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bioimitazione ARS completo
ARS, 120, 47-51, 2009 (I Parte); 121, 50-57, 2009 (II Parte )
La “biodiversità” base dell’innovazione
Donato Matassino1
1. Introduzione
L’espressione ‘biodiversità’ viene proposta per la prima volta in occasione del ‘Forum
nazionale sulla biodiversità’, svoltosi a Washington (1986), ed è attribuita a Rosen W.G., il quale
già intende la biodiversità come “diversità a qualsiasi livello di organizzazione biologica”.
La biodiversità viene definita dalla Commissione Europea agricoltura (DG AGRI,1999)
come: “…la variabilità della vita e dei suoi processi includente tutte le forme di vita, dalla singola
cellula agli organismi più complessi, a tutti i processi, ai percorsi e ai cicli che collegano gli
organismi viventi alle popolazioni, agli ecosistemi e ai paesaggi”.
La sovrapposizione concettuale tra ‘risorsa genetica’ e ‘diversità biologica’ o ‘biodiversità’
è piuttosto recente e si riferisce alla variabilità misurata entro e tra le specie in termini di variazione
tra segmenti di DNA codificanti o ‘polipeptide/i’ (‘geni’) o non ‘polipeptide/i’ e tra
‘amminoacidi’(Matassino D., 2005). Questa variabilità è legata al comportamento delle componenti
strutturali del DNA in una visione sistemica: funzionamento istante per istante e trasmissione di
informazioni nel corso del tempo e delle generazioni (sovrapposte). In tale funzionamento,
l’accumulo spaziale e temporale di mutazioni puntiformi [SNP (Single Nucleotide Polymorphism =
Polimorfismo del Singolo Nucleotide)] rappresenterebbe la sorgente principale delle variazioni
genetiche utili per una macroevoluzione sul pianeta Terra (Matassino D., 2008).
La biodiversità, intesa come espressione di una ‘diversità di informazione genetica e/o
epigenetica’, può essere considerata una vera e propria, se non unica, ‘ricchezza reale’ (Matassino
D., 1992).
La diversità biologica è l'unica che può permettere, domani, di disporre di ‘informazioni
genetiche’ atte a favorire la 'capacità al costruttivismo’ degli esseri viventi in occasione di
cambiamenti, oggi imprevedibili, sia delle condizioni ambientali sia delle esigenze di molecole
‘bioattive’ con funzione ‘nutrizionale’, ‘extranutrizionale’ e ‘salutistica’ per l’uomo (Matassino D.
et al., 1993).
La ‘diversità ecologica’ sta assumendo sempre più importante per la sopravvivenza sia
dell’uomo che degli altri esseri viventi. La mera tutela di un gruppo tassonomico sta evidenziando
1
Professor Emeritus - Genetic improvement in Animal production. Presidente del ConSDABI - National Focal Point
italiano della FAO (NFP.I - FAO) per la tutela del germoplasma animale in via di estinzione nell’ambito della
Strategia Globale FAO per la gestione della risorsa genetica animale (GS-AnGR, Global Strategy for the Management
of Farm Animal Genetic Resources) – Centro di Scienza Omica per la Qualità e per l’Eccellenza nutrizionali - Centro
di Ricerca sulle Risorse Genetiche Animali di Interesse Zootecnico - Centro Produzione Sperma ed Embrioni Contrada Piano Cappelle - 82100 Benevento – Italia - Tel.: +39 0824 334300; tf.: +39 0824 334046; email:
[email protected]; Internet: www.consdabi.org .
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tutta la sua labilità: è la vita di un ‘ecosistema’ (o ‘bioterritorio’ 2) funzionante e funzionale che,
utilizzando la sua mirabile dote autorganizzativa basata su una irriducibile complessità biologica,
permette di tutelare la biodiversità. Infatti Haechel E. (1866) definisce l’ ‘ecologia’: “lo studio dei
rapporti complessivi tra organismi o gruppi di organismi e il loro ambiente naturale, organico,
fisico e inorganico, specialmente per quanto concerne i rapporti ‘affabili’ o ‘avversi’ ”. Hutton J.
(1785) definisce la Terra un “superorganismo” dotato di innumerevoli e funzionanti ‘sistemi
autoregolatori’ sfocianti in un ‘olismo’ di antica concezione induista. Numerosi esempi illuminano i
collegamenti esistenti tra il ‘benessere umano’ e la ‘tutela di una specie in via di estinzione’. In
chiave sistemica, il danno a un singolo ecosistema o bioterritorio, può ripercuotersi negativamente su
un altro sito anche lontanissimo dal primo e su coloro che vivono nell’ecosistema danneggiato.
(Matassino D., 2008). L’imprevedibilità della natura può far sí che piccole variazioni nelle
condizioni iniziali producano grandi variazioni nel comportamento a lungo termine di un ecosistema
con un tipico ‘effetto farfalla’ (‘butterfly effect’, Lorenz E., 1963).
È in atto una nuova strategia di visione e di salvaguardia degli ecosistemi: tutelare la
biodiversità inserita in un dato bioterritorio, al fine di proteggere al massimo possibile la risorsa
endogena di questo bioterritorio, preservando contemporaneamente la salute degli esseri umani ivi
inseriti. Questa strategia trova il suo punto focale nei cosiddetti ‘servizi dell’ecosistema’ e si
diversifica, se non si contrappone, a quella degli Hot Spot (punti caldi) basata principalmente
sull’individuazione di aree minacciate ricche di diversità vegetale da salvaguardare, non
considerando l’entità delle specie animali presenti e il ruolo di questi come fonte di risorsa endogena
per le popolazioni umane indigene. La strategia dei ‘servizi dell’ ecosistema’ si concretizza nel
quantificare il capitale naturale (biodiversità) e nel considerare il suo uso come un ‘servizio dell’
ecosistema’ [termine coniato da Ehrlich P.R. e Ehrlich A. (1970) e largamente divulgato da Daily
G.C. (1997), tutti della Stanford University] (Matassino D., 2008; Brunori G., 2009).
L’immensa riserva di arsenale informativo dei sistemi biologici suggerisce che qualsiasi
sistema biologico (dal microrganismo a una biocenosi) va considerato sempre e solamente nel
contesto della sua vita di relazione con gli altri sistemi biologici viventi e con il microambiente
circostante. Il concetto che la diversità e la vita di relazione a essa associata possono migliorare il
funzionamento di alcuni tipi di comunità è nota anche come ‘ipotesi dell’assicurazione’ (Insurance
Hypothesis), secondo la quale l’aumento di biodiversità protegge gli ecosistemi (o ‘bioterritori’ o
‘bioregioni’) dai danni prodotti da variazioni dell’ambiente; tale ipotesi è equivalente al concetto di
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Bioterritorio: il bioterritorio o bioregione viene definito come “un modello di gestione sostenibile delle risorse
naturali di un territorio da parte delle comunità locali” (World Resources Institute, World Conservation Union,
FAO, UNESCO, United Nations, 1992).
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‘complementarietà di nicchia’ (‘niche complementary’), per cui esiste una correlazione positiva tra
produttività di un ‘ecosistema’ (o ‘bioterritorio’ o ‘bioregione’) e biodiversità qualora le specie che
popolano l’ ‘ecosistema’ utilizzino risorse differenti in maniera completa (Matassino D., 2005). La
differenziazione genetica di una popolazione ha un grande significato di efficienza ‘biologica’ nel
senso sia di utilizzare meglio le risorse dell’ambiente in cui la popolazione vive (un esempio
potrebbe essere dato dagli animali al pascolo) sia di esaltare la capacità riproduttiva degli individui
componenti la ‘comunalità’, quindi di influenzare positivamente la ‘capacità al costruttivismo’ di
un organismo nell’ambiente in cui vive (Matassino, 1978).
Qualunque sistema biologico va sempre considerato in chiave ‘sistemica’ nel senso di mutue
relazioni funzionali che possono identificarsi con un vero e proprio comportamento di tipo
cibernetico (Bettini T.M., 1972; Matassino D., 1978, 1984, 1989).
L'efficienza dell'uso di una risorsa genetica, come fattore di produzione, sarà sempre piú una
variabile importante, se non determinante, della competizione o dell'integrazione economica fra i
sistemi produttivi bioterritoriali ai fini di realizzare un sistema socio-economico secondo i canoni
propri di uno sviluppo sostenibile (Matassino D., 1995).
Matassino D. (2007) evidenzia che un ‘Prodotto Locale Tipizzato Etichettato’ (PLTE)
costituisce un esempio illuminante ove l’utilizzazione della biodiversità, legata alla variegata risorsa
endogena di un ‘bioterritorio’ o ‘bioregione’ , è elemento insostituibile e fondamentale.
Per gestire correttamente la risorsa endogena di un ‘microbioterritorio’ e per ottenere un
impegno da parte della società per la tutela di questa risorsa, è necessario sviluppare parametri atti
a misurare anche il cosiddetto valore ‘non convenzionale’ della risorsa genetica animale. Tenendo
conto anche dei cosiddetti ruoli ‘non convenzionali’, è possibile attribuire alla risorsa genetica
animale endogena di un ‘microbioterritorio’ i seguenti valori: (a) biologico; (b) socio-economico;
(c) culturale; (d) giuridico; (e) etico (Bettini T.M., 1969; Thibon G., 1972; Matassino D. e Pilla
A.M., 1976; Matassino D., 1979, 1990, 1992, 1996, 1997a e b, 2000; 2001a e b, 2004, 2005, 2007 e
2008; Jasorowski, H.A., 1990; Rognoni G. et al., 1990; Matassino D. et al., 1993; Matassino D. e
Cappuccio A., 1998; Mazziotta A. e Gennaro G., 2002; Casabianca F. e Matassino D., 2006;
Gandini G. e Oldenbroek K., 2007; Mazziotta A. e Matassino D., 2008; Quaranta G., 2008;
Matassino D. e Mazziotta A., 2009).
L’innovazione è identificabile con l’introduzione di sistemi, ordinamenti o metodi di
produzione nuovi o significativamente migliorati; essa implica, innanzitutto, la conoscenza dei
fenomeni scientifici e delle relative leggi per poter poi attuare opportuni sistemi produttivi
finalizzati all’ottimizzazione del benessere fisico, psichico e sociale dell’uomo (human well-being
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and welfare), principalmente, e degli altri esseri viventi, secondariamente, in una visione pleròmica
della gestione di questi ultimi da parte dell’uomo.
La biodiversità può essere considerata fonte di innovazione scientifica e tecnologica?
La diversità biologica è da considerare il risultato della complessità biologica la cui base è
identificabile con la ‘irriducibile complessità’ della singola cellula. È la ‘irriducibile complessità’
della singola cellula che esplica un ruolo ‘unico’, istante per istante, in quanto sollecitata
continuamente da interazioni (informazioni) intra e intercellulari, oltre a quelle tra la struttura
organizzata del DNA nucleare e mitocondriale e la miriade di fattori definibili ‘ambientali’ (non
genetici) (Matassino D. et al., 2006). La vita di relazione fra i componenti di una cellula si
concretizza in un dinamico e continuo processo di sintesi. Tale irriducibile complessità è evidente in
numerose strutture viventi: un esempio è rappresentato dal ribosoma3. Yassin A. et al. (2005) hanno
identificato ben 53 siti a livello della subunità 16S del ribosoma batterico, i quali, se alterati per
effetto di mutazioni, interferiscono con la normale funzione del ribosoma quale sede del processo di
traduzione dell’RNA messaggero in polipeptide.
