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La scrittura coloniale di Mario Appelius (1892-1946)
A10 558 IL VOLUME È STATO STAMPATO CON IL CONTRIBUTO DEL MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA Lingua e cultura dell’Italia coloniale a cura di GIANLUCA FRENGUELLI E LAURA MELOSI Copyright © MMIX ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133/A–B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–2781–3 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: dicembre 2009 Indice 7 15 Premessa Manuela Martellini Pascoli e le vicende coloniali: tra sentimento politico ed eloquenza nazionalistica 1. La prosa: Una sagra, La grande proletaria si è mossa…, 20 – 2. La poesia: A Ciapin, Convito d’ombre, La sfogliatura, Alle batterie siciliane, La notte di Natale, 46 57 Gianluca Frenguelli - Chiara Grazioli La scrittura coloniale di Mario Appelius (1892-1946) 1. Una vita avventurosa, 57 – 2. Le opere, 62 – 3. Testo e paratesto, 65 – 4. Temi e motivi, 68 – 5. Una sintassi enumerativa, 71 – 6. Il lessico, 76 – 7. Aspetti retorici, 83 – 8. Conclusione, 87 89 Valerio Mammone Giornalismo e propaganda coloniale. «La domenica del Corriere» negli anni della guerra d’Etiopia 1. Note storiche, 89 – 2. Caratteri del testo giornalistico, 93 – 3. Un caso particolare: le poesie di Turno, 98 – 4. Conclusioni, 103 105 Giovanni Maccari Dittico sul romanzo coloniale 1. Premessa, 105 – 2. “Niente libri”. Sulla scarsa presenza del romanzo coloniale nell’«Ambrosiano» (1922-1944), 105 – 3. Il marcio delle colonie: “Tempo di uccidere” di Flaiano, 113 121 Elena Frontaloni Il soldato ventriloquo. “Guerra in camicia nera” di Giuseppe Berto Appendice. Berto e l’Africa, su rivista. Due testi degli anni Cinquanta, 135 159 Laura Ricci Lingua matrigna. Multidentità e plurilinguismo nella narrativa postcoloniale italiana 1. Un nuovo campo di studi, 159 – 2. L’eredità coloniale, 161 – 3. La letteratura postcoloniale italiana, 164 – 4. Erminia Dell’Oro, 167 – 5. Ribka Sibhatu, 171 – 6. Gabriella Ghermandi, 173 – 7. Maria Abbebù Viarengo, 175 – 8. Igiaba Scego, 177 – 9. Cristina Ali Farah, 181 – 10. Altre esperienze postcoloniali, 183 – 11. Conclusioni. Una nuova scrittura?, 189 193 Indice dei nomi Lingua e cultura dell’Italia coloniale ISBN 978-88-548-2781-3 DOI 10.4399/97888548278131 pag. 7–13 Prefazione Fra il 1882, anno in cui il governo italiano acquistò dall’armatore Rubattino i diritti di concessione sulla baia di Assab, e il 1943, quando la firma dell’armistizio pose fine alla nostra avventura d’oltremare, si ebbe una ricca produzione di testi di ambito coloniale: reportages, narrazioni, saggi, articoli apparsi nella stampa quotidiana e periodica. Erano scritti, s’intende, che avevano destinazioni e finalità diverse. Di concerto con importanti gruppi editoriali, come Treves e Sonzogno, il potere politico inserì tale produzione in un programma propagandistico d’imponenti dimensioni. La cultura coloniale non è stata soltanto il riflesso del colonialismo italiano ma, per vari rispetti, ne ha costituito il motore: nel loro insieme, esplorazioni geografiche, relazioni di viaggio, racconti di ambiente, romanzi, componimenti in versi, stampa propagandistica, studi sulle lingue indigene non rappresentano soltanto il portato o lo sfondo del nostro espansionismo, ma ne sono, al tempo stesso, i promotori ai fini della costruzione del consenso. È questa la conclusione a cui pervengono gli studi compiuti negli ultimi anni in tale settore, che pone problemi di lettura e d’interpretazione a chi voglia esplorarlo a fondo. In breve, il colonialismo italiano non è stato un evento esclusivamente storico e politico, ma ha rappresentato un aspetto di un intero sistema culturale. In questa dialettica tra cultura coloniale e politica coloniale, l’«italiano dell’impero» è, come ha osservato Laura Ricci, «una lingua altisonante ma non alta, magniloquente ma non nobile»; di fatto essa rappresenta un capitolo non trascurabile nella storia della nostra lingua; un capitolo in cui scrittori professionisti e non – una distinzione questa 8 Prefazione cara a Carducci – rivestono un ruolo di primo piano, assieme agli