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Cercasi guida disperatamente

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Cercasi guida disperatamente
DIARIO
MARTEDÌ 5 GIUGNO 2007
È in edicola
LA REPUBBLICA 45
È in edicola
DI
DI
PERCHÉ LA SINISTRA HA SMARRITO IL CARISMA
Un paese
che appare senza
un vero ricambio
politico e
generazionale
La crisi
di identità
è maturata dentro
scelte politiche
poco coraggiose
Jacques-Louis David:
“Napoleone al passo
del Gran San Bernardo”
n Italia abbiamo capi e padroni, abbiamo “imperium” ma
non abbiamo leadership, abbiamo bulli e abbiamo comandanti, abbiamo “dux” ma non
abbiamo leader. E infatti abbiamo avuto Mussolini ma non
Churchill; non abbiamo avuto
De Gaulle e Mitterrand ma Togliatti e De Gasperi, che traevano
la loro grande forza dalle potenze estere, erano gli autorevoli
rappresentanti consolari delle
due metà del mondo, erano insomma leader per conto d’altri,
leader senza leadership. Alla fine, molto raramente abbiamo
avuto un’autonoma leadership e
dunque veri leader nazionali,
che sono infatti significati non
tradotti e non traducibili nella
nostra pur bella e ricca lingua,
benché siano essenziali alla democrazia prima ancora che al
nascente Partito democratico.
Supremazia, egemonia, guida
dei propri uomini, controllo del
Parlamento, autorevole e non
autoritaria influenza politica, dirigenza e direzione: leadership è
parola inglese che rimanda al
mare perché viene da leader, da
to lead, che vuol dire condurre, e
da ship che è la nave, ma è anche
è il suffisso che nella lingua inglese dà qualità all’astrazione, come
in scholarship e in citizenship, e
deriva dal germanico skop e
quindi skip e appunto ship, nave,
che in antico tedesco si dice schif,
in greco skaphos e schyphos e in
latino scapha ed è sempre lo stesso campo semantico, quello del
bastimento e dell’imbarcarsi
perché la leadership nella civiltà
anglosassone viene battezzata
sul mare, nel confronto con l’oceano, con quel “sea power” che
è motore della storia.
Senza volere qui rifare la storia
dell’influenza del “sea power”
nell’evoluzione dell’umanità ci
basta ricordare che la seconda
guerra mondiale è stata vinta dai
navalisti e persa dai continentalisti, e che l’Italia è lontana dall’etimo stesso della leadership, perché, pur essendo una penisola,
una quasi isola, la sua non è storia di navi, di flotte, di controllo
delle acque, di ufficiali di marina
che avevano un’educazione da
statisti, di marinai che diventavano leader perché si misuravano
con la forza degli oceani, di portaerei che erano un modo di accorciare le distanze e controllare
il mondo. E infatti ancora oggi la
formazione della nostra classe
dirigente è lontana dagli orizzonti internazionali, non c’è nessun
leader italiano che si qualifichi
attraverso strategie mondiali, dal
nuovo ruolo della Cina e dell’India alla forza dell’Islam… Difficilmente la leadership italiana si
affaccia al mondo. Campioni di
fantasia e di inventiva abbiano
avuto il ministro della Devoluzione e quello dei Rapporti con il
Parlamento, quello per gli Italiani nel mondo e quello per gli Affari regionali, e abbiano persino il
ministero per l’Attuazione del
programma di governo che è una
sorta di ministero della Supercazzola con scappellamento a
destra o a sinistra, ma abbiamo,
senza nulla togliere alle qualità di
Massimo D’Alema, per tradizione, un politica estera approssimativa e abborracciata, con gli
I
LEADERSHIP
Cercasi guida disperatamente
FRANCESCO MERLO
ZYGMUNT BAUMAN
“
LA POLITICA con la “P”
maiuscola ha bisogno
di leader autorevoli. La
politica della vita, per contro, ha bisogno di idoli. La
differenza tra le due non potrebbe essere più grande, benché capiti che alcuni leader politici vengano
idolatrati e che gli idoli reclamino l’autorità adducendo a giustificazione il culto di cui sono oggetto.
