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Cercasi guida disperatamente
DIARIO MARTEDÌ 5 GIUGNO 2007 È in edicola LA REPUBBLICA 45 È in edicola DI DI PERCHÉ LA SINISTRA HA SMARRITO IL CARISMA Un paese che appare senza un vero ricambio politico e generazionale La crisi di identità è maturata dentro scelte politiche poco coraggiose Jacques-Louis David: “Napoleone al passo del Gran San Bernardo” n Italia abbiamo capi e padroni, abbiamo “imperium” ma non abbiamo leadership, abbiamo bulli e abbiamo comandanti, abbiamo “dux” ma non abbiamo leader. E infatti abbiamo avuto Mussolini ma non Churchill; non abbiamo avuto De Gaulle e Mitterrand ma Togliatti e De Gasperi, che traevano la loro grande forza dalle potenze estere, erano gli autorevoli rappresentanti consolari delle due metà del mondo, erano insomma leader per conto d’altri, leader senza leadership. Alla fine, molto raramente abbiamo avuto un’autonoma leadership e dunque veri leader nazionali, che sono infatti significati non tradotti e non traducibili nella nostra pur bella e ricca lingua, benché siano essenziali alla democrazia prima ancora che al nascente Partito democratico. Supremazia, egemonia, guida dei propri uomini, controllo del Parlamento, autorevole e non autoritaria influenza politica, dirigenza e direzione: leadership è parola inglese che rimanda al mare perché viene da leader, da to lead, che vuol dire condurre, e da ship che è la nave, ma è anche è il suffisso che nella lingua inglese dà qualità all’astrazione, come in scholarship e in citizenship, e deriva dal germanico skop e quindi skip e appunto ship, nave, che in antico tedesco si dice schif, in greco skaphos e schyphos e in latino scapha ed è sempre lo stesso campo semantico, quello del bastimento e dell’imbarcarsi perché la leadership nella civiltà anglosassone viene battezzata sul mare, nel confronto con l’oceano, con quel “sea power” che è motore della storia. Senza volere qui rifare la storia dell’influenza del “sea power” nell’evoluzione dell’umanità ci basta ricordare che la seconda guerra mondiale è stata vinta dai navalisti e persa dai continentalisti, e che l’Italia è lontana dall’etimo stesso della leadership, perché, pur essendo una penisola, una quasi isola, la sua non è storia di navi, di flotte, di controllo delle acque, di ufficiali di marina che avevano un’educazione da statisti, di marinai che diventavano leader perché si misuravano con la forza degli oceani, di portaerei che erano un modo di accorciare le distanze e controllare il mondo. E infatti ancora oggi la formazione della nostra classe dirigente è lontana dagli orizzonti internazionali, non c’è nessun leader italiano che si qualifichi attraverso strategie mondiali, dal nuovo ruolo della Cina e dell’India alla forza dell’Islam… Difficilmente la leadership italiana si affaccia al mondo. Campioni di fantasia e di inventiva abbiano avuto il ministro della Devoluzione e quello dei Rapporti con il Parlamento, quello per gli Italiani nel mondo e quello per gli Affari regionali, e abbiano persino il ministero per l’Attuazione del programma di governo che è una sorta di ministero della Supercazzola con scappellamento a destra o a sinistra, ma abbiamo, senza nulla togliere alle qualità di Massimo D’Alema, per tradizione, un politica estera approssimativa e abborracciata, con gli I LEADERSHIP Cercasi guida disperatamente FRANCESCO MERLO ZYGMUNT BAUMAN “ LA POLITICA con la “P” maiuscola ha bisogno di leader autorevoli. La politica della vita, per contro, ha bisogno di idoli. La differenza tra le due non potrebbe essere più grande, benché capiti che alcuni leader politici vengano idolatrati e che gli idoli reclamino l’autorità adducendo a giustificazione il culto di cui sono oggetto. La politica è molte cose, ma non sarebbe nessuna di esse se non fosse prima e più di ogni altra cosa l’arte del convertire i problemi individuali in tematiche pubbliche e gli interessi comuni in diritti e doveri individuali. I leader sono esperti in tali conversioni. Danno nomi pubblici (generici) a preoccupazioni vissute individualmente e in tal modo preparano il terreno alla gestione