratto. «Preferisco aspettare e vedere se le cose migliorano, ora non mi va di parlare», ci spiega. Noi naturalmente auguriamo a Lucio tutto il bene possibile. Però di situazioni come la sua ce ne sono sempre di più. Qualche settimana fa è stato pubblicato dalla stampa un altro caso: un’azienda informatica di Mendrisio ha offerto a una segretaria una retribuzione mensile di 600 franchi per 16 ore settimanali. Meno di 9 franchi all’ora. Se la donna lavorasse al 100%, percepirebbe meno di 1’500 franchi netti. Benvenuti nel Far West degli stipendi! Se a giugno la disoccupazione è diminuita, il fenomeno del dumping salariale e dello sfruttamento dello stato di bisogno di persone disposte a tutto pur di portare a casa qualcosa non fa che aumentare. Ciò, oltre che uno scandalo contro cui il Partito Socialista continua a battersi, è una distorsione della sana concorrenza e del fare impresa in Svizzera. La diminuzione dei salari e il peggioramento delle condizioni di lavoro sono ormai una realtà. Un recente studio dell’Unione sindacale svizzera (USS) dipinge una situazione catastrofica: in Ticino c’è il dumping e la spirale è verso il basso, nelle condizioni di lavoro e nei salari. Naturalmente a farne le spese sono le persone con le retribuzioni più basse e le donne, il cui stipendio mediano nelle categorie medio-basse è quello che ha subito la riduzione più sostanziale. Il Ticino paga soprattutto le specificità della sua economia, strutturata in gran parte sui settori a basso valore aggiunto (vedi l’intervista ad Amalia Mirante a pagina 14). Si tratta quindi di un problema strutturale, al quale va aggiunta la grave crisi economica che attanaglia l’Italia. La situazione è talmente grave che perfino la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) sembra essersene accorta. * nome di fantasia Le proposte del Partito Socialista Il Partito Socialista si batte per la sottoscrizione, in tutti i settori professionali, di contratti collettivi di lavoro che prevedano salari minimi, possibilità di formazione professionale e scale salariali, così da definire condizioni vincolanti per l’attuazione concreta della parità salariale tra uomo e donna. I contratti collettivi di lavoro permettono di tutelare i lavoratori e garantiscono condizioni di lavoro eque. Tuttavia ora solo circa metà della popolazione attiva è assoggettata a un contratto collettivo di lavoro. Il Partito Socialista si impegna affinché questa situazione cambi. Imporre la parità salariale tra uomo e donna mediante l’adozione di disposizioni vincolanti Da 33 anni la Costituzione svizzera sancisce il diritto di uomini e donne a un salario uguale per un lavoro uguale. E da 33 anni questo principio viene calpestato. In media le donne guadagnano il 20 per cento in meno rispetto ai loro colleghi maschi: circa 700 franchi in meno. Il tentativo di realizzare la parità salariale con misure volontarie è fallito. La politica deve quindi agire, poiché manifestamente l’economia non ci riesce da sola. Il Partito Socialista rivendica basi legali chiare e misure concrete per garantire la parità salariale e porre fine alla discriminazione quotidiana di metà della popolazione, chiedendo un monitoraggio degli stipendi accompagnato da obiettivi vincolanti e possibilità di sanzione. Rafforzare la protezione dal licenziamento per evitare che i lavoratori più anziani cadano nella disoccupazione di lunga durata Sono i lavoratori che, con il loro sapere, le loro capacità e le loro competenze, contribuiscono giorno dopo giorno alla prosperità e al progresso in Svizzera. Per questo hanno bisogno di salari decenti, buone condizioni di lavoro e sicurezza sul posto di lavoro. Invece i lavoratori più anziani, tra 50 e 65 anni d’età, vengono viepiù estromessi dal mercato del lavoro dalla manodopera più giovane e meno cara, andando così a ingrossare le file della disoccupazione di lunga durata, senza avere alcuna colpa. Questa situazione è insostenibile. Il Partito Socialista chiede l’introduzione di modelli di occupazione flessibili che i lavoratori possono adottare a titolo volontario (per esempio la riduzione del tempo di lavoro, la rendita transitoria, l’età flessibile di pensionamento) e il rafforzamento della base finanziaria dell’assicurazione contro la disoccupazione e del lavoro ridotto, in particolare per i lavoratori anziani. L’obiettivo è assicurare un’entrata finanziaria che, a sua volta, stabilizzerà l’economia perché evita il crollo dei consumi. Il lavoro ridotto deve tuttavia essere accompagnato da una vera e propria offensiva in materia di formazione continua. Di fatto, oggi l’assicurazione contro la disoccupazione non copre numerose possibilità di formazione e formazione continua. Questa situazione deve cambiare. Il Partito Socialista chiede inoltre di rafforzare la protezione dal licenziamento, che dovrà obbligatoriamente essere motivato. I termini di disdetta e i criteri secondo i quali un licenziamento può essere dichiarato nullo o abusivo devono essere estesi sia nella legge sia nei contratti collettivi di lavoro. Un essere umano non è un mero fattore di costo e non può essere licenziato senza validi motivi. Un Cantone anormale con contratti «normali» I Contratti normali di lavoro (CNL) sono uno strumento al quale il Cantone intende ricorrere dopo le irregolarità riscontrate in varie realtà economiche. Il Ticino è il Cantone che di gran lunga ha imposto più CNL della Svizzera: un sintomo del fatto che il dumping salariale è un fenomeno diffuso dalle nostre parti. Di fronte a queste misure di accompagnamento, i datori di lavoro continuano a dare prova di ostracismo. Si pensi che l’AITI (Associazione industrie ticinesi) ha fatto ricorso contro un salario minimo di 3’000 franchi imposto dal Consiglio di Stato. Perdendo in modo umiliante. Nel corso del 2015 in altri settori è stato accertato il dumping. L’Ufficio dell’ispettorato del lavoro, su incarico della Commissione tripartita in materia di libera circolazione delle persone, ha svolto un’inchiesta sul mercato del lavoro per la verifica delle condizioni salariali del personale occupato nelle agenzie di viaggio. Da questi controlli sono emersi diversi abusi. Il 36,5 per cento dei salari è risultato troppo basso, per cui la Commissione tripartita ha deciso di proporre al Consiglio di Stato l’adozione di un Contratto normale di lavoro con salario minimo vincolante. Non tutti sono d’accordo. Tra le imprese toccate da questa misura ci sarebbe anche la Bravofly, agenzia di viaggi on line leader in Europa nella ricerca, nella comparazione dei prezzi e nella prenotazione di voli e vacanze via Internet: una società importante, dal 2014 quotata addirittura alla Borsa di Zurigo. Il nuovo regime contrattuale, se confermato dal Governo, le imporrebbe di riconoscere come salario orario minimo di base l’importo di 19,65 franchi, che, parametrizzato su un impiego al 100 per cento, si traduce in poco più di 3’400 franchi lordi al mese. Questa sarebbe ritenuta una cifra troppo elevata rispetto agli stipendi versati oggi a una parte del personale in forze all’impresa con sede a Chiasso, dove svariati dipendenti, come riporta il «Corriere del Ticino», lavorerebbero per meno. La società ritiene però di svolgere un’attività di natura diversa e molto più articolata rispetto a un’agenzia di viaggio normale. Bravofly avrebbe quindi formulato una protesta alla Commissione tripartita per non essere assoggettata al CNL. 13 LAVORO Generalizzare i contratti collettivi di lavoro (CCL) VA SEMPRE di Franco Montale LAVORO 14 Quali sono le principali caratteristiche della nostra economia? Diciamo subito che il Ticino contribuisce al Prodotto interno lordo svizzero «solo» nella misura del 4%. Siamo quindi un’economia piccola, il cui impatto nazionale resta ridotto. In termini di paragone, Zurigo contribuisce a oltre il 22%. Questo dato ci porta a dire che, molto probabilmente, c’è una differenza di struttura economica tra il Ticino e un Cantone che contribuisce quasi a un quarto del benessere nazionale. E questa differenza la riscontriamo nei numeri. PEGGIO In Ticino sta andando in scena una tragedia sui luoghi di lavoro. Il nostro Cantone è sempre più una giungla di aziende che si installano solo per sfruttare le maglie larghe nei contratti e nelle leggi che permettono di retribuire salari da fame. Per capire meglio il problema dei salari in Ticino, occorre analizzare da vicino il mercato del lavoro e la struttura dell’economia ticinese. Per questo abbiamo chiesto aiuto ad Amalia Mirante, economista, docente alla SUPSI e all’USI nonché membra del Partito Socialista. stificazione esaustiva. Ora, quello che è avvenuto negli ultimi anni non ha fatto che peggiorare la situazione. E i dati lo testimoniano. Oggi abbiamo una fotografia ben più dettagliata che ci permette di scoprire che, tra il 2008 e il 2012, una buona parte dei salari nel Canton Ticino è diminuita. Ciò è una vergogna e va contro il buon funzionamento e le logiche di un’economia sana. Il fatto che una buona parte delle persone che lavorano in Ticino ha visto i suoi salari ridursi è un campanello d’allarme molto preoccupante. Tutta colpa degli Accordi bilaterali? Quali numeri? Il 25% del benessere del Canton Ticino è prodotto dal settore turismo, commercio e informazione, mentre un altro 25% dipende da attività industriali, produzione e costruzione. Metà dell’economia cantonale è quindi basata su questi settori, che sono considerati a basso valore aggiunto e storicamente si sono sempre affidati a una manodopera frontaliera. In passato ciò non costituiva un problema. Anzi, era quasi un vantaggio competitivo: alcuni settori della nostra economia potevano attingere a manodopera meno onerosa e produrre quindi a un costo più basso. Invece oggi…? Il problema è che questa situazione è andata sempre più generalizzandosi, diventando così uno svantaggio. Le aziende non sono più confrontate con la necessità di investire, trovare alternative e sviluppare nuovi prodotti e tecnologie o nuove forme di organizzazione. Ora, quando la percentuale di aziende che viene qui in Ticino solo per la manodopera a buon mercato è bassa, lo possiamo sopportare. Il problema, il rischio, è quando la quantità di queste attività diventa preponderante. E questo è lo scenario attuale. Le aziende si insediano in Ticino solo per poter beneficiare di manodopera a basso costo e vantaggi fiscali e burocratici e al contempo potersi fregiare del marchio «Swiss Made». Tuttavia l’eccellenza svizzera significa innovazione, sviluppo, investimento: esattamente quello che stenta nel nostro Cantone. Così facendo siamo ormai la Cina della Svizzera, dove il 10% dei salari si situa sotto i 3’106 franchi lordi. Per le donne si scende a 2’760. Sono dati scandalosi! Sì, ma ce ne sono anche altri. In Ticino, ad esempio, c’è una grande volatilità nella creazione e distruzione di posti di lavoro. Ciò significa che quando crei posti di lavoro ne crei tanti, mentre quando ne distruggi ne distruggi tanti. Questi sbalzi riflettono un’instabilità del mercato del lavoro. Un altro dato importante è confermato dall’ultimo monitoraggio congiunturale redatto dall’Ufficio di statistica. In questo studio si mette bene in evidenza come le recenti creazioni di posti di lavoro sono in realtà creazioni di lavori a tempo parziale, a scapito di posti di lavoro a tempo pieno. Ciò è un ulteriore peggioramento del mercato del lavoro, quindi un altro dato che conferma che il mercato del lavoro ticinese soffre. E, non a caso, quei settori su cui si basa la nostra economia, cioè il commercio al dettaglio, l’industria, il turismo eccetera, sono proprio quelli che soffrono. E tutto ciò si ripercuote sui salari? Certamente! Storicamente, in Ticino i salari sono sempre stati più bassi: il salario mediano ticinese è infatti inferiore del 16% rispetto al resto della Svizzera. E il presunto costo della vita più basso non può certo oggi essere più una giu- I problemi che sono nati dall’applicazione degli Accordi bilaterali non sono certo casuali. Già sulla carta si poteva capire che l’entrata in vigore di questi accordi avrebbe potuto avere delle conseguenze negative. Un’economia che non protegge il suo tessuto, sottoposto a una finta concorrenza, non funziona più. Ed è quello che è successo al mercato del lavoro ticinese. La colpa è forse quella di avere accettato questi accordi senza le necessarie garanzie per quanto concerne le distorsioni che avrebbero creato nel mondo del lavoratori, come il peggioramento generalizzato delle condizioni di lavoro e l’aumento del dumping salariale. Anche il Partito Socialista in Ticino ha fatto la propria riflessione: il sostegno ai Bilaterali da parte del Partito sarà legato all’introduzione di misure interne incisive per combattere gli effetti perversi sul mercato del lavoro. Quali misure ci vogliono? Occorre prima di tutto riallacciare il dialogo tra tutte le parti sociali. Poi, naturalmente, ci vogliono più controlli, più addetti alla sorveglianza del mercato del lavoro, più sanzioni. Purtroppo le recenti, scandalose decisioni della Confederazione di rinunciare alle misure proposte dal Ticino non sembrano andare in questo senso. Ancora una volta, sembra che a Berna non ci si renda conto della realtà ticinese. Anche se la SECO, per la prima volta, ha affermato che, con la crisi europea, alcuni Cantoni di frontiera stanno cominciando a pa- gare il prezzo sul mercato del lavoro. E questo peggioramento non concerne solo i salari, ma anche le condizioni generali di lavoro: lavori su chiamata, lavori precari, aumento dei turni eccetera. L’esito della votazione per il salario minimo, per la quale ti sei molto impegnata, sembra dimostrare che finalmente la gente ha capito la gravità della situazione. Come spieghi questa approvazione? 15 LAVORO Io credo che proprio il peggioramento della situazione, o perlomeno la sua percezione, ha fatto capire ai Ticinesi che così non si può più andare avanti. I dati citati poc’anzi lo dimostrano e la deriva dei salari non è più percepita solo come uno slogan. In questo senso, il fatto che attorno all’iniziativa ci fosse un consenso trasversale ha sicuramente giocato a favore. E adesso? Non c’è il rischio, come viene detto dall’area sindacale, che si benediranno dei salari minimi troppo minimi? L’iniziativa àncora di fatto il principio del salario minimo nella Costituzione. Decidere come ciò debba avvenire ed essere applicato sarà compito del Consiglio di Stato, che porterà la sua proposta davanti al Gran Consiglio. È importante che si cerchi una situazione concordata tra le parti. Per evitare l’impasse che si è creata in altri Cantoni, dove alcune associazioni hanno fatto ricorso, il Governo dovrà fare un grande lavoro con le associazioni di categoria e i sindacati. A mio modo di vedere il salario minimo dovrebbe essere di circa 20 franchi all’ora: questa soglia mi sembra ragionevole, soprattutto se osserviamo le paghe in vigore in alcuni settori. Non temi che le aziende, sostenute dalle varie associazioni para-partitiche liberali come la Camera di commercio, l’AITI eccetera, diranno che questo salario non possono permetterselo? Sarò categorica: abbiamo bisogno di queste industrie? Se non hanno questa capacità salariale non daranno grossi contributi, in termini finanziari, formativi o di filiera alla nostra economia cantonale. Mi chiedo quindi: posti di lavoro a ogni costo? Naturalmente questo non significa volere distruggere un’industria sana. In alcuni casi il progresso verso dei salari dignitosi può anche essere accompagnato con un sostegno a quelle imprese che oggi non potrebbero versare tali salari ma che, con alcuni accorgimenti, potrebbero in futuro adeguarsi. Questo sarebbe anche uno stimolo a rivedere i processi produttivi e a innovare per riuscire a competere a queste nuove condizioni. CHI È Amalia Mirante ha 37 anni. Ha conseguito il dottorato di ricerca in scienze economiche all’Università della Svizzera italiana con una tesi intitolata «L’interdisciplinarietà della teoria economica. I principi filosofici, politici ed etici». Attualmente è docente di macroeconomia e di etica economica alla SUPSI e post-doc all’USI. SERVONO PIÙ di Nestor Buratti LAVORO 16 Nel 2014 il popolo svizzero ha bocciato l’iniziativa dei sindacati sui salari minimi. Nel frattempo, come è evoluta la situazione salariale in Svizzera? Malgrado la bocciatura dell’iniziativa proposta dall’USS, le discussioni generate dalla votazione hanno portato a un aumento dei salari in diversi settori. Questo aumento concerne soprattutto i bassi salari, la cui progressione è paragonabile a quella constatata per i salari medi. Tuttavia, malgrado i segnali positivi per certi settori a salari generalmente bassi, in alcuni altri settori e in alcune regioni la situazione resta difficile e si constatano casi di diminuzione dei salari. Aggiungo inoltre che i salari più elevati sono aumentati maggiormente rispetto agli altri, a causa dell’introduzione del sistema dei bonus. Quali sono i settori più toccati dal dumping salariale? Si tratta soprattutto di branche che non sono sottoposte ai salari minimi stabiliti da convenzioni collettive di lavoro. Posso citare ad esempio il settore dei paesaggisti, del commercio al dettaglio o della salute e dell’azione sociale. Anche l’informatica è un settore problematico: i salari d’ingaggio dei titolari di un permesso di soggiorno o dei frontalieri sono diminuiti mentre l’impiego di queste persone è aumentato. In che modo l’assenza di un salario minimo e di una convenzione collettiva favoriscono gli abusi? In assenza di salari minimi, i padroni che esercitano queste pressioni al ribasso sui salari non ricevono nessuna sanzione. Le organizzazioni padronali di questi settori devono essere pronte a concludere delle convenzioni collettive di lavoro che prevedano dei buoni salari minimi. Nei settori che ho menzionato poc’anzi siamo di fronte a un padronato ben organizzato, che potrebbe firmare queste convenzioni. Ma per ora le federazioni di questi settori oppongono una certa resistenza. Il padronato deve assumersi le proprie responsabilità e negoziare dei contratti collettivi. CONTROLLI L’ultimo rapporto sulla libera circolazione mostra chiaramente che esiste una pressione sui salari e sulle condizioni di lavoro in alcune regioni della Svizzera. Il Ticino è la regione più colpita da questa situazione. Cosa ne pensano i sindacati nazionali? Lo abbiamo chiesto a Daniel Lampard, primo segretario ed economista capo dell’Unione sindacale svizzera (USS). Tuttavia gli abusi si constatano anche nei settori «protetti» da un CCL. Penso ad esempio alle costruzioni. Nei settori che sono sottoposti a dei CCL i datori di lavoro che versano dei salari troppo bassi possono incorrere in sanzioni: si può obbligare a pagare una multa corrispondente almeno al valore del salario che non è stato versato e in più certe amministrazioni cantonali possono infliggere delle sanzioni addizionali. In seguito ai nostri controlli riscontriamo però frequentemente degli abusi. Ci sono imprese quasi criminali che tentano di sottrarsi a questi salari minimi per mezzo di contratti di lavoro e/o conteggi orari falsificati, di fallimenti abusivi o chiedendo addirittura agli impiegati di restituire una parte del proprio salario. In particolare questo è il caso nelle costruzioni. Come evitare tutto ciò? Per mettere fine a queste situazioni, i controllori devono poter ordinare un’interruzione dei cantieri, perlomeno nei casi più gravi. È il solo modo per costringere a cooperare le imprese che praticano il dumping. Inoltre ci vogliono dei registri professionali dove figurano le imprese virtuose e le pecore nere. Così chi appalta un lavoro, soprattutto se si tratta dell’ente pubblico, sa a chi affida la realizzazione della propria opera. A Ginevra è già in vigore un sistema di questo tipo. Perciò i controlli sono sufficienti? Una tale situazione impone di essere più vigili. I Cantoni e le commissioni paritetiche devono sicuramente effettuare più controlli. Il Ticino, così come Ginevra e i Cantoni della Svizzera centrale, è già stato autorizzato dalla SECO e ha ricevuto ulteriori sussidi per effettuare dei controlli sup- plementari. Le altri regioni di frontiera dovrebbero prendere rapidamente l’esempio. Oggi un datore di lavoro svizzero di Turgovia o di San Gallo viene controllato in media una volta ogni 50 anni. In caso di dumping bisogna emettere sistematicamente dei salari minimi, come prevede il Codice delle obbligazioni. La situazione del Ticino è particolarmente grave. Secondo lei, alla SECO sono coscienti della situazione? Nelle regioni di frontiera constatiamo una pressione maggiore sui salari. Il rapporto Cosa dovrebbero fare gli organi competenti ticinesi? È necessario rinforzare le misure di accompagnamento e le competenze dei controllori, ad esempio poter bloccare i cantieri. Il Ticino ha chiesto alla SECO di potere aumentare i controlli, ciò che è stato accettato: ora c’è qualche mezzo in più in questo senso. Tuttavia è anche importante aumentare il numero delle convenzioni collettive per essere capaci di sanzionare i padroni che non pagano dei salari equi. Il Ticino ha accettato un’iniziativa sui salari minimi. I sindacati non erano entusiasti, tanto che hanno concesso libertà di voto. Come considera l’accettazione di questa iniziativa? Tutto dipende da come si applicherà tale misura. Si deve attendere la decisione del Tribunale federale per quanto concerne il caso di Neuchâtel, che voleva introdurre un salario minimo di 20,90 franchi l’ora. Se la decisione del Tribunale Federale sarà favorevole, la porta sarà aperta per l’introduzione di un salario minimo abbastanza interessante, quindi di almeno 20 franchi. Ciò potrebbe migliorare la protezione dei salari in Svizzera e in Ticino. non dipende dalla libera circolazione. E oggi, rispetto al passato, si dispone di migliori strumenti per poter intervenire, anche se questi strumenti, come detto, andrebbero ulteriormente rafforzati e applicati in maniera più severa. L’USS comprende lo scetticismo della sua sezione ticinese e moesana verso gli Accordi bilaterali? La reazione delle imprese è avvenuta molto rapidamente: una gran parte di esse ha aumentato le ore di lavoro senza aumentare i salari. Ciò ha causato anche degli scioperi sindacali, come è stato il caso in Ticino, che hanno permesso di far sì che le imprese ritornassero a pagare dei salari svizzeri. È stato un grande successo sindacale. Tuttavia la pressione sui lavoratori resta presente. La disoccupazione è aumentata in Svizzera, soprattutto nell’industria, con 800 posti in meno, nel commercio al dettaglio, dove si sono persi 2’000 posti, e nella ristorazione, con altri 2’000 posti perduti. Comprendo i timori che sono formulati rispetto alla pressione sui salari. Ma la fonte di questa pressione è la crisi del mercato del lavoro in Italia. Se facciamo un confronto con gli Anni Novanta, quindi senza libera circolazione e senza misure di accompagnamento, in Ticino si avevano meno mezzi per contrastare la pressione. Oggi ci sono molti più controlli sui cantieri e nelle imprese rispetto a quell’epoca. Per me la causa dei problemi è soprattutto la pressione economica dell’Italia, che Tra le misure che hanno colpito il mercato del lavoro c’è anche la decisione della Banca nazionale di levare il cambio fisso franco/euro. A più di sei mesi di distanza, qual è la situazione? Come valuta quindi la scelta della BNS? Fino al 2009 la Banca nazionale aveva avuto una politica intelligente per quanto concerne il tasso di cambio. Storicamente si controllava il franco svizzero rispetto al marco tedesco. Poi, a partire dall’introduzione dell’euro, hanno abbassato i tassi d’interesse e il franco si è deprezzato rispetto all’euro. Purtroppo a fine 2009 il franco si è apprezzato rispetto all’euro e la BNS ha tollerato questa situazione fino all’introduzione del cambio fisso. Per noi è importante che la Banca nazionale applichi di nuovo questa strategia intelligente e ritorni a controllare il franco rispetto alle altre valute, in particolare l’euro. Questo per garantire l’occupazione e il livello dei nostri salari: se il franco resta così forte, ci saranno delle gravi conseguenze per l’industria, il commercio al dettaglio e la ristorazione. CHI È Daniel Lampard ha ottenuto una licenza in filosofia, germanistica e storia economica all’Università di Zurigo. Dopo gli studi in economia politica all’Università di San Gallo, ha ottenuto un dottorato in storia economica presso l’Università di Zurigo. Nel 2007 è diventato economista capo dell’USS e dal 2011 ha assunto l’incarico di primo segretario. Daniel Lampard rappresenta l’USS nel Consiglio di banca della Banca nazionale svizzera, nella Commissione federale della concorrenza e in altre commissioni federali. 