storici, ai geografi, ai linguisti, ai politici più o meno inclini a soddisfare le loro personali velleità letterarie. Tutti costoro vivono in uno stesso clima culturale e condividono le stesse ragioni ideologiche; conseguentemente tutti costoro producono scritture che sono diverse tra loro, ma che vivono nella stessa aura di trionfalismo e di esaltazione ideologica, di avventura e di missione, e che si diffondono in un comune orizzonte di attese. L’epoca coloniale italiana è stata oggetto di numerose ricostruzioni storiche, tra cui quelle di Giorgio Rochat, di Angelo Del Boca, di Nicola Labanca. Scarse sono state invece le ricerche riguardanti il “discorso coloniale” considerato in sé e nei suoi rapporti sociali e antropologici: sono studi d’insieme sia dal punto di vista dei cultural studies, sia da quello linguistico e letterario. Eppure i presupposti per un’analisi globale della scrittura coloniale non mancano, e in effetti questa produzione, diversificata per quanto riguarda contenuti, circostanze, condizioni di produzione e tipi testuali, sembra possedere tratti comuni nei toni, negli atteggiamenti enunciativi, nelle strategie discorsive adottate, in una certa omogeneità di scelte linguistiche e stilistiche. Possiamo concludere che esistono uno “stile” e una pragmatica del nostro discorso coloniale? Fatte salve le opportune distinzioni, la risposta è senza dubbio affermativa. Da tali presupposti muove l’indagine che l’Unità di ricerca dell’Università di Macerata ha avviato, partecipando al progetto Colonialismo italiano: letteratura e giornalismo e ritagliando il proprio spazio d’intervento nell’ambito della lingua e della letteratura del periodo storico dianzi definito. Le indagini catalografiche e gli spogli documentali compiuti dal gruppo di lavoro maceratese, i quali sono confluiti, in forma di dati bibliografici e di regesti dei contenuti, nell’archivio digitale “Italia coloniale. Colonialismo italiano: letteratura e giornalismo”, consultabile in rete, hanno dato, come primo risultato, i contributi raccolti nel presente volume, i quali affrontano, lungo un percorso letterario, stilistico e linguistico, alcuni aspetti della nostra varia scrittura coloniale e postcoloniale. Nel saggio Pascoli e le vicende coloniali: tra sentimento politico ed eloquenza nazionalistica, Manuela Martellini analizza il contributo Prefazione 9 fornito dal poeta alla discussione sviluppatasi in Italia sui fini e i caratteri dell’impresa libica. La scrittura coloniale di Mario Appelius (1892-1946) di Gianluca Frenguelli e Chiara Grazioli è un intervento mirato a descrivere la parola-azione e le componenti formali di alcune opere di uno dei più noti editorialisti e scrittori del periodo fascista. Valerio Mammone, ne «La domenica del Corriere» negli anni della guerra d’Etiopia. Rilievi linguistici e testuali, analizza alcuni caratteri della scrittura giornalistica del popolare settimanale italiano. Il saggio di Giovanni Maccari, Dittico sul romanzo coloniale, si compone di due parti: nella prima, attraverso lo spoglio del quotidiano milanese «L’Ambrosiano» si discute il problema della scarsa rilevanza del romanzo coloniale, nonostante il vivo interesse mostrato nei suoi confronti dal regime; nella seconda, dedicata a Tempo di uccidere di Ennio Flaiano, l’attenzione si sposta al linguaggio della disillusione, che appare nei romanzi a sfondo coloniale successivi al crollo dell’impero. Il soldato ventriloquo. “Guerra in camicia nera” di Giuseppe Berto è il titolo dell’analisi che Elena Frontaloni dedica al diario, nel quale lo scrittore trevigiano mette in luce la condizione del soldato che combatte in terra d’Africa. Definire la posizione delle scritture postcoloniali e dei cosiddetti «scrittori migranti» è l’obiettivo che si pone Laura Ricci nel saggio che conclude il volume: Lingua matrigna. Multidentità e plurilinguismo nella narrativa postcoloniale italiana. Se i sostenitori dell’impegno coloniale italiano fanno uso di uno stile emozionale, modellato sull’oratoria patriottica del Risorgimento (gli articoli che Enrico Corradini scrisse per «Il Regno» ne sono l’esempio più noto), gli oppositori si