collettiva di problemi che non potrebbero né essere percepiti nell’ambito dell’esperienza individuale né affrontati separatamente dagli individui. Inoltre, i leader indicano ciò che gli individui potrebbero o dovrebbero fare per rendere efficace l’azione collettiva. LEADERSHIP anni fa conquistava l’Ump, il partito dell’ostile Chirac, e intanto confessava di pensare all’Eliseo «tutte le mattine mentre mi faccio la barba». In Italia invece tutti hanno paura di bruciarsi e di esporsi, Veltroni non osa sfidare D’Alema, la Finocchiaro si finge umile, Rutelli lavora nell’oscu- rità, nessuno si fida di nessuno, si inventano candidati civetta e finte primarie con il vincitore bloccato, si punta su qualcuno solo per farlo impallinare, non c’è nulla di pulito, di chiaro, di laico, e alla fine la scelta del leader, quale che sia la carica da ricoprire, sarà il frutto di negoziati este- Per gli arretrati rivolgiti al tuo edicolante di fiducia. le della leadership. Le ambizioni infatti si muovono nell’ombra, malcelate sotto cumuli di ipocrisia, non c’è nessuno che osi dire «io voglio fare il presidente del consiglio, o della repubblica o il segretario del partito democratico», come ha fatto per esempio per esempio Sarkozy che già tre *Oltre al prezzo del quotidiano. avanzi di cucina delle politica interna, idea arcitaliana appunto, radicatissima nella nostra storia, con alleanze mai sicure, trattati mai definitivi, con il nemico che è anche amico e viceversa. Come si forma la leadership in Italia? Ebbene, non c’è nulla di più lontano dalla idea occidenta- Il numero di giugno con CD è in edicola a 5,90*€ con Il Sole 24 ORE. nuanti, di compromessi al ribasso e mai di una forte competizione a viso aperto. La scelta viene via via depotenziata politicamente e umanamente. Quasi sempre il prescelto è un politico di basso profilo, possibilmente già vecchio, meglio se un po’ acciaccato, si spera che sia un utile brav’uomo, il quale ovviamente alla prima prova difficile, alla prima sconfitta amministrativa per esempio, o si rifugia nella retorica o si esprime in una rabbia inconsulta minacciando di dimettersi. Ricordate come Tony Blair seppe prendere su di sé l’impopolarità della guerra in Iraq e riuscì a vincere per la terza volta le elezioni politiche? Invece il leader italiano somiglia al titano Enceslao che scala l’Olimpo e crede di essere diventato un dio. Giove afferra quell’omuncolo e lo scaglia sulla terra mettendogli sullo stomaco un’immensa montagna, l’Etna. E il tapino sta lì, costretto a fare il morto, a trattenere il respiro... Solo quando non ne può più tossisce e si agita, si scuote, si gratta, starnutisce. E allora apriti cielo, la terra trema, le bocche del vulcano sputano fuoco e pietre, il cielo si oscura. Né va meglio nella cosiddetta società civile, all’università per esempio, che, unico paese occidentale, l’Italia considera il serbatoio fintamente tecnico della politica. E’ tipico di un Paese arretrato trarre i suoi quadri dirigenti dall’università. La leadership nei paesi occidentali si forma nella scuole di alta amministrazione, oppure nell’alta politica o ancora nelle professioni. La classe dirigente italiana, invece, o viene dalla burocrazia dei partiti, o è una specie di università allargata con tutte le miserie della gestione del potere universitario spavaldamente praticate in nome della cultura. All’università il clientelismo si chiama cooptazione, la mafia si chiama scuola o baronia, la gerontocrazia si chiama scienza, il traffico delle cattedre si chiama concorso. Ma la sostanza è che la leadership universitaria è autoreferenziale, immutabile, cerimoniale, fondata sul culto del vecchio, sulla ossificazione delle idee, sulla mummificazione della cultura e dunque anche della politica. E dovrebbe essere superfluo spiegare che il leader guida e il padrone comanda e che nella cultura della leadership, scriveva Comte, «ogni partecipazione al comando è degradante». Non ci sorprende dunque che i governi italiani, quelli di sinistra come quelli di destra, siano in perenne crisi di consenso, si dissipino in un gorgoglio di comandi, un flottare di ordini, perché appunto