17 LAVORO dell’Osservatorio sulla libera circolazione lo mostra chiaramente. L’evoluzione dei salari delle frontaliere e dei frontalieri è particolarmente grave, soprattutto in Ticino. Dei rappresentanti della SECO hanno fatto più volte visita a Sud delle Alpi, dove i sindacati hanno potuto spiegare la situazione. LACUNE di Franco Montale LAVORO 18 Ancora quest’anno, il Consiglio federale ha rinunciato a un effettivo potenziamento delle misure di accompagnamento, limitandosi a un inasprimento delle sanzioni senza però agevolare l’introduzione dei contratti collettivi di lavoro. Una scelta sconsiderata, timida e tardiva, da imputare all’accordo creatosi tra i partiti borghesi e l’UDC. Questi ultimi, sostenuti dai vari padronati, hanno fucilato qualsiasi miglioramento a tutela dei salari nell’ambito della procedura di consultazione sulla Legge federale sull’ottimizzazione delle misure collaterali alla libera circolazione delle persone. L’UDC ha definito «totalmente inopportuna» l’idea di aumentare le multe e le misure di accompagnamento: l’atteggiamento tipico di chi, a parole, critica tutto e tutti, ma poi è assente quando si tratta di varare delle misure concrete a favore dell’economia nazionale. Il contesto giuridico svizzero resta quindi lacunoso: il diritto del lavoro non conosce una definizione abbastanza estesa delle norme a tutela dei salari. Infatti la legislazione non contempla un salario minimo legale, che sarebbe lo standard minimo per uno dei fattori fondamentali di una società che è fondata sul lavoro dei suoi membri. Le nostre leggi conoscono standard minimi ambientali, a tutela dei consumatori, a tutela della sicurezza nelle sue varie declinazioni, ma non conoscono una definizione del limite inferiore alla remunerazione del lavoro umano in relazione al potere d’acquisto dei lavoratori. Ma non è tutto. Alla mancanza di un salario minimo legale, elemento importantissimo ma comunque da considerarsi uno standard minimo, si affiancano lacune enormi nella definizione dei piani salariali dei lavoratori, quindi delle regole inerenti all’evoluzione dei salari durante la vita professionale dei cittadini. Il sistema della contrattazione tra le parti sociali, che porta alla conclusione di contratti collettivi di lavoro o di documenti analoghi, non tutela oggi la maggioranza dei lavoratori e soprattutto contiene LEGISLATIVE Le forze politiche di Centro e di Destra insistono nell’affermare che gli effetti della libera circolazione sono dovuti alle relazioni internazionali con l’Unione europea. Allo stesso tempo, però, queste forze politiche sono le stesse che bloccano i miglioramenti del diritto interno alle misure di accompagnamento. solo in parte le norme che definiscono l’evoluzione dei salari. Inoltre i rapporti di forza tra i partner sociali sono sempre meno equilibrati: di fronte ai sindacalisti c’è un padronato forte, sensibile solo ai propri interessi e intriso di ideologia neoliberista. Le modifiche al Codice delle obbligazioni sui contratti normali con salari minimi e le agevolazioni in tema di obbligatorietà delle convenzioni collettive di lavoro in caso di dumping finora non hanno fornito tutele sufficienti. Inoltre non è stato possibile rafforzare queste misure strada facendo a causa delle opposizioni incrociate della Destra nazionalista e delle forze borghesi di Centro destra. Questi partiti sono pronti a bastonare tutte quelle misure che vanno a intaccare la «flessibilità» del mercato del lavoro. Superfluo dire che il PS non ci sta e ritiene che una gestione corretta del mercato del lavoro e la protezione dei salari necessita di alcuni fondamentali provvedimenti di diritto interno. Anzitutto che i salari siano pagati in franchi svizzeri. Il principio secondo cui il salario dev’essere pagato nella moneta nazionale sembra semplice e logico, ma va ancorato nel Codice delle obbligazioni. Questo principio evita che il rischio o il vantaggio di cambio possa essere messo alternativamente sulle spalle dei lavoratori e dei datori di lavoro, a dipendenza della convenienza del momento. Poi ci vogliono salari minimi facilitati e collegati al costo della vita. Le norme che permettono ai Cantoni di definire dei salari legali devono essere rafforzate e semplificate, quelle che portano alla conclusione di convenzioni collettive che prevedono norme salariali devono essere rafforzate. I salari minimi devono essere adeguati al costo della vita in Svizzera e quindi devono considerare non solo i salari d’uso, ma anche il livello dei costi fissi di una normale economia domestica, come fanno le norme sociali per quanto riguarda le prestazioni finanziarie ai cittadini. In quest’ambito sarebbe utile una definizione restrittiva per i contratti di tirocinio con apprendisti domiciliati all’estero: il contratto di tirocinio non può essere una scappatoia per far lavorare le persone in cerca d’impiego, con salari immaginati per il contesto formativo. I contratti collettivi di lavoro sono uno strumento prezioso per la protezione delle lavoratrici e del lavoratori. Ma non sempre sono facili da introdurre. Per questo devono essere agevolati il più possibile. È necessario pure rafforzare la protezione dai licenziamenti in caso di dumping. Inoltre le norme sul lavoro interinale vanno ristrette, per ridurre il precariato dei lavoratori nel nostro Paese. E per il lavoro su chiamata va creata una regolamentazione che eviti una pressione sulle condizioni di lavoro. Infine c’è la casa: uno dei fattori che più incide sul livello del salario e condiziona anche la definizione dei salari minimi. Il livello delle pigioni attuale è molto elevato se confrontato con il livello del costo del denaro e il loro ammontare deve poter essere ridotto a seguito di un controllo semplificato della redditività ottenuta dal locatore, oggi di solito molto elevata. Queste sono tutte proposte che il Partito Socialista ha presentato più volte a livello cantonale e federale, ma che sono sempre state bocciate dalle forze di Centro e di Destra. Ecco perché devono essere la conditio sine qua non per ottenere l’appoggio dei Socialisti alla continuazione della via bilaterale: per difendere i salari, per difendere il potere d’acquisto delle lavoratrici e dei lavoratori. Predicare bene, razzolare male: il caso di Roberta Pantani Conferenza cantonale: il PS si confronta È la prima domenica d’estate. È mattino e fa già caldo, molto caldo. C’è chi sogna i lidi lacustri, chi le montagne. E il PS cosa fa? Organizza una Conferenza cantonale dedicata al mercato del lavoro, alla libera circolazione, alle misure di accompagnamento. «Ma chi ce lo fa fare?», ci si chiederà. Però, dopo le elezioni cantonali, il tema della libera circolazione e del dumping salariale ha suscitato molte discussioni all’interno del Partito. Per questo si è deciso di affrontarlo, fosse anche in una domenica quasi estiva. Un fatto importante, da non sottovalutare: significa che il Partito ci tiene, si confronta, si impegna per trovare soluzioni possibili alla deriva che sta andando in scena sui posti di lavoro. Il risultato della Conferenza? Dopo le presentazioni degli ospiti e le prese di posizione, i delegati presenti hanno approvato le modifiche proposte dalla Direzione: il sostegno ai Bilaterali da ora in poi sarà legato all’introduzione di misure interne incisive a difesa dei lavoratori. 19 LAVORO Predicare a difesa dell’economia locale, contro gli «invasori» italiani e a favore dei Ticinesi. Poi però, nella pratica, agire all’opposto, favorendo di fatto il fenomeno del dumping salariale e il peggioramento delle condizioni di lavoro. Tutto per il tornaconto personale. Ma in violazione delle norme. Un bell’esempio è quello che coinvolge la ditta Costruzione pavimenti e asfalti (Cpa) di Lugano. Che l’anno scorso è stata sanzionata con 10 mila franchi di multa e con l’esclusione dai lavori pubblici per tre mesi. Il motivo? Gravi violazioni della legge sulle commesse pubbliche, ossia subappalto non autorizzato dal committente in un lavoro pubblico. L’episodio era avvenuto a Carasso, nell’ambito dei lavori per l’acquedotto comunale, il cui committente era l’Azienda municipalizzata di Bellinzona. Gli ispettori cantonali avevano verificato che l’opera era stata eseguita da una ditta italiana che aveva ricevuto il mandato da un’impresa di Balerna a cui la Cpa aveva a sua volta affidato il lavoro vinto nel concorso pubblico d’appalto. Concorso pubblico per il quale il subappalto è vietato. Ma non è tutto: come riferito dai media, è risultato che il granito impiegato, anziché essere di provenienza locale, arrivava dal Portogallo attraverso l’Italia. All’epoca dei fatti, l’amministratrice unica della Cpa era la consigliera nazionale leghista, nonché municipale di Chiasso, Roberta Pantani. Sì, proprio lei, sedicente paladina dei Ticinesi. Proprio lei che, ironia della sorte, qualche mese dopo depositerà una mozione in cui chiede al Consiglio federale se verrà data la priorità alle aziende svizzere per gli appalti e gli acquisti pubblici della Confederazione. Un bell’applauso alla coerenza. MERCATO DEL LAVORO: LA CURA IMPOSSIBILE di Raoul Ghisletta, candidato del PS al Consiglio nazionale LAVORO 20 Riduzione salariale in Ticino «La riduzione dei salari in Ticino esiste. Il legame con la libera circolazione appare evidente. L’arretramento dei salari nelle categorie medio-basse è statisticamente rilevante da quando è in vigore la possibilità per il padronato di assumere a salari inferiori del personale di oltre frontiera attraverso lo strumento della libera circolazione delle persone. La mercificazione delle persone, con la libera circolazione della merce salarioforza lavoro, sta generando una spinta la ribasso dei salari mediani (quindi generali) nelle posizioni gerarchiche medio basse del Cantone.» L’analisi dell’Unione sindacale ticinese è chiara. Sono le donne a subire il colpo maggiore. Sono svalutati pure i salari dei detentori di titoli universitari, brevetti d’insegnamento e maturità. La posizione salariale del Ticino in Svizzera peggiora. Le qualifiche dei frontalieri sono solo parzialmente riconosciute dalle aziende. La sostituzione di lavoratori residenti con lavoratori frontalieri sottopagati e precari ha toccato quasi 10’000 persone. Per cambiare le cose si dovrebbe varare uno statuto del lavoratore all’avanguardia in Europa, partendo da leggi svizzere minimaliste. La maggioranza del PS Ticino, alla recente Conferenza cantonale sui Bilaterali, ha però rifiutato di entrare in materia su 20 proposte concrete, che potrebbero rendere forse umana la libera circolazione delle persone in Ticino. Meglio attenersi alla vuota retorica e cambiare qualche frase nel programma, in attesa di un miracolo? Così tuttavia il PS Ticino non andrà lontano. Il cannocchiale di Berna Il rapporto del Segretariato di Stato dell’economia sulle (insufficienti) misure d’accompagnamento (5.5.15) indica una crescita del dumping salariale in Svizzera, con importanti percentuali di in- Paghe di 9 fr all’ora nei cantieri delle strade nazionali a Mendrisio? Oltre che dall’attualità il degrado del mercato del lavoro è documentato dall’Unione sindacale ticinese nello studio «No al Dumping. Analisi del Mercato del lavoro in Ticino e ipotesi operative» (17.6.15) e da due altri recenti rapporti federali. Come riprendere il controllo di un mercato del lavoro impazzito, senza congelare la libera circolazione delle persone? Difficile, perlomeno in Ticino. frazioni nei settori coperti da contratti collettivi di lavoro estesi (nel 2015 quasi il 30 per cento delle imprese controllate non le rispettava, mentre nel 2013 era il 30 per cento). I settori critici sono l’orticultura, i servizi sociosanitari/servizi domestici, il commercio e l’informatica. Il mancato rispetto dei minimi salariali riguarda per il 30 per cento le imprese e i lavoratori distaccati. Distaccati sfruttati e concorrenza sleale L’undicesimo rapporto dell’Osservatorio sulla libera circolazione delle persone tra Svizzera e Unione europea (23.6.15) indica come i residenti fino a 90 giorni (12’000 unità a tempo pieno nel 2005, diventate 27’000 nel 2014!) hanno un salario mediano di ben il 24 per cento inferiore rispetto a quello globale. Un dato del 2012 che non considera i casi di retrocessioni salariali alla ditta estera, una volta che il lavoratore distaccato è rientrato in patria (non ha scelta, se vuole continuare a lavorarci). Il lavoro distaccato mina pesantemente i lavoratori residenti e le imprese indigene socialmente corrette. Va adottato un blocco immediato della circolazione in questo ambito, perlomeno in Ticino, perché qui si violano sistematicamente le regole di base dei Bilaterali! Frontalieri, disoccupati e penalizzati Secondo l’Osservatorio lo scarto salariale tra frontalieri e lavoratori residenti è aumentato: in Ticino è raddoppiato dal 2000 al 2012 (dal 5,6 per cento al 11,9 per cento). Questo scarto non considera ovviamente il caporalato o il mancato riconoscimento delle reali qualifiche da parte di datori di lavoro. Colpisce anche la percentuale di persone in età attiva senza impiego: in Ticino e in Romandia tra il 2009 e il 2014 è passata dal 3,5 per cento al 6 per cento (CH: dal 3 per cento al 4,3 per cento). Infine il rapporto segnala studi economici sulle categorie penalizzate dalla libera circolazione, sia in termini di effetto sostituzione, sia in termini di riduzione dei salari dei neoassunti: i giovani con un diploma terziario e le persone meno qualificate escono con le ossa rotte. Il PS deve tirare fuori gli artigli di fronte al rifiuto dei borghesi e del padronato di rafforzare le misure di accompagnamento! O questi ultimi cambiano idea o saltano i Bilaterali! LAVORO 21 Ma il salario no In questo Paese c’è uno standard minimo garantito per qualsiasi cosa: dai ristoranti agli ospedali, dai trasporti alle scuole, dall’ambiente alla sicurezza fino ai prodotti di consumo, lo Stato vigila affinché il cittadino/ utente/consumatore goda di una qualità minima, al di sotto della quale non si può scendere. Roba da Paese civile. Ma il salario no. Il salario è in balìa del libero mercato, senza limiti verso il basso. In un settore dove non ci sono contratti collettivi o normali, se io voglio assumere una persona per 10 franchi l’ora e trovo un povero disgraziato disposto ad accettare, posso farlo: firmo io, firma lui, vale tutto. E, con la fame di lavoro che c’è, succede spesso. Roba da Paese incivile. M.C. LA SVOLTA di Nestor Buratti CHE DISTURBA AMBIENTE 22 I pilastri dell’argomentazione dei contrari alla svolta sono due: opposizione alle energie alternative e adesione al nucleare. Malgrado la loro efficacia non debba più essere dimostrata, le energie rinnovabili sono ancora oggi considerate tecnicamente non all’altezza e troppo care. Inoltre, sempre secondo i fautori dello status quo, queste energie distorcono la legge del mercato poiché il loro sviluppo dipende dall’intervento della mano pubblica tramite sussidi. La Germania, Paese che ha fortemente sovvenzionato le energie rinnovabili, è citata a mo’ di esempio: la sovrapproduzione di energia alternativa (sussidiata) tedesca è considerata «la» causa della diminuzione dei prezzi di mercato dell’energia. E quindi dei profitti delle aziende elvetiche. Quello che non viene detto è che la crisi che sta attraversando il settore elettrico svizzero è dovuta alla mancanza di lungimiranza e a un modello sbagliato, da un punto di vista sia ecologico sia economico. Così non va! Per tradizione la forza dell’industria elettrica svizzera era l’energia idroelettrica di punta (cioè quella prodotta nei momenti di maggior consumo), grazie alla quale fin verso il 2010 i produttori elvetici hanno guadagnato miliardi di franchi. La domanda era alta e l’energia prodotta grazie alle dighe la si poteva vendere a prezzi elevati ai vicini europei. Una vera e propria manna: tra il 1999 e il 2009 i benefici delle società elvetiche sono passati da 670 milioni a 5,62 miliardi di franchi. Per gli azionisti, in gran parte collettività pubbliche (Cantoni o Comuni), ciò ha significato dividendi eccezionali. Da qualche anno però la festa è finita e le aziende elettriche sono entrate in un vortice di crisi. Inoltre la svolta energetica che presuppone l’uscita dal nucleare mette in discussione il core business dei tre principali operatori elvetici: Axpo, BKW e Alpiq. Quest’ultima, numero 1 del settore, è l’esempio più tragico. In seguito a una grave crisi, la società ha dovuto intervenire con misure drastiche: tagli del personale, vendita di partecipazioni, abbandono degli Uscita dal nucleare, energie rinnovabili e riduzione dei consumi: bello, ma non per tutti. La svolta energetica mette in discussione gli interessi di chi per anni ha dominato il settore. Per questo, le grosse società elettriche, pubbliche o semi-pubbliche, si oppongono al cambiamento di paradigma. Con il sostegno della Destra e delle associazioni economiche. investimenti eccetera. Ma la crisi di Alpiq, che appartiene per il 2,12% anche alle Aziende industriali di Lu- gano (AIL), riflette quello delle grosse imprese energetiche svizzere, il cui modello d’affari, troppo basato sul nucleare e sulla produzione centralizzata, è oggi messo in discussione. Ma di chi è la colpa? Non certo delle energie rinnovabili, quanto piuttosto della mancanza di lungimiranza di chi non ha saputo prevenire l’ascesa della questione ambientale e, in periodi di vacche grasse, ha investito nella direzione sbagliata. Infatti a partire dal 2007, invece di lanciarsi nel rinnovabile, diversi gruppi svizzeri si sono but- Un’uscita rapida e definitiva dal nucleare per un futuro energetico rinnovabile e di successo Secondo il Partito Socialista, la Svizzera deve liberarsi rapidamente dalla dipendenza dall’energia nucleare. La catastrofe di Fukushima ha sottolineato ancora una volta l’urgenza del passaggio a fonti energetiche rinnovabili. Considerata la pericolosità delle centrali nucleari, è essenziale limitare la loro durata di vita a 50 anni e chiudere immediatamente le tre centrali nucleari più vecchie del nostro Paese. All’inizio del XXI secolo abbiamo finalmente la possibilità di realizzare questa svolta energetica e di liberarci da una dipendenza fatale, in particolare per il clima. L’avvio di una nuova era energetica rinnovabile creerà inoltre migliaia di posti di lavoro sicuri e interessanti. Per realizzare quest’obiettivo occorre accelerare lo sviluppo delle energie rinnovabili per coprire il nostro consumo di elettricità fino al 2035 e ridurre il nostro spreco di energia fossile dell’80 per cento entro il 2050. Il mercato è sfasato? Si è detto che le energie rinnovabili sono criticate dai gruppi perché beneficiano di sovvenzioni pubbliche. In sostanza, si sente dire, distorcono il mercato. Tuttavia i detrattori dei sussidi energetici (e fautori del nucleare) non esitano a beneficiare dell’aiuto pubblico. Il Consiglio nazionale ha previsto di mettere a disposizione 600 milioni per aiutare la costruzione di nuove centrali idroelettriche. Ma non basta: il settore pretende aiuti anche in favore delle centrali già esistenti. Questo per quanto concerne l’idroelettrico. Per il nucleare il discorso è ancora più contraddittorio. Nel 2013 la Fondazione svizzera per l’energia ha calcolato il costo reale del kilowattora nucleare. Un costo che i proprietari delle quattro centrali elvetiche pretendono essere di 5 centesimi al chilowattora. Ma, se alla produzione di energia aggiungessimo anche i costi di smantellamento, lo stoccaggio delle scorie e la responsabilità civile assunta dalla Confederazione, il costo dell’energia nucleare ammonterebbe ad almeno 31 centesimi. In soldoni, fanno 7,5 miliardi all’anno in più! Mancanza di lungimiranza Insomma, le società elvetiche non hanno saputo prevedere le esigenze legate allo sviluppo sostenibile. Quando la sfida climatica ed energetica è emersa in tutta la sua drammaticità (cambiamento climatico, Fukushima eccetera) il settore energetico si è dimostrato impreparato. E non si tratta soltanto del cambiamento strutturale necessario per promuovere le energie rinnovabili e rimpiazzare il nucleare. Il modello che va sviluppato dovrebbe infatti valorizzare la decentralizzazione della produzione, la gestione intelligente della distribuzione e un consumo controllato. L’esatto contrario di quanto fatto finora dall’oligarchia energetica nazionale che, per vendere di più, ha favorito i consumi tramite tariffe attrattive. Una politica che ha favorito lo spreco e che è in contrasto con la svolta energetica. Ma che la Destra, in particolare l’UDC e il PLR, vogliono continuare a sostenere. Basta vedere la posizione della Commissione energia del Consiglio degli Stati, che si oppone a ogni sistema inteso a incentivare l’efficacia e la diminuzione dei consumi. Una reticenza che fa ipotizzare come gli interessi del settore contino di più della sostenibilità del nostro futuro energetico. L’opposizione alla svolta energetica e il disinteresse verso le problematiche ambientali è insostenibile anche da un punto di vista economico. Diverse analisi obiettive mostrano che la preoccupazione per l’ambiente può coniugarsi con gli interessi economici grazie anche alla creazione di impieghi nella tecnica di costruzione o nella gestione intelligente della rete. Che le associazioni economiche (USAM o Economiesuisse), con l’appoggio dei parlamentari di Destra, continuino con forza a combattere la strategia energetica 2050 la dice lunga sulla visione in prospettiva dei capitani della nostra economia. Salvaguardiamo il territorio e la qualità di vita del nostro Cantone: No al raddoppio del Gottardo L’aumento degli insediamenti sul fondovalle, la carenza di un’adeguata pianificazione delle zone industriali e commerciali, lo smantellamento del servizio pubblico e l’aumento del traffico motorizzato minano la qualità di vita e l’ambiente del nostro Cantone. Ecco perché per il Partito Socialista l’iniziativa popolare «Spazi verdi», che ha raccolto oltre 14 mila firme, e il referendum contro il raddoppio del Gottardo, che pure è stato sostenuto da moltissimi Ticinesi, sono due tappe fondamentali per uno sviluppo sostenibile del nostro Cantone, a salvaguardia del territorio nell’interesse della popolazione e delle future generazioni. Concretamente il PS intende • opporsi attivamente al raddoppio del Gottardo e impegnarsi per il raggiungimento degli obiettivi decisi dal popolo con l’articolo costituzionale sulla protezione delle Alpi, in particolar modo per il trasferimento delle merci su rotaia, • rafforzare le linee di trasporto pubblico nelle zone periferiche, minacciate da forti tagli finanziari, • impegnarsi attivamente per il mantenimento della linea ferroviaria di montagna del Gottardo come mezzo di trasporto per pendolari e a scopo turistico e per un adeguato allacciamento dell’alto Ticino alla linea veloce di AlpTransit, • migliorare la pianificazione del territorio per salvaguardare il paesaggio, il terreno agricolo, gli spazi verdi di fondovalle e permettere la creazione di spazi di vita di qualità nei centri urbani. 