rivolgono per reazione a una «retorica del quotidiano», della quale sono testimoni L’illusione tripolina di Giuseppe Prezzolini, editoriale apparso ne «La Voce» del 18 maggio 1911, anno della campagna libica, e gli scritti di Ferdinando Martini, che tentò di mediare tra la maniera, figurativa e allegorica, dello stile coloniale, e un intento descrittivo e smitizzante. Un carattere della pubblicistica e della saggistica di argomento coloniale, e in parte anche della produzione più decisamente creativa di certa prosa di romanzo, è il cumulo di stilemi esornativi e retorici, i 10 Prefazione quali, assieme a un uso sfocato e prevalentemente decorativo di un buon numero di esotismi, esprimono una fondamentale tendenza antirealistica. Le opere d’ispirazione colonialista prodotte dagli intellettuali italiani tra fine Ottocento e metà Novecento, da una parte dipendono dalle tecniche di persuasione e dissimulazione sviluppate nel discorso di propaganda, dall’altra fissano in proprio alcuni clichés espressivi che in seguito penetreranno nell’immaginario collettivo e nel battage politico. Ciò avviene anche in virtù di quei diversi (ma convergenti quanto a finalità retoriche) modelli di scrittura proposti da D’Annunzio, Pascoli e Marinetti, responsabili in primis delle “figure” sulle quali si articola, con modalità varie, il “discorso coloniale”. Per l’Inghilterra, la Francia e la Spagna, grandi e durature potenze coloniali, l’eredità letteraria ultima dell’imperialismo è rappresentata dalle letterature postcoloniali. Invece, per l’Italia, la situazione è del tutto diversa: la breve durata delle nostre conquiste africane e l’approssimativa politica culturale messa in atto dai colonizzatori hanno indebolito le basi di una letteratura postcoloniale in lingua italiana; infatti vari autori provenienti dalle nostre ex-colonie hanno per lo più scelto di scrivere in inglese. Il confronto con gli “scrittori migranti”, figure in gran parte nuove della nostra narrativa (dai primi anni Novanta in poi), è ancora in fase embrionale e attende studi e analisi complessive. Il PRIN cui si fa riferimento è stato cofinanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2006-2008, e coordinato in sede nazionale da Simona Costa dell’Università di Roma Tre, con la partecipazione di unità di ricerca delle università di Firenze, Perugia, Perugia Stranieri e Macerata. Il database, realizzato congiuntamente da tutti i gruppi di ricerca appena menzionati, è consultabile su Internet all’indirizzo www.italiacoloniale.it. Questa risorsa digitale colma una lacuna negli studi sul colonialismo italiano. La raccolta dei materiali ha riguardato testi coloniali di natura artistica (romanzi, raccolte di racconti, raccolte di poesie, saggi, antologie) e di natura giornalistica (articoli, reportages, recensioni). I testi sono stati schedati a cura delle singole unità partecipanti al progetto, secondo criteri ragionati e condivisi che hanno privilegiato la qualificazione dei generi e dei sottogeneri letterari. Ad esempio, per l’articolo di giornale si è stabilita una sottoclassificazione in: corsivo, elzeviro, articolo di costume, di cronaca, di fondo; il reportage è: di guerra, di viaggio, di vita quotidiana; il saggio è: antropologico, archeologico, Prefazione 11 economico, etnografico; la poesia è: elegiaca, lirica, patriottica; il romanzo è: coloniale, esotico, post-coloniale; nella satira si distinguono la barzelletta e la vignetta. Inseriti i riferimenti bibliografici, la ricerca avviene per parole-chiave comprese nelle tre classi dei Luoghi, dei Temi e dei Nomi, che illustrano l’ampio ventaglio delle localizzazioni geografiche, delle contingenze storiche, politiche e sociali, delle condizioni etnografiche, antropologiche, e in senso lato culturali, della realtà descritta dagli autori coloniali. Tra le ricostruzioni storiche riguardanti il fenomeno coloniale, si vedano almeno: G. Rochat Il colonialismo italiano, Torino, Loescher, 1973; A. Del Boca Gli italiani in Africa orientale, Bari, Laterza, 1976-1986 e Gli italiani in Libia, Bari, Laterza, 1986; N. Labanca, Storia dell’Italia coloniale, Milano, Fenice, 