la mancanza di leadership ordina e riordina e preordina e postordina e sputacchia disordinatamente discorsi e sentenze, encicliche e omelie, ordini di servizio e servizi d’ordine, ma non governa, non guida, non dirige, non traccia la rotta di un Paese che rimane «nave senza nocchiero in gran tempesta». La leadership italiana sembra l’epifania postcoitale perché, come si sa, nel nostro Paese, «cumannari è megghiu di futtiri». Repubblica Nazionale “ 46 LA REPUBBLICA LE TAPPE MARTEDÌ 5 GIUGNO 2007 DIARIO INGHILTERRA Dopo la Thatcher, Blair lancia un nuovo stile, legato al New Labour e al “nuovo centro”. Il “blairismo” perde consensi dopo l’intervento in Iraq e Blair cede il posto al successore Gordon Brown FRANCIA De Gaulle, Mitterrand, Chirac: leader della politica francese. Fino al nuovo presidente Sarkozy, con cui, secondo i sondaggi, vince un leader “energico”, “coraggioso”, che “sa dove andare” GERMANIA Il Partito Socialdemocratico Tedesco si lega all’immagine vincente dell’avvocato Gerhard Schröder, cancelliere dal ’98, battuto nel 2005 per pochi voti dal leader cristiano-democratico Angela Merkel L’ITALIA DALLA PRIMA ALLA SECONDA REPUBBLICA QUANDO ERANO I PARTITI CHE DETTAVANO LA LINEA EDMONDO BERSELLI I LIBRI FRANCESCO ALBERONI Leader e masse Rizzoli 2007 NICCOLÒ MACHIAVELLI Il principe Bur 2006 COLIN CROUCH Postdemocrazia Laterza 2005 THOMAS HOBBES De cive Editori Riuniti 2005 ARTHUR MILLER I presidenti americani e l’arte di recitare Bruno Mondadori 2004 GIANCARLO BOSETTI Spin Marsilio 2007 NORBERTO BOBBIO MAURIZIO VIROLI Dialogo intorno alla repubblica Laterza 2003 FEDERICO BONI Il corpo mediale del leader Meltemi 2002 SERGIO FABBRINI Il principe democratico Laterza 1999 GIAN ANTONIO STELLA Avanti popolo. Foto di gruppo con professore Bur 2007 MASSIMO NAVA Il francese di ferro. Sarkozy e la sfida della nuova Francia Einaudi 2007 el clima del dopoguerra, dominato dalle grandi visioni ideologiche e dalle contrapposizioni “di civiltà”, la leadership politica era una funzione sfuggente. Il 1945 aveva segnato il crollo dei totalitarismi nell’Europa occidentale, mentre l’Unione Sovietica centrata sulla dittatura di Stalin era circondata dall’alone della vittoria contro il nazismo. Così, le figure di spicco nei partiti che si riaffacciavano alla democrazia rappresentavano la sintesi di pensieri forti e anzi di storie che avevano percorso il Novecento. Più che dalla figura del leader, la scena era occupata dal partito: il Pci doveva essere il moderno Principe, secondo la lezione di Gramsci, teso a conquistare un primato egemonico; mentre la Dc si riproponeva come partito-società, capace di aderire a tutte le pieghe della collettività. Fra i ritratti nelle Case del popolo o all’ombra dei campanili, il partito di massa, appariva in grado di esprimere, attraverso la sua organizzazione capillare, un’intelligenza collettiva. Certo, la leadership esisteva: ma era una polarità individuale che si irradiava sulla struttura politica, che a sua volta la rafforzava. Alcide De Gasperi incarnava la dottrina sociale della chiesa, un cattolicesimo liberale che faceva i conti con il popolarismo delle origini, il viaggio dentro il fascismo e lo sforzo strenuo di rilanciare il paese dopo la tragedia della guerra. A sua volta, Palmiro Togliatti, “il Migliore”, riassumeva in se stesso un’avventura rivoluzionaria che recava dentro di sé una carriera come esponente dell’internazionalismo, la lotta antifascista che in cui si era distinto come “Ercoli”, il capo comunista clandestino, l’uomo dell’Hotel Lux, l’ufficiale di campo del socialismo sovietico. In Italia, era il leader assoluto che tuttavia esplicava il suo ruolo all’interno della procedura del Pci, scritta sulle regole del centralismo democratico. Mentre De Gasperi appariva semmai come un “primus inter pares”, soggetto ben presto alle manovre e ai veti dell’organizzazione dc, Togliatti era il capo indiscusso di un’istituzione perfetta. L’organizzazione comunista era riuscita a intimorire e infine a subordinare il Partito socialista di Pietro Nenni, che soltanto con la transizione al centrosinistra e all’accordo con la Dc avrebbe