La politica è molte cose, ma non sarebbe nessuna di esse se non fosse prima e più di ogni altra cosa
l’arte del convertire i problemi individuali in tematiche pubbliche e gli interessi comuni in diritti e doveri individuali. I leader sono esperti in tali conversioni.
Danno nomi pubblici (generici) a preoccupazioni vissute individualmente e in tal modo preparano il terreno alla gestione collettiva di problemi che non potrebbero né essere percepiti nell’ambito dell’esperienza individuale né affrontati separatamente
dagli individui. Inoltre, i leader indicano ciò che gli
individui potrebbero o dovrebbero fare per rendere efficace l’azione collettiva.
LEADERSHIP
anni fa conquistava l’Ump, il
partito dell’ostile Chirac, e intanto confessava di pensare all’Eliseo «tutte le mattine mentre mi
faccio la barba». In Italia invece
tutti hanno paura di bruciarsi e di
esporsi, Veltroni non osa sfidare
D’Alema, la Finocchiaro si finge
umile, Rutelli lavora nell’oscu-
rità, nessuno si fida di nessuno, si
inventano candidati civetta e finte primarie con il vincitore bloccato, si punta su qualcuno solo
per farlo impallinare, non c’è
nulla di pulito, di chiaro, di laico,
e alla fine la scelta del leader,
quale che sia la carica da ricoprire, sarà il frutto di negoziati este-
Per gli arretrati rivolgiti al tuo edicolante di fiducia.
le della leadership. Le ambizioni
infatti si muovono nell’ombra,
malcelate sotto cumuli di ipocrisia, non c’è nessuno che osi dire
«io voglio fare il presidente del
consiglio, o della repubblica o il
segretario del partito democratico», come ha fatto per esempio
per esempio Sarkozy che già tre
*Oltre al prezzo del quotidiano.
avanzi di cucina delle politica interna, idea arcitaliana appunto,
radicatissima nella nostra storia,
con alleanze mai sicure, trattati
mai definitivi, con il nemico che è
anche amico e viceversa.
Come si forma la leadership in
Italia? Ebbene, non c’è nulla di
più lontano dalla idea occidenta-
Il numero di giugno con CD è in edicola
a 5,90*€ con Il Sole 24 ORE.
nuanti, di compromessi al ribasso e mai di una forte competizione a viso aperto. La scelta viene
via via depotenziata politicamente e umanamente. Quasi
sempre il prescelto è un politico
di basso profilo, possibilmente
già vecchio, meglio se un po’ acciaccato, si spera che sia un utile
brav’uomo, il quale ovviamente
alla prima prova difficile, alla prima sconfitta amministrativa per
esempio, o si rifugia nella retorica o si esprime in una rabbia inconsulta minacciando di dimettersi. Ricordate come Tony Blair
seppe prendere su di sé l’impopolarità della guerra in Iraq e riuscì a vincere per la terza volta le
elezioni politiche?
Invece il leader italiano somiglia al titano Enceslao che scala
l’Olimpo e crede di essere diventato un dio. Giove afferra quell’omuncolo e lo scaglia sulla terra
mettendogli sullo stomaco
un’immensa montagna, l’Etna.
E il tapino sta lì, costretto a fare il
morto, a trattenere il respiro...
Solo quando non ne può più tossisce e si agita, si scuote, si gratta,
starnutisce. E allora apriti cielo,
la terra trema, le bocche del vulcano sputano fuoco e pietre, il
cielo si oscura.
