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Untitled - Altervista

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Untitled - Altervista
Lisa Jane Smith
I diari delle streghe
La fuga
Newton Compton Editori
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CAPITOLO 1
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Le voci provenienti dall’alto si stavano avvicinando.
Cassie non riusciva a muoversi; sembrava che una coltre
grigia fosse scesa sui suoi sensi. Chris la stava strattonando per un braccio.
«Andiamo, Cassie! Stanno arrivando!».
Ma Cassie stava ascoltando ancora la guida turistica:
«Adesso sistematevi sua una fila unica, dobbiamo scendere lungo una stretta scalinata…».
Chris stava cercando di trascinare Cassie lontano dalla
rampa di scale. «Doug, dammi una mano!»
Cassie fece uno sforzo supremo. «Dobbiamo andarcene», disse a Chris. Si tirò su e cercò di parlare con voce
autorevole. «Devo vedere Diana… subito».
I fratelli si scambiarono un’occhiata, perplessi ma non
troppo impressionati.
«Ok», disse Chris. Cassie si lasciò cadere, di nuovo sopraffatta dalla coltre grigia. Doug la trascinava e Chris la
reggeva per le spalle, e in questo modo percorsero velocemente i tetri e tortuosi corridoi delle segrete. Nonostante
il buio, i due fratelli si muovevano come topi, spostandosi
sicuri tra i passaggi fino a un’insegna al neon che annunciava: USCITA.
Mentre sfrecciavano verso nord, le zucche rotolavano e
sobbalzavano sul retro della jeep come teste decapitate.
Cassie aveva gli occhi chiusi e cercava di mantenere un
respiro regolare. L’unica cosa che sapeva era che non poteva dire ai fratelli Henderson cosa stava pensando. Se avesse rivelato i suoi sospetti sulla morte di Kori, sarebbe
potuta accadere qualsiasi cosa.
«Lasciatemi a casa di Diana», disse quando arrivarono
a Crowhaven Road. «No… non c’è bisogno che veniate
con me. Grazie».
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«Ok», disse Chris, salutandola. Poi sporse la testa fuori
dal finestrino. «Uh, ehi… grazie per avermi aiutato con
quel bastardo», disse.
«Figurati», rispose Cassie, confusa. Mentre si allontanavano, si rese conto che i due non le avevano chiesto per
quale motivo voleva parlare con Diana. Forse erano talmente abituati a fare cose inspiegabili da non meravigliarsi
quando qualcuno si comportava in modo strano.
Il signor Meade le aprì la porta. Cassie capì che doveva
essere tardi se il padre di Diana era già rincasato
dall’ufficio. Mentre Cassie saliva le scale, il signor Meade
chiamò sua figlia.
«Cassie!». Diana sobbalzò quando vide il volto
dell’amica. «Che succede?».
Anche Adam, seduto sul letto, si alzò allarmato.
«So che è tardi – scusatemi – ma dobbiamo parlare.
Sono stata al Sotterraneo delle Streghe...».
«Sei stata dove? Prendi, hai le mani gelate. Raccontaci
tutto dall’inizio», disse Diana, mettendole un maglione
sulle spalle.
Lentamente, incespicando a volte sulle parole, Cassie
raccontò di essere stata a Salem con Chris e Doug. Saltò la
parte riguardante il campo di zucche, e andò direttamente
al Sotterraneo delle Streghe dove, sentendo la voce della
guida turistica, si era accorta del collegamento. Rocce…
una frana, un’impiccagione… un collo spezzato.
«Ma che significa?», disse Diana, dopo che Cassie ebbe
finito il racconto.
«Non saprei dirlo con esattezza», ammise Cassie. «Ma
sembra che ci sia un collegamento tra le tre morti e il modo in cui i puritani punivano le streghe».
«Il collegamento è l’energia oscura», disse Adam con
calma. «Il teschio veniva usato dalla congrega originale,
che viveva ai tempi dei processi alle streghe».
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«Ma non varrebbe per Kori», protestò Diana. «Abbiamo attivato il teschio solo dopo la sua morte».
Adam sbiancò. «È vero, ma io ho trovato il teschio il
giorno prima che fosse uccisa. Era sotto la sabbia…». I
suoi occhi incontrarono quelli di Cassie, che ebbe un improvviso sussulto.
«Sabbia. Per rendere inoffensivo il male», sussurrò, poi
guardò Diana. «È scritto nel tuo Libro delle ombre. Bisogna seppellire un oggetto malvagio nella sabbia o nella
terra umida per renderlo inoffensivo. Come hai…». Si
morse la lingua. Dio, stava per dire “come hai fatto tu,
seppellendo il teschio in spiaggia”.
«Come l’ho trovato io», finì la frase Adam. «Sì. E credo di averlo attivato nel momento stesso in cui l’ho disseppellito. Ma questo vorrebbe dire che il teschio ha un
potere incredibile…». La voce gli morì in gola. Cassie si
accorse che stava cercando di ribellarsi all’idea, che non
voleva crederci. «Ho sentito qualcosa quando l’ho tirato
fuori», aggiunse con calma. «Mi sentivo strano, ero stordito. Forse era dovuto all’energia oscura che si stava liberando». Guardò Cassie. «L’energia è arrivata a New Salem
e ha ucciso Kori».
«Io… non so cosa pensare», disse Cassie miseramente.
«Per quale motivo l’avrebbe fatto? Ma ogni volta che abbiamo interagito con il teschio, qualcuno è morto, e in
modi che ricalcano quelli con cui i puritani uccidevano le
streghe. Non può trattarsi di una coincidenza».
«Non è così», disse Diana eccitata, «nessuno ha utilizzato il teschio prima della morte di Jeffrey. Era al sicuro…». Fece una pausa e poi proseguì rapidamente. «Be’, a
voi due posso dirlo… era al sicuro in spiaggia, dove è ancora sepolto. Ogni tanto vado a controllare che sia sempre
al suo posto. Non c’è nessun collegamento».
Cassie ammutolì. Il primo impulso fu di urlare: “Qualcuno l’ha usato, il teschio”, ma sarebbe stata una follia.
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Non avrebbe mai potuto dirlo a Diana… e ora non sapeva
che fare. Cominciò ad avvertire un tremore dentro di sé.
Oh, Dio, certo che c’era il collegamento.
Era come quello slogan: “Usa la pistola, vai in galera”.
Usa il teschio, ammazza qualcuno. E lei, Cassie, era responsabile dell’ultima volta che il teschio era stato usato.
Era responsabile della morte di Jeffrey.
Poi ebbe un altro terribile presentimento. Si accorse che
gli occhi grigio blu di Adam erano fissi su di lei. «Lo so
cosa state pensando», disse lui.
Cassie deglutì, immobile.
«State cercando un modo per discolparmi», disse. «Non
vi va giù l’idea che io possa aver causato la morte di Kori.
Quindi state cercando di screditare questa teoria. Ma non
ci riuscirete. C’è chiaramente un collegamento tra il teschio e le tre morti… compresa quella di Kori».
Cassie non riusciva ancora a muoversi. Diana gli sfiorò
una mano.
«Se fosse vero», disse, guardandolo con i suoi intensi
occhi verdi, «tu non hai nessuna colpa. Come potevi sapere che la tua scoperta avrebbe fatto del male a qualcuno?
Non c’era modo».
“Ma io lo sapevo”, pensò Cassie. “O meglio, avrei dovuto saperlo. Sapevo che il teschio era malvagio, sapevo
che era capace di uccidere. Eppure l’ho consegnato a Faye. Avrei dovuto oppormi con più decisione, avrei dovuto
fare di tutto per fermarla”.
«Se c’è qualcuno da incolpare», proseguì Diana, «quella sono io. Sono il leader della congrega, è stata mia la decisione di utilizzare il teschio durante la cerimonia. Se
l’energia oscura che ha scaraventato a terra Faye in seguito ha ucciso il signor Fogle e Jeffrey, la colpa è mia».
«Non è vero», disse Cassie. Non ne poteva più. «È colpa mia… o meglio… è colpa di tutti…».
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Lo sguardo di Adam si spostava dall’una all’altra. Poi
scoppiò in una risata forzata e si prese la testa tra le mani.
«Vogliamo tutti addossarci la colpa. Che assurdità».
«Molto patetico», convenne Diana, cercando di sorridere.
Cassie si stava sforzando di non piangere.
«Credo sia meglio smettere di incolparci, e cominciare
a pensare a qualcosa», proseguì Adam. «Se l’energia oscura ha ucciso il signor Fogle e Jeffrey, potrebbe essere ancora là fuori, e potrebbe uccidere ancora. Dobbiamo trovare un modo per fermarla».
Continuarono a discuterne per ore. Adam propose di fare altre ricerche al cimitero. Diana pensava che forse sarebbe stato meglio continuare a studiare tutti i Libri della
magia, persino quelli più indecifrabili, per cercare altre
notizie sul teschio e suggerimenti per contrastarlo.
«E informazioni su Black John», suggerì Cassie meccanicamente. Diana e Adam convennero. Black John era
stato il primo a servirsi del teschio, lo aveva programmato.
Forse era ancora influenzato dalle sue intenzioni.
Mentre parlavano, Cassie si sentiva… estranea. Alienata. Adam e Diana erano buoni, pensava mentre loro discutevano concitatamente, infervorati dalla discussione. Entrambi avevano agito con le migliori intenzioni. Cassie,
invece, era diversa. Lei era… malvagia.
Cassie sapeva cose che loro due ignoravano. Cose che
non avrebbe mai potuto confessare.
Diana fu molto carina quando arrivò l’ora di andarsene.
«È meglio se Adam ti riaccompagna a casa», disse.
Adam e Cassie non aprirono bocca per tutto il tragitto.
Arrivati al civico dodici, Adam disse con calma: «Come stai?».
Cassie non riusciva a guardarlo. Non aveva mai avuto
così tanta voglia di farsi consolare, di gettarsi tra le sue
braccia. Voleva raccontargli ogni cosa su Faye e sul te-
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schio, sentirgli dire che tutto andava bene, che non era sola. Voleva che Adam l’abbracciasse. E anche lui lo desiderava, Cassie riusciva a sentirlo.
«È meglio se vado», disse Cassie con voce tremante.
Adam stava stringendo il volante con così tanta forza che
sembrava potesse romperlo da un momento all’altro.
«Buonanotte», disse Cassie delicatamente, sempre senza guardarlo.
Ci fu una lunghissima pausa mentre sentiva che Adam
lottava con se stesso. Poi rispose: «Buonanotte, Cassie»,
con una voce svuotata di ogni energia.
Cassie entrò in casa. Ovviamente non poteva parlare
neanche con la mamma o la nonna. Immaginava la scena:
“Ciao, mamma, ricordi Jeffrey Lovejoy? Be’, è stato ucciso per colpa mia”. No, grazie.
Sapere di essere malvagia la faceva sentire strana. Quel
pensiero le restò in testa mentre si coricava, e poco prima
che si addormentasse, si mischiò a immagini degli occhi
color miele di Faye.
Perfida, riusciva quasi a sentire la sua risata roca. Tu
non sei cattiva, sei solo perfida… come me.
All’inizio il sogno era bellissimo. Cassie si trovava nel
giardino della nonna. Era estate e tutti i fiori erano sbocciati. Sotto la pianta di melissa si era formata una pozza di
rugiada. Cassie era stordita dal profumo intenso che la lavanda, il mughetto e il gelsomino emanavano.
Si chinò per raccogliere un caprifoglio con fiori minuscoli e morbidi. Il sole le riscaldava le spalle. Il cielo era
terso e immenso. Benché fosse nel giardino della nonna,
stranamente non c’erano case nelle vicinanze. Cassie era
tutta sola, sotto quel sole radioso.
Fu allora che vide le rose.
Erano enormi, vellutate e rosse come rubini. Rose del
genere non potevano essere selvatiche. Cassie fece un pas-
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so, poi un altro. All’interno di un petalo ricurvo e tremolante c’era della rugiada. Cassie aveva voglia di coglierne
una per sentirne l’odore, ma aveva paura.
Sentì una risata roca alle sue spalle.
«Faye!».
Faye sorrise con indolenza. «Avanti, prendila», disse.
«Non mordono mica». Cassie scosse la testa. Il cuore le
batteva a mille.
«Oh, andiamo, Cassie». La sua voce adesso era tentatrice. «Guarda. Non ti sembra interessante?».
Cassie guardò. Dietro le rose stava succedendo qualcosa di incredibile. Era scesa la notte – una notte livida senza
luna e con poche stelle – ma nel punto in cui si trovava lei
era ancora giorno.
«Seguimi, Cassie», la tentò Faye. «Solo un paio di passi. Ti mostro quant’è facile». La vide andare dietro il cespuglio di rose. Adesso Faye era al buio, il volto nascosto,
gli splendidi capelli tutt’uno con le tenebre.
«Avanti», le disse Faye delicatamente, inesorabilmente.
«Dopotutto, sei già come me – o lo hai dimenticato? Hai
già fatto la tua scelta».
La mano di Cassie lasciò andare il caprifoglio. Lentamente, molto lentamente, raccolse una rosa. Era di un rosso molto intenso, e così soffice. Cassie la fissò.
«Meravigliosa, vero?», mormorò Faye. «Adesso portala
qui».
Ipnotizzata, Cassie fece un passo. A terra, tra le tenebre
e la luce, c’era una linea tremolante d’ombra. Cassie fece
un altro passo e un improvviso e lancinante dolore alle dita
la fece sobbalzare.
La rosa l’aveva punta. Il sangue cominciò a scorrere
lungo il polso. Le spine erano cremisi, come se fossero
state intinte nel sangue.
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Atterrita, Cassie guardò Faye, ma davanti a lei c’erano
solo tenebre. Sentiva unicamente una risatina beffarda.
«Forse la prossima volta», disse Faye dall’oscurità.
Cassie si svegliò con il cuore che le martellava nel petto, gli occhi fissi nella stanza buia. Quando accese la luce,
si aspettava di trovare del sangue sul braccio. Ma non
c’era sangue, e nessuna traccia di punture sulle dita.
“Grazie a Dio”, pensò. Era stato un sogno, solo un sogno. Ma non riuscì a riaddormentarsi subito.
Fu risvegliata dal telefono che squillava. Osservando la
luce che filtrava dalla finestra a est, Cassie si rese conto
che aveva dormito fino a tardi.
«Pronto?»
«Ciao, Cassie», disse una voce familiare.
Il cuore di Cassie sobbalzò. Improvvisamente ricordò il
sogno. In preda al panico, si aspettò che la voce roca di
Faye cominciasse a parlarle di rose e di tenebre.
Ma la sua voce era normale. «È sabato, Cassie. Hai
piani per la serata?»
«Uh… no. Ma…».
«Suzan e Doborah sono da me stasera. Perché non vieni
anche tu?».
«Faye… credevo fossi arrabbiata con me».
Faye rise. «Ero un po’… irritata, lo ammetto. Ma è passata. Sono orgogliosa del tuo successo con i ragazzi. Dimostra che il fascino da strega funziona sempre».
Cassie ignorò l’ultimo commento. Poi ebbe un pensiero
improvviso. «Faye, se stai pensando di usare di nuovo il
teschio, scordatelo. Vuoi sapere quant’è pericoloso?».
Cominciò a dirle cosa aveva scoperto nel Sotterraneo delle
Streghe, ma Faye la interruppe.
«Oh, ma chi ci pensa più al teschio!», disse. «Sto organizzando un party. Ci vediamo per le otto, ok? Verrai, ve-
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ro, Cassie? Altrimenti potrebbero esserci conseguenze…
spiacevoli. Ciao ciao!».
Ci saranno anche Suzan e Deborah, si disse Cassie
mentre si avvicinava all’abitazione di Faye. Non lasceranno che mi uccida. Quel pensiero la fece sentire un po’ meglio.
Quando aprì la porta, Faye sembrava meno sinistra del
solito. I suoi occhi splendevano di malizia e il sorriso era
quasi gioviale.
«Entra, Cassie. Mancavi solo tu», disse.
Mentre percorreva il corridoio che portava alla camera
di Faye, Cassie sentiva della musica. La stanza era riccamente ammobiliata, sfarzosa, come il resto della casa. Un
televisore ad alto volume se la giocava con un pezzo di
Madonna sparato a palla da uno stereo da favola. Con tutta
quella tecnologia, le numerose candele infilate nei sostegni
più disparati apparivano fuori luogo.
«Spegnete tutto», ordinò Faye. Suzan, imbronciata,
puntò un telecomando contro lo stereo; Deborah tolse
l’audio al televisore. A quanto pareva, Faye aveva perdonato anche loro.
«Adesso», disse Faye rivolgendo un sorriso felino a
Cassie, «ti spiego tutto. La governante ha la giornata libera
e mia madre è a letto, malata…».
«Come sempre», la interruppe Deborah. Poi disse a
Cassie: «Sua madre trascorre il novantacinque per cento
del suo tempo a letto. La testa».
Faye inarcò le sopracciglia e disse: «Sì, be’, a volte può
essere molto comodo, no? Come oggi, per esempio». Tornò a guardare Cassie e riprese a parlare. «E quindi faremo
un bel pizza party. E tu ci darai una mano, ok?».
Cassie si sentiva incredibilmente sollevata. Un pizza
party. Aveva immaginato chissà cosa. «Ok», disse.
«Allora cominciamo. Suzan ti dirà cosa fare».
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Cassie seguì le istruzioni di Suzan. Accesero alcune
candele rosse e rosa, un piccolo fuoco nel camino e dei bastoncini di incenso a base di zenzero, cardamomo e olio
essenziale di neroli che sprigionavano un odore penetrante
e delizioso.
Faye, nel frattempo, stava sistemando dei cristalli in giro per la camera. Cassie riconobbe i granati, le corniole,
gli opali di fuoco e tormaline. Suzan indossava una collana
di corniole che si abbinava perfettamente ai suoi capelli
biondo paglia. Faye indossava più rubini a stella del solito.
Deborah spense le lampade e mise un nuovo CD. Cassie non aveva mai sentito musica del genere. Era un ritmo
basso e pulsante, un battito primordiale che sembrava entrarle nel sangue. Cominciò piano, ma con il passare dei
secondi diventava sempre più forte.
«Bene», disse Faye, tirandosi un poco indietro per contemplare il lavoro svolto. «Niente male. Vado a prendere
da bere».
Cassie studiò la stanza. Era calda e accogliente, soprattutto se paragonata al freddo pungente di quella serata di
ottobre. Il fuoco e le candele emanavano un bagliore rosato e la musica insistente riempiva l’aria. Si era creata una
leggera foschia a causa del fumo speziato dell’incenso.
“Sembra quasi una fumeria d’oppio”, pensò Cassie, allo
stesso tempo affascinata e terrorizzata, mentre Faye tornava reggendo un vassoio d’argento.
Cassie la guardò. Si aspettava delle bibite analcoliche…
o magari qualche birra, conoscendo Deborah. Ma sapeva
che Faye non avrebbe mai servito qualcosa di così poco
elegante. Sul vassoio c’erano un decanter e otto bicchierini
di cristallo. Il decanter era pieno per metà di un liquido
rossastro.
«Sedetevi», disse Faye, riempiendo quattro bicchieri e
rispondendo all’espressione interrogativa di Cassie con un
sorriso. «Non è alcolico. Provalo. Oh, andiamo!».
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Cassie fece un sorso con molta cautela. Il liquido aveva
un sapore dolce e delicato e la riempì di calore.
«Cos’è?», chiese guardando il bicchiere.
«Oh, un po’ di questo e un po’ di quello. È… stimolante, vero?»
«Mmm». Cassie fece un altro sorso.
«E ora», sorrise Faye, «possiamo giocare al Ragazzo
delle Pizze».
Ci una pausa, e poi Cassie disse: «Il Ragazzo delle Pizze?»
«Il Ragazzo delle Pizze… o il Fattorino, come vuoi
chiamarlo», disse Suzan ridacchiando.
«Ci divertiamo a guardare i ragazzi che si rendono ridicoli», disse Deborah ridendo sguaiatamente. Avrebbe continuato se Faye non l’avesse fermata.
«Non diciamole altro. Dimostriamole come si gioca»,
disse. «Dov’è il telefono?». Deborah le passò un cordless.
Suzan sfogliò le pagine gialle e le dettò un numero.
Faye schiacciò i tasti sul telefono. «Pronto?», disse con
voce suadente. «Vorrei ordinare una pizza maxi, con salsiccia piccante, olive e funghi». Poi comunicò il suo indirizzo e il numero di telefono. «Esatto, New Salem», disse.
«Tra quanto? Va bene, grazie. Arrivederci».
Riattaccò e, guardando Suzan, disse: «Avanti col prossimo».
Con grande stupore di Cassie, Faye chiamò altre pizzerie.
Sei, per la precisione.
Faye aveva ordinato sette pizze giganti, tutte con il medesimo condimento. Cassie, leggermente stordita
dall’incenso, si chiese se Faye volesse offrire da mangiare
a un intero esercito.
«Chi stiamo aspettando, il coro della chiesa dei mormoni?», sussurrò a Suzan, che sorrise.
«Mi auguro di no. Non ci interessano i coristi».
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«Ora basta, Cassie», disse Faye. «Aspetta e lo scoprirai».
Quando bussarono alla porta, Faye, Suzan e Deborah si
lanciarono in salotto per sbirciare dalla finestra. Cassie le
imitò. La luce del portico illuminava un ragazzo con una
scatola oleosa di cartone in mano.
«Mmm», disse Faye. «Non male. Niente di eccezionale,
ma non male».
«Per me va bene», disse Suzan. «Guardate che spalle!
Facciamolo entrare».
Cassie seguì le tre ragazze alla porta.
«Ciao», disse Faye aprendo la porta. «Ti dispiacerebbe
entrare? Ho lasciato la borsa in camera». Davanti a una
Cassie sempre più sbalordita, le tre ragazze guidarono il
ragazzo nella stanza accogliente e profumata d’incenso. Il
ragazzo aveva un’espressione stupefatta e sbatteva ripetutamente le ciglia.