23 AMBIENTE tati a capofitto nella costruzione di centrali a gas e a carbone all’estero, soprattutto in Italia e in Germania. Investimenti enormi, giustificati brandendo lo spettro della penuria energetica. Previsione errata: oggi l’offerta è abbondante e i prezzi dell’energia sono quindi diminuiti. Perciò gli investimenti nel carbone si sono rivelati disastrosi: diversi progetti sono stati abbandonati (con grossi costi di progettazione buttati al vento), mentre gli impianti portati a termine si vedono costretti a vendere elettricità a prezzi minori rispetto al costo di produzione. Per maggiori informazioni, chiedere all’Azienda elettrica ticinese (AET) a proposito della redditività della centrale a carbone di Lünen. PER UN FUTURO di Franco Montale AMBIENTE 24 RINNOVABILE Uno dei punti importanti della campagna 2015 del Partito Socialista è l’uscita rapida dal nucleare per un futuro energetico di successo e rinnovabile. A che punto siamo? Nessuna data fissa la chiusura delle centrali nucleari. Il cammino percorso è immenso. Basti ricordare che ancora nel 2010 BKW, Alpiq e Axpo facevano a gara a chi avrebbe costruito per primo una nuova centrale nucleare. E questo con l’appoggio delle autorità federali. Oggi invece abbiamo approvato in Consiglio nazionale una legge che vieta la costruzione di nuove centrali nucleari. Tale legge prevede un approvvigionamento energetico globale, non soltanto elettrico, e basato su una parte crescente di energie rinnovabili. La legge prevede inoltre dei miglioramenti massicci per quanto concerne l’efficienza dell’uso residuale delle energie fossili e delle misure per mettere in pratica concretamente questo cambiamento. Ora, tutto ciò dipende da quanto deciderà il Consiglio degli Stati. E quindi dalle elezioni: il voto finale avrà luogo a dicembre o a marzo. Nel caso in cui il PLR e l’UDC riuscissero a conquistare una maggioranza in uno dei rami del Parlamento, il disegno di legge sarà respinto nel voto finale, impedendo anche al popolo di esprimersi tramite un probabile referendum. Le centrali esistenti restano però in funzione. Il consigliere nazionale socialista vodese Roger Nordmann è un esperto di energie rinnovabili. Con lui facciamo il punto sulla situazione della svolta energetica. Non siamo riusciti a ottenere una data di chiusura per gli impianti nucleari esistenti, che sono in media i più vecchi del mondo. Abbiamo soltanto potuto imporre un concetto rafforzato per la sicurezza delle centrali «senior», cioè quelle funzionanti da più di 40 anni. Così facendo, aumenteranno i costi e dunque anche le possibilità di chiusura. Concretamente, cosa occorre quindi fare per raggiungere gli obiettivi previsti nel campo energetico? La cosa più semplice sarebbe rafforzare la presenza della Sinistra in Parlamento e introdurre nel disegno di legge un limite di 50 anni per le centrali nucleari. Anche le FFS ritirano dal traffico ferroviario le locomotive di quell’età, nonostante siano meno pericolose delle centrali nucleari. Bisogna inoltre lavorare sul piano economico: tramite una nostra mozione, siamo riusciti ad agevolare economicamente la decisione di chiusura di Mühleberg. La situazione economica ci dà argomenti per far valere le nostre tesi. Mi chiedo come i Cantoni e le città azioniste di Alpiq e Axpo accettino di perdere soldi per ogni kilowattora prodotto. In che senso? Mi spiego: Beznau produce per 7 centesimi al kilowattora, mentre il prezzo di mercato è a 4 centesimi. In questo caso la perdita di 3 centesimi viene subita da Axpo. La riforma energetica è stata uno dei momenti fondamentali di questa Legislatura. Il cambiamento proposto dal Consiglio federale implica la messa in discussione degli interessi energetici dominanti. Com’è stata la battaglia in Parlamento? Dobbiamo essere onesti: non è stato solo il nostro talento a permettere la svolta. L’evoluzione tecnologica nel fotovoltaico, nell’elettronica e nel risanamento delle case è talmente evidente che anche chi è politicamente schierato al Centro ha riconsiderato la propria opinione. Inoltre il nucleare è sempre più problematico: la crescita dei costi, i ritardi a ripetizione dei cantieri in Francia e in Finlandia, il problema irrisolto delle scorie per milioni di anni e infine il disastro in Giappone. Così la lobby elettrica si è spaccata. Diverse imprese di distribuzione hanno capito che la svolta era una chance. L’altra lobby, quella del petrolio, ha un problema di credibilità: non può essere nell’interesse del Paese mantenere le importazioni di petrolio a un tale livello. Infine ci sono diverse ditte che vedono nella svolta una nuova opportunità di business. Non hanno altra scelta che riorientarsi. Due di loro hanno già deciso di farlo. BKW è stata la prima ad avere il coraggio di decidere la chiusura per il 2019. Alpiq sostiene la svolta, nonostante sia in una situazione economica catastrofica. Ma non si può ritornare a un passato che non ci sarà più. Il modello per il futuro sarà la produzione rinnovabile e l’efficienza energetica, anche da parte dei consumatori. Ricordo con piacere quando, nel dicembre 2014, la CEO di Alpiq, Jasmine Staiblin, è venuta in Parlamento nella Sala dei passi perduti per sostenere presso i colleghi borghesi il prelievo di 2,3 centesimi per l’elettricità rinnovabile. Per alcuni parlamentari è stato uno choc: erano nel loro universo mentale degli Anni Sessanta. Sono invece molto preoccupato per Axpo, che non ha ancora capito cosa succede e sta per far perdere un sacco di soldi ai propri azionisti, ossia tutti i Cantoni della Svizzera orientale. Per tradizione i produttori di energia idroelettrica combinavano questa energia con l’energia di banda di origine nucleare. È possibile immaginare una complementarietà con le energie rinnovabili? Sì, ed è pure meglio! I nostri laghi ad accumulazione sono predestinati per compensare le variazioni del vento e del sole. La svolta energetica è l’unica chance per rivalorizzare il nostro patrimonio idroelettrico. Esso soffre attualmente dei prezzi molto bassi dovuti alla sovrapproduzione consecutiva e alla mancata chiusura del nucleare e del carbone in Germania. Quando ci sarà molto vento o sole, si acquisterà il surplus di corrente a costi bassi per pompare l’acqua in alto. Poi quest’acqua verrà turbinata nei momenti di punta, quando la corrente è più costosa. Da questo punto di vista, Axpo è schizofrenica: ha investito 2 miliardi nell’impianto di Linth-Limmern per il pompaggio, però frena la svolta che la aiuterebbe a far rendere questo impianto faraonico. Nel settore energetico è possibile combinare la protezione dell’ambiente con il successo economico? In primo luogo, è assolutamente impossibile conciliare con l’ambiente il sistema energetico attuale, con il 70 per cento di petrolio e il 10 di nucleare. Il riscaldamento climatico diventa drammatico e i rischi di radioattività restano. Poi i costi della mancata svolta saranno tremendi, perché la prosperità non può durare se viene basata sulla distruzione dei suoi elementi fisici. È chiaro che la svolta energetica è uno dei progetti fondamentali per la sopravvivenza del genere umano. Inoltre il processo di cambiamento necessita la modernizzazione di molte infrastrutture e l’aumento dell’efficienza. E questo crea nuove opportunità di business e di lavoro. Lei è presidente di Swissolar. Come valuta la situazione a proposito dell’energia solare? Quali sono i margini di miglioramento? Per la produzione di elettricità solare con il fotovoltaico i costi si sono abbassati di molto. Sono attorno ai 15-20 centesimi al kilowattora. In Ticino di meno, perché c’è più sole. Non sono più a 90 centesimi come 8 anni fa. Adesso sono paragonabili a quelli di un nuovo impianto idroelettrico efficiente. Ma, come per la costruzione di nuovi impianti idroelettrici, c’è sempre bisogno di un sostegno pubblico, vista la concorrenza con i vecchi impianti ammortizzati e quella sleale del carbone, che non paga i costi climatici. O quella meno sleale del nucleare, la cui assicurazione viene pagata dallo Stato, come probabilmente i costi delle scorie radioattive. La produzione di acqua calda e del riscaldamento solare funziona anche bene, ma soffre attualmente del ribasso dei prezzi del petrolio. In questo caso non basta un sostegno pubblico. Swissolar ha lanciato un masterplan per abbassare i costi, perché è una condizione per il progresso di questa tecnologia molto utile. Per liberare la Svizzera dalle energie fossili e nucleari bisognerebbe puntare sui trasporti pubblici e aumentare la parte della rotaia nel trasporto merci. Come siamo messi da questo punto di vista? Beh, diciamo che siamo in un «working process». A febbraio 2014 il popolo svizzero ha sostenuto il progetto FAIF di sviluppo dei trasporti pubblici. Con l’apertura di AlpTransit, prima con il Gottardo e poi col Ceneri, la performance economica del trasporto merci su rotaia migliorerà molto. Il rischio più grande è quello di svalorizzare questi sforzi con un raddoppio del tunnel stradale del Gottardo. Già soltanto per questo è quini necessario votare No. È evidente che, una volta costruito il nuovo tubo, si utilizzeranno le 4 corsie, nonostante quello che dice la Costituzione. Il Ticino sarebbe sommerso dal traffico da Airolo a Chiasso. Ma uso il condizionale perché il popolo rifiuterà quest’assurdità. A Zugo lo Stadtunnel è appena stato seppellito con il 62% dei voti. CHI È Nato nel 1973, Roger Nordmann è consigliere nazionale per il Partito Socialista dal 2004. È vicepresidente del Gruppo socialista in Parlamento e dell’ATA (Associazione Traffico e Ambiente) svizzera, nonché presidente di Swissolar, l’associazione nazionale delle imprese del settore dell’energia solare. È l’autore del libro «Libérer la Suisse des énergies fossiles». 25 AMBIENTE I grandi produttori pubblici di elettricità svizzeri non hanno visto arrivare le esigenze dello sviluppo sostenibile e la sfida climatica. Accecati dal successo finanziario del loro modello con la crescita del consumo, la centralizzazione della produzione, l’importazione a basso costo dell’energia di punta, hanno dimenticato le energie alternative e investito molto nelle centrali a energia fossile all’estero. Oggi queste scelte sono punite anche dal mercato. I grandi produttori nazionali sono pronti a cambiare il loro modello d’affari in vista della transizione energetica? AMBIENTE ED ECONOMIA: UNA SOLUZIONE C’È di Evaristo Roncelli, candidato del PS al Consiglio nazionale AMBIENTE 26 Alcuni ambientalisti sostengono che l’unica via per conciliare il nostro sistema economico con l’ecosistema sia una decrescita (felice o meno). Gli ambienti economici, quelli più estremisti, arrivano a dire che non ci sono prove scientifiche di una correlazione fra riscaldamento globale e attività economica. In Ticino, gli effetti ambientali e sociali di una pianificazione sbagliata del territorio e di un’economia incentrata sul breve termine sono sotto gli occhi di tutti: sfruttamento eccessivo del territorio, colonne stradali e in alcune zone una delle peggiori concentrazioni di polveri fini di tutta la Svizzera. Il primo passo per una rivoluzione culturale ed economica sul tema ambientale è comprendere che il mantenimento della biodiversità e la salvaguardia della bellezza del paesaggio hanno anch’essi un valore non solo sociale, ma anche economico. I costi di uno sfruttamento eccessivo sono solo rimandati, ma questo non vuol dire che non esistano. Il ruolo dello Stato in tutto questo è quello di creare una regolamentazione a protezione dell’ambiente che crei degli incentivi per un’economia ecocompatibile. Non un freno all’economia, ma la spinta verso un sistema produttivo diverso, che capisca il costo delle risorse e che produca il massimo con il minimo consumo di risorse ambientali. Pensiamo ad esempio al turismo, un settore economico importante, vi sono diverse tipologie di turismo, alcune più ecocompatibili altre più inquinanti. Questo non significa che la forma ecologica sia necessariamente meno attrattiva, chiara- Il 13 agosto era l’Overshoot Day, cioè il giorno in cui gli esseri umani hanno consumato tutte le risorse che la natura mette a disposizione per un anno. Molte persone, soprattutto in periodo economico difficile, pensano che la scelta sia fra occupazione e rispetto dell’ambiente, ma la verità è che non necessariamente le due cose sono in conflitto. mente ci vuole uno sforzo per tramutare l’attuale offerta in qualcosa di nuovo, ma reinventarsi è una delle chiavi del successo economico. Questo ragionamento può essere applicato anche agli altri settori economici. Ogni azienda, ogni imprenditore deve capire il ruolo sociale e ambientale della propria impresa, e capire che per ottenere una prosperità del sistema nel lungo periodo ognuno deve fare la propria parte. In questo senso il regolatore deve garantire che un comportamento corretto sia ripagato, mentre un atteggiamento scorretto sia punito. Il PS su questo tema ha le idee in chiaro, il metodo per conciliare economia e ambiente esiste. Un sviluppo sostenibile esiste. Il costo per tramutare la nostra economia non sarà mai insopportabile, poiché si tratta di un investimento per le generazioni future. Un investimento in grado di garantire successo e opportunità anche per chi verrà dopo di noi. Prendiamo ad esempio la proposta di costruzione di un secondo tunnel autostradale sotto il San Gottardo. Come Partito Socialista ci opponiamo a questa proposta poiché un’alternativa più ecocompatibile e che non danneggi l’economia esiste. Con l’apertura di AlpTransit e col mantenimento dell’attuale linea ferroviaria sarebbe possibile creare un sistema efficace di treni navetta che garantirebbe un collegamento sostenibile Nord-Sud. Chi si oppone a questa soluzione non lo fa perché crede in danno economico per il Ticino, ma perché non vuole cambiare il nostro modello economico, e soprattutto vuole i profitti degli appalti per la costruzione di un altro tunnel. Come partito progressista, vogliamo una società che cambi e abbiamo in chiaro l’avvenire che vogliamo. Un futuro sostenibile è per noi l’unica soluzione possibile. LASCIA O RADDOPPIA di Igor Righini, candidato del PS al Consiglio nazionale - Alla Nazione porterà lavoro di medio termine per grosse imprese consorziate, un buon potere di contrattazione nei rapporti con l’unione europea UE. Alle Regioni di montagna di Uri e del Ticino riproporrà lo stesso triste scenario legato a trent’anni di traffico internazionale su gomma. Risposta esatta. Andiamo avanti. Terza domanda. Cosa farebbe lei per migliorare le condizioni delle Valli? Le chiedo di articolare la risposta. - La nostra è una terra sacrificale. Sull’altare dei rapporti privilegiati della Nazione con l’Europa si è sacrificato il valore paesaggistico di un’intera regione, abitanti compresi. Il rilancio del Ticino non passa dall’autostrada; il primo buco autostradale ha già dimostrato tutti i suoi limiti. Alle regioni periferiche di montagna serve riqualificare il proprio territorio naturale e poterne fare un uso turistico, agricolo, industriale. Occorre proporre un’industria sociale fatta da gente coscienziosa capace di anteporre agli interessi privati quelli della collettività. Urgono investimenti nella costruzione dei parchi alpini e nella loro promozione. Servono solidi collegamenti con le nuove Stazioni di AlpTransit AT. Dobbiamo riprenderci la gente delle città e incentivarla ad abitare e riqualificare i nuclei storici di montagna, ricchi di qualità di vita. Dobbiamo pretendere dai centri abitati maggiore solidarietà; i centri devono cedere alla montagna parte delle loro infrastrutture pubbliche. Solo così potremo valorizzare tutto il Ticino. Rivitalizzare la montagna e al contempo sgravare la città dal peso del traffico e dell’attività economica schizofrenica. I soldi del raddoppio vanno destinati al promovimento economico del paesaggio svizzero di montagna. Gliela do buona! Veniamo all’ultima domanda: la sua opinione è contraddetta in modo chiaro da politici collaudati come Fabio Regazzi (PPD). Lei come intende fare per sistemare il problema della sicurezza in galleria? - Dietro al tema della sicurezza si nascondono gli interessi delle lobby del cemento e degli autotrasportatori; molto bravi a strumentalizzare la tragedia di un incidente stradale per promuovere i loro interessi economici. La sicurezza è un fatto tecnico. In entrambi i casi è possibile migliorare la sicurezza con la differenza che con un NO al raddoppio si possono risparmiare tre miliardi di franchi. A mettere a posto la sicurezza del Gottardo basterebbe trasferire parte dei mezzi pesanti dalla strada alla ferrovia AT. Eh anche questa è buona. Allegriaaa. Bene a questo punto arriviamo al momento centrale. Davanti a lei Signor Righini le strade si dividono. Se va a destra ha la possibilità di raddoppiare, se va a sinistra si tiene il suo gruzzoletto. Cosa fa? Ha trenta secondi per rispondere. Signor Igor Righini lei lascia o raddoppia? - Lascio! Lascio e salvo quel «poco di buono» che c’è! I nostri figli forse ci sapranno fare qualcosa. AMBIENTE 27 Buona giornata cari lettori, buongiorno Ticino. Allegriaaa. È con noi un architetto della Regione. Vogliamo spiegare ai nostri cari lettori di che cosa si occupa Signor Igor Righini? - Eseguo costruzioni ecologiche a basso consumo di energia. Mi è pure capitato di progettare nuovi paesaggi agricoli e ricreativi. Ad esempio un chilometro e trecento metri di riqualifica territoriale al posto della vecchia ferrovia del Gottardo. Spazi per la gente del fondovalle. Una realizzazione nel rispetto del territorio originario riconosciuta dal Fondo Svizzero per il Paesaggio. Andiamo avanti. Lei signor Righini ha scelto di rispondere sul tema delle Tre Valli, Leventina, Riviera e Blenio, ma più in generale sulle zone periferiche di montagna. Iniziamo con questa prima domanda: cosa ha portato alle Valli Leventina e Riviera la costruzione dell’autostrada e della galleria autostradale del Gottardo? Un minuto per rispondere. Tic-Tac, … . - Automezzi pesanti, inquinamento da smog, inquinamento fonico, spostamento del traffico turistico dalla strada lenta all’autostrada, chiusura degli esercizi pubblici, chiusura di attività commerciali, esodo della popolazione residente dai paesi verso gli agglomerati, impoverimento,… Esatto. Passiamo alla seconda domanda. Che cosa porterà la costruzione di un secondo tubo al Gottardo? E attenzione a voler precisare, in generale per la Nazione e in particolare al Ticino e al Cantone di Uri. NON È CAMBIATO di Nestor Buratti SOCIALITÀ 28 NIENTE Un anno fa l’iniziativa per una cassa malati unica veniva respinta dal popolo e dai Cantoni. Tuttavia i contrari alla proposta, lanciata dal Partito Socialista, si erano sbilanciati nel dire almeno che il sistema andava perfezionato. Un anno dopo, nulla è cambiato: i premi continuano ad aumentare senza ragione, alcuni Cantoni continuano a pagare di più, la legge sulla vigilanza è insufficiente e gli inciuci tra parlamentari e casse malati vanno avanti in maniera indecente. Noi ne abbiamo parlato con Bruno Cereghetti. Bruno Cereghetti, un anno fa la votazione sulla cassa malati unica. Diciamo che, a livello di consensi, cresciamo. Constato con piacere che il margine tra fautori e oppositori della cassa malati unica si restringe. Questo è un buon segnale. La cassa malati unica avrebbe, tra le varie cose, risolto il problema della negoziazione tariffale, poiché l’assicuratore pubblico sarebbe dovuto intervenire con maggior equità nell’ambito delle tariffe. A livello politico, però, non è cambiato nulla. E la legge sulla vigilanza? Partiamo dal motivo vero per cui questa legge è stata riesumata quando era ormai morta, cadaverica: affossare l’iniziativa per la cassa malati unica. Ed è innegabile che ciò è stato uno degli elementi che ha giocato a sfavore proprio dell’iniziativa. Con il problema che oggi ci troviamo con una legge assolutamente inefficiente e che non risolve il problema dei premi pagati in eccesso. Anche perché il Consiglio federale prevedeva che i premi pagati in eccesso dovessero essere redistribuiti a chi aveva pagato in più se le condizioni finanziarie dell’assicuratore lo permettevano. Un «se» che era già da contestare. Poi è arrivato Ignazio Cassis, presidente della lobby Curafutura, che nella discussione al Consiglio nazionale ha proposto e fatto approvare che la restituzione dei premi in eccesso è facoltà degli assicuratori. Insomma la libertà della volpe di girare nel pollaio. Almeno il Governo aveva messo un obbligo, seppure con la condizionale. Oggi invece ci ritroviamo con una legge inefficiente e il sistema continua esatta- mente come prima. Noi ci troveremo a pagare dei premi in più. E nessuno capirà esattamente dove, perché di trasparenza in questo caso non ce n’è a sufficienza. Ma non ci sono dei dati ufficiali? Ci sono, ci sono. Il problema è che non vengono pubblicati. Questo è scandaloso: oggi non abbiamo la misura esatta di quanto effettivamente siano i premi in più che vengono pagati all’interno dei Cantoni solo perché l’Ufficio federale della salute pubblica non rende note le risultanze d’esercizio delle assicurazioni malattia nei singoli Cantoni. L’Ufficio federale pubblica il dato nazionale complessivo che dice sì alcune cose, ma non tutto. E soprattutto nulla sugli andamenti nei singoli Cantoni. Mi spiego: se il risultato positivo a livello federale è 20, come è composto nei dettagli? Potrebbe essere, come è successo nel passato, che ci siano Cantoni che pagano 100 in più e altri che pagano 80 in meno: il risultato d’esercizio federale è 20, un dato di per sé positivo, ma l’equità confederale è stata presa a sberle! Esattamente quello che è successo al Ticino in questi ultimi anni. Ora su questo aspetto non bisogna transigere. Bisogna invocare trasparenza e possibilità di lettura democratica del sistema. Il dato lo hanno ma non lo vogliono pubblicare. E, se ci si mette anche l’autorità federale a negare la trasparenza in un sistema che gli assicuratori rendono sempre più opaco, le cose non vanno bene né per i cittadini né per l’identificazione dei medesimi nel sistema Paese in fatto di cure. Ma perché capita questo? Il mio è forse un giudizio severo, ma l’unica spiegazione possibile è perché verrebbero mostrate le magagne del sistema, che oggi non sono visibili ai più. Ci si ostina a nascondere la verità dei fatti. Vengono pubblicati i dati di qualsiasi altra cosa per tutti i Cantoni, ma non il dato più eloquente, che è il risultato d’esercizio complessivo all’interno di un Cantone, nella finalità di permettere una lettura democratica del fenomeno. Solo il dato federale, che altro non è che la sommatoria di tutti i dati cantonali, è ampiamente insufficiente per capire le sfaccettature multiple di un sistema complesso. Da qui nascono i grandi dibattiti su quanto hanno pagato in più i Ticinesi, rispettivamente in meno gli altri. Ma la vera lettura del fenomeno è completamente ostacolata dal fatto che non vengono forniti questi dati, che costituiscono la chiave di lettura del tutto. Però un’idea su chi paga meno e chi paga di più c’è. Un rimborso c’è stato. La «restituzione bagatella», la chiamo io. E del tutto inveritiera rispetto alla situazione realmente accaduta. Personalmente a partire da un modello matematico riesco a ricostruire le situazioni in modo molto vicino alla realtà. Ci sono Cantoni che hanno pagato troppo poco e altri che hanno pagato troppo, ossia Ticino, Vaud, Ginevra, Neuchâtel, Argovia e Zurigo. Secondo queste stime, il Canton Ticino a fine 2013 aveva generato riserve eccedenti per 441 milioni di franchi, finite nel paniere federale di calcolo e concretamente nei forzieri degli assicuratori. Siccome si tratta di un modello di stima, ha la tara del più o meno 2 per cento. Dovessero saltare fuori i dati reali, quelli che oggi gli assicuratori e l’Ufficio federale si ostinano a tenere nascosti, non sarebbe più così difficile fare tutti i raffronti per capire chi ha pagato in più, rispettivamente in meno. E tutti lo potrebbero fare con relativa facilità. Quella facilità democratica di comprensione del sistema che sta alla base del rapporto di fiducia del cittadino verso lo Stato. Un oligopolio Un aumento dei costi ingiustificabile Come si spiega l’aumento costante dei premi in questi ultimi 19 anni? Si dice che i costi aumentano perché i costi sanitari aumentano. Ma l’aumento di questi ultimi è inevitabile, vuoi per l’invecchiamento della popolazione vuoi per i progressi tecnologici in campo medico. Se vogliamo una medicina all’insegna dell’accesso democratico, dobbiamo partire dal presupposto che i costi della malattia aumenteranno. Però, se si osservano gli aumenti dei premi, ci si accorge che c’è una strana somiglianza: tutti i premi aumentano più o meno nella stessa proporzione presso tutti gli assicuratori, tutti gli anni e in ogni Cantone. Questo significa che potrebbe esserci una sorta di cartello tra i grandi assicuratori e che il sistema non è quindi controllato in maniera sufficiente da parte delle autorità federali. Possibile che tutti gli assicuratori si siano adeguati all’unisono? Il Ticino è uno dei Cantoni dove i premi sono aumentati di più: dal 1996 a oggi quasi dell’80 per cento. Nello stesso lasso di tempo l’aumento delle prestazioni nette, ossia quanto effettivamente viene pagato dagli assicuratori malattia, è aumentato solo del 61 per cento. Ciò significa semplicemente che l’aumento dei premi in Ticino non è giustificato da un aumento dei costi da parte degli assicuratori. Per il PS, non più del 10 per cento! I premi di cassa malati aumentano di anno in anno, non da ultimo a causa della concorrenza tra le diverse casse malati. Per un crescente numero di economie domestiche con un reddito medio questi premi sono diventati un vero fardello finanziario destinato ad appesantirsi sempre più. I sussidi per l’assicurazione malattia, invece, non hanno tenuto il passo con questo rapido aumento dei premi. Alcuni Cantoni hanno addirittura ridotto drasticamente questi sussidi nel quadro dei loro programmi di risparmio. Questa evoluzione, che grava soprattutto sulle spalle delle economie domestiche con un reddito medio, va fermata. Il Partito Socialista vuole adeguare ed estendere il sistema delle riduzioni dei premi individuali, affinché i premi non superino il 10 per cento delle entrate di un’economia domestica. Un onere finanziario superiore è insopportabile e inaccettabile. 