E’ perciò ormai evidente che nella biodiversità e nella sua complessità risiede uno
straordinario ‘archivio naturale’ che può costituire
il pabulum per l’attuazione di opportuni
processi produttivi finalizzati all’ottimizzazione del benessere dell’uomo, nonché alla messa a punto
di strumenti di controllo di un ecosistema.
Ciascuna struttura ‘naturale’ è il frutto di verifiche combinatorie di lunga durata basate
sull’approccio ‘trial and error’ (‘prova ed errore’) nel quale viene ‘premiata’ la struttura ‘migliore’
per ciascuna prestazione funzionale. Pertanto, animali, piante e microrganismi hanno già elaborato,
attraverso la loro evoluzione ciò che funziona, ciò che funziona meglio e, soprattutto, ciò che può
perdurare nel tempo (Matassino D., 2000).
Dice Jacob F. (1997): "il mondo vivente è una sorta di combinatori di elementi in numeri finiti e
rassomiglia al prodotto di un gigantesco 'meccano'. E' questo un cambiamento totale di prospettiva
che è sopraggiunto nel mondo della biologia nel corso di questi ultimi anni. Lo scienziato naviga tra
due poli: il desiderabile e il possibile. Senza il possibile, il desiderabile non è che sogno. Senza il
desiderabile, il possibile non è che noia. Spesso è difficile resistere al sogno, ma la sperimentazione
permette di contenere l'immaginazione. A ogni tappa, lo scienziato è obbligato a esporsi alla critica e
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Ribosoma: organulo cellulare costituito da due subunità disuguali, ciascuna contenente RNA e proteine; negli eucarioti
la subunità ‘maggiore’ contiene 49 proteine 3 tipi di RNA: RNA che, sottoposto all’azione della centrifugazione,
presenta un coefficiente di sedimentazione pari a 28 Svedberg (S), RNA con coefficiente di sedimentazione pari a 5S e
RNA con coefficiente di sedimentazione pari a 5,8S; la subunità ‘minore’ contiene circa 33 proteine e solo RNA con
coefficiente di sedimentazione pari a 18 S. Lo Svedberg, dal nome di Theodor Svedberg, colui che nel 1920 ÷1940 ha
inventato l’ultracentrifuga, rappresenta l’unità di misura della velocità di sedimentazione; 1 unità Svedberg è pari 10-13
secondi. Nei procarioti la subunità ‘maggiore’ contiene RNA di 23 S e di 5S, e circa 34 proteine, mentre quella
‘minore’ RNA di 16 S e 21 proteine. I ribosomi possono trovarsi liberi nel citoplasma come avviene nei procarioti o
ancorati alle membrane come negli eucarioti.
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all'esperienza per limitare la parte del sogno nella rappresentazione che egli elabora. Il metodo
scientifico consiste nel confrontare senza tregua ciò che potrebbe essere e ciò che è. E' questione qui
di molecole, di riproduzione e del 'bricolage' dell'evoluzione. E' questione pure del metodo che
seguono i biologi, con cui essi esaminano "il bello e il vero, il bene e il male".
2. Bioimitazione
Grazie a una continua acquisizione di conoscenza dei biomeccanismi regolanti la vita si è
sviluppata tutta una gamma di applicazioni o di trasferimento operativo in continua espansione, che
si concretizza in quella che oggi viene chiamata ‘bioimitazione’ (‘biomimicry’) o biognosi o
‘biomimetica’ (‘biomimetics’). Quest’ultimo termine, coniato da parte di Schmitt O. nel 1950,
deriva dal greco (βίος = vita e µίµησις derivato da µιµέοµαι= imitare). Nel 1958, Stele J.E.
introduce il termine ‘bionics’. Il significato della parola ‘biomimetics’ appare per la prima volta nel
dizionario Webster (1974) nel senso di “studio della formazione, della sintesi, della struttura e
della funzione di sostanze e di materiali di natura biologica (a esempio enzimi o seta), nonché di
meccanismi e di processi biologici (a esempio sintesi proteica o fotosintesi) allo scopo di
sintetizzare artificialmente prodotti simili che imitano quelli naturali”. Trattasi quindi di un nuovo
filone scientifico interdisciplinare avente per oggetto la progettazione e la costruzione di sistemi,
semplici e/o complessi, prettamente ispirati alla naturalità. Anche se il termine ‘biomimetica’ è
piuttosto recente, le applicazioni della ‘bioimitazione’ possono farsi risalire a Dedalo che costruí un
paio di ali (a imitazione degli uccelli) per se stesso e uno per il figlio Icaro, fissandole alle spalle
con della cera, per continuare, nel corso dei secoli, e giungere alle grandi ideazioni del genio
Leonardo Da Vinci .
Le imitazioni della natura spaziano dalla scienza dei materiali all’ingegneria biomedica
all’intelligenza ‘artificiale’ alle nanotecnologie alla robotica alla bioarchitettura. Un tentativo di
classificare gli organismi e le strutture viventi e le relative funzioni prese a modello dall’uomo per
la realizzazione di nuovi prodotti e/o processi è riportato nello schema 1 (Brushan B., 2009).
Alcuni esempi applicativi sono di seguito esplicitati distintamente per gli organismi vegetali, per
quelli animali e per i batteri.
La bioimitazione costituisce la base per una evoluzione del concetto di ‘materiale’ nella
direzione di un aumento del contenuto di informazione intrinseca al materiale stesso, il quale non è
più inerte ma deve essere in grado di integrare più funzioni secondo logiche molecolari mutuate
dalla biologia in modo da conferire alla struttura caratteristiche peculiari. Nell’ultimo trentennio il
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concetto di materiale subisce una trasformazione ‘filosofica’ notevole passando da materiale quasi
inerte a materiale quasi vivente capace di interagire con l’ambiente e reagire in risposta a stimoli
(Nicolais L., 2008). Tale nuovo orientamento trova la sua espressione massima nell’’ingegneria
tessutale, in cui i materiali vengono resi ‘viventi’.
Il processo di ‘verifica naturale’ a cui sono sottoposte le strutture biologiche conduce
all’affermazione di materiali biologici con consolidate proprietà di eterogeneità, di anisotropia e di
viscoelasticità, le quali diventano fonte di ispirazione per la realizzazione di nuovi materiali. A
esempio, le proprietà di resistenza all’impatto del tessuto osseo sono mutuate nella progettazione di
caschi e/o di strutture protettive.
La struttura organizzativa gerarchica che procede dalla dimensione submolecolare a quella
nanomolecolare, a quella macromolecolare, a quella molecolare a quella fino a quella
macromolecolare, si concretizza nell’espletamento di una miriade di elementi funzionali complessi
(Alberts B. et al., 2008).
2.1. Organismi vegetali
La biodiversità delle piante (a oggi, si riportano circa 270.000 specie differenti) costituisce un
interessante archivio per la progettazione di nuovi materiali; numerose sono le forme e le proprietà
delle piante in grado di suggerire soluzioni innovative ecompatibili ed ecosostenibili.
Superidrofobicità, autopulizia, superidrofilicità. La scoperta delle proprietà ‘autopulenti’
della foglia della pianta di loto (Nelumbo lucifera Gaertn.), considerata da millenni simbolo di
‘purezza’ con un ruolo notevole in religioni e culture in India, Birmania, Cina e Giappone,
rappresenta la base per la realizzazione di un’ampia gamma di superfici autopulenti, antibatteriche,
autodeodoranti, auto-disinfettanti, antiappannanti utili anche per la costruzione di dispositivi a
microfluidi, quali i laboratori in miniatura realizzati su chip di silicio. In realtà, un fenomeno simile
a quello osservato per la foglia di loto da Barthlott ed Ehler (1977) era stato già descritto da
Wolfgang Von Goethe J. (1817÷1822), il quale, tuttavia, non riesce a spiegarne la causa: “Sulle
foglie di alcune piante le gocce di pioggia assumono una chiara forma sferica, senza espandersi, a
causa, probabilmente, dell’evaporazione di qualche essenza particolare”. Soltanto grazie
all’introduzione della microscopia elettronica a scansione Barthlott W. ed Ehler N. (1977)
chiariscono la base scientifica del fenomeno evidenziando che le peculiari proprietà della foglia di
loto sono dovute alla combinazione di due caratteristiche della superficie fogliare che formano una
struttura gerarchica: (a) presenza di microscopiche espansioni papillari di dimensione micrometrica
(10 ÷ 20 µm di altezza e 10 ÷15 µm di circonferenza); (b) peculiare composizione chimica
(miscela di idrocarburi a catena lunga, alcoli primari e secondari e chetoni) del denso strato ceroso
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tridimensionale epicuticolare di dimensione submicrometrica (200 nm÷5 µm) rivestente dette
espansioni (figura 1). Queste due caratteristiche concorrono alla genesi di una superficie
‘superidrofobica’ e ‘autopulente’ (effetto ‘loto’), nella quale le proprietà idrofobiche conferite
dallo strato ceroso sono amplificate dalle espansioni papillari; infatti, l’aria intrappolata tra l’acqua
e la superficie fogliare negli spazi che circondano le protuberanze accresce l’angolo di contatto tra
la superficie della goccia d’acqua e quella della foglia fino a 150° secondo un effetto descritto
dall’equazione di Cassie-Baxter4 (1945); tale ridotta superficie di contatto consente all’acqua di
rotolare via dalla foglia senza in alcun modo restarvi attaccata e di asportare eventuali particelle
estranee presenti sulla foglia. La base scientifica dell’effetto ‘loto’ e l’importanza della struttura
gerarchica nella genesi delle proprietà ‘superidrofobiche’ viene confermata da ricerche condotte su
svariate specie di piante, tra le quali: Brassica Oleracea (L.), Colocasia esculenta (L.) Schott.,
Mutisia decurrens Cav. (Barthlott W. e Nehinuis C., 1997). Una delle prime applicazioni
biomimetiche dell’effetto ‘lotus’ è il ‘cucchiaino da miele’ realizzato da Barthlott negli anni ’90 e
ottenuto mediante un rivestimento con una superficie ruvida al silicone. Applicazioni oggi molto
diffuse sono: la pittura per esterni ‘Stolotusan’, la quale, tra l’altro, protegge la superficie
dall’attacco da parte di funghi e batteri; i tessuti ‘auto-smacchianti’ Nano-Care, ottenuti trattando
le fibre del tessuto con particelle nanoscopiche di silice o di polimero che gli conferiscono
l’irregolare rugosità tipica della foglia di loto. Lo studio dell’effetto ‘loto’ si è ampliato dando
origine a una branca delle nanotecnologie che si occupa di bagnabilità, di autopulizia e di
disinfezione. Paradossalmente, l’effetto ‘lotus’ diventa anche la base per la realizzazione in
laboratorio di superfici ‘superidrofiliche’ ottenute, verso la metà degli anni ’90, a partire da
sospensioni acquose di biossido di titanio indurite mediante riscaldamento a 500 °C ed esposte alla
luce ultravioletta; quest’ultima, rimuovendo alcuni atomi di ossigeno dalla superficie di biossido di
titanio, dà origine a un mosaico di domini capaci di adsorbire i gruppi ossidrile e quindi in grado di
generare l’idrofilia della superficie. La ‘superbagnabilità’ da biossido di titanio conferisce
proprietà, oltre che ‘autopulenti’ e ‘antiappannanti’, anche ‘deodoranti’ e ‘disinfettanti’. Queste
ultime proprietà sono imputabili all’azione fotolitica a carico del biossido di titanio, responsabile
del movimento di elettroni
(carichi ‘negativamente’) che, allontanandosi verso la banda di
conduzione, danno origine a corrispondenti ‘buche’ (cariche ‘positivamente’) nella banda di
valenza; questi due tipi di carica reagiscono con acqua e ossigeno presenti sulla superficie del
biossido di titanio e portano alla formazione di radicali anioni ‘superossido’ e di radicali
‘ossidrile’, specie chimiche altamente reattive, in grado di convertire i composti organici in
4
La legge di Cassie-Baxter, applicando l’equazione di Young Douprè stima l’angolo di contatto medio di un’entità
fisica su di una superficie chimicamente eterogenea nel senso di presenza di domini bidimensionali chimicamente
diversi, ottenendosi cosí una stima del lavoro di adesione.