ritrovato il sentiero dell’autonomia politica; ma soprattutto dava l’idea di una macchina autoriferita quanto infallibile, in grado di collocare al proprio interno ogni protagonismo e ogni personalità, dall’ortodossia pragmatica e riformista di Amendola al “lavoro di massa” in chiave prerivoluzionaria di Ingrao. Non si usava nemmeno, la parola leader: nelle file dc si cominciò a parlare dei “cavalli di razza” quando apparvero protagonisti come Amintore Fanfani e Aldo Moro. Ma se Moro impersonava effettivamente una leadership culturale, per la sua capacità di pensare all’evoluzione integrale del sistema politico, con uno sguardo al possibile perfezionamento del “bipartitismo imperfetto”, a Fanfani invece si imputava un piglio semi-gollista, N ‘‘ ,, LIMITE Fintantoché la sfera del confronto politico era saturata dall’opposizione fra Dc e Pci, non c’era spazio per decisioni personalistiche una più visibile propensione al comando che si scontrava facilmente con l’inclinazione “dorotea” del corpo del partito e alla sua diffidenza per le concentrazioni di potere. Lo spirito democristiano infatti si rivelava più compiutamente nelle personalità politicamente duttili di Mariano Rumor e di Flaminio Piccoli, e fuori dall’area del doroteismo nel pragmatismo assoluto di Giulio Andreotti, per il quale le categorie politiche sono sempre risultate astrazioni (non è un caso che proprio il pratico Andreotti fosse chiamato a gestire il governo di solidarietà nazionale con i comunisti). Per qualche aspetto invece il calore della leadership era più sen- tito a sinistra, proprio perché era l’integrale struttura del partito a convergere nella figura del segretario: processo simbolico e funzionale a cui va aggiunto il fascino popolare di un capo come Enrico Berlinguer, le cui caratteristiche personali eccedevano i confini politici del Pci, qualificandolo come un possibile simbolo nazionale. Ma fintanto che la sfera del confronto politico era saturata dalla contrapposizione fra Dc e Pci, non c’era spazio per l’emergere di figure in grado di plasmare la politica su un profilo personale. Anzi, per diversi anni uno dei leader più visibili fu una personalità laterale alla politica, il capo della Cgil Luciano Lama. Perché il tema della leadership divenisse istanza politica rilevante, fu necessario l’emergere di una posizione eccentrica, rappresentata negli anni Ottanta da Bettino Craxi: «capo del governo e insieme dell’opposizione», come lo descrisse Adriano Sofri, portatore di un’ipotesi mitterrandiana di alternativa alla Dc che prevedeva la sostanziale subordinazione dei comunisti, intorno al quale nacquero le prime teorizzazioni sul capo carismatico e sul “decisionismo”. Dovevano cioè rompersi quegli equilibri, come scrisse su MicroMega uno dei primi ideologi dell’onda lunga socialista, Giuliano Ferrara, fondati su «un’egemonia democristiana da null’altro corretta se non da un potere di veto comunista». La crisi dei partiti storici invitava a recuperare le categorie schmittiane della decisione e la configurazione weberiana del leader. Intorno all’immagine di Craxi si sono giocate le prime sperimentazioni leaderistiche della politica italiana. Che naturalmente sarebbero diventate utili con il tracollo della “Repubblica dei partiti”, allorché si affermò lo schema dell’alternanza. Che cosa c’è infatti dopo i partiti, se non la concentrazione del potere nel leader, alimentata dalla vertigine massmediatica? Quando le forze politiche tradizionali si disintegrano come la Dc e il Psi dopo Tangentopoli, o affrontano metamorfosi infinite come il Pci a partire dal 1989, viene il momento della contrapposizione giocata tra immagini pubbliche, in cui la “personalizzazione” della politica tende a superare il vecchio elemento ideologico o il suo residuo. Non c’è soltanto la “scesa in campo” di Silvio Berlusconi, il re televisivo: con le nuove regole elettorali anche nel territorio, ossia nei comuni e nelle altre unità amministrative, la personalizzazione e quindi il “fattore” della lea- GLORIA Nell’immagine grande un ritratto di George Washington con il motto “Non conobbe altra gloria che il bene del