Né va meglio nella cosiddetta
società civile, all’università per
esempio, che, unico paese occidentale, l’Italia considera il serbatoio fintamente tecnico della
politica. E’ tipico di un Paese arretrato trarre i suoi quadri dirigenti dall’università. La leadership nei paesi occidentali si forma nella scuole di alta amministrazione, oppure nell’alta politica o ancora nelle professioni. La
classe dirigente italiana, invece, o
viene dalla burocrazia dei partiti,
o è una specie di università allargata con tutte le miserie della gestione del potere universitario
spavaldamente praticate in nome della cultura. All’università il
clientelismo si chiama cooptazione, la mafia si chiama scuola o
baronia, la gerontocrazia si chiama scienza, il traffico delle cattedre si chiama concorso. Ma la sostanza è che la leadership universitaria è autoreferenziale, immutabile, cerimoniale, fondata sul
culto del vecchio, sulla ossificazione delle idee, sulla mummificazione della cultura e dunque
anche della politica.
E dovrebbe essere superfluo
spiegare che il leader guida e il
padrone comanda e che nella
cultura della leadership, scriveva
Comte, «ogni partecipazione al
comando è degradante». Non ci
sorprende dunque che i governi
italiani, quelli di sinistra come
quelli di destra, siano in perenne
crisi di consenso, si dissipino in
un gorgoglio di comandi, un flottare di ordini, perché appunto la
mancanza di leadership ordina e
riordina e preordina e postordina e sputacchia disordinatamente discorsi e sentenze, encicliche e omelie, ordini di servizio
e servizi d’ordine, ma non governa, non guida, non dirige, non
traccia la rotta di un Paese che rimane «nave senza nocchiero in
gran tempesta». La leadership
italiana sembra l’epifania postcoitale perché, come si sa, nel nostro Paese, «cumannari è megghiu di futtiri».
Repubblica Nazionale
“
46 LA REPUBBLICA
LE TAPPE
MARTEDÌ 5 GIUGNO 2007
DIARIO
INGHILTERRA
Dopo la Thatcher, Blair lancia un nuovo
stile, legato al New Labour e al “nuovo
centro”. Il “blairismo” perde consensi
dopo l’intervento in Iraq e Blair cede il
posto al successore Gordon Brown
FRANCIA
De Gaulle, Mitterrand, Chirac: leader della
politica francese. Fino al nuovo presidente
Sarkozy, con cui, secondo i sondaggi,
vince un leader “energico”, “coraggioso”,
che “sa dove andare”
GERMANIA
Il Partito Socialdemocratico Tedesco si
lega all’immagine vincente dell’avvocato
Gerhard Schröder, cancelliere dal ’98,
battuto nel 2005 per pochi voti dal leader
cristiano-democratico Angela Merkel
L’ITALIA DALLA PRIMA ALLA SECONDA REPUBBLICA
QUANDO ERANO I PARTITI
CHE DETTAVANO LA LINEA
EDMONDO BERSELLI
I LIBRI
FRANCESCO
ALBERONI
Leader e
masse
Rizzoli 2007
NICCOLÒ
MACHIAVELLI
Il principe
Bur 2006
COLIN
CROUCH
Postdemocrazia
Laterza 2005
THOMAS
HOBBES
De cive
Editori Riuniti
2005
ARTHUR
MILLER
I presidenti
americani e
l’arte
di recitare
Bruno
Mondadori
2004
GIANCARLO
BOSETTI
Spin
Marsilio 2007
NORBERTO
BOBBIO
MAURIZIO
VIROLI
Dialogo
intorno
alla
repubblica
Laterza 2003
FEDERICO
BONI
Il corpo
mediale
del leader
Meltemi
2002
SERGIO
FABBRINI
Il principe
democratico
Laterza 1999
GIAN
ANTONIO
STELLA
Avanti
popolo.
Foto di
gruppo
con
professore
Bur 2007
MASSIMO
NAVA
Il francese
di ferro.
Sarkozy
e la sfida
della nuova
Francia
Einaudi 2007
el clima del dopoguerra, dominato dalle grandi visioni
ideologiche e dalle contrapposizioni “di civiltà”, la leadership
politica era una funzione sfuggente. Il 1945 aveva segnato il crollo dei
totalitarismi nell’Europa occidentale, mentre l’Unione Sovietica
centrata sulla dittatura di Stalin era
circondata dall’alone della vittoria
contro il nazismo. Così, le figure di
spicco nei partiti che si riaffacciavano alla democrazia rappresentavano la sintesi di pensieri forti e anzi di storie che avevano percorso il
Novecento.