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anidride carbonica e acqua e quindi di uccidere i microrganismi e di degradare materiale organico
superficiale. Questi strati autopulenti al biossido di titanio trovano un utile applicazione quali
rivestimenti per ceramiche, piastrelle, ecc. ma non per l’interno degli edifici, ove il vetro,
bloccando il passaggio degli UV, annullerebbe l’azione fotocatalitica responsabile delle desiderate
proprietà ‘autopulenti’. Tale ostacolo viene superato ‘drogando’ il biossido di titanio, a esempio
con azoto (Sato S., 1985); questo trattamento consente lo svolgersi della fotolisi anche a lunghezze
d’onda più elevate. Le proprietà ‘antibatteriche’ e ‘deodoranti’ del biossido di titanio ‘drogato’
rendono tale materiale particolarmente utile per rivestire bagni e cucine. Recentemente, si cerca
di combinare i due effetti ‘opposti’ (‘superidrofobicità’
e ‘superidrofilicità’) attraverso la
realizzazione di ‘multistrati silico-polimerici’ contenenti polielettroliti (Rubner e Cohen, 2003) e
costituiti dall’alternarsi di strati del polimero idrocloruro di poli-allilammina (PAH) a carica
positiva e strati dello stesso polimero nel quale sono incorporate nanoparticelle di silice cariche
negativamente; queste ultime formano pori nanoscopici idrofilici, i quali, attraversando l’intero
multistrato, formano una sorta di spugna in grado di assorbire e di allontanare istantaneamente
l’acqua dalla superficie; tale effetto, noto come nanowicking (dalla parola wick, che indica lo
stoppino di una candela o di una lampada) conferisce proprietà antiappannanti e antiriflesso di utile
applicazione a superfici di vetro. Contrariamente al biossido di titanio, le superfici multistrato
funzionano bene sia alla luce che al buio.
La possibilità di invertire ‘a comando’ l’idrofobicità di alcune zone ben precise di una
superficie potrebbe consentire di controllare il movimento dei fluidi attraverso una rete di canali
microscopici sui cosiddetti chip a microfluido.
La capacità di alcune piante acquatiche, quali la felce natante (Salvinia natans) o la lattuga di
mare (Ulva lactuca) di immagazzinare uno strato d’aria sulla superficie superiore della foglia
grazie alla presenza su di essa di corti peli multicellulari rappresenta una fonte di ispirazione per la
realizzazione di dispositivi finalizzati alla riduzione dell’attrito sullo scafo delle navi con riduzione
dei costi energetici.
Piante carnivore. Le strategie messe in atto per la cattura e la digestione degli insetti da parte
di piante carnivore appartenenti al genere Nepenthes rappresentano un modello d’ispirazione per lo
sviluppo di superfici con proprietà ‘autopulenti’.
Meccanismi di difesa delle piante. I meccanismi di difesa contro l’attacco da parte di insetti
attuati da alcune piante, quali Taxus baccata L., Primula Palinuri L. e Nicotiana tabacum L.,
attraverso la secrezione di sostanze chimiche (terpenoidi, flavonoidi e nicotine) potrebbero rivestire
notevole interesse, a esempio, per la progettazione di strategie contro l’invasione di foreste da parte
di insetti dannosi.
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Proprietà adesive. La proprietà dei fiori di bardana (Arctium lappa L.), dovuta alla presenza
di uncini a livello del calice, di aderire a qualsiasi superficie, inclusi i tessuti di abiti, nel 1948,
viene presa a modello da George de Mestal per la realizzazione del ‘Velcro’5, un sistema di
chiusura adesivo, prodotto in nylon, costituito da due componenti: (a) una striscia di tessuto simile
a un velluto; (b) una striscia di tessuto con uncini.
Struttura delle piante per il movimento. I cambiamenti di forma che alcuni tessuti vegetali
possono subire in seguito a variazioni delle condizioni meteorologiche (temperatura o umidità) si
concretizzano nella genesi di movimento. Lo studio di questo fenomeno rappresenta un importante
focus per lo sviluppo di materiali artificiali o di dispositivi ‘bioispirati’ in grado di adattarsi in
risposta a stimoli esterni con ampie applicazioni nel campo della medicina, della fisica, della
chimica, della scienza dei materiali, nonché dell’ ingegneria. A esempio, Sidorenko A. et al.
(2007) riportano la progettazione di sistemi dinamici realizzati integrando nanocolonne di silicone
(libere o contenenti substrati) con uno strato di idrogel; il movimento delle nanocolonne viene
promosso dall’idrogel che si espande o si contrae in relazione al grado di umidità.
Conversione di energia chimica. Il processo naturale di fotosintesi viene preso a modello per
lo sviluppo di un economico e flessibile sistema basato sulla sintesi di polimeri fotosensibili in
grado di convertire la luce in energia elettrica.
2.2. Organismi animali
Proprietà superidrofobiche, autopulenti, superidrofiliche. Le proprietà ‘superidrofobiche’
non sono un’ ‘esclusiva’ del regno vegetale (Wagner T. et al., 1996).
Coleottero della nebbia. A esempio, una combinazione dell’effetto ‘loto’ e della
‘superbagnabilità’ è evidenziata in natura nel cosiddetto ‘Coleottero della nebbia’, Stenocara
gracilipes (Solier, 1835) (figura 2) che vive nel deserto del Namib (Africa Meridionale) grazie alla
presenza, sulla superficie delle elitre, di protuberanze simili a quelle della foglia di loto, ma prive
alla loro sommità dello strato ceroso; tale assenza rende l’estremità delle protuberanze idrofile;
questi punti idrofili provocano la condensazione dell’acqua contenuta nella foschia notturna
formando goccioline che rapidamente
si espandono e scivolano lungo le aree circostanti
‘idrofobiche’ in rivoletti fino alla bocca dell’animale (Parker A.R. e Lawrence C.R., 2001). La
capacità dello Stenocara gracilipes di raccogliere l’acqua contenuta nella foschia ispira la messa a
punto di strategie per il recupero dell’acqua nelle regioni aride o per il riciclaggio del vapore che si
forma nelle torri di raffreddamento industriali.
5
Velcro: trattasi di un termine commerciale ed è un acronimo che deve la sua origine alle iniziali di VELours (velluto) e
CROchet (gancio).
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Insetto pattinatore. Un altro esempio di ‘superidrofobicità’ nel regno animale è rappresentato
dal cosiddetto ‘insetto pattinatore’,
Gerris Remigis (Say, 1832). Gao X. e Jiang L. (2004)
dimostrano che le proprietà ‘superidrofobiche’ di tale animale sono dovute alla presenza sugli arti
di una struttura gerarchica costituita da numerosissime microsetole provviste di sottili nanosolchi e
ricoperte da una cuticola cerosa.
Zanzara. L’occhio della zanzara presenta proprietà ‘superidrofobiche’ ‘antinebbia’. Tali
proprietà sono imputabili alla peculiare struttura dell’occhio ‘composto’, la cui unità sensoriale di
base è rappresentata dall’ommatidio; quest’organulo è presente mediamente con un centinaio di
unità; ciascun ommatidio, della dimensione di circa 26 µm di diametro, presenta alla superficie
cappucci di dimensione nanometrica (Gao X. et al., 2007).
Uccelli. Nell’ambito dei vertebrati, un esempio di ‘idrofobicità’ è fornito dal piumaggio di molti
uccelli. A esempio, il piumaggio del piccione presenta una particolare struttura reticolata costituita
da barbe e barbule, responsabile delle proprietà idrofobiche (Bormashenko E. et al., 2007).
Proprietà adesive. Verme della sabbia. La colla secreta dall’Anellide polichete Phragmatopoma
californica L., (verme della sabbia) utilizzata per cementare sabbia e conchiglie nella costruzione
della propria ‘casa’ viene imitata per l’ottenimento di una ‘supercolla’ sintetica che può avere
notevoli potenzialità operative ai fini della riparazione di microfratture delle ossa o del rilascio
controllato di farmaci (Shao H. et al., 2008).
Geco. L’elevata capacità adesiva del geco (la forza di adesione è di circa 400 volte superiore
rispetto al peso dell’animale stesso) è fonte di ispirazione per la produzione di una colla speciale a
base di molecole uncinate costituite da nanotubi di carbonio avente la peculiarità di funzionare ‘a
secco’; tale peculiarità rende questo tipo di collante particolarmente adatto allo sviluppo di
applicazioni in microelettronica e in sistemi spaziali, nonché di nastri adesivi. Le proprietà di
adesione ‘a secco’ del geco sono dovute alla presenza, all’estremità degli arti, di un cuscinetto
adesivo di circa 220 mm2 avente una complessa struttura gerarchica includente: lamelle di
dimensione macrometrica lunghe 1÷2 mm; microsetole di dimensione micrometrica (lunghezza
pari a 30÷130 µm e diametro pari a 5÷10 µm) le quali si dipartono dalle lamelle con una densità di
circa 14.000 /mm2; spatole di dimensione micro-nanometrica (diametro di 0,1÷0,2 µm nella
regione prossimale di forma tubolare; larghezza di 0,2÷0,3 µm e spessore di 10 nm nella regione
distale a forma di spatola) le quali, in numero di 100÷1.000, si diramano da ciascuna microsetola e
formano i punti di contatto diretto con la superficie di adesione (Autumn K. et al., 2000) (figura 3).
Le forze attrattive che tengono i gechi attaccati a una superficie sono unicamente le interazioni di
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Van der Waals6 che si instaurano tra le microsetole nelle loro più fini ramificazioni e la superficie
di appoggio. La superficie dell’arto del geco è anche ‘autopulente’, il che permette allo stesso di
aderire anche su superfici sporche (sabbia, ecc.); tale proprietà è da attribuire all’energia di
adesione complessiva delle spatole, la quale sviluppa una forza di attrazione tra le particelle di
sporco e le spatole inferiore a quella che trattiene lo sporco sulla superficie di adesione; tale minore
forza di attrazione fa sí che al passaggio del geco le particelle di sporco restino adese alla superficie
di appoggio piuttosto che agli arti dell’animale stesso.
Altri animali. Proprietà adesive ‘a secco’, anche se meno spiccate rispetto a quelle del geco, si
osservano in insetti e in ragni.
Alcuni anfibi, quali rane arboricole e di torrente, nonché salamandre, sono provvisti di proprietà
adesive cosiddette ‘su bagnato’, dovute alla presenza a livello degli arti di cuscinetti adesivi
costituiti da strutture esagonali di cellule epidermiche di circa 10 µm separate da canali nei quali
viene secreto un muco che mantiene la superficie del cuscinetto costantemente bagnata (Federle W.
et al., 2006). I battistrada degli pneumatici dei veicoli si ispirano proprio a queste strutture in
modo da assicurare un’aderenza anche su superfici umide o bagnate.