Deborah gli prese la pizza dalle mani. «Sai», disse Faye, mordicchiando la penna posata sul libretto degli assegni, «sembri un po’ stanco. Vuoi sederti? Ti va di bere
qualcosa?».
Suzan versò la bevanda rossastra in un bicchiere e poi
lo porse con un sorriso al ragazzo. Il fattorino si passò la
lingua sulle labbra, confuso. Cassie riusciva a capirlo.
“Nessun ragazzo al mondo può resistere a Suzan con la
camicetta scollata che gli porge un bicchiere di cristallo”,
pensò Cassie. Suzan si chinò un altro poco e il ragazzo
prese il bicchiere.
Deborah e Faye si scambiarono un’occhiata d’intesa.
«Parcheggio la tua auto sul retro», mormorò Deborah e
se ne andò.
«Mi chiamo Suzan», disse Suzan affondando nel divano imbottito accanto al ragazzo. «E tu?».
Deborah era appena tornata quando il campanello della
porta suonò di nuovo.
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CAPITOLO 2
16
«Cavolo», disse Deborah, di nuovo alla finestra del salotto. Il secondo fattorino era magro, aveva capelli lisci e il
viso pieno di brufoli.
Faye era già alla porta. «Una pizza? Non abbiamo ordinato nessuna pizza. Non m’interessa chi avete chiamato
per la conferma, noi non la vogliamo». Chiuse la porta in
faccia al fattorino che, dopo essere rimasto qualche minuto
sul portico, se ne andò.
Nel frattempo ne era arrivato un altro. Mentre si avvicinava alla porta, il ragazzo alto e biondo con la scatola di
cartone si voltò a guardare il rivale che si allontanava.
«Questo sì che va bene», disse Faye.
Quando accompagnarono il fattorino biondo in camera,
Suzan e l’altro ragazzo muscoloso erano avvinghiati sul
divano. I due si separarono; il ragazzo sembrava ancora
confuso. Faye riempì un bicchiere per il nuovo ospite.
Nel giro di un’ora, la porta suonò altre quattro volte e
altri due ragazzi furono fatti accomodare nella stanza di
Faye. Suzan si divideva tra il ragazzo muscoloso e il nuovo arrivato, un tipo con alti zigomi che diceva di avere
sangue nativo americano nelle vene. L’ultimo ragazzo –
aveva gli occhi castani e sembrava il più giovane di tutti –
si sedette accanto a Cassie.
«Che strano», disse, guardandosi intorno e facendo un
altro sorso dal suo bicchiere. «È tutto così strano… non so
perché sono qui. Ho delle consegne da fare…». Poi aggiunse: « Diamine, sei davvero carina».
“Diamine?”, pensò Cassie. Accipicchia, acciderboli.
Oh, mio Dio. «Grazie», disse fiaccamente, guardandosi intorno in cerca di aiuto.
Ma le altre erano tutte impegnate. Faye, che emanava
sensualità da ogni poro, stava facendo scivolare le sue
lunghe unghie rosse sulla manica del ragazzo biondo. Suzan, seduta sul divano, aveva un ammiratore su ciascun lato. Deborah era seduta sul bracciolo di una sedia eccessi-
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vamente imbottita, con gli occhi socchiusi e l’espressione
accigliata.
«Posso metterti un braccio sulle spalle?», chiese esitante il ragazzo dagli occhi castani a Cassie.
“I ragazzi non sono dei giocattoli”, pensò Cassie, anche
se quello in particolare sembrava un orsacchiotto di peluche. Faye li aveva attirati a casa sua per giocarci, e questo
era sbagliato… no? Quei ragazzi non erano nel pieno delle
loro facoltà, non avevano alcuna scelta.
«Mi sono trasferito la scorsa estate dalla South Carolina», stava dicendo il ragazzo. «Avevo una ragazza… ma
adesso mi sento così solo…».
Cassie sapeva come si sentiva. Era un ragazzo carino,
aveva la sua stessa età, e i suoi occhi marroni, anche se un
po’ vitrei, non erano male. Cassie non si oppose quando,
un po’ goffamente, il ragazzo le mise un braccio sulle
spalle.
Si sentiva stordita. Era colpa dell’incenso… o dei cristalli, pensò. Sembrava che la musica pulsasse dentro di
lei. Avrebbe dovuto sentirsi in imbarazzo per quello che
stava accadendo in quel momento – era imbarazzata – ma
anche euforica.
Alcune candele si erano spente e ora la stanza era meno
illuminata.
Cassie avvertiva un calore piacevole sulla spalle. Ripensò alla notte prima, quando aveva desiderato intensamente qualcuno che la consolasse, che l’abbracciasse. Che
non la facesse sentire sola.
«Non so perché, ma mi piaci davvero», stava dicendo il
ragazzo con gli occhi marroni. «Non ho mai sentito nulla
del genere prima d’ora».
Perché trattenersi? Era già… cattiva. E poi aveva così
tanta voglia di stare vicino a… qualcuno.
Il ragazzo le si avvicinò per baciarla.
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Fu allora che Cassie capì che era sbagliato. Non come
quando aveva baciato Adam, ma sbagliato per lei. Non aveva affatto voglia di baciarlo. Ogni cellula del suo corpo
si stava ribellando, in preda al panico. Sgusciò via dal suo
abbraccio come un’anguilla e scattò in piedi.
Faye e il ragazzo biondo stavano uscendo dalla stanza.
E così Suzan e i due ammiratori.
«Spostiamoci di sopra», disse Faye con voce sensuale.
«Ci sono più stanze. Un mucchio di stanze».
«No», disse Cassie.
Faye corrugò la fronte impercettibilmente, poi sorrise e
andò da Cassie, parlandole a voce bassa. «Cassie, mi stai
deludendo», disse. «Dopo la tua performance al ballo,
pensavo davvero che fossi una di noi. Eppure questo non è
neanche lontanamente immorale in confronto ad altre cose
che hai fatto. Puoi farne ciò che vuoi di questi ragazzi, a
loro piacerà».
«No», ripetè Cassie. «Mi hai detto di venire e sono venuta. Ma non resterò un minuto di più». Gli occhi di Faye
erano penetranti e Cassie faceva fatica a mantenere la voce
ferma.
Faye sembrava irritata. «Oh, d’accordo. Se non vuoi
spassartela, non posso costringerti. Vai pure».
Cassie si sentì sollevata. Rivolse un’ultima occhiata al
ragazzo con gli occhi marroni e corse alla porta. Dopo il
sogno della notte precedente, aveva avuto così tanta paura… non immaginava cosa avrebbe potuto farle fare Faye.
Ma adesso stava tornando a casa.
La voce di Faye la bloccò sulla porta. Prima di continuare, attese di avere la completa attenzione di Cassie.
«Sarà per la prossima volta», disse.
Mentre si allontanava in tutta fretta, Cassie sentiva un
formicolio su tutto il corpo. Voleva solo tornare a casa,
dove era al sicuro…
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«Ehi, aspetta», le urlò Deborah.
Cassie si girò malvolentieri e puntò i piedi, come se si
aspettasse di essere aggredita.
Deborah la raggiunse correndo, il passo leggero e controllato come sempre. I capelli neri le danzavano intorno al
viso nascondendole gli occhi. Il mento era sporgente come
al solito, ma non c’era ostilità sul suo volto.
«Vado via anch’io. Lo vuoi uno strappo?», disse.
Cassie ricordò l’ultimo “strappo” che aveva accettato.
Ma non aveva voglia di dire di no a Deborah. Dopo le parole di commiato di Faye, Cassie si sentiva piccola e vulnerabile – un essere indifeso che poteva essere schiacciato
facilmente. Inoltre… Be’, non capitava tutti i giorni che
Deborah facesse un’offerta del genere.
«Ok, grazie», disse Cassie dopo una brevissima esitazione. Non le chiese se doveva mettersi il casco, credeva
che Deborah non avrebbe apprezzato la domanda.
Cassie non era mai salita su una moto. Mentre cercava
di montarci su, le sembrava enorme. Ma una volta seduta,
si accorse che era sorprendentemente stabile. Non aveva
paura di cadere.
«Reggiti a me», disse Deborah. Poi, con un boato incredibile, la moto partì.
Era una sensazione inebriante – sembrava di volare.
“Come le streghe con le scope”, pensò Cassie. Il vento le
soffiava con forza sul volto, lanciandole i capelli
all’indietro. Cassie non riusciva a vedere molto, perché la
chioma di Deborah le svolazzava davanti agli occhi.
Quando Deborah accelerò, Cassie si sentì morire. Era
certa di non essere mai andata così veloce. Il vento era gelido. Stavano sfrecciando nell’oscurità a una velocità troppo elevata per una stradina di campagna. Si lasciarono le
case di Crowhaven Road alle spalle. Cassie non riusciva a
respirare né a parlare. Non c’erano che il vento, la strada e
la velocità.
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“Sto per morire”, pensò Cassie, ma quasi non le importava. Sarebbe valsa la pena di morire per qualcosa di così
eccitante. Era certa che Deborah non sarebbe riuscita a
prendere la curva successiva.
«Rilassati!», urlò Deborah, la voce spezzata dal vento.
«Tranquilla! Piegati con me!».
“Come faccio a rilassarmi quando sfrecciamo a centosessanta chilometri orari in mezzo alle tenebre?”, pensò
Cassie. Poi capì: doveva arrendersi. E lo fece, si abbandonò al vento e alla velocità. E, come per magia, le cose migliorarono.
Dopo un po’ si accorse che stavano tornando su Crowhaven Road. Superarono la casa di Diana, le altre, anche
quella di Cassie, e infine piombarono su uno spiazzo
all’estremità del promontorio.
La polvere si alzava sui fianchi della motocicletta. Cassie vide la scogliera che incombeva davanti a loro e affondò la testa tra le spalle di Deborah. La moto si inclinò leggermente, rallentò e infine si fermò.
«Allora», disse Deborah. «Che te ne pare?».
Cassie sollevò la testa e costrinse i suoi pugni a rilassarsi. Era gelata dalla testa ai piedi, come se fosse stata
rinchiusa in un frigorifero. I capelli erano arruffati, e non
sentiva più le labbra, il naso e le orecchie.
«È stato meraviglioso», disse a fatica. «Sembrava di
volare».
Deborah scoppiò a ridere, smontò dalla moto e le diede
una pacca sulla schiena. Poi l’aiutò a scendere. Cassie non
riusciva a smettere di tremare.
«Guarda», disse Deborah avvicinandosi al ciglio della
scogliera.
Cassie guardò. In basso, l’acqua scura s’infrangeva e
schiumava contro le rocce. Era un bel salto.
Ma era anche uno spettacolo meraviglioso. Una luna
quasi piena splendeva sopra la vasta superficie
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dell’oceano, formando una lunga scia tremolante di luce
sull’acqua, puro argento sopra le tenebre.
«Sembra una strada», disse Cassie a bassa voce, sbattendo i denti. «Verrebbe quasi voglia di percorrerla».
Lanciò un’occhiata veloce a Deborah, non sapeva come
avrebbe preso le sue parole sognanti. Ma Deborah annuì
impercettibilmente, gli occhi socchiusi fissi sul sentiero
argentato.
«Sarebbe il viaggio definitivo. Correre a tutta velocità
fino a saltare dal ciglio della scogliera. Credo che fosse
questo che volevano le streghe di un tempo», disse. Nonostante il freddo, Cassie avvertì una sensazione di calore.
Deborah provava le sue stesse emozioni. In quel momento
capì per quale motivo guidava la moto.
«Sarà meglio andare», disse all’improvviso Deborah.
Mentre tornavano alla moto, Cassie inciampò e cadde ginocchia a terra. Era incespicata su un mattone o su una
pietra.
«Dimenticavo: un tempo qui c’era una casa», disse Deborah. «Venne demolita parecchi anni fa, ma qua e là ci
sono ancora i resti delle fondamenta».
«Credo di averne appena trovato uno», disse Cassie. Si
stava rialzando strofinandosi il ginocchio, quando vide una
pietra accanto al mattone. Era più scura del terreno, eppure
luccicava debolmente sotto la luna.
Quando la raccolse, scoprì che era levigata e sorprendentemente pesante. E luccicava davvero; rifletteva la luce
della luna come uno specchio.
«È ematite», disse Deborah, che era tornata indietro. «È
una pietra molto potente. Secondo Melanie, infonde una
forza d’acciaio». Si inginocchiò accanto a Cassie, spostandosi ciocche di capelli dagli occhi. «Cassie! È il tuo
cristallo».
Un brivido che sembrava provenire dalla pietra si propagò al corpo di Cassie. Quel pezzo di ematite sembrava
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un cubetto di ghiaccio, ma tutto quello che Melanie aveva
detto che sarebbe successo una volta trovato il suo cristallo stava accadendo davvero. Le riempiva perfettamente la
mano, ci stava in modo naturale. Le piaceva il suo peso.
Era suo.
Euforica, sollevò la testa per sorridere a Deborah. Sotto
la fredda luce della luna Deborah le restituì un sorriso orgoglioso.
Arrivati al civico dodici, Deborah disse: «Ho saputo
che ieri sei passata da Nick».
«Oh… mmm», disse Cassie. La visita al garage di Nick
sembrava lontana secoli. «Non sono andata proprio da
lui», balbettò. «Ci sono capitata per caso…».
Deborah scrollò lo spalle. «Come dici tu. Volevo solo
dirti che a volte ha un caratteraccio. Ma questo non vuol
dire che devi mollare. Altre volte è ok».
Cassie si bloccò, stupefatta. «Uh… be’… non volevo
dire… cioè, grazie, ma non volevo…».
Non riusciva a trovare un modo per finire la frase, e
comunque Deborah stava ripartendo. «Lascia stare. Ci vediamo. E non perdere la pietra!». La ragazza partì a tutta
birra con i capelli neri che le svolazzavano alle spalle.
Tornata a casa, Cassie aveva le gambe deboli per la
tensione, ed era stanca. Rimase a letto per un po’ con
l’ematite in mano, girandola e rigirandola per osservarne
la levigatezza. “Infonde una forza d’acciaio”, pensò.
Non aveva nulla a che fare con il calcedonio rosa; non
le dava nessuna sensazione di calore o sollievo. Nella sua
mente il calcedonio era collegato a Adam e ai suoi occhi
grigio blu. Adesso la pietra era tornata da Diana, come
Adam.
E Cassie aveva una pietra che trasmetteva una strana
freddezza ai suoi pensieri, una freddezza che sembrava arrivarle al cuore. “Infonde una forza d’acciaio”, pensò di
nuovo. Le piaceva.
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«Secondo Cassie tutte le morti – anche quella di Kori –
sono collegate al teschio e ai metodi usati dai puritani per
uccidere le streghe», disse Diana rivolta ai membri del circolo riuniti. «È giunto il momento di fare qualcosa».
Cassie stava guardando Faye. Era curiosa di vedere la
reazione nei suoi occhi quando Diana avrebbe detto che
l’energia liberata durante la cerimonia aveva ucciso Jeffrey. Quando Diana arrivò al punto, Faye lanciò
un’occhiata a Cassie, ma nei suoi occhi non c’era alcuna
traccia di colpa o pentimento. Era uno sguardo di complicità. Lo sappiamo solo noi due, diceva. E io terrò la bocca
chiusa se tu farai altrettanto.
“Non sono così stupida”, pensò Cassie con rabbia. Faye
sorrise.
Era domenica sera ed erano seduti in spiaggia. Leggendo il suo Libro delle ombre, Diana non aveva scoperto cosa fare con gli oggetti maligni come il teschio, e adesso
stava chiedendo aiuto al circolo.
Era la prima volta che tenevano una riunione al completo nelle ultime tre settimane, dal giorno in cui il signor
Fogle era stato trovato morto. Cassie studiò i volti, le giacche e le maglie spesse – persino gli abitanti del New England si infagottavano con quelle temperature – e si domandò cosa stesse passando nelle loro teste.
Melanie era seria e pensierosa come sempre. Non scartava né accettava a prescindere la teoria di Cassie, ma era
disposta a metterla alla prova empiricamente. Laurel sembrava solo spaventata. Suzan stava esaminando le cuciture
dei suoi guanti. Deborah era accigliata, e non sembrava disposta a rinunciare all’idea che Kori fosse stata uccisa da
un esterno. Nick… Be’, chi poteva sapere cosa pensava
Nick? Sean si stava mordicchiando le unghie.
I fratelli Henderson erano irrequieti. Per un istante terribile, Cassie temette che avrebbero sfogato la loro adrena-
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lina su Adam, accusandolo della morte di Kori. Ma poi
Doug prese la parola.
«E allora che ci facciamo qui?» Datelo a me, quel teschio – me ne occuperò io», disse digrignando i denti.
«Sì, diamolo a Doug», intervenne Sean.
«Non può essere distrutto, Doug», disse Melanie pazientemente.
«Ma davvero?», disse Chris. «Infiliamoci dentro una
bomba…».
«Non succederebbe nulla. I teschi di cristallo non possono essere distrutti, Doug», ripetè Melanie. «È scritto nei
vecchi testi. Non riusciresti neppure a scalfirlo».
«E non c’è posto al mondo dove sarebbe al sicuro»,
disse Diana. «Ho sepolto il teschio – ormai posso dirvelo –
e ieri ho lanciato un incantesimo per scoprire se il posto è
in qualche modo disturbato. È di vitale importanza che il
teschio resti sottoterra».
Cassie avvertì una brutta sensazione allo stomaco. Diana si stava guardando intorno, concentrava la sua attenzione su Deborah, Faye e i fratelli Henderson. “Non le verrebbe mai in mente di guardare anche me”, pensò Cassie, e
questo la fece sentire ancora peggio.
«Perché non possiamo riportarlo sull’isola?», disse Suzan inaspettatamente, dimostrando che dopotutto stava ascoltando.
Adam, che fino ad allora era rimasto in silenzio, le rispose con aria insolitamente cupa. «L’isola ha smesso di
proteggere il teschio quando è stato dissotterrato».
«Tipo una di quelle maledizioni egiziane», disse Laurel. «Una volta entrati nella tomba, te la sei beccata».
Adam contrasse le labbra. «Esatto. E noi non abbiamo
sufficiente potere per lanciare un altro incantesimo di protezione. Questo teschio è malvagio», disse, rivolgendosi
all’intero circolo. «Talmente malvagio, che tenerlo sotto la
sabbia serve solo a impedire che si attivi. Non c’è modo di
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purificarlo», disse guardando Laurel, «e non c’è modo di
distruggerlo», aggiunse guardando Chris e Doug, «e non
c’è luogo dove potrebbe essere al sicuro», concluse guardando Suzan.
«Allora che facciamo?», chiese Deborah, e Sean squittì:
«Che facciamo?»
«Lasciamo perdere?», suggerì Faye con un sorriso indolente. Adam le lanciò un’occhiata cupa. Diana intervenne.
«Adam pensa che dovremmo metterci di nuovo alla ricerca dell’energia oscura», disse. Poi si rivolse a Cassie.
«Tu che ne pensi?».
Cassie si infilò le unghie nella mano. Se avessero rintracciato l’energia oscura, sarebbero arrivati alla casa di
Faye, l’ultimo punto in cui era stata rilasciata… Faye,
guardandola con ostilità, stava cercando di convincerla a
non dare il suo assenso. Ma Cassie ebbe un’idea.
«Si può fare», rispose con calma a Diana.
Lo sguardo di Faye divenne minaccioso, furioso, ma
non poteva dire nulla.
Diana annuì. «Va bene. Tanto vale farlo subito. Il cimitero non è proprio dietro l’angolo, quindi pensavo di cominciare nelle vicinanze. Crowhaven Road andrà più che
bene».
Mentre camminavano sulla spiaggia, Cassie sentiva che
il cuore le batteva all’impazzata, fino a farle vibrare il petto. Infilò una mano in tasca per toccare il freddo e levigato
pezzo di ematite. Forza d’acciaio, ecco di cosa aveva bisogno in quel momento.
«Sei impazzita?», le sibilò Faye mentre s’inerpicavano
lungo la strada. Affondò con forza le unghie nel braccio di
Cassie, allontanandola dagli altri. «Lo sai dove ci porterà
il pendolo?».
Cassie si liberò dalla sua presa. «Fidati di me», disse
seccamente.
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«Cosa?».
Cassie si girò verso la ragazza più alta. «Ho detto, fidati
di me! A differenza tua, so quel che faccio». Detto questo,
riprese la marcia. “Forza d’acciaio”, pensò confusamente,
impressionata dalla sua stessa risolutezza.
Ma quando Diana si fermò a Crowhaven Road – vicino
al numero due, la casa di Deborah – e tirò fuori il peridoto,
Cassie si sentì mancare l’aria.
Avvertendo la concentrazione delle altre menti, Cassie
attendeva che il pendolo cominciasse a oscillare.
La catena si tese prima da una parte e poi dall’altra,
come un’altalena in un parco giochi. Ma poi, con orrore
crescente di Cassie, cominciò a oscillare tra le due estremità di Crowhaven Road. In basso, verso la strada che avevano preso la prima volta, quella che portava al cimitero, e in alto, verso la scogliera.
Verso casa di Faye.
Cassie aveva l’impressione che le sue gambe stessero
affondando nel terreno. Adesso Faye la stringeva con forza, e non si preoccupava più che gli altri potessero accorgersene. «Te l’avevo detto», disse con veemenza, muovendo appena le labbra. «E adesso, Cassie? Se il pendolo
ci porta a casa mia, non sarò la sola ad affondare».
Cassie strinse i denti e sussurrò: «Pensavo che il pendolo non sarebbe riuscito a rintracciarla. L’energia è uscita
dal soffitto al secondo piano, ed è sparita in cielo. Pensavo
che a quell’altezza non potesse individuarla».
«A quanto pare ti sbagliavi», sibilò Faye.