Più che dalla figura
del leader, la scena
era occupata dal partito: il Pci doveva essere il moderno Principe, secondo la lezione di Gramsci, teso a
conquistare un primato egemonico; mentre
la Dc si riproponeva come partito-società, capace di aderire a tutte le
pieghe della collettività.
Fra i ritratti nelle Case del
popolo o all’ombra dei
campanili, il partito di
massa, appariva in grado
di esprimere, attraverso la
sua organizzazione capillare, un’intelligenza collettiva.
Certo, la leadership esisteva: ma era una polarità
individuale che si irradiava
sulla struttura politica, che a sua
volta la rafforzava. Alcide De Gasperi incarnava la dottrina sociale
della chiesa, un cattolicesimo liberale che faceva i conti con il popolarismo delle origini, il viaggio dentro il fascismo e lo sforzo strenuo di
rilanciare il paese dopo la tragedia
della guerra.
A sua volta, Palmiro Togliatti, “il
Migliore”, riassumeva in se stesso
un’avventura rivoluzionaria che
recava dentro di sé una carriera come esponente dell’internazionalismo, la lotta antifascista che in cui
si era distinto come “Ercoli”, il capo
comunista clandestino, l’uomo
dell’Hotel Lux, l’ufficiale di campo
del socialismo sovietico. In Italia,
era il leader assoluto che tuttavia
esplicava il suo ruolo all’interno
della procedura del Pci, scritta sulle regole del centralismo democratico. Mentre De Gasperi appariva
semmai come un “primus inter pares”, soggetto ben presto alle manovre e ai veti dell’organizzazione
dc, Togliatti era il capo indiscusso
di un’istituzione perfetta.
L’organizzazione comunista era
riuscita a intimorire e infine a subordinare il Partito socialista di
Pietro Nenni, che soltanto con la
transizione al centrosinistra e all’accordo con la Dc avrebbe ritrovato il sentiero dell’autonomia politica; ma soprattutto dava l’idea di
una macchina autoriferita quanto
infallibile, in grado di collocare al
proprio interno ogni protagonismo e ogni personalità, dall’ortodossia pragmatica e riformista di
Amendola al “lavoro di massa” in
chiave prerivoluzionaria di Ingrao.
Non si usava nemmeno, la parola leader: nelle file dc si cominciò a
parlare dei “cavalli di razza” quando apparvero protagonisti come
Amintore Fanfani e Aldo Moro. Ma
se Moro impersonava effettivamente una leadership culturale,
per la sua capacità di pensare all’evoluzione integrale del sistema politico, con uno sguardo al possibile
perfezionamento del “bipartitismo imperfetto”, a Fanfani invece
si imputava un piglio semi-gollista,
N
‘‘
,,
LIMITE
Fintantoché la sfera del confronto
politico era saturata dall’opposizione
fra Dc e Pci, non c’era spazio
per decisioni personalistiche
una più visibile propensione al comando che si scontrava facilmente
con l’inclinazione “dorotea” del
corpo del partito e alla sua diffidenza per le concentrazioni di potere.
Lo spirito democristiano infatti
si rivelava più compiutamente nelle personalità politicamente duttili di Mariano Rumor e di Flaminio
Piccoli, e fuori dall’area del doroteismo nel pragmatismo assoluto
di Giulio Andreotti, per il quale le
categorie politiche sono sempre risultate astrazioni (non è un caso
che proprio il pratico Andreotti fosse chiamato a gestire il governo di
solidarietà nazionale con i comunisti). Per qualche aspetto invece il
calore della leadership era più sen-
tito a sinistra, proprio perché era
l’integrale struttura del partito a
convergere nella figura del segretario: processo simbolico e funzionale a cui va aggiunto il fascino popolare di un capo come Enrico Berlinguer, le cui caratteristiche personali eccedevano i confini politici
del Pci, qualificandolo come un
possibile simbolo nazionale.