Proprietà idrodinamiche e aerodinamiche. Molti animali acquatici posseggono una peculiare
microstruttura della superficie corporea, la quale, influenzando le caratteristiche fluidodinamiche in
condizioni di moto turbolento, riduce l’attrito7 in acqua determinando un aumento della velocità di
movimento dell’animale con un dispendio energetico minimo.
Squalo. Un esempio è fornito dallo squalo, il quale presenta una superficie cutanea (superficie a
‘riblets’= superficie a ‘microscanalature’) caratterizzata dalla presenza di dentelli dermici
(‘squame placoidi’) di dimensione micrometrica, regolarmente spaziati; questi dentelli sono
provvisti di canalicoli longitudinali allineati parallelamente tra loro; tale struttura dentellata
contribuisce a ridurre l’attrito in acqua per un valore pari al 5÷10 %, nonché ad allontanare
eventuali ectoparassiti (Bechert D.W. et al., 1997, 2000). I solchi presenti nelle scaglie dello squalo
riducono la formazione di vortici (una delle principali cause dell’aumento dell’attrito in condizioni
di moto turbolento) mediante i seguenti meccanismi che: (a) favoriscono la direzione del flusso
6
Interazioni di Van der Waals: deboli attrazioni intermolecolari causate da ‘dipoli’ istantanei ‘indotti’ in molecole
complessivamente neutre in seguito a fluttuazioni nella distribuzione delle cariche prodotte dal movimento continuo
degli elettroni; i ‘dipoli’ istantanei possono influenzare le molecole vicine e indurre anche in queste una
polarizzazione; differenti dipoli istantanei possono poi attirarsi fra loro.
7
Attrito: se un corpo si muove in un fluido a velocità molto elevata [Numero di Reynolds (Re)>106] il moto del corpo è
detto turbolento; in tal caso la forza di attrito è causata soprattutto dalla dispersione di energia nei vortici del fluido e
può essere calcolata con la formula: Fa=1/2(cxρSv2) ove: (a) cx è un coefficiente aerodinamico adimensionale di
resistenza che tiene conto della forma e del profilo del corpo in moto nel fluido; cx può avere i seguenti valori: (i)
compreso tra 0,4 e 0,5 per una sfera, (ii) maggiore di 1 per oggetti di forma irregolare, (iii) minore di 0,1 per un profilo
alare; (b) ρ è la densità del fluido; (c) S è l’area della sezione frontale del corpo in movimento; (d) v è la velocità.
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incanalando l’acqua; (b) aumentano la velocità dell’acqua sulla superficie della scaglia riducendo
la differenza di velocità tra l’acqua che scorre sulla superficie della scaglia e quella che scorre nelle
aree circostanti; (c) suddividono lo strato d’acqua che scorre sulla superficie dello squalo in modo
che qualunque turbolenza si generasse provocherebbe vortici di minore entità. La protezione
dall’adesione degli ectoparassiti sulla superficie cutanea dello squalo sarebbe dovuta alla
concorrenza dei seguenti fattori: (a) aumento della velocità di flusso dell’acqua sulla superficie
della scaglia; (b) riallineamento e flessione continua delle scaglie in risposta ai cambiamenti esterni
e interni della pressione che generano un ‘obiettivo mobile’ che non permette agli organismi di
aderire. Un esempio applicativo delle proprietà ‘idrodinamiche’ e ‘autopulenti’ della pelle dello
squalo è rappresentato dalla realizzazione della cosiddetta ‘pelle di squalo artificiale’ utilizzata per
rivestimenti di navi o di velivoli; pelle che conferisce una maggiore velocità di ‘navigazione’, con
contemporanea migliore pulizia dello scafo o della superficie esterna dell’aeromobile; quindi, l’uso
del rivestimento ispirato alla ‘pelle di squalo’ comporta una riduzione di combustibile e di
antiparassitari. La realizzazione di superfici riproducenti la tessitura della ‘pelle dello squalo’ si
estende a un’ampia gamma di applicazioni, tra cui si ricordano: miglioramento delle prestazioni
delle mute per accelerare l’immersione; progettazione di tute che agevolano il nuoto. In più, lo
squalo è fonte di ispirazione per altre innovazioni tecniche come la realizzazione di un dispositivo
simile alla sua coda, la quale converte l’energia delle onde in energia elettrica.
In molti pesci la riduzione dell’attrito è associata anche allo strato mucoso che riveste la loro
superficie corporea; partendo da questa constatazione vengono realizzati polimeri additivi che
vengono utilizzati per migliorare la propulsione dell’olio negli oleodotti (Motier J.F. e Carrier
A.M., 1989).
Altri pesci. In alcuni animali acquatici le peculiari proprietà idrodinamiche sono dovute alla
conformazione somatica dell’animale; a esempio, il delfino possiede una conformazione ottimale
per la riduzione dell’attrito in immersione già utilizzata come modello per la realizzazione dei
sommergibili. La peculiare conformazione aerodinamica del pesce Ostracion Meleagris (Shaw,
1746), noto come boxfish (“pesce scatola”), viene utilizzata per la realizzazione della cosiddetta
‘macchina bionica’ a basso attrito aerodinamico.
Infine, a differenza di uccelli acquatici, i pesci sono caratterizzati da una ‘superoleofobicità’
della superficie corporea che rende tali animali resistenti all’inquinamento da oli; la struttura di
questa superficie potrebbe essere imitata per la progettazione di nuovi approcci per il
12
ARS, 120, 47-51, 2009 (I Parte); 121, 50-57, 2009 (II Parte )
disinquinamento da idrocarburi con un’efficacia superiore a quella ottenuta tradizionalmente
attraverso l’impiego di surfactante8.
Balena. L’aletta della balena Megaptera novaeangliae (Borowki, 1781) provvista di un bordo
irregolare viene utilizzata per la realizzazione di un nuovo design per le palette della turbina a
vento e può rappresentare anche un modello più efficiente di quello attuale nell’industria
aeronautica per migliorare l’efficienza del volo degli aerei a turbina (Fish F.E., 2006).
Proprietà ottiche. Vari uccelli (a esempio il pavone) e insetti (a esempio le farfalle) danno luogo
a colorazioni brillanti; queste ultime non sono associate alla presenza di pigmenti, ma sono dovute
alla rifrazione della luce determinata dalla presenza di strutture che si ripetono. Queste proprietà
sono utilizzate per migliorare la luminosità dei display dei telefoni cellulari.
Gli occhi di molti insetti notturni sono caratterizzati da proprietà ‘antiriflesso’ che rendono tali
animali meno vulnerabili all’attacco di predatori; tali proprietà sono responsabili del cosiddetto
effetto ‘moth-eye’ (effetto ‘occhio di falena’) scoperto negli anni ’60 a seguito di studi sull’occhio
degli insetti. La capacità ‘antiriflesso’ è associata alla peculiare struttura della cornea dell’occhio
della falena rivestita da centinaia di protuberanze coniche nanoscopiche (circa 200 nm di diametro
e regolarmente spaziate tra loro a una distanza di 200 nm) responsabili di un incremento dell’indice
di rifrazione del mezzo ottico. L’effetto ‘moth eye’ non va confuso con la riduzione della
riflettanza dovuta alla rugosità superficiale, la quale, invece, determina una distribuzione della luce
riflessa come scattering (dispersione); nel caso dell’effetto ‘moth eye’ non si ha degradazione di
energia luminosa: la riduzione della riflessione si traduce in un aumento della trasmissione.
Numerose sono le applicazioni biomimetiche di tale effetto: (a) incremento dell’efficienza dei
pannelli solari con una riduzione dell’entità della riflessione a ben solo il 2%, rispetto al 35 ÷ 40 %
che oggi si realizza con l’utilizzo di superfici in silicio; (b) produzione di schermi video per
computer mediante l’ottenimento, attraverso l’impiego del laser, di superfici sfaccettate su di una
vernice fotosensibile (Mueller T., 2008).
Effetti ottici complessi, quali l’iridescenza, la polarizzazione della luce, osservati in alcuni
insetti [a esempio in Polyommatus icarus (Rottemburg, 1775)] sono il risultato della presenza, a
livello dell’ala, di squame caratterizzate da una struttura gerarchica; essi sono fonte di ispirazione
8
Surfactante: sostanza in grado di ridurre la tensione superficiale di un liquido. I surfactanti sono molecole anfipatiche
composte da una parte idrofila e da una parte idrofoba che si posizionano all’interfaccia fra fasi fluide con differente
grado di polarità (a esempio interfaccia olio-acqua o aria-acqua); questa caratteristica conferisce ai surfactanti eccellenti
proprietà come detergenti, emulsionanti, schiumanti e disperdenti. Un esempio di surfactante è quello che riveste come
una sottilissima pellicola la superficie degli alveoli polmonari e delle vie aeree terminali, ove svolge un ruolo
fondamentale nel mantenimento della funzione meccanica polmonare, impedendo il collasso degli alveoli più piccoli e
l’eccessiva espansione di quelli più grandi; trattasi di un complesso di natura lipoproteica costituito da 4 apoproteine
(SP-A,SP-B, SP-C e SP-D) e da lipidi (dipalmitoil fosfatidilcolina; fosfatidilglicerolo; lipidi neutri e colesterolo) secreto
dagli pneumociti di tipo II. Per inciso, si ricorda che l’ingestione di lardo contribuirebbe a facilitare la sintesi del
surfactante con notevole beneficio per la funzione meccanica dell’apparato respiratorio (De Paola V., 2003; Matassino
D. e Occidente M., 2003).
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ARS, 120, 47-51, 2009 (I Parte); 121, 50-57, 2009 (II Parte )
per l’industria tessile e cosmetica, nonché per quella della telefonia mobile. A differenza dei
display tradizionali, che richiedono una sorgente luminosa interna e diventano invisibili alla luce
intensa, quelli basati su applicazioni biomimetiche potrebbero funzionare mediante luce riflessa
con basso dispendio energetico.
Proprietà meccaniche. Le caratteristiche di resistenza meccanica, di ‘leggerezza’ e di
viscoelasticità tipiche dell’osso, del dente e della cartilagine possono trovare applicazione in vari
campi, quali a esempio la progettazione di caschi ed elmetti antiurto, nonché nella messa a punto di
sistemi di distribuzione di carichi in grado di dissipare l’energia di deformazione a vari livelli della
loro struttura; le scarpe cosiddette ‘reattive’, ispirate alle proprietà biomeccaniche della cartilagine,
grazie alla loro capacità di riassorbire l’onda d’urto, riducono sprechi di energia per chi corre
(Nicolais L., 2008).
La struttura a cristalli fotonici9 della dentina10 ispira un metodo per la cattura della luce solare
basato su strutture simili al dente montate in serie su silicone che permettono di catturare la luce
indipendentemente dall’angolo di incidenza del sole; tale applicazione potrebbe essere di
fondamentale importanza nelle regioni antartiche (Sommer A.P. e Gentle M., 2006).
