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NOTE SULL`EMIGRAZIONE REGIONALE IN SUD AFRICA

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NOTE SULL`EMIGRAZIONE REGIONALE IN SUD AFRICA
NOTE SULL’EMIGRAZIONE REGIONALE IN SUD AFRICA
Tiziana Tomat - Javier Grossutti
Terminata la guerra anglo-boera a cavallo tra Ottocento e Novecento, molti italiani
iniziarono a dirigersi verso Città del Capo e Durban, sospinti in molti casi da
quanto la stampa internazionale aveva scritto intorno alle risorse di quei lontani
paesi, che avevano suscitato una lotta così aspra e sanguinosa, oltre che da voci
sulla scarsità di manodopera qualificata1.
In quel periodo per scendere in un porto sudafricano era necessario provvedersi di
un permesso di sbarco, che però non dava diritto a procedere verso l’interno del
paese: per poter entrare nel Transvaal o nell’Orange, ancora sottoposti alla legge
marziale, gli emigranti dovevano essere in possesso di un nuovo permesso sin dal
porto di approdo. D’altro canto, il numero degli italiani che potevano ottenere di
proseguire dal porto di sbarco verso la nuova colonia del Transvaal era stato
limitato per ordine di Lord Milner, commissario della colonia del Capo, a otto al
mese.
Nonostante gli avvertimenti del Commissariato Generale dell’Emigrazione,
parecchie persone, specie della provincia di Udine, continuavano a rivolgersi al
Consolato d’Italia a Pretoria e allo stesso Commissariato per potersi recare o
rientrare nel Transvaal, nella speranza di trovarvi lavoro. Il Commissariato tornò a
mettere in guardia contro lo stesso deludente viaggio verso l’Africa australe con
una circolare nella quale si ribadiva che le condizioni presenti all’epoca in Sud
Africa erano assolutamente sfavorevoli a un qualsiasi movimento emigratorio2. Ciò
nonostante, da Pretoria il Consolato italiano in data 6 ottobre 1902 notificava che,
malgrado gli avvertimenti diffusi in Italia circa le notevoli difficoltà opposte
all’ingresso nel Transvaal e nel Natal, continuavano ad affluire nei porti
dell’Africa del Sud numerosi connazionali in cerca di lavoro.
Attraverso il console italiano a Città del Capo, Roma riceveva periodici – anche se
1
Sull’emigrazione italiana in Sud Africa cfr. G. SANI, Storia degli Italiani in Sud Africa 1489 – 1989, Edenvale
(Sud Africa), Zonderwater Block, 1989.
2
A riguardo si veda Bollettino dell’Emigrazione, Roma, M.A.E. - Regio Commissariato Generale dell’Emigrazione,
1902, nr. 11, pagg. 61-62; nr. 12, pagg. 80.
scarni – rapporti sullo stato dei connazionali in tutto il Sud Africa. Al riguardo è
interessante riportare ciò che, nel 1891, scriveva il console Agostino Carpani al
Ministero degli Esteri: “la nostra emigrazione nel sud dell’Africa, può dirsi in parte
permanente, per quegli italiani cioè stabiliti in queste regioni da molti anni e che vi
trovano un’occupazione sia come professionisti, negozianti, proprietari di piccoli
alberghi, sia come fruttivendoli, pescatori, barcaioli e giornalieri; temporanea poi
avuto riguardo ad un certo numero di connazionali i quali attirati dalla scoperta
delle miniere di diamanti del Kimberley e dell’oro nel Transvaal, principalmente a
Barbeton ed a Johannesburg, andarono a cercar fortuna in quelle località
allorquando i salari erano da principio molto elevati ed abbandonarono poi quelle
occupazioni, perché in seguito meno retribuite, per recarsi più al Nord nelle
province portoghesi di Delagoa Bay, ove si effettuano importanti lavori
ferroviari”3.