suo paese” A sinistra una Domenica del Corriere con De Gasperi e un ritratto di Togliatti dership si diffonde in tutto il sistema politico. Plasma l’azione pubblica, ma anche l’organizzazione degli staff e delle coalizioni; diventa un totem su cui si misurano carriere e scelte programmatiche, su cui si allestiscono strumenti di selezione come le primarie. E alla fine, scontata la maggiore facilità rispetto alla sinistra con cui la destra può affidarsi al leader, potrebbe anche lasciare il campo a una sindrome nuova, in cui il comando, il ruolo da conquistare, si infittisce di mediazioni e tatticismi, e alla fine potrebbe istituire l’ultima variante, segnata da un’assenza, da uno spazio vuoto: il fantasma della leadership senza leader. MAX WEBER Conosco molti casi in cui, in seno ai partiti, giovani talenti con qualità di capo sono stati tenuti indietro dai vecchi pezzi grossi PARLA YVES MÈNY: LE NUOVE TECNICHE AL SERVIZIO DEL LEADER IL MODELLO POPULISTA E LE DEMOCRAZIE EUROPEE Parlamento e governo 1918 MICHAEL WALZER I leader deliberano per tutti e un tale processo è pubblico, cosicché i membri possono riflettere e talvolta contestare Ragione e passione 1999 ANTONIO GNOLI n una democrazia di massa il concetto di “leadership” può variare di importanza a seconda del ruolo che vi svolgono i partiti», dice Yves Mény, politologo francese, Presidente dell’Istituto Universitario internazionale di Firenze, autore fra l’altro di un apprezzato saggio sui temi del populismo. «Nell’Europa democratica del ventesimo secolo, per esempio, il leader non era scelto dall’elettorato, ma era l’espressione di un apparato. Per arrivare a ricoprire la posizione di vertice occorreva un cammino lungo e spesso lento, e soprattutto soggiacere alle regole del partito. Solo in rare occasioni il leader entrava in contatto con le masse. Le quali a loro volta si riconoscevano più nei simboli del partito che nei di- «I scorsi del capo. Negli Stati Uniti, dove i partiti sono soprattutto macchine elettorali, la leadership come riconoscimento popolare di una guida individuale si è affermata con più facilità. Nel modello americano, una campagna elettorale si fa più sul carattere della persona che sul programma. La situazione di questi ultimi anni, segnata dall’indebolimento delle ideologie, ha spinto l’Europa verso un’americanizzazione della politica. I partiti – si pensi anche al caso italiano – non sono più concepiti principalmente come risorse simboliche e sempre meno mediano tra le istituzioni e il popolo. È in questo clima che può nascere o rafforzarsi la leadership individuale. Essa implica un insieme di qualità personali che dopo Max Weber si è presa l’abitudine di Repubblica Nazionale MARTEDÌ 5 GIUGNO 2007 LA REPUBBLICA 47 DIARIO SPAGNA Con Zapatero i socialisti tornano a vincere e dopo otto anni di “aznarismo” nel 2004 conquistano il governo. Ma la popolarità del primo ministro declina dal 67% al 51% già all’inizio del 2005 STATI UNITI Da Kennedy, che vinse i dibattiti tv con Nixon grazie al suo carisma, all’attore Reagan, fino a Clinton e Bush, gli Usa da sempre puntano sulla figura del leader per personalizzare la battaglia politica ITALIA Con l’ingresso di Berlusconi si parla di un “effetto leader” sul voto degli italiani. Ma la sfiducia verso il Palazzo fa riemergere il problema della mancanza di una leadership autentica nella politica attuale FENOMENOLOGIA DEL LEADER CARISMATICO L’OCCIDENTE IN CRISI SEDOTTO DAL CAPO CARLO GALLI e il mondo antico interpretava spesso la politica come l’azione di un nocchiero che guida la nave della città, l’età moderna ha privilegiato, da parte “borghese”, la centralità dei cittadini e l’impersonalità universale del comando dello Stato; mentre a sinistra si è creduto che la storia si muova in virtù di grandi forze oggettive e necessarie, che l’agire politico abbia come soggetti le masse, e che la dirigenza politica debba solo interpretare correttamente i segni dei tempi. Queste convinzioni hanno fatto sì che rispetto ai democratici e ai socialisti la destra – col suo culto del capo come l’eroe che ci lascia solo il compito di credere, obbedire, combattere