Molluschi. Nel settore della progettazione dei ‘materiali biomimetici’ di notevole rilievo è il
filone della ‘ceramica bioispirata’ basata sull’imitazione delle conchiglie. Queste ultime hanno
una struttura lamellare composita, di natura sia organica che inorganica, la quale, nel suo insieme,
fornisce proprietà meccaniche superiori a quelle dei singoli componenti. Il materiale inorganico
(carbonato di calcio, fosfato di calcio e silice, complessivamente presenti per il 95 %) è cementato
con macromolecole organiche (tipicamente collagene, cheratina e chitina, presenti per un totale
dell’1÷5 %) secondo una struttura gerarchica. A esempio, nella cosiddetta “orecchia di mare”
[Haliotis tuberculata lamellosa (Lamarck, 1822)] le straordinarie proprietà meccaniche (comparate
con quelle del carbonato di calcio monolitico) sono dovute a una struttura gerarchica organizzata;
quest’ultima inizia con uno strato polimerico di dimensione nanomolecolare (20÷30 nm di
spessore) di natura organica costituito da chitina, lustrina e proteine simili alla seta, procede con
uno strato macromolecolare (0,5÷10 µm di spessore) di cristalli di aragonite e culmina con strati
macromolecolari (0,3 mm di spessore) (Meyers M.A. et al., 2006). Questa miscela di fragili
piastrine e di strati sottili di biopolimeri elastici inibisce la propagazione di rotture in senso
trasversale e rende il materiale forte e resiliente. Lo strato interno della conchiglia è costituito da
9
Cristallo fotonico: nanostruttura caratterizzata da una modulazione periodica dell’indice di rifrazione che conferisce
proprietà ottiche simili a quelle di conduzione elettrica dei cristalli.
10
Dentina: strato intermedio della struttura del dente; la dentina è costituita per circa il 70 % da minerali, per circa il
20% di sostanza organica (collagene, altre proteine e lipidi) e per circa il 10 % di acqua; la struttura della dentina
include tubuli di 1÷3 µm di diametro presenti con una densità molto elevata (circa 15.000 tubuli per mm2) contenenti
sottili proiezioni dette odontoblasti.
14
ARS, 120, 47-51, 2009 (I Parte); 121, 50-57, 2009 (II Parte )
madreperla. Le proprietà meccaniche di questo materiale sono investigate da Wang R.Z. et al.
(2001) e Barthelat F. et al. (2007) e misurate da vari autori (Jackson A.P. et al., 1988; Sarikaia M.
et al., 1990; Li X. et al., 2004) in vari tipi di conchiglia; la forza tensile della madreperla risulta
essere superiore in ambiente asciutto rispetto a quello umido. Svariati sono i tentativi di riprodurre
artificialmente la madreperla (Munch E. et al., 2008; Luz G.M. e Mano J.F., 2009). La sintesi del
carbonato di calcio per la costruzione della conchiglia a partire dal biossido di carbonio da parte
dei molluschi è oggetto di notevole interesse per la conversione di emissioni di biossido di
carbonio, in presenza di acqua, in ioni bicarbonato e successiva conversione in carbonato di calcio
solido.
Ragno. La conoscenza delle ‘caratteristiche reologiche’ del filo della rete tessuta da alcuni
ragni, elastico quanto il nylon e, a parità di peso, ben 3 volte più resistente11 dell’acciaio, porta
alla realizzazione di fibra utilizzata per i voli spaziali. L’associazione della forza e della
estensibilità è dovuta principalmente a una rete costituita da ‘domini strutturali’ formati da un
insieme di strutture rigide di tipo beta a foglietto ripiegato12 frammiste a strutture flessibili ad alfa–
elica. Sembra che l’auto-assemblaggio della tela del ragno sia favorita da regole ‘decisionali’ locali
quali risposta a input
provenienti dall’ambiente esterno. A esempio, l’Araneus diadematus
(Clerck, 1757) (il comune ‘ragno crociato’), che costruisce una ragnatela di tipo orbicolare o
spiraliforme, è in grado di percepire le variazioni spaziali del sito in cui tesse la tela variando sia la
dimensione che la geometria complessiva della ‘spirale di cattura’13 della ragnatela (Krink T.,
2000). La resistenza del filamento della tela può essere notevolmente incrementata (fino a essere
decuplicata rispetto a quella della tela non trattata)
infiltrando la componente proteica del
filamento stesso con metalli quali lo zinco, il titanio o l’alluminio mediante la tecnica di
‘infiltrazione multipla pulsata in fase di vapore’, normalmente utilizzata per la deposizione di
11
Resistenza alla deformazione: viene misurata in termini di ‘carico di rottura’ (tensile strength), detto anche ‘forza di
rottura’ o ‘sollecitazione a rottura’; il ‘carico di rottura’, in quanto sollecitazione, viene misurato nel Sistema
internazionale di unità di misura (SI) in Pa (Pascal), che è l’unità di misura della pressione; 1 Pa= 1Newton (N)/m2, ove
il newton è l’unità di misura della forza e 1 N è la forza necessaria per spostare la massa di 1 kg di 1 metro in 1
secondo; per la seta della ragnatela il ‘carico di rottura’ va da 1,2 GPa a 10 GPa; 1 Gpa=109N/m2.
12
Struttura beta a foglietto ripiegato (beta-sheet): il foglietto beta è la seconda forma più diffusa di struttura secondaria
delle proteine (la prima è l’alfa elica); esso consiste di filamenti peptidici disposti uno accanto all’altro e collegati tra
loro da legami idrogeno che formano una struttura planare; i legami idrogeno non coinvolgono le catene laterali degli
amminoacidi, le quali sporgono perpendicolarmente rispetto al piano del legame peptidico. Ciascun filamento peptidico
(strand) assume un aspetto a zig- zag; le catene peptidiche adiacenti possono correre nella stessa direzione quando sono
orientate tutte dall’azoto iniziale al carbonio terminale (foglietto beta ‘parallelo’) oppure in direzioni opposte quando
una catena è orientata dall’azoto iniziale al carbonio terminale e quella adiacente dal carbonio iniziale all’azoto
terminale (foglietto beta ‘antiparallelo’). A esempio, la fibrina della seta è formata quasi interamente da foglietti beta
‘antiparalleli’ sovrapposti.
13
Spirale di cattura: la tessitura di una ragnatela è caratterizzata dai seguenti eventi sequenziali: (a) deposizione dei fili
che costituiscono i raggi della tela, i quali formano l’intelaiatura; (b) costruzione centrifuga di una spirale ‘provvisoria’;
(c) costruzione centripeta di una nuova spirale detta ‘spirale di cattura’ o spirale ‘permanente’ sostitutiva di quella
‘provvisoria’. La spirale tipica della ragnatela è identificabile con la ‘spirale di Archimede’; spirale che conferisce alla
tela l’ ‘abilità’ di trattenere anche prede di piccola taglia.
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‘strati atomici’ (ALD, atomic layer deposition) (Lee S.M. et al., 2009). Da un ‘felice connubio’
fra ‘naturalità’ e ‘procedura tecnica’, utilizzando un ‘trucco’ della natura, si ha un’esaltazione
della resistenza e della elasticità della fibra tessuta da un ragno. Da ciò scaturiscono notevoli
potenzialità nella utilizzazione di fibre ‘naturali’ ‘rinforzate’ in numerosi campi: ottenimento di
biomateriali più resistenti alla rottura e più duttili (ossa, tendini, collagene speciale, ecc.), di
biomateriali per l’edilizia, per l’industria aeronautica (specialmente quella spaziale, ecc.).
Picchio. La capacità del picchio verde [Picus viridis (Linnaeus, 1748)] di percuotere
ripetutamente il tronco di un albero (ritmo di 15÷16 colpi/s) senza riportare danni cerebrali e visivi
costituisce un ulteriore ‘modello biomeccanico animale’ fonte di imitazione. La notevole capacità
di resistenza dell’encefalo alle sollecitazioni meccaniche è dovuta a una serie di dispositivi, quali
a esempio: (a) presenza di: (i) potenti muscoli che connettono il becco al cranio, i quali
costituiscono una struttura in grado di distribuire la forza dell’impatto alla base del cranio
‘bypassando’ il sistema cerebrale; (ii) osso spugnoso e cartilagine alla base del becco fungenti da
cuscinetto elastico; (iii) encefalo di volume ridotto e fortemente protetto entro la scatola cranica;
(iv) ridotta quantità di liquido cerebrale, la quale contribuisce a minimizzare la trasmissione delle
onde meccaniche alla superficie dell’encefalo; (b) assenza di circonvoluzioni cerebrali con
conseguente elevato rapporto area superficiale/peso; tale elevato rapporto fa sí che l’urto si diluisca
su una superficie più ampia. Vincent et al. J.F.V. (2007), prendendo in considerazione alcune
caratteristiche somatiche, nonché alcune proprietà meccaniche dei principali organi coinvolti nel
movimento (massa della testa e corporea, inerzia della testa e corporea, resistenza meccanica del
collo, capacità di smorzamento del collo, ecc.), hanno elaborato un modello in grado di descrivere
il movimento del picchio nelle varie fasi della sua attività di ‘percussione’. Tale modello evidenzia
che la forza richiesta per accelerare il movimento della testa proviene dalla contrazione dei muscoli
del corpo; variando la modalità di relazione fra il movimento della testa e quello del corpo, il
picchio è in grado di trasformare il movimento più o meno sinusoidale del corpo in un movimento
a ‘dente di sega’ a livello della testa impartendo una velocità più elevata di quella attuabile
mediante un moto oscillatorio; secondo tale modello le vertebre e i tendini del collo si
comporterebbero come una molla. Le proprietà biomeccaniche modellizzate da questa ricerca
costituiscono la base per la progettazione di un martello di peso minimo e a bassa inerzia utile
nell’esplorazione dello spazio, nonché di attrezzature odontoiatriche.
Proprietà autoriparative. L’osservazione e l’analisi del processo naturale di calcificazione di
alcune strutture viventi quali l’osso e il dente stanno conducendo allo sviluppo di nuovi materiali
‘biomimetici’ utilizzati per la riparazione tessutale. Questi materiali incorporano polimeri e peptidi
sintetici con fattori di crescita tissutali e cellule viventi; essi, pertanto, forniscono una matrice
16
ARS, 120, 47-51, 2009 (I Parte); 121, 50-57, 2009 (II Parte )
sintetica che, quando è esposta a cellule o è impiantata ‘in vivo’, induce la stessa risposta prodotta
naturalmente dalla matrice ossea durante la formazione dell’osso integrandosi pienamente nel
tessuto già esistente (Boskey A.L., 1998). A livello molecolare vi sono ponti strutturali che
dinamicamente si rompono e si riparano, consentendo ai materiali di deformarsi in modo plastico e
senza fratture. Nelle ossa si assiste a una sostituzione ciclica di materiale da parte di cellule
specializzate, il che consente a un osso di adattarsi ai cambiamenti nonché di ‘autoripararsi’ a
seguito di danno. In un sistema biologico i segnali chimici rilasciati a livello del sito danneggiato
innescano una risposta sistemica che trasporta agenti necessari per la riparazione. I processi
biologici che controllano la risposta al danno coinvolgono varie fasi sequenziali: infiammazione,
riparazione della ferita e rimodellamento della matrice tessutale. Attualmente sono in fase di
sviluppo svariati materiali artificiali utilizzati per l’ ‘autoriparazione’ includenti polimeri semplici
e compositi14: fibre di vetro-resine epossidiche; fibre di carbonio-resine epossidiche; ionomeri15 [a
esempio poli (etilen-co-acido metacrilico)] (Sottos N. et al., 2007; Yuan Y.C. et al., 2008; Van der
Zwaag S. et al., 2009). Verberg R. et al. (2007) propongono un modello di ‘leucocita sintetico’
costituito da microcapsule polimeriche in grado di essere veicolate attraverso microcanali e capaci
di percepire il sito danneggiato rilasciando a livello di quest’ultimo nanoparticelle contenute nel
materiale polimerico fungenti da agenti di riparazione. I materiali compositi vengono attualmente
studiati e sperimentati soprattutto in campo odontoiatrico e ortopedico; in particolare, questi
materiali vengono studiati per: (a) migliorare le proprietà e la durata degli steli femorali e delle
placche ossee; (b) produrre cartilagini articolari sostitutive di quelle usurate; (c) ricostruire tendini
e legamenti necessari per il riacquisto delle funzioni meccaniche di un’articolazione; (d) riempire
perdite ossee alveolari o difetti ossei.