29 SOCIALITÀ In Svizzera gli assicuratori malattia sono circa una sessantina, mentre in Ticino sono un po’ meno: circa una quarantina. Attenzione però a considerare queste cifre. Dai numeri sembra infatti che ci siano tanti operatori. In realtà non è così. La maggior parte delle casse malati si concentra in pochi grandi gruppi che agiscono come holding: Helsana, CSS e Groupe Mutuel hanno infatti diverse casse. Insieme questi tre gruppi coprono circa il 45 per cento degli assicurati. Se consideriamo anche Assura, il solo grande gruppo a non essere una holding, e Cpt e Atupri, che sono gli assicuratori delle ex regie federali PTT e FFS, assieme questi sei coprono quasi il 65 per cento degli assicurati. L’assicurazione malattia è quindi un oligopolio in cui pochi grandi gruppi si dividono il mercato. CSS, ad esempio, detiene Arcosana, Intras Assurance-maladie e Sanagate. Il gruppo Helsana comprende anche Progrès, Sansan, Avanex e Maxi.ch. Il Groupe Mutuel amministra Mutuel Assurance Maladie, Philos Assurance Maladie SA, Avenir Assurance Maladie, EasySana Assurance Maladie, SUPRA-1846, AMB Assurance-maladie et accidents. I piccoli assicuratori al giorno d’oggi non esistono più, penalizzati anche dal fatto che il sistema è troppo complesso e necessita di un grande apparato amministrativo e di complicate previsioni finanziarie. Ma qual è il vantaggio nell’avere diverse sottocasse? In sostanza, le holding con diverse partecipazioni sono nate sostanzialmente perché le sottocasse potessero accogliere quelli che vengono definiti «buoni rischi». Si trattava di fare una selezione dei rischi e offrire le assicurazioni complementari a quelle persone più attrattive, ossia i giovani sani, preferibilmente maschi. Infatti con questa categoria di persone il margine di profitto di un’assicurazione complementare è molto ampio. NEI MEANDRI DEL di Nestor Buratti SISTEMA SOCIALITÀ 30 Molti fra coloro che hanno avuto un amico o un parente ricoverato in un ospedale ticinese si sono accorti che qualcosa non funziona: mancanza di coordinamento, superficialità, assenza di personale, freddezza. L’impressione è che il sistema sanitario ticinese stia peggiorando. E i recenti, clamorosi casi, come quello della ingiustificata mastectomia totale avvenuto al Sant’Anna, sembrano dare ragione a questa tesi. Ma si tratta solo della punta di un iceberg: casi meno gravi ma fastidiosi avvengono tutti i giorni senza occupare i titoli dei giornali. Come mai? Cosa sta succedendo alla sanità ticinese? Per rispondere a queste domande occorre analizzare nel dettaglio un sistema sanitario in cui gli assicuratori malattia hanno il potere di imporre dei prezzi sempre più bassi ai fornitori di prestazione, ossia gli ospedali, gli ambulatori, le case di cura. Tutto ciò per riempire le casse… delle casse. E naturalmente a scapito della qualità di cura. Bruno Cereghetti ci aiuta a capire cosa sta avvenendo. Ci dica, allora: chi interviene nel processo di formazione di queste tariffe? Il quadro normativo prevede che le tariffe siano concordate a livello di partner: da un lato i fornitori di prestazioni, per i quali le tariffe sono la fonte unica di entrata, e dall’altro gli assicuratori, ossia coloro che pagano. Lo Stato non interviene direttamente nel quadro della negoziazione tariffale poiché l’impostazione della LAMal, volta alla libera concorrenza, lascia questo compito ai partner. Lo Stato ha però il compito di approvare, verificando che tali tariffe siano impostate secondo determinati principi legali. Le tariffe sanitarie sono un atto ufficiale: una volta approvate, vengono pubblicate sul Bollettino ufficiale delle leggi e degli atti esecutivi dello Stato. Su quali criteri si fa affidamento per stabilire queste tariffe? Un pericolo incombe sulla sanità svizzera: quale? Si tratta del sistema con cui vengono formate le tariffe: un processo che deve essere posto al centro delle analisi sul sistema sanitario. Sempre inteso che per sistema sanitario ci si riferisca a una sanità di qualità ma di cui possono beneficiare tutti equamente. Le tariffe si basano su un’analisi dei costi ben precisa. Ad esempio, per quanto riguarda gli ospedali deve esserci una contabilità analitica per centro di costo e per unità finale di imputazione. Inoltre, seguendo normative ben definite, si deve tenere conto anche di altri fattori, come ad esempio gli ammortamenti. Questi dati dovrebbero, attraverso un processo matematico, portare alla formazione della tariffa equa. Purtroppo, nei fatti, così non è. Ed è qui che cominciano i problemi. Perché? Dopo glielo dico. Prima però devo fare un’altra premessa estremamente importante. Occorre ricordare che la gran parte dei costi del sistema sanitario va a finire negli stipendi del personale: circa l’85 per cento dei costi per quanto concerne gli ospedali acuti, mentre per gli istituti psichiatrici, gli istituti per anziani o gli studi ambulatoriali si arriva circa al 95 per cento. Le tariffe che generano le entrate servono sostanzialmente per pagare gli stipendi. La prima considerazione è quindi quella che, se le tariffe fossero basse e il fornitore di prestazione dovesse quindi percepire Lei parla al condizionale, però di fatto è quello che accade. Un ospedale o una clinica non può certo diminuire gli stipendi, essendo il personale sanitario abbastanza ben protetto dai contratti di lavoro. Perciò, quando le entrate non fossero sufficienti, il fornitore di prestazione è costretto a non più assumere o a ridurre il personale. Ora, una riduzione del personale, se dovesse scendere al di sotto della soglia delle esigenze, si tradurrebbe automaticamente in un abbassamento della soglia della buona qualità della medicina. Questa sarebbe la prima, drammatica conseguenza. Occorre però tenere conto di un altro fattore che fa parte del gioco della formazione delle tariffe. Quale? Contrariamente ai premi dell’assicurazione malattia, che sono stabiliti a preventivo, le tariffe sono impostate a livello di consuntivi, di conti chiusi. Ora, questi sono di almeno due anni prima. Ciò implica delle differenze con la realtà, a svantaggio dei fornitori di prestazione. Se prendiamo ad esempio gli stipendi, che dovrebbero aumentare, abbiamo già un gap. Le tariffe dovrebbero quindi aumentare. O sbaglio? Dice bene: dovrebbero. Gli stipendi aumentano, le esigenze di prestazioni mediche più intense aumentano a causa dell’invecchiamento della popolazione. Perciò ci si dovrebbe attendere un normale, pur moderato e controllato aumento tariffale. Invece non è così. In Ticino, l’Ente ospedaliero cantonale (EOC) ha negoziato le tariffe su un arco di tempo triennale. Ora, queste tariffe sono regressive nel tempo. C’è un chiaro problema. Questi dati costituiscono un fortissimo campanello d’allarme: come mai le tariffe diminuiscono nel tempo? Già, come mai? Dipende da come avviene la negoziazione. La legge, descrivendo il caso ideale, dice che dev’esserci una contrattazione tra partner. In realtà questa contrattazione avviene, ma non ad armi pari. Ed è qui che suona il campanello d’allarme. Mi spiego… Gli assicuratori si presentano al tavolo negoziale già intenzionati a negoziare verso il basso. Non escludo nemmeno che vi siano dei bonus per i negoziatori, altrimenti non capisco un tale accanimento a negoziare verso il basso. In sostanza, gli assicuratori presentano dei veri e propri diktat: o è così o altrimenti si va in contestazione. In tal caso si dovrà seguire tutta una procedura che può essere estremamente complessa e con tempi di attesa che possono durare anni. I fornitori di prestazioni sono quindi nel dilemma di dover decidere se affrontare un percorso legale dal quale, anche se vincitori, usciranno con le ossa rotte. Infatti tutto verrebbe bloccato per anni, con tariffe provvisorie. A livello di gestione attuale verrebbe a mancare la liquidità corrente, quella che serve per pagare gli stipendi. Non resta che chinare la testa. Purtroppo sì, accettando delle tariffe che non sono rispondenti al livello reale dei costi. Il fornitore di prestazione deve quindi impostare la proprie prestazioni future in base a tali entrate. Che, lo ripeto, sono basate sui costi di due anni prima. Se poi le tariffe tendono verso il basso, ecco che dovranno inevitabilmente adattare anche il livello delle proprie prestazioni. Questo è frutto dell’operato degli assicuratori, sempre più fermi a negoziare le tariffe verso il basso e a non concedere aumento alcuno, incoscienti del pericolo sulla qualità delle cure. Qualità della quale agli assicuratori non importa nulla. Quello che conta per loro è presentarsi di fronte ai Consigli d’amministrazione con dei risultati contabili interessanti, così come avviene negli ambienti bancari e borsistici. Tutto ciò mette il sistema sanitario democratico in pericolo. Le tariffe regressive negoziate dall’EOC sono l’esempio lampante. Il Governo non avrebbe dovuto accettare tali tariffe, poiché vi è il pericolo di ricadute negative per la qualità delle cure, in quanto inevitabilmente l’EOC sarà costretto a ridurre gradualmente il livello delle prestazioni. In tutto ciò, chi ci perde maggiormente? È ovvio: sono i pazienti di divisione comune. È qui che si effettuano i grossi risparmi e le grosse contrazioni a livello di personale. A li- vello di divisione semiprivata o privata vigono altri standard e il discorso tariffale è diverso. Le stesse negoziazioni tariffali sono molto ma molto più soft. E, qui lo dico e non lo nego, un peggioramento della qualità nella divisione comune negli ospedali, pubblici o privati, è in atto. Bisogna mettere un paraocchi per non accorgersi che la situazione di contrazione è già iniziata. Non dico che si stia male o che la situazione di degrado sia alla deriva, ma che siamo all’inizio di una frana. Bisogna quindi essere sufficientemente accorti per evitare che la frana si stacchi. Il recente caso del Sant’Anna è un esempio di questo peggioramento? Si tratta di un episodio senza dubbio eclatante, nel quale intervengono sicuramente anche altri fattori come il caso o la negligenza umana. La conseguenza del caso è stata drammatica. Però, a mio modo di vedere, i «casi problematici correnti» sono altri, che non vengono a galla e che concernono quelle cure di prossimità che potrebbero essere praticate con molta più incisività. Faccio un esempio: se un paziente soffre di notte e chiama ma nessuno arriva perché gli infermieri sono a ranghi ridotti, questo caso non occuperà i titoli dei giornali. Però la povera persona che si trova in quella situazione, ed è il paziente in divisione comune, ne soffrirà enormemente. Ed è proprio una somma di questi micro-casi a creare quei problemi che sono figli diretti della politica tariffale restrittiva. Cosa fare per risolvere la situazione? Io auspico una modifica radicale della legge. Ci dev’essere una sorta di commissione di probiviri che determini le tariffe a partire da un concetto di equità, quasi fossero dei giudici che decidono su fatti concreti togliendo il monopolio dell’aspetto economico e facendo un’analisi olistica della situazione. Gli assicuratori malattia devono essere tolti dal processo di negoziazione perché oggi hanno un potere incontrollabile e sono i principali responsabili della diminuzione della qualità delle cure. 31 SOCIALITÀ meno entrate, a venir meno sarebbe la liquidità per pagare i salari del personale. NO di Nestor Buratti SOCIALITÀ 32 ALLO SMANTELLAMENTO A livello nazionale l’ultimo esempio di questa tendenza ci viene dal Canton Berna, dove il Cantone ha deciso di privatizzare le cliniche psichiatriche. Questi istituti ormai dovranno generare utili. La ristrutturazione tocca soprattutto la parte francofona della popolazione, per la quale sarà difficile garantire prestazioni all’altezza. In Ticino la tendenza è in atto da diverso tempo. Se a livello svizzero il privato rappresenta il 20 per cento dell’offerta sanitaria, in Ticino questa percentuale è del 40 per cento: una quota doppia che, con la prevista pianificazione ospedaliera, sembra destinata ad aumentare ulteriormente. Secondo l’orientamento proposto dal Dipartimento diretto da Paolo Beltraminelli, alcuni settori passerebbero dagli ospedali pubblici alle cliniche private. Altri verrebbero gestiti in una sorta di partenariato pubblico-privato. Così gruppi come Genolier si fanno strada in Ticino, dove possono beneficiare delle competenze (e delle conoscenze) di alcune personalità di spicco della politica nostrana come i due membri del consiglio di amministrazione di GSMN Ticino SA (la filiale ticinese della società vodese) Luigi Pedrazzini e Fulvio Pelli, quest’ultimo addirittura presidente. La nuova pianificazione sembra essere quindi un nuovo passo volto a favorire il privato e la combriccola degli amici a discapito del pubblico. Il rischio è quello di indebolire la posizione degli ospedali pubblici, a cui verranno affibbiate le cure più costose, a vantaggio delle cliniche private, che si garantiranno quelle più redditizie. Cliniche private che, va ricordato, beneficiano dei contributi del Cantone quanto le strutture pubbliche. Nel frattempo gli ospedali pubblici di Faido e di Acquarossa verranno declassati a non meglio definiti istituti di cura post-acuti. Anche di questa tendenza abbiamo parlato con Bruno Cereghetti. Il servizio pubblico è in crisi. In diversi settori, a livello sia cantonale sia federale, è in atto un vero e proprio smantellamento. Il settore della sanità è sicuramente il più sensibile. I Cantoni devono risparmiare e la pressione finanziaria è particolarmente forte in quest’ambito, dove le spese pubbliche sono particolarmente importanti. Ma il pretesto finanziario non basta per smantellare il servizio pubblico in un settore così importante. Com’è possibile che la salute dei cittadini venga data in pasto alla legge del profitto? A perderci in questo processo sono, come sempre, i cittadini delle fasce medio-basse e le regioni periferiche. Perciò il Partito Socialista si oppone fortemente a questa deriva. Oggi in Ticino, con la nuova pianificazione ospedaliera, si vuole diminuire il ruolo degli ospedali pubblici. Cosa ne pensa? Dirò prima una cosa: noi parliamo molto degli ospedali pubblici, però, se penso al Ticino, queste strutture non sono dello Stato, bensì dell’Ente ospedaliero, che è qualcosa di distaccato dallo Stato e che ha un proprio Consiglio di amministrazione e fa funzionare l’impresa sanità al di fuori dell’intervento diretto dello Stato. Non si tratta, per intenderci, di un settore interno allo Stato. Ciò detto, il servizio pubblico deve avere sempre il primato in questo settore e deve essere finalizzato all’equità sociale nei confronti della popolazione. Questo non vuol dire che non debbano essere sviluppate collaborazioni con il privato o che il privato non fornisca dei buoni servizi, soprattutto in Ticino, dove esiste un sistema ospedaliero privato che ha una certa importanza. Ma la sanità è troppo importante per essere privatizzata tout court. Cosa vuole il Partito Socialista? Rafforziamo il servizio pubblico in diversi settori (energia elettrica, radiotelevisione, sanità e socialità) opponendoci alle privatizzazioni. Anche le regioni periferiche devono avere accesso ai servizi di base. La difesa dei servizi pubblici è indispensabile e fondamentale. Essi permettono di assicurare un futuro a servizi moderni e di qualità, che garantiscono al contempo il mandato pubblico e sono accessibili a tutta la popolazione anche nelle regioni più discoste. Il Partito Socialista si batterà per… …evitare la privatizzazione dei servizi pubblici, compresi i tentativi di privatizzazione nel settore dell’energia elettrica, nell’ambito radiotelevisivo, sociale e sanitario e ospedaliero in particolare, …combattere l’ulteriore smantellamento di servizi e posti di lavoro pubblici, come negli uffici postali o nelle Officine FFS, …rafforzare la presenza delle FFS nel nostro cantone, in particolare grazie al potenziale di AlpTransit, …favorire l’insediamento di famiglie nelle regioni di montagna, tramite il sostegno a infrastrutture pubbliche e la creazione di alloggi a pigione moderata, privilegiando la ristrutturazione di abitazioni abbandonate nei nuclei dei villaggi. Cominciamo col dire una cosa: nessuno riesce a fare utili con la sanità legata all’assicurazione di base. Oggi, come in passato, un ospedale privato che dovesse avere solo pazienti di divisione comune fallirebbe subito. O dovrebbe ridurre costantemente la qualità delle cure in modo da star dentro con tariffe formate senza criteri di scientificità. E, per quanto concerne un ospedale pubblico, è lo Stato che ne dovrebbe coprire i costi per mantenere uno standard quanto meno accettabile di cure. Lo Stato per legge deve cofinanziare, con gli assicuratori, le cure ospedaliere. Ciò detto, lo Stato pianifica con la tendenza a guardare al proprio portafoglio, cercando di minimizzare le uscite, anche perché nell’ambito della politica ospedaliera il 55 per cento dei costi deve essere finanziato proprio dallo Stato. Ora, è comprensibile che anche in ambito di politica ospedaliera si facciano delle riflessioni sulla razionalizzazione dei costi. Ci mancherebbe. Ma non così come è stato impostato dal Consiglio di Stato per quanto riguarda il declassamento di una certa offerta ospedaliera in istituti di cura sub-acuti e post-acuti. Sembrano denominazioni create ad arte per ridurre la sanità in Ticino. Esatto. La legge dice che ci sono due tipi di interventi ospedalieri: l’ospedale acuto e la clinica di riabilitazione. Il sub-acuto e il post-acuto non esistono. Semmai si parla di case di cura, come le case per anziani, che si occupano di malati cronici. La discriminante tra ospedali e istituti di cura è che nei primi deve esserci una presenza medica costante, mentre nei secondi no. La Commissione ospedaliera precedente, proprio in un’ottica di razionalizzazione, aveva preconizzato i cosiddetti «letti AMI», cioè acuti di minore intensità, che riguardavano quei casi che pur necessitando di una presenza medica sono oggettivamente di minore entità di un trapianto di cuore. Era giusto che per questi letti AMI fossero applicate delle tariffe minori. È lo- peraltro destinato a durare poco nel tempo. Inoltre bisogna considerare che alcuni istituti privati che, bisogna riconoscerlo, hanno avuto un importante ruolo di sostegno a un bisogno sanitario, come San Rocco, Vanini e Ospedale malcantonese, rischiano anch’essi di venire declassati. Che fare? Occorre ripensare a questo settore. È vero che la medicina di qualità genera dei costi anche pubblici. È inevitabile. Tuttavia occorre prestare attenzione al ruolo sociale dell’ente pubblico. Occorre fare il discorso delle priorità. E la medicina e la cura, a mio modo di vedere, sono una priorità assoluta di uno Stato che si vuole civile, equo e moderno. Evidentemente la razionalizzazione e il controllo dei costi devono esistere, ma non con elementi restrittivi come quelli proposti dalla pianificazione in discussione. Il popolo si esprimerà su questo tema? È chiaro che, se il discorso sulle pianificazioni evolve in tal senso, se si dovessero creare gli istituti di cura così come impostati dal Governo, scenderò in campo a favore di qualsiasi iniziativa contraria a questa pianificazione. E il Governo deve stare attento, perché ci sono diversi fronti di opposizione, come le raccolte di firme pendenti nelle Tre Valli. A mio avviso il rischio che questa pianificazione cada in votazione popolare esiste. gico, però si restava in ambito acuto. Altrimenti si rischia di sminuire tutto. Si veda il declassamento degli ospedali di Faido e di Acquarossa. Adesso la classificazione pretende che il sub-acuto e il post-acuto, che come ho detto non esistono, vadano integrati negli istituti di cura. I due ospedali citati verranno così declassati. Poi il Governo, cercando di salvare capra e cavoli, dice che a Faido e ad Acquarossa rimarranno dieci letti di medicina. Si tratta di un contentino, CHI È Bruno Cereghetti è stato granconsigliere del Partito Socialista fino allo scorso mese di aprile. Docente dal 1971 al 1986 e collaboratore personale del consigliere di Stato Rossano Bervini dal 1986 al 1991, dal 1991 al 2010 è stato «Mister casse malati» in Ticino, cioè capoufficio dell’assicurazione malattia. Ora è titolare di uno studio di consulenza nell’ambito sanitario e delle assicurazioni sociali. 33 SOCIALITÀ Il settore pubblico soffre troppo di questo dogma del contenimento dei costi. Questo è giustificato? AUTUNNO E AUMENTO DEI PREMI CASSA MALATI: UN BINOMIO INEVITABILE? di Marina Carobbio Guscetti, candidata del PS al Consiglio nazionale SOCIALITÀ 34 Puntuale con l’arrivo dell’autunno ecco che arriva anche l’annuncio dei premi cassa malati. E dire che proprio il 28 settembre dell’anno scorso il popolo svizzero aveva respinto la proposta di una cassa malati pubblica lanciata dal Partito Socialista e da altre organizzazioni di pazienti, consumatori e professionisti del settore. La realizzazione di una cassa malati federale permetterebbe più trasparenza e anche un maggiore controllo dei premi, lo abbiamo dimostrato con cifre e fatti più volte. Determinante per quel risultato popolare è stato certamente il massiccio utilizzo di mezzi finanziari da parte dei contrari. Ma anche la promessa, fatta da parte di chi si è opposto a questa riforma del sistema assicurativo, che ci sarebbe stata una legge che avrebbe permesso di vigilare meglio sulle casse malati. Legge che infatti è stata votata dal Parlamento, la cui applicazione è però messa a rischio ancora una volta dalle lobby assicurative ben rappresentate in Parlamento. Pur essendo stata respinta dal popolo, l’idea di cassa malati pubblica ha raggiunto oltre il 38% di Sì a livello svizzero e quasi il 45% di favorevoli in Ticino (nel nostro Cantone la campagna a favore l’hanno fatta solo il PS, i Verdi e gli altri partiti di Sinistra): un segnale forte dalla popolazione all’indirizzo degli assicuratori malattia e della politica. Mai prima di allora un’iniziativa per cambiare il sistema di assicurazione malattia di base aveva ottenuto un simile consenso. Le preoccupazioni uscite durante il dibattito (la caccia ai buoni rischi, la discriminazione di persone anziane con malattie croniche, il marketing aggressivo, costoso e molesto, la commistione di interessi fra assicurazione di base obbligatoria e assicurazioni complementari facoltative e la mancanza quasi totale di trasparenza per quanto riguarda il calcolo dei premi e delle riserve) necessitano rapidamente di risposte concrete. A 19 anni dall’entrata in vigore della Lamal Anche quest’anno i premi cassa malati aumenteranno e a farne le spese saranno molte economie domestiche, in particolare le famiglie con figli a carico e i giovani adulti. Una situazione oramai diventata insostenibile, anche perché con i costi per l’alloggio e i premi cassa malati sono le prime voci di spesa. Ci vogliono misure urgenti, come l’esenzione e la riduzione dei premi per i bambini e i giovani adulti. è più che mai urgente avere finalmente un controllo sull’assicurazione malattia, in un settore dove delle imprese pri- vate gestiscono 25 miliardi di franchi provenienti dai premi degli assicurati! Come Socialisti ci stiamo adoperando affinché i premi cassa malati siano al massimo pari al 10 % del reddito di un’economia domestica. Una prima misura è certamente quella di esentare i premi per i bambini e ridurre i premi per i giovani adulti. Progetti che sono attualmente al varo della Commissione della sicurezza sociale e sanitaria del Consiglio nazionale e che se applicate avrebbero un effetto importante per molte famiglie. Ci sono poi altri fronti aperti, rispetto ai quali come Socialisti non possiamo certamente stare a guardare. Da un lato un rafforzamento delle cure integrate e della medicina di prossimità. Dall’altro la necessità di opporsi ai processi di privatizzazione del settore ospedaliero, più o meno mascherati, che mettono a repentaglio la qualità delle cure. Sono necessari sistemi di regolazione dell’offerta sanitaria a livello nazionale e cantonale, non solo per la medicina di punta, bensì anche delle apparecchiature medico-diagnostiche altamente costose grazie a una base legale federale. Dopo l’entrata in vigore della nuova legge sul finanziamento ospedaliero nel 2012 si assiste a privatizzazioni