Superarono la casa disabitata al numero tre. Poi quella
di Melanie, di fronte a quella di Laurel. La successiva era
l’abitazione di Faye.
Cassie credette di svenire. Quasi non si rendeva conto
che stava stringendo il braccio di Faye con la stessa forza
con cui Faye stringeva il suo. Attese che il peridoto indicasse la porta della casa di Faye.
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Ma Diana non si fermò.
Cassie avvertì una forte ondata di sollievo – e di sconcerto. Dove stavano andando? Superarono il numero sette,
un’altra casa disabitata. Poi quella degli Henderson e quella di Suzan. Anche quella di Sean – oh, mio Dio, pensò
Cassie, non staremo andando a casa mia?
Ma si lasciarono alle spalle anche il numero dodici. Diana stava seguendo l’oscillazione del pendolo verso la
scogliera.
Qui il pendolo riprese a muoversi in circolo.
«Che sta succedendo?», chiese Laurel, guardandosi intorno con stupore. «Che ci facciamo qui?».
Adam e Diana si scambiarono un’occhiata. Poi guardarono Cassie, che avanzò di poco dalle retrovie del gruppo.
Cassie li guardò e scrollò le spalle.
«Un tempo qui sorgeva il numero tredici», disse Diana.
«Dico bene, Adam? La casa che venne abbattuta».
«Io ho sentito dire che fu bruciata», disse Adam.
«Quando noi non eravamo ancora nati».
«No, ti sbagli», disse Melanie. «È successo soltanto sedici o diciassette anni fa – o almeno così ho sentito dire.
Ma prima di allora, era stata disabitata per secoli. Letteralmente».
«Per quanti secoli?», chiese Cassie a voce troppo alta.
Per qualche motivo stringeva con forza il pezzo di ematite
nella tasca.
I membri della congrega si voltarono a guardarla con
occhi che sembravano luccicare debolmente sotto la luna.
«Più o meno tre», disse Melanie. «Era la casa di Black
John. Nessuno ci ha messo più piede dalla sua morte nel
1696».
Cassie sentì l’ematite scottarle il palmo della mano.
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CAPITOLO 3
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«Per me è tutto molto strano», disse Laurel, tremando.
«Ma cosa ci dice questo?». Diana invitò tutti a rispondere alla sua domanda.
«È l’ennesimo collegamento con Black John», disse
Adam. «Ma null’altro».
«È un buco nell’acqua, come il cimitero», disse Faye,
che sembrava sollevata.
Cassie aveva la sensazione che si sbagliassero, ma non
era in grado di spiegarne il motivo e così tenne la bocca
chiusa. C’era dell’altro, qualcosa di terribile, che la preoccupava. Il pezzo di ematite adesso pesava come un frammento di una stella di neutroni. Proveniva dalle rovine della dimora di Black John, e forse gli era persino appartenuto. E dunque doveva parlarne a Diana.
L’incontro si era concluso. Cassie fece un respiro profondo e andò da Diana.
«Non ho avuto modo di parlartene prima», disse. «Ma
volevo raccontarti una cosa che mi è successa ieri».
«Cassie, non devi dirmi niente. Lo so che non è andata
come mi ha detto Faye».
Cassie sbattè le ciglia, spiazzata. «Che ti ha detto, Faye?»
«Non c’è bisogno di parlarne. Lo so che non è vero».
«Ma si può sapere che ti ha detto?».
Diana sembrava a disagio. «Ha detto che ieri sera sei
stata a casa sua a fare… Be’, una specie di gioco».
«Il Ragazzo delle Pizze», scandì chiaramente Cassie.
Quando Diana la guardò, fece per spiegarsi: «È un gioco
in cui…».
«Lo conosco», disse Diana, osservando attentamente il
volto di Cassie. «Ma sono certa che tu non faresti mai…».
«Ne sei certa? Come puoi esserne certa?», urlò Cassie.
Non sopportava più la fede cieca di Diana nella sua innocenza. Non capiva che Cassie era cattiva, malvagia?
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«Cassie, io ti conosco. So che non faresti mai nulla del
genere».
L’agitazione di Cassie stava aumentando. Qualcosa
dentro di lei era sul punto di esplodere. «Be’, ieri sono stata a casa di Faye e ci ho giocato. E…». Si stava avvicinando al vero motivo della sua angoscia interiore. «E tu non
sai nulla di quello che potrei e non potrei fare. Ho già fatto
cose…».
«Cassie, calmati…».
Cassie indietreggiò di un passo, accecata dalla rabbia.
«Io sono calma. Non dirmi di calmarmi!».
«Cassie, che ti succede?»
«Non mi succede niente. Voglio soltanto essere lasciata
in pace».
Gli occhi verdi di Diana luccicavano. Era stanca. Cassie
lo sapeva, e anche nervosa. E forse anche lei aveva raggiunto il punto di rottura. «Va bene», disse, con
un’asprezza inedita nella sua voce, di solito così dolce. «Ti
lascerò in pace».
«Bene», disse Cassie, con la gola secca e gli occhi arrossati. Non voleva litigare con Diana – ma doveva sfogare il dolore e la rabbia che sentiva dentro. “Non avrei mai
pensato di sentirmi così male solo perché la gente continua
a dirmi che sono una brava persona quando in realtà non
lo sono”, pensò Cassie.
Le sue dita lasciarono il pezzo di ematite mentre si dirigeva verso la scogliera. In basso, le onde mulinavano senza sosta.
Faye la raggiunse, portandosi dietro una scia di profumo dolce e muschiato. «Mostramelo».
«Eh?»
«Voglio sapere cosa stai stringendo in tasca, come se
avessi paura che ti scappi».
Cassie esitò e poi tirò lentamente fuori la pietra pesante
e levigata.
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Sempre rivolta verso l’oceano, Faye la esaminò. «Un
cristallo di ematite. È raro». Lo spostò sotto la luce della
luna e rise. «Melanie ti ha mai parlato delle proprietà…
insolite dell’ematite? No? Sembra nero, ma se lo tagli ottieni delle sezioni rosse e trasparenti. E la polvere che viene via dalla pietra rende l’acqua che raffredda lo scalpello
rossa come il sangue».
Restituì la pietra a Cassie che la strinse debolmente e la
guardò. Non importava da dove veniva, adesso era il suo
cristallo. L’aveva capito dal primo momento in cui l’aveva
visto. Come poteva sbarazzarsene ora?
«L’ho trovato tra i resti delle fondamenta della casa»,
disse scioccamente.
Faye inarcò le sopracciglia. Poi si ricompose. «Mmm.
Be’, certo, negli ultimi tre secoli chiunque potrebbe averlo
perso qui».
Una strana sensazione di sollievo euforico s’impossessò
di Cassie. «Sì», disse. «Certo. Chiunque». Rimise il cristallo in tasca, Faye la stava fissando con gli occhi socchiusi. Cassie si rese conto che stava annuendo: dopotutto,
non doveva liberarsi del cristallo.
Adam stava chiamando a raccolta il gruppo.
«Un’ultima cosa, prima che ve ne andiate», disse. Sembrava non essersi accorto della piccola scenata tra Diana e
Cassie di qualche attimo prima.
«Mi è venuta un’idea», disse, quando il circolo gli si
strinse intorno. «Tutto ciò che è collegato all’energia oscura porta alla morte. Il cimitero, il fantasma che Cassie,
Deborah, Nick e io abbiamo visto in strada, persino questo
posto – una casa diroccata costruita da un uomo ormai deceduto. E… Be’, il prossimo weekend è Samhain».
Dal gruppo si levò un mormorio. Adam guardò Cassie e
disse: «Halloween, ognissanti, primo novembre. Ma a prescindere da come la si chiami, è la notte in cui i morti
camminano sulla terra. E lo so che potrebbe essere perico-
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loso, ma credo che il giorno di Halloween dovremmo celebrare una cerimonia, qui al cimitero. Per tentare di evocare qualche spirito». Si girò verso Diana. «Che ne pensate?».
Nessuno rispose. Diana sembrava preoccupata, Melanie
dubbiosa, Sean apertamente spaventato. Doug e Chris
sfoggiavano il loro solito ghigno spavaldo, e Deborah stava annuendo con forza. Faye teneva la testa inclinata da un
lato ed era assorta nei suoi pensieri; Nick aveva le braccia
incrociate sul petto e un’espressione dura. Alla fine Suzan
e Laurel presero la parola.
«E il ballo?», disse Laurel e Suzan aggiunse: «Sabato
notte ci sarà il ballo di Halloween e io ho comprato un paio di scarpe nuove».
«Ogni Halloween c’è un ballo», spiegò Melanie a Cassie. «È una ricorrenza importante per noi streghe. Ma
quest’anno Halloween cadrà di sabato, e la stessa sera ci
sarà il ballo della scuola. Anche se», disse lentamente,
«non vedo per quale motivo non possiamo partecipare a
entrambi. Potremmo lasciare il ballo della scuola alle undici e mezza e avere comunque il tempo per la cerimonia».
«Che dovremmo celebrare qui», disse Diana, «e non al
cimitero. Sarebbe troppo pericoloso. Correremmo il rischio di evocare una presenza più forte di quanto desideriamo».
Cassie ripensò alla figura indistinta che lei e Adam avevano visto al cimitero. Con un tono un po’ troppo bellicoso, chiese: «E se riusciamo a evocare qualcosa, che facciamo?».
«Ci parliamo», disse prontamente Adam. «In passato, a
Halloween venivano evocati gli spiriti dei morti per fare
loro delle domande. E gli spiriti dovevano rispondere».
«È il giorno in cui il velo tra i due mondi è sottilissimo», chiarì Laurel. «I defunti tornano a visitare i propri
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parenti ancora in vita». Si guardò intorno. «Credo che la
cerimonia vada celebrata».
I membri del circolo annuirono, chi con entusiasmo, chi
con esitazione.
«Esatto», disse Adam. «La notte di Halloween, dunque». Cassie pensò che fosse insolito che a prendere una
decisione del genere fosse Adam, ma poi guardò Diana…
sembrava che stesse tenendo a bada un conflitto interiore.
Per un attimo Cassie si sentì in pena per lei, ma poi la sua
infelicità e il suo conflitto presero il sopravvento. Lasciò
l’incontro senza più rivolgerle la parola.
Nelle settimane prima di Halloween arrivò il vero freddo, anche se le foglie erano ancora bronzee e cremisi. La
camera di Cassie odorava di canfora per via delle vecchie
trapunte che la nonna le aveva messo sul letto. Le ultime
erbe aromatiche erano state raccolte, e la casa era decorata
con fiori autunnali, calendule e astri viola. Ogni giorno, di
ritorno da scuola, Cassie trovava la nonna in cucina a preparare tonnellate di confettura di mele, al punto che la casa
ormai sapeva di polpa calda di mele, cannella e spezie.
Le zucche comparvero misteriosamente sul portico di
ogni casa, ma solo Cassie gli Henderson sapevano da dove
provenivano.
Con Diana le cose non erano migliorate.
Una parte di Cassie, distrutta dal senso di colpa, sapeva
il motivo. Non voleva litigare con Diana – ma era molto
più facile non doversi preoccupare per lei. Se non le parlava, se non andava a casa sua, non pensava a quanto Diana
avrebbe sofferto se mai avesse scoperto la verità. I suoi
segreti vergognosi non la tormentavano se Diana rimaneva
a distanza di sicurezza.
E così quando Diana cercò di riappacificarsi con lei,
Cassie fu educata ma un po’ fredda. Distaccata. Diana le
chiese perché era ancora arrabbiata. Cassie rispose che
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non era affatto arrabbiata, e poi perché si dava tanta pena
per lei? Detto questo, Diana smise di insistere.
A Cassie sembrava di trovarsi all’interno di un guscio
sottile ma coriaceo.
Pensò a quello che le aveva detto Deborah a proposito
di Nick. A volte ha un caratteraccio. Ma questo non vuol
dire che devi mollare. Ovviamente non c’era nessuna possibilità che ci riprovasse con Nick. O meglio, la vecchia
Cassie non lo avrebbe mai fatto. Ma adesso sembrava esserci una nuova Cassie, una Cassie più forte e più dura –
almeno apparentemente. E doveva fare qualcosa, perché
ogni notte pensava a Adam e soffriva, e temeva quel che
sarebbe potuto accadere se fosse andata al ballo senza accompagnatore.
Il giorno prima di Halloween, tornò al garage di Nick.
L’auto sembrava sempre uguale. Il motore era sopra
una specie di piano d’appoggio fatto di tubi. Nick ci lavorava sotto.
Cassie sapeva bene che questa volta non doveva chiedergli cosa stava facendo. Nick le vide i piedi. Poi il suo
sguardo si spostò verso l’alto. Schizzò via da sotto il piano
e si alzò.
I capelli neri erano madidi di sudore. Si pulì la fronte
con il dorso della mano, sporca di grasso. Non disse nulla;
rimase fermo a guardarla.
Cassie parlò senza riflettere. Focalizzando tutta la sua
attenzione su una macchia di olio sulla T-shirt di Nick,
disse tutto d’un fiato: «Ci vieni al ballo di Halloween?».
Seguì un lunghissimo silenzio. Cassie guardava la macchia d’olio mentre Nick la fissava. Cassie sentiva puzza di
gomma, di metallo riscaldato e di grasso e un leggero odore di benzina. Si sentiva come se fosse sospesa in aria.
Poi Nick disse: «No».
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Cassie sentì il mondo crollarle sotto i piedi, e scoprì che
per qualche ragione adesso riusciva a guardare Nick in
faccia.
«Oh», disse con voce piatta. “Stupida, stupida”, pensò.
La nuova Cassie era sciocca quanto la vecchia. Non avrebbe dovuto riprovarci.
«Non capisco perché tu voglia saperlo», disse Nick. Poi
aggiunse: «C’entra per caso Conant?».
Cassie s’irrigidì. «Adam? Di che stai parlando? Perché
Adam dovrebbe entrarci qualcosa?», disse, sentendosi avvampare.
Nick annuì. «Come pensavo. Ti sei presa una bella cotta. Non vuoi che lui lo venga a sapere, e quindi stai cercando un sostituto, vero? O stai cercando di farlo ingelosire?».
Cassie aveva il volto in fiamme, ma ancor più bruciava
l’umiliazione che sentiva dentro. Non avrebbe pianto davanti a Nick.
«Scusa se ti ho fatto perdere tempo», disse e fece per
andarsene.
«Aspetta», disse Nick. Cassie uscì dal garage nella luce
dorata del sole di ottobre, fissando le rosse foglie di acero
dall’altra parte della strada.
«Aspetta», ripetè Nick, seguendo Cassie fuori dal garage. «A che ora passo a prenderti?», disse.
Cassie si voltò e lo guardò.
Dio, era bello, ma così freddo… anche in quel momento sembrava freddo e indifferente. Il sole gli illuminava i
capelli scuri; il volto sembrava quello di una statua di
ghiaccio perfettamente scolpita.
«Non voglio più andarci con te», gli disse Cassie cupamente, e riprese a camminare.
Lui le si mise davanti, senza toccarla. «Scusami se ho
detto che vuoi far ingelosire Conant. Era solo…». Si fermò e scrollò le spalle. «Non volevo dirlo. Non so che sta
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succedendo, e comunque non sono affari miei. Ma mi piacerebbe andare al ballo con te».
“Ho le allucinazioni”, pensò Cassie. “Non c’è altra
spiegazione. Nick si è appena scusato… e poi ha detto che
gli piacerebbe andare al ballo con me. Devo avere la febbre”.
«Allora, a che ora passo a prenderti?», ripetè Nick.
Cassie respirava a fatica, e così parlò con voce debole:
«Uhm, per le otto. Ci metteremo i costumi a casa di Suzan».
«Ok. Ci vediamo là».
La sera di Halloween le ragazze di Crowhaven Road si
stavano preparando a casa di Suzan. Era una serata diversa
da quella del ballo di inizio anno. Per prima cosa, Cassie
sapeva cosa fare. Suzan le aveva insegnato a truccarsi, e in
cambio Cassie l’aveva aiutata con il suo costume.
Laurel aveva ordinato a tutte di fare un bagno con foglie fresche di salvia, per aumentare i propri poteri psichici. Cassie aveva usato anche del latte di rosa – acqua di rose e olio di mandorle dolci – per ammorbidire e profumare
la pelle. La nonna l’aveva aiutata a ideare e preparare il
suo costume, che consisteva principalmente di sottili strati
sovrapposti di mussola.
Quando Cassie finì di vestirsi e andò ad ammirarsi allo
specchio di Suzan, vide una ragazza slanciata come la
fiamma di una candela, di una bellezza evanescente ed eterea, avvolta in un abito che ricordava una nuvola di nebbia. I riccioli color topazio fumè le incorniciavano il volto
delicato. Mentre si osservava, le guance si colorarono di
rosa.
Sembrava delicata e sensuale, ma non era un problema
perché sarebbe andata al ballo con Nick. Cassie mise del
profumo dietro le orecchie – non olio magnetico, ma semplice essenza di rose – e si sistemò i capelli profumati
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all’indietro. C’era una nota malinconica nei suoi occhi azzurri, dello stesso colore dei fiori di campo, ma non poteva
farci niente. Nulla avrebbe potuto eliminarla.
Non indossava cristalli per attirare gli uomini; aveva
solo l’ematite in una tasca sotto il costume.
«Chi sei?», disse Deborah, guardando Cassie riflessa
nello specchio.
«Una musa dell’antica Grecia; è stata mia nonna a mostrarmela in un libro. Più che dee, le muse erano una specie di guide divine. Ispiravano la creatività degli uomini»,
disse Cassie. Si guardò con aria incerta. «Io dovrei essere
Calliope, la musa della poesia. C’era anche una musa delle
storia e così via».
Melanie disse: «Nella versione delle streghe, all’inizio
c’era una sola musa: solo in seguito divennero nove. Rappresentava lo spirito delle arti. Forse stasera tu impersoni
lei».
Cassie si voltò a guardare i loro costumi. Deborah era
una rocker, tutta bracciali, borchie e giacca di pelle. Melanie era Sophia, lo spirito della saggezza, con un velo fine
davanti al volto e una corona di stelle argentate sulla testa.
Suzan aveva accettato il suggerimento di Cassie e si era
vestita da Afrodite, la dea dell’amore. Cassie si era ispirata
alle stampe di Diana e al libro dei miti greci della nonna.
«Si diceva che Afrodite fosse nata dal mare», disse. «Per
questo ci sono le conchiglie».
I capelli di Suzan ricadevano sulle spalle, il suo vestito
era bianco come la schiuma del mare. Lustrini iridescenti,
perline e piccole conchiglie decoravano la maschera che
reggeva in una mano.
Laurel era una fata. «Uno spirito della natura», precisò,
ruotando su se stessa per mostrare le lunghe e curve ali da
libellula. Sulla testa indossava una ghirlanda di foglie e
fiori di seta.
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«Siete bellissime», disse una voce delicata. Cassie si
voltò trattenendo il fiato. Diana non si era travestita, o meglio, indossava la tunica bianca che metteva alle cerimonie
del circolo. Sembrava avvolta dalla luce che lei stessa emanava ed era bella in un modo indescrivibile.
Laurel, con un filo di voce, disse a Cassie in un orecchio: «Diana non lo fa per divertimento. Per noi Halloween è la festa più magica dell’anno. Diana la sta semplicemente onorando».
«Oh», mormorò Cassie. I suoi occhi scivolarono su Faye.
“Faye è una strega”, pensò. Del tipo che incute paura ai
ragazzi. Indossava un abito nero senza maniche, una specie di parodia della tunica bianca di Diana. Su entrambi i
fianchi, uno spacco fino alle cosce metteva in risalto le sue
curve. La stoffa luccicava come seta quando camminava.
“Questa sera al ballo ci saranno molti cuori spezzati”,
pensò Cassie.
Qualcuno suonò alla porta e tutte corsero di sotto, tra
vestiti che svolazzavano e gonne fruscianti, per accogliere
i ragazzi. Il circolo sarebbe andato al ballo in gruppo, e in
gruppo avevano deciso di andarsene alle undici e mezzo.
Benché il suo accompagnatore fosse Nick, la prima
persona su cui Cassie posò gli occhi fu Adam. Era bellissimo. Sulla testa aveva una corona di foglie di quercia da
cui partivano un paio di corna di cervo di legno; il volto
era coperto da una maschera di foglie e ghiande di quercia.
«È Herne, il dio cornuto», disse Melanie. «Una specie
di Pan, un dio della natura. È anche il dio degli animali – è
per questo che ha portato Raj con sé».
Raj stava tentando di intrufolarsi in casa per dare a Cassie una delle sue calorose e imbarazzanti accoglienze. Adam, o Herne – aveva un aspetto spaventosamente naturale con le corna e le fogli di quercia – lo trattenne.
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Le altre stavano prendendo in giro i costumi dei ragazzi. «Sean», disse Laurel, «lo sappiamo che sei magro, non
c’era bisogno di mostrarci le ossa». Sean indossava un costume da scheletro.
Chris e Doug avevano strani simboli dipinti sui volti:
triangoli rossi e neri e fulmini gialli. I loro capelli erano
ancor più scarmigliati del solito. «Siamo Zax», dissero, e
tutti all’unisono risposero: «Chi?».
Chris spiegò: «Zax, il mago. Tira fuori le sigarette dal
nulla».
«L’hanno visto in un film di fantascienza di qualche
tempo fa», chiarì Suzan.
Faye intervenne con voce pigra e strascicata. «E tu chi
saresti, Nick? L’Uomo Nero?».
Cassie guardò Nick per la prima volta. Non si era travestito; indossava un jeans e un maglione nero. Sembrava
molto bello, molto fico.
«Io sarei il suo accompagnatore», disse con calma, e
senza più degnare Faye di uno sguardo tese una mano a
Cassie.
