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L`immigrazione è una sfida anche per gli oncologi

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L`immigrazione è una sfida anche per gli oncologi
PREVENZIONE
Stranieri
In questo articolo:
immigrazione
fattori di rischio
screening
L’immigrazione è una sfida
anche per gli oncologi
L’arrivo di migranti provenienti da Paesi a basso
indice di sviluppo o in guerra costituisce una sfida
per il sistema sanitario italiano.
Bisogna infatti coinvolgere i nuovi arrivati
nelle misure di prevenzione
“L’
a cura di CARLOTTA JARACH
arrivo di persone da Paesi dove il cancro si presenta con incidenze diverse da
quelle a cui siamo abituati
in Europa richiede una maggiore attenzione da parte dei medici,
che non devono trascurare alcuni sintomi tipici di neoplasie da noi più rare”
dice Silvia Franceschi, epidemiologa,
responsabile del Dipartimento infezioni e tumori dello IARC, Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro che
ha sede a Lione e fa capo all’Organizzazione mondiale della sanità (OMS).
L’OMS è infatti preoccupata per il destino di coloro che, spinti da guerre e
povertà, si incamminano con la famiglia per raggiungere l’Europa o gli Stati
Uniti. “Sappiamo, da ricerche svolte soprattutto negli USA, che gli immigrati di prima generazione sviluppano tumori simili a
02
|
quelli che svilupperebbero nel loro Paese d’origine piuttosto che quelli tipici
del Paese dove sono andati ad abitare:
ciò significa che i sistemi di screening,
le raccomandazioni e i protocolli di cura sono spesso disegnati per una popolazione dalle caratteristiche molto differenti dalle loro”.
Il ruolo delle infezioni
Benché il cancro sia una malattia
dovuta a mutazioni del DNA, alcune
delle quali legate a familiarità, l’ambiente in cui si vive e gli stili di vita incidono in modo sostanziale sul rischio.
“Il primo fattore di rischio per molti
tumori a larga diffusione sono le infezioni, anche se spesso non ce ne rendiamo conto. E se guardiamo alle percentuali di persone contagiate dal virus
del Papilloma umano (HPV) e dai virus
dell’epatite B e C (virus legati il primo
al carcinoma della cervice gli altri due
al cancro del fegato) nei Paesi a basso
indice di sviluppo, ci rendiamo subito
conto del rischio che corrono in mancanza di controlli e screening”.
È bene chiarire subito che si tratta
di infezioni che difficilmente vengono trasmesse alla popolazione locale,
che comunque è già a contatto con gli
stessi virus. La presenza degli immigrati, quindi, non aumenta il rischio che le
popolazioni locali vengano contagiate
in misura diversa da quanto accade già.
“La differenza sta tutta nell’accesso alle informazioni” spiega Franceschi. “Le
donne africane, per esempio, vengono
contagiate dall’HPV in misura solo di
poco superiore a quella di altri Paesi ad
alto indice di sviluppo ma non hanno
accesso al Pap-test. Situazioni ancora
più gravi si osservano nelle donne che
vengono da territori in guerra, quindi
sono in precarie condizioni di salute
generale e magari non si sono accorte
di aver sviluppato una lesione precancerosa, facilmente curabile, e arrivano
all’attenzione del medico solo quando
la malattia è molto avanzata”.
Lo stesso problema si pone per il
cancro dello stomaco, favorito dalle infezioni da Helicobacter pylori, un batterio eliminabile con una cura antibiotica alla quale molti migranti non riescono ad avere accesso.
Un problema
femminile
Che la situazione sia critica è confermato anche dai dati diffusi nel contesto dell’iniziativa La lotta al cancro non ha colore, promossa dall’AIOM
(Associazione italiana
di oncologia medica) e
giunta ormai al suo terzo anno di attività.
Le statistiche indicano infatti che gli immigrati muoiono di tumore più degli italiani. “È così, soprattutto perché non hanno accesso al Servizio sanitario e, anche quando possono
avvalersi di cure gratuite come tutti i
cittadini, non conoscono l’utilità della prevenzione. Secondo i nostri dati, gli immigrati accedono agli screening in misura ridotta del 50 per cento rispetto agli italiani”
spiega Francesco
Cognetti, direttore del
Dipartimen-
to di oncologia medica dell’Istituto
nazionale tumori Regina Elena di Roma, uno dei promotori dell’iniziativa.
Particolarmente a rischio sono le donne, talvolta frenate anche da pregiudizi culturali che le rendono restie a rivolgersi a un ginecologo o un senologo in assenza di gravidanze o sintomi
preoccupanti. E infatti solo il 50 per
cento delle donne straniere accede alla mammografia e al Pap-test, contro il
70 per cento delle italiane, mentre solo
il 20 per cento fa la ricerca del sangue
occulto nelle feci contro il 47 per cento
della popolazione locale. Nel 50 per cento che
si sottopone agli esami
vi sono le donne che risiedono in Italia da più
tempo e che conoscono
la lingua italiana a sufficienza per accedere alle conoscenze di
base in materia di salute.
La soluzione al problema non è
semplice, tanto che gli esperti hanno
individuato tre ampie aree di intervento possibili: la formazione del personale medico sui tumori più frequenti nella popolazione immigrata e sul trattamento delle forme avanzate che difficilmente hanno avuto modo di
incontrare finora; un più
facile accesso al servizio sanitario per
l’esecuzione degli screening e,
infine, un potenziamento
dell’attività di
prevenzione
per tutti, popolazioni locali e
nuovi cittadini.
Informare
chi arriva
significa
salvarlo
“
PROBLEMI
DI COMUNICAZIONE
I
”
l 13,8 per cento degli immigrati
sopra i 14 anni fa fatica a spiegare in
italiano i sintomi di cui soffre e il 15
per cento non riesce a capire ciò che il
medico dice, col rischio di arrivare alla
diagnosi di cancro con estremo ritardo
e, a volte, persino troppo tardi per
le cure efficaci. Inoltre la metà degli
stranieri ha stili di vita sbagliati, a volte
legati alla precarietà economica e
sociale. Per questo l’AIOM ha prodotto
materiale informativo su fumo, alcol,
alimentazione e screening, disponibile
in sette lingue, quelle parlate dai gruppi etnici principalmente rappresentati
nel nostro Paese.
GENNAIO 2016 | FONDAMENTALE | 21
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