Ma fintanto che la sfera del confronto politico era saturata dalla
contrapposizione fra Dc e Pci, non
c’era spazio per l’emergere di figure in grado di plasmare la politica su
un profilo personale. Anzi, per diversi anni uno dei leader più visibili fu una personalità laterale alla
politica, il capo della Cgil Luciano
Lama. Perché il tema della leadership divenisse istanza politica rilevante, fu necessario l’emergere di
una posizione eccentrica, rappresentata negli anni Ottanta da Bettino Craxi: «capo del governo e insieme dell’opposizione», come lo descrisse Adriano Sofri, portatore di
un’ipotesi mitterrandiana di alternativa alla Dc che prevedeva la sostanziale subordinazione dei comunisti, intorno al quale nacquero
le prime teorizzazioni sul capo carismatico e sul “decisionismo”.
Dovevano cioè rompersi quegli
equilibri, come scrisse
su MicroMega uno dei
primi ideologi dell’onda lunga socialista,
Giuliano Ferrara, fondati su «un’egemonia
democristiana da null’altro corretta se non da
un potere di veto comunista». La crisi dei partiti
storici invitava a recuperare le categorie schmittiane della decisione e la
configurazione weberiana del leader. Intorno all’immagine di Craxi si sono
giocate le prime sperimentazioni leaderistiche della
politica italiana. Che naturalmente sarebbero diventate utili con il tracollo della
“Repubblica dei partiti”, allorché si affermò lo schema
dell’alternanza.
Che cosa c’è infatti dopo i
partiti, se non la concentrazione
del potere nel leader, alimentata
dalla vertigine massmediatica?
Quando le forze politiche tradizionali si disintegrano come la Dc e il
Psi dopo Tangentopoli, o affrontano metamorfosi infinite come il Pci
a partire dal 1989, viene il momento della contrapposizione giocata
tra immagini pubbliche, in cui la
“personalizzazione” della politica
tende a superare il vecchio elemento ideologico o il suo residuo.
Non c’è soltanto la “scesa in
campo” di Silvio Berlusconi, il re
televisivo: con le nuove regole
elettorali anche nel territorio, ossia nei comuni e nelle altre unità
amministrative, la personalizzazione e quindi il “fattore” della lea-
GLORIA
Nell’immagine
grande
un ritratto
di George
Washington
con il motto
“Non conobbe
altra gloria
che il bene
del suo paese”
A sinistra
una Domenica
del Corriere con
De Gasperi
e un ritratto
di Togliatti
dership si diffonde in tutto il sistema politico. Plasma l’azione pubblica, ma anche l’organizzazione
degli staff e delle coalizioni; diventa un totem su cui si misurano carriere e scelte programmatiche, su
cui si allestiscono strumenti di selezione come le primarie. E alla fine, scontata la maggiore facilità rispetto alla sinistra con cui la destra
può affidarsi al leader, potrebbe
anche lasciare il campo a una sindrome nuova, in cui il comando, il
ruolo da conquistare, si infittisce
di mediazioni e tatticismi, e alla fine potrebbe istituire l’ultima variante, segnata da un’assenza, da
uno spazio vuoto: il fantasma della leadership senza leader.
MAX WEBER
Conosco molti casi in cui,
in seno ai partiti, giovani
talenti con qualità di capo
sono stati tenuti indietro
dai vecchi pezzi grossi
PARLA YVES MÈNY: LE NUOVE TECNICHE AL SERVIZIO DEL LEADER
IL MODELLO POPULISTA
E LE DEMOCRAZIE EUROPEE
Parlamento e governo
1918
MICHAEL WALZER
I leader deliberano per tutti
e un tale processo
è pubblico, cosicché
i membri possono riflettere
e talvolta contestare
Ragione e passione
1999
ANTONIO GNOLI
n una democrazia di massa il concetto di “leadership” può variare di
importanza a seconda del ruolo che
vi svolgono i partiti», dice Yves Mény, politologo francese, Presidente dell’Istituto
Universitario internazionale di Firenze,
autore fra l’altro di un apprezzato saggio
sui temi del populismo.