“A Faye non importa”, si disse Cassie mentre raggiungevano le auto parcheggiate. “Faye non lo vuole più; non
le interessa con chi va al ballo”. Ma si sentiva a disagio
mentre Nick la guidava verso la Armstrong. Deborah e
Laurel montarono sul sedile posteriore.
Davanti alle porte delle case, le zucche scavate sfoggiavano sorrisi selvaggi e fiammelle guizzanti nelle orbite.
La serata era tersa.
«La notte ideale per i fantasmi», disse Laurel. «Stanotte
gli spiriti spieranno all’interno delle case. È per questo che
lasciamo una candela bianca davanti alle finestre, per guidarli».
«E del cibo, così non viene loro la tentazione di entrare», disse Deborah con voce cupa.
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Cassie rise, ma non fu una risata del tutto sincera. Non
voleva che gli spiriti spiassero in casa sua. Quanto a quello
che Laurel aveva detto due settimane prima, sui defunti
che visitavano i parenti ancora in vita, be’, a Cassie non
piaceva neppure quello. Non conosceva nessuno dei suoi
parenti deceduti, tranne suo padre, che probabilmente era
ancora vivo. No, molto meglio lasciare in pace i morti.
Ma quella notte il circolo aveva intenzione di fare esattamente il contrario.
La palestra era addobbata con gufi, pipistrelli e streghe
che volavano verso enormi lune gialle. Festoni di cartapesta neri e arancione si allungavano da una parte all’altra
del campo di basket. Sulle pareti erano raffigurati scheletri
danzanti, gatti con il pelo ritto e la schiena inarcata e fantasmi dall’aria stupita.
Tutto era innocuo e divertente. Gli studenti che ballavano e bevevano punch color viola veleno non avevano
idea del pericolo reale che si annidava fuori. Persino coloro che detestavano il circolo non conoscevano la verità.
Diana e Adam arrivarono insieme: probabilmente
l’ingresso più spettacolare che la New Salem High School
avesse mai visto. Diana, con la sua semplice tunica bianca,
la gola nuda, la pelle delle braccia fresca e liscia come
quella di un neonato e l’aureola di capelli luccicanti che le
cadevano sulla schiena, sembrava un raggio di luna avventuratosi per caso all’interno della palestra.
E Adam… Adam emanava un fascino, una autorevolezza innata che incuteva rispetto a chiunque fosse abbastanza coraggioso di guardarlo. Quella sera, nei panni di
Herne, era più affascinante del solito. Sembrava davvero il
dio delle foreste, pericoloso e malizioso; ispirava rispetto,
ma non era ostile. E, soprattutto, aveva un che di selvaggio. Non c’era nulla di addomesticato in lui, apparteneva
agli spazi aperti, viveva sotto le stelle. Raj, più simile a un
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lupo che a un cane, entro nella palestra al suo fianco, ma
nessuno protestò.
«Lo sai cosa succederà questa notte?», sussurrò una voce a Cassie, caldo respiro sulla sua nuca.
Cassie disse, senza voltarsi: «Cosa, Faye?»
«Be’, la dea Diana e il dio cornuto, impersonati dai
leader della congrega, stringeranno un’alleanza. Devono…», Faye fece una pausa delicata, «… fondersi, mettiamola così. Per simboleggiare l’unione degli uomini e
delle donne».
«Vuoi dire che…?».
«Potrebbero limitarsi a un atto simbolico», disse Faye
con calma. «Ma chissà perché credo che Adam e Diana
non si accontenteranno dei simbolismi».
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CAPITOLO 4
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Cassie rimase di sasso. Il cuore sembrava un martello
pneumatico, ma era l’unica parte del suo corpo in grado di
muoversi.
Adam e Diana… non potevano farlo. Solo che, ovviamente, potevano eccome. Diana stava sorridendo ad Adam, spostandosi i capelli lisci e neri dietro le spalle. E
anche se Cassie non riusciva a vedergli il volto, nascosto
dalla maschera, era certa che anche lui stava sorridendo.
Cassie si voltò, quasi scontrandosi con Nick che le stava portando un bicchiere di punch, e corse in una zona
meno illuminata della palestra.
Si fermò sotto una lanterna cinese spenta. Nascosta da
una coltre di festoni neri e arancione, cercò di riprendersi,
provando a ignorare le immagini che le affollavano la
mente.
Poi sentì un profumo di legno bruciato e di vento oceanico, e un leggero e indefinibile odore di animale e di foglie di quercia. Adam.
«Cassie», disse. Solo questo, come se Herne la stesse
chiamando in sogno, invitandola a lasciare il suo letto in
piena notte e a danzare tra le foglie autunnali.
E poi, con voce più normale, disse: «Cassie, stai bene?
Diana ha detto…».
«Cosa?», chiese Cassie, con un tono che sarebbe stato
brusco se la sua voce non avesse tremato.
«È preoccupata per te».
«Sto bene!». Cassie si stava sforzando di trattenere le
lacrime. «E comunque, sono stufa che la gente parli di me
alle mie spalle. Faye dice questo, Diana dice quello… sono stufa».
Adam prese le mani di Cassie tra le sue. «Credo», disse
con voce pacata, «che tu sia solo stanca. Tutto qui».
“Eccome”, pensò Cassie. “Sono stanca di avere segreti.
E sono stanca di lottare. Se sono malvagia, a che serve resistere?”.
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Ma in quel momento pensare e agire erano la stessa cosa. Prima che si rendesse conto di quel che stava facendo,
strinse le mani di Adam, intrecciando le dita alle sue. Né
con parola, sguardo o azione. “Che sciocchezze”, pensò.
“Abbiamo infranto il giuramento già un migliaio di volte.
Perché non romperlo una volta per tutte? Almeno posso
sentirmi in colpa per qualcosa di concreto, e Diana non lo
avrà per prima”.
Era questo il nodo della questione. Diana poteva avere
qualunque cosa, ma non avrebbe avuto Adam per prima.
“Posso riuscirci”, pensò Cassie. All’improvviso la sua
mente, immune dal dolore lancinante che avvertiva nel
petto, si mise a lavorare in modo freddo e razionale. Adam
era un bersaglio facile perché era onesto, mai avrebbe pensato che Cassie fosse pronta a servirsi di qualsiasi mezzo
per ottenere quello che voleva.
Se fosse scoppiata in lacrime… se gli si fosse avvicinato quel tanto da stringerlo, da abbandonarsi tra le sue braccia… se fosse riuscita a posargli la testa sulle spalle in
modo che lui sentisse il suo profumo… se avesse cominciato a singhiozzare… Adam avrebbe resistito alla tentazione di baciarla?
Cassie credeva di no.
C’erano luoghi più appartati all’interno della scuola.
L’aula di economia – chiunque era in grado di forzare
quella porta – o il magazzino dove venivano conservati i
tappetini della palestra. Se si fossero baciati, cosa avrebbe
impedito loro di andare in un posto più tranquillo?
Niente.
E Diana, la dolce, stupida e innocente Diana, non si sarebbe mai accorta di nulla. Se Adam le avesse detto di aver portato Cassie a fare due passi per calmarla, Diana gli
avrebbe creduto.
No, nulla avrebbe fermato Adam e Cassie… tranne il
giuramento. Com’è che faceva? Possa il fuoco bruciarmi,
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l’aria soffocarmi, la terra inghiottirmi e l’acqua sommergere la mia tomba. Cassie non lo temeva. Il fuoco già le
stava consumando il corpo, l’aria già la stava soffocando –
infatti non riusciva a respirare. Nulla poteva fermarla. Gli
si avvicinò un altro poco, la testa reclinata come un fiore
con il gambo piegato, le prime lacrime che le bagnavano
gli occhi. Sentì la gola che si stringeva, le dita di Adam
che si chiudevano sulle sue per la preoccupazione e la
consapevolezza.
«Cassie… Dio…», sussurrò Adam.
Una violenta ondata di trionfo travolse Cassie. Adam
non riusciva a trattenersi. Sarebbe successo. Alberi e piante, quercia e agrifoglio, datelo a me, è lui che io voglio…
Che stava facendo?
Stava usando la magia su Adam? Voleva attirarlo con
parole provenienti da una qualche profonda sorgente di
conoscenza dentro di sé? Era un comportamento sbagliato,
vergognoso, e non solo perché un membro del circolo non
poteva lanciare un incantesimo su un altro membro inconsapevole.
Era sbagliato per Diana.
Diana, che l’aveva accettata come amica quando nessuno le parlava. Che l’aveva difesa da Faye e da tutta la
scuola. Anche se in quel momento Cassie non sopportava
l’idea di starle vicino, Diana riluceva nella sua mente come una stella luminosa. Se l’avesse tradita, avrebbe tradito
tutto ciò che era davvero importante nella sua vita.
Malvagia o no, Cassie non poteva farlo.
Ritrasse le mani dalle forti dita di Adam.
«Sto bene», disse con voce debole e incerta.
Adam tentò di riprenderle le mani. È questo il problema
con la magia, non sempre puoi fermare ciò che hai iniziato. «Adam, davvero», disse Cassie. Poi, disperatamente,
aggiunse: «Diana ti sta aspettando».
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Pronunciare quel nome cambiò subito la situazione.
Adam si bloccò per un istante e poi riaccompagnò Cassie
indietro, come Herne che riportava una ninfa ribelle al circolo. Cassie andò direttamente da Laurel. Di Nick nessuna
traccia. Be’, Cassie non poteva certo biasimarlo.
Diana stava parlando con Sally Waltman che, nonostante la morte di Jeffrey, sembrava fredda e distaccata. Adam
e Cassie rimasero con Laurel, Suzan e i rispettivi accompagnatori, e Sean e Deborah. Un’allegra combriccola di
streghe. Accanto c’era un gruppetto di esterni.
Stava cominciando un pezzo lento. Gli esterni si diressero verso la pista da ballo. Tranne una ragazza.
Era poco distante dai membri del club. Era una matricola che Cassie ricordava vagamente di aver visto alle lezioni di francese. Una ragazza timida, non bella, ma neppure
brutta. In quel momento stava fingendo di non curarsi del
fatto di essere stata abbandonata.
Cassie provò pena per lei. Povera ragazza. Fino a poco
tempo prima, si era trovata nella sua stessa situazione.
«Vuoi ballare?». Era la voce di Adam, calda e cordiale
– ma era indirizzata all’esterna, non a Cassie. La ragazza
s’illuminò, e andò felicemente sulla pista con Adam, le
scaglie del suo costume da sirena brillavano e luccicavano
sotto le luci. Cassie li osservò allontanarsi con una fitta al
cuore.
Ma non era gelosia. Era amore – e rispetto.
«Il cavaliere perfetto», disse Melanie.
«Cosa?», disse Cassie.
«È in un libro di Chaucer che abbiamo studiato al corso
di inglese. È Adam, il cavaliere perfetto», spiegò Melanie.
Cassie riflettè un attimo. Poi si rivolse a Sean. «Ehi,
secco, ti va di muoverci un po’?», disse.
Sean si illuminò.
“Be’”, pensò Cassie muovendosi al ritmo della musica
abbracciata a Sean, “una cosa è certa: questo ballo non ha
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nulla a che vedere con il precedente”. Quando aveva ballato con Adam, la palestra le era sembrata un luogo meraviglioso e incantato. Adesso vedeva solo figure di carta e tubi spogli sopra la testa. Almeno Sean, lo Scheletro Fosforescente, non ci stava provando troppo.
Dopo, altri ragazzi le chiesero di ballare, ma Cassie andò dritta da Nick, che nel frattempo si era rimaterializzato,
e si nascose dietro di lui. Almeno una parte del piano stava
funzionando – i pretendenti indietreggiarono. Tutti la volevano, ma nessuno poteva averla: era una sensazione
molto strana. Nick non le chiese per quale motivo prima
era corsa via, e Cassie non gli domandò che fine avesse
fatto lui.
Ballarono qualche pezzo. Nick non provò mai a baciarla.
E poi fu tempo di andare. Dopo aver salutato i rispettivi
accompagnatori, esterrefatti e leggermente indignati, i
membri del club si radunarono all’uscita. Neppure la dea
biondo paglia Afrodite ritardò. I due Zax identici, con gli
occhi a mandorla blu e verdi che scintillavano, erano già
fuori. Si incamminarono nelle tenebre. La luna splendeva
nel cielo; le stelle sembravano bruciare.
Sulla scogliera faceva freddo. Deborah e Faye si adoperarono per accendere un fuoco, qualcuno si sedette sui resti delle fondamenta della casa rasa al suolo e qualcun altro andò a prendere roba da mangiare nelle auto. Cassie
credeva che sarebbero stati tutti serissimi, ma il circolo era
di buon umore. Eccitati da quella notte, ridevano e scherzavano, sfidando la pericolosità di quel che avrebbero fatto di lì a poco. Cassie si fece prendere dai preparativi e
smise di pensare a quel che sarebbe accaduto.
C’era un mucchio di cibo. Semi di zucca secchi (“senza
sale”, disse Suzan), pan di zucca e pan di zenzero preparato da Diana, scatole di cioccolatini e ciambelle glassate
all’arancia portate da Adam, una ciotola di dolcetti tipici
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di Halloween da parte di Suzan, bibite analcoliche, sidro
speziato e un grosso sacchetto di carta che Chris agitava
tra le mani.
«Noccioline! Per la virilità!», urlò Doug facendo un gesto poco raffinato.
«Le nocciole simboleggiano la saggezza», disse Melanie con pazienza, ma i fratelli Henderson continuarono a
sghignazzare.
E poi c’erano le mele: rosse, verdi, gialle. «Mele per
l’amore e per la morte», disse Diana. «Soprattutto la notte
di Halloween. La dea Era le reputava sacre».
«Lo sapete che i semi della mela contengono cianuro?»,
aggiunse Faye sfoggiando uno strano sorriso. Stava sorridendo a Cassie sin da quando era rispuntata da dietro i festoni di carta in compagnia di Adam. Chinandosi in avanti
per prendere un po’ di pan si zenzero, le bisbigliò
all’orecchio: «Che è successo? Ti sei fatta sfuggire
l’occasione?».
«Non è carino fare le sciocche con i ragazzi impegnati», sussurrò Cassie con voce stanca, come se stesse parlando con una bimba di cinque anni.
Faye ridacchiò. «Carino? Vuoi che diventi il tuo epitaffio? “Qui giace Cassie, una ragazza… carina”?».
Cassie si voltò.
«Conosco un incantesimo delle mele», stava dicendo
Laurel al gruppo. «Sbucciate la mela in modo che la buccia formi una spirale integra e poi ve la gettate alle spalle.
Se non si rompe, formerà le iniziali del vostro vero amore».
Ci provarono, senza molto successo. Nessuno riuscì a
formare una spirale intera, Suzan si tagliò con il coltello di
Deborah, e quando Diana riuscì nell’impresa e lanciò la
buccia alle sue spalle, non successe nulla.
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«Be’, resta il fatto che la dea le considerava sacre», disse Laurel corrucciando la fronte. «E anche il dio cornuto»,
aggiunse maliziosamente, guardando Adam.
Cassie aveva rotto di proposito la buccia della sua mela; quell’incantesimo la metteva a disagio. E non solo perché a un certo punto Melanie disse allegramente: «Un
tempo le streghe finivano impiccate se venivano sorprese a
lanciare incantesimi simili la notte di Halloween».
«Io ne conosco un altro», disse Laurel. «Bisogna lanciare una nocciolina nel fuoco e fare due nomi. Tipo Suzan e David Downey», aggiunse maliziosamente. «Se la
nocciolina esplode, vuol dire che sono fatti l’uno per
l’altra. Se non esplode, tra loro non ci sarà mai niente».
«Se mi ama, esplodi e vola; se mi odia, brucia e muori», disse teatralmente Suzan mentre Laurel lanciava una
nocciolina nel fuoco. La nocciolina sfrigolò.
«Laurel e Doug», ridacchiò Chris, lanciando un’altra
nocciolina.
«Chris e Sally Waltman!», gli fece eco Doug.
«Cassie e Nick!».
Deborah lanciò la nocciolina sorridendo, anche se Faye
non ci trovava nulla di divertente.
«Adam…», disse Faye, prendendo una nocciolina tra
due dita e aspettando di avere l’attenzione di tutti. Cassie
la guardò, immobile sul mattone su cui era seduta. «… e
Diana», finì lanciando la nocciolina tra i ceppi ardenti.
Non aveva voglia di guardarla, ma si costrinse a farlo.
«Ci sono tante altre tradizioni legate alla notte di Halloween», stava continuando Laurel. «È il giorno in cui
vengono ricordati gli anziani, che si avvicinano all’inverno
della loro esistenza – o almeno è quello che dice mia nonna Quincey».
Cassie stava osservando la nocciolina. Sembrava muoversi a piccoli scatti – ma sarebbe scoppiata?
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«Si sta facendo tardi», disse Adam. «Non dovremmo
cominciare?».
Diana si spazzolò le briciole di pan di zucca dalle mani
e si alzò. «Sì».
Cassie distolse gli occhi dal fuoco, ma proprio in
quell’istante sentì un colpo simile a uno sparo. Due o tre
noccioline erano esplose contemporaneamente, e quando
Cassie tornò a guardare il fuoco non riuscì a distinguere
quella lanciata da Faye. Era scoppiata – oppure l’aveva
persa di vista. Chi poteva dirlo?
Subito dopo si chiese che fine avesse fatto la nocciolina
lanciata da Deborah – quella su Cassie e Nick. Ma non
riuscì a individuare neppure quella.
«Va bene», disse Diana. «Questo circolo dovrà essere
più potente del solito, perché avremo bisogno di più protezione di quanta ce ne sia mai servita. E occorrerà l’aiuto di
tutti». Lanciò un’occhiata a Faye, che rispose con uno
sguardo di totale innocenza.
Diana cominciò a tracciare un circolo intorno al fuoco
con il suo pugnale dal manico nero. Adesso tutti erano seri, gli occhi fissi sulla lama che stava tracciando un cerchio quasi perfetto. Diana lasciò un varco nell’angolo
nordest.
«Lo chiuderò dopo che saremo entrati tutti», disse Diana. Entrarono uno dietro l’altro e si sedettero sul perimetro
interno del cerchio. Solo Raj rimase fuori, osservando con
ansia e gemendo lievemente.
«E ora», disse Diana, chiudendo l’apertura con un colpo di pugnale, «che nessuno spezzi la catena. Ciò che
stiamo per evocare all’interno del circolo è molto pericoloso, ma è nulla in confronto a quel che resterà fuori».
«Quanto pericoloso?», disse nervosamente Sean. «Dentro il circolo, cioè».
«Se non ci avviciniamo al fuoco, saremo al sicuro»,
disse Diana. «Per quanto possa essere forte, lo spirito che
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evocheremo non potrà separarsi dalle fiamme. Va bene»,
aggiunse velocemente, «adesso invocherò la Torre di
Guardia dell’Est. Poteri dell’Aria, proteggeteci!».
Guardando il cielo scuro e l’oceano a est, Diana sollevò
un bastoncino di incenso acceso e ci soffiò sopra. «Pensate
all’aria!», disse ai membri della congrega, e
all’improvviso Cassie non solo ci pensò, ma l’avvertì, la
sentì. Dapprincipio era una brezza leggera proveniente da
est, ma poi cominciò ad aumentare d’intensità. Divenne
una raffica, un vento rabbioso che sferzava i loro volti,
gettando i capelli di Diana all’indietro come una bandiera.
E poi deviò, cominciando a soffiare tra i membri del circolo, accerchiandoli.
Diana prese un pezzo di legno in fiamme e si piazzò
davanti a Cassie, seduta nell’angolo più a sud. Facendole
oscillare il pezzo di legno al di sopra della sua testa, disse:
«Adesso invoco la Torre di Guardia del Sud. Poteri del
Fuoco, proteggeteci!».
Non ebbe bisogno di dire: «Pensate al fuoco». Cassie
già avvertiva il calore sulla pelle, immaginava lingue di
fuoco che le lambivano le spalle. Il fuoco si propagò in
circolo come se qualcuno avesse fatto esplodere della polvere da sparo.
Non è reale, si disse Cassie. Sono solo visualizzazioni
di simboli. Ma erano simboli terribilmente concreti.
Diana si spostò di nuovo. Dopo aver affondato le dita in
un bicchiere di carta, spruzzò dell’acqua sul perimetro occidentale, tra Sean e Deborah. «Invoco la Torre di Guardia
dell’Ovest. Poteri dell’Acqua, proteggeteci!».
Un’onda verde bottiglia apparve all’improvviso, si innalzò intorno al circolo e formò un muro d’acqua.
Infine, Diana si spostò verso nord, guardò Adam e gettò
del sale a terra. «Invoco la Torre di Guardia del Nord»,
disse. Le tremava leggermente la voce: lo sforzo doveva
essere tremendo. «Poteri della Terra, proteggeteci!».
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La terra tremò sotto i loro piedi.
La cosa prese Cassie alla sprovvista, ma l’effetto sugli
altri fu di gran lunga maggiore. Nel New England non erano abituati ai terremoti, ma Cassie era californiana. Si
accorse che Sean stava per balzare in piedi.
«Deborah, ferma Sean!», gridò.
La motociclista afferrò Sean e gli impedì di scappare.
Le scosse divennero sempre più violente… e infine, con
un rombo di tuono, la terra si aprì. Una voragine, da cui
proveniva una puzza penetrante di zolfo, si era creata intorno al circolo.
Non è reale, non è reale, si ripetè Cassie. Erano circondati dai fantasmi dei quattro elementi invocati da Diana: il
cerchio di vento, l’anello di fuoco, il muro di acqua e la
voragine nel terreno. Nulla poteva penetrare quelle barriere dall’esterno – e Cassie non era così sicura che fosse
possibile uscire, per coloro che erano già dentro.
Tremante, Diana andò a sedersi tra Nick e Faye. «Ok»,
disse, quasi sussurrando. «Adesso concentratevi sul fuoco
e lasciate che la notte faccia il resto. Vediamo se qualcosa
verrà a parlarci».