2000; Id., Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Bologna, Il Mulino, 2002. Quanto all’opposizione alla politica coloniale si vedano: R. H. Rainero, L’anticolonialismo italiano da Assab ad Adua (1869-96), Milano, Edizioni di Comunità, 1971; Id., L’anticolonialismo italiano tra politica e cultura, in Fonti e problemi della politica coloniale italiana. Atti del convegno di studi (Taormina-Messina, 23-29 ottobre 1989), Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, 1996, 2 voll., pp. 1248-1258. Interessano il nostro tema i numerosi saggi sul linguaggio del periodo fascista, dei quali ricordiamo soltanto: A. Simonini, Il linguaggio di Mussolini, Milano, Bompiani, 1978, E. Leso, Momenti di storia del linguaggio politico, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni e P. Trifone, vol. II, Scritto e parlato, Torino, Einaudi, 1994, pp. 703-755, Credere, obbedire, combattere. Il regime linguistico nel Ventennio, a cura di F. Foresti, Bologna, Pendragon, 2003. Per quanto riguarda stampa italiana dall’Unità alla fine del fascismo si vedano: Eia, eia, eia, alala. La stampa italiana sotto il fascismo, a cura di O. Del Buono, prefazione di N. Tranfaglia, Milano, Feltrinelli, 1971, V. Castronovo, La stampa italiana dall’Unità al fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1984 e I. Bonomi, L’italiano giornalistico dall’inizio del ’900 ai quotidiani on line, Milano, Franco Cesati Editore, 2002. Sulle vicende riguardanti i gruppi editoriali Treves e Sonzogno, v. G. Ragone, Un secolo di libri. Storia dell’editoria in Italia dall’unita al post-moderno, Torino, Einaudi, 1999. Per la produzione letteraria si vedano soltanto G. Tomasello, La letteratura coloniale dalle avanguardie al fascismo, Palermo, Sellerio, 1984 ed Ead., L’Africa tra mito e realtà. Storia della letteratura coloniale italiana, Palermo, Sellerio, 2004. Tuttavia, a fronte di alcune analisi riguardanti i singoli aspetti della lingua e della cultura del colonialismo, mancano studi d’insieme, capaci di rendere ragione di un fenomeno che risulta pienamente comprensibile soltanto se affrontato nella sua globalità. Un importante avvio per l’analisi formale è il volume di L. Ricci, La lingua dell'impero. Comunicazione, letteratura e propaganda nell'età del colonialismo italiano, Roma, Carocci, 2005 (dalla p. 25 è tratta la citazione riportata supra). Per la produzione letteraria si vedano i due saggi, appena menzionati, di G. Tomasello, La letteratura coloniale e Africa tra mito e realtà e quello di R. Scrivano, Letteratura e colonialismo, in Fonti e problemi della politica coloniale italiana, cit., vol. II, pp. 646-668; E. Said, Cultura e imperialismo. Letteratura e consenso nel progetto coloniale dell'Occidente, prefazione J. A. Buttigieg, postfazione G. Baratta, Roma, 12 Prefazione Gamberetti, 1998; N. Labanca, Imperi immaginati. Recenti “cultural studies” sul colonialismo italiano, in «Studi piacentini», 28 (2000), pp. 145-168. Il problema della letteratura postcoloniale italiana è affrontato da A.M. Ahad, Per un’introduzione alla letteratura postcoloniale italiana, in «Filosofia e questioni pubbliche», X/3 (2005), pp. 193-240 e L. Ricci, L’italiano in Africa. Lingua e cultura nelle ex colonie, in «Carte di viaggio», II (2009), pp.15-46. Dopo la fine del colonialismo i rapporti tra l’Italia e le ex-colonie si conservarono per alcuni anni. Dall’ONU l’Italia ottenne l’amministrazione fiduciaria della Somalia per il decennio 1950-1960. Gli immigrati italiani in Libia hanno abbandonato il Paese soltanto nell’ottobre 1970, in seguito alla presa del potere da parte del colonnello Mu’ammar Gheddafi (la deposizione di re Idris era avvenuta nel settembre 1969). Gianluca Frenguelli Laura Melosi Macerata, ottobre 2009 Lingua e cultura dell’Italia coloniale ISBN 978-88-548-2781-3 DOI 10.4399/97888548278132 pag. 15–56 Manuela Martellini Pascoli e le vicende coloniali: tra sentimento politico ed eloquenza nazionalistica La politica è sempre stato un tema presente nella poetica pascoliana e questo perché il Pascoli stesso non è stato un poeta, un professore, un intellettuale disinteressato alla società che lo circondava, anzi, la componente