Tra le infrastrutture indispensabili allo sviluppo e allo sfruttamento dell’Africa
australe, le ferrovie occupavano senza dubbio il primo posto. Nell’ultimo decennio
dell’Ottocento,
perciò,
vennero
costruiti
grandi
tronchi
ferroviari,
che
rappresentavano la condizione indispensabile per trasportare – e rendere esportabili
- i minerali ed i prodotti delle farms. Nell’Africa della fine dell’Ottocento e della
prima metà del Novecento le strade ferrate costituivano il legame con l’Europa (ed
il mondo), in quanto unico grande mezzo di trasporto affidabile e relativamente
rapido. Naturalmente intorno alla ferrovia si imperniarono intere politiche di
espansione coloniale, volte ad affermare la propria influenza politico-economica o
a svincolarsi da quella di una potenza concorrente, ad esempio per i boeri la
costruzione della linea Pretoria-Delagoa Bay fu un modo per sottrarsi alla
“dipendenza” dai porti inglesi.
La società olandese, concessionaria della rete transvaaliana, affidò ad imprenditori
ed operai italiani – noti per le loro capacità e la loro sobrietà – gran parte dei lavori
riservati ai bianchi. Oltre 300 italiani – soprattutto piemontesi – vennero impiegati
3
A riguardo si veda Rapporto del R. Console nob. Avv. A. Carpani del 7 settembre 1891, in Emigrazione e Colonie –
Rapporti di R.R. Agenti Diplomatici e Consolari pubblicati dal R. Ministero degli Affari Esteri, Roma, Tip. Nazionale,
1893, pagg. 330-335.
come capimastri, tecnici, operai o, al termine dei lavori, come cantonieri. Questo fu
l’inizio del coinvolgimento italiano nel campo delle costruzioni di strade ferrate,
che avrebbe portato i nostri connazionali a partecipare come contractors
(appaltatori) e/o lavoratori alla realizzazione di circa il 90% di tutte le linee
dell’Africa meridionale e a diventare una componente importantissima del
personale delle varie società ferroviarie.
Come ricorda Giovanni Cosattini, non era ancora finita la guerra tra la Repubblica
Transvaaliana e l’Inghilterra, che già al Segretariato dell’Emigrazione di Udine
venivano richieste numerose informazioni “circa ai lavori che si sarebbero
verificati al conchiudersi della pace. E quantunque per la partenza occorresse
dimostrare di possedere ben 100 sterline, oltre le spese del viaggio, molti Friulani
hanno affrontato il mare e la fortuna” per recarsi in Sud Africa4.
Dopo i primi anni del Novecento – tuttavia - l’Africa del Sud, che aveva suscitato
l’interesse di molti italiani come probabile destino migratorio, perse il suo fascino.
Inoltre il 1 febbraio del 1903 entrò in vigore l’Immigration Act, contenente
notevoli disposizioni restrittive destinate a limitare l’entrata di lavoratori non
sudditi britannici in Sud Africa. A questa legge ne seguirono altre che
comportarono ulteriori limitazioni allo sbarco in diverse colonie inglesi.
La nuova situazione, legata alla difficoltà dei nostri emigrati a trovare un impiego e
la scarsità dei guadagni, preoccupava non poco le autorità consolari italiane. A
testimonianza di ciò così si legge nel rapporto inviato dal console generale d’Italia
a Johannesburg – comm. F. Bruni-Grimaldi - al Ministero Affari Esteri a Roma: “Il
Transvaal, la Colonia del Capo e, in generale tutta l’Africa meridionale britannica
attraversano da qualche tempo una gravissima crisi economica, della quale sono
principali conseguenze la grande scarsità di lavoro e l’insufficienza dei salari, che
non bastano a sopperire alle necessità della vita, che ivi costa carissima”5.