Proprietà sensoriali. La capacità di percepire suoni o rumori di fondo da parte di alcuni animali
viene utilizzata quale modello per la realizzazione di nanostrutture in grado di rilevare frequenze
radio (Bar-Cohen Y., 2006).
Matrici di sensori possono mimare la percezione di odori o sapori conducendo alla realizzazione
di un ‘naso elettronico’ o di una ‘lingua elettronica’. Un esempio di sensore avanzato è il
dispositivo di Baller M.K. (2000) realizzato con l’impiego di cantilever (leva flessibile) multipli di
silicone in grado di rilevare i vapori; ciascun cantilever è rivestito di uno strato che funge da
14
Materiale composito: trattasi di un materiale costituito da dall’insieme di due o più sostanze diverse fisicamente
separate; nel materiale composito normalmente si distinguono: (a) una fase omogenea detta ‘matrice’, che può essere
una materia plastica (a esempio nylon, resina epossidica), metallica (a esempio alluminio, titanio o loro leghe) o
ceramica (carburo di silicio o allumina); la matrice fornisce al materiale resistenza alla compressione (b) una fase
dispersa detta ‘rinforzo’ o ‘carica’ , discontinua e generalmente fibrosa (fibra di vetro, fibra di carbonio, ecc.), che ha il
ruolo di assicurare resistenza alla trazione.
15
Ionomero: trattasi di un copolimero contenente sia unità ripetitive non ioniche sia una piccola frazione di unità
ripetitive contenenti specie ioniche.
17
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sensore, il quale traduce un processo fisico o una reazione chimica in una risposta nanomeccanica.
I sensori sono in grado di rilevare quantità ben al di sotto dei limiti rilevati con i metodi classici
(sensibilità dell’ordine del picojoule). Numerose sono le applicazioni del ‘naso elettronico’ nel
settore agroalimentare con l’ottenimento di mappe digitali oggettive e riproducibili degli aromi:
determinazione del grado di maturazione della frutta prima e dopo il raccolto, verifica della qualità
di prodotti per i quali l’aroma è fondamentale (olio, vino, caffè, ecc.), ricerca di tartufi, ecc..
Gli scarafaggi del genere Melanophila posseggono un organo in grado di percepire i raggi
infrarossi posto ai lati del torace, provvisto di 70 unità sensoriali; sensori ispirati a questa struttura
biologica sono in corso di realizzazione per svariate applicazioni, quali il rilievo di fumi o di calore
(Schuetz S. et al., 1999).
2.3. Batteri
Il movimento rotatorio dei flagelli dei batteri in soluzione, generato da una differenza di
potenziale elettrochimico di membrana, rappresenta un esempio di macchina biologica molecolare
(Jones C.J. e Aizawa S., 1991). La simulazione del moto del batterio Escherichia coli in soluzione
costituisce il modello ‘base’ per la progettazione di un ‘micromotore batterico’ di notevoli
potenzialità operative in grado di alimentare impianti micromedicali (Angelani et al., 2009). Tale
micromotore è costituito da ‘microingranaggi’ di particolare forma asimmetrica, con denti di
lunghezza differente e orientati tutti nella medesima direzione, simili a stelle lievemente sbilenche,
immersi in una soluzione di batteri Escherichia coli.
Il movimento dei flagelli batterici ispira Grosh A. e Fischer P. (2009) nella realizzazione di
‘nanopropulsori’, in diossido di silicio, di forma simile a quella di una cellula spermatica, costituiti
da una testa di 200÷300 nm e da una coda a forma di cavatappo lunga 1÷ 2 µm; tale
‘nanodispositivo’ , con una velocità di circa 40 µm/s, è in grado di spostarsi in un fluido
orientandosi in presenza di campi magnetici grazie al cobalto che parzialmente ne riveste la
superficie al fine di veicolare farmaci o di funzionare come sonda per rilevare caratteristiche
‘reologiche’ dello stesso fluido.
2.4. Altri bio-suggerimenti
La formazione di lividure sulla pelle umana a seguito di urti ha ispirato, nella metà degli anni
’80, lo sviluppo di rivestimenti indicatori di un danno da impatto. Questi rivestimenti ricoprono
microcapsule (1÷10 µm), le quali in seguito all’urto provocano il viraggio di sostanze chimiche
contenute nel rivestimento; tale applicazione si rivela utile nell’industria aeronautica per il rilievo
18
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di un danno interno da collisione non accompagnato da rotture visibili esternamente (Bar-Cohen
Y., 2006).
‘Robotica bioispirata’. Essa faciliterà la transizione dagli ‘umanoidi’ tradizionali, basati
fondamentalmente su sole funzioni meccaniche (sistemi “hard-bodied”= corpi rigidi), a una nuova
generazione di sistemi ibridi (sistemi “soft-bodied”=corpi flessibili), utilizzanti materiali organici
flessibili, funzionali e anisotropi, secondo modelli propri di tessuti (ossa, tendini, muscoli, pelle,
ecc.).
King R.D. et al. (2009) riproducono artificialmente il metodo scientifico ‘ipotetico- deduttivo’
mediante la realizzazione del cosiddetto ‘robot scienziato’, soprannominato ‘Adam’, in grado di
elaborare ipotesi e di programmare esperimenti, nonché di interpretare risultati (figura 4). ‘Adam’ è
erede di un altro automa, ‘Starfish’, capace di ‘autoripararsi’ osservando la propria immagine. I
due Autori, per verificare l’attitudine di ‘Adam’ al ‘problem solving’ , testano il robot per la sua
capacità di formulare ipotesi sull’identificazione di alcuni segmenti di DNA codificanti enzimi
coinvolti in determinate funzioni metaboliche del Saccharomyces Cerevisiae; successivamente,
‘Adam’ pianifica autonomamente esperimenti sia per verificare la validità dell’ipotesi su ceppi
‘mutati’ e ‘selvatici’ di questo lievito sia per interpretare i risultati. ‘Adam’ è dotato di: (a) un
modello logico relativo al metabolismo del Saccharomyces Cerevisiae espresso nel linguaggio di
programmazione Prolog16; (b) un database informatico sui ‘segmenti di DNA codificanti
polipeptide/i’ (‘geni’) e sulle proteine del Saccharomyces Cerevisiae presumibilmente coinvolti
nelle attività metaboliche da indagare; (c) un software per la formulazione di varie ipotesi sulla base
di: (i) individuazione di reazioni metaboliche delle quali non è noto lo/gli enzima/i ‘responsabile/i’,
(ii) individuazione di questo/i enzima/i, (iii) individuazione di ‘segmenti di DNA codificanti
polipeptide/i’ (‘geni’) esplicanti la stessa funzione in altri organismi, (iv) previsione, sulla base della
omologia di sequenza, del/i segmento/i di DNA codificante/i lo/gli enzima/i individuato/i, (v) un
software che testa le varie ipotesi inerenti alle differenti attività metaboliche, (vi) un software che
programma gli esperimenti basati sulle differenti risposte, in termini di curva di crescita, del ceppo
‘selvatico’ rispetto a quello corrispettivo ‘mutato’17 di Saccharomyces cerevisiae; a esempio, nel
caso di veridicità dell’ipotesi che il segmento di DNA YJL202W ‘selvatico’ codifichi per l’enzima
“2A2OA” (2-aminoadipate 2-oxoglutarate aminotransferase), catalizzante una delle tappe
principali della biosintesi della lisina, il ceppo ‘mutato’ di Saccharomyces, in presenza di lisina,
16
Prolog (Programmation en logique): linguaggio di programmazione che adotta come principio il “paradigma di
programmazione logica”; paradigma che tenta di risolvere un problema in chiave di ‘logica’, anziché in quella di uso di
un ‘algoritmo’, ove per ‘algoritmo’ s’intende una sequenza di operazioni elementari, eseguibili facilmente da un
elaboratore che, a partire da un insieme di dati (input), produce un altro insieme di dati (output) che soddisfano un
assegnato insieme di requisiti (Fonte:La Piccola Treccani, Supplemento ‘A-INTEM’, 2002) .
17
Ceppo ‘mutato’ di Saccharomyces cerevisiae: esso è portatore di delezione a carico del ‘presunto’ segmento di DNA
codificante lo/gli enzima/i.
19
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esibirà una curva di crescita differente da quella mostrata dal corrispettivo ceppo ‘selvatico’; (d)
stazioni automatizzate per l’esecuzione degli esperimenti pianificati e per la registrazione dei dati in
un database ‘relazionale’; (e) software per analizzare dati e metadati; (f) pacchetti statistici per
testare il livello di significatività di accettazione dell’ipotesi.
‘Adam’ è soltanto un prototipo per l’avvio della realizzazione di una serie di robot con
caratteristiche simili o ancora più sofisticate utili per l’automazione di alcune fasi della ricerca in
campo scientifico, nonché per la gestione di un elevato numero di esperimenti e di dati in linea con
lo sviluppo della ‘biologia dei sistemi’; a esempio, è in corso di realizzazione il robot ‘Eva’, quale
ausilio nella progettazione di nuovi farmaci.
Per anni, l’identificazione delle leggi e delle relative equazioni che sottendono i vari fenomeni
naturali ha resistito all’automazione, nonostante il notevole sviluppo della scienza computazionale.
Schmidt M. e Lipson H. (2009), invece, elaborano, per la prima volta, un sistema computerizzato
basato su un algoritmo che riesce a risalire alle equazioni di moto di Hamilton W.R. e di J.L.
Lagrange (prescindendo da informazioni preliminari di natura fisica e geometrica), a partire da
valori empirici rilevati sul comportamento di un fenomeno fisico periodico (a esempio un semplice
oscillatore armonico o un pendolo). La procedura inizia con la registrazione di dati sperimentali
relativi a un sistema fisico (a esempio le coordinate di pendoli) e prosegue con l’analisi delle
relazioni tra le variabili rilevate per definire, poi, la funzione che ottimizza l’insieme delle
osservazioni; in questo modo l’algoritmo seleziona le leggi fisiche in base alla loro migliore
corrispondenza con la realtà.
Da non trascurare nella sezione della ‘robotica bioispirata’ sono le reti neurali artificiali
identificabili in modelli matematici che cercano di simulare ciò che avviene nel sistema nervoso,
sia a livello strutturale che fisiologico. Un interessante tipo di rete neurale è la mappa
autorganizzante (SOM, self organizing map), elaborata da Kohonen T. (1982), la quale raggruppa
gli oggetti sulla base di somiglianze e di affinità. Tale mappa può costituire, a esempio, un valido
strumento matematico in grado di esprimere una diagnosi biochimica (Cocchi M. et al., 2008).