civile ha animato il suo impegno politico e, di conseguenza, anche molti dei suoi testi in prosa e in versi, rievocativi di eventi e di personaggi politici e sociali: si pensi ai numerosi discorsi scritti e pronunciati in occasione di svariate commemorazioni, alle prose contenenti riflessioni su temi storici e civili, alle raccolte Odi e Inni e Poemi del Risorgimento. Anche laddove la poesia sembra lontana anni luce dalla realtà contemporanea, è possibile rintracciare per lo meno un confronto con il mondo circostante: proprio la classicità, tanto studiata e amata dal Pascoli, fornisce esempi significativi di come l’attività letteraria dei poeti, degli oratori, degli storici antichi fosse inserita in un contesto socio-politico e, spesso, dettata da ragioni repubblicane o imperiali; si pensi anche alla poetica del “fanciullino” e al fatto che essa non è avulsa dall’esistenza concreta, ma è in parte motivata da ciò che l’uomo non trova nella realtà in cui vive. Ma se il poeta non è stato uomo e letterato apolitico, egli non è stato nemmeno un vero e proprio propagandista ideologico: se così fosse, bisognerebbe imputargli e forse criticare una certa forma d’incoerenza e di trasformismo, se da attivista socialista arrivò prima a deprecare il sistema politico e partitistico italiano e poi a sponsorizzare il nazionalismo colonialista. 15 Manuela Martellini 16 Non di propaganda o di ideologia, dunque, si trattava, ma di analizzare sempre e di volta in volta la situazione sociale e politica alla ricerca delle occasioni che apparissero più adatte ad incarnare i suoi ideali e sentimenti: la semplicità e la tranquillità della famiglia, l’onestà del lavoro, la patria, il senso fanciullesco della sorpresa e della scoperta, l’humanitas, la concordia e la bontà della comunità cittadina, l’appartenenza ad un processo storico evolutivo che dona al presente un passato (o, per così dire, una serie di passati) in cui ritrovare l’origine e l’identità. Il poeta risentì continuamente dei cambiamenti politici che caratterizzarono l’età post-unitaria, in un’Italia che da secolare insieme composito di territori e di governi diventò tra il 1860 e il 1861 unità di nome, ma non sempre di fatto, e già nel 1882, a soli vent’anni di distanza, realizzava la prima occupazione in Africa orientale. Le posizioni ideologiche del Pascoli evolvono così come evolve l’Italia, e le sue interazioni con la politica sono di volta in volta determinate da diversi tipi di esperienze. Egli nel 1875, studente universitario a Bologna, inizia ad abbracciare le idee di libertà, di uguaglianza, di giustizia e di bene comune proprie del socialismo, la corrente politica che più si avvicinava ai suoi ideali umanitari e alla sua condizione interiore, ma che non era ben accetta ai governanti, tanto che la protesta contro la visita a Bologna del Ministro dell’Istruzione Bonghi gli fa perdere la borsa di studio per mantenersi all’università. Tra il 1876 e il 1877 il suo impegno socialista si rafforza: di questi anni l’amicizia con Andrea Costa1 e i comizi tenuti a Bologna e per la Romagna che inducono la questura bolognese a controllarlo. E, infatti, nel 1879 anche lui viene arrestato come altri capi socialisti sostenitori della liberazione dell’anarchico Passanante, attentatore del re Umberto I. Nonostante, però, la figura del Costa e l’episodio di Passanante fossero la dimostrazione di come il socialismo sconfinasse verso l’anarchismo, allo stesso modo in cui, dall’altro lato, si incontrava con il marxismo e con il comunismo, il socialismo del Pascoli non si mescolò a queste 1 Compagno universitario del Pascoli, anche Andrea Costa fu un discepolo del Carducci e seguace dei gruppi internazionalisti di Bakunin dal 1871; passato in seguito dall’anarchismo al socialismo riformistico, fu il primo deputato socialista eletto al Parlamento italiano nel 1882. Sul socialismo pascoliano si veda quanto scrisse la sorella Maria in Lungo la vita di Giovanni Pascoli, a cura di A. Vicinelli, Milano, Mondadori, 1961. Lingua e cultura dell’Italia coloniale ISBN 978-88-548-2781-3 DOI 10.4399/97888548278133 pag. 57–88 Gianluca Frenguelli - Chiara Grazioli La