4
G. Cosattini, L’emigrazione temporanea del Friuli, Roma, Tip. Nazionale di G. Bertero, 1903 (ristampa anastatica a
cura di F. Micelli, Udine, Direzione regionale del Lavoro Assistenza Sociale Emigrazione, 1983) pag. 43. La cifra da
possedere variò molto a seconda dell’anno, a riguardo cfr. G. SANI, Il dopoguerra, in ID, Storia degli Italiani op. cit.,
pagg. 148-167.
5
F. Bruni-Grimaldi, Le condizioni dell’immigrazione italiana nell’Africa del Sud – Da rapporti del comm. F. BruniGrimaldi, r. console generale in Johannesburg (1904-1905), in Commissariato dell’Emigrazione, Emigrazione e
Negli anni 1910, infatti, il Sud Africa rimase completamente estraneo ai flussi
migratori italiani e quindi anche regionali. Nel 1907, tuttavia, il Console generale
di Italia forniva alcune interessanti notizie sulla composizione della collettività e
sui minatori in specie: “I minatori italiani il cui numero si può fare ascendere a
circa 300, appartengono esclusivamente alle province del Piemonte, della
Lombardia e del Veneto”.
Il declino del Sud Africa come destinazione migratoria ebbe fra le sue conseguenze
anche un certo assestamento della comunità italiana locale e l’avvio di un processo
di omogeneizzazione in precedenza impossibile, sia a causa delle origini piuttosto
variegate dei nostri immigrati, sia per la loro notevole mobilità interna ed
intercontinentale. Un sintomo del progressivo processo di radicamento degli
italiani si può vedere nell’incremento delle attività associative, ad esempio nel
1909 venne fondata a Johannesburg l’Unione italiana, chiamata così per
distinguerla dalla già esistente Società Italiana di Mutuo Soccorso e di Beneficenza
legalmente costituita nel 18906.
Anche la presenza in loco di scuole italiane risulta interessante per valutare
l’effettivo assestamento della locale comunità italiana. Infatti le statistiche ufficiali
per le scuole italiane all’estero – in questo caso in Sud Africa - segnalavano, al 31
dicembre 1923, 2 scuole con 83 alunni e 2 insegnanti. Sotto la dizione “scuole non
prettamente italiane, dove però viene insegnata la lingua italiana” veniva aggiunto
un altro istituto con 114 alunni e 14 insegnanti7.
La relazione sui servizi d’emigrazione per il 1923 indicava 1.964 cittadini italiani
in Sud Africa e Rhodesia, di cui 1.365 maschi e 599 femmine. I dati del 1924,
desunti in parte dai censimenti ufficiali ed in parte dai rapporti consolari, davano
524 cittadini italiani per la provincia del Capo, 214 per il Natal, 959 per il
Transvaal e 29 per l’Orange: in tutto 1.726 individui. Nel 1926 ammontavano ad
colonie – Raccolta di Rapporti dei R.R.Agenti diplomatici e consolari, Vol. II, Asia-Africa-Oceania, Roma, M.A.E.,
1906, in part. pagg. 498-502.
6
G. SANI, Assestamento della Comunità, in ID., Storia degli Italiani..op. cit., pagg. 178-187.
7
Commissariato Generale dell’Emigrazione, L’emigrazione italiana dal 1910 al 1923, vol. I, Roma, CGE, 1926, pag.
134.
un totale di 1.521 persone8.
Il Censimento degli Italiani all’Estero al 31 dicembre 1926, compiuto alla metà del
1927 dal Ministero degli Affari esteri e pubblicato nel 1928, registra la situazione
di stallo venutasi a creare nella comunità. L’arrivo annuale di emigranti italiani
rimaneva insignificante: nel 1925 erano entrati nel Dominion 31 italiani e 71 nel
1926. Gli anni successivi non presentano cifre rilevanti: 57 persone nel 1927, 86
nel 1928 ed, infine, 89 italiani giunti nel 19299.
Negli anni Venti e Trenta, dunque, le partenze di friulani verso il Sud Africa
risultano quasi nulle. Inoltre, la situazione economica del Sud Africa peggiorò
all’inizio degli anni Trenta per gli effetti del crollo della Borsa di Wall Street nel
1929.