per un destino che egli ci addita – sia stata più propensa a porre la leadership al centro della riflessione politica. Ma la scienza politica fra Otto e Novecento ha scoperto, con i teorici delle élites (Mosca, Pareto, Michels) e con Max Weber, la leadership, plurale e singolare. Agli individui e alle masse si sono così aggiunti, come protagonisti della politica, oligarchie e capi. In particolare, Weber ha individuato fra i tipi di potere legittimo, oltre a quello tradizionale e a quello legale, anche quello carismatico: il potere personale innovatore, rivoluzionario, che deriva a un capo dal possedere uno straordinario dono di grazia (il carisma), e dal venire obbedito per questo. E la storia del XX secolo ha conosciuto grandi figure di leader; nefasti, come Hitler, Stalin, Mussolini, ma anche capi democratici come Roosevelt, liberali come Churchill, nazionalisti come De Gaulle. E se non il carisma in senso rivoluzionario, una evidente credibilità personale — determinata dalla coerenza degli intenti e dalle sofferenze patite — ha contrassegnato anche la leadership di De Gasperi, Togliatti, Nenni e Saragat. Da queste figure, pur così diverse tra loro, emerge che il leader è la personalità che, con un gesto inno- S GLI AUTORI I DIARI ON LINE Il Sillabario di Zygmunt Bauman è tratto da La società sotto assedio (Laterza). Carlo Galli insegna Storia delle dottrine politiche a Bologna. Yves Mény è presidente dell’Istituto universitario europeo di Firenze. Con Yves Surel ha scritto Populismo e democrazia (Il Mulino). Tutti i numeri di “Diario” di Repubblica sono consultabili in Rete sul sito www.repubblica.it direttamente dalla homepage, menu Supplementi. Qui i lettori potranno trovare le pagine, comprensive di tutte le illustrazioni, di questo importante strumento di approfondimento ‘‘ ,, DEFINIZIONE Il leader non crea la storia ma sa leggere la crisi in atto e catalizza le energie sociali mettendole in moto verso una direzione possibile vatore, sa smarcarsi dalle élites, e che opera nella sua persona una sintesi politica concreta tra l’emergenza puntuale del momento storico e un più vasto orizzonte che egli scopre e addita — e così fornisce alla esperienza comune se non ‘il’senso, almeno uno dei sensi possibili — . Il leader insomma sa dire Io con tanta forza da provocare il formarsi non episodico di un Noi, e persegue la propria visione personale rendendola condivisibile da molti. Ma il leader non crea la storia; piuttosto, egli sa leggere le crisi in atto e catalizza le energie sociali, mettendole in moto verso una direzione possibile. E’ un trascinatore ICONA John Fitzgerald Kennedy, qui effigiato su un francobollo celebrativo, rappresenta una delle principali icone di leader del XX secolo NORBERTO BOBBIO Il generale Charles De Gaulle saluta la folla che lo applaude Tutti i partiti hanno un leader. Tant’è vero che un partito che non ha un leader ma più leader è considerato un partito anomalo Dialogo intorno alla Repubblica 2001 chiamare carismatiche. Non è detto che il carisma corrisponda sempre a qualità reali di chi lo esercita. In una società mediatica, il politico che oggi vuole il consenso tenderà a non scontentare l’elettorato. Sempre più spesso il discorso del leader è gestito e calibrato quotidianamente sulla base delle reazioni ai sondaggi e delle analisi sull’opinione pubblica. Non è un caso che la recente campagna elettorale di Sarkozy sia stata caratterizza- ta dalle tematiche legate all’identità razziale e a una forte critica del Sessantotto, due motivi graditi alla maggioranza dei francesi. È chiaro dunque che la leadership oggi, più che in passato, si riconosce nei caratteri di una persona che riflette le aspettative dell’opinione pubblica. Essa ha più possibilità di imporsi, se nasce da una crisi della politica. Nei momenti di rottura – una guerra, una svolta radicale, il crollo di un sistema – il leader può emergere in tutta la sua forza. È a questa altezza che si colloca l’esperienza populista. La leadership populista si autoistituisce, piegando le regole e le strutture alle esigenze e ai bisogni del capo del movimento. Ma la sua durata è