Gli occhi di Cassie scivolarono su Melanie, al suo fianco. «Ma se le protezioni non possono essere superate
dall’esterno, chi mai potrà venire?», mormorò.
«Qualcosa da dentro», sussurrò Melanie, guardando la
terra brulla all’interno del circolo. All’interno delle fondamenta della casa.
«Oh».
Cassie guardava le fiamme cercando di schiarirsi la
mente, per accettare qualunque cosa provasse a oltrepassare il velo tra il mondo invisibile e quello visibile. Era la
notte giusta, e quello era il momento giusto.
Dal fuoco si levarono alte nubi.
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C’era poco fumo, all’inizio, come se il legno fosse umido. Poi il fumo si fece più denso – sempre trasparente,
ma più scuro – e formò una nuvola sopra il fuoco.
Fu allora che cominciò la trasformazione.
Si contorceva e si espandeva, come nuvole che si ammassavano. Mentre Cassie guardava con il respiro bloccato in gola, il fumo cominciò ad assumere una forma.
La forma di un uomo.
Indossava abiti antiquati, come se ne vedono nei libri di
storia. Un cappello con una cupola a tesa rigida. Un mantello o un cappotto appoggiato sulle ampie spalle. Un colletto di lino rigido e largo. Brache allacciate sotto le ginocchia. Cassie credette di distinguere un paio di scarpe
squadrate, ma spesso la parte inferiore delle gambe si confondeva con il fumo. Notò che la figura non si staccava
mai dal fuoco, vi rimaneva sempre attaccata tramite un filo
sottile di fumo.
Era immobile, tranne per le volute di fumo che mulinavano incessantemente.
Poi cominciò a muoversi verso Cassie.
Era l’unica ad avercelo proprio di fronte. Un pensiero
improvviso le balenò nella mente. Quando Adam aveva
tirato fuori dallo zaino il teschio per la prima volta, le era
sembrato che guardasse lei in particolare. E aveva avuto la
stessa sensazione durante la cerimonia. Quando Diana aveva rimosso il panno, le orbite vuote sembravano fissare
direttamente Cassie.
E adesso anche questa cosa la stava guardando.
«Dovremmo fargli una domanda», disse Melanie, ma
persino la sua voce, solitamente calma, era titubante. La
figura fumosa aveva un che di minaccioso, di malvagio.
Come l’energia oscura all’interno del teschio, solo più forte. Più immediata.
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“Chi sei?”, pensò Cassie. Ma non aveva bisogno di fargli quella domanda. Non c’erano dubbi su chi fosse quella
cosa.
Black John.
Poi sentì la voce di Diana, chiara e calma. «Ti abbiamo
evocato perché abbiamo trovato qualcosa che ti appartiene», disse. «Dobbiamo sapere cosa farne. Ci parlerai?».
Nessuna risposta. Cassie pensò che la cosa si stesse avvicinando a lei, ma forse era solo un’impressione.
«Stanno accadendo cose terribili», disse Adam. «Bisogna fermarle».
Non era una sua impressione. Si stava avvicinando
davvero.
«Sei tu che controlli l’energia oscura?», chiese improvvisamente Melanie, e la voce di Laurel si sovrappose alla
sua: «Sei morto! Non hai alcun diritto di interferire con i
vivi».
«Che problemi hai», chiese Deborah.
“Troppo in fretta”, pensò Cassie. “Troppe domande”.
La figura era sempre più vicina. Cassie era paralizzata,
sembrava l’unica a rendersi conto del pericolo imminente.
«Chi ha ucciso Kori?», ringhiarono Chris e Doug.
«Perché l’energia oscura ci ha portati al cimitero?», intervenne Deborah.
«E cosa è successo a Jeffrey?», aggiunse Suzan.
La voluta di fumo che collegava quell’essere alle
fiamme si stava assottigliando. Ora era davanti a Cassie.
Aveva paura di guardare quel volto fumoso e indistinto,
ma doveva farlo. Quando alzò lo sguardo, credette di riconoscere il volto che aveva visto all’interno del teschio di
cristallo.
Alzati, Cassie.
Le parole, che Cassie sentiva solo nella sua mente, avevano uno strano potere su di lei. Cassie cominciò ad alzarsi.
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Seguimi, Cassie.
Gli altri stavano ancora facendo domande. In lontananza, Cassie riusciva a sentire un cane che abbaiava debolmente. La voce nella sua mente era di gran lunga più forte.
Cassie, vieni.
Si alzò. L’oscurità mulinante adesso sembrava meno
trasparente. Più solida. E poi allungò una mano dai contorni indefiniti.
Cassie fece altrettanto.
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CAPITOLO 5
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«Cassie, no!».
In seguito Cassie avrebbe capito che era stata Diana a
gridare. Ma in quel momento quelle parole le giunsero
come attraverso una nebbia, lente e strascicate. Senza senso, come l’incessante e folle latrato che proseguiva chissà
dove. Le dita di Cassie sfiorarono la mano oscura.
Avvertì una scossa simile a quella provocata
dall’ematite. Alzò la testa, scioccata, e vide il volto fumoso e turbinante, e lo riconobbe…
Poi tutto andò in frantumi.
Cassie si ritrovò zuppa d’acqua dalla testa ai piedi. I
ceppi ardenti si spensero in un sibilo. La figura si assottigliò fino a dissolversi, come se fosse stata risucchiata dal
fuoco. Un fuoco che adesso non era altro che un cumulo di
ceppi carbonizzati e fradici.
Adam era in piedi dall’altra parte del circolo, con un estintore in mano. Raj era alle sue spalle, il pelo rizzato, le
labbra dischiuse sui denti ringhianti.
Cassie spostò lo sguardo dalla sua mano agli occhi
sgranati di Adam. Poi tutto divenne grigio, e svenne.
«Sei al sicuro. Resta sdraiata». La voce sembrava giungere da molto lontano, ed era gentile ma autoritaria. “Diana”, pensò distrattamente Cassie, avvertendo il forte desiderio di stringerle la mano. Ma era troppo faticoso muoversi o aprire gli occhi.
«Ecco l’acqua di lavanda», disse un’altra voce, più leggera e frettolosa. Laurel. «Tamponala così…».
Cassie sentì il liquido fresco sulla fronte e sui polsi. Un
odore dolce e pulito le schiarì un poco la testa.
Adesso riusciva a sentire altre voci. «… forse, ma ancora non capisco come abbia fatto Adam. Io non riuscivo a
muovermi – ero paralizzata». Deborah.
«Anch’io! Era come se fossi ancorato al terreno». Questo era Sean.
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«Adam, ti fai dare un’occhiata da Laurel? Per favore?
Sei ferito». Era Melanie, e all’improvviso Cassie riuscì ad
aprire gli occhi. Si mise a sedere e un panno fresco dalla
fronte le cadde sul grembo.
«No, Cassie, non ti muovere», disse Diana, cercando di
spingerla di nuovo giù. Cassie stava guardando Adam.
I suoi meravigliosi capelli ribelli erano arruffati più del
solito. La pelle era arrossata, sembrava uno sciatore con
una brutta scottatura, e i vestiti erano sgualciti e umidi.
«Sto bene», disse a Melanie, che cercava di convincerlo a
sedersi su una sedia.
«Che è successo? Dove siamo?», disse Cassie. Era stesa
su un divano in un salotto modesto. Sapeva che conosceva
bene la stanza, ma era troppo confusa per capire dove si
trovasse.
«Sei a casa di Laurel», disse Diana. «Non volevamo
mettere in allarme tua madre e tua nonna. Sei svenuta;
Adam ti ha salvato la vita».
«Ha superato i quattro circoli di protezione», disse Suzan, con una evidente nota di soggezione nella voce.
«Stupido», commentò Deborah. «Ma impressionante».
E poi arrivarono le parole strascicate di Faye: «Ha dimostrato una devozione incredibile».
Ci fu una pausa di sorpresa. Poi Laurel disse: «Oh, lo
sai che Adam e il senso del dovere sono una cosa sola».
«L’avrei fatto anch’io – e anche Doug – se fossimo riusciti ad alzarci», insistè Chris.
«E se ci aveste pensato – cosa in cui non eccellete»,
disse Nick, con voce secca e dura, e un’espressione tetra.
Cassie stava guardando Laurel mentre tamponava la
faccia e le mani di Adam con un panno bagnato. «È aloe e
scorza di salice», spiegò Laurel. «Impedisce che le bruciature peggiorino».
«Cassie», disse gentilmente Diana, «ricordi cosa è successo prima di svenire?»
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«Uh… stavate facendo delle domande – troppe domande. E poi… non so, una voce ha cominciato a parlarmi nella testa. Quell’essere mi stava guardando…». Cassie ebbe
un’intuizione improvvisa. «Diana, quando tenemmo la cerimonia nel tuo garage, ricordi in che posizione era il teschio sotto il panno?». Diana annuì. «L’avevi posizionato
in modo che guardasse in una particolare direzione?».
Diana sembrava stupita. «Ora che mi ci fai pensare,
c’era qualcosa che non mi quadrava. Avevo sistemato il
teschio in modo che, una volta seduta, me lo sarei ritrovato
davanti – ma quando levai il panno, guardava nella direzione opposta».
«Nella mia direzione», disse Cassie. «Il che vuol dire
che qualcuno l’ha spostato… o si è spostato da solo». Si
stavano guardando, erano confuse e sconvolte, ma comunicavano. Cassie si sentiva vicina a Diana come non succedeva da settimane. Pensò che fosse il momento giusto
per cucire il loro rapporto.
«Diana», cominciò, ma proprio allora notò qualcosa. La
maschera di Adam con le corna e le foglie di quercia era
appoggiata su una sedia, e Diana la accarezzava come se
avesse bisogno di conforto. Era un gesto automatico – e
assolutamente rivelatore. Un forte risentimento le strinse il
cuore. Herne e la dea Diana appartenevano l’uno all’altra,
vero? E Diana lo sapeva. Più tardi, quella notte stessa, avrebbero celebrato la loro personale cerimonia, quella di
cui le aveva parlato Faye.
Cassie alzò gli occhi e scoprì che Faye la stava guardando, con un’espressione piena di ironia. Sorrideva debolmente.
«Allora?», stava dicendo Diana. «Cassie?»
«Niente». Cassie spostò lo sguardo sul logoro tappeto
viola sul pavimento di legno. «Niente. Adesso mi sento
meglio», aggiunse. Era vero, il senso di disorientamento
era quasi sparito, ma non il ricordo di quel volto indistinto.
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«Che brutto modo di chiudere Halloween», disse Laurel.
«Saremmo dovute restare al ballo», disse Suzan, sedendosi con le gambe incrociate. «Non abbiamo scoperto nulla, e Cassie si è fatta male», aggiunse dopo una breve pausa.
«Ma abbiamo capito qualcosa. Tipo che il fantasma di
Black John è ancora in circolazione – ed è malvagio», disse Adam. «Non avrebbe mai risposto a nessuna delle nostre domande».
«Ed è potente», disse Diana. «Abbastanza da immobilizzarci». Poi guardò Cassie. «Tranne te. Chissà come
mai».
Cassie si sentì un po’ a disagio e scrollò le spalle.
«Non importa quanto sia forte», disse Melanie. «Tra
poco, quando Halloween sarà finito, non avrà più alcun
potere».
«Ma non abbiamo scoperto nulla sul teschio. O su Kori», disse Doug, insolitamente serio.
«E io non credo neppure che Black John sia – com’è
che hai detto prima, Adam? – maligno», intervenne Faye.
«Forse semplicemente non gli andava di parlare».
«Oh, non dire sciocchezze», cominciò Laurel.
Prima che potesse nascere una discussione, Diana disse:
«Sentite, è tardi e siamo tutti stanchi. Stanotte non risolveremo nulla. Se Cassie sta bene, credo che dovremmo andarcene tutti a casa a riposare».
Ci fu una pausa, e poi cenni di assenso.
«Possiamo riparlarne a scuola – o al compleanno di
Nick», disse Laurel.
«Cassie l’accompagno io», disse Nick sulla porta.
Cassie gli lanciò un’occhiata veloce. Non aveva detto
granchè mentre era stesa sul divano, ma le era stato vicino. Era andato lì insieme agli altri per accertarsi che stesse
bene.
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«Allora Deborah verrà con me», disse Melanie.
«All’andata l’hai accompagnata tu, vero?»
«Posso venire anch’io? Sono stanca morta», disse Diana, e Melanie annuì.
Cassie quasi non si accorse degli altri saluti. La sua attenzione era tutta per Adam, diretto a nord con la sua Jeep
Cherokee, e per Diana, diretta a sud con Melanie e Deborah.
“Niente cerimonia Herne-Diana questa sera”, pensò
Cassie, e sentì un’ondata di sollievo. Sollievo – e una leggera felicità meschina. Era sbagliato, era cattivo – ma era
quel che sentiva.
Mentre saliva sull’auto di Nick, vide Faye che le stava
sorridendo con le sopracciglia inarcate, e prima che se ne
rendesse conto, Cassie sorrise a sua volta.
Il giorno dopo, quando Cassie uscì di casa, rimase
scioccata. Gli aceri da zucchero dall’altra parte della strada
erano cambiati. Gli accesi colori autunnali che le avevano
ricordato il fuoco non c’erano più. E neppure le foglie. I
rami erano tutti spogli.
Sembravano scheletri di Halloween.
«Nick non ci lascerà fare grandi cose per il suo compleanno di domani», disse Laurel. «Peccato non poter organizzare un vero party a sorpresa».
Deborah grugnì. «Se ne andrebbe».
«Lo so. Be’, penseremo a qualcosa che non reputi troppo infantile. E…», s’illuminò Laurel, «possiamo fare una
festa unica anche per gli altri compleanni».
«Gli altri compleanni?», disse Cassie.
Le ragazze la guardarono. Erano riunite nel salottino
della mensa, mentre i ragazzi tenevano impegnato Nick.
«Vuoi dire che non sai niente della stagione dei compleanni?», chiese Suzan incredula. «Diana non ti ha detto
nulla?».
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Diana aprì la bocca ma la richiuse subito. “Non sa come dare a tutti la notizia che noi due non ci parliamo più,
almeno non in privato”, pensò Cassie.
«Vediamo se ricordo tutto», disse Faye ridacchiando,
gli occhi al soffitto. Cominciò a contare sulle dita con le
lunghe e lucenti unghie scarlatte. «Nick il 3 novembre,
Adam il 5 novembre, Melanie il 7 novembre. Il mio – e
oh, sì, anche quello di Diana – il 10 novembre…».
«Stai scherzando?», la interruppe Cassie.
Laurel scosse la testa mentre Faye continuava imperterrita. «Quello di Chris e Doug cade il 17 novembre, quello
di Suzan il 24 e quello di Deborah il 28. Quello di Laurel
cade… uhm…».
«Il primo dicembre», disse Laurel. «E quello di Sean,
l’ultimo, è il 3 dicembre».
«Ma è…», la voce di Cassie si spense. Non riusciva a
crederci. Nick era più vecchio di Sean di un solo mese? E
tutte le altre streghe avevano solo otto o nove mesi più di
lei? «Ma tu e Sean siete al mio stesso anno», disse a Laurel. «E il mio compleanno è il 23 luglio».
«Chi è nato dopo il 30 novembre è stato costretto a iscriversi all’anno scolastico successivo. E così abbiamo
dovuto guardare gli altri che andavano a scuola mentre noi
restavamo a casa». Si asciugò lacrime immaginarie.
«Eppure…». Cassie non riusciva a capacitarsi. «Non
pensate che sia strano? Siete nati tutti nell’arco di un mese».
Suzan sorrise maliziosamente. «Quell’aprile faceva
molto freddo. I nostri genitori non uscirono mai di casa».
«Sembra strano, lo ammetto», disse Melanie. «Ma il
fatto è che quasi tutti i nostri genitori si sposarono la primavera precedente, quindi non c’è nulla di così sorprendente».
«Ma…». Cassie continuava a pensare che fosse incredibile, anche se era chiaro che gli altri non ci facevano più
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caso. “E perché io sono nata a mesi di distanza da tutti gli
altri?”, pensò Cassie. “Forse perché sono per metà esterna”. Scrollò le spalle. Probabilmente Melanie aveva ragione, e comunque non c’era motivo di preoccuparsi. Lasciarono cadere quell’argomento e tornarono a occuparsi del
party di Nick.
Decisero di raggruppare tutti i compleanni della prima
settimana – quello di Nick, Adam e Melanie – e fare un
unico party il 7 novembre, di domenica.
«E...», disse Laurel, quando spiegarono il loro piano ai
ragazzi, «sarà davvero speciale. Non fate domande – ma vi
garantisco che sarà unico».
«Uh, non ci farete mica mangiare roba sana, vero?»,
disse Doug, sospettoso.
Le ragazze si guardarono, soffocando una risata. «Be’,
per essere sano è sano, o almeno così pensa qualcuno»,
disse Melanie. «Dovete avere solo un po’ di pazienza».
«Moriremo congelati», disse Sean, terrorizzato.
«Non con questo», rise Laurel mostrando un thermos.
«Laurel». Adam stava facendo un grosso sforzo per non
ridere. «Non m’interessa cosa c’è li dentro – non riuscirà a
tenerci caldi lì».
Una luna argentata, quasi piena, scintillava su un mare
color ossidiana. Adam stava indicando l’acqua.
«Non è mica cioccolata», gli disse Deborah, impaziente. «È un mix di nostra creazione».
I cinque ragazzi erano in fila dietro Laurel. Avevano
acceso un falò sulla spiaggia, ma il fuoco non poteva nulla
contro il vento gelido.
«Non ci crederanno mai», disse Faye, e Diana aggiunse: «Mi sa che è meglio mostrarglielo».
Laurel svitò il thermos. Cassie fece un respiro profondo
e bevve un sorso. Il liquido era caldo e sapeva di medicina
– sembrava uno dei peggiori infusi alle erbe di Laurel –
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ma nel momento stesso in cui lo buttò giù, una sensazione
di calore le attraversò il corpo. Non aveva più bisogno del
magione ingombrante. All’improvviso faceva molto caldo.
«Al mare, voi mistici», disse Melanie. Cassie non era
sicura di cosa volesse dire, ma come le altre si stava liberando dei vistiti di troppo. I ragazzi stavano strabuzzando
gli occhi.
«La voglio anch’io una festa di compleanno così», disse Sean, mentre Faye si sbottonava la giacca rossa. «Ok?
Ok? Voglio…».
I ragazzi rimasero leggermente delusi quando scoprirono che le ragazze indossavano il costume da bagno.
«Ma noi che facciamo?», disse Adam, avvicinando il
thermos al naso e sorridendo alle ragazze in bikini.
«Be’…», sorrise Faye. «Improvvisate».
«Oppure…», intervenne Diana, «potreste andare a
guardare dietro quella grossa roccia. Potrebbero esserci
dei costumi da bagno per voi».
«Questo sì che è qualcosa di diverso», disse Laurel a
Cassie poco dopo, felice. Erano tutti in acqua. «Una nuotata di mezzanotte a novembre. Un vero party da streghe».
«Sarebbe stato meglio se fossimo stati nudi», commentò Chris, scuotendo la testa bionda come un cane intirizzito.
Cassie e Laurel si scambiarono un’occhiata, e poi guardarono Deborah che galleggiava nelle vicinanze.
«Ottima idea», disse Deborah, facendo un cenno alle altre ragazze. «Che ne dici di cominciare tu, Chris?».
«Aspettate… non intendevo… ehi Doug aiuto!».
«Andiamo, ragazze», urlò Laurel. «Chris vuole spogliarsi, ma è un po’ timido».
«Aiuto! Ragazzi, aiutatemi!».
Ne venne fuori una specie di incrocio tra il nascondino
e il wrestling acquatico. Parteciparono tutti. Nick si lanciò
all’inseguimento di Cassie che cercò di fuggire sollevando
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grossi schizzi d’acqua. Nick, continuando a nuotare, le arrivò abbastanza vicino da afferrarla.
«Aiuto!», strillò Cassie ridendo, cosa che le fece bere
accidentalmente l’acqua salata. Ma nessuno poteva aiutarla. Laurel e Deborah stavano guidando un assalto contro i
gemelli Henderson, e Adam e Diana erano distanti.
Nick si scostò i capelli bagnati dagli occhi – più scuri
dell’onice sotto i raggi della luna – e le sorrise. Cassie non
lo aveva mai visto sorridere prima di allora. «Arrenditi»,
le suggerì.
«Mai», disse Cassie, con tutta la dignità di cui era capace, mentre piccole onde le schiaffeggiavano il volto. Nick
era bellissimo – ma non voleva che la catturasse davanti a
tutti. Nick l’afferrò di nuovo e Cassie riprese a strillare in
cerca di aiuto. All’improvviso una grossa onda si abbattè
su di loro.
«Via, sparisci!», disse Faye. I suoi occhi brillavano in
modo selvaggio sotto le ciglia bagnate. «O ti dobbiamo
costringere? Cassie, tienilo da dietro mentre io gli sfilo i
boxer!».
Cassie non aveva idea di come bloccare un ragazzo forte come Nick, soprattutto adesso che era piegata in due
dalle risate, ma ci provò comunque. Faye nuotava come un
delfino. Nick si divincolò e si allontanò il più velocemente
possibile.
Cassie guardò Faye, che le stava sorridendo a mezza
bocca. Cassie sorrise a sua volta.
«Grazie», disse.
«Figurati», disse Faye. «Lo sai che farei qualsiasi cosa
per un’amica. E noi due siamo amiche, vero Cassie?».
Cassie riflettè sulle sue parole. «Credo di sì», disse alla
fine, lentamente.
«Bene. Perché, Cassie, sta per arrivare un momento in
cui mi serviranno tutti i miei amici. Martedì prossimo ci
sarà la prossima luna piena e il circolo si riunirà».