Più numerosi, invece, risultano i prigionieri friulani e giuliani nel campo di
Zonderwater. Nel febbraio 1941 un vasto tratto di terreno non lontano dagli
impianti minerari di Cullinan, 43 km a est di Pretoria, divenne il primo campo per
prigionieri di guerra del Sud Africa: il suo nome Zonderwater (posto dove l’acqua
è scarsa, in lingua afrikaans) sarebbe ben presto diventato famoso come quello del
più grande campo di concentramento alleato della seconda guerra mondiale. La
zona scelta, sull’altopiano del Transvaal, spoglia e arida, si prestava bene allo
scopo: servita da strada e ferrovia, collegata al porto di Durban, dove avveniva lo
sbarco dei prigionieri, in posizione isolata e sicura, lontana circa 400 km dal
confine con il Mozambico, era considerata il luogo ideale per edificarvi una “città
del prigioniero”.
Nell’immediato secondo dopoguerra, alcuni gruppi di friulani e qualche giuliano
raggiungono alla spicciolata il Sud Africa per impiegarsi soprattutto come
minatori. E’ il caso, per esempio, di un ridotto contingente di uomini originari
dall’alta Val di Gorto, da Rigolato e da Forni Avoltri, ma anche da altri paesi del
8
Cfr. anche Commissariato Generale dell’Emigrazione, Censimento della popolazione italiana all’estero nel 1923.
Egitto; Etiopia; Unione Sud Africana, Roma, Tip. Cartiere Centrali, 1923.
9
Al riguardo vedi M. Salvatori, La penetrazione demografica europea in Africa, Torino, Bocca, 1932, pagg. 29-30, 8082. L’autore peraltro riprende acriticamente le cifre fornite dal Ministero degli Affari Esteri italiano. G. SANI, A
cavallo di due decenni, in ID., Storia degli Italiani..op. cit., pagg. 226-233.
Friuli10.
Negli anni Cinquanta, una vera galassia di nuove industrie – emanazioni di aziende
italiane o frutto dell’intraprendenza degli italiani residenti in Sud Africa – sorse
soprattutto nella zona del Rand. Una tra le iniziative più importanti fu senza dubbio
l’istituzione dello stabilimento di fibre sintetiche (rayon) e cellulosa di Umkomaas,
sulla costa del Natal, creato da un consorzio internazionale, SAICCOR (The South
African Cellulose Corporation) comprendente la Snia Viscosa di Franco Marinotti,
l’inglese Courtaulds e la sudafricana statale Industrial Development Corporation.
Tutti i materiali e i macchinari impiegati erano italiani, così come la quasi totalità
del personale di tutti i livelli. Lo stabilimento, progettato e costruito in meno di due
anni sotto la guida dell’ing. Alessandro Brunetti, iniziò a produrre dall’ottobre
1955 circa 45 mila tonnellate di cellulosa di eucalipto all’anno, con metodo
studiato a Torviscosa dalla Snia: i primi 58 operai italiani erano giunti sul posto
appena nell’aprile 1954. Questo primo scaglione era composto quasi tutto da
friulani della Bassa.
La prevista presenza di alcune centinaia di italiani in una tranquilla e piccola
località come Umkomaas – da sempre buen retiro di funzionari e militari in
pensione, soprattutto di lingua inglese – a partire dal 1952 causò numerose proteste
tra i locali. Si temeva una sorta di “italianizzazione” del luogo. A ciò si aggiungeva
il timore di inquinamenti da residui chimici. Ben presto, comunque, il carattere
serio e operoso degli italiani – in maggioranza friulani11, piemontesi e lombardi –
impiegati nello stabilimento contribuì ad alleviare le preoccupazioni della
popolazione anglosassone. Le maestranze italiane si ambientarono bene nella
nuova realtà, per i loro figli venne organizzata una scuola elementare affidata a
suore missionarie italiane: gli emigranti italiani e friulani non erano più uomini
soli, ma la comunità italiana e friulana era ora costituita da interi nuclei familiari.