Bioarchitettura. Una forma avanzata e di notevole potenzialità futura della bioarchitettura con
applicazioni anche in campo medico è la ‘domotica’ consistente nella realizzazione di appartamenti
‘intelligenti’ nei quali impulsi cerebrali vengono captati e trasformati in azione da piccoli robot. Si
ricorda che il primo esempio di bioarchitettura viene realizzato da Gaudí A.P.G. (1852÷1926) nel
progettare la monumentale cattedrale della Sagrada Famiglia in Barcellona (Spagna); per questo
capolavoro architettonico Gaudí prende a modello la struttura degli alberi, i quali si ergono, nella
loro complessità, senza l’ausilio di rinforzi interni e di contrafforti esterni. Egli
riesce a
20
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trasformare in edificio le strutture e i colori che la “natura crea e proporziona” attraverso lo
strumento della geometria ‘reglada’18.
‘Biomimetica molecolare’. Essa è basata sulla realizzazione di nanodispositivi utilizzanti come
modello ‘macromolecole biologiche’ (proteine e acidi nucleici). In tale contesto, notevoli
prospettive sono associate all’impiego dell’RNA, biomolecola caratterizzata da una versatilità
strutturale e funzionale non dissimile da quella delle proteine. L’RNA è in grado di autoassemblarsi in complessi multimerici tridimensionali particolarmente resistenti a un ampio range di
condizioni chimico-fisiche: questi complessi possono essere utilizzati come veicolo per il trasporto
mirato di siRNA (RNA di silenziamento), di segmenti di DNA
o di ligandi con funzione
terapeutica. A imitazione del pRNA (packaging RNA= RNA di assemblaggio)’19 del batteriofago
phi29, viene realizzato il cosiddetto ‘motore pRNA’ in grado di veicolare fino a 6 differenti tipi di
molecole terapeutiche verso cellule specifiche, con particolare riferimento alle cellule cancerose
(Huang S.D. et al., 2003). Un ulteriore esempio applicativo è fornito dall’impiego di molecole di
microRNA20 appartenenti alla famiglia miR-29021 per indurre la ‘pluripotenza’ in cellule adulte
18
Geometria ‘reglada’: stile che prevede l’uso di superfici curve composte da linee rette; tale uso si concretizza in
opere architettoniche nelle quali non vi è distinzione tra struttura e decorazione in quanto entrambe nascono
simultaneamente senza la necessità di incorporare nell’opera, successivamente, pittura e scultura.
19
pRNA (packaging RNA= RNA di ‘assemblaggio’): trattasi di un RNA di 174 nucleotidi, codificato dal genoma virale,
presente nel virus phi 29 (fago del batterio Bacillus subtilis); quest’ultimo è costituito da una molecola di DNA lineare a
doppio filamento racchiusa all’interno di un capside di natura glicoproteica, provvisto di una coda. Il pRNA, nel
numero di 6 copie, è associato al complesso connettore testa-coda quale componente del cosiddetto ‘motore
molecolare’ coinvolto nella fase di ‘assemblaggio’ del DNA all’interno del pro-capside proteico durante il processo di
replicazione virale. Tale processo prevede le seguenti fasi: (a) adesione del virus, mediante la coda, alla superficie del
batterio; (b) iniezione del DNA all’interno della cellula batterica; (c) replicazione del DNA con formazione di
concatenameri lineari di molecole di DNA disposte in direzione testa–coda; (d) assemblaggio del DNA all’interno del
pro-capside; il pRNA, promovendo l’idrolisi dell’ATP da parte della glicoproteina virale gp16, induce la produzione
dell’energia necessaria per la traslocazione del DNA entro il capside attraverso il complesso connettore testa-coda;
terminata la veicolazione del DNA all’interno del capside, le molecole di pRNA vengono rilasciate; (e) attacco della
coda con formazione di una particella virale attiva.
20
MicroRNA: piccola molecola di RNA (20÷25 nucleotidi); esso, oltre che da introni, può derivare anche dal
riarrangiamento di molecole di RNA a doppio filamento (dsRNA, double stranded RNA) esogene (a esempio di origine
virale) oppure endogene (di origine ‘retrotrasposonica’). Il microRNA viene trascritto come microRNA primario (primicroRNA= primary miRNA) a doppio filamento costituito di circa 1.000 nucleotidi; il pri-microRNA, a sua volta, viene
convertito da una ribonucleasi dsRNA-specifica (Drosha) in pre-microRNA di 60÷110 nucleotidi. Un pre-microRNA,
tramite un carrier proteico (esportina), viene veicolato dal nucleo al citoplasma ove subisce un processo di
‘maturazione’ in un microRNA maturo (20÷25 nucleotidi); questo microRNA viene inglobato in un complesso
‘ribonucleoproteico’ detto anche ‘complesso di silenziamento’ attivo nella sua funzione (Matassino et al., 2007).
21
miR-290: trattasi di una famiglia di microRNA coinvolta nel mantenimento della ‘totipotenza’ delle cellule staminali .
Una cellula staminale è una cellula che si divide in due cellule figlie: (a) una va incontro a differenziamento; (b) l’altra
mantiene un fenotipo di staminale. A seconda del potenziale di sviluppo, una cellula staminale può trovarsi in
condizione di: (a) ‘totipotenza’, per cui essa può dare origine a un individuo completo, (b) ‘pluripotenza’ o
‘multipotenza’, per cui essa non è in grado di dare origine a un individuo completo, ma può specializzarsi in una
cellula appartenente a uno qualsiasi dei tre foglietti embrionali (ectoblasto, mesoblasto ed endoblasto); (c)
‘unipotenza’, per cui essa può dare origine solo ad alcuni tipi cellulari. E’ possibile distinguere cellule staminali
‘embrionali’ e ‘adulte’; queste ultime sono cellule staminali ‘non specializzate’ reperibili tra cellule specializzate di un
tessuto specifico e sono normalmente nella condizione di ‘multipotenza’; esempi di tessuti od organi fonte di cellule
21
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(Wang Y. et al., 2008); biotecnica che può costituire un’interessante e più sicura alternativa ai
sistemi tradizionali di induzione della pluripotenza basati sul ricorso a retrovirus.
Bioeconomia. Le varie applicazioni biomimetiche conducono all’ottenimento di ‘beni’ e
‘servizi’. Sia questi ‘beni’ che questi ‘servizi’ possono rientrare in un’impostazione molto ampia
che può essere sintetizzata nel concetto di ‘bioeconomia’ e che può interessare sia la biodiversità
animale, fungina, microbica e vegetale. Infatti, Marshall A. (1890) afferma: l’economia “è un ramo
della biologia inteso in senso ampio”. La stretta connessione tra ‘economia’ e ‘biologia’ è anche
deducibile da alcune osservazioni di Schümpeter S.A. (1912): “l’evoluzione economica si basa
sull’insorgenza di innovazioni discontinue”; pertanto, le ‘innovazioni effettive’ sono vere e proprie
‘mutazioni’ economiche non-darwiniane (Matassino D., 2007). Partendo dall’aforisma di Marshall,
Georgescu-Roegen N. introduce il termine ‘bioeconomia’, suggeritogli dal cecoslovacco Zeman J..
e va inteso come “processo economico integralmente inserito nella biologia umana” e, si potrebbe
dire, non solo in essa. Pertanto, una delle motivazioni socio-economiche della tutela della
biodiversità comporta una nuova visione dell’economia che tenga conto di una utilizzazione dei
benefici che la natura può fornire all’umanità senza nel contempo determinare un esaurimento delle
potenzialità in termini di servizi che essa può offrire. La conservazione della risorsa animale di
interesse zootecnico, in termini economici, si può identificare nel mantenimento del ‘valore d’uso’
e ‘non uso’ per l’umanità. Il ‘valore d’uso’ si riferisce al valore ‘attuale’ o ‘futuro’ dell’utilizzo
della biodiversità per l’umanità. Il ‘valore d’uso’ può essere: (a) diretto: derivato dalla produzione
di cibo, di fibre, nonché da altri prodotti e servizi; (b) indiretto: fornente un supporto alla tutela del
paesaggio e all’ecosistema o bioterritorio. Un importante valore d’uso è quello di ‘opzione’ definito
come la flessibilità per far fronte a eventi futuri inattesi (Boyazoglu J. e Cardellino R., 2008). Il
‘valore di non uso’ si riferisce al valore ‘intrinseco’ e non strumentale attribuito alla semplice
esistenza di un bene o di una risorsa (existence value).
In chiave economica (effetto ‘portafoglio’), Tilman D. et al. (1997) paragonano la biodiversità
all’investimento di risorse finanziarie in modo diversificato per minimizzare la ‘volatilità’
dell’investimento stesso. In chiave di rischio per la stabilità dei ‘servizi dell’ecosistema’, la
‘diversità di risposta’ delle componenti biologiche dell’ ‘ecosistema’ (o ‘bioterritorio’) riduce
l’effetto negativo dipendente da una data perturbazione ambientale. Infatti , Elmqvist T. et al.
(2003) evidenziano che le differenziali risposte esibite da un’entità biologica di un ‘ecosistema’ (o
staminali adulte sono: derma, tessuto adiposo, midollo osseo, polpa dentaria , fegato e cervello. Si ricordano infine le
cellule ‘staminali pluripotenti indotte’ (iPS, induced Pluripotent Stem); trattasi di cellule mesenchimali riprogrammate
in uno status indifferenziato di pluripotenza.
22
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‘bioterritorio’) a una data perturbazione ambientale, siano foriere di una funzione di stabilizzazione
dell’integrità di un ‘servizio dell’ ecosistema’ (o ‘bioterritorio’).
I tipi genetici autoctoni (TGA) e i tipi genetici autoctoni antichi (TGAA), per lo piú allevati in
aree ‘marginali’ dove il modello di produzione intensivo non può essere applicato in assenza dei
presupposti economici che lo rendano conveniente, sono gli unici a poter esprimere un proprio
ruolo zootecnico, in considerazione della propria capacità a produrre, utilizzando quasi
esclusivamente le risorse alimentari autoctone pabulari (Matassino D. e Pilla A.M., 1978).
Matassino D. (2007) rileva che la biodiversità può essere considerata prodromo indiscusso su
cui costruire il complesso edificio della ‘bioeconomia’; teoria che, forse, costituisce il piú vigoroso
tentativo di affrontare la complessa problematica dell’economia in chiave di scienza della vita
nell’ottica di uno sviluppo economico socialmente ed ecologicamente sostenibile.
3. Conclusioni
1. La biodiversità può essere considerata il risultato di una natura che ‘trama’ in maniera
scientifica. Il metodo scientifico si basa sull’osservazione, sulla descrizione, sulla misurazione e
sulla ripetibilità. Riconoscendo alla natura la sua scientificità, è possibile affermare che ‘imitare la
natura ha una forte valenza scientifica’ (Bonato S., 2008).
2. Oggi, numerose sono le ricerche con l’uso di biotecniche innovative per ‘copiare’ le strategie
funzionali della natura.
3. La diversità genetica presente sul pianeta Terra, estrinsecantesi in una molteplicità di strutture
e funzioni, rappresenta il pabulum per alimentare continuamente questo nuovo filone di ricerche
tendente a produrre industrialmente manufatti i cui componenti costituiscono un prodotto naturale
dell’attività biologica sia degli animali che delle piante.