di ospedali, outsourcing di servizi sanitari e collaborazioni pubblico e privato. Eppure è noto e dimostrato da numerose pubblicazioni scientifiche: la concorrenza in ambito sanitario e la proliferazione dell’offerta portano a un aumento dei costi sanitari, l’esubero dell’offerta di apparecchiature medico tecniche genera costi supplementari. Ecco perché sono da rivedere le condizioni che permettono a gruppi ospedalieri privati di acquisire cliniche ed ospedali e fare concorrenza al settore pubblico senza necessariamente migliorare l’offerta delle cure ma contribuendo ad aumentare i costi sanitari. Un rafforzamento del Partito Socialista alle elezioni federali permetterà di contrastare gli appetiti delle potenti lobby degli assicuratori e delle ditte farmaceutiche e fare veramente gli interessi di tutta la popolazione. SOCIALITÀ: UN MODELLO DIVERSO PER UNA SOCIETÀ CHE CAMBIA! di Evaristo Roncelli, candidato del PS al Consiglio nazionale rispecchia un rischio nel quale un cittadino può incappare nel corso della propria vita. Oltre alla funzione specifica però ci sono scopi più generali, come il mantenimento della pace sociale, la garanzia di pari opportunità nella vita, la redistribuzione del reddito, la garanzia di un’esistenza dignitosa, tutte conquiste alle quali una società che si definisce civile non può rinunciare. Questi obiettivi in Svizzera sono solo parzialmente soddisfatti. Basti pensare alla disoccupazione, che spesso fallisce nel compito del reinserimento professionale e si trasforma in assistenza, la quale a sua volta spesso fallisce nella garanzia di uno stile di vita dignitoso. In questo senso, il modello elvetico è sicuramente migliorabile, e la Sinistra come paladina della socialità ha il compito di proporre modelli alternativi, in grado di garantire l’effetto desiderato, ma anche la massima semplicità. Il Il tema della socialità è un tema fondamentale per il PS, in una società che presenta sempre più insidie per il cittadino come mantenere uno stato sociale al passo coi tempi. Negli ultimi decenni la Sinistra ha faticato a portare un cambiamento nel modo di concepire gli aiuti pubblici, anche a causa delle pressioni dei liberisti, che non perdono occasione per voler demolire le conquiste sociali. modello scandinavo può essere in parte d’esempio come sistema per seguire le persone durante tutto il corso della vita, cercando dove possibile di prevenire i rischi e di cercare un sentiero individuale per ogni cittadino, a dipendenza delle esigenze del singolo. Prendiamo ad esempio il caso di una persona nata con una disabilità congenita. In questi casi l’intervento dell’ente pubblico è fondamentale, può essere un punto di riferimento per le famiglie le quali si vedono spaesate in una realtà nuova, spesso costellata di associazioni volenterose ma con le quali non è sempre semplice interagire. In questo ambito il compito non è necessariamente quello di fornire il servizio necessario, ma quello di dare un punto di riferimento, e un accompagnamento durante le scelte che toccheranno necessariamente la vita della persona con disabilità. Non dimentichiamoci che scopo ultimo di questo servizio è quello di garantire in qualsiasi momento la vita più autonoma e dignitosa possibile alla persona disabile. Il PS negli ultimi anni ha promosso sforzi in questa direzione, con l’iniziativa per una cassa malati unica o con AVSplus, ma in questo momento di avanzamento culturale della Destra liberista si rivelano imprese difficili. Il primo compito per noi sarà di ricordare alla popolazione l’importanza della solidarietà e delle pari opportunità. In un momento in cui le disparità continuano a crescere non si può cedere, bisogna ricordare alla popolazione che non può essere la fortuna, intesa come fortuna di nascere nella famiglia giusta, la chiave del futuro di una persona. La sfida è di certo impegnativa ma credo fortemente che se come fronte progressista riusciremo a far passare i messaggi, che le conquiste ottenute sono solo un punto di partenza e non un punto d’arrivo, che abbiamo un’idea precisa di come il sistema sociale debba evolvere, e che la socialità non è un costo per la società ma un investimento, in grado di garantire pace e pari opportunità, riusciremo sicuramente a vincere questa importante sfida. 35 SOCIALITÀ La socialità ha diverse funzioni all’interno della società. In Svizzera per diversi motivi storici ci ritroviamo un sistema molto frastagliato e spesso un po’ troppo burocratico. Per il cittadino non è sempre semplice destreggiarsi fra AVS, AI, sussidi cassa malati, assistenza, sussidi di formazione, disoccupazione e altri strumenti. Chiaramente ogni strumento ha uno scopo preciso, che generalmente ALLOGGI VACANTI... di Nestor Buratti PIGIONI 36 PER RICCHI Nel 2014, per la prima volta da sette anni, il tasso di alloggi vuoti ha superato la soglia psicologica dell’1%. Ma questo dato, pubblicato dall’Ufficio federale di statistica, non ci deve ingannare: a essere vacanti sono soprattutto le residenze ad alto standing, quelle che in Ticino si continua a costruire. E gli alloggi a pigione moderata? Beh, quelli si fanno sempre più rari. Tanto che perfino il Cantone prevede un rischio di riduzione a medio termine. Mendrisiotto Al centro di un ipotetico triangolo ai cui vertici si situano Lugano, Como e Varese, il Mendrisiotto è una regione particolarmente attrattiva per chi desidera risiedere in una zona centrale e facilmente raggiungibile. Come le altre regioni del Ticino, anche qui emergono però alcune contraddizioni del mercato immobiliare. A Chiasso si constata un fenomeno diverso rispetto agli altri centri del Ticino: i prezzi degli affitti sono diminuiti e si segnala un incremento degli abitanti a reddito mediobasso. Al contrario, a Mendrisio c’è una certa carenza di alloggi a pigione per queste categorie di persone. Dal 2005 a oggi, su 610 nuove costruzioni in tutto il Comune di Mendrisio, la metà è composta da proprietà per piani. Si tratta perciò di alloggi di standard medio e medio-alto, che di norma sono destinati a essere venduti. Questa è la grande contraddizione dell’immobiliare a Mendrisio: un’edilizia abitativa che si è sviluppata molto, ma che non è coincisa con un aumento dell’offerta di abitazioni a pigione. In effetti la metà del costruito è messa in vendita. Se si considera che una parte (circa 55) dei nuovi stabili sono a uso amministrativo, non si può che constatare che c’è poca costruzione per condomini a pigione. Conseguenza: una carenza di alloggi a pigione moderata, ossia per le fasce della popolazione a reddito medio e medio-basso. Chi scrive ha l’abitudine, da maggio a settembre, di prendere la bicicletta e andare a fare il bagno nella piccola spiaggia pubblica di Orino, situata tra Agno e Figino, nel Comune di Collina d’Oro. In località Muzzano, poco dopo la scuderia e le serre ortofrutticole, dove una volta c’erano dei canneti e una riserva naturale, sono da poco sorte quattro palazzine con accesso al lago. Dopo diverse peripezie (problemi ambientali, revoca della licenza, cambio dei promotori eccetera), la residenza Cristal è oggi sul mercato: «Posto all’in- terno di una riserva naturale di 10’000 metri quadrati, esclude altri progetti di costruzione garantendo di fatto la conservazione di quest’idillio anche in futuro (…) come si conviene alle esigenze di un’abitazione di alto livello, sono stati curati tutti i dettagli, creando una buona miscela tra design, materiali di alta qualità ed un armonioso concetto di luce (...)». Prezzo per due locali e mezzo? Più di un milione di franchi. Preferisci l’attico? Allora i milioni da sborsare sono 5,5. In buona sostanza, stiamo parlando di un ennesimo investimento immobiliare non certo destinato ai comuni mortali che cercano casa nel Luganese. Per di più, questa residenza è stata costruita in zona pregiata ed è un pugno in un occhio per chi – residente o turista – si rilassa nelle vicinanze del Golfo di Agno. Viene da chiedersi: ce n’era davvero bisogno? Il tasso di alloggi vuoti ha superato la soglia psicologica dell’1%, come abbiamo detto. Tuttavia siamo ben lontani dalla fine della penuria di appartamenti che, nel nostro Paese, è ormai endemica. Infatti dal 1980 il tasso di affitti vacanti è inferiore all’1,5%, proporzione che di norma è indicata per definire l’equilibrio. Inoltre la media nazionale non dice nulla sulla realtà delle regioni e delle loro specificità. Se oggi c’è il 2,5% degli alloggi vuoti nel Canton Giura, nel Canton Ginevra siamo allo 0,39%. Nel 2014 le abitazioni vuote in Ticino hanno toccato le 1’847 unità, raggiungendo un tasso dello 0,83%. Ma anche qui occorre prendere questo dato con le pinze: la disparità tra regioni – tra città e periferia o tra piano e montagna – è grande. Insomma, se la statistica ufficiale ci informa sul numero di appartamenti vacanti, essa non ci dà alcuna indicazione sui prezzi praticati e quindi sulle difficoltà che le persone delle fasce economicamente mediobasse hanno nel trovare un alloggio adeguato a pigione moderata. Secondo l’Ufficio federale delle abitazioni, la maggior disponibilità di abitazioni concerne soprattutto le nuove costruzioni non ancora abitate o le abitazioni destinate alla vendita, mentre il tasso di alloggi in affitto a disposizione resta al di sotto della media. D’altronde basta os- Locarnese Nel Locarnese il mercato immobiliare è particolarmente orientato ai Tedeschi e agli Svizzero-tedeschi. Anche qui, come a Lugano, a partire dal 2005 si è costruito moltissimo, tanto che il numero di compravendite a persone d’Oltralpe e stranieri ha superato quelle agli autoctoni. Insomma, sulle rive del Verbano si costruisce molto, ma la metà dell’edificato viene venduto ai Tedeschi perché sono disposti a pagare di più. Il problema è però che questa spinta verso l’alto tocca anche gli alloggi in affitto. Infatti i vecchi stabili vengono ristrutturati secondo le attuali condizioni di mercato. Le conseguenze maggiori della pressione verso l’alto dei prezzi dell’immobiliare in affitto toccano principalmente le zone centrali di Locarno, dove i promotori immobiliari hanno più interesse a vendere delle PPP. L’innalzamento dei prezzi constatato preclude così alla classe media e medio-bassa di trovare una possibilità di alloggio in centro, vicino ai mezzi di trasporto pubblico. Considerata l’importanza delle residenze secondarie per Locarno, il paesaggio urbano rischia di diventare un po’ desolante, vuoto. Insomma, per dirla tutta, con tutti questi letti freddi c’è il rischio che Locarno diventi a sua volta un po’… freddina. servare i tabelloni dove sorgono i cantieri o percorrere gli annunci immobiliari per constatare che, ad esempio in Ticino, si promuovono (quasi) esclusivamente oggetti di lusso – di standing superiore, come si dice – proposti a prezzi inaccessibili alla gran parte di chi cerca casa. È finita la cuccagna? Da molto tempo ormai i tassi ipotecari sono molto bassi: questo ha provocato un boom immobiliare per certi versi spettacolare. Tuttavia i promotori non hanno costruito quello che serviva dove serviva (vedi l’esempio di Muzzano). Leggiamo in una recente pubblicazione del Dipartimento del territorio: «(…) il costo unitario degli oggetti venduti dal 2005 a oggi è aumentato a prezzi costanti di un 20%. L’aumento è in parte determinato dalla presenza, acutizzatasi di recente nel centro luganese e in certi comparti del Locarnese, di compravendite di oggetti «esclusivi» destinati ai non domici- 37 PIGIONI Occhio alla statistica Bellinzonese PIGIONI 38 A Lugano sono soprattutto Italiani e Russi. A Locarno prevalgono i germanofoni, svizzeri o tedeschi. E a Bellinzona? A essere attirati dalla prospettiva di abitare nella Capitale sono soprattutto i Ticinesi. A dirlo è il già citato studio promosso dal Dipartimento del territorio: dal 2005 a oggi, nelle zone centrali di Bellinzona è raddoppiato il numero di compravendite proprio con acquirenti domiciliati nel Cantone. Questo fermento immobiliare è un fenomeno nuovo per una città che non era abituata ad avere un ruolo di primo piano nel mercato cantonale dell’alloggio. Ma negli ultimi anni un certo fervore edilizio e un conseguente rincaro dei prezzi vengono segnalati anche nel Bellinzonese. Sebbene qui il prezzo medio delle transazioni resti inferiore rispetto a quello medio cantonale, anche nella Capitale si è notevolmente intensificato il mercato immobiliare, con importanti incrementi tanto nel numero di transazioni quanto nel prezzo unitario delle abitazioni. Come ribadisce il già citato studio, «il Bellinzonese soddisfa una domanda di abitazione in proprietà nel Centro o nel suburbano che, in particolare nel Luganese, si scontra con prezzi troppo elevati». L’effetto AlpTransit è di sicuro un elemento importante per spiegare la recente maggior attrattiva di Bellinzona. La Capitale, oltre che diventare più vicina alla Svizzera interna, sarà sempre più prossima a Lugano. Il mercato immobiliare nelle aree centrali del Bellinzonese sembra quindi già anticipare gli effetti dell’apertura della galleria del Monte Ceneri, a beneficio di una maggior vicinanza con il Luganese. Lo testimonia l’aumento delle transazioni di PPP destinate a persone domiciliate in Ticino e situate nelle aree centrali, in prossimità di diversi servizi, tra cui l’accesso al trasporto pubblico. La crescita di attrattiva di Bellinzona è di sicuro un fattore positivo. Occorre però vigilare che non si verifichino anche qui gli effetti perversi segnalati altrove: a Lugano, Locarno e Mendrisio, la costruzione e la vendita di PPP hanno comportato una progressiva erosione del parco alloggi in affitto, in particolare nei centri, dove il rincaro preclude ormai la possibilità per una parte dei cittadini attivi di rimanervi o di accedervi. liati molto facoltosi, ciò che si ripercuote anche sui prezzi degli oggetti acquisiti da persone domiciliate in Ticino (…)». In sostanza, in tutto il Cantone il mercato della residenza secondaria è stato abnorme, con i prezzi che sono aumentati in media del 20%. La creazione di un segmento di mercato parallelo a quello della residenza primaria ha così, inevitabilmente, spinto al rialzo generale dei prezzi dell’immobiliare. Oggi però l’euforia sembra essere un po’ passata, tanto che gli esperti segnalano una certa saturazione del mercato e un progressivo passaggio dall’acquisto all’affitto. A detta di alcuni imprenditori immobiliari, il mercato potrebbe riorientarsi presto su quella clientela indigena che «era rimasta tagliata fuori dai prezzi esorbitanti». Lasciamo fare al mercato? Se da un lato sono aumentate le vendite di ville, attici per ricchi e appartamenti in proprietà per piani (PPP), dall’altro gli appartamenti a pigione moderata continuano a diminuire. Soprattutto a Lugano, dove, anche nei quartieri popolari, operazioni di speculazione immobiliare hanno spinto i cittadini dei ceti medio e basso a trasferirsi nelle zone periferiche. In città l’accesso all’alloggio è un problema che tocca da vicino sempre più persone e la situazione è particolarmente grave e tesa. Il Partito Socialista cittadino e l’ASI hanno promosso un’iniziativa popolare che ha spinto la Città a una riflessione. Di fronte a questo malfunzionamento, si percepisce male come il mercato possa autoregolarsi da solo. La mano invisibile di Adam Smith non funziona (nemmeno) per il mercato immobiliare. Un intervento pubblico resta quindi indispensabile. Il recente Piano cantonale dell’alloggio afferma che «in Ticino non vi è garanzia che gli alloggi a pigione sostenibile possano durare nel tempo» e si prevede un rischio riduzione nei prossimi 10-15 anni. Tuttavia, come constatato dall’Associazione degli inquilini della Svizzera italiana (ASI), in alcune zone del Cantone la disponibilità di alloggi a pigione moderata è già un’imminente necessità. Malgrado ciò, negli ultimi anni gli interventi pubblici in questo settore fondamentale sono stati pochi. Noi pensiamo che non debba essere soltanto la legge della domanda e dell’offerta a decretare le tendenze del mercato immobiliare, ma che occorra intervenire con urgenza con una politica dell’alloggio che favorisca i prezzi accessibili e promuova iniziative concrete a corto e medio termine sul tema degli alloggi a pigione moderata. Luganese Due mondi, due universi paralleli che non sembrano avere niente in comune: a questo assomiglia il mercato dell’alloggio di Lugano. Da un lato le fasce più deboli della popolazione che, a volte vittime delle speculazioni, fanno sempre più fatica a trovare un alloggio conveniente in città. Dall’altro i super-ricchi, spesso cittadini stranieri beneficiari di forfait fiscali, che negli ultimi anni hanno fatto balzare alle stelle la domanda per appartamenti e abitazioni di lusso in città. Due mondi in apparenza lontani anni-luce uno dall’altro. Eppure non è così: infatti i cittadini economicamente meno avvantaggiati sono costretti a subire le conseguenze derivanti dall’aumento della domanda di abitazioni di lusso. Come rivela un recente studio pubblicato dal Dipartimento del territorio, nel centro di Lugano dal 2005 il mercato estero «è a dir poco esploso con un incremento superiore al 50% sia in numero di transazioni, sia nei prezzi». Ora, questa dinamica ha trascinato al rialzo tutti i prezzi delle transazioni, anche per gli acquirenti già domiciliati. Nel 2013, secondo Comparis, le pigioni in Svizzera sono salite dell’1,84%, in Ticino del 4,15%. La zona più colpita dal rialzo è quella di Lugano. Un fenomeno che coinvolge anche i quartieri tradizionalmente più popolari. Negli ultimi anni, complice una forte domanda, si sono costruiti anche diversi appartamenti per ricavarne un profitto immediato ed elevato, soprattutto con la vendita di appartamenti in proprietà per piani (PPP). Queste abitazioni, magari di standing un po’ meno elevato di quelle destinate ai super-ricchi, restano comunque inaccessibili a gran parte dei residenti. Inoltre l’incremento delle vendite di PPP nelle zone popolari è inevitabilmente accompagnato da una diminuzione progressiva del parco alloggi in affitto. Se a questo fenomeno si aggiunge che le ristrutturazioni convertiranno gli attuali appartamenti a buon mercato in abitazioni allineate all’evoluzione dei prezzi, appare evidente che l’accesso all’abitazione in centro città diventerà sempre più socialmente problematico. Il già citato studio cantonale afferma infatti che a Lugano «permane la tendenza all’espulsione delle famiglie verso i Comuni periferici» e che questa evoluzione del mercato immobiliare «limita, se non preclude, l’insediamento nel centro di Lugano di persone occupate che lavorano in città o sono pendolari». LA LOBBY Berna, 2 dicembre 2014: a margine della sessione invernale delle Camere federali una quarantina di parlamentari si ritrova per discutere di immobiliare con i membri delle varie associazioni di categoria del Paese. Si tratta della prima riunione del neo-costituito intergruppo parlamentare «Proprietà del suolo e alloggio». Creato nell’estate dello scorso anno, questo gruppo, «aperto a tutti i consiglieri nazionali e consiglieri degli Stati», ha come obiettivo quello di «sensibilizzare gli eletti federali alle preoccupazioni dei proprietari privati e istituzionali in vista di migliorare le condizioni quadro che regolano il settore immobiliare»: il testo fra virgolette è ricavato dal comunicato stampa con cui si annuncia la creazione della combriccola. Di norma, gli oggetti parlamentari che hanno un’incidenza sulla proprietà fondiaria e l’economia immobiliare danno sistematicamente luogo alla redazione di una scheda destinata ai consiglieri nazionali e ai consiglieri agli Stati. Se la Confederazione non è competente in materia di politica dell’alloggio, le condizioni quadro della proprietà immobiliare dipendono però in larga misura dalle decisioni prese dal Parlamento federale. Diritto di locazione, sviluppo territoriale, mercato ipotecario, fiscalità: sono numerosi gli ambiti della politica federale che toccano gli interessi dei proprietari. Ecco quindi che gli ambienti immobiliari hanno deciso di rafforzare la propria presenza a Berna. Già, perché poi il popolo non la pensa proprio come loro. Nel 2012, vero e proprio «annus horribilis», il settore ha perso ben tre votazioni popolari: l’approvazione dell’iniziativa Weber e della legge sulla pianificazione del territorio (LPT) nonché la bocciatura dell’iniziativa promossa proprio dall’Associazione Meno conosciuta di quella delle casse malati, la lobby dei proprietari fondiari e dell’immobiliare è anch’essa molto attiva sotto la Cupola di Palazzo federale. svizzera dei proprietari (APF-HEV Svizzera). Al timone del neocostituito gruppo interparlamentare sono stati chiamati tre dei principali deputati che operano a difesa degli interessi del settore immobiliare: Hans Egloff (UDC-ZH), che presiede l’associazione svizzero-tedesca dei proprietari (HEV Schweiz), Brigitte Häberli-Koller (PPD-TG), anche lei membra di HEV, e Olivier Feller (PLRVD), che è alla testa del segretariato generale della FRI e della Camera immobiliare vodese. I tre consiglieri nazionali sono molto attivi nel promuovere atti parlamentari a favore del mondo dell’immobiliare. Nel 2014 Feller suscitò stupore poiché, nella duplice veste di deputato e di segretario generale della FRI, depositò un’iniziativa parlamentare dal titolo: «Diritto di locazione. Il rendimento ammissibile non deve più dipendere dal tasso ipotecario di riferimento». In sostanza, il Consigliere nazionale vodese voleva lasciare un po’ più sciolto il tasso di rendimento immobiliare. Nel 2008 fu trovato un compromesso e instaurato un tasso ipotecario di riferimento svizzero che permette di addolcire le ripercussioni delle forti fluttuazioni del tasso ipotecario reale sulle pigioni. Oggi il tasso scende e quindi i proprietari dovrebbero abbassare le pigioni, ma gli stessi proprietari chiedono di cambiare le regole del gioco. «`È una dichiarazione di guerra», ha tuonato dalle colonne della «Tribune de Genève» il consigliere nazionale ginevrino Carlo Sommaruga, segretario generale di Asloca in Svizzera romanda. Oltre ai tre presidenti dell’intergruppo parlamentare, numerosi altri deputati si distinguono per la loro militanza nella lobby immobiliare e per la battaglia nella difesa dei suoi interessi. A fine dicembre dello scorso anno, il consigliere nazionale Hugues Hiltpold (PLRGE), membro dell’Unione svizzera dei professionisti dell’immobiliare (USPI), ha depositato un’interpellanza parlamentare dal titolo: «Abolizione del tasso ipotecario di riferimento nel calcolo del reddito ammissibile». Ma la lista degli atti parlamentari è troppo lunga. Ci limitiamo a fornivi i nominativi dei difensori del settore, senza tenere conto di chi, come Fabio Regazzi, ha un mandato presso una società immobiliare. In generale l’UDC è il partito che ha i legami più stretti con i proprietari di immobili. Hans Egloff, che a maggio ha intrapreso a suon di mozioni una sua personale battaglia contro l’accesso facilitato al registro fondiario, ha concesso le sue due autorizzazioni (quelle che Lorenzo Quadri ha dato a due rappresentanti di Sunrise) ad Albert Leiser, che guida l’Associazione proprietari di casa di Zurigo, e ad Ansgar Gmür, direttore di HEV Schweiz. Altri consiglieri nazionali dell’UDC sono membri di HEV: Thomas Müller fa parte dell’associazione mantello nazionale (e ha concesso un pass a un altro membro), Gregor Rutz è membro di quella zurighese (assieme alla liberale Petra Gössi), Walter Wobbman di quella solettese, Roland Rino Buchel di quella dell’Oberrheintal, Verana Herzog di quella di Frauenfeld, Hansjörg Knecht di quella di Argovia, mentre Thomas de Courten ha concesso una delle sue autorizzazioni a un membro della HEV di Basilea Campagna. Insomma, altro che il partito dei contadini: questo è il partito dei palazzinari! 