«Nell’Europa democratica del ventesimo secolo, per esempio, il leader non era
scelto dall’elettorato, ma era l’espressione
di un apparato. Per arrivare a ricoprire la
posizione di vertice occorreva un cammino lungo e spesso lento, e soprattutto soggiacere alle regole del partito. Solo in rare
occasioni il leader entrava in contatto con
le masse. Le quali a loro volta si riconoscevano più nei simboli del partito che nei di-
«I
scorsi del capo. Negli Stati Uniti, dove i partiti sono soprattutto macchine elettorali, la
leadership come riconoscimento popolare
di una guida individuale si è affermata con
più facilità. Nel modello americano, una
campagna elettorale si fa più sul carattere
della persona che sul programma.
La situazione di questi ultimi anni, segnata dall’indebolimento delle ideologie,
ha spinto l’Europa verso un’americanizzazione della politica. I partiti – si pensi anche
al caso italiano – non sono più concepiti
principalmente come risorse simboliche e
sempre meno mediano tra le istituzioni e il
popolo. È in questo clima che può nascere
o rafforzarsi la leadership individuale. Essa
implica un insieme di qualità personali che
dopo Max Weber si è presa l’abitudine di
Repubblica Nazionale
MARTEDÌ 5 GIUGNO 2007
LA REPUBBLICA 47
DIARIO
SPAGNA
Con Zapatero i socialisti tornano a vincere
e dopo otto anni di “aznarismo” nel 2004
conquistano il governo. Ma la popolarità
del primo ministro declina dal 67% al 51%
già all’inizio del 2005
STATI UNITI
Da Kennedy, che vinse i dibattiti tv con
Nixon grazie al suo carisma, all’attore
Reagan, fino a Clinton e Bush, gli Usa da
sempre puntano sulla figura del leader per
personalizzare la battaglia politica
ITALIA
Con l’ingresso di Berlusconi si parla di un
“effetto leader” sul voto degli italiani. Ma la
sfiducia verso il Palazzo fa riemergere il
problema della mancanza di una
leadership autentica nella politica attuale
FENOMENOLOGIA DEL LEADER CARISMATICO
L’OCCIDENTE IN CRISI
SEDOTTO DAL CAPO
CARLO GALLI
e il mondo antico interpretava
spesso la politica come l’azione di un nocchiero che guida la
nave della città, l’età moderna ha
privilegiato, da parte “borghese”, la
centralità dei cittadini e l’impersonalità universale del comando dello Stato; mentre a sinistra si è creduto che la storia si muova in virtù di
grandi forze oggettive e necessarie,
che l’agire politico abbia come soggetti le masse, e che la dirigenza politica debba solo interpretare correttamente i segni dei tempi. Queste convinzioni hanno fatto sì che
rispetto ai democratici e ai socialisti
la destra – col suo culto del capo come l’eroe che ci lascia solo il compito di credere,
obbedire, combattere
per un destino che egli ci
addita – sia stata più propensa a porre la leadership al centro della riflessione politica.
Ma la scienza politica
fra Otto e Novecento ha
scoperto, con i teorici delle élites (Mosca, Pareto,
Michels) e con Max Weber,
la leadership, plurale e singolare. Agli individui e alle
masse si sono così aggiunti,
come protagonisti della
politica, oligarchie e capi.
In particolare, Weber ha individuato fra i tipi di potere
legittimo, oltre a quello tradizionale e a quello legale,
anche quello carismatico: il
potere personale innovatore, rivoluzionario, che deriva a un capo dal
possedere uno straordinario dono
di grazia (il carisma), e dal venire
obbedito per questo. E la storia del
XX secolo ha conosciuto grandi figure di leader; nefasti, come Hitler,
Stalin, Mussolini, ma anche capi
democratici come Roosevelt, liberali come Churchill, nazionalisti come De Gaulle. E se non il carisma in
senso rivoluzionario, una evidente
credibilità personale — determinata dalla coerenza degli intenti e dalle sofferenze patite — ha contrassegnato anche la leadership di De Gasperi, Togliatti, Nenni e Saragat.