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Cassie annuì, ma non capì subito dove Faye volesse arrivare. Ovvio che ci sarebbe stato un incontro. E un altro
party: era il compleanno di Faye e Diana. Avrebbero compiuto entrambe diciassette anni…
«L’elezione del leader!», disse Cassie, ingoiando involontariamente un sorso di acqua salata. Guardò Faye con
improvvisa e terribile apprensione. «Faye…».
«Esatto», disse Faye. Sotto i raggi della luna sembrava
una sirena, in grado di restare a galla senza sforzo. Gli
splendidi capelli bagnati le scivolavano sulla schiena come
alghe. Gli occhi erano fissi su quelli di Cassie. «Voglio diventare il leader della congrega, Cassie. Io diventerò il
leader, e tu mi aiuterai».
«No».
«Sì. Perché questa volta non scherzo. Ci sono andata
leggera con te, ti ho lasciata in pace. Ma ora basta, Cassie.
È la cosa che desidero di più al mondo, e tu mi aiuterai.
Altrimenti…». Faye si girò a guardare Adam e Diana che
stavano nuotando in lontananza.
Altrimenti dirò tutto a Diana, e non solo del piacevole
scambio di effusioni sulla scogliera. Le racconterò che tu e
Adam vi siete baciati al ballo di inizio anno – credevi che
nessuno ti avesse visto? E il vero motivo per cui Adam è
passato attraverso quattro circoli di protezione durante la
cerimonia di Halloween. E…», si avvicinò a Cassie, gli
occhi impassibili come quelli di un falco, «le dirò di come
le hai sottratto il teschio e me lo hai consegnato, e che
questo ha causato la morte di Jeffrey».
«Le cose non sono andate così! Non te lo avrei mai dato se avessi saputo…».
«Ne sei certa, Cassie?». Faye le rivolse un calmo sorriso d’intesa. «Io credo che in fondo noi due siamo molto
simili. Siamo… sorelle. E se martedì non mi voterai, farò
in modo che tutti sappiano la verità sul tuo conto. Dirò
come sei veramente dentro».
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“Malvagia”, pensò Cassie, fissando l’oceano che rifletteva la luce della luna come uno specchio, o un pezzo di
ematite. Si arrese. Non riusciva a parlare.
«Pensaci, Cassie», disse Faye gentilmente. «Hai tempo
fino a martedì sera per prendere la tua decisione». E poi
Faye si allontanò.
Martedì sera.
La luna piena splendeva sopra il circolo tracciato sul
terreno. I membri del club vi erano seduti intorno. Diana,
che indossava i simboli della Regina delle Streghe, aveva
invocato i quattro elementi e si era zittita. Era Melanie che
chiamava il voto, dal più anziano al più giovane.
«Nicholas», disse.
«Già te l’ho detto», disse Nick. «Non voto. Sono qui
perché voi due avete insistito», disse guardando Faye e
Diana, «ma mi asterrò».
Cassie provava la strana sensazione che tutto quello che
stava accadendo fosse irreale. Guardò Nick, bellissimo e
freddo. Lui si era astenuto, perché lei non poteva fare altrettanto? Ma sapeva che così non avrebbe accontentato
Faye, a meno che non avesse già la vittoria assicurata. E
Cassie, come tre sere prima, non aveva idea di chi avrebbe
votato. Se solo avesse avuto più tempo…
Ma non c’era tempo. Melanie aveva ricominciato a parlare.
«Adam».
La voce di Adam fu chiara e ferma. «Diana».
Da una pila di pietre rosse e bianche che aveva davanti,
Melanie prese una pietra bianca. «Anch’io voto Diana,
disse, e spostò un’altra pietra bianca.
«Faye?».
Faye sorrise. «Voto me stessa».
Melanie spostò una pietra rossa. «Diana».
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«Anche io voto me stessa», disse tranquillamente Diana.
Una terza pietra bianca. Poi Melanie disse: «Douglas».
Doug sfoggiò uno dei suoi sorrisi più selvaggi. «Ovviamente voto per Faye».
«Christopher».
«Uh…». Chris sembrava confuso. Nonostante
l’espressione accigliata di Faye e gli affannosi consigli di
Doug, strizzava gli occhi guardando nel vuoto come se
stesse cercando una decisione perduta. Alla fine sembrò
trovarla e disse a Melanie. «Ok, Diana».
Tutti si voltarono a guardarlo. Lui rispose con uno
sguardo di sfida. Le dita di Cassie si strinsero con forza intorno al pezzo di ematite in tasca.
«Chris, brutto…», cominciò Doug, ma Melanie lo zittì.
«Doug, è vietato parlare», disse, e spostò una quarta
pietra bianca accanto alle due rosse. «Suzan».
«Faye».
Tre rosse, quattro bianche. «Deborah».
«Tu che pensi?», sbottò Deborah. «Faye».
Quattro rosse, quattro bianche. «Laurel», disse Melanie.
«Diana è sempre stata il nostro leader, e continuerà a
esserlo», disse Laurel. «Voto per lei».
Melanie spostò una quinta pietra bianca, con un lieve
sorriso sulle labbra. «Sean».
Gli occhi neri di Sean si muovevano nervosamente. «Io…». Faye lo fissava. «Io… io… Faye», disse, e abbassò
la testa.
Melanie scrollò le spalle e spostò un’altra pietra rossa.
Cinque rosse, cinque bianche. Anche se i suoi occhi grigi
erano seri, stava chiaramente sorridendo. I sostenitori di
Diana si erano rilassati, e si stavano scambiando sorrisi da
una parte all’altra del circolo.
Melanie si voltò con sicurezza verso l’ultimo membro
della congrega e disse: «Cassandra».
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CAPITOLO 6
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«Cassie», ripetè Melanie.
Tutti gli occhi erano puntati su di lei. Cassie riusciva a
sentire il calore di quelli dorati di Faye su di sé, e capì perché Sean prima si era sentito a disagio. Erano più caldi del
muro di fuoco evocato da Diana durante la cerimonia di
Halloween.
Distolse lo sguardo, come se fosse costretta a farlo da
una qualche forza superiore. Anche Diana la stava guardando. I suoi occhi erano simili a una pozza d’acqua ricoperta di foglie verdi. Sembrava che Cassie non potesse fare a meno di guardarli.
«Cassie?», disse Melanie per la terza volta. Nella sua
voce faceva capolino un’esile traccia di dubbio.
Ancora incapace di togliere lo sguardo dagli occhi di
Diana, Cassie sussurrò: «Faye».
«Cosa?», urlò Laurel.
«Faye», ripetè Cassie a voce troppo alta. Stava stringendo con forza il pezzo di ematite in tasca. La pietra
fredda le stava gelando la mano. «Ho detto Faye, va bene?», disse a Melanie, ma guardando Diana.
I suoi occhi verdi erano sconcertati. Poi, improvvisamente, si rese conto di cosa era successo, come se qualcuno avesse scagliato una pietra in quella tranquilla pozza
d’acqua. E quando Cassie si accorse che Diana aveva finalmente compreso, qualcosa dentro di lei morì per sempre.
Cassie non ricordava per quale motivo aveva votato
Faye. Non ricordava come era cominciato tutto, come era
arrivata a fare una cosa del genere. Tutto quel che sapeva
era che il freddo si stava propagando dalla mano al braccio
e al resto del corpo, e che ormai non c’era modo di tornare
indietro.
Melanie era immobile, stordita, e non aveva ancora
spostato l’ultima pietra rossa. Sembrava essersene dimen-
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ticata. Fu Deborah a chinarsi in avanti e a spostare la sesta
pietra rossa.
Quel gesto, e la vista delle sei pietre rosse accanto alle
cinque bianche, resero reale il tutto. L’atmosfera era carica
di elettricità mentre tutti si sporgevano in avanti a guardare.
Lentamente, Melanie disse: «Faye è il nuovo leader
della congrega».
Faye si alzò.
Non era mai stata così alta e bella come in quel momento.
Porse una mano a Diana senza dire una parola. Ma non
era un gesto di amicizia, Faye, con la mano aperta, stava
chiedendo qualcosa. Anche Diana si alzò, molto lentamente, e si sfilò il bracciale d’argento.
Adam osservava la scena sbalordito. Poi scattò in piedi.
«Aspettate un momento…».
«È inutile, Adam», disse Melanie con voce vuota. «La
votazione si è svolta regolarmente. Nulla potrà cambiare le
cose».
Faye prese il bracciale con le misteriose iscrizioni in
runico e se lo allacciò sul braccio nudo. Risplendeva contro la sua pelle color miele.
Diana stava tentando di slacciarsi la giarrettiera con dita
tremanti. Laurel, mormorando qualcosa e asciugandosi le
lacrime con un gesto rabbioso, le si inginocchiò davanti
per darle una mano. Dopo essere riuscita a sfilare la giarrettiera di cuoio verde e seta blu, si alzò con l’aria di volerla lanciare addosso a Faye.
Ma Diana gliela prese di mano e la porse a Faye.
Faye indossava la stessa tunica nera che aveva al ballo
di Halloween, quella con lo spacco sulle cosce. Si allacciò
la giarrettiera intorno alla coscia sinistra.
Diana si portò le mani alla testa per prendere il diadema. Mentre se lo sfilava, piccole ciocche di capelli, del co-
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lore del sole e della luna fusi insieme, vi rimasero impigliate.
Faye quasi glielo strappò di mano.
Poi lo sollevò, come se volesse mostrarlo alla congrega,
ai quattro elementi, al mondo, e se lo calcò in testa.
La luna crescente risaltava sulla scura criniera dei suoi
capelli.
Il circolo esalò un respiro collettivo.
Cassie non sapeva come era riuscita ad alzarsi, ma
all’improvviso stava correndo come un fulmine verso
l’oceano, i piedi che affondavano nella sabbia bagnata.
Corse finchè una mano sulla spalla la bloccò.
«Cassie!», disse Adam. I suoi occhi la fissavano, come
se stessero cercando la sua anima.
Cassie si divincolò.
«Cassie, so che non volevi farlo! Ti ha costretta, vero?
Cassie, dimmelo!».
Cassie provò a divincolarsi di nuovo. Perché continuava a tormentarla? All’improvviso si sentiva furiosa con
Adam e Diana per la fiducia che avevano in lei.
«Lo so che ti ha costretta», disse Adam con veemenza.
«Non mi ha costretta nessuno!», quasi urlò Cassie. Poi
smise di resistere. Rimasero a guardarsi, entrambi con il
fiatone.
«Sarà meglio che torni indietro», disse Cassie. «Abbiamo promesso di non restare mai più da soli. Ricordi il
giuramento? Non che ultimamente per te sia stato un grosso problema mantenerlo, vero?».
«Cassie, ma che sta succedendo?»
«Non sta succedendo niente! Adesso vattene, Adam.
Solo che…». Prima che riuscisse a fermarsi, Cassie afferrò
Adam e lo attirò a sé. E lo baciò. Fu un bacio duro e rabbioso, e quando lo lasciò, Cassie era sbalordita quanto lui.
Si guardarono senza dire una parola.
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«Torna indietro», disse Cassie, che quasi non riusciva a
sentire la propria voce a causa del sangue che le pulsava
nelle orecchie. Era finita, era tutto finito. Aveva così freddo… non solo sulla pelle, ma dentro, nel profondo, stava
gelando. Gelando come ghiaccio nero. Tutto intorno a lei
era nero.
Aggirò Adam e tornò al falò.
«Cassie!».
«Torno di là. Per congratularmi con il nuovo leader».
Il circolo era in preda al caos. Laurel stava piangendo,
Deborah urlava, Chris e Doug sembravano due gatti selvatici sul punto di azzuffarsi. Sean si nascondeva dietro Faye
per tenersi a distanza da una Melanie disgustata. Suzan
stava dicendo a Chris e Doug di smetterla di comportarsi
da ragazzini. In tutto questo, Faye rideva. Solo Nick e Diana erano completamente immobili. Il primo stava fumando in silenzio, lontano dagli altri e li fissava con occhi
socchiusi.
Diana era rimasta ferma dove Cassie l’aveva lasciata
quando era corsa via. Sembrava che non si rendesse conto
di quanto le stava accadendo intorno.
«Chiudete tutti il becco!», stava urlando Deborah quando Cassie tornò. «Adesso è Faye che comanda».
«Esatto», disse Suzan. Chris e Doug si stavano spintonando. Suzan vide Cassie e disse maliziosamente: «Giusto, Cassie?».
Improvvisamente scese il silenzio. Tutti stavano guardando lei.
«Giusto», disse Cassie, con una voce dura come la roccia.
Chris e Doug smisero di spintonarsi. Laurel cessò di
piangere. Rimasero tutti immobili mentre Cassie andava a
piazzarsi alle spalle di Faye, unendosi al suo gruppo. Ma
da quella posizione avrebbe anche potuto darle una coltellata nella schiena.
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Se Faye era preoccupata, non lo dava a vedere. «Ok»,
disse. «Avete sentito Deborah. Sono io il leader. E ora darò il mio primo ordine». Si voltò leggermente verso Cassie. «Tu vai a prendere il teschio. Quanto agli altri… seguitemi al cimitero».
«Cosa?», urlò Laurel.
«Sono il leader, e userò i miei poteri invece di restarmene seduta con le mani in mano. All’interno del teschio
c’è dell’energia, energia che potrebbe tornarci utile. Cassie, sei ancora qui?».
Adesso tutti stavano parlando, litigando, urlando minacce. Le cose non erano mai andate così quando il leader
era Diana. Adam gridava, chiedeva a Faye se per caso non
fosse impazzita. Solo Nick e Diana sembravano imperturbabili: Nick osservava la scena e Diana fissava qualcosa
che solo lei poteva vedere.
Melanie stava cercando di riportare tutti alla calma, ma
senza riuscirci. Una parte distante e distaccata della mente
di Cassie notò che se Diana fosse intervenuta in quel momento, se Diana avesse preso il controllo della situazione,
la congrega l’avrebbe ascoltata. Ma Diana non fece nulla.
E le urla continuavano a salire d’intensità.
«Va’ a prenderlo, Cassie», ringhiò Faye, digrignando i
denti. «O ci andrò io».
Cassie sentì il Potere che le stava crescendo intorno. Il
cielo era tirato come la pelle di un tamburo, come la corda
di un’arpa pronta a essere pizzicata. L’oceano alle sue
spalle vibrava di forza repressa. Poteva sentirlo nella sabbia sotto i piedi, nelle fiamme guizzanti del falò.
Ricordò cosa aveva fatto al dobermann al campo delle
zucche, quando aveva sprigionato una qualche specie di
forza, concentrata come un raggio laser. Si accorse che
stava per accadere di nuovo. Era connessa con tutti gli elementi; il potere aspettava solo di essere liberato.
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«Black John ci lascerà il suo potere. Ce lo darà, se glielo chiediamo nel modo corretto», stava urlando Faye. «Lo
so, ho comunicato con lui. Ma dobbiamo chiederglielo».
“Ha comunicato con lui?”, pensò Cassie. La prima volta che le aveva portato il teschio? O successivamente?
«Ma perché al cimitero?», stava gridando Melanie.
«Perché lì?»
«Perché è quel che ha detto lui», sbottò impazientemente Faye. «Cassie, per l’ultima volta! Va’ a prendere il teschio!».
Gli elementi erano schierati dietro di lei. Cassie stava
fissando la nuca di Faye. Ma poi ricordò qualcosa. Lo
sguardo negli occhi di Diana quando Cassie aveva dato il
suo voto a Faye… oh, a che sarebbe servito ucciderla ora?
Era tutto finito.
Cassie girò su se stessa e si diresse verso il luogo dove
era sepolto il teschio.
«Come fa a sapere dove…», cominciò Melanie, e la risata di Faye la interruppe. Dunque anche il fatto che Cassie aveva rubato il teschio non sarebbe più stato un segreto. Diana non aveva mai rivelato a nessuno il punto esatto
in cui era sepolto il teschio, neppure ad Adam. Iniziò a
correre perché non voleva sentire il seguito.
Scavò in mezzo alle pietre annerite finchè le sue dita
sfiorarono il tessuto che avvolgeva il teschio. Poi scavò
tutt’intorno e lo tirò fuori dalla sabbia, ancora una volta
sorpresa dal suo notevole peso. Cassie tornò barcollando
da Faye.
Deborah le corse incontro. «Da questa parte», disse, intercettando Cassie prima che potesse raggiungere il gruppo. «Muoviti!». Si arrampicarono verso la scogliera. Cassie vide la motocicletta di Deborah.
«Faye aveva previsto tutto», disse Cassie. Guardò Deborah, e con voce leggermente più alta ripetè: «Faye aveva
previsto tutto!».
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«Sì. E allora?». Deborah sembrava perplessa; un bravo
soldato abituato a prendere ordini dal proprio superiore.
Che importava a Cassie che Faye avesse previsto tutto?
«Potrebbe avere delle difficoltà a convincere gli altri a venire al cimitero, ma vuole essere certa che almeno noi ci
saremo», le spiegò Deborah.
«Non capisco come possa convincere tutti», disse Cassie, guardando il gruppo in basso. Una strana follia sembrava essersi impossessata di alcuni di loro; qualunque cosa stesse dicendo Faye, stava scatenando un putiferio. Suzan si era messa in marcia, e Doug stava quasi trascinando
Chris. Faye stava spintonando Sean.
«Siamo in sette; Faye ha detto che è sufficiente», disse
Deborah allontanandosi dal ciglio della scogliera. «Andiamo!».
La corsa in moto fu identica alla precedente. Deborah
guidava alla stessa folle velocità, la luna era ancora più
luminosa. Ma questa volta Cassie non ebbe paura, anche
se poteva reggersi a Deborah con una sola mano. L’altra
sorreggeva il teschio che aveva in grembo. Un minuto dopo aver raggiunto il cimitero, sentirono il rombo di alcuni
motori. Chris, Doug e Suzan stavano arrivando a bordo
della Samurai, seguita dalla Corvette di Faye. Il nuovo
leader scese dal lato del guidatore e Sean si catapultò fuori
dal sedile del passeggero.
«Seguitemi», disse Faye. Si diresse all’angolo a nordest, con i lunghi capelli che le svolazzavano sulle spalle. A
ogni passo, le sue gambe nude e perfette splendevano sotto
la luna, mostrando la giarrettiera in cui era infilato un pugnale con il manico nero. Quando il terreno cominciò a salire, si fermò.
Anche Cassie si fermò, stringendo il teschio al petto
con entrambe le mani, terribilmente consapevole del posto
in cui si trovavano. Disposte in fila, separate solo da cumuli di terra, c’erano le tombe del padre di Faye, della
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madre di Sean e di tutti gli altri genitori morti di Crowhaven Road. Sean stava piagnucolando, e solo la presa di
Deborah gli impediva di darsela a gambe.
Faye si voltò. Anche nei momenti peggiori, quella ragazza alta e incredibilmente bella aveva un’autorità spontanea, una capacità di intimidire gli altri. Adesso che il suo
fascino era esaltato dai simboli della Regina delle Streghe
– il diadema, il bracciale e la giarrettiera – era circondata
da un’aura di potere e prestigio.
«È il momento», cominciò Faye, «di riappropriarci
dell’energia che apparteneva alla congrega originale, e che
Black John ha rinchiuso nel teschio. Black John vuole che
questo potere sia nostro, per combattere i nostri nemici.
Possiamo riprendercelo – ora».
Faye estrasse il coltello dal manico nero dalla giarrettiera e tracciò velocemente un cerchio imperfetto sull’erba
secca. «Entrate», disse.
“Fa tutto in fretta per non darci il tempo di pensare”,
pensò Cassie. Nessuno sollevò obiezioni, sembravano tutti
presi dall’ urgenza creata da Faye. Persino Sean aveva
smesso di piagnucolare e guardava Faye rapito.
Era uno spettacolo scioccante vederla sollevare il pugnale e invocare rapidamente gli elementi di protezione.
“Troppo velocemente”, pensò Cassie, ricordando che tutti
i loro sforzi durante la cerimonia di Halloween erano stati
vani. Ma neppure lei riusciva a parlare; sembrava che fossero saliti su un vagoncino delle montagne russe che nessuno riusciva a fermare. Men che meno Cassie, che era
fredda e insensibile…
«Cassie, posa il teschio al centro», ordinò Faye. Aveva
il fiato corto e il suo petto si sollevava e abbassava velocemente. A Cassie sembrava più eccitata di quanto lo fosse stata con Nick, Jeffrey o il tipo della pizza che si era
portato in camera.
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Si inginocchiò e posò il teschio, ancora coperto dal
panno, al centro del cerchio tracciato alla bell’e miglio da
Faye.
«E ora», disse Faye con voce strana e euforica, «è il
momento di reclamare il potere che avrebbe dovuto essere
nostro sin dall’inizio. Invoco gli elementi a testimoniare…».
«Faye, ferma!», urlò Adam che stava correndo tra le lapidi.
Alle sue spalle c’era il resto della congrega, inclusa Diana, che sembrava ancora in trance. C’era persino Nick,
silenzioso e vigile come sempre.
Faye afferrò il teschio con entrambe le mani. «Avete
avuto la vostra occasione», disse. «Ora tocca a me».
«Faye, fermati un attimo a pensare», disse Adam.
«Black John non è tuo amico. Se ha davvero comunicato
con te, qualunque cosa ti abbia detto è una menzogna…».
«Sei tu il bugiardo!», replicò Faye con forza.
«Chris, Doug, quel teschio ha ucciso Kori. Se liberate
di nuovo l’energia oscura…».
«Non ascoltatelo!», urlò Faye. Con le gambe che risaltavano contro il nero della tunica e i capelli ancor più scuri, sembrava una principessa barbara. Cassie si accorse che
mentre Adam le parlava, Laurel e Melanie la stavano accerchiando.
Se ne avvide anche Faye. «Non permetterò che mi fermiate! Questo è l’inizio di un nuovo circolo!».
«Ti prego, Faye», urlò Diana disperatamente. Sembrava
essersi ripresa.