39 PIGIONI di Franco Montale IMMOBILIARE PIGIONI di Nestor Buratti PIGIONI 40 Questa diminuzione sarà automatica? No, questa diminuzione purtroppo non è automatica. È necessario che l’inquilino si attivi per inoltrare una richiesta al proprio locatore, rispettando il preavviso e le scadenze contrattuali. La richiesta non ha effetto retroattivo, per questo è importante attivarsi il prima possibile per domandare la riduzione della pigione. Noi consigliamo ovviamente ai nostri associati di farlo. D’altro canto le amministrazioni non concedono la riduzione di loro spontanea volontà, ma attendono, com’è ovvio, una richiesta in tal senso. La legge cosa prevede? Dal 2008 a oggi gli interessi ipotecari si sono quasi dimezzati e i proprietari ne beneficiano, invece per gli inquilini le pigioni continuano ad aumentare. Il tasso di riferimento è passato oggi dal 2 all’1,75%. Ora, sulla base della legge e secondo il diritto di locazione, la maggior parte degli inquilini ha diritto a una diminuzione degli affitti. Noi domandiamo ai proprietari di adattare le pigioni al nuovo tasso di riferimento entro il termine più vicino. In questo modo anche gli inquilini possono beneficiare del risparmio avuto dai loro locatori sugli interessi ipotecari che non devono più pagare. Gli ambienti immobiliari dicono però che altri fattori impediscono di concedere una diminuzione. È vero: vi sono altri fattori di cui bisogna tener conto nel fissare la pigione. L’inflazione, i costi di utilizzo e i lavori di rinnovamento o di miglioria dell’appartamento o dell’immobile. Ora, l’inflazione non compensa mai le diminuzioni legate al tasso ipotecario. In certi casi essa è nulla o negativa. Quanto ai costi di utilizzo dell’immobile, bisogna contestare i calcoli forfettari, non ammessi né dalla legge né dal Tribunale federale, ed esigere il calcolo esatto della loro evoluzione, ciò che genera spesso delle sorprese piacevoli agli inquilini. E, per quanto concerne i lavori di rinnovamento e miglioria, anche in questo caso bisogna domandare i GIÙ! È una giornata particolare quando, il 1. giugno scorso, facciamo visita all’ufficio di Massagno dell’Associazione Svizzera Inquilini (ASI). In coincidenza con quella data, l’Ufficio federale delle abitazioni (UFAB) ha comunicato che il tasso ipotecario di riferimento nei contratti di locazione è sceso ulteriormente all’1,75% (–0,25% rispetto al trimestre precedente). Mai tale indicatore è stato così basso. Cosa significa? In poche parole, ciò vuol dire che i proprietari di immobili risparmiano e di conseguenza guadagnano di più. Per questo l’UFAB ha comunicato che gli inquilini hanno in principio il diritto a ottenere una diminuzione degli affitti del 2,91%. Noi ne abbiamo parlato con Valentina Vigezzi Colombo, segretaria generale della sezione della Svizzera italiana dell’ASI. conti precisi, poiché sono a volte parzialmente finanziati con delle sovvenzioni e/o comunque parte di essi celano in realtà anche lavori di manutenzione straordinaria, non imputabili all’inquilino. Attualmente per gli inquilini è il miglior momento della storia recente per chiedere una diminuzione degli affitti. Un’altra buona notizia recente è il messaggio del Consiglio federale secondo cui in tutta la Svizzera i proprietari dovranno comunicare la pigione precedente nel caso di stipulazione di un nuovo contratto di locazione. Un passo importante verso la trasparenza? Certamente: se il Parlamento approverà il messaggio, il mercato dell’alloggio aumenterà la sua trasparenza. L’indicazione esplicita della pigione precedente dovrebbe attenuare gli abusi e in particolare l’aumento ingiustificato degli affitti che si verifica spesso, per non dire quasi sempre, a ogni cambio di inquilino, nonostante in concreto l’ente locato non venga in alcun modo migliorato. In alcuni Cantoni questa prassi è già in vigore. Vi sono risultati concreti? Le esperienze dei sei Cantoni che oggi impongono la trasparenza, cioè Gine- L’ASI: 100 anni di impegno a favore degli inquilini Era il 1915: l’associazione degli inquilini di Ginevra indisse il primo congresso nazionale degli inquilini, che si tenne a Bienne il 31 gennaio di quell’anno. I rappresentanti degli inquilini chiesero alla Confederazione più protezione e un maggior diritto di locazione. In precedenza le associazioni degli affittuari erano attive a livello regionale e nelle grandi città. L’industrializzazione stava portando sempre più persone verso i centri. Le condizioni di abitabilità cominciavano a degradarsi progressivamente e diversi proprietari avevano compreso dove si situavano i loro interessi. Già all’inizio del secolo alcuni proprietari apparivano come «usurai feroci». Nella brochure «La questione dell’alloggio a Losanna», il politico Charles Naine domandava alla città di sottrarre dei terreni alla speculazione per costruire degli alloggi a buon mercato. Naine illustrò i suoi propositi con l’esempio di un immobile il cui valore è stimato a 30 mila franchi nel 1888 e che in 24 anni ha più che triplicato il proprio valore: 105mila franchi. Oggi quella dell’ASI è una presenza sempre più necessaria, a fianco degli inquilini e a favore del diritto ad alloggi adeguati. Ogni anno migliaia di inquilini richiedono una consulenza, ottengono protezione giuridica e possono contare sull’aiuto di professionisti grazie alla loro affiliazione all’Associazione. Nonostante la situazione particolarmente delicata, il Consiglio federale continua a delegare ai Comuni e ai Cantoni i compiti legati alla politica dell’alloggio. Cosa rimproverate al Governo? In dicembre il Governo ha fatto il punto sulla politica dell’alloggio, dopo aver preso conoscenza del secondo rapporto redatto dal gruppo di dialogo in materia di alloggio tra Confederazione, Cantoni e città. Si invitano Cantoni e Comuni a verificare la possibilità di introdurre nuovi aiuti individuali per la promozione dell’alloggio e a pensare misure di pianificazione territoriale. Il Governo ha però deciso di rinunciare a introdurre il diritto di prelazione dei Comuni per favorire un’edilizia a basso costo o di utilità pubblica, poiché ritiene che tale diritto influenzerebbe il mercato e per di più comporterebbe un ingente dispendio per i Comuni. Ora, di fronte alla penuria di alloggi e al costante aumento dei canoni di locazione, nonostante i tassi ipotecari in continua discesa, il Consiglio federale ha rinunciato purtroppo a proporre interventi incisivi per sostenere la politica dell’alloggio, nonostante quest’ultimo, anche nel recente messaggio federale sull’introduzione del formulario ufficiale a inizio locazione, abbia riconosciuto che c’è tensione nel settore dell’alloggio. Pertanto l’ASI non può che attivarsi per fermare l’aumento indiscriminato degli affitti e garantire alloggi a pigione moderata: verrà quindi dato avvio il prossimo autunno a una campagna per la raccolta delle firme per portare avanti un’iniziativa popolare proprio per alloggi accessibili a tutti! 41 PIGIONI vra, Vaud, Neuchâtel, Friborgo, Nidvaldo, Zugo e Zurigo, mostra che i proprietari tendono a moderare gli aumenti degli affitti al cambio di inquilino e dal canto loro i conduttori si attivano già all’inizio della locazione a contestare un aumento se non è giustificato da una controprestazione. Un’inchiesta dell’ufficio immobiliare CIFI rivela un effetto reale del formulario ufficiale che attenua l’evoluzione degli affitti. Per questo motivo chiediamo alle Camere federali di adottare rapidamente il messaggio del Consiglio federale. Veniamo al Ticino, dove il Governo ha da poco presentato il Piano cantonale dell’alloggio (PCA). Qual è la vostra riflessione? L’iniziativa popolare 1 su 10: è questa la quota di nuove costruzioni da destinare ad alloggi di utilità pubblica e a pigione moderata. Non solo: i Comuni e i Cantoni dovrebbero avere il diritto di prelazione per arrivare a questa percentuale. E basta con gli aumenti esagerati degli affitti giustificati con i risanamenti energetici finanziati con programmi pubblici. Sono le conseguenze dell’iniziativa popolare che verrà lanciata all’inizio di settembre dall’Associazione svizzera degli inquilini. Perché va bene l’obbligo per i proprietari di comunicare e motivare ai nuovi inquilini l’aumento dell’affitto rispetto alla locazione precedente: il Consiglio federale ha mosso un passo nella giusta direzione. Però quella strada va percorsa con decisione, esigendo misure più incisive in difesa di chi affitta. Perciò, dove non arriva il mercato, deve intervenire lo Stato, calmierando le pigioni con un’offerta alla portata delle tasche anche di chi ha pochi mezzi. Tasso di riferimento: che cos’è? Il tasso d’interesse di riferimento è basato sul tasso d’interesse medio ponderato dei crediti ipotecari in Svizzera, che è calcolato ogni trimestre e poi pubblicato dall’Ufficio federale dell’abitazione. Dal 10 settembre del 2008 gli affitti sono fissati in tutta la Svizzera sulla base di un tasso d’interesse di riferimento unico. Questo ha rimpiazzato i tassi per le ipoteche a tassi variabili valevoli fino ad allora in ogni Cantone. PIGIONI 42 Il Cantone ha presentato uno studio di per sé interessante, ma che dipinge un quadro della situazione troppo ottimistico. Promosso dal Dipartimento della sanità e della socialità, lo studio mostra come la situazione attuale del Cantone non presenta situazioni critiche, ma a livello regionale, in particolare nelle aree urbane di Lugano e Locarno, a medio termine potrebbero emergere carenze significative nell’offerta. Ora, la carenza in realtà è già in atto e con questa situazione allarmante siamo confrontati ogni giorno nei nostri Uffici regionali. Inoltre il PCA propone il sostegno di cooperative e/o enti di pubblica utilità che dovrebbero, tramite l’acquisto e/o la costruzione e/o il rinnovo di immobili già esistenti, colmare la mancanza di alloggi a pigione moderata che si presenterà tra circa 10 anni. Questo approccio non può che suscitare perplessità, considerando come in Canton Ticino non c’è mai stato un tessuto sociale che ha permesso l’introduzione di simili enti e, come pacificamente riconosciuto dal PCA, il parco alloggi è sostanzialmente in mano a proprietari privati. Noi auspichiamo pertanto che l’ente pubblico, cantonale o comunale, agisca in maniera più incisiva e sin da subito, in prima persona, tramite provvedimenti normativi, così come peraltro già avvenuto in passato. Come chiedere una diminuzione dell’affitto? La diminuzione non è automatica, ma è necessario che gli inquilini si attivino e facciano valere da soli i propri diritti. Come fare? In primo luogo bisogna identificare il tasso ipotecario sul quale si fonda il proprio contratto di locazione, che è stabilito sulla base del giorno in cui è stato sottoscritto. Se questo è più elevato dell’1,75%, bisogna poi rivolgersi in forma scritta, tramite raccomandata, al proprietario dell’immobile. Questa richiesta deve essere fatta per la prossima scadenza del contratto, rispettando il termine di preavviso contrattuale. La situazione è particolarmente critica nel Luganese, dove, oltre a fenomeni di speculazione, si sa che nei prossimi anni gli alloggi sussidiati perderanno questo statuto. Com’è attualmente la situazione? Il Luganese resta un campo di battaglia dove constatiamo fenomeni di speculazione e abuso. Un po’ ovunque siamo confrontati con disdette-ristrutturazioni, con palazzi che vengono venduti e svuotati per essere riattati, per poi venire venduti o riattati. I dati statistici confermano che si sta assistendo a una progressiva spinta delle persone con un reddito basso verso la periferia della città, mentre il centro è sempre più un luogo per ricchi cittadini stranieri. L’iniziativa popolare promossa nel 2012 dall’ASI e dal Partito Socialista ha forse fornito l’occasione per esaminare la situazione e valutare delle possibili iniziative concrete a corto e medio termine sul tema degli alloggi a pigione moderata. Entro il 2025 tutti gli attuali appartamenti sussidiati torneranno sul libero mercato. Gli inquilini che beneficiano di tali sussidi, selezionati in base a criteri ben precisi, si troveranno così nella situazione in cui verrà chiesto loro di pagare l’affitto al prezzo di mercato. Cosa che spesso e volentieri non è nemmeno pensabile. CHI È Dal 2009 Valentina Vigezzi Colombo si è trasferita in Canton Ticino, dove ha lavorato come avvocato in un piccolo studio legale del Luganese. Poi dal 2014 è entrata a far parte dell’Associazione Svizzera Inquilini / Federazione della Svizzera Italiana (ASI/FSI), in qualità di consulente e segretaria generale, sostenendo e perseguendo così la difesa dei diritti degli inquilini. UNA PRIORITÀ Qual è il ruolo e quali sono le priorità dell’UFAB? L’UFAB è l’autorità competente per l’esecuzione della politica dell’alloggio della Confederazione. Le nostre priorità sono la promozione dell’alloggio e le questioni relative al diritto di locazione. C’è stata un’epoca in cui certi ambienti borghesi avevano tentato di sopprimere il vostro Ufficio. A seconda della situazione sul mercato degli alloggi, l’UFAB ha ricevuto un soccorso politico più o meno marcato. Negli ultimi tempi l’aumento dei prezzi a livello regionale ha di nuovo messo in secondo piano la questione della ragion d’essere del nostro ufficio. Oggi qual è l’importanza dell’alloggio nella politica nazionale? Oggi più di ieri, il tema rimane uno dei più importanti nell’agenda nazionale. Infatti la domanda di alloggi non è legata solo alle sfide sociopolitiche, ma anche alla libera circolazione delle persone, all’incremento demografico, alla protezione delle superfici coltivate e alla strategia energetica 2050. Per il Consiglio federale l’offerta di alloggi deve essere determinata dal mercato. Ciò provoca diversi problemi inerenti l’accesso all’alloggio per le persone più sfavorite così come alle pratiche speculative. In questo senso, quali sono le principali problematiche che constata? L’approvvigionamento garantito dall’economia di mercato non ha dato risultati così negativi come a volte si crede. In media la popolazione svizzera abita in alloggi di buona qualità e di dimensioni adeguate e per la maggioranza dei cittadini i costi abitativi sono sostenibili, come confermano anche alcuni studi comparativi internazionali. D’altro canto bisogna riconoscere che, quando la domanda supera l’offerta, per le persone più svantaggiate è particolarmente difficile trovare un alloggio. Oltre a estendere l’offerta e a ridurre i prezzi, sarebbe necessario adottare mi- Quello della casa è un tema sempre più importante in Svizzera. Ma qual è il margine di manovra della Confederazione? Ne abbiamo discusso con Ernst Hauri, direttore dell’Ufficio federale delle abitazioni (UFAB). sure d’accompagnamento specifiche. A mio avviso queste ultime non andrebbero prese a livello federale, bensì a livello locale o regionale. Nell’ambito delle nostre attività di ricerca e informazione possiamo proporre delle soluzioni e comunicarle al grande pubblico. Anche l’obbligo di notifica della pigione precedente da poco stabilito dal Consiglio federale dovrebbe contribuire a limitare gli aumenti ingiustificati degli affitti dopo un cambio d’inquilini. Nel centro di diverse città svizzere si constata un aumento delle pigioni. Diverse persone della classe media sono costrette a lasciare la città e si trasferiscono in periferia. Come limitare questo fenomeno? Secondo noi, la promozione della costruzione di abitazioni di utilità pubblica è uno strumento utile per far sì che la popolazione delle città mantenga un certo grado di mescolanza sociale. Poiché gli alloggi di nuova costruzione sono relativamente cari anche nel settore dell’utilità pubblica, non sono tanto le persone con scarse risorse economiche a sceglierli quanto piuttosto la classe media. A causa dei costi di locazione, occorre tempo affinché questi alloggi diventino convenienti e accessibili anche alle fasce di reddito più basse. Per questo è importante sostenere in maniera costante la costruzione di abitazioni di utilità pubblica. Negli Anni Settanta la Confederazione aveva istituito un sistema di sovvenzioni cantonali e federali per l’alloggio. Questo sistema ha un limite temporale e presto questi alloggi ritornano sul mercato. A Lugano, per esempio, da qui al 2025 tutte le sovvenzioni giungeranno a termine. La Svizzera non necessiterebbe di una nuova politica sociale dell’alloggio? Alcuni anni fa il Consiglio federale ha deciso di limitare la promozione dell’alloggio al sostegno alla costruzione di abitazioni di utilità pubblica. Poiché la situazione finanziaria della Confederazione non è delle migliori, è improbabile che in futuro un programma di sussidi come quello degli Anni Settanta trovi una maggioranza politica che lo sostenga. Il settore pubblico dovrebbe investire maggiormente nella costruzione di alloggi di pubblica utilità? Oggi la questione non riguarda più di tanto l’aspetto finanziario. In alcune regioni, tra cui il Ticino, mancano gli operatori che svolgono un’attività di utilità pubblica, mentre in altri posti ci sono ma non sono disposti a incrementare la propria attività. Insomma, il vero problema è che spesso gli operatori che svolgono un’attività di utilità pubblica fanno fatica a ottenere i terreni adeguati. In questo senso, qual è il margine di manovra dei promotori di progetti di pubblica utilità? Nella competizione per aggiudicarsi i terreni, gli operatori che svolgono un’attività di utilità pubblica concorrono con altri investitori che, ad esempio, vogliono costruire alloggi di proprietà. Quindi nelle aree urbane i prezzi dei terreni raggiungono rapidamente un livello che non permette più di costruire abitazioni di utilità pubblica. Pertanto i committenti sono obbligati a rivolgersi ai Comuni affinché mettano loro a disposizione dei terreni adeguati a condizioni vantaggiose, ad esempio applicando il diritto di superficie. 43 PIGIONI di Franco Montale POLITICA Nel 2012 l’UFAB ha sottoposto delle proposte al Consiglio federale, indicando delle vie intese a facilitare l’accesso ai terreni costruibili per degli alloggi di pubblica utilità. A che punto siamo? PIGIONI 44 Nel 2014 il Consiglio federale ha modificato le disposizioni legali, permettendo che i mutui agevolati della Confederazione siano utilizzati non solo per la costruzione o la ristrutturazione di alloggi, ma anche per l’acquisto di terreni. Inoltre abbiamo verificato a quali condizioni sarebbe possibile concedere ai Comuni un diritto di prelazione per la costruzione di alloggi di utilità pubblica. Alla fine del 2014 è stato pubblicato un rapporto sul tema. Su questa base il Consiglio federale ha deciso di abbandonare momentaneamente il progetto. Inoltre l’UFAB ha elaborato un «kit modulare» che indica alle città e ai Comuni come sostenere, anche a lungo termine, gli alloggi a prezzi moderati. Diversi atti parlamentari chiedono che delle proprietà della Confederazione o delle regie federali come le FFS siano messe a disposizione per degli alloggi di pubblica utilità. Cosa ne pensa? Sono state fatte le valutazioni necessarie. Di norma, i terreni di armasuisse non si prestano alla costruzione di alloggi e, qualora si prestino, armasuisse collabora con i Comuni interessati. In tal caso si possono prendere in considerazione anche progetti per costruire alloggi di utilità pubblica. Per quanto riguarda le FFS, bisogna riconoscere che in passato hanno concesso in diritto di superficie terreni a numerose cooperative di edilizia abitativa e in alcuni casi continuano a farlo anche oggi. Alla base però c’è un conflitto d’interessi: per risanare la cassa pensioni e sostenere la Divisione Infrastruttura, essa impone alla Divisione Immobili di realizzare il massimo profitto. Il Consiglio federale ha confermato l’esistenza di questa strategia solo di recente. Se la divisione Immobili FFS si concentrasse maggiormente sulla costruzione di abitazioni di utilità pubblica, non potrebbe più svolgere il proprio mandato. Le cooperative d’abitazione potrebbero contribuire a risolvere alcuni problemi sul mercato immobiliare. Però esse coprono solo il 4,2% del mercato immobiliare nazionale. Perché? Sulle diverse cause che ostacolano lo sviluppo della costruzione di alloggi di utilità pubblica mi sono già soffermato. A livello svizzero la percentuale è modesta. Tuttavia in molte città la costruzione di alloggi di utilità pubblica rappresenta una realtà importante, che contribuisce in maniera significativa a garantire un approvvigionamento adeguato di alloggi. La Destra pretende che la penuria di alloggi sia dovuta anzitutto all’immigrazione. L’UFAB segue da vicino le conseguenze della libera circolazione delle persone sul mercato immobiliare. Le pigioni esplodono veramente a causa degli immigrati? CHI È Ernst Hauri ha un dottorato in scienze sociali. Svolge un’attività presso l’Ufficio federale delle abitazioni (UFAB) dal 1987 e dal 2009 ne è il direttore. È sposato, ha due figli adulti e vive in una proprietà per piani nella città di Zurigo. La scarsità di alloggi che si riscontra in molti posti è dovuta al fatto che negli ultimi anni la domanda di abitazioni è fortemente aumentata. Inoltre la costruzione di nuovi alloggi ci ha messo un po’ per funzionare a pieno regime. L’aumento della domanda è dovuto a più fattori: il contesto economico tutto sommato favorevole che ha permesso a molti lavoratori un incremento del reddito, la riduzione del numero di persone nelle famiglie anche a causa dell’invecchiamento della popolazione, e i bassi tassi d’interesse che hanno alimentato a lungo la domanda di abitazioni di proprietà. Un ultimo fattore è l’incremento demografico: dal 2007 ogni anno in media la popolazione svizzera aumenta di 90 mila unità e l’immigrazione svolge senz’altro un ruolo importante. I 47 mila alloggi costruiti ogni anno non sono bastati a soddisfare la domanda, soprattutto nelle regioni urbane più richieste, dove per molto tempo i prezzi degli affitti e degli immobili sono fortemente aumentati. Tuttavia oggi si sta registrando un rallentamento. Lavoro: sempre peggio Il mondo del lavoro è cambiato. I diritti conquistati tramite le lotte sindacali appartengono a una società in cui il lavoro era a tempo indeterminato. Oggi assistiamo a una progressiva e ormai consolidata dinamica di precarizzazione, in cui l’obiettivo del padrone è quello di massimizzare i profitti diminuendo quanto più possibile la spesa salariale. Si assiste quindi a un aumento dei posti in percentuale, al lavoro su chiamata, al lavoro interinale (dove ci sono agenzie che vendono la forza lavoro come fosse un oggetto), a lavoratori indipendenti esternalizzati dalle aziende e ad altro ancora. La nostra grande sfida sarà regolamentare questo scempio e unire i lavoratori precari nella lotta per i diritti! Fabrizio Sirica «La mia politica in due parole? Giustizia sociale. Cerco la soluzione più giusta per tutti, non per gli interessi dei pochi.» Meglio il trasporto pubblico «Rispetto e uguaglianza, tradotti in pari opportunità. L’ideale da perseguire per una società più umana.» Quando si parla di trasporti si pensa giustamente all’ambiente e all’impatto ecologico che essi comportano. Sono infatti palesi i disagi causati dal traffico nel nostro Cantone. Su tutti troviamo le malattie respiratorie, l’importante presenza di sostanze tossiche nell’aria e il deturpamento del territorio. Questi sono i motivi che ci spingono a lottare per un potenziamento dei mezzi pubblici a discapito di quelli privati e di conseguenza per un ampliamento della rete ferroviaria a discapito di autostrade e circonvallazioni. Dobbiamo dire No al raddoppio del tunnel del San Gottardo! Dobbiamo lottare per un futuro più sostenibile! Lisa Boscolo La salute non è un business «Una società più umana, in cui tutto il popolo sia politicamente rappresentato, senza discriminazioni: ecco cosa voglio!» Il suono della democrazia, oggi «No alle falsità, alle discriminazioni e agli interessi dei pochi. Sì a una società aperta, giusta e solidale. Sì al socialismo!» Immagina di avere un terreno: una piccola collina, qualche fiore a terra e degli alberi da frutto che ne definiscono l’orizzonte. Ti piace, ci puoi ricavare qualcosa. Allora inizi a dare un’identità a questo luogo che ora respira la tua passione, le tue emozioni, la tua vita. È casa tua, ormai. Ci nascono i tuoi figli, e i figli dei tuoi figli. Ci vivono mariti, madri, padri, mogli. Persone, emozioni, sorrisi, pianti. Ci vivono le tue tradizioni, i tuoi modi, la tua storia. Un giorno, però, qualcuno da un luogo tanto lontano che nemmeno lo conosci decide che tu vivi nel modo sbagliato. Ma non temere: ti insegnerà come si fa. Per il tuo bene, si intende. Boom! Vedi? È la tua casa, ridotta in cenere. Boom! Vedi? Sono i tuoi figli, morti. Boom! Vedi? Sono i tuoi alberi, i tuoi frutti, i tuoi fiori che vengono portati via. Non sai come sfruttare le risorse che hai, dice. Boom! Lo senti? È questo, il dolce suono della democrazia. Aramis Gianini Il sistema sanitario è uno dei servizi fondamentali che uno Stato offre ai propri cittadini. Infatti spesso proprio questo è uno dei criteri che determina l’indice di sviluppo di un Paese. La Gioventù Socialista denuncia la via che il sistema sanitario svizzero sta imboccando negli ultimi anni. Ormai la salute della popolazione sembra essere diventata un mero business. Quel che ancor più preoccupa è che l’attore principale di questa nefasta situazione è lo Stato, che tende sempre più a privatizzare dove è possibile e ad accentrare le strutture periferiche. La salute dev’essere a disposizione di tutti! Lydia Joray Più trasparenza nella politica «Le necessità delle persone prima del profitto dei pochi (se siete milionari votate pure qualcun altro).» La trasparenza è spesso ritenuta un tema secondario al quale non vale la pena dedicare troppe parole. Tuttavia per me e per la Gioventù Socialista questa tematica è alla base di ogni democrazia. La Svizzera è stata più volte ammonita dalla Commissione europea per la scarsa regolamentazione in quest’ambito. Queste osservazioni sono innegabili. D’altronde come si può pretendere di essere all’avanguardia in materia di trasparenza se un cittadino non ha nemmeno il diritto di conoscere i legami economici dei vari partiti e rappresentanti politici con le diverse organizzazioni? Prendiamo il caso di un parlamentare che sta sul libro paga di un’influente assicurazione: è evidente che farà gli interessi dell’impresa. Il cittadino non ha forse il diritto di conoscere questi legami d’interesse? Questa può essere definita democrazia? Giulio Bozzini 45 CANDIDATI GISO Di sicuro è stata la voglia di cambiare, la voglia di portare nuove idee e nuove risorse alla politica, che ci ha fatto decidere di presentare una lista a queste elezioni federali. Noi siamo la Gioventù Socialista (GISO): un gruppo di giovani accomunati dalla stessa passione e dalla stessa voglia di cambiamento, che spera un giorno di vedere una politica diversa, una politica vicina ai bisogni dei più e non dei pochi! Vota GISO, lista 17. Cambia ciò che ti disturba! 