4. Le imitazioni della natura troveranno interessanti applicazioni nella miniaturizzazione con lo
sviluppo di nanomateriali, di nanodispositivi e di nanoprocessi favorendo notevoli e imprevedibili,
a oggi, progressi nell’ingegneria biomedica, nella scienza delle superfici, nell’intelligenza
‘artificiale’, nelle nanotecnologie, nella robotica, nella bioarchitettura, ecc..
5. Nonostante i progressi della robotica la conoscenza prodotta da ‘Adam’ è ‘implicita nella
formulazione stessa del problema’ e ‘non è nuova’; la concezione che un computer non ha alcuna
pretesa di “originare qualcosa” è nota come ‘obiezione di Lady Lovelace’ [di nascita Augusta Ada
Byron (1815÷1851)]22; obiezione resa famosa da Turing A. (1950): “L’ingegneria analitica può
fare solo ciò che noi già conosciamo e che quindi possiamo ordinare alla macchina di fare”.
22
Lady Lovelace: ha elaborato il primo software della storia. In suo onore, il Dipartimento della difesa americano ha
intitolato il linguaggio di programmazione, "Ada", nato nel 1979.
23
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6. Un settore molto promettente, con particolare riferimento alle possibili prospettive
terapeutiche in medicina umana, è rappresentato dalla ‘biomimetica molecolare’.
7. Di notevole interesse sono le possibili applicazioni dei dispositivi ‘bioispirati’ ai fini della
riduzione dell’inquinamento ambientale e dello sviluppo di sistemi di conversione energetica
basati sempre più sull’utilizzazione di
fonti di energia naturale, con particolare riferimento
all’energia solare. Da un confronto tra i valori della riserva di combustibili fossili, di gas naturale e
di carbon fossile con i consumi energetici del pianeta Terra emerge che l’attuale modello
energetico sarà destinato a entrare in crisi in un futuro ormai prossimo.
8. Le strutture biologiche sono ‘complesse’ e altamente integrate; in esse i componenti vengono
assemblati seguendo schemi ben definiti. Una struttura biologica è la massima espressione olistica
di un dinamico processo omeostatico finalizzato al raggiungimento di un compromesso
ottimale,variabile nel tempo e nello spazio, fra ‘struttura’ e ‘funzione’. Qualsiasi essere vivente è
identificabile con 'sistema biologico aperto dinamico vincolato' (Von Bertalanffy L., 1940; Bettini
T.M., 1970; Matassino D., 1978, 1984). Questo sistema può essere rappresentato da una 'rete'
biologica (a esempio quella neurale) funzionante principalmente in chiave cibernetica, ove la
gestione inconscia e/o consapevole della memoria delle componenti, come espresso da Matassino
D. et al. (2007), è la 'conditio sine qua non' per un funzionamento armonico ('omeostasi') del
sistema stesso. Pertanto, qualsiasi essere vivente, irriducibilmente complesso, va studiato e
interpretato a differenti ‘livelli organizzativi’: da quello di ‘singola cellula’ a quello di interazione
tra le ‘cellule costituenti l’organismo’ e di interazione tra quest’ultimo e il ‘microambiente’ in cui
l’organismo stesso è inserito. La geometria frattale23, teorizzata nel 1975 da Mandelbrot B.
contribuisce a meglio comprendere alcuni processi dinamici, che spaziano dalla biologia, alla
fisica, alla geologia, all’ astronomia e alla socio-economia (Matassino D. e Cappuccio A., 1998).
Secondo Mandelbrot, le relazioni tra frattali e natura sono più profonde di quanto si creda.
9. Behe M.J. (1996) afferma: “La ricerca ha provato che il fondamento della vita, la cellula, è
gestita da una complessa e sofisticata macchina molecolare. Ci sono, letteralmente,
piccoli
23
Frattale: si identifica con una figura geometrica di forma irregolare o frammentata, caratterizzata dal fatto che
ogni parte appare approssimativamente simile all’intera figura; questa modalità comportamentale viene chiamata
‘autosimilarità’ (self-similarity) (Grande Enciclopedia della Scienza e della Tecnologia, De Agostini). Esempi naturali
di forma ‘frattalica’ sono identificabili con: (a) l’albero di abete, in cui ciascun ramo è approssimativamente simile
all’intero albero, ciascun rametto al proprio ramo principale e cosí via; (b) le spugne; (c) la rete dei vasi sanguigni,
nella quale ciascuna biforcazione è seguita da altre simili e più piccole. I modelli frattali sono applicati anche alla
dinamica neuronale dimostrando che le proprietà di ‘auto-similarità’ caratterizzanti i frattali sono correlate, mediante
funzioni analitiche ‘intere’, alla ‘coerenza’ delle oscillazioni neuronali osservate mediante l’elettroencefalogramma e
le tecniche di FMRI (produzioni di immagini mediante risonanza magnetica nucleare), ove per ‘coerenza’ si intende un
ordine di natura temporale o spaziale che i componenti elementari conferiscono a una determinata struttura (Vitiello
G., 2008).
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camion e piccoli autobus molecolari che lavorano nella cellula e piccoli motori fuoribordo che le
permettono di muoversi”.
10. L’alto livello di integrazione tra ‘struttura’ e ‘funzione’ di una struttura biologica è legato a:
(a) miniaturizzazione, cioè il massimo della funzione nel minimo volume, (b) associazione qualiquantitativa ottimale tra componenti organiche e inorganiche, (c) organizzazione di tipo
‘gerachico’ dalla nanometria alla millimetria.
11. Le notevoli potenzialità degli organismi viventi ai fini della bioimitazione e la
contemporanea constatazione della ‘non naturale’ contrazione numerica quanti-qualitativa della
diversità genetica inducono a riflettere in merito alla necessità di tutelare la biodiversità; a esempio,
attualmente, si stima che il 20% delle specie di squali presenti sul pianeta Terra sia in via di
estinzione.
12. Condividendo quanto espresso da Nardone A. (2008), si afferma la necessità da parte della
Comunità scientifica di “conoscere” la biodiversità per un suo uso “oculato” e “consapevole”
come già ampiamente evidenziato (Matassino D. 1982, 1990).
13. La biodiversità costituisce un vero e proprio ‘capitale naturale’ da imitare e da utilizzare
anche per interventi sul bioterritorio mediante ‘servizi dell’ecosistema’ (Ehrlich P.R. e Ehrlich A.,
1970; Daily G.C., 1997; Matassino D., 2008). Si ritiene che vi sia stata un’imperdonabile incapacità
a considerare la risorsa genetica endogena un vero e proprio ‘bene ipotetico’ e quindi un bene di
notevole potenzialità produttiva sostenibile per le future generazioni umane in un contesto
‘microagrecosistemico’ variabile temporalmente e spazialmente (Matassino D., 1992).
14. Antoni Gaudí nel progettare la Sagrada Famiglia, afferma: “ciò che è in natura è funzionale,
e ciò che è funzionale è bello”.
15. Secondo Platone (428 ÷ 348 a.C.) “Ogni vita sorge per il tutto e per la felice condizione
della universale armonia” (Leggi, libro X, 103 c.).
16. Concludendo, al numero 34 della Lettera Enciclica Populorum Progressio di Paolo VI (26
marzo 1967) si legge: “…economia e tecnica non hanno senso che in rapporto all’uomo che
devono servire. E l’uomo non è veramente uomo che nella misura in cui, padrone delle proprie
azioni e giudice del loro valore, diventa egli stesso autore del proprio progresso, in conformità con
la natura che gli ha dato il suo Creatore”.
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SCHEMA 1. RAPPRESENTAZIONE SINTETICA DI ALCUNI ORGANISMI, ALCUNE STRUTTURE
BIOLOGICHE E RELATIVE FUNZIONI E/O ALCUNE PROPRIETÀ DI INTERESSE AI FINI DELLA
BIOIMITAZIONE (Fonte: Brushan B., 2009; modificata).
CONVERSIONE DI ENERGIA CHIMICA
SUPERIDROFILICITÀ
SUPERIDROFOBICITÀ
ORGANISMI
PROPRIETÀ ‘AUTOPULENTI’
VEGETALI
RIDUZIONE DELL’ATTRITO
MOVIMENTO
PROPRIETÀ ‘ADESIVE’
INSETTI
RETTILI
ARACNIDI
ANFIBI
SUPERIDROFOBICITÀ
PROPRIETÀ ADESIVE ‘A SECCO’ O ‘SU
BAGNATO’
AUTO-ASSEMBLAGGIO BIOLOGICO
(TELA DEL RAGNO)
ANIMALI
ACQUATICI
RIDUZIONE DELL’ATTRITO IN ACQUA
PRODUZIONE DI ENERGIA
ORGANIS
MI
CONCHIGLIE, OSSA,
DENTI
ELEVATA RESISTENZA MECCANICA
ANIMALI
INSETTI NOTTURNI
(EFFETTO ‘MOTHEYE’= EFFETTO
‘OCCHIO DI
FALENA’)
ORSO
POLARE
(EPIDERMIDE
E
PELLICCIA)
SUPERFICI ANTIRIFLESSO
COLORAZIONE STRUTTURALE
ISOLAMENTO TERMICO
MOTORI BIOLOGICI
BATTERI
AUTO-RIPARAZIONE
SISTEMI
BIOLOGICI
DISPOSITIVI PER INCREMENTARE LE ATTIVITÀ SENSORIALI
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Figura 1. Immagine ottenuta al microscopio elettronico a scansione della superficie della foglia di
Nelumbo lucifera Gaertn. (pianta di loto): le protuberanze sono dovute alla presenza di cellule
epidermiche dotate di papille ricoperte da uno strato ceroso epicuticolare; tali strutture formano una
superficie ruvida superidrofobica ‘autopulente’ (effetto lotus) che è stata fonte di ispirazione per la
realizzazione di strati sintetici che, applicati su vetri, su prodotti tessili, ecc., possono ridurre
l’impiego di detergenti (Fonte: William Thielieche; http// www.biodesignwordpress.com/page/2/).
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Figura 2. Stenocara gracilipes (Solier, 1835) o ‘coleottero della nebbia’ (Fonte: website
en.wikipedia.org/wiki/Namib_Desert_beetle).
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Figura 3. Struttura gerarchica del sistema adesivo del geco. (A) Macrostruttura: vista ventrale del
geco ‘tokai’ (Gekko gecko) (Linnaeus, 1798) che arrampica su di una superficie verticale di vetro;
(B) superficie ventrale di un arto provvisto di lamelle adesive; (C) microstruttura: parte prossimale
di una singola lamella, sulla quale sono visibili le file ordinate di microsetole; (D ed E):
nanostruttura: singola microsetola, la cui estremità superiore (lunghezza: 20÷30 µm) si ramifica in
centinaia di spatole (diametro di 0,1÷0,2 µm nella regione prossimale di forma tubolare; larghezza
di 0,2÷0,3 µm e spessore di 10 nm nella regione distale a forma di spatola) (Fonte: Hansen W.R. e
Autumn K., 2005).
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Figura 4. Struttura del robot ‘Adam’: (a) congelatore, (b) pipettatori, (c) incubatori, (d) lettori di
piastre, (e) braccia del robot, (f) alloggiamenti per piastre, (g) centrifuga, (h) piastre per lavaggio, (i)
filtri per l’aria, (j) involucro protettivo in plastica rigida e trasparente che avvolge il robot; il sistema
è corredato da almeno 4 computer (non mostrati) con i relativi software e database con possibilità
di effettuare più di 1.000 esperimenti al giorno (Fonte: King R.D. et al., 2009).
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