Questo gruppo di italiani, infatti, nel 1956 aveva ormai superato le 500 persone e
10
Cfr. J. Grossutti, L’emigrazione in Canal di Gorto nel secondo dopoguerra, in M. Michelutti (a cura di), In Guart,
Udine, Società Filologica Friulana, 1994, pp. 247-258
11
Sui friulani di Umkomaas si veda E. SCRAZZOLO, I friulani di Umkomaas: storia di un'emigrazione dalla Bassa
friulana al Sud Africa negli anni 50, Udine, La nuova Base, 2001 e Farcadice. Diaris di viaç. Colonia Caroya –
Argjentine. Charleroi – Belgjiche. Umkomaas – Sudafriche. Toronto – Canadà, dvd, regia di Carlo Della Vedova e
Luca Peresson, 1999-2007.
alla fine degli anni Cinquanta venne eretta anche una chiesa. In questi anni fu
costruito il Fogolâr Furlan, divenuto poi Club italiano.
Due “giornalini”sono di notevole utilità per conoscere la storia di questi lavoratori
in Sud Africa tra la fine degli anni Cinquanta e la metà dei Sessanta. Dal dicembre
1959 uscì il primo numero di Raypulp Recorder, pubblicazione della SAICCOR
nella quale vengono riportate notizie anche sui dipendenti (friulani e non), ad
esempio matrimoni, nascite di figli ed altri eventi significativi. Dal 1965 al 1967,
invece, in seno al Club italiano di Umkomaas fu stampato il mensile Il Club, che
potremmo definire lo specchio delle attività svoltesi all’interno del club. In questa
rivista, infatti, possiamo trovare articoli riguardanti non solo la cultura italiana in
genere, ma anche notizie relative alla comunità italiana e, di conseguenza, fatti
riguardanti la gente friulana.
Anche nella stampa locale il ruolo importante della SAICCOR, strettamente legata
alla South African Development Corporation of South Africa, venne riconosciuto
come significativo per lo sviluppo economico del Sud Africa. E la presenza degli
italiani e della loro cultura era ormai accettata ed apprezzata dalla popolazione di
Umkomaas. Si legge in un articolo apparso sul quotidiano Daily News, alla fine del
1968, che - negli anni - il gruppo originale di immigrati italiani “é cresciuto in una
colorita, vivace e laboriosa comunità di oltre 630 persone, metà popolazione di
Umkomaas, e il 59% dei dipendenti bianchi della SAICCOR. Nonostante la loro
quieta e rilassata indole, l’influenza italiana si è infusa nella linfa del paese”12.
Umkomaas è divenuta l’esempio più vistoso di una cittadina “italiana” in Sud
Africa. Si trattò di un’emigrazione organizzata verso una terra che prometteva
molto, quando nella Bassa Friulana il lavoro era scarso e molti lasciavano il paese
in cerca di un lavoro e di un futuro migliore. I comuni particolarmente interessati
furono Torviscosa, San Giorgio di Nogaro, Cervignano, Gonars, Latisana,
Porpetto, Bagnaria Arsa, Palmanova ed Aiello. Basti pensare, per esempio, che nel
duomo di San Giorgio di Nogaro è presente una statua della Madonna di Lourdes,
donata nel settembre del 1980 da un gruppo di San Giorgio e dagli emigranti di
12
Cfr. E. SCRAZZOLO, I friulani di Umkomaas: storia di un'emigrazione…op. cit., pag. 125.
Umkomaas.
Ai giorni nostri questa fiorente comunità è ormai ridotta: molti degli emigranti
originari sono rientrati in Italia o sono morti e, parte delle giovani generazioni sono
ormai integrate nel tessuto sociale sudafricano o si sono dirette verso città maggiori
o all’estero.
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