2020: di Nestor Buratti PREVIDENZA 46 MEGLIO CHE NIENTE Sicurezza delle pensioni e rafforzamento dell’AVS sono due tra gli obiettivi di politica sociale più importanti per il Partito Socialista negli anni a venire. Il tema delle pensioni è complesso. A livello politico l’assunto è facile: la Sinistra vuole di più, la Destra di meno. Ottenere un compromesso sulle pensioni è quindi molto complicato. Il Consiglio federale, sotto la guida del Dipartimento dell’interno, ha preparato una riforma di tutto il sistema pensionistico (Previdenza 2020). Ancor prima di arrivare in Parlamento, questa riforma sta già facendo molto discutere. A Sinistra, soprattutto negli ambienti sindacali, si critica ad esempio l’aumento dell’età di pensionamento delle donne da 64 a 65 anni. A Destra invece si vuole tagliare dappertutto. Per capire meglio questa riforma e in generale il mondo della previdenza, ci siamo rivolti a Carlo Lepori, presidente ad interim del Partito Socialista nonché di PS 60+, l’organo del partito a livello svizzero che si occupa dell’impegno politico dei compagni e delle compagne non più giovani e quindi anche dei temi legati alla previdenza. La Costituzione svizzera sancisce che la previdenza professionale, insieme con l’Assicurazione vecchiaia, superstiti e invalidità (AVS), deve rendere possibile l’adeguata continuazione del tenore di vita abituale. Questo articolo costituzionale, l’articolo 113, nei fatti è rispettato? No. Ci sono dei dati che dimostrano come la povertà tra gli anziani è molto diffusa. Le stime parlano di almeno un quarto della popolazione anziana. Un’enormità, quindi. Diverse persone non hanno la previdenza professionale e ricevono solo l’AVS minima. Se consideriamo anche l’aumento del costo della vita, ciò non è più sufficiente per garantire una vita da pensionato dignitosa. Chi non raggiunge il minimo vitale deve quindi ricorrere alle prestazioni complementari che garantiscono ad esempio l’affitto o la cassa malati. Queste prestazioni, però, non sono attribuibili fino ai 65 anni. C’è quindi un problema che deve essere risolto. Oltre a chi è in pensione, c’è una fascia che è forse ancora più a rischio: le persone che si stanno avvicinando ai 65 anni, rispettivamente 64 per AVSplus L’iniziativa popolare AVSplus è stata lanciata dall’Unione sindacale svizzera (USS) ed è sostenuta da una larga coalizione di organizzazioni, tra le quali il Partito Socialista e la Gioventù socialista. L’iniziativa chiede un aumento del 10 per cento delle rendite dell’AVS. Questo aumento sarà versato sotto forma di un supplemento alle rendite correnti e future. Il modello di calcolo delle rendite non sarà modificato. Le altre prestazioni dell’AVS e dell’AI versate sotto forma di rendite continueranno a orientarsi in base alla rendita vecchiaia «ordinaria» senza supplemento. Il supplemento AVSplus non comporterà alcun cambiamento nella previdenza professionale. Esso sarà versato sulle rendite AVS correnti al più tardi due anni dopo l’accettazione dell’iniziativa popolare. Nessun’altra legge dovrà essere modificata. Grazie ad AVSplus, la grande maggioranza delle pensionate e dei pensionati beneficerebbe di un aumento mensile della sua rendita di 200 franchi, le coppie di 350. La rendita AVS minima aumenterebbe di 118 franchi, la rendita massima di 235. La rendita di coppia massima aumenterebbe di 353 franchi per arrivare a 3’878. le donne, che vivono una situazione professionale difficile ma che non hanno ancora diritto all’AVS. Cosa fare per questa categoria di persone? È vero: tra chi non beneficia ancora dell’AVS e degli aiuti complementari ma ormai non lavora più perché ad esempio è stato licenziato oppure perché non ha mai svolto un’attività remunerativa, La proposta del PS: aumentare le rendite del 10 per cento per garantire agli anziani una vita dignitosa È da decenni ormai che il Partito Socialista si batte affinché tutti possano vivere una vecchiaia dignitosa. A tal fine sono necessarie, oltre alla partecipazione dei cittadini e l’autodeterminazione, la sicurezza finanziaria nella terza età grazie alla previdenza per la vecchiaia e un’offerta di cure e di assistenza a prezzi moderati. Non va infine dimenticata l’importanza di uno scambio fertile e vivo fra le generazioni, poiché consente di instaurare e preservare uno spirito di solidarietà. L’AVS rappresenta la più grande conquista sociale della Svizzera ed è un pilastro importante della sicurezza nella terza età. Secondo la Costituzione federale, le rendite AVS e le rendite della cassa pensioni «devono rendere possibile la continuazione del tenore di vita abituale». Tuttavia oggi molte persone ricevono una rendita troppo esigua per permettersi di vivere in modo dignitoso nell’età della pensione. Viene asserito che l’AVS si sta dissanguando e che la pressione sul secondo pilastro aumenta. Il Partito Socialista si dissocia fermamente da simili affermazioni: la capacità della Svizzera nel finanziare la previdenza per la vecchiaia è anzitutto una questione di volontà politica e di equa ripartizione delle risorse e non dipende dall’andamento demografico o dal tasso di conversione. L’AVS costituisce il sistema ideale per rafforzare la solidarietà sociale, indipendentemente dai vincoli dei mercati di capitale. Le rendite dell’AVS devono essere aumentate del 10 per cento, senza aumentare l’età di pensionamento. Per questo motivo sosteniamo l’iniziativa AVSplus. Fintanto che le rendite dell’AVS e dell’AI non garantiranno la sicurezza finanziaria necessaria per condurre una vita dignitosa, il Partito Socialista si adopererà per il mantenimento e il miglioramento delle prestazioni complementari e veglierà a che le rendite e le prestazioni complementari dell’AI siano adeguate alla luce dei futuri adeguamenti dell’AVS. Ci puoi spiegare meglio? Sappiamo che la cassa pensione viene pagata a metà dal lavoratore e a metà dal datore di lavoro. Il tasso dello stipendio versato alla cassa cresce man mano che aumenta l’età. Attualmente dopo i 55 anni si paga un tasso del 18%. Ciò significa che il datore di lavoro deve versare un 9%: un tasso elevato, una ragione in più a spingere il datore di lavoro a licenziare un lavoratore anziano e ad assumerne uno più giovane. Ora, la riforma prevede di fissare un tasso massimo del 13% e stabilisce che, dai 45 anni in su, tutti pagano uguale. diti vecchiaia saranno adeguati in modo tale che le rendite della previdenza professionale obbligatoria non diminuiscano nonostante l’adeguamento dell’aliquota di conversione. Traduciamo? In questo senso il progetto Previdenza 2020 apporta un miglioramento. Un altro elemento positivo della riforma è una tutela pensionistica maggiore per chi ha lavorato poco o a tempo parziale. Ci aiuti a capire perché? Sì, è un po’ complesso. Finora si partiva dal principio che una parte della tua previdenza era già garantita dall’AVS e che quindi il versamento sul secondo pilastro, la cassa pensione, non poteva essere applicata a tutto questo guadagno. Questa cosa qui si chiama «deduzione di coordinamento». Ora, la riforma prevede l’abbandono di questo concetto: quindi tutto il salario sarà assicurato. Oggi su un salario di 80 mila franchi annui se ne assicurano solo 55 mila. Con la riforma si pagheranno dei tassi più bassi, ma, assicurando tutto il salario, in realtà si pagherà di più. Ciò sarà un importante vantaggio soprattutto per quelle persone che lavorano poco o a tempo parziale e che quindi, attualmente, non possono assicurare un secondo pilastro. Chi oggi guadagna meno di 21 mila franchi non assicura un secondo pilastro. Con la riforma il limite scenderà a 14 mila franchi. La riforma prevede la soppressione della deduzione di coordinamento: gli accre- Parliamo in generale della riforma 2020. Qual è il tuo giudizio generale? 47 PREVIDENZA come le casalinghe, vi è un alto rischio di povertà. Ci sono casi di persone che hanno lavorato anche più di 30 anni presso una ditta e poi vengono licenziate per fare posto a qualcuno di più giovane. In questo caso negli ultimi anni di vita attiva ma senza lavoro non si mette da parte una cassa pensione e si versano contributi AVS minimi. A 65 anni si avrà così diritto solo al minimo, che non è quello che prevede la Costituzione, che dice: «l’adeguata continuazione del tenore di vita abituale». Ora, che fare? Occorre principalmente tutelare i lavoratori anziani sul mercato del lavoro. In questo senso la riforma Previdenza 2020 apporterebbe alcuni cambiamenti interessanti: è previsto un fondo di garanzia che dovrebbe aiutare i lavoratori più anziani nella costituzione del capitale, inoltre gli accrediti vecchiaia non aumenteranno più per gli assicurati ultracinquantenni. Questo proprio con lo scopo di rafforzare la loro posizione sul mercato del lavoro. PREVIDENZA 48 Il giudizio di fondo è che vi sono aspetti positivi e negativi. D’altronde è difficile accontentare tutti su tutto in un pacchetto così complesso. In primo luogo il fatto di trattare assieme tutto il pacchetto previdenza, cioè AVS e casse pensioni, è da accogliere favorevolmente. Diciamo che il punto più positivo è che, tramite l’IVA, si vuole mantenere il sistema attuale senza intaccare le rendite AVS e senza aumenti clamorosi dell’età pensionistica, come andava ventilando fino a qualche anno fa l’ex consigliere federale Couchepin. Inoltre, come abbiamo detto, la riforma migliora il secondo pilastro togliendo la deduzione di coordinamento e, adattando la percentuale degli accrediti, ossia di quanto uno paga, viene migliorata la situazione dei lavoratori più anziani. Ciò detto, sottolineo però che si tratta di una riforma conservatrice, nel senso che l’AVS viene garantita e mantenuta. Noi vorremmo che venga aumentata e rafforzata. Il rafforzamento previsto verrà fatto tramite un aumento dell’IVA, un’imposta non propriamente sociale... È chiaro che l’IVA, valendo per tutti, non è un’imposta molto sociale. Ma colpisce il consumo, risparmiando i beni di prima necessità: ai tassi svizzeri, si tratta di un’imposizione accettabile. Noi avremmo voluto altre forme di finanziamento, ma il popolo ha bocciato l’iniziativa sulle eredità milionarie che avrebbe rimpinguato un po’ le casse dell’assicurazione. Per cui da qualche parte i soldi vanno trovati. La situazione demografica non è certo favorevole: la popolazione invecchia e il rapporto tra le persone anziane che ricevono soldi e i giovani che lavorano è sempre più sproporzionato. Anni fa per ogni anziano c’erano 10 giovani, oggi ce ne sono 4. meno dieci anni. Noi vogliamo che a essere più importante, tra il primo e il secondo pilastro, sia il primo, l’AVS. È l’assicurazione più sociale, qualcosa di quasi comunista. (Ride.) Tra il minimo e il massimo che si riceve non c’è tantissima differenza, rispetto al minimo e al massimo che si versa all’assicurazione. Per cui noi siamo contrari al volersi concentrare troppo sul secondo pilastro e desideriamo aumentare l’importanza dell’AVS. In questo senso occorre sostenere l’iniziativa AVSplus, su cui saremo chiamati a votare l’anno prossimo? Sì, l’iniziativa AVSplus chiede un aumento del 10 per cento delle rendite AVS. Infatti, rispetto all’aumento del costo della vita, l’AVS è rimasta indietro di al- Diciamo che le donne avevano il vantaggio della pensione anticipata, rispetto a tutti gli svantaggi di cui sono vittime sul mercato del lavoro. L’area sindacale si oppone a quest’aumento perché appunto i salari delle donne sono ancora inferiori. Ora, è vero che nei fatti la parità salariale Un punto della riforma criticato a Sinistra è l’aumento dell’età pensionabile delle donne, che dovrebbe passare da 64 a 65 anni. Cosa ne pensi? Poi c’è la diminuzione del tasso di conversione, che passerà dal 6,8 al 6 per cento. Nel 2010 l’ultima grande vittoria della Sinistra in votazione popolare è stata proprio questa: il 72 per cento di chi si è espresso ha bocciato la proposta di far passare dal 6,8 al 6,4 per cento questo tasso. Ora la riforma va addirittura oltre. Sì, è vero. Inoltre il passaggio avverrà in fretta, in soli quattro anni. Bisogna fare alcune considerazioni. In primo luogo, quest’adattamento non è una misura a sé stante ma fa parte di tutto un pacchetto di riforme in cui occorre far quadrare tutto, togliendo un po’ di qua e un po’ di là, cercando un compromesso per salvare una situazione che non è più sostenibile. Inoltre la cassa pensioni si basa sul capitale ed è inevitabile che, data l’aspettativa di vita più lunga, questo capitale durerà di meno rispetto a qualche anno fa, quando si calcolava la rendita per un numero minore di anni. Oggi ogni anno ti danno il 6,8 per cento del tuo capitale risparmiato: esso, senza contare gli interessi ormai inesistenti, dovrebbe durare 14 anni e mezzo. Poi è finito: se muori prima la cassa ci guadagna, altrimenti va in perdita. Battute a parte, un abbassamento al 6,0 per cento porta la durata del capitale a 17 anni. Nemmeno molto di più, ma mi sembra una realtà più adatta all’aspettativa di vita. Inoltre va considerato il fatto che si paga un po’ di più e si comincia prima a pagare: quindi si avrà a disposizione un capitale maggiore. Veniamo agli aspetti più politici. Cosa succede se il pacchetto Previdenza 2020 verrà spezzato in Parlamento? Non è difficile immaginare che la Destra attaccherà per smantellare il più possibile… CHI È Carlo Lepori è stato docente di fisica e di informatica, negli ultimi anni alla SUPSI. Dalla fondazione è copresidente di PS60+, l’organo del PSS che raduna più di 1’000 compagne e compagni che intendono restare attivi politicamente anche dopo aver lasciato cariche istituzionali e di partito. Attualmente è presidente ad interim del PS Ticino. Se il pacchetto passa indenne alle Camere, possiamo anche accettarlo. Come detto, la riforma non è il massimo, ma così com’è possiamo considerarla una buona base per poi lanciare nuove proposte. Noi vogliamo di più, la Destra vuole di meno: le posizioni sono chiare. Ora, il rischio è che, dati i rapporti di forza in Parlamento, la Destra tenti di mantenere tutte quelle cose che per noi sono negative, come l’aumento dell’età pensionabile delle donne, l’aumento dell’IVA o l’abbassamento del tasso di conversione, cercando però di sopprimere le cose positive. Così facendo rimarremmo con un pugno di mosche. Ma, se resteranno solo gli aspetti negativi della riforma, noi lanceremo un referendum. Ci opporremo a ogni peggioramento: questo dev’essere chiaro a tutti. Referendum che, in quest’ambito, avrebbe buone possibilità? Penso di sì. Per il PS è più facile combattere un progetto iniquo che proporre qualcosa di nuovo. Se noi diciamo di aumentare le tasse ereditarie per i milionari, ci ascoltano in pochi, il nocciolo duro. In passato, quando abbiamo combattuto misure antisociali, e penso per esempio all’abbassamento del tasso di conversione, invece abbiamo vinto. Per cui saremo molto molto vigili. Perché sostenere un aumento dell’AVS? • Perché per molti il rendimento derivante dal primo e dal secondo pilastro è troppo basso: oggi un operaio il cui ultimo salario era di 5’500 franchi dopo la pensione si deve accontentare di meno di 3’000 franchi dal primo e dal secondo pilastro. Così durante la vecchiaia non può più «mantenere adeguatamente il suo tenore di vita abituale», come richiesto dalla Costituzione. Chi ha lavorato per una vita intera non deve vivere di stenti durante la vecchiaia, nonostante i salari medio-bassi. • Perché l’AVS presenta il miglior rapporto prezzo/prestazione. In Svizzera gli occupati pagano dei contributi per l’AVS su tutto il proprio salario, anche quando incassano bonus milionari. Tuttavia le rendite sono limitate. Una coppia di manager bancari non percepisce una rendita AVS maggiore di quella di un’operaia e del marito che aveva lavorato come commesso. Grazie alla formula socialmente equa per le rendite, un incremento delle rendite AVS per i soggetti con dei redditi medio-bassi è nettamente più conveniente rispetto ad altre forme di previdenza vecchiaia. • Perché l’AVS è in ritardo rispetto ai salari: è da 40 anni che non si procede a un sostanziale miglioramento delle rendite AVS. Ogni due anni sono unicamente adeguate all’inflazione e, solo in parte, all’andamento dei salari. Pertanto le rendite AVS sono in ritardo rispetto ai salari. Un miglioramento è atteso da tempo, soprattutto in considerazione del fatto che i rendimenti delle casse pensioni sono sotto pressione. • Perché è la previdenza di vecchiaia più sicura: l’AVS è l’assicurazione più sicura al mondo. Non è legata a risparmi accumulati per decenni e alle rendite insicure di questi capitali, ma alle quote pagate di chi lavora. Fintanto che in Svizzera delle persone lavoreranno e guadagneranno del denaro, l’AVS sarà in grado di pagare delle rendite. In passato, il fatto che il numero degli anziani aumentasse e che invecchiassero sempre più non ha rappresentato un problema. Questo grazie a un modello di finanziamento intelligente e a un costante progresso della produttività. E questo problema può essere risolto anche in futuro. L’AVS è in equilibrio sul piano finanziario. Il Consiglio federale, con le sue previsioni negative, si è sempre sbagliato. • Perché un ampliamento aiuta anche i giovani: l’AVS è la previdenza di vecchiaia più vantaggiosa per le giovani generazioni. In particolare, le giovani famiglie risparmiano migliaia di franchi se possono provvedere alla vecchiaia tramite l’AVS invece che ricorrendo al costoso terzo pilastro. I risparmi privati per la vecchiaia tramite il terzo pilastro costano molto di più, poiché le banche e le assicurazioni ci guadagnano. Inoltre garantiscono meno e presentano parecchi rischi. • Perché l’AVS giova alle donne, che spesso percepiscono solo piccole rendite correlate alle casse pensioni per via della maternità e dell’assistenza ai bambini. Di contro, nel caso dell’AVS, le interruzioni dell’occupazione vengono controbilanciate grazie a degli accrediti per compiti educativi. Pertanto anche le donne con figli possono trarre vantaggio da buone rendite AVS. Un incremento delle rendite AVS è quindi decisamente più positivo per le donne. 49 PREVIDENZA non c’è e ciò è scandaloso. Tuttavia di principio la parità esiste. Non mi preoccupa quindi che tale parità si applichi anche per quanto concerne le pensioni. È chiaro che l’aumento a 65 anni è una concessione, così come lo è l’aumento dell’IVA. CULTURA di Pietro Bianchi, candidato del PS al Consiglio nazionale E POLITICA CANDIDATI 50 Ne abbiamo molto bisogno. Forse tutto quanto è definito cultura è un fatto sociale: iniziative promosse in ambito artistico, architettonico, educativo, scientifico, ma anche la protezione dei nostri beni culturali, cantare e suonare, rock e jodel, balli e ballate, dipingere e scolpire, pensare, scrivere e poetare, guardare ed ascoltare… Tutto questo è cultura, anche se in fondo lo dovremmo considerare un fatto sociale. Spesso i miei amici residenti in altri Paesi mi chiedono: «Esiste una cultura svizzera?». La domanda stessa è già cultura: tipico svizzero è l’atteggiamento tra l’incertezza e la fierezza di sé! La chiave va secondo me trovata in un’identità alpina, il Ticinese è ad esempio quasi sempre diviso tra la sua radice lombarda e un certo tributo culturale verso il nord, da considerare oltre un certo «muro di polenta» che in troppe nostre teste esiste ancora! La cultura deve servire a superare i confini mentali e le frontiere politiche e non… D’altra parte la leggenda di Tell viene da un mito scandinavo, il corno delle Alpi esiste anche in Himalaya e nelle Ande e la «bandella» si chiama «quintöt» in piemontese: in poche parole la migrazione dei popoli, compreso il nostro, è stata il più brutale scambio di cultura che abbiamo vissuto! Ad onor del vero, nel nostro Paese non si pecca di mancanza di cultura, ma piuttosto di eccesso: la Confederazione, ogni Cantone, ogni Comune compiono grandi sforzi di politica culturale, ma anche i partiti, le ditte private, le Chiese, i club e i sindacati, i gruppi e i circoli privati, i cori e le bande compiono grandi sforzi per attuare attività culturali, spesso superando una certa tendenza all’amatorialità: in Svizzera c’è un piccolo mercato e così attori culturali che all’estero potrebbero essere professionisti anche qui da noi raggiungono ottimi livelli. Quando sono stato con Roberto Maggini all’ Expo mondiale di Siviglia mi aveva colpito il motto su una maglietta «Suiza no existe», detto in maniera provocatoria naturalmente, così l’autore aveva raggiunto lo scopo di scate- Vorrei qui riflettere sul senso di una politica culturale in Svizzera, soprattutto in questi tempi di diatribe di una certa destra, che tende a chiedersi «perché abbiamo bisogno di una cultura svizzera?» nare accuse, discussioni, tentativi di divieto… ma tutto ciò è indubbiamente molto svizzero! Stiamo perdendo il senso della nostra cultura popolare, del nostro dialetto, scaduti spesso a intrattenimento neoborghese… Anche i grandi miti crollano, primo fra tutti quello delle Alpi (lo sapevate che viene da una parola celtica «ar pè», ovvero «al piede di»), che crolla sotto il peso di una morte ecologica… al posto di cercare un’alleanza rosso-verde, cerchiamo di costruire un’ecologia culturale. Mi spiego meglio: vi sono un centinaio di culture, su questo pianeta, che sono in via di estinzione. Tra queste vi sono minoranze linguistiche, isole culturali di vario tipo, ex-colonie, tutte vittime di una «cocacolizzazione» della cultura, di un appiattimento che schiaccia tutte le microdifferenze culturali, così interessanti per noi. Faccio l’esempio di una valle alpina: come in tutte le valli alpine, troveremo gli stessi riti, il Canto della stella, il Carnevale, il Maggio, eccetera… ma nei canti e nelle musiche che sentiremo avremo differenze di melodie, di ritmi, nei piatti che assaggeremo noteremo diversi ingredienti, nei vini che degusteremo troveremo gusti e profumi diversi. Ebbene è fondamentale che noi tramandiamo questi valori, che noi ci facciamo attori di queste feste e di questi riti, e non solamente spettatori, come se stessimo guardando un documentario. È un appello urgente, con ogni contadino che muore se ne va un’enciclopedia. Costruiamo dei «granai della memoria» nei quali riporre, studiare, tramandare questi importanti valori. Naturalmente tra le culture in pericolo di estinzione ci metto anche la nostra, noi Ticinesi troppo spesso ci innalziamo a guardiani di una certa tradizione: facciamo il miglior formaggio, siamo quelli che parlano ancora oggi un dialetto lombardo arcaico; ma io trovo che i nostri vicini hanno più di noi una coscienza di essere parte di uno «spazio alpino». Cultura per tutti, senza privilegi Il PS condivide gli obiettivi del messaggio sulla politica culturale 201619, con il quale il Consiglio federale vuole aumentare la promozione culturale e permettere l’accesso alla cultura a tutti. «Una società che non investe nella cultura non ha futuro», dice il consigliere nazionale PS Jean-François Steiert. «La cultura deve restare viva, accessibile e non troppo cara per tutti gli interessati, per