Da queste figure, pur così diverse
tra loro, emerge che il leader è la
personalità che, con un gesto inno-
S
GLI AUTORI
I DIARI ON LINE
Il Sillabario di Zygmunt Bauman è
tratto da La società
sotto assedio (Laterza). Carlo Galli insegna Storia delle
dottrine politiche a
Bologna. Yves Mény
è presidente dell’Istituto universitario
europeo di Firenze. Con Yves Surel
ha scritto Populismo e democrazia (Il
Mulino).
Tutti i numeri di
“Diario” di Repubblica sono consultabili in Rete sul sito
www.repubblica.it
direttamente dalla
homepage, menu
Supplementi. Qui i
lettori potranno trovare le pagine, comprensive di tutte le illustrazioni, di questo
importante strumento di approfondimento
‘‘
,,
DEFINIZIONE
Il leader non crea la storia ma sa
leggere la crisi in atto e catalizza
le energie sociali mettendole in moto
verso una direzione possibile
vatore, sa smarcarsi dalle élites, e
che opera nella sua persona una
sintesi politica concreta tra l’emergenza puntuale del momento storico e un più vasto orizzonte che egli
scopre e addita — e così fornisce alla esperienza comune se non ‘il’senso, almeno uno dei sensi possibili — . Il leader insomma sa dire Io
con tanta forza da provocare il formarsi non episodico di un Noi, e
persegue la propria visione personale rendendola condivisibile da
molti.
Ma il leader non crea la storia;
piuttosto, egli sa leggere le crisi in
atto e catalizza le energie sociali,
mettendole in moto verso una direzione possibile. E’ un trascinatore
ICONA
John
Fitzgerald
Kennedy, qui
effigiato su un
francobollo
celebrativo,
rappresenta
una delle
principali
icone di leader
del XX secolo
NORBERTO BOBBIO
Il generale Charles
De Gaulle saluta la folla
che lo applaude
Tutti i partiti hanno un
leader. Tant’è vero che un
partito che non ha un leader
ma più leader è considerato
un partito anomalo
Dialogo intorno alla
Repubblica 2001
chiamare carismatiche.
Non è detto che il carisma corrisponda
sempre a qualità reali di chi lo esercita. In
una società mediatica, il politico che oggi
vuole il consenso tenderà a non scontentare l’elettorato. Sempre più spesso il discorso del leader è gestito e calibrato quotidianamente sulla base delle reazioni ai sondaggi e delle analisi sull’opinione pubblica.
Non è un caso che la recente campagna
elettorale di Sarkozy sia stata caratterizza-
ta dalle tematiche legate all’identità razziale e a una forte critica del Sessantotto, due
motivi graditi alla maggioranza dei francesi. È chiaro dunque che la leadership oggi,
più che in passato, si riconosce nei caratteri di una persona che riflette le aspettative
dell’opinione pubblica. Essa ha più possibilità di imporsi, se nasce da una crisi della
politica. Nei momenti di rottura – una guerra, una svolta radicale, il crollo di un sistema – il leader può emergere in tutta la sua
forza. È a questa altezza che si colloca l’esperienza populista. La leadership populista si autoistituisce, piegando le regole e le
strutture alle esigenze e ai bisogni del capo
del movimento. Ma la sua durata è limitata
nel tempo, ha vita breve a meno di non riuscire ad assestarsi istituzionalmente».
COLIN CROUCH
La promozione del carisma
presunto del leader, le foto
e gli spot prendono il posto
del dibattito sulle questioni
e gli interessi in conflitto
Postdemocrazia
2005
egli stesso coinvolto nel processo a
cui dà impulso. E’ tanto autore del
proprio tempo quanto prodotto dal
tempo. E’ un visionario pratico, che
coniuga l’etica della convinzione
con quella della responsabilità. Ha
bisogno della collettività, come
questa di lui. Questa miscela di interpretazione personale e di movimento collettivo si manifesta di solito nei momenti di emergenza, nelle guerre, nelle rivoluzioni, nei processi di formazione di imperi e Stati; ma anche le ricostruzioni, le uscite dalle crisi, sono opera di grandi
leader (Roosevelt e De Gasperi, tra gli altri).