«Per la Terra, l’Aria, il Fuoco e l’Acqua!», esclamò Faye scoprendo il teschio e sollevandolo con entrambe le
mani sopra la testa.
Argento. La luna piena sembrò incendiare il cristallo.
Sopra la testa di Faye sembrava esserci un altro volto, vivido, innaturale e scheletrico, da cui fuoriusciva qualcosa
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di oscuro. Qualcosa di più nero di un cielo senza stelle si
stava riversando fuori dalle orbite, dalle narici e dai denti
digrignati del teschio. “Serpenti”, pensò Cassie, fissando
ipnotizzata la scena. Serpenti, vermi e dragoni, di quelli
che hanno scaglie spesse capaci di penetrare il terreno e
sputano veleno quando respirano. Tutto ciò che è male,
tutto ciò che è oscuro, tutto ciò che è malvagio e odioso e
strisciante sembrava uscire dal teschio, anche se nulla era
reale. Era solo oscurità, solo luce di tenebra.
Ci fu un suono come di api che ronzano, solo più forte
e letale. Stava aumentando. Faye era sotto quella terribile
cascata di oscurità, e nelle orecchie di Cassie il rumore
sembrava quello di due rompighiaccio, e da qualche parte
un cane stava abbaiando…
Qualcuno deve fermarlo, capì Cassie. No, io devo fermarlo. Ora.
Si stava alzando quando il teschio esplose.
Silenzio, oscurità e null’altro.
Cassie sperava che le cose restassero così.
Qualcuno al suo fianco gemette.
Cassie si mise lentamente a sedere, guardandosi intorno, cercando di capire cosa fosse successo. Il cimitero
sembrava un campo di battaglia disseminato di corpi: Adam, a terra con un braccio allungato verso il circolo e Raj
al suo fianco; Diana, i lunghi capelli luminosi sporchi di
foglie e terra; Nick, che si stava alzando faticosamente
scuotendo il capo.
Faye giaceva su un velo di seta nera, i capelli scuri le
coprivano il volto. Le mani erano aperte a coppa, ma del
teschio nessuna traccia.
Qualcuno gemette di nuovo, e Cassie vide Deborah che
si metteva a sedere passandosi una mano sul volto.
«Sono morti?», chiese Deborah con voce roca.
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«Non lo so», sussurrò Cassie. Le faceva male la gola.
Tra tutti quei corpi, si muovevano solo i capelli di Diana,
sollevati dal vento, e Nick, che girava con passo malfermo
intorno al circolo.
Ma poi, uno alla volta, anche gli altri cominciarono a
dare segni di vita. Sean e Suzan si lamentavano. Deborah
raggiunse Faye strisciando e le scostò i capelli dal viso.
«Respira».
Cassie annuì; non sapeva che dire. Adam era chino su
Diana, e Cassie distolse subito lo sguardo. Melanie e Laurel erano in piedi, e così Doug e Chris, che avevano l’aria
di due ubriachi appena usciti da una rissa. Sembrava che
fossero tutti vivi.
Poi Cassie si accorse che Laurel stava indicando qualcosa. «Oh, mio Dio. Il tumulo. Guardate il tumulo».
Cassie si voltò e si irrigidì. Non riusciva a crederci. Il
tumulo che, a detta di sua nonna, era un deposito di munizioni abbandonato, era aperto. Del lucchetto arrugginito
non c’era più traccia, e la porta di metallo era finita contro
il blocco di cemento. Ma c’era dell’altro. La parte superiore del tumulo era aperta in due come una prugna troppo
matura. Come il bozzolo di un insetto volato via.
Tutte le lapidi vicino alla recinzione erano inclinate.
Quelle più vicine al tumulo, appartenenti ai genitori di
Crowhaven Road, erano spaccate, a pezzi. «Divelte», pensò Cassie. Quella parola desueta le era venuta in mente per
chissà quale motivo, ma era decisamente appropriata.
Dall’interno del tumulo proveniva un cattivo odore.
«Vado a dare un’occhiata», mormorò Deborah. Si avvicinò lentamente al tumulo aperto, e Cassie l’ammirò come
non aveva mai ammirato nessuno. Era più coraggiosa di
chiunque avesse mai conosciuto. Intontita, Cassie provò a
seguirla e finì per rovinarle addosso. Caddero entrambe
sulle ginocchia davanti all’entrata del tumulo.
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All’interno c’era soltanto uno strato di melma, o qualcosa del genere.
Poi una luce e un movimento catturarono l’attenzione
di Cassie.
In cielo, a nordest. Sembrava un’aurora boreale, solo
che tremolava, ed era completamente rossa.
«È sopra Crowhaven Road», disse Nick.
«Oh, Dio, che sta succedendo?», urlò Laurel.
«Sembrano fiamme», mormorò Deborah, con voce roca.
«Qualunque cosa sia, sarà meglio andare a controllare»,
disse Nick.
Adam stava cercando di far rinvenire Diana. Sean e Suzan erano abbracciati, e Chris e Doug sembravano ancora
due ubriachi. Melanie e Laurel erano in piedi, tremanti.
«Nick ha ragione», disse Melanie. «Sta succedendo
qualcosa. Adam, tu resta qui a occuparti dei feriti».
Cassie lanciò uno sguardo a Faye, il loro leader decaduto, distesa a terra. Poi si voltò e seguì Melanie senza dire
una parola.
Non aveva importanza che i cinque diretti a Crowhaven
Road fino a poco prima avessero fatto parte di due fazioni
in lotta. Non c’era tempo per pensare a una cosa da poco
come quella. Cassie salì sulla moto di Deborah, e Melanie
e Laurel sull’auto di Nick. Gli altri li avrebbero raggiunti
appena possibile – se avessero voluto.
Il vento ruggiva nelle orecchie di Cassie, rabbioso come l’oceano. La sensazione di potere che aveva provato in
precedenza, la connessione con i quattro elementi era sparita. Non riusciva a pensare, la sua mente era annebbiata e
confusa, come se avesse una brutta influenza. Sapeva solo
di dover raggiungere Crowhaven Road.
«Non sono fiamme», urlò Deborah. «Non c’è fumo».
Metro dopo metro, si lasciavano alle spalle le case buie –
quella di Diana e di Deborah, l’edificio georgiano al civico
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tre, le case di Melanie, di Laurel e di Faye, la costruzione
vittoriana disabitata, quella degli Henderson, di Adam,
Suzan e Sean…
«È sopra casa tua, Cassie», urlò Deborah.
Sì. Cassie l’aveva sempre saputo. Qualcosa dentro di lei
lo sapeva fin da prima che tutto cominciasse.
Un acero risaltava come uno scheletro mero contro la
luce rossa che inghiottiva la casa al numero dodici. Ma
non erano fiamme. Era una specie di luce stregata, un’aura
cremisi di malvagità.
Cassie ricordò quanto aveva odiato quella casa la prima
volta che l’aveva vista. L’aveva odiata perché era enorme
e brutta, con la vernice grigia scrostata, i cornicioni cadenti e le finestre sporche. Ma adesso amava quella casa. Era
la vecchia casa della sua famiglia, le apparteneva. E, cosa
ben più importante, dentro c’erano sua madre e sua nonna.
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CAPITOLO 7
84
Cassie smontò dalla motocicletta e corse verso la casa.
Ma appena entrò nella luce rossa, rallentò. Quella luce le
impediva di muoversi normalmente e di respirare. Era come se l’aria fosse rarefatta.
Cassie raggiunse la porta, muovendosi al rallentatore.
Era aperta. Dentro, le luci e le lampade del corridoio sembravano deboli e inutili contro il bagliore rosso che sommergeva ogni cosa, come torce elettriche in pieno giorno.
Cassie vide qualcosa che la lasciò senza fiato.
Impronte.
C’era del fango sul pavimento di legno di pino. Solo
che non era fango. Era una sostanza nera come la pece,
dalla quale si alzava un po’ di fumo. Sembrava la melma
primordiale dell’inferno. Le impronte salivano per le scale
e tornavano di sotto.
Cassie aveva paura di proseguire.
«Che cos’è?», urlò Nick alle sue spalle. Il suo grido, attutito e strascicato, non fece molta strada nell’aria rarefatta. Quando Cassie si voltò, le sembrò di essere in un sogno, come se ogni movimento si svolgesse al rallentatore.
«Andiamo», disse Nick incoraggiandola a proseguire.
Cassie guardò indietro e vide Deborah, Melanie e Laurel
che si muovevano a fatica.
Con l’aiuto di Nick, Cassie riuscì ad arrivare in cima alle scale. Qui il bagliore rosso era meno intenso, e di conseguenza era più difficile individuare le impronte. Ma
Cassie, che stava procedendo per intuito, ne vide altre davanti alla porta della madre. Era troppo terrorizzata per
continuare.
La mano di Nick si posò sul pomello e lo girò. La porta
si aprì lentamente. Cassie fissò il letto vuoto.
«No!», urlò, e sembrò che la luce rossa afferrasse la parola allungandola all’infinito. Dimenticò la paura e andò –
lentamente – al centro della stanza. Il letto era disfatto, ma
non c’era nessuna traccia della madre.
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Cassie si guardò intorno in preda all’angoscia. La finestra era chiusa. Avvertì una forte sensazione di perdita,
una premonizione terribile. Le impronte nere e fumanti arrivavano fino al letto. Qualcosa si era fermato accanto a
sua madre, e poi…
«Andiamo di sotto!», stava urlando Nick sulla porta.
Cassie si voltò… e gridò di nuovo.
La porta si stava richiudendo lentamente. Dietro,
nell’ombra, c’era una figura pallida e spettrale.
Il secondo urlo le morì in gola quando la figura fece un
passo in avanti, rivelando un volto pallido e tirato e capelli
neri sciolti su un paio di spalle esili. Indossava una lunga
camicia da notte bianca. Era sua madre.
«Mamma», urlò Cassie, gettandole le braccia alla vita.
“Oh, grazie Dio, grazie Dio”, pensò. Adesso tutto si sarebbe risolto. Sua madre stava bene, sua madre avrebbe
pensato a ogni cosa. «Oh, mamma, ho avuto tanta paura»,
ansimò.
Ma c’era qualcosa che non andava. Sua madre non la
stava abbracciando. La figura in camicia da notte non dava
segni di vita. Era immobile, e quando Cassie fece un passo
indietro, si accorse che il suo sguardo era perso nel vuoto.
«Mamma? Mamma?», disse scuotendo l’esile e pallida
figura. «Mamma! Che ti succede?».
Gli occhi meravigliosi di sua madre erano spenti, come
quelli di una bambola. Persi nel vuoto. Le occhiaie nere
sembravano inghiottirli. Le braccia le cadevano mollemente lungo i fianchi.
«Mamma», ripetè Cassie, quasi in lacrime.
Nick riaprì la porta. «Dobbiamo portarla fuori di qui»,
disse a Cassie.
«Sì», pensò Cassie. Cercò di convincersi che era colpa
della luce, che lontana da quel bagliore rosso sua madre si
sarebbe ripresa. Cassie e Nick la presero per le braccia e la
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guidarono di sotto. Melanie, Laurel e Deborah li raggiunsero, arrivando da punti diversi.
«Abbiamo guardato in tutte le stanze di questo piano»,
disse Melanie. «Non c’è nessuno».
«Mia nonna…», cominciò Cassie.
«Aiutateci a portare la signora Blake di sotto», disse
Nick.
Ai piedi delle scale, le impronte nere giravano a sinistra
e si accavallavano in più punti. Un pensiero balenò nella
mente di Cassie.
«Melanie, Laurel, portate mia madre fuori, lontana dalla luce. Accertatevi che sia al sicuro, ok?». Melanie annuì
e Cassie disse: «Vi raggiungerò il prima possibile».
«Sta’ attenta», disse Laurel con apprensione.
Cassie le osservò portare sua madre fuori; poi si costrinse a distogliere lo sguardo. «Andiamo», disse a Nick e
Deborah. «Credo che mia nonna sia in cucina».
C’erano le impronte a indicare la strada, ma non si trattava solo di quello. Cassie aveva una sensazione. La sensazione terribile che sua nonna si trovasse in cucina, e non
era sola.
Deborah seguiva le impronte come una cacciatrice.
Percorsero tutto il corridoio che portava all’ala vecchia
della casa, quella costruita nel 1693.
Nick era dietro Cassie; capì vagamente che i due, lasciandole il posto più sicuro nella fila, la stavano proteggendo. Ma in quel momento non c’erano luoghi sicuri in
casa. Nell’ala vecchia la luce rossa sembrava più intensa, e
l’aria più rarefatta. Cassie avvertiva la fatica che facevano
i polmoni mentre respirava.
Oh, Dio, sembravano fiamme. La luce rossa era ovunque e l’aria le bruciava la pelle. Deborah si arrestò di colpo e Cassie quasi le finì addosso. Allungò il collo per vedere sopra le sue spalle, ma gli occhi le lacrimavano.
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Sentì le dita di Nick che le stringevano con forza le
spalle. Cassie cercò di concentrarsi, strizzando gli occhi
nella densa luce rossa.
La nonna! L’anziana donna era a terra davanti al camino, accanto al lungo tavolo di legno su cui lavorava così
spesso. Il tavolo era ribaltato di lato, le piantine aromatiche erano tutte a terra. Ma c’era dell’altro, qualcosa che la
mente di Cassie rifiutava di registrare. Nick la tratteneva
mentre Cassie guardava l’essere chinato sul corpo della
nonna.
Era carbonizzato, nero, mostruoso. Sembrava che la sua
pelle fosse coriacea e screpolata. Aveva la forma di un
uomo, ma Cassie non riusciva a scorgere occhi, abiti o capelli. Quando l’essere si voltò, Cassie ebbe la breve e terribile sensazione di fissare un teschio luccicante.
Ormai li aveva visti. Cassie ebbe l’impressione che lei,
Deborah e Nick fossero fusi assieme; Nick la stava stringendo, e Cassie stava stringendo Deborah. Voleva scappare, ma non poteva, perché quella donna riversa sul pavimento era sua nonna. Non poteva abbandonarla alla mercè
di quell’essere orripilante.
Ma non poteva neppure combatterlo. Non sapeva come
contrastare un essere simile. Inoltre non sentiva più alcun
collegamento con gli elementi; in quel terribile forno che
era la cucina della nonna, erano tagliati fuori dal resto del
mondo.
Di quali armi disponevano? L’ematite non era più fredda; quando Cassie infilò una mano in tasca, si bruciò. Non
serviva a niente. Aria, Fuoco e Terra erano ostili. Avevano
bisogno di qualcosa che quell’essere non fosse in grado di
controllare.
«Pensate all’acqua!», urlò a Deborah e Nick. La sua
voce era attutita nell’aria soffocante e opprimente. «Pensate all’oceano – all’acqua gelida… al ghiaccio!».
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Mentre pronunciava quelle parole, anche lei cominciò a
pensare all’acqua. Fredda… azzurra… immensa.
All’improvviso ricordò la prima volta che si era affacciata
alla scogliera, e il blu dell’acqua era così intenso da toglierle il fiato. L’oceano, di una vastità inimmaginabile, si
estendeva davanti ai suoi occhi. Adesso lo ricordava bene:
era azzurro e grigio come gli occhi di Adam.
Il vento faceva vibrare le finestre; il rubinetto del lavello cominciò a tremare. La lavastoviglie iniziò a riversare
acqua sul pavimento. L’acqua usciva sibilando anche da
una perdita in un tubo sotto il lavello.
«Adesso!», urlò Deborah. «Prendiamolo!».
Cassie sapeva che non era una buona idea. Non erano
abbastanza forti da affrontare quella creatura in uno scontro diretto. Ma Deborah, sempre incurante del pericolo, si
era già lanciata in avanti e non ci fu tempo per urlarle un
avvertimento o bloccarla. Il cuore di Cassie ebbe un sussulto e le sue gambe si piegarono mentre correva verso
l’essere nero.
Avrebbe potuto ucciderli – un tocco di quelle mani carbonizzate e callose poteva essere fatale – ma si scansò.
Cassie non riusciva a credere che fossero ancora vivi e in
grado di muoversi. L’essere si era accovacciato e stava indietreggiando velocemente. Si voltò e fuggì da quella che
nel 1696 era l’entrata principale della casa, carbonizzando
il pomello della porta. Si lanciò nelle tenebre e sparì.
La porta restò aperta, sbatteva al vento. La luce rossa si
estinse. Adesso Cassie riusciva a vedere il freddo bagliore
della luna argentata.
Fece un respiro molto profondo, felice di potersi riempire di nuovo i polmoni senza avvertire dolore.
«Ce l’abbiamo fatta!», rise Deborah, dando una pacca
sulla schiena a Nick. «Ce l’abbiamo fatta! Quel bastardo è
scappato!».
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“Se n’è andato”, pensò Cassie. “Se n’è andato spontaneamente. Non abbiamo vinto”.
Poi si voltò bruscamente verso Nick. «Mia madre! E
anche Laurel e Melanie… sono fuori!».
«Vado a controllare. Anche se credo che per ora sia finita», disse Nick.
Per ora. Nick la pensava come lei. Quell’essere non era
stato sconfitto, si era solo ritirato.
Con le gambe tremanti, Cassie si inginocchiò accanto
alla nonna.
«Nonna?», disse. Temeva che fosse morta. Ma sua
nonna, respirava, anche se a fatica. Poi Cassie fu sopraffatta dalla paura che gli occhi, dietro le palpebre raggrinzite,
potessero essere spenti come quelli della madre. Ma quando la nonna aprì gli occhi, la vide e la riconobbe subito.
Anche se gli occhi erano pieni di dolore, erano coscienti.
«Cassie», mormorò. «Piccola Cassie».
«Nonna, andrà tutto bene. Non muoverti». Cassie cercò
di ricordare cos’altro bisognava dire a un ferito. Che doveva fare? Tenerla al caldo? Sollevarle i piedi? «Resisti»,
disse alla nonna, e poi a Deborah: «Chiama un’ambulanza,
presto!».
«No», disse sua nonna. Cercò di mettersi a sedere e il
volto le si contrasse per il dolore. Con una mano nodosa si
strinse la camicia da notte, all’altezza del cuore.
«Nonna, non muoverti», disse freneticamente Cassie.
«Andrà tutto bene, si aggiusterà ogni cosa…».
«No, Cassie», disse l’anziana donna. Respirava ancora
a fatica, ma la voce era sorprendentemente decisa. «Niente
ambulanza. Non c’è tempo. Devi ascoltare quel che ho da
dirti».
«Puoi raccontarmelo dopo». Adesso Cassie stava piangendo, ma cercava di mantenere la voce ferma.
«Non ci sarà un dopo», ansimò la nonna. Tornò ad adagiarsi a terra, il respiro misurato e lento. Parlava con vo-
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ce chiara, accarezzando la mano di Cassie. I suoi occhi erano neri, angosciati – e dolci. «Cassie, non mi è rimasto
molto tempo, devi ascoltare quel che ho da dirti. È importante. All’interno del camino, sul lato destro, c’è un mattone allentato. È al livello della mensola. Estrailo e portami quel che c’è dietro».
Cassie barcollò fino al camino. Un mattone allentato –
non riusciva a vederlo, stava piangendo troppo forte. Lo
cercò a tentoni, graffiandosi contro la superficie ruvida
della malta. Poi qualcosa si mosse.
Eccolo. Cassie infilò le dita ai lati e spostò il mattone
avanti e indietro finchè venne via. Lo lasciò cadere e infilò
la mano nella cavità scura e fredda.
Le sue dita toccarono qualcosa di morbido. Lo ghermì
con le unghie e infine riuscì a prenderlo.
Era il Libro delle ombre.
Quello che aveva sognato, con la copertina di pelle rossa. Cassie tornò a inginocchiarsi accanto alla nonna.
«Non è riuscito a farmi confessare dove lo tenevo nascosto. Non è riuscito a strapparmi una parola», disse sua
nonna con un sorriso. «È stata mia nonna a dirmi che quello era un buon nascondiglio». Accarezzò il libro e poi la
sua mano, rovinata dagli anni, strinse quella di Cassie. «È
tuo, Cassie. Mia nonna lo diede a me e ora io lo consegno
a te. Hai il dono della vista e il potere, come me, come tua
madre. Ma tu non puoi scappare, come fece lei. Tu dovrai
restare per affrontarlo».
Uno scoppio di tosse la costrinse a interrompersi. Cassie guardò Deborah, che stava ascoltando con attenzione, e
poi di nuovo sua nonna. «Nonna, ti prego. Lascia che
chiami l’ambulanza. Non puoi arrenderti ora…».
«Non mi sto arrendendo! Sto passando il testimone a te.
A te, Cassie, così potrai continuare la guerra. Devo farlo,
prima di morire. Altrimenti tutto sarà stato inutile. Tutto».
Tossì di nuovo. «Non sarebbe dovuta andare così. Quella
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ragazza – Faye – mi ha ingannata. Non credevo che si sarebbe mossa così velocemente. Pensavo che avremmo
avuto più tempo – ma non è stato così. Adesso ascolta».
Fece un respiro doloroso, le sue dita stringevano quelle
di Cassie con così tanta forza da farle male, gli occhi neri
fissi in quelli della nipote. «Discendi da una lunga dinastia
di streghe, Cassie. Questo lo sai. Ma quello che non sai è
che la nostra famiglia ha sempre avuto il dono della vista e
un enorme potere. Siamo la famiglia più forte e possiamo
prevedere il futuro – ma non sempre veniamo creduti.
Neppure da quelli della nostra specie».
I suoi occhi scivolarono su Deborah. «Voi ragazzi credete di aver scoperto chissà cosa, vero?». Il volto grinzoso
si contrasse in un sorriso. «Non rispettate gli anziani, e
neppure i vostri genitori. Siete convinti che abbiamo vissuto la nostra esistenza senza fare un accidenti, dico bene?».
“Sta vaneggiando”, pensò Cassie. “Non si rende conto
di quel che dice”.