poter adempiere al suo ruolo di garante della coesione sociale». Il rafforzamento della politica culturale e della promozione culturale sono da anni un tema importante del PS, come si può leggere nel documento di posizione del PS. Il PS si rallegra molto che il Consiglio federale con il suo messaggio sulla cultura riprenda questa linea. Il Consiglio federale propone una strategia coerente per la promozione della cultura ed è solo logico che aumenti i mezzi finanziari per realizzare questa strategia. Un elemento centrale per il PS è di permettere a tutti l’accesso alle varie offerte culturali, indipendentemente dallo statuto, dall’origine, dalla formazione e dal reddito. La cultura può e deve fornire un contributo centrale alla coesione sociale. Chi vuole una Svizzera forte deve anche sostenere una forte politica culturale svizzera, non come concorrenza agli spunti di politica culturale regionale, ma che sorge da essi. Non è la sottolineatura nazionalistica di confini e chiusura che tiene insieme la Svizzera, ma le sue lingue, i suoi canti, film e libri. La cultura – anche quella svizzera – ha bisogno di apertura e scambio per sopravvivere. La creatività e l’innovazione sono inconciliabili con la chiusura: anche in questo senso il messaggio del Consiglio federale sulla politica culturale rappresenta un segno importante (bit.ly/positionkulturpolitik). SEMPRE PIÙ LAVORI ATIPICI di Marina Carobbio Guscetti, candidata del PS al Consiglio nazionale Certo, soprattutto per le donne, il lavoro flessibile è spesso ancora un modo per conciliare l’attività di cura dei figli o dei parenti anziani o ammalati (dei quali si fanno carico in misura del 90% le donne, come indicano i dati del programma nazionale di ricerca NPR 60 «uguaglianza fra uomo e donna»). Esso permette nel contempo di arrotondare le entrate di famiglie che altrimenti, con un salario solo, non ce la farebbero a condurre una vita dignitosa a causa di budget sempre più esigui, ridotti da costi fissi e inevitabili, come l’alloggio e i premi cassa malati. Ecco perché riflessioni su questo tema non possono esimere dalla necessità di aumentare il reddito disponibile delle famiglie. Così come ci vorrebbero finalmente misure concrete per riconoscere il la- voro di cura. Ma necessitano anche di interventi tesi a regolare i lavoro atipico e su chiamata. Forme di lavoro che per molti sono un’arma a doppio taglio. Soprattutto per molte donne, che si ritrovano così ad avere lavori mal pagati, ma nel contempo a dover essere sempre disponibili alle richieste del datore di lavoro, in alcuni casi anche la domenica o nei giorni di festa e senza preavviso. Donne che hanno poche garanzie di continuità, per non parlare di carriera. Donne che si ritrovano con una scarsa copertura per quanto riguarda le assicurazioni sociali. Eppure, nonostante tutto ciò, malgrado che in Svizzera la percentuale di lavoratori a chiamata sia di circa il 5-7 per cento degli attivi pari a quasi 200000 persone, e poco meno del 60 per cento di tali lavoratori sia costituito da donne, del lavoro atipico ci si occupa ben poco. La legislazione svizzera infatti non contiene una base legale per il lavoro a chiamata. Ciò significa che nei contratti di lavoro non sono necessariamente convenuti un tempo di lavoro minimo e una congrua indennità, finalizzata a compensare la disponibilità del lavoratore o della lavoratrice, il cosiddetto servizio di picchetto. L’espressione «lavoro a chia- mata» sta infatti ad indicare un rapporto di lavoro atipico caratterizzato dalla flessibilità del lavoratore e in cui ci si discosta dalle regole in materia di contratto e tempo di lavoro, di stipendio orario e annuale, di garanzie sociali e anzianità lavorativa. Considerato che il datore di lavoro ha la facoltà di adattare a propria discrezione, in funzione delle esigenze di produzione, il numero di persone di cui si avvale, le ore in cui queste devono lavorare e, di conseguenza, i propri costi salariali, i rischi imprenditoriali vengono scaricati sulle spalle dei lavoratori. Modelli di lavoro che richiedono un’estrema flessibilità da parte dei lavoratori, che non sono liberi di pianificare il proprio tempo, non hanno sicurezza economica, godono di una protezione assicurativa minima e sono scarsamente tutelati contro il licenziamento. Se poi, percependo un reddito troppo basso, il lavoratore a chiamata è costretto a ricorrere all’aiuto sociale, è come se lo Stato sovvenzionasse un’impresa. In collaborazione con l’Unione sindacale svizzera mi sono occupata di questo tema e ho quindi presentato nel 2014 una proposta volta ad inserire nel Codice delle obbligazioni una base legale per il lavoro a chiamata. Una proposta che sarà trattata prossimamente dal Consiglio nazionale, ma già respinta dalla commissione competente con la giustificazione che il mercato del lavoro deve appunto essere flessibile e che queste misure pregiudicherebbero la competitività delle aziende. Un discorso che non può arenarsi allo scoglio di un parlamento che misconosce i problemi, ma che deve essere portato avanti congiuntamente ai problemi di tutte le altre forme di lavoro atipico, che oltre a quello a chiamata, sono anche quelli dei lavoratori interinali e dei cosiddetti nuovi indipendenti. Perché il diritto a un lavoro dignitoso vale per tutti, da chi ha un lavoro a tempo indeterminato, a chi lavora in maniera atipica, fino a chi il lavoro ancora non ce l’ha. 51 CANDIDATI Tanti giovani sono in cerca del primo impiego e quando lo trovano spesso esso è mal retribuito o limitato nel tempo. Ma sono in aumento anche i lavoratori anziani che in nome di ristrutturazioni aziendali son messi alle porte dal mondo del lavoro. E ci sono poi tante donne che lavorano a tempo parziale, su chiamata o ad ore. E’ questo il preoccupante quadro di un mondo del lavoro sempre più flessibile, ma con poche regole in grado di evitarne le distorsioni e le derive. Un mondo che genera sempre più precariato e sempre più persone che si ritrovano in situazioni di incertezza e insicurezza economica e lavorativa. IL FORCONE A TRE DENTI DEL PS LUGANO di Raoul Ghisletta, candidato del PS al Consiglio nazionale CANDIDATI 52 Il dio Nettuno brandisce il tridente, arma per creare onde e maremoti. La Sezione PS della Città sul Ceresio, più modestamente, usa il forcone, che è lo stesso oggetto a tre denti, ma di uso agricolo. L’attrezzo dovrebbe mettere fieno in cascina, in ottica progressista, su tre temi centrali per la popolazione: traffico (con il dente del referendum), rifiuti (con il dente del ricorso) e alloggio (con il dente dell’iniziativa popolare). Sui primi due temi si è formata un’alleanza rosso-verde, per buona pace degli ideologi doc; sul terzo, quello dell’alloggio, il PS consegue un importante successo grazie ad una convergenza sostanziale sulla sua iniziativa. Referendum contro spese enormi ed inefficaci Nel Rapporto d’esame della Confederazione sul Programma d’agglomerato del Luganese 2 (PAL 2) le critiche sono severe. Infatti il PAL 2 non cambia il fatto che solamente 1 tragitto su 10 sarà effettuato con i mezzi pubblici e non impedisce un aumento delle auto su molte strade. La Confederazione non sussidia la circonvallazione di Agno e sussidia il tram luganese solo nel tratto Bioggio-Manno (1,9 km). La galleria del tram da Bioggio a Lugano è rimandata a dopo il 2019 (PAL 3). Il rapporto di minoranza, allestito dai consiglieri comunali Marco Jermini, Martino Rossi e Fausto Beretta-Piccoli, propone di conseguenza di suddividere il PAL 2 in misure prioritarie da fare (310 milioni fr) e in misure da riconsiderare (376 mi- lioni fr). Ma la maggioranza del Consiglio comunale di Lugano ha detto no. Inevitabile il lancio del referendum da parte di PS, Verdi, PC, POP e Cittadini del territorio, per bloccare un progetto tanto costoso quanto inefficace e per promuovere in alternativa uno sviluppo regionale sostenibile in termini finanziari ed ambientali. Le firme necessarie sono 3’000 entro il 17 agosto. Ricorso contro il regolamento rifiuti Da anni il PS Lugano chiede una tassa educativa per i rifiuti (come prevede la legge), che tuttavia tenga conto degli aspetti sociali, ad es. sgravando le famiglie numerose. Cosa fatta finalmente dal Municipio di Lugano il 7 luglio 2014 con il messaggio 8978. Ma nel giugno 2015 PLR, PPD e Lega stravolgono il regolamento sulla raccolta dei rifiuti, proposto dall’esecutivo, prevedendo una tassa fino a 120 fr per appartamenti fino a 3,5 locali e fino a 180 fr per appartamenti da 4 locali. Gli esercizi pubblici pagherebbero da 10 fr a 30 fr per posto a sedere, gli artigiani da 240 fr a 480 fr, i commerci da 150 fr a 250 fr. Gli alberghi, le case anziani e gli ospedali pagherebbero da 50 a 150 fr per posto letto annuo e i grandi magazzini da 3’000 a 6’000 fr. Che un abitante o un’azienda di Lugano producano tanti o pochi rifiuti, la tassa non cambia e quindi non ha alcun effetto educativo. Che un abitante o un’azienda siano ricchi o poveri, la tassa non cambia: e quindi è pure antisociale. Per confondere le acque, PLR, PPD e Lega decidono di fare pagare al cittadino anche un «sacco bello», che ha il medesimo costo del sacco dei rifiuti acquistato al negozio, ma che è dotato dello stemma cittadino. PS e Verdi di Lugano hanno risposto con un ricorso per rimettere la chiesa nel villaggio. Luce verde all’alloggio a prezzi accessibili a Lugano Una bella notizia infine! La commissione speciale del Consiglio comunale ha accolto all’unanimità il controprogetto sull’iniziativa popolare del 2012 di PS LuganoAssociazione inquilini-VPOD, sottoscritta da 3’300 cittadini luganesi. Si tratta di un buon compromesso. Viene proposta una modifica del Regolamento comunale, che incarica il Comune di promuovere il mantenimento e lo sviluppo di pigioni accessibili alla maggioranza della popolazione (redditi medi e bassi), con particolare attenzione a famiglie ed anziani. Il Comune deve promuovere pure la disponibilità di locali a pigioni contenute per attività compatibili con il contesto residenziale. Gli strumenti da adottare saranno principalmente le misure pianificatorie (che favoriscano le abitazioni a prezzi accessibili), la partecipazione comunale ad enti no profit per l’alloggio a prezzi moderati, come pure l’acquisto e la messa a disposizione di terreni per questi enti. Il credito che la commissione speciale propone sarà di 10 mio. di fr: con il complemento cantonale esso dovrebbe arrivare a 20 milioni, come proponeva la nostra iniziativa, e generare investimenti dieci volte superiori grazie ai prestiti federali e bancari. MA QUANTI NE - «Ma quanti ne vuole? Chiede indispettito un funzionario europeo della migrazione internazionale». - «Me ne dia un po’ ma non troppi. Siamo solo otto milioni e settecentomila. Non possiamo esagerare!» Risponde un funzionario svizzero al controllo dei flussi d’asilo. - «Quanti ne lascio? Dica?» - «Ne lasci diciamo cinquecento poi basta». - «E cosa ne faccio degli altri?» - «Ne faccia ciò che meglio le pare. Noi arriviamo a questo, non uno di più! Non possiamo salvare tutto il mondo, siamo una Nazione piccola con degli equilibri fragili. Guai a toccare il nostro equilibrio. Sarebbe grave e imperdonabile: Ne va della sicurezza nazionale». - «Passerò la comunicazione ai miei superiori». - «Bene, lo faccia e con una certa urgenza. Troppa gente preme al confine. Quella gente deve finalmente capire che da noi non c è posto per tutti. Che vadano a cercare aiuto altrove!». Il tragitto è stato duro per Abdul. Ha lasciato il suo paese quattro mesi fa. Ha camminato per il deserto. Ha passato posti di blocco guardati da militari corrotti e impazziti. Sono stati trattati come bestie. Dietro la guerra che avanzava velocemente e polverizzava tutto quello che trovava. Lui a scappare. O paghi o te ne torni indietro. E giù legnate. Si pagava o si andava indietro a farsi uccidere dai militari. Meglio le legnate che la morte. Se non pagavi forzavi il blocco. Lo raggiravi di notte. Se ti prendevano ti trucidavano di botte perché servissi d’esempio. Abdul è arrivato al mare. Ha trovato ad aspettarlo cosche mafiose che gli hanno chiesto quello che gli restava e rifilato le ultime legnate propiziatorie. Poi, fatto il numero, lo hanno caricato su un vecchio barcone da pesca. Il mare era calmo ma poi è arrivata una tempesta. Dove sei Dio? Le onde hanno sbattuto il barcone come un panno e rovesciato fuori tutto quello che se ne usciva. Il giorno dopo è tornata la calma e il bel tempo. L’odore fetido della morte. Di sangue che sotto al sole cocente imputridiva. I cadaveri stipati di fianco ai vivi. I vivi a fingere che quei corpi inermi stavano dormendo. Per non impazzire. Dai che ce la fai, Abdul. Lo hanno scaricato ad un porto italiano. Voci raccontavano che a Chiasso in Svizzera si poteva passare. Così è scappato dal centro di accoglienza. È salito su un treno. Adesso sul nostro confine due uniformi blu e nere con dei guanti bianchi lo accompagnano in una stanza fresca. Abdul, forza che ce la fai. Ma non lo registrano. Non ne ha diritto. È arrivato da noi ma non si è registrato in Italia. Gli italiani avrebbero dovuto registrarlo ma non l’hanno fatto. Presi dai loro problemi di politica interna, non li vogliono. Chiedono aiuti all’Unione europea. Pretendono di ripartire equamente quella gente fra gli Stati membri. Schengen e Dublino per Abdul sono parole vuote. Senza speranza. Abdul è un numero in più. Non può passare. Noi lo rimandiamo indietro. Respinto. Che ci pensino gli italiani, come è giusto che sia. Abdul pensa a sua moglie e sua figlia restati a casa e si fa coraggio. Deve trovare un posto, deve resistere e far venire la sua famiglia. Intanto che Abdul scompare nel nulla, altri arrivano e poi come lui se ne vanno. Qualcuno un giorno ci giudicherà per non aver fatto abbastanza. Speriamo che la Corte europea dei di- ritti dell’uomo trovi modo di pensarci prima. «La questione della migrazione è al primo posto tra le preoccupazioni dei cittadini svizzeri che andranno a votare. Lo rileva il secondo barometro elettorale per conto della SSR SRG in vista delle federali del 18 ottobre. Seguono i rapporti con l’Europa, bilaterali compresi, e l’euro. Anche la disoccupazione viene segnalata tra le maggiori preoccupazioni. Nella Svizzera italiana essa figura al primo posto, seguita da migrazione e questione salariale legata alla concorrenza dei frontalieri. Ai cittadini che hanno preso parte al sondaggio è stata posta anche la domanda sui richiedenti l’asilo. Il 44% si è detto d’accordo con il comportamento della Confederazione, il 30% ritiene che la Svizzera offra troppa accoglienza e il 21% troppo poca. Il partito ritenuto più idoneo a dare risposte alle cinque maggiori preoccupazioni è il PS, seguito a ruota dall’UDC. Il PS è considerato competente soprattutto nel campo della sicurezza sociale. L’UDC in quello della migrazione (fonte swissinfo)». Vista la fiducia che il popolo ripone nelle capacità dell’UDC di affrontare il problema migratorio, diciamo addio alla nostra politica di accoglienza. Poveri tutti gli Abdul del mondo. 53 CANDIDATI di Igor Righini, candidato del PS al Consiglio nazionale VUOLE? RIFLETTENDO SULLA PIATTAFORMA ELETTORALE di Lara Robbiani Tognina, candidata del PS al Consiglio nazionale CANDIDATI 54 Ho in mano il volantino pieghevole, grande come una carta di credito, in cui sono illustrati dieci progetti del Partito Socialista. All’interno trovo le indicazioni relative alla pagina Twitter e Facebook dei Socialisti. La grafica è invitante, i dieci progetti sono chiaramente evidenziati. Li leggo e inizio a riflettere. Salari AVS «Contratti collettivi di lavoro con minimo salariale dignitosi per tutti i settori». Parità salariale. Penso alla discussione fatta con mia figlia. «Perché dobbiamo alzare continuamente gli stipendi per fare fronte a tutti gli aumenti di spesa (cassa malati, affitti, spesa…)?» mi dice. «Non sarebbe più semplice abbassare tutte le altre voci in bilancio?». Già, non fa una piega! Ma i medici vogliono guadagnare di più, le casse malati vogliono guadagnare di più, le assicurazioni, i proprietari, i grandi magazzini... tutti vogliono aumentare i profitti. Solo i lavoratori rimangono sempre con le stesse paghe. «E chi paga le differenze?» Lo Stato, con i sussidi per la cassa malati e gli appartamenti a pigioni moderate. «Ma non è giusto!» Certo che no, non è giusto che chi lavora non guadagni abbastanza per coprire le spese. C’è qualcosa che non funziona. «Aumento delle rendite per una terza età dignitosa». Conosco delle persone che si sono trasferite all’estero perché non sono in grado, con la sola pensione, di pagare la cassa malati, l’affitto e i premi assicurativi. Ma davvero la rendita è troppo bassa? O non sono piuttosto le nostre spese ad essere troppo alte? Alloggio «Alloggi accessibili». Sfogliando i giornali e leggendo gli annunci immobiliari, mi ritrovo spesso a chiedermi: «Ma come fanno tante famiglie a pagare certi affitti?». Per finire, conviene comperarla, una casa... anche se non sarà mai tua, ma della banca. Gli interessi da pagare sull’ipoteca sono, per il momento, più bassi di un affitto. Ma un tetto sopra la testa non dovrebbe essere un diritto? Inoltre, vengono costruite sempre nuove case, occupando nuovi spazi... e intanto i nuclei dei paesi sono vuoti, le case disabitate. Perché non trasformare quelle case in abitazioni a pigione moderata? Tasse sulla speculazione Un conoscente, ogni mattina, prima di iniziare il lavoro, consultava il giornale e poi chiamava la sua banca dando indicazioni circa le azioni da comperare e vendere. Oggi fa lo stesso usando internet. Negli anni ha guadagnato parecchio. Perché la commessa che lavora otto ore e ha uno stipendio basso deve pagare le tasse sul suo piccolo conto di risparmio, mentre le transazioni di chi in pochi minuti guadagna molto non vengono tassate? Soldi facili, senza fatica, e benefici non condivisi. Cure dei bambini Sono mamma di tre figli, zia di tre nipotini, docente sempre circondata da bambini. Anni fa, a Muralto, ho aperto un preasilo per rispondere ai concreti bisogni delle famiglie. Genitori che devono andare entrambi a lavorare e famiglie monoparentali che spesso non hanno il supporto di nonni e zii devono essere aiutati. Sanità Ogni anno la medesima storia: alzi la franchigia e speri che nessuno della famiglia si ammali. Puntualmente, chi ha messo la franchigia a 2’500 franchi sperando di non ammalarsi si trova a dover fare dei controlli... e a pentirsi di non avere mantenuto una franchigia bassa. Le pecche di un sistema che pone gli assicurati di fronte alla domanda se andare o meno dal medico o spinge a ricorrere al medico pur di recuperare la spesa causata dall’apertura della franchigia sono evidenti. Molti problemi sarebbero risolti con una cassa che offra prestazioni di base uguali per tutti. Per chi vuole di più, stanza privata, cure balneari... c’è sempre l’opzione di una polizza aggiuntiva. Traffico «Creare nei Comuni delle aree d’incontro a traffico ridotto per migliorare la vita di tutti». Ci sono parecchi Comuni in cui è stato introdotto il cosiddetto «pedibus»: i bambini passano a prendere i compagni e vanno insieme a scuola invece di esser singolarmente portati a scuola in auto. Un esempio concreto tra i tanti possibili di intervento a salvaguardia della sicurezza e della salute, e di riduzione del traffico privato non necessario. Svolta energetica Occorre chiudere le nostre centrali nucleari, alcune delle quali vecchie e pericolose lasciandoci alle spalle un sistema di produzione di energia che genera quantità di rifiuti altamente tossici che non sappiamo dove mettere. Nel contempo dobbiamo promuovere le energie rinnovabili: sole, acqua e vento, risorse di cui il Ticino è ricco. Per un futuro energetico sicuro, per noi, i nostri figli e figlie. PS INTERNAZIONALE: UNA PRIMA IN TICINO Mielikki Albeverio è nata a Lugano nel 1973 da genitori ticinesi. È cresciuta in tre Paesi (Norvegia, Francia e Germania) con l’Italiano come lingua materna e soggiorni frequenti in Ticino. È laureata in scienze sociali a Bochum e ha lavorato per dieci anni alla sezione tedesca di Amnesty International a Bonn. Ora è a Monaco di Baviera, dove si è trasferita nel 2011 per aprire un nuovo ufficio regionale di Amnesty nel Sud della Germania. Ha seguito una formazione di mediatrice secondo la Comunicazione Nonviolenta di Marshall Rosenberg e corsi al Centro Psicopedagogico per la Pace e la gestione dei conflitti (Piacenza) e all’Accademia di Eufonia (Lugano). Il suo slogan: «Per un mondo nel quale pace, solidarietà, rispetto per le persone e per l’ambiente siano i veri motori della società!». David Monico è nato a Ginevra nel 1987 da padre bleniese. Si trasferisce a Bruxelles tre anni fa per studiare e vi resta per motivi professionali e familiari. Mantiene comunque una relazione stretta e sentimentale con la Svizzera e in modo particolare con il Ticino, dove ha famiglia e amici. Laureato in Studi europei all’Istituto europeo di Ginevra, lavora da due anni nell’ambito degli affari europei. Ha potuto constatare quotidianamente l’impatto che le politiche dell’Unione europea hanno sulla Svizzera. Ha fatto parte di varie associazioni di studenti, è volontario in associazioni LGBT e nel centro di accoglienza di migranti della croce rossa a Bruxelles. Il suo slogan: «Vivendo all’estero come all’interno, la Svizzera la desideriamo aperta sul mondo e per tutti/e». Nicolette Gianella è nata in Ticino nel 1954 da padre bleniese discendente da una famiglia contadina ed emigrante, e madre di famiglia operaia dell’Oberland bernese. Dopo la Magistrale in Ticino, lascia tutto per Ginevra, poi va in Francia e ottiene un master in scienze del linguaggio. Torna in Ticino e diventa docente di francese e italiano, ma nel 1986 conosce il Nicaragua e vi si trasferisce nel 1987 come docente di linguistica alla Universidad Nacional (UNAN) a Managua. Dal 1988 lavora per i comitati di solidarietà e per AMCA. Ha sempre detto che cerca «un mondo migliore!». Ma non è sufficiente dirlo così. Parafrasando una canzone rivoluzionaria nica: «O ci sarà un mondo migliore per tutti o non ci sarà per nessuno». 55 CANDIDATI È la prima volta che proponiamo una lista della Sezione internazionale anche in Ticino, ma da ben 12 anni siamo presenti in altri Cantoni svizzeri. Altro non potrebbe essere: il PS è un partito internazionalista. Tiene contatti con i Socialisti di tutto il mondo e sa che i compatrioti si impegneranno per gli ideali progressisti anche all’estero. L’obiettivo della nostra azione politica è chiaro: far sapere agli elettori svizzeri all’estero che il PS è la forza politica che meglio tutela gli interessi dei nostri concittadini e non quelli dei grandi capitali. Sono in gioco i nostri valori progressisti: la solidarietà, la cooperazione, l’aiuto umanitario, i diritti dell’uomo, la tutela della democrazia, le conquiste sociali e il promovimento dello Stato di diritto, in un’ottica umanistica e universale. Le nostre candidate e il nostro candidato si batteranno per i nostri ideali! Elena Riva è nata in Ticino nel 1984 e cresciuta a Savosa, studiando a Ginevra e a Parigi lingua e cultura cinese. Si è quindi stabilita nella capitale francese, dove ha lavorato come assistente alla cessione dei diritti in una casa editrice francese e ultimamente come traduttrice indipendente. È volontaria per diverse associazioni che agiscono a livello sociale nel quartiere in cui vive, perché è importante non perdere di vista il contesto locale, in cui al giorno d’oggi si è spesso confrontati alla precarietà finanziaria e sociale. Vuole dedicarsi a ottenere una maggior considerazione politica per gli Svizzeri domiciliati all’estero, contribuire a migliorare le relazioni con l’Europa e rendere la società più integrata ed equa (fiscalità, educazione, sanità). Questo per una vita migliore per tutti, senza privilegi! Con le liste internazionali vogliamo far capire che oggi è sempre più importante superare le difficoltà causate dall’economia neoliberista e dai rimedi adottati dai partiti borghesi. Ricordiamoci, ad esempio, che il PPD è affiliato all’Internazionale Democratica Centrista, quell’associazione che ha come esponenti di spicco Angela Merkel e Wolfgang Schäuble. Il Partito Socialista invece è nell’Alleanza Progressista, l’unica forza internazionale che ha ascoltato con vigore il grido di aiuto greco e proposto soluzioni economiche pragmatiche ed equilibrate, che stanno permettendo di trovare una via d’uscita alla crisi innescata dalle banche nel 2008, cercando di stabilizzare la Grecia e l’Euro. H C . I L I B I S U S S E C O T C I A IUB G S G A O L M AL FIR