Il rapporto del leader col
proprio tempo non è però
garantito: ci sono leader solo potenziali, fuori del proprio tempo, anacronicisti, e
quindi senza efficacia; e
tempi che conoscono crisi e
difficoltà ma non hanno
leader che indichino la via.
Tempi cioè — e sono i nostri — in cui le forme della
politica, le istituzioni, sono stanche e svuotate;
mentre la sostanza della
politica, il suo potere invasivo e persuasivo, passa
altrove, e si abbatte direttamente sulla vita — sul
corpo e sulle menti — delle persone. Tempi in cui
le forze che attraversano
la società sono talmente ipertrofiche da non apparire più governabili, e in cui le sfide, fattesi planetarie,
sembrano fenomeni naturali, non
politici; tempi in cui la contingenza
non è più un’eccezione ma una
quotidianità straripante e sfuggente, che non si sa come afferrare per
darle una forma. Tempi in cui si reagisce alle sfide non con energia collettiva, ma con la ricerca di vie di fuga individuali o di gruppo; in cui la
politica si è spezzettata in una miriade di vicende, di aspirazioni e di
sofferenze, che non richiedono o
che sembrano non avere più una
soluzione pubblica.
I leader — in Occidente — si fanno quindi più rari non tanto perché
la pianta-uomo abbia cessato di dare frutti eccellenti quanto perché si
è trasformata la politica, nelle sue
categorie portanti e nella percezione diffusa che se ne ha. E’ sempre
più raro che ci sia un Io perché più
fievole si è fatta l’esigenza che la politica serva a creare un Noi, a indicare un orizzonte da raggiungere, una
storia praticabile. In questi tempi la
politica è una gestione del presente
resa interessante da ‘personaggi’,
da leaderini vanitosi e inconcludenti, da aspiranti pifferai magici; e
la personalizzazione e la spettacolarizzazione della politica, fenomeni di facciata, prendono il posto della leadership, che è una questione
di sostanza.
In questi tempi di disorientamento, quindi, prima di rispondere
alla domanda sui leader — cioè su
chi ci conduce, e verso dove — bisogna interrogarsi su dove va quella
complessa e variabile combinazione di ragione, persuasione, forza,
interesse, immaginazione, diritto,
che chiamiamo politica; cioè porre
la questione della sua trasformazione. Saranno leader coloro che, nel
bene e nel male, sapranno dare risposte condivise — se sono ancora
possibili — a questo interrogativo;
che scommetteranno sulle nuove
vie — se ci sono, e se mobilitano ancora i cittadini — grazie alle quali la
politica possa ancora essere l’insieme dei processi e delle azioni con
cui si costruisce un mondo comune.
I LIBRI
MAX
WEBER
Parlamento e
governo
Laterza 2002
ROBERT A.
DAHL
Sulla
democrazia
Laterza 2002
MAURO
CALISE
Il partito
personale
Laterza 2000
GIOVANNI
SARTORI
Homo videns
Laterza 2000
DARIO
FREZZA
Il leader, la folla,
la democrazia
nel discorso
pubblico
americano
Carocci 2001
MAURO
BARISIONE
L’immagine
del leader
Il Mulino 2006
DANILO
ZOLO
Il principato
democratico
Feltrinelli 1992
SARA
GENTILE
Capo
carismatico e
democrazia: il
caso De Gaulle
Franco Angeli
1988
MARIUCCIA
SALVATI
Cittadini e
governanti
Laterza 1997
LUCIANO
CAVALLI
Carisma. La
qualità
straordinaria
del leader
Laterza 1995
CARL
SCHMITT
Dialogo
sul potere
Il Nuovo
Melangolo
1990
GAETANO
MOSCA
Elementi
di scienza
politica,
Laterza 1953
Repubblica Nazionale
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