«Credete che l’idea di riesumare i vecchi testi e di riportare in vita le tradizioni di un tempo sia venuta in mento solo a voi, eh?».
Cassie scosse la testa, incerta, ma Deborah, corrucciata,
disse: «Non è così?»
«No. Oh, piccole mie, non è così. Quando ero una ragazzina, per noi era poco più di un gioco. Ci riunivamo di
tanto in tanto: chi aveva il dono della vista parlava delle
sue preveggenze, chi aveva il potere di guarigione ci spiegava il valore delle erbe medicinali e cose del genere. Fu
la generazione dei vostri genitori a dare vita a una vera e
propria congrega».
«I nostri genitori?», esclamò Deborah incredula. «Ma
se i miei hanno così paura della magia che se gliene parlo
vomitano! I miei genitori non farebbero mai…».
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«Adesso è così», disse con calma la nonna mentre Cassie cercava di zittire Deborah. «Adesso è così. Hanno dimenticato – si sono costretti a dimenticare. Dovevano farlo, per sopravvivere. Ma le cose erano differenti quando
erano ragazzi. Avevano qualche anno più di voi, i ragazzi
di Crowhaven Road. Tua madre, Deborah, aveva più o
meno diciannove anni, e la madre di Cassie solo diciassette. Fu allora che l’Uomo in Nero fece la sua comparsa a
New Salem».
«Nonna…», sussurrò Cassie. Sentiva brividi di freddo
correrle lungo la spina dorsale. La cucina, che fino a pochi
attimi prima sembrava un forno, adesso era gelida. «Oh,
nonna, ti prego…».
«Non vuoi sapere. Lo so. E ti capisco. Ma dovete ascoltarmi entrambe. Dovete sapere con chi avete a che fare».
Con un altro colpo di tosse, la nonna di Cassie cambiò
leggermente posizione. Gli occhi diventarono opachi per i
ricordi. «Era l’autunno del 1974. Un novembre così freddo
non lo si vedeva da decenni. Non lo dimenticherò mai,
fermo davanti alla porta di casa mia, mentre si scrollava la
neve dagli stivali. Mi disse che si stava trasferendo al numero tredici, e aveva bisogno di un fiammifero per dare
fuoco alla legna che aveva con sé. Quella casa non aveva
riscaldamento, era disabitata da quando lui l’aveva abbandonata la prima volta».
«Quando?», chiese Cassie.
«Nel 1696. Da quando si era imbarcato, ed era morto.
Quando la sua nave era affondata». La nonna annuì senza
guardare Cassie. «Sì, era Black John. Ma allora non lo sapevamo. Quante sofferenza avremmo evitato se
l’avessimo saputo… ma è inutile pensarci». Accarezzò la
mano di Cassie. «Gli prestammo dei fiammiferi, e i ragazzi della strada lo aiutarono a ricostruire la vecchia casa.
Era poco più grande degli altri, e tutti lo ammiravano. Adoravano i suoi viaggi, le storie straordinarie che raccon-
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tava. Ed era affascinante – era così che riusciva a nascondere il suo cuore malvagio. Tutti vennero ingannati, persino io.
Non so quando cominciò a parlare ai ragazzi dei vecchi
tempi. Abbastanza presto, immagino. E i ragazzi avevano
voglia di ascoltare. Se noi genitori provavamo a ostacolarli, venivamo accusati di essere vecchi e noiosi. A dire la
verità, non tutti si opposero con fermezza. Le vecchie tradizioni avevano anche lati positivi, e inoltre non sapevamo
cosa lui avesse in mente».
Cassie era scossa dai brividi, ma non poteva muoversi.
Riusciva solo ad ascoltare la voce della nonna, l’unico
suono nella cucina oltre al leggero sibilo dell’acqua che
scorreva.
«Scelse i ragazzi più promettenti e creò le varie coppie.
Le cose andarono proprio così, anche se noi genitori non
ne sapevamo niente. Creò delle coppie, e riuscì a farla
sembrare una scelta logica anche ai ragazzi. Arrivò al punto di rompere coppie che avevano già deciso di sposarsi –
tua madre, Deborah, stava per sposare il padre di Nick, ma
lui decise altrimenti. Diede tua madre allo zio di Nick, e
nessuno si oppose. La sua influenza era tale che poteva fare quel che voleva.
I matrimoni vennero celebrati secondo i rituali più tradizionali. A marzo ne vennero celebrati dieci. E noi idioti
che festeggiavamo. Tutti quei ragazzi felici, che non litigavano mai. “Com’erano fortunati”, pensavamo! Erano
una numerosa comunità di fratelli e sorelle. Be’, troppo
numerosa per una sola congrega, ma non ci facemmo caso.
Il loro rispetto per le tradizioni ci rendeva felici. A
maggio celebrarono il fuoco di Beltane e a metà estate
raccolsero erba scacciadiavoli e vischio. E a settembre, ridendo e scherzando, celebrarono la festa di John Barleycorn, il personaggio della tradizione che rappresenta il
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raccolto. Non immaginavano cosa avesse in mente l’altro
John.
Erano in arrivo dei figli, un altro motivo per festeggiare. Ma a ottobre alcune delle donne più anziane cominciarono a preoccuparsi. Le ragazze incinte erano pallide e
sembravano stremate. La povera Carmen Henderson era
pelle e ossa tranne per il pancione. Sembrava che avesse in
grembo due cuccioli di elefante. A Samhain non c’era
granchè da festeggiare, le ragazze erano troppo deboli.
E il 3 novembre tutto ebbe inizio. Tuo zio Nicholas,
Deborah, quello che non hai mai conosciuto, mi mandò a
chiamare perché sua moglie aveva le doglie. Aiutai Sharon
a dare alla luce Nick, tuo cugino. È sempre stato un lottatore, non dimenticherò mai come strillava quel giorno. Ma
c’era dell’altro, qualcosa che non avrebbe dovuto esserci
negli occhi di un neonato. Ci pensai tornando a casa. Era
un potere che non avevo mai visto in vita mia.
E due giorni dopo accadde di nuovo. Elizabeth Conant
diede alla luce un bambino con i capelli dello stesso colore
del vino di Bacco e occhi blu come il mare. Il bambino mi
fissò. Anche in lui riuscivo ad avvertire il potere».
«Adam», sussurrò Cassie.
«Esatto. Tre giorni dopo, Sophie Burke – mantenne il
suo cognome anche da sposata – cominciò ad avere le contrazioni. La bambina, Melanie, era come gli altri. Sembrava avere due settimane e invece era nata da pochi minuti, e
mi vedeva come io riuscivo a vedere lei.
I neonati più forti erano Diana e Faye. Lo loro mamme
erano sorelle e partorirono nello stesso istante, in due case
separate. Una bimba era luminosa come la luce del sole,
l’altra era scura come la mezzanotte, ma erano in qualche
modo connesse. Già allora la cosa era evidente».
Cassie pensò a Diana e un dolore le trafisse il petto. Allontanò quel pensiero e continuò ad ascoltare. La voce della nonna sembrava più debole.
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«Povere creature… non avevano nessuna colpa. Voi
non avete nessuna colpa», disse l’anziana donna, concentrandosi improvvisamente su Deborah e Cassie.
«Nessuno può incolparvi di niente. Il 3 dicembre nacque l’undicesimo bambino. Avevano tutti qualcosa di strano. Le mamme non volevano ammetterlo, ma a gennaio
era ormai impossibile negarlo. Quelle minuscole creature
potevano evocare i Poteri, e in un modo o nell’altro ottenevano tutto quello che volevano. Avevamo paura di loro».
«Lo sapevo», sussurrò Cassie. «Lo sapevo che c’era
qualcosa di strano dietro tutte queste nascite nell’arco di
un mese… lo sapevo».
«Anche i loro genitori lo sapevano, anche se ne ignoravano il significato. Se non sbaglio, fu il padre di Adam a
capire ogni cosa. Undici neonati, disse, e capì che con un
dodicesimo avrebbero potuto dare vita a una congrega. Ma
chi mancava? Ovvio, l’uomo che aveva programmato la
nascita di quei neonati, l’uomo che sarebbe diventato il loro leader. Black John era tornato per dare vita al circolo
più potente che questo paese avesse mai visto – ma per la
generazione successiva, disse il padre di Adam. La generazione dei neonati.
All’inizio nessuno gli credette. Alcuni genitori erano
spaventati, altri semplicemente stupidi. E qualcuno non si
capacitava di come avesse fatto Black John a tornare dalla
tomba dopo tutti quegli anni. Questo è un mistero ancora
senza risposta.
Poco alla volta, però, qualcuno cominciò a convincersi.
Il padre di Nick, che aveva visto la sua futura sposa maritarsi con il fratello più giovane. E Mary Meade, la madre
di Diana, che era tanto intelligente quanto bella. Persino il
padre di Faye, Grant Chamberlain, un uomo freddo… sapeva che la figlioletta era in grado di dare fuoco alle tende
senza toccarle, e sapeva che questo non era normale. Riu-
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scirono a convincere qualcun altro, e in una fredda notte, il
primo febbraio, ne andarono a parlare con lui».
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CAPITOLO 8
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La nonna di Cassie scosse la testa. «A parlare! Se fossero venuti da noi, o dagli anziani, li avremmo messi in
guardia. Io, la nonna di Laurel, la nonna di Adam, la prozia di Melanie, Costance… avremmo potuto dir loro qualcosa, forse saremmo riuscite a salvarli. Ma fecero di testa
loro, senza parlarne a nessuno. Il primo febbraio, il giorno
di Imbolc, più della metà del gruppo che lui aveva creato
andò a sfidarlo. E di quel gruppo nessuno fece ritorno».
Alcune lacrime stavano scendendo lentamente sulle
vecchie guance rugose. «Furono i più coraggiosi, i più forti, che andarono incontro alla morte. Si salvarono solo
quelli troppo spaventati o stupidi per accorgersi del pericolo. Mi dispiace, Deborah, ma è la verità». Cassie ricordò
che entrambi i genitori di Deborah erano vivi. «I ragazzi
migliori di Crowhaven Road andarono a battersi contro
Black John la sera dell’Imbolc», disse la nonna.
«Ma come?», mormorò Cassie. Stava pensando alle
tombe allineate al cimitero. «Come sono morti, nonna?»
«Non lo so. Dubito che qualcuno lo sappia, a meno
che…». La nonna si fermò e scosse la testa, brontolando
qualcosa. «Vedemmo delle fiamme in cielo, e poi scoppiò
una tempesta. Un uragano proveniente dal mare. Le anziane radunarono i bambini che stavano accudendo e i genitori che non avevano seguito il resto del gruppo, e riuscirono
a metterli in salvo. Il giorno dopo scoprimmo che la casa
al numero tredici era stata rasa al suolo da un incendio, e
tutti coloro che erano andati a sfidare Black John erano
morti.
La maggior parte dei corpi non è mai stata ritrovata.
Immagino che vennero risucchiati in mare. Ma trovammo
un corpo carbonizzato al numero tredici. Sapevamo che
era lui per via dell’anello al dito, una pietra nera scintillante che lui chiamava magnetite. Non ricordo il nome moderno. Lo portammo al vecchio cimitero e lo seppellimmo
nel bunker. Charles Meade, il padre di Diana, piazzò il
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blocco di cemento davanti all’entrata. Pensavamo che se
era riuscito a tornare una volta, avrebbe potuto riprovarci
in futuro, e volevamo impedirglielo. Subito dopo, i genitori sopravvissuti nascosero i Libri delle ombre e fecero del
loro meglio per tenere i propri figli lontani dalla magia.
Stranamente, molti di loro dimenticarono cos’erano in
grado di fare. Credo fosse dovuto al fatto che non potevano ricordare senza perdere il lume della ragione. Eppure è
strano che abbiano dimenticato fino a questo punto».
La voce era sempre più debole, ma la donna afferrò con
forza il polso di Cassie. «Ascoltami, piccola Cassie. È importante. Non tutti hanno dimenticato, alcuni di noi non
potevano. Ho dato a mia figlia il nome di una profetessa, e
lei ha fatto lo stesso con te, perché la nostra famiglia ha da
sempre il dono della seconda vista. Tua madre non sopportava quel che il suo dono le mostrava, e così lasciò New
Salem, scappò fino alla costa opposta. Ma io decisi di restare, e da allora ho visto avverarsi tutte le mie premonizioni, una dopo l’altra. Nonostante gli sforzi dei genitori,
quei neonati erano diversi dai loro coetanei. Erano sempre
stati attratti dai Poteri e dalle vecchie tradizioni. Sono diventati forti – e qualcuno è diventato malvagio.
L’ho visto succedere con i miei occhi, e ho sentito
Black John ridere nella mia mente. Il suo corpo bruciò, ma
lo stesso non accadde con il suo spirito. È rimasto sempre
in attesa, tra il vecchio cimitero e il terreno dove un tempo
sorgeva il numero tredici. Stava aspettando la sua congrega, quella che aveva creato, quella composta dai ragazzi
che aveva contribuito a far nascere. Stava aspettando che
diventassero maggiorenni. Stava aspettando che lo riportassero indietro.
Sapevo che sarebbe successo – e sapevo che solo una
persona avrebbe potuto combatterlo. Tu, Cassie. Hai la
forza della tua famiglia, il dono della visione e il Potere.
Ho supplicato tua madre affinchè tornasse a casa, perché
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sapevo che senza di te per i ragazzi di Crowhaven Road
non ci sarebbe stato scampo. Si sarebbero schierati con lui,
come avevano fatto i loro genitori, e lui sarebbe diventato
il loro signore e padrone. Solo tu puoi impedire che questo
accada».
«È per questo che tu e la mamma non vi parlavate»,
disse Cassie meravigliata. «Per causa mia».
«Litigammo furiosamente. Lei voleva proteggerti, e io
sapevo che per proteggere te avremmo perso tutti gli altri.
Il tuo destino era già scritto prima che nascessi. E la cosa
peggiore è che non potevamo parlartene – è quel che diceva la profezia. Dovevi venire a New Salem senza sapere
nulla e trovare da te la tua strada, una sorta di innocente
sacrificio. E ci sei riuscita. Hai fatto tutto quello che volevamo. Sarebbe arrivato anche il momento in cui ti avremmo spiegato ogni cosa… ma Faye ci ha precedute. Come
ci è riuscita?»
«Io…». Cassie non sapeva come dirglielo. «L’ho aiutata io, nonna», disse alla fine. «Abbiamo trovato il teschio
di cristallo che apparteneva a Black John. Era pieno di energia, e ogni volta che ce ne servivamo, qualcuno moriva.
E poi…». Cassie fece un respiro profondo. «E poi, stasera,
Faye ci ha detto di portare il teschio al cimitero. E quando
lo ha scoperto… non so… è uscita quella roba oscura…».
La nonna di Cassie stava annuendo. «Black John era il
signore delle arti oscure. Esattamente come l’Uomo in Nero originale, il signore della morte. Ma, Cassie, capisci
quel che sto dicendo?». Facendo uno sforzo supremo,
l’anziana donna cercò di mettersi a sedere per guardare la
nipote negli occhi. «Posizionando il teschio nel cimitero e
liberando quell’energia, lo avete riportato indietro. Adesso
è qui, è tornato. Non sotto forma di spirito o di fantasma,
ma come uomo. Un uomo in carne e ossa. Avrà un aspetto
diverso la prossima volta che si mostrerà in giro, avrà avu-
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to il tempo di sistemarsi. E cercherà di ingannarvi». Si accasciò a terra per la stanchezza.
«Ma, oh, nonna – è libero per colpa mia. Mi dispiace.
Mi dispiace tanto…». Gli occhi di Cassie si riempirono di
lacrime.
«Non lo sapevi. Ti perdono. E ormai quel che è fatto è
fatto. Ma devi essere pronta per affrontarlo». Gli occhi
della donna si chiusero. Respirava a fatica, un rantolo terribile.
«Nonna!», disse Cassie, scuotendola in preda al panico.
I vecchi occhi si riaprirono lentamente. «Povera Cassie.
Non è un compito facile. Ma tu hai la forza, se cerchi dentro di te. E ora hai anche questo». Spinse debolmente il
Libro delle ombre tra le mani di Cassie. «La saggezza della nostra famiglia, le profezie. Leggilo. Impara. Risponderà ad alcune delle tue domande ancora senza risposta. Troverai la tua strada…».
«Nonna! Nonna! Ti prego…».
Gli occhi della nonna erano ancora aperti, ma adesso
erano velati, come se non fossero più in grado di vedere.
«Non ho motivo di restare ora che ti ho raccontato tutto…
ma c’è dell’altro. Devi sapere…».
«Cassie!». La voce arrivava dalla porta, e spaventò
Cassie al punto da farla voltare di scatto. Era Laurel, il suo
volto da elfo era pallido per la preoccupazione. «Cassie,
che sta succedendo qui? Stai bene? Chiamo un dottore?».
Stava fissando la donna sul pavimento.
«Laurel, non ora!», ansimò Cassie. Stava piangendo,
ma continuava a stringere con forza le mani nodose della
nonna. «Nonna, ti prego, non andartene. Ho paura, nonna!
Ho bisogno di te!».
Le labbra della nonna si stavano muovendo, ma ne uscì
solo un suono debolissimo. «…non aver paura, Cassie.
Non c’è nulla di spaventoso nel buio se hai il coraggio di
affrontarlo…».
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«Ti prego, nonna, ti prego. Oh, no…». Cassie lasciò
cadere la testa sul petto della nonna e cominciò a singhiozzare. Le mani dell’anziana donna non stavano più
stringendo quelle di Cassie. «Hai detto che c’era
dell’altro», pianse. «Non puoi andartene…».
La nonna disse qualcosa di incomprensibile e Cassie
pensò si trattasse della parola “John”. Poi l’anziana donna
aggiunse: «…nulla muore per sempre, Cassie…».
Il petto si sollevò un’ultima volta contro la fronte di
Cassie e si fermò.
Fuori, la luna gialla spendeva bassa nel cielo.
«La Luna del Cordoglio», disse dolcemente Laurel. «È
così che viene chiamata».
Cassie pensò che fosse un nome azzeccato, ma adesso i
suoi occhi erano asciutti. C’erano altre lacrime dentro di
lei, ma avrebbero dovuto aspettare. Aveva qualcosa da fare prima di poter riposare e piangere ancora. Il racconto
della nonna non aveva risposto a tutte le sue domande,
c’era ancora tanto da scoprire – ma prima, doveva fare una
cosa.
C’erano delle auto parcheggiate in strada. La congrega
era quasi al completo. Cassie vide Sean, Suzan, gli Henderson, Adam e Diana. Ma non la persona che stava cercando.
«Melanie e Nick hanno portato tua madre da Costance,
la zia di Melanie», disse con esitazione Laurel. «Hanno
pensato che per stanotte è il posto più sicuro dove stare.
Era ancora un po’ disorientata – ma sono certa che si riprenderà».
Cassie deglutì e annuì. Lei non ne era così certa, non
era più certa di nulla. Sapeva solo quello che doveva fare
adesso.
Non aver paura, Cassie. Non c’è nulla di spaventoso
nel buio se hai il coraggio di affrontarlo.
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Affrontalo. Affrontalo senza paura.
Poi Cassie vide la persona che stava cercando.
Faye era in ombra, dietro i fanali accesi delle auto. La
tunica e i capelli neri erano tutt’uno con l’oscurità che la
circondava, ma il volto pallido e i monili d’argento che indossava risaltavano nel buio.
Cassie le andò incontro senza esitare. Avrebbe potuto
colpirla, strangolarla, ucciderla. Ma le disse solo: «È finita».
«Cosa?». Gli occhi di Faye luccicarono per un istante,
gialli come la luna. Sembravano stanchi, turbati – e pericolosi. Come candelotti di dinamite sul punto di esplodere.
«È finita, Faye», ripetè Cassie. «I ricatti, le minacce…
è tutto finito. Non sono più tua prigioniera».
Le narici di Faye si dilatarono. «Ti avviso, Cassie, non
è il momento di farmi innervosire. Sono sempre il leader
della congrega. Il voto è stato corretto. Non puoi cambiarlo…».
«Non voglio cambiarlo… per ora. Ti sto solo dicendo
che non hai più alcun potere su di me. È finita».
«È finita quando lo decido io!», ruggì. Cassie si accorse
che Faye era sul punto di scoppiare, che il suo umore era
davvero pessimo. Ma non importava. Forse era anche meglio così, farla finita con tutto.
«Non sto scherzando, Cassie», proseguì Faye infervorata. «Se ti metti contro di me, io farò altrettanto…».
Cassie fece un respiro profondo e disse: «Fa’ pure».
Non c’è nulla di spaventoso nel buio se hai il coraggio
di affrontarlo…
«Ok», disse Faye a denti stretti. «Lo farò».
Si voltò e si diresse da Adam e Diana, stretti in un abbraccio. Cassie vide che Adam stava sorreggendo Diana, e
per un attimo ebbe un sussulto al cuore. Ma doveva farlo.
Nonostante il giuramento, nonostante il dolore che avrebbe provato Diana, doveva farlo.
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Faye si voltò un’ultima volta per guardare Cassie. Uno
sguardo che diceva senz’ombra di dubbio “te ne pentirai”.
Cassie, improvvisamente in preda al panico, si chiese se
avesse ragione. Se ne sarebbe pentita? Forse sfidare Faye
proprio in quel momento non era stata la scelta più saggia.
Forse sarebbe stato meglio aspettare, pensarci ancora…
Ma Faye stava guardando Diana con un’espressione di
malizioso trionfo. La congrega non era felice delle decisioni che Faye aveva preso quella notte, ma era pur sempre il leader e nessuno poteva cambiare la situazione. Faye
avrebbe dato inizio al suo regno vendicandosi delle persone che odiava di più.
«Diana», disse. «Ho una sorpresa per te».
[Continua…]
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INDICE
p.
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16
29
43
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84
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Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
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