limitata nel tempo, ha vita breve a meno di non riuscire ad assestarsi istituzionalmente». COLIN CROUCH La promozione del carisma presunto del leader, le foto e gli spot prendono il posto del dibattito sulle questioni e gli interessi in conflitto Postdemocrazia 2005 egli stesso coinvolto nel processo a cui dà impulso. E’ tanto autore del proprio tempo quanto prodotto dal tempo. E’ un visionario pratico, che coniuga l’etica della convinzione con quella della responsabilità. Ha bisogno della collettività, come questa di lui. Questa miscela di interpretazione personale e di movimento collettivo si manifesta di solito nei momenti di emergenza, nelle guerre, nelle rivoluzioni, nei processi di formazione di imperi e Stati; ma anche le ricostruzioni, le uscite dalle crisi, sono opera di grandi leader (Roosevelt e De Gasperi, tra gli altri). Il rapporto del leader col proprio tempo non è però garantito: ci sono leader solo potenziali, fuori del proprio tempo, anacronicisti, e quindi senza efficacia; e tempi che conoscono crisi e difficoltà ma non hanno leader che indichino la via. Tempi cioè — e sono i nostri — in cui le forme della politica, le istituzioni, sono stanche e svuotate; mentre la sostanza della politica, il suo potere invasivo e persuasivo, passa altrove, e si abbatte direttamente sulla vita — sul corpo e sulle menti — delle persone. Tempi in cui le forze che attraversano la società sono talmente ipertrofiche da non apparire più governabili, e in cui le sfide, fattesi planetarie, sembrano fenomeni naturali, non politici; tempi in cui la contingenza non è più un’eccezione ma una quotidianità straripante e sfuggente, che non si sa come afferrare per darle una forma. Tempi in cui si reagisce alle sfide non con energia collettiva, ma con la ricerca di vie di fuga individuali o di gruppo; in cui la politica si è spezzettata in una miriade di vicende, di aspirazioni e di sofferenze, che non richiedono o che sembrano non avere più una soluzione pubblica. I leader — in Occidente — si fanno quindi più rari non tanto perché la pianta-uomo abbia cessato di dare frutti eccellenti quanto perché si è trasformata la politica, nelle sue categorie portanti e nella percezione diffusa che se ne ha. E’ sempre più raro che ci sia un Io perché più fievole si è fatta l’esigenza che la politica serva a creare un Noi, a indicare un orizzonte da raggiungere, una storia praticabile. In questi tempi la politica è una gestione del presente resa interessante da ‘personaggi’, da leaderini vanitosi e inconcludenti, da aspiranti pifferai magici; e la personalizzazione e la spettacolarizzazione della politica, fenomeni di facciata, prendono il posto della leadership, che è una questione di sostanza. In questi tempi di disorientamento, quindi, prima di rispondere alla domanda sui leader — cioè su chi ci conduce, e verso dove — bisogna interrogarsi su dove va quella complessa e variabile combinazione di ragione, persuasione, forza, interesse, immaginazione, diritto, che chiamiamo politica; cioè porre la questione della sua trasformazione. Saranno leader coloro che, nel bene e nel male, sapranno dare risposte condivise — se sono ancora possibili — a questo interrogativo; che scommetteranno sulle nuove vie — se ci sono, e se mobilitano ancora i cittadini — grazie alle quali la politica possa ancora essere l’insieme dei processi e delle azioni con cui si costruisce un mondo comune. I LIBRI MAX WEBER Parlamento e governo Laterza 2002 ROBERT A. DAHL Sulla democrazia Laterza 2002 MAURO CALISE Il partito personale Laterza 2000 GIOVANNI SARTORI Homo videns Laterza 2000 DARIO FREZZA Il leader, la folla, la democrazia nel discorso pubblico americano Carocci 2001 MAURO BARISIONE L’immagine del leader Il Mulino 2006 DANILO ZOLO Il principato democratico Feltrinelli 1992 SARA GENTILE Capo carismatico e democrazia: il caso De Gaulle Franco Angeli 1988 MARIUCCIA SALVATI Cittadini e governanti Laterza 1997 LUCIANO CAVALLI Carisma. La qualità straordinaria del leader Laterza 1995 CARL SCHMITT Dialogo sul potere Il Nuovo Melangolo 1990 GAETANO MOSCA Elementi di scienza politica, Laterza 1953 Repubblica Nazionale