scrittura coloniale di Mario Appelius (1892-1946)* 1. Una vita avventurosa Mario Appelius è un nome oggi sconosciuto ai più. E i pochi che lo conoscono lo ricordano come un esempio negativo: un propagandista del regime fascista, specializzatosi, per così dire, nella campagna denigratoria verso la “perfida Albione”: è suo infatti il celebre quanto becero slogan “Dio stramaledica gli inglesi”. Una fama negativa, quindi la sua, sopravvissuta fino a oggi e cristallizzata nell’icona del “megafono del Duce”. In realtà si tratta di un personaggio più complesso di quello che la sua immagine pubblica ci ha lasciato intendere; un personaggio – ciò che c’interessa in questa occasione – rappresentativo del nostro romanzo coloniale, nella sua fase “trionfante”. Prima avventuriero; poi giornalista, inviato, scrittore, animatore culturale; infine conferenziere e commentatore radiofonico. Caduto nel dimenticatoio come tanti altri giornalisti e scrittori del periodo fascista, le poche notizie sulla sua vita sono affidate al suo romanzo autobiografico Da mozzo a scrittore, a un saggio di taglio giornalistico e * Questo articolo è stato ideato e condotto congiuntamente dai due autori. G. F. ha sviluppato l’impianto generale e ha scritto i §§ 1, 2, 3, 4, 5, 8; C.G. ha scritto i §§ 3 e 7, rielaborando alcuni capitoli della sua tesi di laurea, Da giornalista a scrittore. Lo stile di Mario Appelius, Relatore, prof. G. Frenguelli, Università degli studi di Macerata, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2007-2008. Gianluca Frenguelli - Chiara Grazioli 58 ad alcuni accenni sparsi qua e là in vari volumi e articoli sul ventennio fascista e sul periodo coloniale1. Nasce ad Arezzo nel 1892 da Margherita Frigerio, figlia di imprenditori bergamaschi, e Giuseppe Appelius, ufficiale dei Carabinieri di lontane origini svedesi. La rigidità del padre, messa a confronto con l’irrequietezza e l’esuberanza del figlio, genera conflitti che spingono il giovane a fuggire prima di casa, poi dal collegio di Castellammare di Stabia dove era stato mandato dal padre, e culminano con l’imbarco forzato come mozzo dell’allora quindicenne Mario su un piroscafo dei servizi marittimi. Per il giovane, appassionato lettore di Salgari, Verne, Loti, Kipling, Conrad e London, non si trattò di una punizione quanto piuttosto dell’inizio di un’avventura. Fuggito in occasione del primo approdo della nave, il ragazzo cominciò a girare il mondo, adattandosi a fare i mestieri più disparati. Qualche anno più tardi, nel 1922, grazie all’intercessione di Guelfo Civinini, entrò in contatto con Arnaldo Mussolini, che lo accolse al «Popolo d’Italia» come corrispondente. Prese così avvio la sua lunga e fortunata carriera di giornalista di regime, che lo portò a scrivere per i più importanti quotidiani e periodici dell’epoca: «Il Mattino», «La Nazione», «Il Messaggero», «La Gazzetta del Mezzogiorno», «L’Illustrazione italiana» e a viaggiare il mondo come inviato: in Africa, nelle Americhe e in Asia. Dall’esperienza di questi viaggi e dai reportages che ne derivano, nascono i suoi due romanzi e la maggior parte dei suoi libri. Era una maniera di svolgere il giornalismo molto diffusa in un’epoca in cui i giornali, con il forte sostegno del regime, erano a caccia di un pubblico 1 L’autobiografia vede la luce nel 1934 per i tipi di Mondadori. Il volume del giornalista L. Sposito, Mal d’avventura, Milano, Sperling & Kupfer, 2002, si fonda sulle vicende in essa narrate, riscontrate sui ricordi di famiglia dei nipoti Bruno, Mario e Maria Rosaria e su una ricca raccolta di lettere che Appelius scriveva ai suoi familiari nel corso delle sue peregrinazioni. Alcune informazioni sono presenti anche sub voce nel Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1960-. Notizie relative al periodo in cui il nostro era commentatore alla radio si ritrovano in A. Gigli Marchetti, Mario Appelius, Il microfono del Duce, in Storia della comunicazione in Italia: dalle Gazzette a Internet, a cura di A. Varni, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 129-146, e in P. V. Cannistraro, La fabbrica del consenso, Bari, Laterza, 1975, alle pp. 221 e 263-268.